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J. Rodolfo Wilcock L’ABOMINEVOLE DONNA DELLE NEVI Commedia in due tempi

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J. Rodolfo Wilcock

L’ABOMINEVOLE DONNA DELLE NEVI

Commedia in due tempi

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PERSONAGGI ABO ROMBO LA LAMBALLE SUO MARITO ZULA DIRETTORE COWBOY AMLETO PRIMO OPERATORE SECONDO OPERATORE VALLETTA BARBI MIMI PINSON DODO SASSA PITTORE MUSICISTA REGISTA STUDENTE SQUADRISTA OPERAIA-CAPO CAVALIER GATTO MAGO CADIOZ GIORNALISTA FORESTIERO PRIMO CACCIATORE SECONDO CACCIATORE

TV e cinema

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ALFIERE - PEDONE - TORRE (scacchi) DUE TEMPLARI (con l’elmo) RAPINATORE GUARDIANO TRE MAMUTHONES (VOCI ESTERNE)

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PRIMO TEMPO

Prologo

Una MADAME DE LAMBALLE e suo MARITO, uomo d’affari. MARITO. Per gentilezza di un alto funzionario

della Sovrintendenza ai Monumenti la nostra villa con piscina calda sorge sul monte più isolato e selvaggio del Parco Nazionale degli Abruzzi.

LAMBALLE. E per bontà di un alto funzionario

del Ministero dei Lavori Pubblici ci hanno portato su la luce l’acqua e una comoda strada panoramica fino alla nostra pista di sci privata.

MARITO. Lassù la neve spesso infuria.

Una sera di Capodanno, raccolti intorno al fuoco del camino, sentiamo a un tratto un rumore in cucina.

LAMBALLE. Con la testa ficcata nella ghiacciaia,

intenta a divorare il pollo al miele, mi imbatto in questo animale peloso, dalle mammelle ovviamente femmina.

MARITO. L’abominevole donna delle nevi.

Chiamala, Marie Louise. LAMBALLE. Abominevole! Abo! ABO (fuori). Gnaa, gnaa... LAMBALLE. Ha il corpo ricoperto di peli biondi,

ma le mammelle sporgono e si vedono. Mi ha rotto tre vestaglie, le fa a brandelli.

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MARITO. Così l’abbiamo portata sulla Porsche

a Roma perché impari civiltà. LAMBALLE. Impara: le ho insegnato

a non grattarsi le parti pudende e a non mettersi le zampe nel naso.

MARITO. La si potrebbe fare depilare. LAMBALLE. Prima la mostrerò allo stato brado.

Sono la sola signora in Italia che abbia una femmina di queste delle nevi.

MARITO. Forse appartiene alla stessa razza nostra.

Le hai già fatto vedere la TV? LAMBALLE. Fa gna, gna, gna e si gratta.

C’era un ministro e un viaggio alla Luna. Ora sa dire razzo, lo dice spesso, ma la Luna la lascia fredda.

MARITO. Prova a portarla a qualche mostra d’arte. LAMBALLE. Sì, l’arte contemporanea

non richiede preparazione alcuna.

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Scena prima

Mostra d’arte: una stanza assolutamente vuota, e in un angolo un barattolino chiuso di vernice rossa. La mostra ospita contemporaneamente un concerto di musica astratta, più precisamente una pecora legata all’angolo opposto della sala. Gli attori indosseranno abiti di foggia varia. Il pubblico ammira le pareti nude, il barattolo, la pecora. Di scena: PITTORE, MUSICISTA, DODO, BARBI, SASSA. DODO. La pecora è la mostra? PITTORE. No, la mostra è il barattolo. BARBI. La potenzialità inespressa

della vernice rossa. DODO. E che sarebbe quella pecora? PITTORE. Quella? È un concerto di musica astratta. DODO. Che bell’idea, concerto e mostra insieme! PITTORE. A me non piace mescolare le arti. BARBI. Così tutto diventa happening. SASSA (al Musicista). Ciao Miccio. Bello, il tuo concerto. MUSICISTA. Vorrei trarre dal suono delle forme

un brandello di musica della natura. PITTORE (a Dodo). È amico del padrone del locale.

L’hanno ospitato qui nella mia mostra, con la sua pecora, per ragioni che poco hanno a che fare con la musica. Corre voce perfino di un ricatto, di una cambiale protestata...

SASSA. Ma i critici musicali

dei quotidiani, non sono venuti?

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MUSICISTA. La critica borghese fa harakiri. Entra la Lamballe; porta per mano Abo, ch’è tutta coperta - braccia, gambe, mento e guance - di

peli biondi, lunghi 3O, 4O centimetri; ha pure i baffi, le sopracciglia folte. Su questa pelliccia naturale indossa una vestaglia lunga e pesante.

LAMBALLE. Vedi Abo, questa è una mostra d’arte.

D’arte moderna; mostra con concerto. ABO. Razzo. DODO. Ma chi è quella Venere in pelliccia? LAMBALLE. E la mia abominevole donna delle nevi.

Abo! Vien qua! Lascia stare la pecora. Prima vediamo la mostra di pittura. (Al pittore) È una denuncia del neocapitalismo?

BARBI. Cinquemil’anni d’arte in un barattolo! PITTORE. Cinquemil’anni da distruggere. LAMBALLE. Lascia stare la pecora. Ascolta il Barbi

ch’è professore d’estetica di massa. DODO. Che carina, barbuda con vestaglia! BARBI. Un pezzo brado di proletariato,

la vera immagine del Terzo Mondo! SASSA. Viene dalla Bolivia? È guerrigliera? LAMBALLE. Non parla, ancora. L’ho trovata in Abruzzo.

(A Abo) Guarda lì quel barattolo: dentro sta l’arte. ABO. Gna, gnaa... Razzo. LAMBALLE. Arte, capisci? Prova a dire arte. ABO. Gnaa, gnarte, razzo.

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LAMBALLE. Quello lì è l’artista. Ciao, Ferruccio. MUSICISTA. Comunque la tua nobile selvaggia

preferisce ascoltare il mio concerto. LAMBALLE. Salve Miccione. Concerto? E la scultura? MUSICISTA. L’ho lasciata. Si è sciolta nello spazio.

Spazio di massa. Adesso scrivo musica. LAMBALLE. Vedi Abo, quella pecora è la musica.

Ripeti: musica. Mu-si-ca. ABO. Gna, gnaa. Razzo. LAMBALLE. E quel barattolo invece è la pittura.

Ripeti: pittura. ABO. Gnaa. Razzo. LAMBALLE. Ora ti porto a una mostra di artigianato.

Qui appresso, nella Galleria della Piuma nell’Occhio. Che espone Lucio Ronchi?

BARBI. Secchi d’acqua arancione rossa e verde. DODO. Per ventimila lire

ti butta i tre colori sul vestito. LAMBALLE. Ma firma? BARBI. Firma, e ti dà una ricevuta in regola. DODO. Fa pure delle nerografie:

un secchio d’acqua nera, trentamila. MUSICISTA (annunciando). Rondò con ricercare! Mungo la pecora. SASSA. Fate silenzio che munge la pecora. MUSICISTA. Macché silenzio! Il rumore del pubblico

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è programmato, è il coro. Urlate, prego!

Tutti urlano, mentre il Musicista munge la pecora. ABO. Gnaa! Gnarte! Gnarte! LAMBALLE. Arte! Brava, capisce! PITTORE. Ma quei secchi del Ronchi

li hanno già fatti all’Aquila. BARBI. Lì all’Insegna della Piuma nell’Occhio

fanno sempre gli eventi dell’anno scorso. SASSA. Se perdi il tram, perdi la rivoluzione. DODO. È una scimmia davvero. Posso spogliarla? ABO. Gnagnarazzo - razzo. MUSICISTA. Lento maestoso! Il corno! Dov’è il corno? SASSA. Che corno? MUSICISTA. ‘Sta pecora è senza corna.

Abo si è messa a quattro zampe. BARBI. Ha la gobba? DODO. Ha la coda? (Prova a spogliarla). MUSICISTA. Uno del pubblico ora stupra la pecora. LAMBALLE. Le sette! andiamo, Abo.

(Al Pittore) Bellissima, la mostra. Intelligente. Vieni Abo. Ahi, mi ha morso! Dovrò legarla con la catenella.

Abo grugnisce. Dodo vuole spogliarla.

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LAMBALLE (al Musicista). Delizioso, il concerto. Spiritoso. MUSICISTA. Manca lo stupro della pecora!

Abo ringhia. Morde tutti, alle gambe, alle mani. Urla, Dodo tenta di trattenerla, Abo fugge, ancora urlando.

ABO. Gna, gnaarte! (Esce. La rincorrono). LAMBALLE. Dove vai, Abo? Non è battezzata,

non ha patente, non ha passaporto, questa finisce nel canile o in questura.

Escono.

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Scena seconda

Entrano un AMLETO e la Zingara ZULA. AMLETO. Io nella gabbia non metterci le bestie,

ci metterci Remigio, le bestie intorno. ZULA. Io ci metterei invece il pubblico. Entra ABO, goffa, con la sua vestaglia. AMLETO. E questa qui, quando è arrivata? ZULA. Ce l’ha portata un camionista

che l’ha trovata nascosta tra due balle. Aveva sete, aveva fame.

AMLETO. E che sa fare, questo nuovo animale?

ABO si siede per terra, appoggiata a qualcosa. ZULA. Per me non è una vera bestia,

ha le mammelle quasi come una donna e il sedere diverso dalle scimmie. Le sto insegnando piano piano a parlare.

AMLETO. Non è la sola, in questa compagnia

che dovrebbe imparare. (Esce). ZULA. Giorno. ABO. Gnono. ZULA (indicando se stessa). Zula. ABO. Zula. ZULA. Tu?

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ABO. Tu. ZULA. No! (Indica col dito Abo e con la mano accanto alla bocca fa finta di chiamare) Ah! Ah!

Vieni qua! Ah! ABO. Ah! Ah! Abo! ZULA. Abo? ABO. Abo! (Fa finta anche lei di chiamare) Abo!

Entra il Direttore del Circo, vestito da Direttore di circo, con la frusta. ZULA. Si chiama Abo. DIRETTORE. Bene. Adesso proviamo il numero. (Attacca un collarino con la catena al collo

di Abo e fa schioccare la frusta. La Zingara esce) Signori e signore, ora vedrete la donna pelosa. Unico esemplare nel mondo proveniente dallo Zoo di Pechino, omaggio del Grande Mao ossia Mao Tsetung Presidente della Cina Sovietica e autore del famoso libretto rosso dei pensieri di Marx sul lavoro che tutti avete letto, per esempio «La repubblica è un’Italia fondata sul capitale». Potete toccarla: è stata battezzata, esorcizzata e cosparsa d’acqua santa...

Entra un Cowboy.

COWBOY. Dove è il mio fischietto ch’era nella mia scatola di giocattoli nella stalla

della zebra? DIRETTORE. Domanda a Amleto.

Esce il Cowboy.

È stata benedetta in Vaticano dalla finestra. Sa fare il salto dell’angelo ...

Abo non si muove.

Sa ballare la quadriglia della piattola...

Abo non si muove.

su due zampe, su quattro...

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Abo si gratta.

Per il resto non sa fare nulla, nemmeno parlare. Signore e signori, è un vero fenomeno...

Entra l’Amleto.

AMLETO. Scusi ma io non ho toccato il fischietto di Remigio. DIRETTORE. Amleto, tua madre ha telefonato. AMLETO. Da dove? DIRETTORE. Da Benevento. Un vero fenomeno... AMLETO. Mamma! (Esce). DIRETTORE. …L’unica bestia umana che non parla e non sa fare niente. Di lei si sa

soltanto che appartiene alla fauna cinese, specie Femmina Rustica Pechinensis; ignora inoltre il valore del denaro, ha ingoiato un anello con due brillantini, e da Cape Kennedy ha ricevuto recentemente lusinghiere proposte di lancio nel vuoto assoluto...

Abo si accoccola per pisciare.

DIRETTORE. Ma che fai, pisci? Zula!

Entra Zula.

Bisognerà esibirla per ora nella gabbia. Prova a insegnarle qualche buona maniera. Vedi se riesci a farla parlare; se non dà altri segni di intelligenza, possiamo sempre farla recitare. (Esce).

Rimangono Zula e Abo. Zula prende un quaderno e una matita.

ZULA. Questa è una A. (Traccia una grossa A) A! ABO. Vaffanculo. ZULA. A!

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ABO. A. ZULA. Questa è una B. (Disegna una B). ABO. A. ZULA. No, Bi. ABO. Sì. ZULA. Bi! ABO. Razzo. ZULA. Bi! Abo, bi. ABO. Abobi. ZULA. Bi. Bi! ABO. Gnarte vaffanculo. ZULA. No! ABO. No! ZULA. Vabbene. (Scrive No) Ripeti. No. ABO. Bi. ZULA. No! ABO. Razzo. ZULA. Non impara, non impara. ABO. Non impara, non impara.

Zula la porta via, per mano.

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Scena terza Entrano da destra l’AMLETO e da sinistra il COWBOY. COWBOY. Dammi il fischietto mio! AMLETO. Non l’ho nemmeno visto. COWBOY. Era nella mia cassa di giocattoli. AMLETO. Io ho i miei giocattoli personali.

Non so nemmeno dove tieni i tuoi. COWBOY. Hai spiato nella stanza delle zebre! AMLETO. E poi era un fischietto rotto. COWBOY. Era nuovo! Tu, me l’hai rotto! Tu! AMLETO. Era un rottame, non fischiava più.

E in quella stalla non ho messo i piedi. Giù le mani!

COWBOY. Ti sfido! AMLETO. Vabbene, accetto, ma senza pistole. COWBOY. Senza pistole. Vado a prepararmi. AMLETO. Anch’io. Ti farò vedere io. Escono e ritornano infagottati, avvolti in coperte, materassi e piumini, con pentole e secchi sulla

testa, randelli in mano. Si battono. COWBOY. Confessa dove l’hai nascosto! AMLETO. E Dino, eh? Dov’è Dino? COWBOY. Tu lascia stare Dino e i miei fischietti!

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AMLETO. Mitomane! COWBOY. Ti butto nella vasca della sirena! (A spintoni fa uscire Amleto ed esce).

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Scena quarta

Entra ABO e si accoccola. Arriva ROMBO. ROMBO. Tu chi sei? ABO. Abo. ROMBO. Che razza di animale sei? ABO. Sono la donna pelosa della neve. ROMBO. Che? C’è la neve? ABO. No. Sono la donna Abo della neve. ROMBO. Hai la coda? ABO. Coda? Dove? ROMBO. Fa’ vedere la coda. ABO. Non ho la coda. ROMBO. Qui c’è di tutto, in questo circo.

Mancava anche la donna con la coda. C’è la donna pallone e l’uomo palla.

ABO. Palla? ROMBO. Di cannone.

C’è un nano così piccolo che non si vede mai. E parla così basso che non si sente mai. Ci sono i cagnolini, quelli sono intelligenti. C’è un leone, invece, mezzo scemo.

ABO. Tu che fai? ROMBO. Eh?

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ABO. Che fai tu? ROMBO. Sono il vecchio più vecchio del mondo. ABO. Che fai? ROMBO. Io, niente. Alla mia età. ABO. Che fai davanti alla gente? ROMBO. Piscio. Alla mia età... ABO. Anch’io piscio; il Direttore si arrabbia. ROMBO. Alla mia età... ABO. I denti, dove li hai? ROMBO. Che dici? ABO. Dove hai i denti, nella bocca? ROMBO. Io sono con un piede nella tomba. (Scosta un piede, come per introdurlo in una

fossa). ABO. Che cos’è, tomba? ROMBO. Il premio di una vita di lavoro.

A tutti ce lo danno, questo premio. Sotto terra, due metri sotto.

ABO. Come ti chiami? ROMBO. Noi vecchi, i vermi non ci toccano.

Mangiano i giovani. Noi si diventa mummie. Basta soltanto che metta l’altro piede. (Finge di introdurre l’altro piede, accanto al primo) Finito il numero.

ABO. Debbo fare il numero con te. L’ha detto il Direttore.

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ROMBO. Voi giovani, con la coda o senza, siete una festa per i vermi.

ABO. Non ho coda, io! ROMBO. Meglio che tiri i piedi fuori della fossa.

(Sposta i piedi) Perché porti la pelliccia? C’è la neve?

ABO. È la mia pelliccia naturale.

Escono.

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Scena quinta

L’AMLETO e il COWBOY con la chitarra. AMLETO. Canta, Remigio, canta.

Canta se puoi qualcosa di allegro. Mia madre ha telefonato da Benevento e ha detto che lo zio... (Trattiene il pianto) Oh, non posso!

COWBOY. Canto “Il lamento del malato”. AMLETO. Canta, Remigio, canta. COWBOY (canta). Vicino a Roma, sulla Via Appia,

un malato si lagnava. Le automobili passavano ma nessuna si fermava.

AMLETO. È triste! (Piange). COWBOY (canta). Era sul ciglio della strada

ma non poteva camminare. Passò la guardia stradale e gli disse che se ne doveva andare.

AMLETO. Mi fai piangere! COWBOY (canta). Passò un prete e lo benedì,

poi si allontanò a gran passi; ormai si era fatto sera e l’uomo si sdraiò sui sassi.

AMLETO. Oh, oh, ohi! (Piange ormai senza ritegno). COWBOY (canta). Pover’uomo, era vissuto

appena, appena un minuto e quel suo minuto sprecato l’aveva, inoltre, sognato!

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AMLETO (piangendo disperatamente).

Oh non mi hai rallegrato per niente!

Esce piangendo, seguito dal Cowboy.

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Scena sesta

Il DIRETTORE, copione in mano, vestito da Tamerlano. Il vecchio ROMBO, con occhiali, turbante e copione, è chiuso in una gabbia di legno; accanto alla gabbia è ABO, sempre pelosa ma col turbante anche lei e una corona sopra, le mani legate da catene. DIRETTORE. E ora signori, assisterete a una scena di altissima poesia! Mai avrete visto

scena più pietosa, né attori più singolari. Per ordine alfabetico, io sono Tamerlano, Direttore del Circo Universale. Poi, ecco Rombo, nella sua gabbia, che oltre a essere il Vecchio più Vecchio del mondo, è il Gran Turco sconfitto. E questa qui, la famosissima, la unicissima, l’incomparabilissima Aborigena Gnocco, la Donna Abominevole delle Nevi del Parco degli Abruzzi, ultima gloriosa rappresentante di sangue reale dell’italica razza originale, nelle vesti per voi di Zabina, Imperatrice e moglie del Gran Turco, anche lei prigioniera. Ascoltate! Incomincia!

Suona un gong.

DIRETTORE (legge). Ch’è la bellezza, dunque, mi domando?

Se ogni penna che mai prese il poeta ne avesse espresso tutto il sentimento, e ogni dolcezza che su temi eccelsi ispirò i cuori e le menti e le Muse; se ogni celeste quintessenza che stilla dai loro fiori eterni di poesia...

Abo si arrampica sulla gabbia.

dai loro eterni fiori di poesia, dove scorgiamo come in uno specchio i più alti voli dell’ingegno umano... (a Abo) Scendi, oh scimmia! (al pubblico) ...se tutto fosse combinato insieme in una strofa di lode alla bellezza, pur rimarrebbe in quelle teste inquiete un pensiero, una grazia, uno stupore, che nessun’arte può dire in parole. Ma quanto sono inadatti al mio sesso... (a Abo) Scendi, ti dico!

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...al mio mestiere d’armi e cavalleria al mio genio, al terrore del mio nome, questi pensieri effeminati e deboli! Hai già mangiato, Bajazet?

ROMBO. Preferirei mangiare il tuo cuore crudo. DIRETTORE. Il tuo, ch’è più facile da trovare.

Strappatelo e mangialo con tua moglie. ROMBO (legge). Voi Furie che sapete farvi invisibili

scendete in fondo allo stagno d’Averno e riportate un veleno infernale per riempire il bicchiere di Tamerlano!

ABO. Bisce alate di Lerna, sporgete i denti

e schizzate veleni nel suo piatto! DIRETTORE. Prendi il pugnale e ammazza tua moglie,

mangiala adesso ch’è ancora grassa. Io me ne vado, a dar battaglia agli arabi. (Si ritira in disparte).

ROMBO (legge). Va’ e non tornare mai con la vittoria!

Che milioni di uomini ti accerchino e milioni di volte ti trafiggano! Sul cavallo ti piovano frecce forcute! Fora, mitraglia, quella pelle stregata, e che ogni palla sia pregna di veleno! E che il cannone ti smembri e ti scagli su, su, fin dove può salire un’aquila!

ABO. Che sgorghi a flutti il sangue da ogni poro,

e lunghe fitte gli strozzino il cuore, e la pazzia...

ROMBO. Che c’è? ABO. I baffi... nella bocca...

E la pazzia lo mandi all’inferno! ROMBO (legge). Bella Zabina, possiamo maledirlo,

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ma la sua spada è retta da una stella sovrana in cielo, che comanda gli dèi.

ABO. Non c’è più dunque Maometto né Dio?

Né diavolo, né sorte, né speranza di sfuggire l’atroce schiavitù? Apriti terra, che i demoni contemplino un altro inferno pauroso e disperato! Perché mai vivere? Mendichi, schiavi, miseri! Perché viviamo, per costruire nidi nelle alte zone dell’aria, Bajazet?

ROMBO (legge). Tristi strumenti dell’odiata vista

(finge di acchiapparsi gli occhi) che vedete il mio scettro, onore e nome, sotto il giogo e l’impero di un ladrone, perché cibarvi ancora di odiosa luce?

Abo nel frattempo fa la scimmia buffona.

Ecco mia moglie, la mia imperatrice sopra altre quindici regine tributarie, ora ridotta ai più vili impieghi, serva dell’onta, la miseria e il disprezzo. O povera Zabina! O mia regina! Porta dell’acqua a questo petto in fiamme, per confortarlo ancora qualche istante.

ABO. Bajazet caro, io ti terrò in vita

finché avrò un resto di sangue o di fiato. (Si ritira in disparte).

ROMBO (legge piuttosto velocemente).

E ora dà fine, Bajazet, ai tuoi giorni, sbatti la testa vinta, fino a romperla, poiché altri mezzi ti sono vietati. O somma lampada di Giove immortale: che il brutto buio col suo cocchio di ruggine copra la terra di nebbia indissolubile! E ora, dardo di pietra del freddo inerte trafiggi il centro del mio cuore avvizzito! (Si rompe la testa contro le sbarre della gabbia).

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Ritorna Abo con una bottiglia.

ABO. Che orrore vedo? Mio marito morto!

La testa aperta! Le cervella fuori! O Bajazet! O Turco! O Imperatore! (Fa la scena della pazzia) Mescergli il vino? Non io. Latte e fuoco, portatemi, e io ci aggiungerò il mio sangue. Fatemi a pezzi! Datemi la spada, con la sua palla di fuoco fatuo! Giù, voglio vederlo giù. Correte! Il mio bambino: via, via, via! Salvate quella creatura! Salvatelo! Salvatelo! Buttagli la carne in faccia, Tamerlano! Seppellite i soldati: Inferno, morte, Tamerlano, inferno! Apparecchiate la mia carrozza, la mia portantina, i miei gioielli. Vengo, Bajazet, vengo! (Si scaglia anche lei contro la gabbia e si rompe la testa).

Applausi del pubblico. Salutano e ringraziano, anche il Direttore. Escono.

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Scena settima

Entrano la LAMBALLE e ZULA. LAMBALLE. È qui? Davvero è qui? ZULA. È qui e fa l’attrice. LAMBALLE. Ma se non sa parlare! ZULA. Ha imparato a parlare. LAMBALLE. E fa l’attrice con quei peli indosso? ZULA. Questo è un circo, signora.

Non ci servono attori, ma gente strana. Mostri, esseri anormali, deficienti.

LAMBALLE. Ma non potete pagarli

come li paga la televisione. Ho qui un contratto di sei mesi per Abo. Sono venuta per portarla via, ecco il mandato del giudice competente.

ZULA. Dovrà parlare con il Direttore.

Ma le dirò ch’è molto attaccata a un certo Rombo della compagnia.

LAMBALLE. A un uomo! Ma Abo non è una donna! ZULA. Nemmeno lui è un uomo: è un vecchio.

Escono.

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Scena ottava

Entra ABO e si siede accanto alla gabbia di Bajazet. Arriva lentamente ROMBO. ROMBO. Qualcuno piange. Chi è che piange? ABO. Io. ROMBO. Sai pure piangere? Prima guaivi. ABO. Ho imparato anche a piangere.

Mi viene l’acqua agli occhi. ROMBO. Come hai detto? Parla più forte. ABO. Qui tutto è brutto, tutto brutto e noioso.

Voglio fare il turco e la turca. ROMBO. Non ti fanno mangiare? ABO. Lo stesso, tutto è brutto e noioso.

Brutto e cattivo. ROMBO. Le cose sono quel che sono.

Soltanto il tempo è buono o cattivo. Il resto, chi può dire?

ABO. Anche le bestie sanno chi è cattivo. ROMBO. Come hai detto? ABO. Anche le bestie sanno chi è cattivo! ROMBO. Anche le bestie sono cattive.

L’importante è che il tempo non sia cattivo. E il cibo, non mi piace il cibo cattivo.

ABO. Qui è tutto cattivo. ROMBO. Parla più forte. Dove sei, Abo?

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ABO. Qui, sono. ROMBO. Dammi un po’ di sciroppo di tamarindo. ABO. Non ce n’è. ROMBO. Un’aranciata? ABO. Non c’è aranciata. ROMBO. Ma tu non sei, un animale? ABO. Un animale che parla, sono. ROMBO. Ce l’hai, la mamma? ABO. Non so. ROMBO. E la coda? Ce l’hai, la coda? ABO. Che vuol dire, le cose sono quel che sono? ROMBO. Che tutto è lo stesso, vuol dire, ecco. ABO. Che vuol dire quello che dice Zula:

bisogna far qualcosa per il prossimo? ROMBO. Fare qualcosa? Per chi? ABO. Il prossimo! ROMBO. Il prossimo? Sfuggirlo, bisogna. ABO. Chi è il prossimo? E tu lo sfuggi? ROMBO. Che vuoi che sfugga? Non vedo, ormai, non sento,

non sono né di qua né di là.

Entra la Lamballe, seguita da Due Operatori della Televisione, vestiti da bagnini. LAMBALLE. Eccola lì, la bestia! Prendetela!

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Abo vuole fuggire.

Vieni mia cara che ti metto il guinzaglio!

I Due Operatori della TV afferrano Abo che vuole fuggire.

ABO. Lasciatemi! Assassini! Vaffanculo! LAMBALLE. Vedete? Parla! È sempre più intelligente!

(Lega Abo con la catenella di prima). PRIMO OPERATORE. Ne verrà fuori un bel servizio. SECONDO OPERATORE. Sarà meglio portarla nello studio.

Farla con uno sfondo tropicale. PRIMO OPERATORE. Meglio uno sfondo abruzzese. LAMBALLE. Ho un contratto per te;

per ora tre cortometraggi, suscettibili di sviluppi. Milioni, Abo, milioni!

ABO. Vaffanculo! Figlia di ignota! PRIMO OPERATORE. Qui c’è una gabbia.

Proviamo a farla nella gabbia. LAMBALLE (al Secondo Operatore).

Le metta prego questo bavaglio asettico. Buona, Abo, che ti mette la museruola!

Il Secondo Operatore si dà da fare con il bavaglio-museruola. Abo borbotta alcuni insulti

recentemente imparati. SECONDO OPERATORE. Senza suono però.

Dice soltanto parolacce. PRIMO OPERATORE. E il vecchio? SECONDO OPERATORE. Anche lui nella gabbia.

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Con quella frusta, come un domatore. LAMBALLE (a Rombo). Le dispiace, signore, di entrare nella gabbia? Con questa frusta? ROMBO. Di entrare dove? LAMBALLE. Nella gabbia, con Abo. ROMBO. Eh sì, è la gabbia mia.

Gli Operatori girano una scena con Rombo e Abo nella gabbia. Abo sembra una belva. ABO (urla con la museruola).

Non c’è più dunque Maometto né Dio? Né diavolo, né sorte, né speranza?

PRIMO OPERATORE. Fa’ schioccare la frusta, vecchio. ABO (come sopra). Apriti terra, che i demoni contemplino

un altro inferno, pauroso e disperato! SECONDO OPERATORE. È sordo, il vecchio, non ti sente. PRIMO OPERATORE. Dai, con la frusta!

Sulla bestia! Falla saltare nella gabbia! ABO (come sopra). Fatemi a pezzi! Datemi la spada,

con la sua palla di fuoco fatuo! LAMBALLE. Così va bene. Giriamo ora una scena

sullo sfondo di un prato: io col guinzaglio la porto in giro mentre lei bruca i fiori.

ABO (come sopra). Inferno, morte, inferno!

Escono.

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Scena nona Entra un ALFIERE NERO degli Scacchi e si piazza a destra della scena. Da sinistra entra un PEDONE BIANCO o Pedina, e rimane a sinistra. PEDONE. Sei nero o bianco?

Con questo coso sulla testa non vedo. ALFIERE. Tu fai le mosse che ti dice il Regista.

Sei l’unica Pedina? PEDONE. Io non sono pedina, sono pedone.

Ma tu sei bianco o nero? ALFIERE. Alfiere nero. E se il copione vuole,

dovrò mangiarti, perché sono nero. PEDONE. Questo è un gioco razzista.

E anche l’idea di farlo alla TV. Credi davvero che ci mangeremo? Davanti al pubblico?

ALFIERE. Se la partita va in presa diretta,

ci mangeremo, e come.

Entra una Torre Bianca e rimane vicino al Pedone, verso il centro. PEDONE. Ecco una Torre Bianca. Faccio una mossa.

Ciao Franco, fai la torre? È vero che dovremo mangiarci tutti?

TORRE. E che giochiamo a fare? PEDONE. Sul video? TORRE. Il pubblico ha i suoi gusti, e i suoi diritti. PEDONE. Ma dico, con forchetta e tutto il resto?

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TORRE. Tu sei pedone, non mangi nessuno. Ma io quell’Alfiere Nero a un certo punto me lo debbo pappare.

PEDONE. Ma così, crudo? Per diecimila lire? TORRE. Sai, la televisione

ha quasi ottanta milioni di abbonati. VOCE (fuori). Scacchi, allo studio sette! ALFIERE. Ci mangiamo, ma dietro un paravento.

Comunque, bianchi, non vi fate illusioni. Non ho visto il copione, ma il regista mi ha detto che alla fine vincono i neri.

Escono.

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Scena decima VOCE (fuori). Studio tre!

Servizio: L’abominevole donna delle nevi. Puntata: La bestia perde il pelo.

I Due Operatori televisivi vestiti da bagnini e una Valletta col sari spingono una lettiga-barella inclinata, a rotelle, con sopra sdraiata Abo, in stato di dormiveglia, legata con la catenella, depilata e conciata come una vedette di avanspettacolo, con piume di struzzo sul capo e sulle natiche, slip di strass, ombelico scoperto, gambe e braccia nude.

ABO. Ho freddo...

Che mi volete fare? Dov’è il mio pelo? Lasciatemi andare!

VALLETTA. Buona, Aborigena, buona. ABO. Che mi avete fatto?

Sono pelata come un pesce! Dov’è Rombo? Slegatemi! Ho freddo!

PRIMO OPERATORE. Tu stai buona o ti metto la museruola.

(Alla Valletta) Giriamo la scena della trasformazione.

SECONDO OPERATORE. Non sarà troppo, quell’ombelico? PRIMO OPERATORE. Ma l’hai capito o no ch’è un animale?

Dunque, la scena della trasformazione. ABO. Dov’è il mio pelo, la mia pelliccia bella? Ho freddo! Cornuti! PRIMO OPERATORE. Il chirurgo ha finito... dov’è il chirurgo? SECONDO OPERATORE. Ce l’ho in questa bobina. PRIMO OPERATORE. Il chirurgo ha finito di depilarla.

Tu le levi la catenella, e la copri, che non si muova.

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ABO. Carogne! Salumieri! Slegano Abo e la coprono con un lenzuolo. Il lenzuolo presenta un’apertura quadrata, che verrà

sistemata in corrispondenza del viso esterrefatto di Abo. Poi, sul viso, un tovagliolo bianco. PRIMO OPERATORE (alla Valletta). Hai studiato la parte? VALLETTA. Come il Vangelo.

Infatti, è un po’ pochino letteraria. PRIMO OPERATORE. Pazienza. Accendi. Via. Suono. SECONDO OPERATORE. La bestia perde il pelo. Uno. Ciak. VALLETTA (accanto alla lettiga, verso la camera).

Avete visto con che cura amorevole il professor Micetti si è fatto strada nella selva pelosa di questo mostro e con i più aggiornati metodi chirurgici l’ha liberata dall’odiosa pelliccia. Così, grazie agli sforzi della scienza se il mondo piange un animale in meno, l’Italia vanta un cittadino in più. Anzi, una deliziosa cittadina.

Il Primo Operatore fa un gesto, la Valletta scopre il viso di Abo che li guarda arrabbiata.

ABO. Inferno, morte, inferno! PRIMO OPERATORE. Oh no, ha sciupato tutto ... !

Bisognava drogarla. Ascoltami, selvaggia: se mi rovini un altro metro di pellicola, ti do due schiaffi che ritorni in Abruzzo. Ricominciamo. Dai. Dall’odiosa pelliccia.

Ricoprono il viso di Abo.

SECONDO OPERATORE. La bestia perde il pelo. Due. Ciak. VALLETTA. Così, grazie agli sforzi della scienza,

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se il mondo piange un animale in meno, l’Italia vanta un cittadino in più. Anzi, una deliziosa cittadina.

La Valletta riscopre il viso di Abo, che fa una smorfia di orrore e disgusto.

Oh meraviglia! Oh stupida scoperta!

PRIMO OPERATORE. Stop!

Non è possibile. Dice proprio stupida? VALLETTA. Scusa, è stupenda. Ricominciamo. PRIMO OPERATORE. Da: Oh meraviglia! (Ricopre il viso di Abo). SECONDO OPERATORE. La bestia perde il pelo. Tre. Ciak , VALLETTA (scoprendo la faccia di Abo, ormai disorientata).

Oh meraviglia! Oh stupenda scoperta! Un viso dove sembra aleggiare Amore! Abo si guarda intorno. Irrefrenabile curiosità mi spinge a posar gli occhi sul resto del corpo di questa bestia un’ora fa schifosa. (Tira via il lenzuolo e appare Abo, che infreddolita si alza e cerca di coprirsi con le braccia) Ma è una statua! Ma questo chirurgo è un vero archeologo che ha sterrato una Venere! Da quell’ammasso ripugnante di peli le sue mani di mago hanno cavato un corpo degno di Giuseppe Carducci!

PRIMO OPERATORE. Stop. Vabbene così.

Ma sei sicura che dice Carducci? VALLETTA. Carducci. È sul copione. SECONDO OPERATORE. È una ditta di Lucca. Fa bottiglie. VALLETTA. Ma no, si vede ch’era uno scultore. ABO. Voglio una coperta!

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PRIMO OPERATORE. Giriamo lei che parla. VALLETTA. Un’intervista improvvisata? PRIMO OPERATORE. Con quale sfondo? Il Duomo o il Colosseo? SECONDO OPERATORE. Una pista di sci fa più selvatico. VALLETTA (a Abo). Ora tu parli verso quell’apparecchio. ABO. All’apparecchio? VALLETTA. Al pubblico, all’Europa.

Pensa che cento milioni ti ascoltano. ABO. Che debbo dire? VALLETTA. Quello che pensi. È un’intervista. SECONDO OPERATORE. Via. La bestia perde il pelo. Quattro. Ciak. VALLETTA (a Abo). Le piace, questo nuovo bravo mondo,

la civiltà, il progresso, il benessere? ABO. Meglio una vacca morta gonfia di vermi

che escono fuori tra le trippe verdi... PRIMO OPERATORE. Stacca il suono, è impazzita. ABO. No, non staccare niente, che mi sentano.

Non c’è più dunque Maometto né Dio? Né diavolo, né sorte, né speranza? Apriti terra, che i dèmoni contemplino quest’altro inferno pauroso e disperato! Perché mai vivere ...!

VALLETTA. Basta! Dov’è la museruola? ABO. Mendichi, schiavi, miseri!

La Valletta le copre la bocca.

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SECONDO OPERATORE. Legala col guinzaglio. PRIMO OPERATORE. Bisogna darle un tranquillante. I tre della TV tentano di imbavagliare Abo e di legarla con la catenella. Abo inferocita morde tutti,

li prende a calci e scappa. VALLETTA. Mi ha morso! La mammella! SECONDO OPERATORE. Ma l’hai ripresa? Pareva una persona,

come parlava, pareva.

Escono.

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Scena undicesima Buio. Entra un RAPINATORE-SEQUESTRATORE incappucciato; porta un grosso sacco, un mitra e una lampadina tascabile; fruga col mitra. RAPINATORE. Qui c’è un mucchio di oggetti di interesse.

Ecco tre arance. Marce. (Le butta via) Ecco un lucchetto senza chiave. (Raccoglie gli oggetti che elenca) Una maiolica, un colabrodo, un tubo; il tubo può servire. Questa è una pelle di coniglio, grigia. Medaglie non ce ne sono; si arrabbieranno se non porto medaglie.

Entra Abo, vestita come nella scena precedente.

ABO. Chi sei? Ho freddo. RAPINATORE. Ha freddo? Qua dentro ho un cappotto.

(Dal sacco tira fuori un cappotto militare) Ci serviva per il sequestrato ma possono dargli una coperta.

ABO. Sai dirmi dove è il Circo Universale? RAPINATORE. Segua per questa strada.

A destra vedrà un lago di petrolio, a sinistra il ricovero-porcile. Subito dopo.

ABO. Grazie. RAPINATORE. Prego.

Abo esce.

Là sotto ho visto muoversi qualcuno. (Fruga) No, è un neonato.

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(Lo lascia e se ne va. Buio).

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Scena dodicesima Entra ABO col cappotto. ROMBO. ABO. Rombo! ROMBO. Chi sei? ABO. Sono Abo. Guarda. (Apre il cappotto). ROMBO. Guardo che cosa? ABO. Mi hanno strappato il pelo. ROMBO. Non sembri più un animale. ABO. Ma sono un animale o no? ROMBO. Affari tuoi. ABO. Ti domando. ROMBO. Per cominciare, siamo tutti animali,

con pelo o senza pelo. Io sono un animale vecchio.

ABO. Ma io, sono un animale? Parlo. ROMBO. Tutte le bestie parlano,

solo che non parlano con tutti. Fa’ vedere.

Abo riapre il cappotto.

Sei pure bella. Ma di notte non vedo quasi niente. Fa’ vedere dietro. Quella è una coda. La coda te l’hanno lasciata.

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ABO. Sono piume d’uccello. Non ho coda. ROMBO. E allora sei tornata al circo?

Senza pelo, che numero vuoi fare? ABO. Qui tutto è brutto e noioso e cattivo.

Tranne il turco e la turca. ROMBO. Va’ a lavorare in fabbrica. ABO. Voglio tornare su nella montagna.

Ma senza pelo non posso tornare. ROMBO. Il pelo cresce. Cresce perfino ai morti. ABO. Crescerà come prima? ROMBO. Se ce l’avevi, ti rispunterà.

Chi t’ha tosata, povera bestiola? ABO. Due vaffanculi della telefunzione.

Pelata come un pesce. Poi mi hanno messo queste piume d’uccello, perché da pesce diventassi uccello.

ROMBO. Se vuoi mangiare, devi lavorare.

Va’ nella fabbrica. Impara a lavorare. ABO. In quale fabbrica? ROMBO. Ce n’è una appresso.

Dietro quel magazzino di sapone.

Escono.

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Scena tredicesima OPERAIA-CAPO e STUDENTE SQUADRISTA con elmetto a visiera, catene, armi improprie e un grosso sacco. SQUADRISTA. Eccone un altro sacco. Sono venti. OPERAIA-CAPO. Tutti soriani o tinta unita? SQUADRISTA. Metà e metà.

Ho due persiani e sei siamesi in vista. OPERAIA-CAPO (legge su un foglietto di carta).

Qui c’è lo scarto dell’ultima consegna: due code mozze, sei con graffi e difetti, e uno schiacciato da camion o trattore.

SQUADRISTA. Ha controllato il numero della consegna? OPERAIA-CAPO. Dalla Germania si sono lagnati

che gli ultimi apparecchi hanno le pulci. Disinfezione, prego, disinfezione.

SQUADRISTA. Si sa che sono gli operai

a portare le pulci in fabbrica. Le vostre belle camere a gas non le volete adoperare.

OPERAIA-CAPO. La mano d’opera qualificata

scarseggia, ormai. SQUADRISTA. Non ci vuol molto a ficcare una coda. (Esce da sinistra).

L’Operaia-Capo sbircia nella borsa e tira fuori una coda di gatto. Da destra entra Rombo. ROMBO. Permesso. C’è nessuno? OPERAIA-CAPO. Voleva?

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ROMBO. Può far chiamare l’operaia Abo? OPERAIA-CAPO. E chi debbo annunciare? ROMBO. Il signor Rombo del Circo Universale. OPERAIA-CAPO (gridando).

Signorina Aborigena Gnocco, c’è un certo signor Rombo che la desidera! Si sganci e immetta in circuito la Regina!

ROMBO. Quella è una coda? OPERAIA-CAPO. Di gatto. È il marchio di fabbrica.

La marca Gatto. Ogni televisore porta la sua coda, saldata dietro, poi il cliente sceglie: voglio un persiano, siamese, tigrato. Questo è soriano. C’è in grigio, in nero e in rosso. Ma noi si vende all’ingrosso.

Entra Abo: il suo tavolo di lavoro è un lungo carrello con rotelle, nel centro del quale si introduce

l’operaia in modo da trascinarsi il carrello appresso, man mano che si sposta da un estremo all’altro della catena di montaggio.

ABO (all’Operaia-Capo, mostrando una coda di gatto).

Questa qui ha la psoriasi. OPERAIA-CAPO. La mandi al clearing. (Esce). ABO. Rombo. ROMBO. Quelli del Circo hanno ingaggiato

un altro vecchio molto più vecchio di me. Che porti sopra quel carrello?

ABO. Code. ROMBO. L’avevo detto che avevi la coda.

Adesso ne hai parecchie. Che te ne fai? ABO. C’è quel salone lungo, io entro di qua,

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ci sono i gatti, ci son le taglia-coda, che me le mettono sui lati del carrello. Poi vado fino in fondo, tra le due file di televisori, e gli operai si prendono una coda e gliela saldano al televisore.

ROMBO. Davanti? ABO. Dietro. ROMBO. E poi? ABO. Torno da capo. Entra il Cavalier Gatto, vestito da Re Sole, con occhialetto a manico; avanza salutando con piccoli

inchini superbi a destra e sinistra; non si sa se vede o non vede niente. ROMBO. Chi è quello? ABO. È il Cavalier Gatto, il padrone.

Ci ha fatto imparare un verso a memoria: «Un Gatto non è un Gatto senza coda».

ROMBO. Poveri gatti. ABO. Sono gatti, li ammazzano.

Da qui li mandano al reparto «Insaccati». CAVALIER GATTO (a Abo, pur senza vederla).

Brava, brava, brava! Ci si riposa, è giusto, due minuti. Ma niente fidanzati, prego. Queste ragazze, ah, queste ragazze! Sa il motto della ditta?

ABO. «Un Gatto non è un Gatto senza coda». CAVALIER GATTO. Brava, brava, brava! (Continua a salutare, a destra e sinistra). ABO. Qui non mi piace stare.

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ROMBO. Che hai detto? ABO. Che non mi piace stare qui! ROMBO. E perché ci rimani? ABO. Non ho più pelo, dove posso andare?

Esce il Cavalier Gatto, entra l’Operaia-Capo. OPERAIA-CAPO. Signorina Aborigena! C’è il Cavaliere!

La Regina ha percorso il suo circuito, torni al lavoro!

ROMBO. C’è pure una regina? ABO. Ecco tua moglie, la tua imperatrice

sopra altre quindici regine tributarie, ora ridotta ai più vili impieghi, serva dell’onta, la miseria e il disprezzo! (All’Operaia-Capo) Ma non c’è più Maometto né Dio?

OPERAIA-CAPO. Lei porti gli scodati agli Insaccati. ABO. Non porto. (Esce da sotto il carrello). OPERAIA-CAPO. Si è infortunata? Senza riempire il modulo?

Equivale a abbandono del lavoro! ABO. Non voglio lavorare. Vada lei, figlia ignota! OPERAIA-CAPO. Torni al carrello, signorina Aborigena! ABO. Che il brutto buio col suo cocchio di ruggine

copra la terra di nebbia indissolubile! (Morde l’Operaia-Capo sul braccio, minaccia di morderla sul collo; l’Operaia-Capo si ficca

spaventata nel carrello e esce in fretta) Che m’importa la coda dei televisori? Io sono nata nella neve, mangiavo lepre cruda, e anche gatto,

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come voi, ma la coda la buttavo. Voglio tornare alla montagna mia, (guaisce) ma senza pelo come posso tornare?

ROMBO. Tutti lavorano, se non sono ricchi.

Si chiama civiltà. ABO. Pulire, fabbricare, coltivare: O Maometto,

fa’ scendere una peste su questa razza brutta, cattiva, pelata, superba! Andiamo Rombo sulla neve.

ROMBO. No, nella neve non vengo, sono vecchio,

non ho la tua pelliccia. ABO. La pellicciai Che debbo fare perché mi cresca il pelo? ROMBO. Che hai detto? ABO. Che debbo fare perché mi cresca il pelo? ROMBO. Il pelo cresce, cresce perfino ai polli.

Io ho una casa, dove sono nato, ci sono gli alberi, puoi venire con me e rimanere finché ti cresce il pelo. Voglio morire nella casa mia. Ci sono gli alberi, che ho piantato io.

ABO. Mi hanno fatta grassa. ROMBO. Che ti hanno fatto? ABO. Due operai mi sono stati sopra.

Quanto tempo ci vuole per dimagrire? ROMBO. Vuoi dire partorire? Non so le scimmie.

Se sei donna ci vogliono nove mesi. ABO. E perché il pelo cresca come prima? ROMBO. Non so, non so. Portami a casa mia,

da solo, io, quasi non ci vedo.

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SECONDO TEMPO

Prologo

La LAMBALLE e suo MARITO LAMBALLE. Eppure le offrono milioni, milioni.

I produttori, gli industriali, i sarti, gli Enti di Stato, le Accademie scientifiche, la vogliono, la chiedono, la pregano. Che sfolgorante avvenire l’aspetta nel cinema, a teatro, in Parlamento. Ma lei non vuole, fugge, si nasconde.

MARITO. La buona società la terrorizza.

Vomita nei salotti più raffinati. LAMBALLE. D’altronde il giudice l’ha affidata a me.

Che posso, Valentino, fare? MARITO. C’è un nuovo psicofarmaco tedesco,

un amfionato di metilmiazina la cui azione, sembra, rende le scimmie attive quanto l’uomo, sviluppando nell’animale tutti quei complessi che fanno di noi uomini il capolavoro indiscutibile della natura: l’ambizione, l’invidia, l’ostinazione, l’ipocrisia, la volontà, l’orgoglio, il desiderio di accumulare beni e di riscuotere l’altrui ammirazione. Insomma tutto quello che a lei manca per mettere a profitto un capitale così prezioso di notorietà.

LAMBALLE. Come si chiama questa droga? MARITO. Si chiama meretrina, ma non è in vendita.

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Vedrò di procurartene qualche tubetto, tramite un medico dell’Ispettorato.

LAMBALLE. E questa meretrina non fa male? MARITO. Sembra di no. Tu sai che in quei paesi

dove la manodopera scarseggia vengono usate scimmie nelle fabbriche, nei ministeri, nei lavori più vili. La meretrina le rende operose. Da noi ancora nessuno ci ha pensato, ma so di alcuni cantanti che la prendono.

LAMBALLE. Mi sembra un’eccellente soluzione

purché non abbia effetti secondari. MARITO. La dose giusta è una compressa al giorno.

Escono.

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Scena prima

Entrano ABO e ROMBO, dalla destra, scacciati via da un GUARDIANO. GUARDIANO. Via di qua, villani malvestiti! ROMBO. Quella era la mia casa. GUARDIANO. Il mio padrone è ricco, altolocato,

e questa villa-cascina gli appartiene: ormai ne ha preso regolare possesso tramite il Fondo Aiuto Dirigenti. Non vede sul cancello il doppio stemma della famiglia col motto “Cave canem”?

ROMBO. Non so lo stemma ma la casa è mia. GUARDIANO. Ha messo la cucina americana,

sei busti di Ministri sparsi in giardino e un Topolino buffo preso a Modena; la finta stalla con la sua mucca di gesso, lampioni dappertutto...

ROMBO. La casa è sempre mia. GUARDIANO (chiamando). Franco, sguinzaglia i cocker! ROMBO. Vieni Abo, sono cani,

e i cani morsicano. ABO (al Guardiano). Ho fame. Non ha niente da mangiare? GUARDIANO. Fuori, estremisti senza dimora fissa!

Che non vi veda un’altra volta davanti a questo cancello signorile! (Esce sbuffando).

ABO. Bisce alate di Lerna, sporgete i denti

e schizzate veleni nel suo piatto!

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(A Rombo) Siediti qua sul sasso. ROMBO. Maledizione ai ricchi. ABO. Chi sono, i ricchi? ROMBO. Che hai detto? ABO. Perché non siete tutti ricchi? ROMBO. Perché non siamo tutti ladri.

Non c’è altro modo per diventare ricchi. ABO. La volpe è ladra, quando ha fame. ROMBO. Io, ho fame, e tu? ABO. O povera Zabina! O mia regina!

Bajazet caro, io ti terrò in vita finché avrò un resto di sangue o di fiato. Aspetta. Aspettami. (Esce da sinistra).

ROMBO (a voce bassa).

Pane col burro, olive, caffellatte, pane fresco, una mela, caffellatte, olive, pane col burro, caffellatte...

Ritorna Abo con una bestiola aperta sanguinante.

ABO. Ecco un coniglio. Mangia. (Mangia e ha la bocca insanguinata). ROMBO. Io quella roba cruda non la mangio.

Fa’ vedere. Quello non è un coniglio. È una specie di topo di campagna.

ABO. Vuoi una gallina? ROMBO. Io, le bestie crude non le mangio.

Frutta, una mela, un’albicocca.

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ABO. O somma lampada di Giove immortale! (Si siede accanto a Rombo) Non c’è frutta. L’uomo è cattivo.

ROMBO Non è cattivo. Non sa quello che fa. ABO. Che sgorghi a flutti il sangue da ogni poro,

e lunghe fitte gli strozzino il cuore, e la pazzia lo mandi all’inferno!

ROMBO. Tu che hai vissuto su, tra gli animali,

sai che ciascuno segue il proprio istinto. Non sono buoni e non sono malvagi. Si mangiano tra loro, si combattono.

ABO. Non sono uomini. ROMBO. Siamo tutti animali, altro non siamo. ABO. Ch’è la bellezza, dunque, mi domando?

Se ogni penna che mai prese il poeta ne avesse espresso tutto il sentimento...

ROMBO. Ma loro son felici, noialtri no.

Abo recita e mangia. ABO. Se ogni celeste quintessenza che stilla

dai loro fiori eterni di poesia... Non voglio più parlare. Voglio andarmene. Su nella neve. Ma non ho pelo. Una volta ho visto un uomo nero.

ROMBO. Ce ne sono bianchi e neri, rossi e gialli. ABO. Tutti cattivi. ROMBO. Non sono saggi, ecco, non sono saggi.

Entra la Lamballe. LAMBALLE. Finalmente ti ho rintracciata.

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E con la bocca tutta sporca di sangue.

Abo ha paura che le strappi il cibo. ABO. Che vuole? LAMBALLE. Ma Abo, sono la tua protettrice.

Ho qui il mandato del tribunale, guarda. Che sciocca! L’ho lasciato in macchina. Ti affida a me. Devi tornare a Roma.

ABO. Ci sono troppe case insieme a Roma. LAMBALLE. Una persona nota come te,

ha l’Italia ai suoi piedi.

Abo si guarda i piedi. ABO. Non sono una persona, sono una bestia. LAMBALLE. Proprio per quello: guadagnerai milioni,

tanti milioni, lascia fare a me. ABO (improvvisamente gioiosa).

Pur rimarrebbe in quelle teste inquiete un pensiero, una grazia, uno stupore, che nessun’arte può dire in parole!

LAMBALLE. Lascia quella carogna! ROMBO. Parla di me? LAMBALLE. Di quella cosa orrenda insanguinata. ABO. È un coniglio. Lei mangia pesci duri,

uccelli e cani con le foglie intorno. LAMBALLE. Ma che facevi qui? ABO. Dice che i ricchi sono molto ladri,

che solo i ladri sono molto ricchi. Non ha qualcosa da mangiare per lui?

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Questo qua non lo vuole. LAMBALLE. Ma certo, Abo, in casa c’è di tutto!

Solo in TV ti offrono due milioni per presentare le ultime pellicce.

ABO. Vuol dire la pelliccia di un’altra Abo? LAMBALLE. Di qualunque animale, canguro, zebra,

tigre, cammello, eccetera. ABO. E coi milioni si può mangiare? LAMBALLE. Con il denaro si può fare tutto,

sì, Abo, tutto, si può fare tutto, con il denaro tutto, tutto, tutto! (Stridula) Tutto con il denaro si può fare!

ABO (a Rombo). E’ vero? ROMBO. Che ha detto? Cosa è vero? ABO. Con il denaro si può fare tutto. ROMBO. Non tutto, no.

Non si ritorna giovani, né si diventa intelligenti… Ma è peggio senza.

ABO. Io voglio una pelliccia e una gallina.

Questo era un topo, non era un coniglio. LAMBALLE. Ah col denaro che non si può fare!

Tutto, tutto, tutto! ABO. Ma dovrò lavorare?

Con la coda dei gatti? LAMBALLE. Vedrai, vedrai:

basterà prendere una compressa al giorno di questa droga tedesca, meretrina.

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ABO. Io sono senza tana e senza pelo. Lui non ha tana e non mangia coniglio. Hai già mangiato, Bajazet? Preferirei mangiare il tuo cuore crudo. Il tuo, ch’è più facile da trovare. Strappatelo e mangialo con tua moglie. Mangiala adesso ch’è ancora grassa.

LAMBALLE. Vieni, mia cara, io ti insegnerò.

Ah col denaro che non si può fare! (Stridula) Tutto, tutto, tutto!

Escono.

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Scena seconda Entra da sinistra, e rimane a sinistra, il PEDONE BIANCO. PEDONE. Non c’è nessuno, in questo studio?

Dio, si saranno mangiati tutti. Sarò l’ultimo pezzo rimasto in gioco?

Entra da destra, e rimane a destra, la TORRE BIANCA.

TORRE. Scacco matto! PEDONE. Franco! Ma va’... Che paura mi hai fatto!

Mi hai preso per il re! Sono Gigetto. TORRE. Lo so che sei Gigetto. Era uno scherzo. PEDONE. E allora? Che si fa? TORRE. Mi sa, mi sa, che qui non si fa niente. PEDONE. Perché? Ci ho messo quasi un’ora

a travestirmi da Pedone Bianco. Mi si è rotto l’elastico del collo.

TORRE. I re e le regine fanno sciopero,

e anche un cavallo per solidarietà: vogliono fare la rivoluzione. Noi torri siamo dell’altro sindacato.

PEDONE. E se giocassimo a pallone?

È più moderno, gli scacchi col pallone. TORRE. Io sono in cassa mutua:

ho qui uno strappo che non mi posso muovere, perciò faccio la torre, che non crolla.

PEDONE. Ma questi re e queste regine,

insomma, chi sarebbero?

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TORRE. Son pezzi grossi, pieni di pretese.

Ormai a volere la rivoluzione sono rimasti soltanto loro, i re.

PEDONE. E noi dobbiamo scioperare per loro? TORRE. Che vuoi, siamo nel gioco. PEDONE. La gran mangiata tra bianchi e neri... TORRE. È rimandata a dopo la rivoluzione. PEDONE. E io che faccio, vestito da Pedone? TORRE. Va’, va’ a spogliarti. PEDONE. Vestito o non vestito, chi ci rimette?

Noi, come sempre, poveri pedoni. Ma che sarebbe, questa rivoluzione?

TORRE. Non so, ma s’è per far piacere a loro

non sarà certo per far piacere a noi.

Escono, da destra e sinistra.

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Scena terza

Entra LAMBALLE da destra, segue ABO in vestaglia. ABO. Cos’è narcotico? LAMBALLE. E’ una cosa che fa dormire. ABO. Quello che prendo io, è un narcotico? LAMBALLE. No, al contrario. Ti fa lavorare. ABO. Adesso infatti ho voglia, di lavorare.

Ma non coi gatti. Qualcosa di più mosso. LAMBALLE. Farai un film. ABO. Col vestito di nichel? LAMBALLE. Con quello dovrai fare il carosello. ABO. Aborigena Gnocco di Metallo. LAMBALLE. Gnocco è il cognome d’ufficio,

in arte sarai Abo dell’Abruzzo. ABO. Voglio che Rombo diventi senatore:

io, Abo dell’Abruzzo, gli do l’Abruzzo. LAMBALLE. Rombo sarà Ammiraglio, nel tuo film. ABO. Siete una scala, voglio arrivare in cima. LAMBALLE. E in cima che farai? ABO. Splenderò come una lampada accesa,

e piscerò sugli altri in basso. LAMBALLE. Oh no, non dirlo!

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Vieni, il vestito con la coda è pronto.

Escono da sinistra.

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Scena quarta Buio. Musica. Cono di luce a destra, microfono, applausi del pubblico invisibile quando appare ABO, con un abito da sera metallico spaccato e una gran coda di volpe dietro. VOCE (fuori). E ora, squisito pubblico, a voi, per voi, con voi, tra voi, davanti a voi,

Abo dell’Abruzzo, l’Abominevole Donna delle Nevi! ABO (canta). Sono la volpe argentata

che nella sua folta coda se raccoglie le tue spoglie ti fa dimenticare marito e moglie. Sono la gatta enigmatica dalla zampata drammatica, sono l’orsa travolgente, sono il serpente impaziente che in ogni angoletto del tuo umido letto sta in agguato del tuo petto! Perché la bestia che è in me si ciba solo di te! Ti sbrana il cuore, lo sputa e muore avvelenata, avvelenata d’amore!

Applausi, urla. Buio.

VOCE (fuori). Invitiamo adesso il nostro distinto pubblico a scendere un altro gradino

della scala zoologica, ascoltando il rinomato complesso sardo: I Mamuthones!

Da destra a sinistra, seguiti dal cono di luce, tre Mamuthones cantano. MAMUTHONES. Bau-bau-bau,

bababau-bau-bau-bau-bau. Visitate la Sardegna è piena di legna. Bau-bau-bau,

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bababau-bau-bau-bau-bau. Meglio un vecchio genitore che un figlio pretore. Bau-bau-bau, bababau-bau-bau-bau-bau. Chi fa il bagno nel carbone diventa marrone. Bau-bau-bau, bababau-bau-bau-bau-bau.

Buio. Cono di luce a sinistra.

Entra ABO, vestita da Mata Hari, e l’OPERATORE vestito da bagnino, il quale spinge verso la luce ROMBO in gran costume di ammiraglio con medaglie. REGISTA, con occhiali scuri,

cappellaccio e camice grigio lungo. REGISTA. Ora giriamo la scena della seduzione.

Lei Rombo si metta là. ROMBO. Come dice? OPERATORE. È sordo come un coltello. REGISTA. La sordità fa più ammiraglio.

Me lo metta in luce.

L’Operatore spinge Rombo. REGISTA (a Abo). Lei gli fa intorno una danza orientale. ABO. Non so nessuna danza orientale. REGISTA. Non ha importanza, può ballare un tango.

Qualcosa tra la spia e la scimmia ubriaca. Poi quando l’ha sedotto bene gli cava dalla tasca del panciotto il cifrario segreto della battaglia.

OPERATORE. Non ha panciotto, il vecchio. REGISTA. Allora da dietro un orecchio.

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Anzi, è meglio l’orecchio. (A Rombo) Lei vuole farla sua.

ROMBO. Come dice? REGISTA. Mentre Abo balla,

lei ubbidisce al richiamo del sesso. ROMBO. Ma che vuol dire? OPERATORE (urlando). Tenta di baciarla! Abo fa una danza estremamente imbarazzante intorno a Rombo, che tenta impacciato di toccarla.

La scena può protrarsi a lungo. ABO. O ammiraglio, ammiraglio, come sei bello!

Che voglia ho di affondare insieme a te! Mi dai una medaglia per l’ombelico?

ROMBO. Che dici? Alza la voce. ABO. Getta l’ancora in questa insenatura!

Arenati per sempre sulla mia riva! Dove hai, confessa, il cifrario segreto?

ROMBO. Sono sordo di questo orecchio.

Abo gli leva qualcosa dall’orecchio. ABO. Oh che minuscolo libretto!

Per gioco lo nascondo nel cofanetto. (Se lo infila tra le mammelle) E adesso baciami al rombo del cannone! (Lo abbraccia).

REGISTA. Buona; vabbene così.

Questa si prende il Cane di Milano.

Escono. Buio. I Mamuthones, da sinistra a destra, cantano, seguiti dal cono di luce.

MAMUTHONES. Bau-bau-bau,

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bababau-bau-bau-bau-bau. Far bollire un generale non è normale. Bau-bau-bau, bababau-bau-bau-bau-bau. Le automobili in Inghilterra si lavano con terra. Bau-bau-bau, bababau-bau-bau-bau-bau. Per dormire in un violino ci vuole un cuscino. Bau-bau-bau, bababau-bau-bau-bau-bau.

Buio.

VOCE (fuori). E ora a chiusura della grande sfilata

la nuova diva, Abo dell’Abruzzo, vi mostrerà un modellino d’autunno in laterizi forati leggeri con collana di denti di bambino.

Da destra a sinistra, seguita dalla luce, Abo fa l’indossatrice con un abito di mattoni. Battimani. VOCE (fuori). La diva reca in mano una boccetta

del nostro nuovo profumo d’estate: Ferraglia Numero Tre!

Applausi, acclamazioni. Dal pubblico si alza una voce.

SECONDA VOCE (fuori). Fa’ vedere la coda! ABO (sorridendo con grazia). Vorrei davvero averla, la coda,

per dimenarla quando sono furiosa!

Battimani, “Brava!”, eccetera. Esce Abo, da sinistra. Buio. I Mamuthones, da sinistra a destra, cantano come sopra.

MAMUTHONES. Bau-bau-bau,

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bababau-bau-bau-bau. Dar l’intonaco a un marchese comporta spese. Bau-bau-bau, bababau-bau-bau-bau. Un tubo senza orifizi si riempie di vizi. Bau-bau-bau, bababau-bau-bau-bau. Se un sughero fuma troppo diventa pioppo. Bau-bau-bau, bababau-bau-bau-bau-bau.

Buio.

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Scena quinta Passano due TEMPLARI con l’elmo. PRIMO TEMPLARE. Ma è finita, allora? SECONDO TEMPLARE. Proprio finita. PRIMO TEMPLARE. Ma che c’è che non va? È ancora forte. SECONDO TEMPLARE. Si disfa. È già disfatta. PRIMO TEMPLARE. Ma come? Noi si seguita a lavorare

a costruire, a calcolare, a combattere gli ottomani...

SECONDO TEMPLARE. È inutile, è finita. PRIMO TEMPLARE. Ma che cos’è che manca? SECONDO TEMPLARE. Non è quello che manca, è quel che c’è di troppo.

Come un volano sfuggito dall’asse, noi si continua a girare nel vuoto, nessuno sa dove andrà a finire.

PRIMO TEMPLARE. E allora tutto quel che si fa è inutile?

Lavoro, dedizione, studio? SECONDO TEMPLARE. Il solo studio che ci resta è il silenzio.

Silenzio, coraggio, umiltà. PRIMO TEMPLARE. Ma non si può invertire il movimento,

fermare la discesa, salvarci, insomma? SECONDO TEMPLARE. Neanche la tortura ci sarà risparmiata. PRIMO TEMPLARE. Raccattare qualcosa da un passato

che fu glorioso, non si può negare?

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SECONDO TEMPLARE. È già deciso. PRIMO TEMPLARE. Non c’è speranza? Rispondi, tu che sai!

Il Secondo Templare fa di no con la testa. Escono.

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Scena sesta Festa in casa della Lamballe. LAMBALLE, suo MARITO, MIMI PINSON, REGISTA, PITTORE, MUSICISTA, SASSA, DODO, BARBI. MIMI. Dovendo scegliere, lei che mi consiglia,

speculare sull’arte o sul legname? LAMBALLE. Vuole un anello di acciuga? REGISTA. Come l’è parsa la Controsemantica

del nostro Ruspigliosi? SASSA. Un’avvincente avventura dialettica,

un giallo filologico. PITTORE. Espongo una gran vasca

piena di pesci rossi. L’ho intitolata, appunto, Rivoluzione.

MARITO. Ma i pesci quando dormono? MIMI. Ho troppi beni immobili, lì immobili. MUSICISTA. A me è sembrato di cattivo gusto:

sposarsi con due corna sulla testa. DODO. Lei ha mai visto qualcuno lavorare,

da lontano, diciamo cento metri? BARBI. Una volta, a Cortina.

Tirava un vento freddo ma piacevole. SASSA. Chi vuole un’ostrica ripiena? MIMI. Sul Tevere ho un pantano di sei ettari.

Non so se farlo dichiarare edificabile o ricavarne un Luna Park.

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REGISTA. La moda a culo nudo è nata morta. SASSA. Ma è vero che alla Rossa del Carlino

gli è spuntata una terza mammella? LAMBALLE. Un altro anello d’acciuga? PITTORE. Qui c’è qualcuno che puzza di naftalina. MUSICISTA. Vedrà che il mondo finisce per scoppiare. REGISTA. Io me ne infischio, della bomba nucleare. DODO. Se scoppiasse, sarebbe un gran riposo. PITTORE. Abbiamo tutti bisogno di riposo,

tanto bisogno, tanto riposo! BARBI. Mah! Il mondo è bello perché è sempre sconvolto.

A un cenno di suo Marito, la Lamballe si fa avanti con lui mentre gli altri continuano a chiacchierare.

MARITO. Mi dispiace, mia cara, ma è impossibile.

Non se ne trova più. LAMBALLE. Non si può far venire, dalla Germania? MARITO. Non ne fabbricano più, anzi è vietata.

Pare che induca strane gravidanze, bambini con tre braccia, senza naso, n’è nato uno come una lucertola, e un altro tutto coperto di peli, con due canini lunghi fino al mento.

LAMBALLE. Oh nel suo caso non mi stupirebbe!

Infatti è incinta, ma non voglio vedere che razza di bambino ne vien fuori. Qualche tubetto si potrà trovare.

MARITO. Ormai è reato produrre meretrina,

ne hanno vietato lo smercio e il consumo.

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LAMBALLE. Vuol dire che Abo non lavorerà più.

La conosco: era bestia, bestia è rimasta. Iersera si è mangiata i canarini, poi si è messa a dormire sotto il letto.

Tornano tra gli invitati.

SASSA. Molte son vergini che non osano dirlo!

Chi vuole un’ostrica di fiume? MUSICISTA. Non siamo più nell’Ottocento. MIMI. Per me il migliore investimento

rimane il francobollo e i cul-de-sac sovietici di peltro.

LAMBALLE. Un altro anello d’acciuga?

Entra Abo. Indossa una vecchia vestaglia imbottita. MARITO. Ecco la bella. REGISTA. Ecco la stella. DODO. Quando entra lei, pare di stare a New York. ABO (alla Lamballe). Io me ne vado a dar battaglia agli arabi. LAMBALLE. Ma che dici? E il lavoro? E gli impegni? ABO. Niente lavoro. LAMBALLE. Ma che follia! E che farai

con tutti quei milioni che hai guadagnati? ABO. Tienili tu. Sei ricca.

Denaro. Carta. MIMI. Gli affreschi egizi? Sono così ingombranti. SASSA (a Abo). Gradisce un pinco del Carpato?

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ABO. Bisce alate di Lerna, sporgete i denti

e schizzate veleni nel suo piatto! Io me ne vado, a dar battaglia agli arabi.

MARITO. Sragiona. REGISTA. È proprio ubriaca. ABO. Prendi il pugnale e ammazza tua moglie,

mangiala adesso ch’è ancora grassa! LAMBALLE. E così in piena festa vuoi andartene? ABO. Perché viviamo, per costruire nidi

nelle alte zone dell’aria, Bajazet? Che il brutto buio col suo cocchio di ruggine copra la terra di nebbia indissolubile! Il mio bambino: via, via, via! Salvate quella creatura! Apparecchiate la mia carrozza, la mia portantina, i miei gioielli! Vengo, Bajazet, vengo! (Esce).

LAMBALLE. Dove hai lasciato le chiavi della macchina? (Esce). MUSICISTA. Fa caldo, no, d’inverno? SASSA. Chi vuole un’ostrica di fiume? DODO. Sono farcite di batteri. MIMI. Inoltre ho un’accademia militare

e un pacchetto di cinema riuniti. PITTORE. E così la Martelli... SASSA. Si è avuto proprio quel che si meritava. BARBI. Il Premio Nobel, ch’è quasi centenario,

era venuto a Roma per le nozze della figlia, che ha almeno settant’anni.

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La Martelli voleva intervistarlo per una sua rubrica di cultura. Si era nascosta col registratore nella cabina del telefono, in albergo. A un tratto passano due cuochi con un pavone arrosto alla Satyricon per il pranzo di nozze della vecchia. Lei gli solleva questa bella coda...

Ritorna la Lamballe.

LAMBALLE. Chi vuole una spirale di aglio fritto? BARBI. E si nasconde sotto la barella.

A questo punto, si affaccia a una porta l’ambasciatore di un paese africano. Convinto ch’è un omaggio della ditta si fa portare in camera il pavone con la barella e la Martelli sotto...

SASSA. Un rametto di ortica alla tibetana? BARBI. Segue una specie di spiegazione,

ma in un inglese orrendo tutt’e due, così finisce che il negro la spoglia, mentre lei sbircia fuori dalla porta con questo chiodo fisso del Premio Nobel...

A poco a poco escono tutti, tranne Barbi e i padroni di casa.

MIMI (a Sassa). Ho fatto male a vendere il titanio

quando era a terra, proprio raso terra... (Esce). BARBI. Poi, c’è lo scoppio di uno scaldabagno,

e appare urlando per il corridoio il vecchio avvolto nel suo accappatoio; e la Martelli in sottoveste d’oro col suo registratore a batteria...

LAMBALLE. Una ciliegia all’orzo? MARITO. So che gridava: «Fermate la puttana!».

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BARBI. Voleva dire la Martelli. LAMBALLE. Ma un po’ puttana sempre è stata, no?

Escono Barbi, la Lamballe e il Marito.

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Scena settima Suona un campanello. Entra da destra un GIORNALISTA timido, vestilo da postino; da sinistra entra il mago CADIOZ. CADIOZ. Chi ha osato suonarmi il campanello?

Anzi chi ha osato mettermi un campanello? GIORNALISTA. Scusate, cerco la donna delle nevi.

Lei non l’ha vista, signore, passare? CADIOZ. Tutto, vedo passare! Ma non ci bado.

Donne di neve, uomini di fuoco, chi ha mai osato turbare Cadioz?

GIORNALISTA. Cadioz è qui? Lei è il mago Cadioz? CADIOZ. Chi ha mai osato situarmi nel tempo

o nello spazio? Io sono dappertutto. Io sono ubiquo! Mille maghi Cadioz passeggiano a quest’ora per il mondo! L’uno per la montagna, l’altro in un cesso, dieci altri lungo il mare in California. Non sono qui. Non ci sono. Che vuole?

GIORNALISTA. Sono cronista del «Giorno di domani». CADIOZ. Ah, viene dal futuro? Benvenuto.

Un altro io veglia al capezzale di un mio amico moribondo a Praga. È morto? Non dico oggi, ma domani?

GIORNALISTA. Sono lieto, maestro, di conoscerla,

per via della sua larga fama. CADIOZ. Infatti, in questa minuscola cella

è raccolta l’intera saggezza dell’universo. Ma non ne parliamo.

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GIORNALISTA. Ammirevole centro! CADIOZ. Come lei vede, non ci sono mai.

In giro sono, in piroscafo, in tram, volo sui cimiteri. Sono ubiquo. Capisce quanto è assurdo, un campanello? Un mistico non si sa mai dov’è. Lievita. Sfugge. Mi ha trovato per caso.

GIORNALISTA. È qui che svolge le sue indagini? CADIOZ. Sì, qui la cabala mi svela i suoi segreti

e con il calcolo delle probabilità studio le trasmigrazioni dell’anima. Sono orfico. Ma è meglio non parlarne.

GIORNALISTA. Ho letto il bel servizio sull’»Espresso»

con la sua foto, appeso in aria. CADIOZ. Sì, sopra Pisa.

Una grande minaccia minaccia l’uomo, da quando ha smesso di adorare gli dèi per adorare le opere del proprio ingegno. Ingegno, poi!

GIORNALISTA. Come ad esempio? CADIOZ. I grattacieli, le lavastoviglie,

le macchinette della barba, i missili... E dovrà scomparire la bellezza?

GIORNALISTA. Lei che ne dice? CADIOZ. Ch’è già scomparsa.

Per fortuna c’è ancora un Papa. Ma sarà meglio non parlarne.

GIORNALISTA. Siamo insidiati da tutte le parti. CADIOZ. La mia sola speranza sono i barbari.

Venite, orde crudeli! Trafiggete con frecce arroventate l’Eni e il Cnen!

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Sorgete, diavoli, insorgete, e distruggete gli enti assistenziali! Che non si spenga il fuoco dei vostri incendi finché rimane in piedi un benzinaio! Maledetti i ventilatori, le spiagge libere! Ecate, fulmina quelle antenne sui tetti! Tesífone, attorciglia le Autostrade! Aletto, paralizza le due Camere! Megera, fa saltare in aria il Mec! La pace al rogo! Abbasso il progresso! Muoia l’erogazione di energia!

GIORNALISTA. Veramente... CADIOZ. E adesso fuori! Un giorno tutti voi

mi bacerete la punta del pisello! (Scaccia via il Giornalista) Illuministi! Consumatori! Automi! Echidna! Inde toro pater Aeneas! (Esce).

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Scena ottava

ABO e ROMBO. ABO. Siediti. Dormiamo. ROMBO. Ho il cuore stanco. Mi servirebbe

un buon paio di occhiali da riposo. Non c’è sciroppo? Una Coca-cola?

ABO. Non c’è sciroppo. Acqua c’è. ROMBO. E l’acqua è piena di zanzare.

Sono tornato a casa, dal mio viaggio. Gli uomini passano, ma le zanzare restano. È stato un lungo viaggio; ma non ricordo quasi niente. Avrei fatto meglio a restare qua. Esci di casa al mattino, torni la sera e la giornata è finita.

ABO. Sei vecchio. Tra poco sarai morto. ROMBO. Sono stanco. ABO. Dormiamo. ROMBO. Com’è la casa tua? ABO. Casa? Non ho casa. La neve. ROMBO. Sai, io, quando voglio, sento,

sento benissimo. ABO. Mi stanno ricrescendo, i peli. ROMBO. Oggi ho sentito un cane che abbaiava. ABO. Abbaiava, leccava: un cane povero.

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ROMBO. Tutti sono poveri, come noi.

Nascono nudi, vivono nudi, muoiono nudi. ABO. Voglio tornare nella neve.

Non mi va di parlare. ROMBO. Sta’ zitta, allora. ABO (dopo una pausa). La terra è sporca. ROMBO. La terra è quello che è, con le sue bestie,

e anche i suoi uomini e le sue case. A me non pare sporca.

ABO. Ma tu sei uomo o animale? ROMBO. Sono un vecchio che sta per morire.

Quando sei stanco vuoi andare a letto. ABO (allegra). Che orrore vedo? Mio marito morto?

La testa aperta! Le cervella fuori! ROMBO. Davvero voglio andare a letto.

Rombo esce, Abo non l’aiuta ma lo segue.

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Scena nona Entra da sinistra un FORESTIERO con sulle spalle un grosso macigno squadrato. Avanza faticosamente. Posa il macigno e si siede sopra, ansimante. Da destra entra il GIORNALISTA-POSTINO. GIORNALISTA. Scusi, lei sa dove abita

l’abominevole donna delle nevi? FORESTIERO. Sono qui di passaggio, per lavoro.

Dalla cava al piazzale. Forestiero. GIORNALISTA. Lavoro, per diletto o per guadagno? FORESTIERO. Per amore, signore, per amore.

Per molto amore, faccio una piramide, e la cava è lontana dal piazzale.

GIORNALISTA. Sono inviato del «Giorno di Domani».

Cerco la donna-scimmia per un servizio, ma posso farlo anche su una piramide. Dove, e perché, e come mai? La ascolto.

FORESTIERO. Ah buon signore, sono innamorato!

Vuol dire che l’assenza del mio bene mi fa soffrire quanto la sua presenza. E viceversa che la sua presenza per me è gioiosa quanto la sua assenza. Che fare? Faccio quindi una piramide. Masso per masso, dalla cava al piazzale, innalzo il monumento del mio amore. Ogni macigno costa seimila lire. E lacrime, e sudore, e sfinimenti. Forse anche lei è stato innamorato e ha costruito qualcosa del tutto inutile con entusiasmo e notevole spesa. Non tutti i massi peraltro combaciano.

GIORNALISTA. E pensa destinarla a sepoltura

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sua, o in ogni caso del suo amore? FORESTIERO. Ho lasciato nel mezzo un certo spazio,

ma questo spazio è ancora scoperto e c’è chi se ne serve da gabinetto. Ogni mattina debbo ripulirlo.

(Si alza e riprende sulle spalle il macigno).

GIORNALISTA. E sarà alta, signore, la piramide? FORESTIERO. Chi misura l’altezza di una passione?

Mi scusi se sono sentimentale: è questo sasso qui che mi fa male.

GIORNALISTA. Posso aiutarla? FORESTIERO. Prego. Ma in simili casi

bisogna fare tutto da soli, da soli.

Escono da destra.

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Scena decima

ABO, da destra, di nuovo pelosa, ma molto meno di prima, e la LAMBALLE, da sinistra. Abo è incinta.

LAMBALLE. Abo, mia cara, sei di nuovo pelosa!

Ritorna a Roma, a farti depilare. Sembri uno strofinaccio, anzi una scopa.

ABO. Voglio tornare su. LAMBALLE. Ma sei incinta!

Chi sarà il padre di questa creatura? Morirà, nella neve.

Abo non risponde.

E Rombo, il tuo compagno?

ABO. Rombo è morto. Puzzava. LAMBALLE. E hai badato da sola ai funerali? ABO. L’ho buttato nell’acqua. LAMBALLE. Nel ruscello? Sei troppo sbrigativa.

Tra poco avrai la polizia dietro, vedrai che storie fanno per un cadavere quando non è imballato come si deve.

Abo non risponde.

Hai pianto, almeno? L’hai fatto benedire? Ma tu non vuoi bene a nessuno. È bello, è comodo comportarsi da bestia! Abbiamo fatto di tutto per insegnarti che la vita è dovere e sofferenza, ch’è lavoro e pazienza e penitenza, ma tu, beata come una vacca grassa,

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non vuoi saperne, degli obblighi umani, scimmia sei nata e scimmia sei rimasta...

ABO. Parli, se vuole,

e la pazzia la mandi all’inferno. Perché cibarmi ancora di parole?

LAMBALLE. Sì, le parole che ti abbiamo insegnato,

soldi, amore, lavoro, fama e morte, son fiati vuoti per un animale! Ero venuta per invitarti a una crociera nelle isole greche. Ma tu ci butteresti tutti a mare. Non so davvero a che razza appartieni. Non alla razza che ha inventato l’arte: da sola non saresti in grado di disegnare un triangolo con un chiodo. È questo che ti manca, il senso del bello, il bello che giustifica le nostre vite! Che senso ha vivere senza il senso del bello?

Pausa. Abo non risponde.

Guarda quei peli! Sei proprio abominevole! Ero venuta a dirti un gran segreto: siamo riusciti a procurarci le pillole che ti rendevano simile agli umani, molte, quante ne servono per una vita, le rimanenze insomma della ditta. Mio marito le ha avute di nascosto; sai, col denaro si può fare tutto, tutto con il denaro si può fare! Torna a Roma e sarai di nuovo diva, vivrai d’arte e per l’arte, come me!

ABO. Arte, arte, vaffanculo!

I loro eterni fiori di poesia! Poesia, vaffanculo!

LAMBALLE. A me, dici così? Vuoi farmi piangere?

Solo un coltello Solingen è più duro.

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ABO. Portami su. Nella macchina mia. LAMBALLE. No, la strada è ghiacciata,

impraticabile, nevica in Abruzzo. Si rischia di finire in un burrone, in un ammasso contorto di lamiere.

Abo si scaglia sulla Lamballe, l’afferra e la morde.

ABO (ruggendo). Portami su! LAMBALLE (molto spaventata).

O Dio, sei ritornata pericolosa! Sì, sì ti porto, forse con le catene...

Abo non la molla. Escono.

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Scena undicesima

Tempesta di neve. Entra il GIORNALISTA-postino, in parte accecato dalla neve, con sciarpa, guanti e passamontagna. GIORNALISTA. Signor Regolo... È lei?

Lei non mi vede ma io invece non la sento! Signor Regolo... Lei forse mi sente ma io invece non la vedo! (Si avvicina a un’ombra) Eccolo finalmente. È scesa dalla macchina presso la Croce del Fulmine. Si è seduto o mi vede? Io non la sento ma lei invece non mi risponde! Quanta neve! Mi dica se vede me o lei. Io la vedo bene ma lei invece non mi sente! Col passamontagna non si sente né si vede. Questi uomini delle nevi ci sfuggono sempre perché non si vedono né si sentono. Signor Regolo, se lei non mi risponde dovrò credere che non mi vede. Signor Regolo! Chi è lei? E lei dov’è? Voglio dire lei, non lei! Quell’uccello bianco è una casa? Oppure lei è un abete? Signor Regolo non mi vedo più le mani! Lei mi vede i piedi? E lei si vede le mani e i piedi? Lei non è lei. Ma allora, dov’è lei? Signor Regolo! Accanto alla Croce del Fulmine è scomparsa. Pure lei è scomparso? Vogliamo ridiscendere? Signor Regolo! Mi dica se mi ha sentito o se l’ha vista. La sente o mi vede?

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Forse dov’è seduto mi vede ma non sente. Che bello non vedere né sentire niente! Non ho più mani né piedi, quell’abete è una casa e quell’uccello è lei e io sono libero e se lei non mi vede mi perdo nella neve e se lei non mi sente le dirò quel che penso! Sono stufo dei vostri ricatti! Siete tutti matti! (Corre e urla) Siete tutti sporchi! Imparate dalla neve! Imparate dalla neve!

(Impazzito e accecato esce di corsa, barcollando).

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Scena dodicesima Entra da sinistra un CACCIATORE cieco, aiutato da un SECONDO CACCIATORE, molto miope. Non nevica più. PRIMO CACCIATORE. Senti questa: Che differenza passa

tra un elefante e un cavalcavia? SECONDO CACCIATORE. Non so. Che differenza? PRIMO. Non so nemmeno io. Dimenticato.

Dove siamo? SECONDO. Credo al Passo dell’Orso. PRIMO. Sono vent’anni che vengo qui a cacciare,

e non ho mai visto un orso. SECONDO. Che vuoi vedere se sei cieco? PRIMO. Cieco no: menomato della vista.

Mi si è staccata la retina, è diverso. SECONDO. Ha smesso di nevicare. PRIMO. Brutto silenzio, dopo la nevicata.

Peccato che non ho la radiolina. Bene: io mi metto qui, tu vai di là, stiamo in agguato e quando appare l’orso tu mi dici dov’è e spariamo insieme.

SECONDO. Sta’ attento a non spararmi addosso. PRIMO. Guarda chi parla.

Bella fine ha fatto tua moglie. SECONDO. Una disgrazia, è stata, una disgrazia. PRIMO. Va’, mettiti in agguato.

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Il Secondo Cacciatore si allontana, inciampa in un sasso, infine si accovaccia.

SECONDO. Dove sei? Non ti vedo. PRIMO. Qui. Dove vuoi che sia? SECONDO. Ma che differenza passa

tra un elefante e un cavalcavia? PRIMO. Ti ho detto che non ricordo.

Sta’ zitto che spaventi gli orsi. SECONDO. Senti, questi orsi, sono bianchi o bruni? PRIMO. E chi li ha visti? Ne rimangono sette,

mi ha spiegato la Guardia Forestale. Fuoco incrociato, hai capito?

SECONDO. Ho capito. PRIMO. Se hai capito sta’ zitto. SECONDO. Fa freddo, qui. E non si vede niente. PRIMO. L’ho sempre detto che non vedi niente. SECONDO. Perché, tu vedi? PRIMO. Zitto!

Pausa. SECONDO. Non è vietato dar la caccia all’orso? PRIMO. Certo, altrimenti che staremmo a fare?

Pausa. SECONDO. E la pelliccia? PRIMO. Quale pelliccia?

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SECONDO. Chi se la prende, la pelliccia dell’orso? PRIMO. Io mi tengo la testa, per la bottega.

Tu con il resto puoi farti un tappeto.

Pausa. Appare Abo, con la vestaglia di prima, incinta e stanca. SECONDO. Lì c’è qualcosa che si muove.

Spara, Bernardo. PRIMO. Dove sparo? SECONDO. Alla tua destra! Sparano due colpi ciascuno, in qualsiasi direzione. Per caso colpiscono Abo, che cade ferita a morte. PRIMO. L’ho preso? SECONDO. Non so.

Ho la polvere da sparo sugli occhiali. (Si pulisce gli occhiali).

PRIMO. E portami a vedere! Il Secondo Cacciatore prende il Primo per mano; cercano barcollando, a tastoni, la bestia colpita. PRIMO. Ti avevo detto di portare il cane!

L’orso sarà scappato, ormai. SECONDO. Eccolo lì, sulla neve!

Si avvicinano e la toccano.

Ma non è un orso. A me pare una scimmia. PRIMO. Con la vestaglia? Porca di una scimmia. ABO. Gna, gnarte. (Muore). SECONDO. Ringhia. PRIMO. Questa è la pancia. Ma è un orso o una scimmia?

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SECONDO. Lasciala perdere, Bernardo. È morta.

Quella vestaglia mi ricorda mia moglie.

Se ne vanno barcollando verso sinistra. PRIMO. Hai visto che precisione?

Bestia che vedo, bestia che faccio fuori. SECONDO. Cacciatori si nasce. Ma mi è rimasta

la pulce nell’orecchio. Che differenza passa tra un elefante e un cavalcavia?

PRIMO. Ma chi se ne ricorda?

Escono da sinistra.