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IV - 11 OSSERVATORIO CRITICO della germanistica Storia della civiltà letteraria tedesca diretta da Marino Fre- schi, Torino, UTET, 2 voll., 1998, pp. 537 + 711, £. 280.000 Di fronte al titolo editoria- le nella cui serie si inseri- sce la Storia curata da Ma- rino Freschi ci si può por- re il problema se la Storia della civiltà letteraria sia altra cosa dalla storia della letteratura tradizionalmente re- clamata nel titolo di opere consimili. E il curatore nella Premessa, pur senza poter af- frontare in tale sede una vera discussione teorica, offre purtuttavia qualche spunto sulle opzioni di fondo del suo lavoro, che sarà opportuno richiamare. Il punto decisi- vo è dato dalla molteplicità dei motivi del contesto in cui si collocano i testi di cui si costituisce la letteratura. E appare evidente come allorché si sia aperto il vaso di Pandora della discussione del contesto sto- rico geografico e culturale in cui trova spa- zio la creazione del testo letterario si sia toccata la croce di qualsiasi discorso stori- co-letterario. Non esiste testo se non in un contesto, ma il contesto è un intreccio tal- mente infinito di (mi si passi l’orribile neologismo) subcontesti, che l’impresa di rappresentarlo, e sia pure per sintesi selettive, come non può non avvenire nella storiografia e segnatamente in un manuale, minaccia di rivelarsi continuamente impos- sibile. Si deve procedere per approssi- mazioni. E non è certo un caso se Freschi adopera per la sua impresa la metafora del paesaggio e della mappa che permette di orientarvisi e di percorrerlo. Ma i geografi ci avvertono che le mappe sono raffi- gurazioni ridotte e sim- boliche di una scelta di fenomeni della superfi- cie terrestre che si por- gono come approssima- zioni al valore limite della raffigurazione in scala 1:1, cioè alla semplice duplicazione, manifestamente paradossale, impossibile e anzi inutile, di quanto si vede della superfi- cie del nostro pianeta. Così nella storio-gra- fia. Non si esce dalla necessità della scelta dei fenomeni da rappresentare, e cioè della inevitabilità dell’arbitrio dello storiografo rispetto alla massa dei dati storici. Il pro- blema si sposta allora dalla riconosciuta necessità della scelta ai termini e ai modi di tale ineludibile scelta, aprendo in tal modo uno spazio vastissimo e potenzialmente in- finito di opzioni possibili. Dirò subito di alcune opzioni operate da Freschi piuttosto inconsuete e a mio parere preziose. Penso innanzi tutto all’inserimen- to della storiografia letteraria nel suo pano- rama storico. Non solo la Premessa percor- re alcune delle tappe essenziali della storiografia letteraria proposta dalla recen- te germanistica italiana (dalla monumentale Storia mittneriana in poi), ma addirittura un inevitabilmente troppo cursorio capitolo Profilo storico della germanistica (1800- 1990) conclude al termine del secondo vo- lume l’intera opera. Potrebbe sembrare ov- vio che della storia della civiltà letteraria faccia parte la rappresentazione che quella civiltà letteraria fa di se stessa, ma tanto Università degli Studi di Trento OSSERVATORIO CRITICO della germanistica

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Storia della civiltà letterariatedesca diretta da Marino Fre-schi, Torino, UTET, 2 voll.,1998, pp. 537 + 711, £. 280.000

Di fronte al titolo editoria-le nella cui serie si inseri-sce la Storia curata da Ma-rino Freschi ci si può por-re il problema se la Storiadella civiltà letteraria sia altra cosa dallastoria della letteratura tradizionalmente re-clamata nel titolo di opere consimili. E ilcuratore nella Premessa, pur senza poter af-frontare in tale sede una vera discussioneteorica, offre purtuttavia qualche spuntosulle opzioni di fondo del suo lavoro, chesarà opportuno richiamare. Il punto decisi-vo è dato dalla molteplicità dei motivi delcontesto in cui si collocano i testi di cui sicostituisce la letteratura. E appare evidentecome allorché si sia aperto il vaso diPandora della discussione del contesto sto-rico geografico e culturale in cui trova spa-zio la creazione del testo letterario si siatoccata la croce di qualsiasi discorso stori-co-letterario. Non esiste testo se non in uncontesto, ma il contesto è un intreccio tal-mente infinito di (mi si passi l’orribileneologismo) subcontesti, che l’impresa dirappresentarlo, e sia pure per sintesiselettive, come non può non avvenire nellastoriografia e segnatamente in un manuale,minaccia di rivelarsi continuamente impos-sibile. Si deve procedere per approssi-mazioni. E non è certo un caso se Freschiadopera per la sua impresa la metafora delpaesaggio e della mappa che permette diorientarvisi e di percorrerlo. Ma i geografici avvertono che le mappe sono raffi-

gurazioni ridotte e sim-boliche di una scelta difenomeni della superfi-cie terrestre che si por-gono come approssima-

zioni al valore limite della raffigurazione inscala 1:1, cioè alla semplice duplicazione,manifestamente paradossale, impossibile eanzi inutile, di quanto si vede della superfi-cie del nostro pianeta. Così nella storio-gra-fia. Non si esce dalla necessità della sceltadei fenomeni da rappresentare, e cioè dellainevitabilità dell’arbitrio dello storiograforispetto alla massa dei dati storici. Il pro-blema si sposta allora dalla riconosciutanecessità della scelta ai termini e ai modi ditale ineludibile scelta, aprendo in tal modouno spazio vastissimo e potenzialmente in-finito di opzioni possibili.Dirò subito di alcune opzioni operate daFreschi piuttosto inconsuete e a mio parerepreziose. Penso innanzi tutto all’inserimen-to della storiografia letteraria nel suo pano-rama storico. Non solo la Premessa percor-re alcune delle tappe essenziali dellastoriografia letteraria proposta dalla recen-te germanistica italiana (dalla monumentaleStoria mittneriana in poi), ma addirittura uninevitabilmente troppo cursorio capitoloProfilo storico della germanistica (1800-1990) conclude al termine del secondo vo-lume l’intera opera. Potrebbe sembrare ov-vio che della storia della civiltà letterariafaccia parte la rappresentazione che quellaciviltà letteraria fa di se stessa, ma tanto

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ovvio ciò non risulta, se di norma - a partefuggevoli e non sistematici accenni - unasimile rappresentazione nella maggior par-te delle storie letterarie manca. Del pari siafferma a torto o a ragione far parte dellespecificità della tradizione letteraria tede-sca la sua prossimità (per chiarezza: a pare-re di chi scrive esageratamente sopravval-utata) della letteratura alla filosofia, e inparticolare alla ‘filosofia tedesca’ dell’ide-alismo. In questo senso bene ha fatto Fre-schi a dedicare un capitolo specifico allafilosofia idealistica, ma appare lecita la do-manda se tale capitolo per come concreta-mente si pone illumini a sufficienza i lega-mi di singoli scrittori, o di singoli testi, contale filosofia: altrimenti si corre il rischio diuna rappresentazione un po’ erratica oirrelata, pertinente ad una breve storia dellafilosofia, ma scarsamente e solomediatamente funzionale a un panoramadella civiltà letteraria di lingua tedesca. Edi filosofia si parla ancora espressamentenel capitolo dedicato a Nietzsche e ilnietzscheanesimo e in quello su Marx e ilmarxismo nella cultura tedesca (che arrivafino ad Adorno, ma dal quale non si ricavase non ex silentio il dato della inconsisten-za dell’elaborazione ideologica delmarxismo nella DDR), poi non più, se nonoccasionalmente a proposito di singoli au-tori che hanno individualmente fatto i conticon questo o quel pensatore: significa cheuna influenza specifica sulla letteratura te-desca nel suo complesso l’hanno avuta solol’idealismo, il pensiero nietzscheano e quel-lo marxista e non più altri sviluppirecenziori? Naturalmente potrebbe essereuna tesi storiografica sostenibile (anche se,per fare solo i due esempi più macroscopici,appare difficile espungere dalla letteraturadel Novecento il pensiero di un Wittgensteine di un Heidegger), ma essa andrebbe alcaso, appunto, sostenuta e non lasciata nelvago argumentum ex silentio di una tratta-zione specifica dedicata unicamente all’ide-alismo da Kant a Hegel, a Nietzsche e almarxismo.Comunque sono questi capitoli, insieme ad

altri di cui dirò tra poco, che permettono dicogliere il senso di quel titolo storia dellaciviltà letteraria anziché storia della lettera-tura. L’ambizione è infatti quella di offrireun quadro della storia intellettuale in cui siradica, tra altri fenomeni, anche la letteratu-ra. I testi poetici, cioè, quali prodotti (certodotati di non poche loro peculiarità) tra altridella vita spirituale. Si comprende allora l’in-serimento in questa storia anche di altri ca-pitoli per così dire poco canonici nelle storieletterarie tradizionali (lasciando da parte ilgrande esempio di Mittner che molte di que-ste strade le aveva già battute). Mi riferiscoal capitolo su Psicanalisi e formazione dellacultura tedesca del Novecento, come a quellodedicato a Il rapporto col testo nella musicatedesca da Haydn alla dissoluzione dellatonalità. Malgrado la diversità dei temi ac-cennerò congiuntamete a questi capitoli perun marcato tratto saggistico che li accomu-na. In entrambi i casi infatti abbiamo a chefare non con rappresentazioni sistematiche,complete, informative, se si vuole scolasti-camente informative, quali ci si potrebbe at-tendere da capitoli di un corposo manuale distoria, ma con splendidi saggi fortemente atesi, assai ricchi e stimolanti ma, temo, sti-molanti e persino provocatori, pensando so-prattutto a quello sulla psicanalisi, per chiha già una sua solida informazione sia suiprimi decenni della nuova scienza della psi-che sia sulla contemporanea scena culturaledi lingua tedesca. Per quanto riguarda il ca-pitolo sulla musica, il lettore non deve aspet-tarsi una rappresentazione dei rapporti tra ledue forme d’arte, la musica e la letteraturanell’arco di tempo indicato nel titolo, giac-ché esso si focalizza procedendo per grandiexempla sul particolare problema del rappor-to con il testo musicato, visto tuttavia nellaprospettiva degli studi musicologici e noncultural-letterari. Non a caso si parte daHaydn e si arriva a Schönberg per dedicaregran parte dello spazio alla discussione diWagner e della sua riflessione sulla Wort-Ton-Kunst, ma il Wagner che qui viene propostoal lettore è pressocché esclusivamente ilWagner musicista, e quasi nulla viene accen-

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nato al suo ruolo nel dibattito ideologico eletterario dell’epoca (ad eccezione dellescelte metriche e linguistiche dei libretti).Anche qui, dunque, allo stesso modo chenel capitolo sulla filosofia idealistica ave-vamo un capitolo di storiografia filosofica,troviamo davanti a noi un capitolo di storiamusicale (che giustamente presuppone an-che qualche familiarità con la teoria musi-cale), affascinante e acuto quanto si vuole,ma che lascia fuori del suo orizzonte moltodi quanto ci si potrebbe legittimamente at-tendere per entro una storia della civiltàletteraria e che appare a dir poco disconti-nuo rispetto ad altri capitoli assai più pros-simi alla tradizione delle storie letterarie,quali ad esempio L’età di Goethe, Il roman-ticismo, Tendenze del teatro realista o Laletteratura tedesca del Primo Novecento.Freschi nella Premessa afferma che i sin-goli “autori hanno lavorato in piena libertàe responsabilità” entro la cornice data: mail punto è proprio questo. Il lettore di unastoria non ha il diritto di aspettarsi da unmanuale (e per quanto corposo e non ba-nalmente scolastico, l’opera di cui ci stia-mo occupando tale è e vuole essere) unaunitarietà di ‘taglio’ del discorso critico,unita a una buona dose di informazione?L’inserimento in una rappresentazionemarcatamente storica anche di singole trat-tazioni più saggistico-monografiche èsenz’altro possibile ma ad alcune condizio-ni, e precisamente per un verso che esse siintegrino nel continuum della narrazionestorica che costituisce il grosso dell’operae per l’altro che esse coprano tutti i settoridi cui la narrazione storico-letteraria non siè occupata. Queste due condizioni non pa-iono darsi. Della parziale ma avvertibile di-versità di questi capitoli ho già fatto cenno.Riguardo alla parzialità della loro scelta, èlo stesso Freschi che indica nelle arti figu-rative oppure nella storia della scienza altriesempi di campi di indagine, possibili, maaccantonati. Ma se consideriamo le conse-guenze per il lettore di queste omissionidolorosamente riconosciute, il discorso sifa serio. Chi si accosti alla conoscenza del-

la letteratura tedesca tramite questo testo,fidando nell’indubbia qualità degli studiosiche vi hanno contribuito e nella altrettantoindubbia serietà dell’impianto, ricaverà lanozione che la civiltà letteraria tedesca haavuto in certe sue fasi impulsi decisivi e ca-ratterizzanti dalla filosofia, dalla musica edalla psicanalisi, ma che poco o nulla è sta-ta influenzata da altre arti o che poco o nul-la ha interagito con il fenomeno massicciodello sviluppo tecnico-scientifico che con-nota l’intera storia moderna. Non si ritengache io stia esagerando in questa sopravva-lutazione del ruolo del manuale storico-let-terario nella generale percezione di una tra-dizione culturale. Mi permetto di fare ap-pello a una esperienza personale di anni pur-troppo lontani. La mia prima conoscenza dibase della letteratura inglese riposa (o forseriposava) su un autorevole manuale di unodei massimi anglisti italiani. Analizzandol’interesse e il fascino che quella letteraturarivestiva per me, ad un certo punto ritennidi aver trovato la spiegazione nel fatto cheessa si sviluppava tutta per motiviintraletterari, senza troppe intrusioni di al-tre cause ideologiche, politiche, sociologicheecc. Solo anni più tardi mi resi conto di quan-to quella mia immagine della letteratura in-glese fosse condizionata dal tipo di rappre-sentazione proposta in quel manuale (cheprobabilmente, per di più, io fraintendevo),e di come al contrario nella storia delle let-tere inglesi interagissero quegli stessi fatto-ri extraletterari che agiscono in ogni tradi-zione. E’ importante, insomma, non solo ciòche si dice, ma anche come lo si dice e, in-sieme, ciò che non si dice.Ma perché il gioco del recensore non appa-ia troppo facile (si sa, chi fa sbaglia: e quichi ´ha fatto´ è il curatore) non voglio sot-trarmi, nel segnalare il lavoro di Freschi,accanto alle riserve manifestate, che nonintaccano certo la complessiva alta qualitàdella sua impresa, al compito di accennarein positivo a quanto a mio parere sarebbeessenziale per dare forma a una storia dellaciviltà letteraria. La letteratura è fatta di te-sti, e i testi sono scritti sempre da individui.

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Alla letteratura inerisce quindi sempre unadimensione individuale, che può giungereall’ineffabilità (non dimentichiamo la lezio-ne radicale di Croce, che di fronte allairripetibilità della poesia compiutamenterealizzata non disponeva di altro mezzo chedella citazione e cioè della proposta difruizione diretta, nell’impossibilità di de-scrivere o rappresentare altrimenti quantoaveva trovato nella poesia l’espressioneperfetta, definitiva e autosufficiente). Maquesta creazione individuale nasce in uncontesto che la condiziona, vuoi positiva-mente vuoi negativamente. Ora, la storiadovrebbe esporre proprio questo continuumdi contesti della più varia natura, estrema-mente variabili a seconda dei momentiepocali, che condizionano gli individui chescrivono. E si tratta di contesti individuali(tratti psicologici, esperienze biograficheecc.) e metaindividuali, vuoi letterari (adesempio il mutevole collocarsi reciproco deigeneri letterari, i rapporti con la tradizione,ad esempio del modello classico oclassicista o il ricorso alla mitologia, o –fenomeno moderno – la produzione di ́ ma-nifesti´, ecc. ecc.) vuoi extraletterari (tra cuiquelli dei rapporti con le altre arti, con lafilosofia o comunque le ideologie e le reli-gioni, ma anche i rapporti sociali, le realtàsociologiche che condizionano la vita de-gli autori, l’industria culturale, lo svilupposcientifico e tecnico ecc. ecc.). Insomma lastoria dovrebbe dare (fin dove possibile: sitratta sempre di approssimazioni) l’humuscontestuale da cui nascono le particolaris-sime creature dei testi letterari.Ed ecco che qui si apre un ulteriore proble-ma, che Freschi non discute ma inevitabil-mente ha dovuto affrontare. Dove si collo-cano i confini dei testi letterari? Quali testisono da definire letterari e quali no? La scel-ta di Freschi è abbastanza evidentementequella di qualificare come tali solamente itesti poetici e di fiction, seguendo in ciò sen-za problematizzarla una tendenza largamen-te diffusa nel mondo tedesco. Ma pensia-mo che cosa accadrebbe se applicassimoquesto criterio alla letteratura italiana: ne

dovremmo espungere, come nota RemoCeserani, Machiavelli e Galilei. Ora, è benvero che proprio in questa storia si parlaespressamente di filosofi, cui sono dedicatitre interi capitoli, ma la loro menzione è sem-pre e solo ancillare ad una trattazione che hain poeti, drammaturghi e narratori il suo uni-co epicentro. Eppure si parla anche di testireferenziali (o non letterari), ma solo se il loroautore si è conquistato il suo posto nella sto-ria come autore letterario. Così naturalmentecompaiono nel Profilo storico lo scienziatonaturale Goethe, i pubblicisti Heine e ThomasMann e gli scienziati sociali Broch e Canetti.Non si fa parola di Marx o Freud come scrit-tori. Certo, confesso che una trattazione ́ let-teraria´ della scrittura totalmenteantibelletristica di Hegel mi si presenterebbecome non poco problematica: ma non saràda vedere qui (anche qui) un suo tratto di ef-ficacia storica? Quanto della seriosità e ´pe-santezza´ della prosa scientifica ottocentescaè debitrice dell’esempio prestigioso del filo-sofo? Ma di una rappresentazione della ci-viltà letteraria non dovrebbe far parte ancheun cenno a questa vastissima tradizione discrittura oggi quasi illeggibile, sul cui sfon-do si profila tanto più meritoria la brillantezzaapparentemente solo ´leggera´ di Heine ol’eleganza classica di certe narrazionistoriografiche (penso a Mommsen, ma forseanche a Ranke)? Il termine di civiltà lettera-ria si rivela di terribile e affascinante vastità.Vari i contributi che si segnalano per equili-brio critico, completezza di informazione,ricchezza di spunti e finezza di analisi (adesempio quelli iniziali di Laura Mancinelli,quello di Luca Crescenzi sulla Goethe-Zeit oquelli di Gabriella Catalano sul tardo Otto-cento e sul primo Novecento: ma altri se nepotrebbero citare). Invece non vogliosoffermarmi su singoli dettagli di questo granpanorama storico che potrebbero sollevareobiezioni, quali qualche incertezza di tradu-zione (i lessinghiani “Beiträge zur Historieund Aufnahme des Theaters” non sono “Con-tributi alla storia e alla recezione del teatro”ma contributi alla sua storia e al suo miglio-ramento, secondo un uso di “Aufnahme” oggi

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non più attuale ma ancora vivo nel Sette-cento – se ne veda al lemma corrispondentenel primo volume del vocabolario deiGrimm) o una Akzentsetzung che appareproblematica (la sottovalutazione delloHeine lirico posteriore al ’48). Si tratta – inquest’ultimo caso – di diversità di valuta-zioni inevitabili in un’opera così compositae di tante dimensioni e di valutazioni taloraper di più anche rispondenti a ottiche inevi-tabilmente soggettive. Un po’ più che un det-taglio, invece, e pertanto meritevole di uncenno, è il rilievo dato alla produzione diHörspiele nel secondo dopoguerra, cui èdedicato un intero capitolo. Ora, a favore diquesta opzione parla l’indubbia importan-za che questo particolarissimo genere lette-rario ebbe nel particolarissimo momentodella ripresa di una vita letteraria dopo ildodicennio bruno. Si potrebbe aggiungereancora la considerazione che, trattandosi diun fenomeno che non ha rispondenzaparagonabile nella cultura italiana, essomeritava un certo rilievo in una rappresen-tazione storica dedicata al pubblico italia-no (ma non sempre uguale attenzione aiparticolari destinatari italiani è presente intutti i contributi di mano straniera). Rima-ne tuttavia, malgrado ciò, qualche perples-sità sull’entità della sottolineatura conferi-ta al fenomeno del radiodramma dall’aver-vi dedicato un intero capitolo (nessun altrogenere letterario ha conosciuto in questastoria tale destino) anche in considerazio-ne del fatto che a parte un paio di titoli(Borchert, Eich, Bachmann) la letteraturatedesca del dopoguerra sta o cade non pergli Hörspiele ma per altre opere. È un pro-blema di proporzioni, e come tale rientranella discrezionalità di quelle scelte di cuisi discorreva all’inizio, ma qui la mia im-pressione è che la scelta si riveli un po’ piùrischiosa del dovuto e che in realtà risultipienamente recepibile soprattutto da chipossieda già un orientamento in fatto di sto-ria della letteratura tedesca, sì che la letturadi questa storia gli serva soprattutto per unripensamento, un approfondimento, uno sti-molo a rivedere schemi e interpretazioni

consolidati e divenuti statici. Una storia perlettori progrediti, insomma, cioè anche fer-rati e critici abbastanza da saper dialogarecon essa e collocarne i contributi nella giu-sta luce.

Alberto Destro

Heinrich von Nördlingen e MargarethaEbner, Le lettere (1332-1350), a cura diLucia Corsini e con una Premessa di Dona-tella Bremer Buono, Pisa, ETS, 2001, pp.456, £. 45.000

La mistica femminile gode in questi anni diuna congiuntura favorevole e gli Ego-Dokumente pure. Di qui la tempestività del-la proposta al pubblico italiano della figuradi Margaretha Ebner (ca 1291-1351) attra-verso la sua corrispondenza con Heinrichvon Nördlingen. La ‘svolta mistica’ diMargaretha, una domenicana del conventodi Medingen chiusa per decenni in profon-de sofferenze fisiche e in un’aspra ascesi, siebbe appunto dopo l’incontro nel 1335 conHeinrich, un prete che già s’era conquistatouna certa notorietà come assistente spiritualenei conventi femminili. Ne nacque una pro-fonda amicizia, sedimentatasi in uno scam-bio epistolare quasi ventennale che ora sitraduce per la prima volta in una lingua mo-derna.Alla base dell’accurata traduzione è la vec-chia edizione di Philipp Strauch del 1882,fondata a sua volta sul testimone più anticodelle lettere, un ms. del 1598 che figura inqualche misura come masso erratico e di cuipiacerebbe sapere di più: presumibili ragio-ni di compilazione, note di possesso etc. Daesso lo Strauch pubblicò (e la Corsini oratraduce) 58 lettere di Heinrich vonNördlingen (del quale 56 indirizzate aMargaretha, due rispettivamente alla priorae a una suora di Medingen), una lettera diMargaretha a Heinrich, altre dieci di autoridiversi ugualmente a Margaretha indirizza-te, infine il trattatello anonimo “Dei settegradi della vera umiltà”. La sproporzione del

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numero degli scritti in relazione ai mittentiè evidente ed è legata ai diversi canali dellatradizione manoscritta - alle spalle di M.Ebner era un’istituzione conventuale forte-mente conservativa -; ma la dispersionedelle lettere di Margaretha è in parte com-pensata dalle Rivelazioni, l’opera autobio-grafica in cui la domenicana descrisse leesperienze mistico-estatiche vissute fra il1312 e il 1348. Le sue lettere a Heinrich,difatti, “sarebbero entrate a far parte inte-grante delle Offenbarungen” (Premessa, p.21), in quanto la suora avrebbe inviato i suoiappunti in forma di lettera a Heinrich e que-sti li avrebbe poi corretti in vista della ver-sione definitiva delle Offenbarungen.Se così è, la scelta di sciogliere le letteredalle Rivelazioni per dedicarvi una tradu-zione a sé stante, pur del tutto legittima,priva il lettore di quel confronto immediatoche l’edizione dello Strauch pure consenti-va e quindi della possibilità di cogliere ilcolloquio, il vocabolario e l’outillage con-cettuale comune, nonché di valutare le ca-ratteristiche di genere imposte alla redazio-ne di un medesimo contenuto. E priva della‘sua’ voce Margaretha, “la vera protagoni-sta dell’epistolario” (Premessa, p. 21).Pur essendo monco (e probabilmente an-che mutilo di qualche lettera), l’epistolarioè di grande interesse. Al pari delleOffenbarungen si tratta di un Ego-Dokument storico (un documento in cui,secondo una definizione ripresa da WinfriedSchulze, un ‘io’ consapevolmente o incon-sapevolmente si scopre o si nasconde), ilquale testimonia lo sviluppo, nell’ambitodella storia degli ordini religiosi, di un tipodi fonte che preparò il terreno alla scritturaautobiografica moderna. Da tempo è statoinfatti individuato uno stretto nesso fra‘l’esame del sé’ dettato da motivazioni re-ligiose e l’interesse autobiografico - non acaso la Bremer Buono parla, a propositodelle Offenbarungen, di “autobiografia spi-rituale” (p. 21).L’ulteriore interesse delle lettere è nello stilee nella lingua adoperata: l’epistolario è “ilpiù antico carteggio di carattere privato in

lingua tedesca che ci sia pervenuto” (p. 51) ein quanto espressione di una produzione let-teraria edificante in lingua volgare manifestada una parte “modalità proprie della linguaparlata” (p. 51), dall’altro la creatività lingui-stica di chi doveva esprimere in volgare con-cetti fino ad allora resi in latino.Anche il suo principale autore, Heinrich vonNördlingen, è personalità di rilevante spes-sore storico. A partire dal suo editoreottocentesco, Heinrich ha collezionato giu-dizi unanimemente negativi che la Corsinielenca diligentemente e forse un po’ scola-sticamente, senza cimentarsi nell’analisi dellaMittelalter-Rezeption né quindi soffermarsisul fatto che tali giudizi sono storicamente‘dati’ (e datati, come il “weibisch verweich-licht” di W. Muschg del 1935). EppureHeinrich svolse un ruolo decisivo di collega-mento fra il mondo regolare femminile e cer-chie di laici impegnati, in particolare iGottesfreunde, un gruppo di cui si sa poco onulla e che emerge dall’oscurità proprio gra-zie all’epistolario. Egli svolse le funzioni clas-siche del padre spirituale nei riguardi di ‘ca-rismatiche’ come Margaretha e ChristineEbner (esercitando nei confronti della primaanche il tipico Schreibbefehl), si fece promo-tore della trasmissione di testi mistici e di tra-duzioni in volgare.La Corsini disegna bene l’ambiente nel qua-le si collocò la sua attività e la sua relazioneepistolare con Margaretha. È il quadro clas-sico del “movimento religioso femminile”tratteggiato da Herbert Grundmann nel 1935,di cui peraltro recentemente si sono poste anudo le radici profonde nella Geistes-geschichte del Drittes Reich e s’è avanzatauna proposta di revisione (M. Wehrli-Johns).La mistica femminile domenicana viene quin-di presentata alla luce delle ricerche di unospecialista quale Peter Dinzelbacher, che par-la di un’eventuale “spezifische Ordens-spiritualität”. Restringendo ulteriormentel’obiettivo, la Corsini passa dal movimentoreligioso femminile e dalla misticadomenicana a M. Ebner e alla ‘sua’ mistica,una “mistica della Passione e mistica affetti-va” che si rivela nelle Offenbarungen.

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Di tale esperienza Heinrich von Nördlingenfu profondo conoscitore e in certo modomaieuta, con l’obiettivo, tramite le lettere,di “stimolare sempre più la fantasia diMargaretha e di rendere in lei più profondala contemplazione mistica” (p. 68). Allaprosa di Heinrich, che oggi può apparire“pesante ed artificiosa” (p. 73), la traduttri-ce dedica un’attenta analisi, sottolineandola “spiccata impronta emozionale grazie aipiù diversi procedimenti” (p. 61), fra i qua-li la metafora. E alle metafore proprie dellinguaggio simbolico è riservato un para-grafo a sé stante, che si risolve in un’utiledescrizione tipologica.Si tocca così un punto estremamente deli-cato, al centro di vivaci discussioni: comeinterpretare il bacio e l’ebbrezza quali e-spressione dell’estasi, la sensazione di es-sere incinta di Cristo, il motivo dell’allatta-re e in generale l’uso di una lingua erotico-sensuale per descrivere l’unione con Cristonell’eucaristia? “Das ist die küsch megdlichmilch, die es gesogen hat, die kindlichetreher, die es geweinet hat, und das gar zitigmilchvarbes blut, das es vergossen hat” (“ecioè il casto latte virgineo, che egli ha suc-chiato, le lacrime di bambino, che egli hapianto e il sangue color del latte, che egliha prematuramente versato”, pp. 80 e 81):di fronte a questo e ad altri passi è difficileritenere, con la Corsini, che la “particolarecuriosità per piccole vicende dell’infanziadi Gesù e soprattutto per la circoncisione”sia “espressione di una religiosità infantilee di un interesse teologico ingenuo (…) ti-pici della mistica affettiva femminile” (p.315, con rinvio a L. Zoepf 1914). Al con-trario, le ricerche più recenti, specie in cam-po iconografico, tendono a individuare unsistema simbolico complesso e una serie diequivalenze fra alimento, sessualità e paro-la; tanto che alcuni temi iconografici auto-rizzerebbero, secondo Jean Wirth, a un con-fronto fra latte della Vergine e sangue delCristo, all’associazione latte-sperma (cfr. J.Cl. Schmitt-J. Baschet, La sexualité duChrist, “Annales ESC”, 46, 1991, pp. 343-344).

Il tema del Cristo-madre, presente nei testimistici a partire dal XII secolo e vivo anchein Heinrich, la mistica sponsale attraversoil Cantico dei Cantici (M. Engammare), lametafora del cibo e il digiuno (C. Bynum),la tematica dei revenants e delle animepurganti (J. Cl. Schmitt) offrono spuntinumerosi per approfondire le immagini e leconvinzioni proprie della religiosità diMargaretha ma anche di Heinrich, unareligiosità che ebbe sicuramente unaspiccata fisicità e ‘palpabilità’, come rilevala Corsini sulla scia di Ursula Peters (p.388), ma anche una notevole complessità evarietà di registri. Da questo punto di vista,le lettere di Heinrich si prestano a nuovericerche; il commento della Corsini, che ditanto in tanto tradisce le movenze propriedel lavoro di tesi di laurea che ne èall’origine e soffre di un certo sincretismofra commenti disparati (Ph. Strauch 1882,L. Zoepf 1914, G. Pozzi-C. Leonardi 1988etc.), può essere allora ulteriormentedilatato: a testimonianza della ricchezza edel fascino di un testo e di una realtà umanae culturale che pure, per il lettorecontemporaneo, “è spesso sotto svariatiaspetti molto lontana” (Premessa, p. 22).

Daniela Rando

Michela Fabrizia Cessari, Der Erwählte, dasLicht und der Teufel. Eine literarhistorisch-philosophische Studie zur Lichtmetaphorikin Wolframs “Parzival”, Heidelberg:Winter, 2000 (Frankfurter Beiträge zurGermanistik, Bd. 32), pp. 265, DM 68

L’Eletto è nel Medioevo una figura chericorre nella letteratura e rappresenta unmodello interpretativo funzionale alladottrina cristiana tesa a diffondere ilmessaggio salvifico, anche nell’ambitocortese. Così non solo nel Parzival diWolfram, ma anche nel Gregorius diHartmann l’Eletto è il protagonista e adistanza di secoli Der Erwählte sarà ilsoggetto del rifacimento di Th. Mann

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dell’opera di Hartmann.Lo studio di Michela Cessari si incentra sullaLichtmetaphorik in una prospettiva chespazia dall’ambito storico-letterario a quellofilosofico e soprattutto in quest’ultimol’autrice indaga i fondamenti e cerca iriferimenti che possano far luce sullosviluppo di questo tema per dimostrare lasua tesi. Questa impostazione su due pianiprospetta al critico il problema di vederecome i due ambiti si collegano e quale sintesine scaturisce. Già scorrendo l’Indice appareche all’indagine filosofica, che spaziadall’antichità fino all’epoca di Wolfram(capitoli 2 e 4), è dedicata una parteconsistente del lavoro, mentre leggendol’opera si nota che alcune parti presentanoquasi esclusivamente la trattazione delpensiero filosofico e appaiono quindialquanto staccate dall’esame critico deltesto.La tesi di partenza che viene poi ripropostanel corso del lavoro e riaffermata inconclusione è che la figura di Parzival,caratterizzata dal motivo della “luce”,presenta una sua “eccentricità” che laCessari individua e spiega con riferimentoalla scuola di Chartres e al pensiero diBernardo Silvestre a cui Wolfram avrebbefatto riferimento. Il punto di partenza e labase della tesi proposta sta nell’Elstern-gleichnis del Prologo: vv.1-6 “Ist zwîfelherzen nâchgebûr,/ daz muoz der sêlewerden sûr./ gesmaehet unde gezieret/ ist,swâ sich parrieret/ unverzaget mannesmuot,/ als agelstern varwe tuot.”. L’uso diquesta metafora, che si incentra sul colorebianco e nero della gazza, serve a chiarire edefinire la figura di Parzival che non sarebbecome il Gregorio di Hartmann “der guteSünder”, bensì “der tumbe Sünder” (vd.2.1).L’analisi del Prologo (vd. cap. 1) serve achiarire il programma poetico-filosoficodell’opera e, come la studiosa chiariràancora nei capitoli successivi, la posizioneparticolare di Wolfram che si distacca dalpensiero agostiniano propendendo inveceverso la mistica di Bernardo. La figura

dell’Eletto, presentato sotto aspetti diversi, tracui acquistano rilevanza la triuwe e lo zwîfel,si distacca da altre figure e si caratterizza, inquanto la sua luce è un “elsternfarbenesLicht”. Per meglio delineare le caratteristichedel nuovo Eletto si indagano i paradigmiteologici della Lichtmetaphorik e quelli este-tici, in particolare la teoria del bello di Agosti-no e di Dionigi l’Areopagita (vd. 2.2 e 2.3).Nella parte centrale dello studio (cap.3)vengono analizzati alcuni episodi dell’operadi Wolfram e alcuni aspetti della figura diParzival: dal suo comportamento iniziale chelo caratterizza come “der reine Tor” alfallimento nella prima visita a Anfortas, aisuccessivi incontri con Cundrie e Trevrizentfino alla Elezione e alla conquista del Graal.Il tema della Schönheit di Parzival presentatacome “bellezza” visibile che lascia trasparirequella invisibile e il tema della predestina-zione discusso attraverso le vicende del prota-gonista mostrano la complessità dell’operadi Wolfram a livello non solo artistico, maanche filosofico, religioso e ideologico.Nella parte conclusiva (cap. 4) l’autriceritornando alla metafora iniziale spiega comeil tema dell’elsternfarbenes Licht trovi il suofondamento nel pensiero di Bernardo e inparticolare nel Librum hunc. Wolfram dunqueavrebbe ripreso e rielaborato nella sua operaconcezioni filosofiche che lo porrebbero inuna luce “eccentrica” rispetto ad Agostino inparticolare per quanto riguarda il tipodell’Eletto e l’interpretazione della Gnade.Un’opera letteraria così ricca e complessa nonsolo per il contenuto, ma anche per la formapoetica e la lingua e uno studio, quale quellodella Cessari, così ampio soprattutto nellaricerca dei presupposti filosofici cheilluminano la figura del protagonista nonpossono che suscitare molte osservazioni esuggestioni che qui in parte proporrò.Innanzitutto vorrei soffermarmi sull’aspettodella “eccentricità” attribuita al personaggioe di converso anche al modo in cui il poetaha rappresentato Parzival. Tutti i grandi poeticortesi, ad esempio Gottfried, ma anche liriciquali Morungen o Walther, in qualche misurahanno rotto con una tradizione consolidata e

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hanno proposto innovatrici forme poeticheche, fondate sulla tradizione, hanno portatoperò al tempo stesso a una crisi e a unacritica attraverso nuove istanze. Gottfriedad esempio tratta il tema della minne diTristano e Isotta nell’episodio dellaMinnegrotte in modo tale da infrangere glistereotipi cortesi: la minne viene elevata avalore assoluto che porterà la vicenda a untragico epilogo. Così anche la grandezza diWolfram si spiega con l’aver presentato lafigura dell’Eletto attraverso Parzival chepercorre la sua via di formazione superandoalla fine i valori cortesi pur perseguiti eaccettati. Li supera in quanto proteso allaconquista del Graal in una continua tensionetra dubbio, maledizione e fedeltà. Non sipuò però usare il termine “eccentricità”,come fa la Cessari, senza considerare lefinalità di ogni singola opera letteraria e ilcontesto storico-culturale in cui si inquadra.Così diverse e opposte sono le finalità e lacollocazione delle opere di Wolfram e diGottfried, oltre ai diversi mezzi espressiviusati dai due poeti. Secondo Gottfriedmentre “cristallina” è la lingua di Hartmann,oscura e involuta è quella di Wolfram (sivedano a questo proposito i vv. 4638-4644del Tristan: “swer nû des hasen geselle sî/und ûf der wortheide/ hôchsprünge undwîtweide/ mit bickelworten welle sîn/ undûf daz lôrschapelekîn/ wân âne volge wellehân,/ der lâze uns bî dem wâne stân”.Nell’epoca delle crociate e della sottomis-sione degli infedeli attraverso la religionecristiana la vicenda di Parzival riafferma ilpensiero dominante, mentre la vicenda diTristano e Isotta presenta ideali utopici euna posizione di rottura che potremmo abuon diritto definire “eccentrica”.Vediamo ora più precisamente la metaforadella gazza e il suo utilizzo nel Parzival: laLichtmetaphorik interpretata comeelsternfarbenes Licht. L’accostamento diopposti è a livello retorico un ossimoro erisulta un mezzo stilistico-poetico assaidiffuso nelle opere cortesi. Cito ad esempiotra gli ossimori usati da Gottfried “liep undleit”, “gioia e dolore” che definisce la

minne secondo la particolare interpretazionedata dal poeta. Non sempre è identica lafunzione dell’ossimoro nel contestodell’opera poetica. Nel Tristano infatti i dueelementi costitutivi della minne e non soloil liep come nella tradizione corteserappresentano i due poli opposti chestigmatizzano la nuova concezionedell’amore che porterà i due amanti a unrapporto inconciliabile con la societàcortese, con il regno di re Marke e alla fuganella Minnegrotte. Ben diverso è nel caso diParzival l’accostamento, attraverso il colorechiaro e scuro della gazza, di luce e tenebre;infatti i due opposti trovano nel mantodell’uccello come nella vicenda delprotagonista una conciliazione che porta allaelezione dell’eroe, pur segnato dal peccato,dal dubbio, ma illuminato dalla triuwe, dallagrazia e in ogni momento del suo percorsoriconosciuto per la sua bellezza non solovisibile, ma soprattutto invisibile che è segnodel suo destino.Lo studio della Cessari, se da un latoconduce con estrema ampiezza diinformazioni la ricerca in ambito filosofico,trascura forse di collocare l’opera diWolfram nel contesto storico-letterarioisolando così l’opera stessa e il suo autore.I confronti che ho suggerito o altri elementiavrebbero portato a confermare sostanzial-mente le conclusioni del lavoro, ma talvoltaesse sarebbero apparse sotto una luce diversae meno assoluta di come invece appare.La metafora del colore della “gazza” cherimanda a luce e tenebre, al bene e al male,e al percorso dell’uomo verso la salvezzaviene assunta come modello interpretativodella vicenda e del personaggio con una tesiche ricollegherebbe il pensiero dell’autorealla Scuola di Chartres, ma forse anche inquesto caso l’indagine avrebbe potuto essereestesa e il discorso reso più sfaccettato. Lastessa immagine, attraverso l’accostamentodi bianco e nero, ritorna infatti in altri puntidell’opera di Wolfram, riferita ad esempioa Feirefiz e al colore della sua pelle (vv.57,15-18: “diu frouwe an rehter zît genas/eins suns, der zweier varwe was,/ an dem

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got wunders wart enein;/ wîz und swarzervarwe er schein.”. Questa mescolanza dicolori, di nature e di possibilità tra bene emale è un motivo ricorrente e che va forsevisto non solo nel personaggio Parzival, maanche nel contesto storico-culturale deltempo con le crociate e la sottomissionedegli infedeli. La compresenza di chiaro escuro sta a simboleggiare la presenza di benee male; tra questi due estremi si gioca lascelta sia di Parzival che di Feirefiz, la sceltadel bene per una sorta di luce in loro cherisplende come segno della volontà divinache li elegge alla salvezza. L’interpretazionedell’immagine della gazza che non solo èbicolore, ma che si colloca tra la colomba eil corvo, è un chiaro simbolo che svelal’intento dell’autore di presentare esempidella conciliazione tra i due estremi, comevittoria del bene sul male sia per l’uomo chenel contesto storico-culturale del tempo (siveda quanto dice Laura Mancinelli nella suaIntroduzione al Parzival: “Nel panoramadella letteratura cortese del Duecentotedesco un posto di primo piano occupa ilParzival di Wolfram von Eschenbach, ilprimo grande “Bildungsroman”, romanzo diformazione, iniziatore di un genere moltofortunato della cultura tedesca, cartavincente della mistica cattolica e dellapropaganda per le crociate contro gliinfedeli”. Wolfram von Eschenbach,Parzival, a cura di L. Mancinelli, trad. e notedi C. Gamba, Torino: Einaudi, 1993, p. VII).Oltre al motivo dell’elsternfarbenes Licht,anche su paragoni più generici con la luce esulla bellezza del protagonista nella suaaccezione non solo esteriore, ma soprattuttospirituale lo studio ritorna con frequentisegnalazioni. Occorre però distinguere inun’analisi di questo tipo tra gli elementi e ipassi innovativi e una serie invece di topoitradizionali che anche in Wolfram ricorrono:ad esempio la bellezza vista come luce oche diffonde luce è ampiamente attestatasoprattutto nella lirica del Minnesang riferitaalla dama, ma nei poemi cortesi ancheall’eroe (vd. Tristan, vv.9456-64.: “michhânt driu lieht besezzen,/ diu besten, diu diu

werlt hât,/ maneges herzen fröude und rât/und maneges ougen wunne:/ Îsôt diu liehtesunne/ und ouch ir muoter Îsôt/ der frôlîchemorgenrôt,/ diu stolze Brangaene/ dazschoene volmaene.”). Lo studio dellatradizione di un motivo e della sua ricezionein un’opera letteraria può portare quindi avalutare il grado di innovazione e l’uso chene fa l’autore.Infine vorrei sottolineare che affrontare iltema della Lichtmetaphorik nell’opera diWolfram incentrandolo, come fa la Cessari,sulla metafora della gazza doveva ancheportare la studiosa a precisare il suoorientamento critico in un campo così ampioe frequentato dalla critica, anche per le operecortesi. Rimando ad esempio allo studio diF. Wessel sulle metafore nel Tristano diGottfried con un’ampia parte introduttiva chepresenta aspetti metodologico-critici inerentiallo studio della Metaphorik (F. Wessel,Probleme der Metaphorik und die Minne-metaphorik in Gottfrieds von Strassburg‘Tristan und Isolde’, München: Fink, 1984,pp.5-178). Non risultano infatti inBibliografia opere e studi teorici sullametafora e se è vero che la Metaphorik svelaprecisi Denkmodelle, dall’altro lato èaltrettanto vero che le metafore acquistanocorpo e si individuano proprio nell’elabora-zione artistica dell’opera letteraria. Infattiproprio attraverso lo stile e la lingua Wolframesprime la metafora della gazza non in modocosì netto e filosofico come l’autrice dellostudio propone, ma in modo più oscuro epoetico attraverso una serie di rimandi chesolo un lavoro critico e filologico può cercaredi ricostruire e di chiarire.Se da un lato questo studio ci svela il sostratofilosofico dell’opera e fa emergere lespecificità che caratterizzano la posizionedell’autore e che si riflettono nella sua operacon una tesi finale che emerge con chiarezzae che può portare a utili confronti eapprofondimenti per la critica, dall’altro michiedo se un’opera poetica e letteraria possaessere analizzata, come risulta dallo studiodella Cessari, per quanto attiene il sostrato dipensiero senza che la forma e la funzione

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artistica vengano esaminate parallelamentee in ugual misura col rischio altrimenti difar apparire un poema cortese comeun’opera filosofica. Difficile è sempretrovare il giusto mezzo.

Maria Grazia Saibene

Jochen A. Bär, Sprachreflexion derdeutschen Frühromantik. Konzeptezwischen Universalpoesie und Gramma-tischem Kosmopolitismus, Berlin, NewYork, de Gruyter, 1999, pp. 582, DM. 256

In un ambito di ricerca composito e centralecome il romanticismo, non stupisce certo ilfatto che, ancor oggi, la critica sappiascoprire, oltre a nuovi approcci ermeneutici,anche aspetti e prospettive non debitamenteripensati o persino, come in questo caso, inassoluto rimasti in second’ordine. Ad uncerto punto “i tempi sono maturi” e questopare proprio essere il caso del tema inoggetto, cosicché leggere il romanticismoattraverso la sua concezione del linguaggioci pare una di quelle proposte che nonappena formulate convincono per l’evidenzacon cui si impongono. Che il tema fossenell’aria, d’altra parte, risulta anche dallacoincidente uscita, qui da noi, del bel librodedicato alla lingua di Novalis di IngridHennemann Barale (Luoghi dell’originario.Il tema del linguaggio nella prospettivastorica e nei progetti letterari del primoromanticismo tedesco, Pisa 1998, cfr.Osservatorio Critico III – 8/9).La sostanziale contemporaneità delle duericerche è un segnale molto indicativo;entrambe, pur all’apparenza eccentricherispetto ai filoni di ricerca più seguiti inquesti ultimi tempi, rispondono in realtà auna specifica richiesta emergente dall’og-getto stesso dei nostri studi. Infatti,all’interesse critico di cui il romanticismo èstato fatto segno negli ultimi decenni, si èaffiancata anche un’altrettanto vivacericerca di taglio storico-linguistico sulSettecento e su quel complesso tessuto di

considerazioni filosofiche, antropologiche emorali che sono alla base delle concezionielaborate in ambito illuminista della facoltàumana di comunicare il proprio pensierotramite la parola. Non cito qui espressa-mente alcuno dei molti risultati, per nondimenticarne troppi, potendo per altrorimandare proprio alle note e alle biblio-grafie dei due testi qui citati. La ricercaromantica, che in questi ultimi anni ha rivistoil rapporto fra Romantik e Aufklärungdefinendone con più precisione non solo imomenti di rottura, ma anche quelli diconnessione e continuità, non poteva certoesimersi dall’accogliere un simile invito efocalizzare la propria attenzione sul veicolostesso di tali rapporti e sulle peculiaritàspecificamente romantiche del linguaggiotardo-settecentesco. Ma questo invito è inrealtà duplice, in quanto contempla tanto leriflessioni sul linguaggio umano, sulla suaorigine e sulla sua funzione gnoseologica ecomunicativa, quanto la realtà del materialelinguistico tramite cui si compie lo “strappo”romantico. A giudicare dal titolo, l’opera diBär sembra prospettarci un’indagine dicarattere prettamente teorico, mentre di fattosi apre anche al piano più concretodell’analisi in una serie di “appendici”quanto mai interessanti.L’impianto di questo lavoro è ambizioso,come deve essere, trattandosi di uno studioche intende affrontare organicamente unamateria vastissima e (quasi) tutta da scoprire(la lista dei titoli più o meno recenti sul temaspecifico si esaurisce in una nota di medialunghezza, cfr. p. 1, n.2). È ambizioso e allostesso tempo realistico, in quanto tiene contodella propria situazione iniziale, differen-ziando accuratamente i vari complessitematici in sezioni e appendici che, ove ne-cessario, segnalano in modo esplicito il lorocarattere esemplificativo e non esaustivo.Una scorsa veloce all’indice ben evidenzial’attenta ripartizione dei percorsi interpre-tativi, tutt’altro che ovvia e già inscritta neimateriali. Alle premesse vere e proprie segueuna parte introduttiva di analisi dell’oggetto,cioè della “romantische Sprachreflexion”,

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che viene suddivisa nelle sue duecomponenti (la definizione di “romantisch”in relazione al concetto di lingua e unexcursus sui temi, gli autori e le riflessionisulla lingua del romanticismo). La necessitàdi una precisa determinazione terminolo-gica e concettuale, che tenesse conto dellespecificità di ambiti non coincidenti, comequello estetico e quello linguistico, èevidente, tanto più che lo stesso materialeromantico oggetto dello studio tende agenerare (com’è ovvio) una certaconfusione. Calandosi nel vivo del lavoro,Bär ci presenta poi in maniera approfonditadue figure fondamentali, cioè AugustWilhelm Schlegel e Schelling. Tale sceltanon è certo la sola possibile (si pensi alcitato Novalis o a Friedrich Schlegel), ancheperché la riflessione sulla lingua comemedium della comunicazione e dellacreatività poetica, così come sui suoi aspettifilosofico-ontologici è un tratto importante,seppur affrontato solo in maniera diffusa esfumata, di tutto il discorso romantico e diogni autore riconducibile a tale movimento.Per darne esplicitamente atto, l’autoreinserisce nei capitoli introduttivi brevibiografie, da A.F. Bernhardi a Wackenroder,ma si tratta di un apparato quasi superfluo,tanto più che, seppur scritti con un occhioal tema principale, quei capitoletti nonaggiungono molto a quanto ogni studiosodi romanticismo già sa o può facilmenteapprendere altrove (e che testimoniano diuna certa propensione “enciclopedistica”del lavoro di Bär, con tutti i vantaggi, datala mole di materiale, e gli svantaggi, comein questo caso, che ne derivano).Non è per altro certo necessario giustificarela scelta di Schlegel e di Schelling, dueautori che segnano momenti esemplificativie di grande intensità su quel terreno comunedella riflessione romantica rappresentatodall’interpretare l’atto linguistico quale attopoietico, inteso come affermarsi delsoggetto poetante nella sua tensione infinita(Schlegel) oppure in analogia alla paroladivina (Schelling). I singoli capitoli sonodensi e ben documentati, zeppi di citazioni

tratte anche da testi meno noti, parte di unaPrimär-literatur imponente e praticamenteesaustiva. (Forse, proprio in considerazionedi tale ricchezza, un sistema di riferimentoabbreviato meno criptico avrebbe facilitatouna lettura interessata a seguire anchel’evolversi cronologico dei vari spuntipermettendo una più immediata identifica-zione dei testi. Si tratta comunque di unrilievo davvero minimo, che tra l’altro noninteressa tutti gli autori nella stessa misura).Le sezioni successive sono dedicate a Themenquali l’origine del linguaggio e le sue capacitàcomunicative, e a Diskurse, quali i vari aspettidel contributo romantico ad uno studioscientifico e filologico della lingua. Quesiticome l’origine (umana, divina) del linguaggioe i fondamenti (individuali, sociali) del suoevolversi; quelli circa l’universalità dellinguaggio, le relazioni fra le lingue(traduzione, grammatiche), la loroperfettibilità e il grado raggiunto; oppure glispunti relativi al movimento che fraproduzione e ricezione crea la capacità dicomprendere e comunicare, così come allostudio storico, cioè filologico in senso ampio,di quello stesso movimento nel passato: tuttiquesti complessi tematici emergono aformare una visione più organica e coerentedi argomenti e aspetti che nella letteraturacritica sono affiorati in vari contesti masempre in modo accessorio, e soprattutto neelaborano il significato da un punto di vistalinguistico e di filosofia della lingua. Le varieconclusioni, parziali e più generali, cercanodi riprendere i molteplici fili di questa tramacosì complessa. È evidente lo sforzo dicircoscrivere le varie componenti deldiscorso, per permettere al lettore tanto unosguardo d’insieme, quanto il riferimento amomenti specifici. Tale meritevolissimosforzo di equilibrio fa di questo ampio studiouna sorta di Handbuch da avere sempreaccanto occupandosi di romanticismo e dilinguaggio. Siamo per altro arrivati a pocopiù di metà delle circa seicento pagine checompongono l’opera. Nelle appendici cheseguono la riflessione teorica romantica sullalingua viene fatta reagire al contatto con la

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scrittura stessa del romanticismo grazieall’analisi specifica di singoli lemmi sceltifra i più rappresentativi (fra cui, ad esempio,klassisch, Metapher, Nation, Poesie,progressiv, romantisch, Volk), ma che, comel’autore sa bene e dice esplicitamente, nonesauriscono neppure quelli fondamentali.Né d’altronde gli si poteva chiedere di più,anche considerando la grande attenzionealle sfumature di significato e la chiarezzametodologica che rendono utilissima laconsultazione di questi “lemmi” delvocabolario romantico.

Donatella Mazza

Johann Caspar Lavater, Ausgewählte Werkein historisch-kritischer Ausgabe. Vol. II.Aussichten in die Ewigkeit. 1768-1773/78,a cura di Ursula Caflisch-Schnetzler,Zürich, Verlag Neue Zürcher Zeitung, 2001,pp. 764, SFr 112

È paradossale che Johann Caspar Lavater(1741-1801), personaggio carismatico chenella seconda metà del secolo fa di Zurigoun centro di attrazione europeo, sopravvivacome auctor unius operae: il Pastoresvizzero infatti spicca per produttività inun’epoca in cui si usava parlare di“Schreibseligkeit”. La Bibliographie derWerke Lavaters: Verzeichnis der zu seinenLebzeiten im Druck erschienenen Werke acura di Horst Weigelt (con la redazione diNiklaus Landolt) come Ergänzungsbanddell’edizione storico-critica contestual-mente al volume delle Aussichten in dieEwigkeit registra oltre 400 titoli. Uno deidati più eclatanti (e caratterizzanti) dellozurighese è proprio la massa immane e soloapprossimativamente calcolabile di scrittiche instaurano un particolarissimo rapportofra “privato” (“geheim” nel linguaggiosettecentesco) e “pubblico”. Diari e letterepresentano sviluppi ricchissimi. In formaepistolare è anche l’opera edita a cura diUrsula Caflisch-Schnetzler: il titolocompleto è infatti Aussichten in die

Ewigkeit, in Briefen an Joh. GeorgZimmermann. Consta di quattro volumi: treusciti rispettivamente nel 1768, 1769 e 1773,l’ultimo, una revisione commentata dei treprecedenti, aggiuntosi nel 1778.Il rovescio del tappeto dell’edizione astampa è costituito dal fittissimo carteggiocon il proprio connazionale, trasferitosidall’Argovia a Hannover. Il carteggio privatocon il celebre “königlich GroßbritannischerLeibarzt” non solo è inedito, ma, comericorda la curatrice nella sua prefazione,viene considerato “verschollen” (p. XXV):e questo, si badi, in un lavoro sull’epistolariofra Zimmermann e Lavater accolto nelleprestigiose “Wolfenbütteler Forschungen”.L’abbaglio è sintomatico. La categoria del“per sentito dire” può celebrare incontestatitrionfi quando le verifiche richiedano defacto un viaggio a Zurigo. Non alludo soloalle oltre ventimila lettere di Lavaterconservate nella Zentralbibliothek. Finora,chi avesse voluto leggere le Aussichtentrovava come edizione più recente una sceltadi poco più di cento pagine (a fronte dellequasi settecento complessive) nell’unicaraccolta di Ausgewählte Werke uscita nelcorso del Novecento: Johann CasparLavaters Ausgewählte Werke, a cura di ErnstStaehelin (Zürich 1943), in quattro tometti.Nei duecent’anni che ci separano dalla mortedello zurighese si sono avute soltanto treraccolte delle sue opere: una subito (Zürich1801-1802), curata dal genero GeorgGessner; le Nachgelassene Schriften incinque volumi nel 1841-1842, consuccessive ristampe, talmente aliene dapreoccupazioni filologiche da non indicarené le fonti, né i tagli operati sui testi originali;nel 1943 la raccolta appunto di Staehelin,uscita significativamente nello ZwingliVerlag. Per Staehelin infatti Lavater, comerecita l’avviso preposto al primo volume, è“einer der größten Zeugen Jesu Christi undSeines Reiches, die die reformierte Kircheder Schweiz hervorgebracht hat”. Per lostudioso del Settecento Lavater è unpersonaggio di non di rado esasperantecomplessità con cui vale la pena

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confrontarsi. Per farlo, occorre poterloleggere. Di qui l’esigenza primaria einderogabile di una edizione conforme acriteri scientifici e programmaticamenterappresentativa della varietà di interessidello zurighese – interessi teologici,filosofico-pedagogici, politici, poetici –connotata da una progettualità assente nellepur meritevoli edizioni anastatiche diKleinere prosaische Schriften e VermischteSchriften (Johann Caspar Lavater: Sämtlichekleinere prosaische Schriften vom Jahr1763-1783. 3 Bände in 1 Band, Hildesheimu.a. 1987 [Nachdruck der AusgabeWinterthur 1784/1785); VermischteSchriften (Reprint 2 Bände in 1 Band derAusgabe Winterthur 1774/1781],Hildesheim 1988) quali si sono avute neglianni Ottanta. La risposta a questa esigenzaè appunto la Historisch-kritische Ausgabein dieci volumi di Ausgewählte Werke, dacui a ragion veduta rimangono esclusi iPhysiognomische Fragmente zur Beförde-rung der Menschenkenntnis und Menschen-liebe (1775-78), facilmente reperibili(Johann Caspar Lavater: PhysiognomischeFragmente zur Beförderung der Menschen-kenntnis und Men-schenliebe. 4 Bände,Zürich 1968/1969 [Faksimiledruck nach derAusgabe von 1775-1778]). La genesi diquesta impresa editoriale che merita appienol’abusato epiteto di epocale si deve alsimposio che nel 1991 ha riunito a Zurigoper il duecen-tocinquantesimo anniversariodella nascita di Lavater i suoi studiosisvizzeri e tedeschi più accreditati. Dalsimposio è nato infatti, per iniziativa delprofessor Rudolf Dellsperger, specialista distoria del pie-tismo, un gruppo di lavoro cheha messo in cantiere l’edizione che verràconclusa nel 2006.I criteri generali elaborati da questo gruppodi tredici specialisti con competenze diversesono indicati in una piccola brochureallegata al volume II come Vorabdruck ausBand I. Quanto alla scelta delle opere, faaggio l’incidenza esercitata nel corso delXVIII e XIX secolo. Da questo punto divista non vi è dubbio sull’opportunità di

esordire con il volume II (e non con il volumeI: Jugendschriften 1762-1769). Leventicinque lettere all’amico medicoZimmermann che contengono riflessioniescatologiche in forma di “lettera aperta”sono la prima opera con cui Lavater innescauna vivace discussione al di fuori dei confinidella propria città natale. Nell’intervallo fral’uscita del secondo e quella del terzo volumedelle Aussichten fanno scalpore il GeheimesTagebuch. Von einem Beobachter seinerselbst (1771) e la sua ‘continuazioneautorizzata’, Unver-änderte Fragmente ausdem Tagebuch eines Beobachters seinerselbst (1773), che appariranno nel quartovolume dell’edizione critica: essa permetteràfinalmente di conoscere l’itinerarioantecedente ai Physiognomische Fragmente– più in generale di acquisire consapevolezzadella variegatissima tipologia (anche formale)dei testi lavateriani.La loro presentazione in base all’Editioprinceps tenendo conto, nell’apparato critico,di edizioni successive non postumecostituisce – dato il particolare statuseditoriale dello zurighese – l’unica sceltascientificamente corretta. Il volume che lavara, presentato al pubblico in occasione dellaricorrenza (il 20 aprile) del duecentesimoanno della morte di Lavater, come risultatodi un lavoro iniziato da Ursula Caflisch-Schnetzler nel 1994, è un ottimo banco diprova. Riporta in circolo un testo che finora,come si è detto, poteva essere letto solo inedizioni settecentesche tanto che sono pochii germanisti che finora lo hanno letto (e comeJohann Salzwedel, l’autore di Das Gesichtder Welt hanno ad esempio presente il passo,nel III libro delle Aussichten, “Die Tonspracheverdrängte die Natursprache des ganzenMenschen – die physiognomische, dieGebärdensprache”). La curatrice indica amargine i numeri di pagina dell’edizioneoriginale del 1768-73/78. La secondaedizione del 1770, pubblicata, come diceLavater nella prefazione, “nicht zumNachtheil der ersten Auflage”, tuttavia conemendamenti non irrilevanti, costituisce labase dell’apparato critico, che incorpora

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altresì le integrazioni del quarto volume: latendenza alla revisione, commento erettifica, qui concretizzata negli Zusätze,Anmerkungen und Berichtigungen zu derdrey ersten Bänden, si configura fin dagliinizi come una costante del Pastore svizzero.Gli Editionsgrundsätze che vengonoesposti, in elenco dettagliato, per punti (pp.X-XV) dalla curatrice sono intesi aconiugare il rigore filologico con laleggibilità. Questa aspirazione haconseguenze dirette sulla mole e tipologiadell’apparato critico: che non è lussureg-giante, ma sorvegliatissimo, in perfettoraccordo con la parte introduttiva iniziale(pp. XVII-XLIV). La Entstehungs- undWerkgeschichte (pp. XVIII-XXXIII)ribadisce il ruolo basilare del soggiorno aBarth presso il grande teologo illuministaSpalding, tesaurizzando la recente edizionedell’epistolario fra Lavater Bonnet eBennelle a cura di Gisela Luginbühl-Weber.La provenienza dalla scuola di HansWysling – la tesi di dottorato della curatrice,costituita dall’edizione del Johann CasparLavaters Tagebuch aus dem Jahr 1761 ènata infatti sotto gli auspici del grandegermanista zurighese – si riflette nell’at-tenzione all’aspetto anche letterario deltesto: in particolare nella seconda partedell’introduzione (Zur Gattungs-, Wirkungs-und Rezeptionsgeschichte, pp. XXXIII-XLIII) viene messo a fuoco l’aspetto dellacorrispondenza fra Lavater e Martin Crugotche non interessa solo gli specialisti di storiadella chiesa: le modalità di lettura dellaSacra Scrittura.Il Register der nachgewiesenen Bibelstellenche individua tutti i loci biblici direttamentee indirettamente citati – lavoro paziente eprezioso oggi che il lettore ‘bibelfest’ è unaspecie estinta – abbraccia dodici pagine, adoppia colonna: la funzione della Bibbiacome The great Code di cui parla l’ormaicanonico libro di Frye si commenta da sola.Ben dieci registri vengono aggiuntinell’Anhang (pp. 697-760) ai registrioriginali di Lavater, che anche nelleAussichten mostra la sua predilezione per

questa attività tutt’altro che ‘neutra’ emeccanica. Come registri di prammaticatroviamo nell’appendice conclusiva quellidelle opere di Lavater citate, delle fonti, dellaletteratura critica e delle opere diconsultazione generale. A queste ultime(Nachschlagewerke, pp. 727-728) potrebbeaggiungersi con profitto il Lexikon deutscherDichter und Prosaisten di Karl HeinrichJördens, che tratta Lavater nel terzo volume(Leipzig 1808, pp. 155-231) e fornisceanche informazioni di prima mano sull’ecodelle Aussichten nei periodici: Jördenssegnala tra l’altro (a p. 196, concludendo lapresentazione delle Aussichten) unGespräch zwischen Lichtenberg und Lavaterüber die Aussichten in die Ewigkeit che nonho mai visto citato altrove. I registri chemeglio illuminano sullo specifico pregio diquesta edizione sono il terzo (Register dererwähnten Autographen, p. 709) e inparticolare il secondo, Register dererwähnten Korrispondenzen (703-707):registro che contempla ben ventiquattroepistolari oltre alle lettere di Zimmermanna Lavater (1767-1769) e di Lavater aZimmermann (1764-1769). Al di là deisempre accurati rimandi alle fonti a stampa,e, quando necessario, alla letteratura criticarelativa, sono le citazioni di fonti manoscrittenell’apparato di note al testo a fornire allettore una guida sicura ed efficacissima perorientarsi in maniera ottimale in un’operaassai ricca di implicazioni. Le Aussichteninfatti, destinate non a teologi o filosofi diprofessione, ma ad una élite colta,dichiaratamente indebitate con la Contem-plation de la nature di Charles Bonnet(“Père de cet ouvrage” come lo definisce unalettera al ginevrino del 18 dicembre 1768già citata dalla curatrice nel suo contributocritico del 1998 su Lavaters Aussichten indie Ewigkeit in Briefen an Johann GeorgZimmermann - Così a p. 205 dell’articolo(pp. 203-216) nella silloge a cura di HelmuthHolzhey e Simone Zurbuchen, Alte Löcher– neue Blicke, Chronos, Zürich 1997 e innota a p. 18 dell’edizione critica -, si nutronodi sterminate letture, che confermano il

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ruolo cruciale del retroterra teologico pertutta l’età dei lumi. Soffermarvisi è quantomai opportuno. Farlo sulla scorta di questaedizione è anche un piacere per l’occhio.Queste “lettere aperte” su un tema, la vitapost mortem e oltre la morte, dibattutissimonell’età aperta dal Phaedon oder über dieUnsterblichkeit der Seele (1767) pongonoproblemi tipografici notevoli, sia per laarticolatissima fisionomia dell’originale, siaper la modalità di edizione testé descritta.La soluzione di tali problemi è frutto dellafelice alleanza indicata sotto il copyright:“Verlegerische Betreuung und Gestaltung inZusammenarbeit mit der ForschungsstiftungJohann Caspar Lavater und dem VerlagNeue Zürcher Zeitung”. Il risultato: un libroche, nonostante il numero di pagine – oltre800 – non ha l’aspetto di un ‘mattone’ed ègraficamente elegantissimo. La funzionalitàcome bellezza è un principio che siconferma anche in typographicis.

Giulia Cantarutti

Eckhard Schumacher, Die Ironie derUnverständlichkeit, Frankfurt am Main,Suhrkamp, 2000, pp.337, DM 25,90

Sul fatto che per comunicare col prossimooccorra esprimersi nel modo più chiaropossibile, ci si trova generalmente d’ac-cordo. È, infatti, opinione comunementeaccettata il ritenere che la precisione abbiamaggior efficacia comunicativa dellavaghezza, la determinatezza dell’ambiguitàe l’ordine argomentativo del disordine lo-gico e concettuale. Per farsi capire efficace-mente, si pensa, occorre organizzare il pro-prio discorso in forma logica, coesa e conci-sa, evitando argomentazioni caotiche eambigue, digressioni dispersive e fuorvianti.Tale convinzione ha assunto, si può ben dire,il carattere di luogo comune e tutti appaionoin grado di capire che nulla è più efficaceed etico della chiarezza e della trasparenza.Vige, infatti, la convinzione più o menoconsa-pevole che esista addirittura una legge

morale naturale a sancire il dovere di direapertamente, senza fronzoli e doppiezze, ciòche si pensa: il nascondere il proprio pensieroin formule linguistiche oscure, indeterminatee incomprensibili può attirare facilmentel’accusa di perseguire subdolamente intentireconditi e, per questo, potenzialmentefraudolenti. Nella più favorevole delle ipotesisi deve fare i conti con l’accusa di ciarla-taneria, nella peggiore di oscurantismo eirrazionalismo. In ogni caso ci si attira ilrimprovero di non tenere in seria conside-razione né l’interlocutore, né l’oggetto delproprio discorso.Nonostante il pressoché generale favore cheottiene la posizione della chiarezza, dellasincerità e della serietà, ci si deve confrontaretalvolta con qualcuno che, curiosamente, siassume l’onere di opporsi al sentire comunee si schiera apertamente per forme comuni-cative oscure, ambigue e giocosamentedisimpegnate. Un caso recente è rappre-sentato da un giovane germanista di Colonia,Eckard Schumacher. Per la verità Schu-macher non prende affatto a cuor leggero taleimpegno e non dà affatto l’impressione disentirsi isolato nella sua posizione. Sceglie,infatti, una buona compagnia di scrittori eteorici quali Hamann, Fr. Schlegel, Derrida ede Man per mettere in gioco con acribia unben nutrito arsenale di argomentazioni asostegno della sua posizione tanto vulnerabilequanto minoritaria.Il primo passo che compie è quello di definirel’orizzonte teorico nel quale possa trovarefondamento la valorizzazione degli aspetticomunicativi e conoscitivi dell’oscurità. Laconcezione del testo di Derrida, secondo laquale „Ein Text ist nur dann ein Text, wenner dem ersten Blick, dem ersten, der daherkommt, das Gesetz seiner Zusammensetzungund die Regel seines Spiels verbirgt“(Schumacher cita da: Jacques Derrida,Dissemination, Übersetzt von Hans-DieterGondek. Wien 1995, S. 71), gli forniscel’opportunità di definirlo nell’ambito dellariflessione postmoderna e decostruzionista.Nell’orizzonte postmoderno, così come sievidenzia nella formulazione di Derrida,

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l’oscurità è considerata infatti come unelemento costituitivo della comunicazione,un elemento che rende la comprensione unprocesso mai definibile a priori, ma sempresoggetto a revisione, mai un evento chepossa concludersi e trovare certezze, macome un compito che può risolversi unica-mente in soluzioni parziali e contingenti.Non stupisce allora se da tali premesseSchumacher ricorra alla tradizione erme-neutica, costituitasi originariamente inespressa contrapposizione alla prassiinterpretativa dell’Illuminismo, chevalorizza il fraintendimento come unapossibilità di rendere infinito, mai conclusoil processo della comprensione. In tal sensomenziona sia Schleiermacher – Während fürChlaudenius das „Amt des Auslegers“aufhört „wenn man das Buch vollkommenversteht“, zeichnet sich SchleiermachersProjekt gerade dadurch aus, dass esunabschließbar erscheint: „Das Verstehennach der letzten Maxime ist eine unendlicheAufgabe“ (p. 49) – sia Fr. Schlegel – „WasChlaudenius als Problem beschreibt,verwandelt Schlegel in ein Qualitäts-merkmal, indem er unterstellt, dass „jedesvortreffliche Werk, von welcher Art es auchsei, mehr weiß als es sagt, und will als esweiß“ (p. 53).La riflessione ermeneutica di Gadamer checonsidera la comprensione mai ovvia masempre dipendente da una “volontà dicomprendere” – Im Falle alternativer,abweichender oder ausschweifenderSinnentwürfe hat die Auslegung inGadamers Konzeption dem Idealbild deseinheitlichen Sinns zuzuarbeiten (p. 54). Soliegt überall, wo Verständigung gesuchtwird, ein guter Wille vor (p. 55) – e quelladi Blumenberg che colloca nell’indeter-minatezza semantica il valore estetico di untesto – „Es wird ein Punkt erreicht, an demder semantische Dienstwert der Sprachegleichsam versagt. Ich werde nichtbehaupten, daß in diesem Grenzereignisselbst der Spitzenwert der ästhetischenMöglichkeit der Sprache zu sehen ist; aberdie Nähe der Gefährdung durch dieses

Grenzereignis bestimmt wesentlich denästhetischen Reiz der Sprache“ (p. 59) –rappresentano ulteriori contributi allatradizione interpretativa che fornisce aSchumacher gli strumenti per difendere evalorizzare l’oscurità dei testi, degli autori,di cui si occupa.Di non secondaria importanza è inoltre unadecisa differenziazione rispetto a posizionisolo apparentemente omogenee a quellericonducibili all’orizzonte postmoderno.Così sia la posizione di Hugo Friedrich chepropugna una Ontologisierung dell’oscuritànell’interpretazione della lirica di Mallarmé– Mallarmé leitet, schreibt er [Friedrich],„dunkles Dichten aus jener Dunkelheit ab,die im Urgrund aller Dinge liegt und sichnur in der ´Nacht des Schreibens ein weniglichtet´“ (p. 71) – sia quella di GeorgeSteiner che vede nell’oscurità la meta di unprocesso che giunge a compimento – DerKonsens, dass das „movement towardsdarkness“ ein nachvollziehbarer undzielgerichtet angelegter Prozess ist, scheintaber auch hier kaum in Frage gestellt (p.73) – corrono il rischio di ricadere in unaconcezione mimetica della rappresenta-zione, concezione messa espressamente indiscussione da un testo che producendo percosì dire oscurità, si preclude consape-volmente la prerogativa costitutiva di ogniintento mimetico: la trasparenza. (p. 74).L’aspetto incomprensibile del testo hasemplicemente lo scopo, nella posizione diFriedrich e Steiner, di riprodurre una realtàgià di per sé incomprensibile, e non èespressione di una particolare, consapevolestrategia comunicativa.Hamann, Fr. Schlegel, Derrida e de Man,secondo Schumacher, non intendono, infatti,né attribuire all’oscurità il carattere di unostilema qualitativamente superiore allachiarezza, né considerarla il modellocontrapposto alla comprensibilità, ma, comeformula direttamente Schumacher, “ [dieUnverständlichkeit] erscheint als einesemantisch je verschieden aufgeladeneVariabel, über die vorgegebene Begriffe undOppositionen ebenso wie bestimmte

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Formulierungen und einzelne Wörterbearbeitet, verstellt oder ironisiert werden”(p. 82). Questo significa che per affrontarel’incomprensibilità di un testo non èsufficiente affidarsi ad un modellointerpretativo privilegiato che offra soluzionigeneralmente valide, ma occorre ogni voltaindagare come stili, scelte lessicali, topoi siintrecciano nell’originalità e nellacontingenza dei diversi testi e porsi ognivolta il quesito di come l’oscurità possaessere citata, parafrasata, commentata (p.85). L’oscurità non è, in altre parole, unavariabile costante di un modello altrettantocostante, ma il frutto di una possibilitàimprevista che trova, che può solo trovareuna realizzazione particolare e contingente.In tal senso l’oscurità dei testi istituisce unaforma di comunicazione per cui la tradizioneermeneutica romantica inauguarata daSchleiermacher fornisce il modellointerpretativo più appropriato: oltre alcompito di decifrare i segni della linguaoccorre porsi ogni volta domande in meritoall’intenzione individuale, alla particolaritàdell’autore.Per questa ragione l’oscurità – così comeviene proposta per esempio nei testi diHamann – dimostra come non si possaaffatto presupporre un atto del comprendereche si affidi semplicemente a normecodificate, a prassi metodologicheconsolidate e che tenda a riprodursiindipendentemente dall’interlocutore o dalcontesto comunicativo in cui si realizza.Nello stesso tempo svela, da un lato, comeillusoria l’attesa che oltre ogni aspettooscuro ed enigmatico si celi una originariachiarezza da riportare alla luce; dall’altrosmaschera come anche l’apparenza diorganicità, sistematicità e chiarezza di untesto si fondi su intuizioni soggettive, aspettiambigui e fattori contingenti. In tal sensosintetizza Schumacher: Hamann problema-tisiert die Vorstellung, dass hinter jederdunklen Stellen etwas verborgen ist, das derKommentar zu entdecken hätte, heraus-zufinden könnte, ebenso wie die Annahme,ein einheitlicher, klar durchstrukturierter

Text würde nicht auf Einfällen, Zufällen undZweideutigkeiten aufbauen, diesereproduzieren, von diesen immer schonvervielfältigt (p. 145).Il capitolo dedicato a Fr. Schlegel approfon-disce la riflessione su un atto del comprenderenon concepito come scoperta e riproduzionedi una chiarezza originaria e, dunque,generalmente vincolante, ma come incontroe come fusione momentanei di diverse letture,di differenti modi di intendere. Una citazioneschlegeliana da Zur Poesie und Litteratur(Schumacher cita da: Friedrich Schlegel, IX,669. In: KA XVI, S. 309) – Das künstlicheLesen besteht darin, daß man mit andern liest,nämlich auch das Lesen andrer zu lesen sucht(p. 163) – ne indica efficacemente laconformazione: fondere nella propria letturaun modo di leggere altrui richiede lasospensione di ciò che già si conosce – diuna conoscenza oggettiva, stabile,generalmente valida – per entrare in sintoniacon il momento soggettivo, contingente,irripetibile che ha prodotto l’oscurità. È alloranel carattere costitutivo di tale fusione l’essereconcepita come momento incompleto, comegesto ambiguamente imperfetto, giacchél’assunzione di una posizione altrui puòtrovare unicamente una concretizzazioneparziale e incerta. Del resto l’assolutacomprensione dell’altro, la trasformazionedell’oscurità in chiarezza e dell’alterità inomogeneità, non potrebbe che coincidere colloro assoluto misconoscimento: le differenzee le specificità verrebbero trasformate nel lorocontrario, cioè in corrispondenze, inomologie. Per questo il gesto che mira acomprendere l’oscurità, se si concepisce nellaconsapevolezza del paradosso che locostituisce, non può che realizzarsinell’oscillazione tra polarità opposte senzache l’una abbia il sopravvento sull’altra: Esgeht weder um eine einseitige Festlegungnoch um eine dialektische Aufhebung,sondern um den Wechsel zwischen„absolutem Verstehen und absolutemNichtverstehen“ (p. 167).Fr. Schlegel prefigura in tal modo una letturae una scrittura che non considerino

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l’intendimento come il presupposto dellacomunicazione ma come l’obiettivo futuro,che non si affidino ad una chiarezza già data,ma che si impegnino sì a ricercarla e tuttavialo facciano sorrette dalla consapevolezzache una comprensione definitiva dell’intentoaltrui conduce inevitabilmente a un suodefinitivo misconoscimento. Un testooscuro non presuppone dunque un lettoregià esistente, già identificabile comepresenza, ma un lettore che deve ancoraformarsi: un lettore futuro, ma di un futuroil cui compimento si sa inevitabilmentedestinato a misconoscere l’intento altrui.La dimensione comunicativa dell’oscuritàsi manifesta allora nella ricerca di un lettoreche sappia concepire una futura compren-sione non come meta raggiungibile, macome segno dell’incompletezza, dell’imper-fezione, dell’incertezza della sua compren-sione attuale. In tal senso, e solo in tal senso,per esempio, Das Athenäum setzt keingegebenes Publikum voraus, sondernversucht vielmehr, ein neues herauszu-fordern und auszubilden (p. 172).Il riferimento alle critiche di fautori dellachiarezza – Schumacher si soffermaampiamente nel commento al romanzoepistolare satirico di Nicolai VertrauteBriefe von Adelheid B** an ihre FreundinJulie S** – mostra come queste misco-noscano pervicacemente proprio l’aspettodi maggior rilevanza, il presuppostofondamentale dell’oscurità: la messa indiscussione della possibilità sia di esprimerecompiutamente se stesso, sia di compren-dere interamente l’altro. Schumacherriscontra così come tale misconoscimentorenda la critica a Schlegel indifferenziata egenerica: Die Satire versucht nicht, sich mitden Fragmenten auseinanderzusetzen,sondern integriert sie in ein vorformuliertesProgramm, das von den vermeintlichselbsverständlichen Verständlichkeits-maximen geprägt wird, die Nicolais Positionbereits in den Polemiken gegen Hamannbestimmen (p.177).Schumacher dimostra così attraversoun’attenta analisi testuale come le critiche

di Nicolai trascurino colpevolmentel’aspetto funzionale, la dimensione per cosìdire costitutiva del testo ‘oscuro’: losmascheramento di come sia illusoria ognicertezza, ogni ricerca di definitività eassolutezza. Nicolai non potendo o nonvolendo mettere in discussione ilpresupposto illuminista della comprensi-bilità assoluta e definitiva, non può cherifugiarsi in una diagnosi su una presuntapatologia dell’autore e del testo (p. 175).Le numerose pagine dedicate da Schu-macher all’ironia ripropongono unacategoria fondamentale della riflessioneromantica proprio nelle sue dimensionifunzionali e performative, nella suaconformazione di gesto comunicativo. In talsenso si chiarisce il titolo Ironie derUnverständlichkeit, una formulazione checontraddice un’aspettativa consolidata: nonè l’ironia a rendere difficilmente compren-sibile un testo e l’intenzione comunicativadi cui è espressione, ma viceversa èl’incomprensibilità di un testo a costituire ilfondamento del gesto ironico, a produrlo.L’ironia, in altre parole, non si sovvrapponea una presunta originaria chiarezza pernasconderla, ma si produce grazie allaconsapevolezza della connaturata indetermi-natezza di qualsiasi gesto linguistico. E,infatti, l’ironia è considerata come indice diun atteggiamento comunicativo consapevoledell’impossibilità di definire contorni nettitra giocosità e serietà, tra comprensibilità eincomprensibilità: Ironie wird weder demErnst entgegengestellt noch auf die Seite desScherzes gestellt, sondern zeichnet sichgerade dadurch aus, dass sie beide Seitennebeneinander rückt [...] Die Ironie verstelltdie Möglichkeit, zwischen Verständlichkeitund Unverständlichkeit zu unterscheiden (p.225).In tal senso l’ironia, così come i witzigeEinfälle di cui parla Fr. Schlegel nel saggiosu Lessing, non sono da intendere comeelementi stilistici, come caratteri immanentidella scrittura o come espressione di unaposizione filosofica, bensì come Modi desVerstehens (p. 230), in particolare

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presuppongono e fondano una compren-sione liberata – nella formulazione diSchleiermacher ripresa da Schumacher –dalla Wut e dal Joch des Verstehens (p. 230).Il gesto ironico e scherzoso che non separail serio dal faceto, l’oscurità dalla chiarezza,fonda la comprensione non in unatteggiamento di vorace assimilazione cheesige ad ogni costo immediatezza ecompletezza, ma in una volontà di capireche rinunci a certezze illusorie, che, dunque,sappia prefigurare una comprensione futuraaccentuando i limiti, la parzialità el’incompiutezza di quella attuale. Per questaragione il gesto ironico esige uninterlocutore che non si ponga in conflittocon lo scorrere del tempo e cerchi così diannullarlo, ma sappia per così dire‘convivere’ col futuro rendendo lo spaziotemporale fecondo di possibilità molteplici,liberandolo dal ‘giogo’ di confini stabilitiuna volta per tutte.Il capitolo dedicato a Derrida rifletteprevalentemente sulle implicazionirelazionali e performative che accompa-gnano atteggiamenti comunicativi caratte-rizzati dall’ambiguità, dall’indetermi-natezza, dall’oscurità. Sulla scorta dellamassima di Nietzsche, secondo la qualenell’atto del comprendere accade sempreanche qualcosa di diverso e di più dellasemplice comprensione (p. 261), Derridaconcepisce l’oscurità alla stregua per cosìdire di un appello all’interlocutore aoltrepassare i suoi limiti conoscitivi attuali.In tal senso fa propria la riflessione diHeidegger – riflessione che trova peresempio applicazione nelle formecomunicative oscure delle avanguardienovecentesche – sui limiti conoscitivi neiquali è confinata la comprensibilità dei testifilosofici: “Denn Verständlichkeit zwängt jaalles in den Umkreis des bisherigenVorstellens zurück [...] das Sichver-ständlichmachen ist der Selbstmord derPhilosophie“ (p. 264; Schumacher cita da:Martin Heidegger, Beiträge zur Philosphie(Vom Ereignis) [Gesamtausgabe Band 65],Frankfurt/M. 1989, S. 435).

Lo ‘scandalo’ sollevato da chi si ribella allaconfusione provocata, per esempio, dallacontaminazione del discorso specialisticodella filosofia con linguaggi appartenenti atradizioni discorsive scherzose e disimpe-gnate, è allora da ricondurre al desiderio diconfermare le proprie certezze e, quindi, allanon volontà di riconoscere il fondamentocontingente, il carattere autoreferenziale egiocoso della tradizione filosofica “seria”:Skandalös sind nicht nur die Wortspiele undSpäße, die die „new french philosophers“ denLesern zumuten, skandalös ist vor allem, dasssie die auch und gerade in der philo-sophischen Tradition festgeschriebene,wertende Unterscheidung von Ernst undScherz nicht ernst nehmen (p. 286).Il capitolo conclusivo dedicato a de Manriprende per così dire circolarmente laconcezione schlegeliana dell’ironia: non sitratta di riconoscere al gioco ironicosemplicemente la prerogativa di superare iconfini tra i diversi linguaggi, di svelare lemolteplici funzioni che accompagnanol’espressione linguistica, ma si trattasoprattutto di riconoscerne l’intento dimettere in radicale discussione le possibilitàdell’atto del comprendere: “Im Rückgriff aufFriedrich Schlegel macht de Man Ironie sozu einer Figur, die nicht nur die Grenzentropologischer Bestimmung und Klassifika-tionen, sondern auch das Verstehen, dieMöglichkeit des Verstehens, systematischauflöst” (p. 323). Il riconoscimento dell’inac-cessibilità di ogni comprensione definitivaconduce a concepire una forma di testualitàcaratterizzata da una sua costitutivadinamicità, dall’appello a pensarsi lettori ingrado di assumere ruoli e consapevolezzeassoggettati alla contingenza di ognisituazione comunicativa, alla dinamica deldivenire: ...wenn die Vervollständigung desVerstehens permanent aufgeschoben wird,wenn erkenntnisleitende Oppositionenreformuliert und reproduziert, aber nicht ineiner neuen, überzeitlichen Einheitaufgehoben werden, entsteht eine Form vonTextualität, die sich durch eine unfassbareBeweglichkeit, durch ein ständiges,

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schwindelerregendes Aus-der-Rolle-Fallenauszeichnet (p. 325). Nella dimensioneperformativa che fa del lettore una entitàdinamica e incontrollabile è racchiuso il fineultimo dei testi che si negano allacomprensione, non nell’incomprensibilitàfine a se stessa: anch’essa non puòpresentarsi come il momento definitivo e lasua constatazione non può costituirel’obiettivo, ma il presupposto di ognicomunicazione che acquisisca il caratteredinamico e imprevedibile di un accadimento(p. 333).Coerentemente con tale interpretazionedell’oscurità Schumacher non cade nellatentazione paradossale di spiegare cosa essasia, ma ne indaga la dimensionecomunicativa, in particolare appunto ilcarattere performativo, e costruisce undiscorso che sapendosi consapevole dellaparadossalità dell’intento di fare chiarezzasull’oscurità, non ambisce a fornire risposte,ma a sollevare interrogativi. Significativo inquesto senso il fatto che la maggior partedei capitoli si concluda non conconstatazioni ma con domande: anche ildiscorso espositivo ed esplicativosull’oscurità – esattamente come l’oscuritàstessa – non può offrire certezze ma soloporre quesiti che attendono di essere risoltial fine di smascherarne ulteriori.

Cesare Giacobazzi

Robert Walser und die moderne Poetik,herausgegeben von Dieter Borchmeyer,Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1999, pp.251, DM 19.80

Ai lettori dell’“Osservatorio Critico dellagermanistica” non sarà certo sfuggito ilpuntuale ripresentarsi sulle pagine dellarivista del nome di Robert Walser, graziealle circostanziate recensioni dedicate ataluni tra i più recenti e significativicontributi della ricerca sull’opera del poetadi Biel. Questa pubblicazione curata daDieter Borchmeyer precede di poco l’uscita

dei due volumi con i quali Suhrkamp hacompletato l’edizione dei microgrammiwalseriani, pazientemente decifrati daBernhard Echte e Werner Morlang,testimoniando così da parte della casa diFrancoforte il perdurare di un impegnoassiduo, ormai di vecchia data, nelladivulgazione degli scritti di Walser e dellaletteratura critica in proposito. Se ciò puòessere sufficiente a garantire l’elevato livellocomplessivo degli interventi raccolti inquesta sede, l’approccio alla poeticawalseriana denotato da alcuni di essi lasciatuttavia perplessi. D’altronde va subitochiarito che i dubbi e gli interrogativisuscitati da tali proposte interpretative nonfanno che richiamare tutte le insidieesegetiche che a volte l’arte di Walser, inquesto senso ricettacolo delle vitalicontraddizioni che innervano tanti aspettidella Moderne, dà l’impressione di con-fezionare meticolosamente per i proprilettori, anche i più spassionati, mostrandoquasi di compiacersene, persino con qualchemalizia.Già la scelta del titolo della collettanea quiin questione autorizza una serie di riflessionicritiche intorno alla particolare posizione diWalser in seno alla letteratura di linguatedesca dei primi decenni del Novecento.Nella nota introduttiva il curatore informache nel libro vengono stampati gli atti delconvegno tenuto a Heidelberg nel novembredel 1995, il cui tema, “Dichtung im Spiegelder Dichtung. Robert Walser und diemoderne Poetik”, presuppone e promette unimpegno che nel volume suhrkampiano nonè rispettato appieno e che pure, a guardarecon attenzione, offre la chiave di volta peruna corretta valutazione della sostanza diquesto lavoro. Si tratta di un’omissione che,quali che siano le ragioni sopraggiunte adeterminarla, grava come una pesanteipoteca sulla silloge di relazioni sempreinteressanti e documentate, e tuttavia inqualche caso troppo distanti dall’obiettivodi una vigile ricognizione dei più intimirecessi del senso dell’iscrizione per così direattiva di Walser nell’ambito della poetica

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primonovecentesca.In questo momento gli studi walseriani nonpossono più non tener conto della svoltaimpressa dalla seminale ricerca di Peter Utz(Tanz auf den Rändern. Robert Walsers‘Jetztzeitstil’, Frankfurt a. M., Suhrkamp,1998, per la quale è indispensabile tornarea leggere la recensione di Anna Fattoriapparsa nell’“Osservatorio Critico dellagermanistica” II - 4, pp. 17-21), improcra-stinabile ri-modernizzazione, supportata daun grande rigore filologico, di un autorerelegato da troppe voci con fare disinvoltoa un ruolo marginale e inoffensivo. Alcuniepisodi di Robert Walser und die modernePoetik scelgono però con tutta evidenzaun’altra via. Essi paiono ritrarsi, senza maiconfessarlo apertamente, verso il comodotopos del poeta-fanciullo, tanto lontano dallepreoccupazioni della propria epoca al puntoda sprofondare nel reiterarsi di untautologico esercizio di autocitazione. Ora,in più di un caso negli atti del convegnoheidelberghese il concetto e soprattutto laportata dell’intertestualità – e già quioccorrerebbe subordinare il richiamo di talepresenza nell’opera di Walser all’indaginepiù accurata di una creatio sovente nascostadietro il velo di una poesia straordinaria-mente e schillerianamente naiv – vengonoequivocati fino a trasferirli per interonell’infido dominio dell’autoreferenzialità.Proprio questo errore di prospettivametodologica determina l’accoglimento el’ulteriore divulgazione dell’immagine di unWalser-Kaspar Hauser che studi comequello citato di Utz dovrebbero, in manieradefinitiva, aver reso sbiadita eimproponibile, consumata dal nervosovigore di una convinta ma talvolta pocoappariscente complicità intellettualedell’artista elvetico con la rischiosa scritturadi nuovi canoni poeto-logici.Ciò malgrado, lo sbilanciamento verso letematiche a (troppo) vario titolo relativeall’intertestualità fa sì che della romantica-mente suggestiva “poesia agli occhi dellapoesia” attraverso la quale il primoimportante simposio tedesco sulla poetica

walseriana intendeva riconsegnare il poeta diBiel alla sua dimensione di attiva contem-poraneità non si trovi traccia in ciascuno deglistudi confluiti nel volume qui recensito. Sottoquesto aspetto si segnala allora per lachiarezza dell’esposizione e la felice sceltadegli strumenti d’analisi l’intervento diThomas Horst (Probleme der Intertextualitätim Werk Robert Walsers, pp. 66-82), che siapre domandandosi un po’ provocatoria-mente, sulla scorta della proiezione dell’auto-re oltre i confini del moderno, proposta daClaudio Magris e Jochen Greven, “Ob dieseKonzeption von Intertextualität für dasVerständnis von Walsers Werk überhaupthilfreich sein kann” (p. 66). La risposta diHorst si sviluppa a partire da una correttacollocazione del concetto di intertestualità nelsolco delle riflessioni di Michail Bachtin,Roland Barthes e soprattutto Julia Kristeva,dove si sottolinea la necessità di considerareil lato dialogico della questione; un aspettocerto non inedito, eppure troppo trascuratodell’arte di Walser, l’affermazione di unaaristocratica autonomia sociale del soggetto-poeta (principalmente nei confrontidell’assurda e alienante idea-prassi borghesedella Halbbildung) concorre – senza tuttaviamai nominare la palese ascendenzacarlschmittiana – a oggettivare le polarità deldiscorso intertestuale in Walser “imSpannungsfeld des Ausnahmezustandes derExterritorialität, in dem seine ästhetischeSubjektivität sich der Welt der Bildunggegenüber befindet” (p. 82).Anche il contributo di Jochem Kießling-Sonntag, ”Mannigfaltige Meinungendurchkreuzten ihn wohltuend”. Goethe-Ansichten Robert Walsers (pp. 116-139) sidistingue per l’accezione performativa eproduttiva che riserva al problemadell’intertestualità. Lo studioso riesce infattia svuotare di senso il cliché del risentimentocon cui Walser, eterno perdente, guarde-rebbea figure come quella di Goethe, depositariedi un prestigio sociale negato invece, adesempio, a un Lenz che godrebbe per controdelle incondizionate simpatie del poetaelvetico. Kießling-Sonntag vede invece

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slanciarsi negli scritti di Walser, e soprattuttonella splendida e poco frequentataNaturstudie, “eine Brücke von der eigenenÄsthetik der Vermittlung von Bewegungund Stille zu tradierten Vorstellungen voneiner positiv konnotierten bewegten,lebendigen Stille, die seit der Antike inReligion und Philosophie wirksam sind undvon denen Goethe sich in seinen Schriftenstark beeinflußt zeigt” (p. 134). A questopunto non pare fuori luogo l’inserimentonella trattazione di un interessante esempiodi procedura intertestuale ex negativo, conil quale, facendo leva sulla nota e a quantopare ricambiata avversione nutrita da Walsernei confronti di Thomas Mann, Kießling-Sonntag profila una facies della specificitàwalseriana forse non del tutto nuova, ma sucui è il caso di ritornare: né avulsione nétanto meno spontaneo isolamentodeterminano la peculiarità di una vicendapoetica clamorosamente altra, bensì, anchequi, una ‘aristocrazia dello spirito’ che,guardando a Goethe, rifiuta di disperdersinel coro adulante del “geistiges Deutsch-tum” che si leva anche dal saggio thomas-manniano sulle Wahlverwandschaften.Come tale inclinazione di Walser alladifferenza si esplichi nel più soffertocoinvolgimento nella discussione poeticadel proprio tempo viene tuttavia ricordatodallo stringato ma magistrale intervento diViktor Zmegac, Robert Walsers Poetik in derliterarischen Konstellation der Jahr-hundertwende (pp. 21-36); il dettato dellaricostruzione storico-letteraria, mossa,verrebbe quasi da dire, dalla ripresa dicategorie auerbachiane, si combina qui conesiti quanto mai accattivanti con il gioco diun Walser sempre in equilibrio trainfantilismo e gravità, società e natura,financo – con un interessante e forse troppoconciso confronto con Kafka – tra storia emito. Piuttosto che prolungare l’effetto diquesta proficua ambiguità sin nei domini delpostmoderno, suggerisce Zmegac, sarebbepiù utile ravvisarvi la presenza di unacalcolata illogicità che imparenta l’artewalseriana con le più radicali provocazioni

delle avanguardie storiche. Ma sotto questoaspetto nemmeno la ricerca sull’interte-stualità nelle opere di Walser e attorno a essepuò avanzare pretese di univocità edefinitività, e sarà invece destinata a valicarei ristretti ambiti della filologia, per seguirele tracce di “eine Deutung, die nicht vongeschichtlichen Zusammenhängen ausgeht,sondern von ontologischen oder anthropolo-gischen Gesichtspunkten” (p. 35).E proprio in tale direzione pare andarel’avvincente indagine di Marion Gees, ”UmOphelia wob etwas?“ – WeiblicheTheatralität und Szenarien poetischerEntgrenzung (pp. 187-208), dove partendodall’interesse di Walser per figure femminilidalla fortissima presenza scenica (anche aldi fuori del contesto drammatico) la studiosaindividua nel ricorrere nei lavori walserianidi questo e altri motivi, quali lo specchiod’acqua, oppure la neve, un rimando internoche va oltre la pura e semplice autore-ferenzialità. Intertestualità è qui prezioso eaffascinante gioco di incastri nel processodella composizione poetica di figurazionirievocate dal regno dell’ineffabile, e tuttaviaaperte al tempo stesso sul passato(Shakespeare, Rousseau), sulla contem-poraneità e su scenari futuri, a dar corpo auna affascinante “Enigmatik, welche nichtzuletzt die zur Zeit der Jahrhundertwendein Literatur, Kunst und Psychoanalysegängigen Vorstellungen vom Rätsel Weibhinter sich läßt und die zudem die Rede ausfestgefügten tradierten sprachlichenKontexten befreit” (p. 208). Altrettantoammaliante è la trattazione di DieterBorchmeyer, ”Wo Trauer schön ist und dieWehmut herrlich”. Robert Walsers Mozart(pp. 209-230), che a dispetto del titolo nonsi incentra sulla venerazione invero alquantomanierata per il grande Salisburghese –Walser mostra a conti fatti di conoscere soloil Figaro, il Don Juan e la Zauberflöte.Borchmeyer, come del resto è lecitoattendersi, costruisce il proprio ragio-namento sull’asse di una concezione tragica,tardoromantico-wagneriana della musica,che vede attagliarsi anche alla tipologia del

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dilettante walseriano. In questo senso, ilMozart filtrato attraverso l’orecchio, masoprattutto l’occhio del Walser che assistealla rappresentazione della Zauberflöterende la quintessenza della magmaticacontraddittorietà che sottende ognicaratterizzazione dell’intertestualità nel finde siècle. Ecco allora giustificata lastrettissima parentela spirituale tra ilwalseriano Fritz Kocher e il thomas-manniano Hanno Buddenbrook, ambedueestranei all’ambito del vitalismo proprioperché privati dal loro dilettantistico amoreper la musica del Wille zum Leben; e pure,quasi ad anticipare il dopo-Auschwitz diAdorno, ecco pure un Walser colpito a talpunto dagli orrori della guerra, di cuil’umanità è stata capace malgrado lastupenda arte mozartiana, da riscrivere insenso pessimistico, con i Worte überMozarts >Zauberflöte<, il sereno finaledell’opera.Mentre lo studio di Jochen Greven, ”Einer,der immer irgend etwas las”. ThematisierteLektüre im Werk Robert Walsers (pp. 37-65),testimonia una profondissima conoscenzadell’autore elvetico e propone unaperiodizzazione del suo status diinstancabile lettore secondo un metodo che,come rileva giustamente Greven, oggi sidirebbe mentalitätsgeschichtlich, quello diPeter Huber, ”Dem Dichterunstern gänzlichverfallen”. Robert Walsers Kleist (pp. 140-166) non pare illuminare di nuova luce lastoria di un rapporto assai controverso. Sitratta però di una serie di puntualizzazioniutili a misurare meglio la portata della ormaiben nota assimilazione cui Walser sottoponei propri eroi letterari; tale utilità, per contro,non traspare dai contributi di MonikaLemmel (Robert Walsers Poetik derIntertextualität, pp. 83-101), Tamara S.Evans (”Im übrigen ist er ein wenig krank”:Zum Problem der Selbstreferentialität inRobert Walsers Dichterporträts, pp. 102-115) e Andrea Hübner (”Das Märchen jasagt…” – Märchen und Trivialliteratur imWerk von Robert Walser, pp. 167-186), dovesi assiste piuttosto, sulla falsariga di una

preoccupante tendenza denotata negli ultimianni dalla Walser-Forschung d’oltralpe, allariduzione della pagina walseriana a campodi esercitazioni in sé stimolanti, ma spessocondotte ai rischiosi limiti di una linguisticapedante e tecnicistica. Detto che l’interventodi Peter Utz, ”Wenn ich reden will, so leiheich mir sogleich zwecks Zuhörerschaft dasOhr”: Walsers Ohralität (pp. 231-251)ricompare in una versione sensibilmenteestesa nel citato Tanz auf den Rändern, nonresta che statuire un raffronto tra gli atti diquesto convegno e quelli del simposioromano del 1985, raccolti da Paolo Chiarinie Hans Dieter Zimmermann nel volume‘Immer dicht vor dem Sturze…’ Zum WerkRobert Walsers, Frankfurt a. M., Athenäum,1987, per annotare in quest’ultima silloge unaampiezza del ventaglio di proposte critiche einterpretative non superata dall’incontroheidelberghese. Ma auguriamoci ugualmenteche iniziative di questo genere si ripetano conmaggior frequenza, per scongiurare ilpericolo che anche ai germanisti si possaestendere l’accusa rivolta da Walser aglieditori – dai quali, com’è noto, ricevette unpessimo trattamento – e menzionata daSiegfried Unseld nell’introduzione al tomosuhrkampiano, “da sie’s unredlich mit mirmeinen”.

Stefano Beretta

Identités – existences – résistances:Réflexions autour des Journaux 1933-1945de Victor Klemperer, “Germanica”, 27/2000,textes réunis par André Combes et DidierHerlem, Université Charles-De-Gaulle- Lille3, pp. 243, 80 FF (per acquisti e abbonamenti:[email protected])

Wolfgang Mieder, “IN LINGUA VERITAS”.Sprichwörtliche Rhetorik in VictorKlemperers Tagebüchern 1933-1945, EditionPraesens, Wien 2000, pp. 162, s.i.p.

La rivista semestrale “Germanica”, diretta da

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André Combes dell’Università di Lille, ènota agli studiosi di germanistica per i suoifascicoli monografici su temi dellaletteratura tedesca e scandinava moderna,spesso affrontati sotto prospettive inusuali:tra i numeri passati si ricordano un quadernosulla Bibbia nella letteratura tedescamoderna (24/1999) e un altro fascicolo del1995 sul tema della miniera nella cultura enella letteratura tedesca, mentre il numeropiù recente (29/2001) è dedicato a letteraturae viaggio nella cultura scandinava del ’900.Il fascicolo 27/2000 della rivista è incentratosu Victor Klemperer e raccoglie le relazionidi un convegno tenutosi a Lille nelnovembre 1997. La struttura del convegno,e quindi anche del fascicolo che neriproduce gli atti, è calibrata con cura attornoa tre piani tematici: un primo ambito hacarattere storico-biografico, con contributisull’identità ebraico-tedesca di Klemperer(cfr. i saggi di Rita Thalmann e IreneHeidelberger-Leonard), sulla questione dei“matrimoni misti” durante il Terzo Reich(Didier Herlem), sul ruolo svolto nei diari enella biografia di Klemperer dalla consorte“ariana”, Eva Schlemmer (si veda il saggiodi Gaby Zipfel), sul valore storico eautobiografico dei diari 1933-45, cronacadell’emarginazione e, al contempo,testimonianza di un riscatto tramite lascrittura. Su quest’ultimo aspetto sisofferma André Combes nel lungo saggio:“Ein Gezeichneter zeichnet auf: Sub-jektivierungsprozesse in Victor KlemperersTagebüchern 1933-45”, in cui l’autore, conun’analisi raffinata, intrecciata diannotazioni letterarie, sociologiche epsicologiche, considera la pratica diaristicadi Klemperer negli anni del nazismonell’ottica di una Überlebensstrategie(Klemperer stesso definì la pratica diaristicadi quegli anni un’ “asta di equilibrio”),attuata in una condizione di assolutaemarginazione e di totale sconvolgimentodelle proprie abitudini e del proprio habitusmentale (Combes ricorre a questo propositoal concetto di “Verlassenheit” formulato daHannah Arendt, che con questo termine

intendeva appunto la condizione di chi vedeandare in frantumi il proprio mondo e leproprie relazioni sociali a causa disovvertimenti storico-politici).Segue poi una sezione sull’analisiklempereriana del linguaggio nazista e sullagenesi del celebre LTI. Notizbuch einesPhilologen (1947), con un saggio di IrvingWohlfahrt, che coglie acutamente alcunecontraddizioni dell’indagine di Klemperersulla lingua del nazismo, il contributo diNicole Fernandez-Bravo, che esamina conprecisione filologica le caratteristiche dellinguaggio nazista e l’articolo di IsabelleVodoz, vòlto a ripercorrere la genesi delvolume LTI a partire dalle annotazionidiaristiche.In chiusura del presente numero di“Germanica” sono riportati i contributi diAnne-Marie Corbin e Rammon Reimannche affrontano una questione ancora nonsufficientemente indagata: il ritorno diKlemperer nella Dresda occupata dalletruppe sovietiche e la posizione ideologicadel filologo nella DDR degli anni Cinquanta.Nel giugno 1945, quando Klemperer e lamoglie fanno ritorno nella loro città, lacomunità ebraica di Dresda, cui prima dellaguerra aderivano 6000 persone, conta solododici sopravvissuti. Già nei primi mesi dioccupazione sovietica comincia a profilarsil’atteggiamento ambiguo con cui la DDRdei decenni successivi avrebbe gestito laquestione dello sterminio ebraico: lo statusdi “vittima del fascismo”, che comporta laconcessione di alcuni privilegi, è infattirilasciato solamente a coloro che siano statirinchiusi in campo di concentramento perragioni politiche. Nel settembre 1945vengono riconosciuti come “vittime delfascismo” anche gli ebrei deportati –categoria alla quale comunque Klemperernon appartiene – ma la distinzione tra“vittime del fascismo” e “combattenti controil fascismo”, che includeva appunto idissidenti politici, perdurò sino alla finedella DDR, creando una sorta di scalagerarchica tra i perseguitati del nazismo, incima alla quale stavano coloro che avevano

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effettivamente e attivamente combattuto ladittatura. In un contesto così fortementepoliticizzato, Klemperer si rende contodell’ineludibilità di una scelta politica e,seppur con qualche perplessità, aderisce nelnovembre 1945 alla KPD, divenendo neglianni successivi un personaggio noto estimato nella vita culturale della DDR. Neglianni Cinquanta, sono però diversi coloro chegiudicano l’adesione di Klemperer alcomunismo come un gesto incongruenterispetto alla denuncia della dittatura nazistaoperata in LTI. Klemperer, in una nota didiario del 30 settembre 1950, fa riferimentoad alcune lettere anonime, da lui ricevute inquei giorni, in cui lo si accusa di sosteneree appoggiare il governo comunista, cioè unregime terroristico e totalitario, in tuttosimile a quella barbarie nazista di cui LTIaveva costituito un atto di accusa. Gli stessirimproveri vengono mossi a Klempererdalla stampa tedesco-occidentale: Karl W.Fricke sulla Deutsche Rundschau (1952)dichiarava il suo rispetto per la vittima delnazionalsocialismo, “degna della nostrastima incondizionata”, ma proseguival’articolo descrivendo Klemperer con questeparole: “Un uomo che si pone senza riserveal servizio del nuovo regime repressivocreatosi nella zona sovietica e chenonostante la sua età - 71 anni – non sivergogna di fare lezione all’Università diHalle con indosso la camicia azzurra dellaFDJ [Freie Deutsche Jugend, NdR]. Perquesto egli merita il nostro disprezzoincondizionato”. Anche il giudizio di A.M.Corbin è severo e la studiosa, commentandola mancanza di spirito critico mostrata daKlemperer nei confronti dei processiintentati a Mosca nel 1953 contro dei mediciebrei – processi nei quali il critico delnazismo non riesce a scorgere la minimatraccia di quell’antisemitismo in realtà benpresente anche nella Russia staliniana -conclude: “il democratico, l’osservatoreattento, lo spirito indipendente si eravolontariamente calato nello stampostalinista. Non se ne sarebbe più liberato.”Uno strumento di studio fondamentale per

l’indagine sulla posizione di Klemperer nellaDDR sarà offerto nei prossimi annidall’epistolario di Klemperer, alla cui edizionesta attualmente lavorando Walter Nowojski,il curatore dei diari. Lo stesso Reimann cipresenta, però, in anteprima, alcune lettere daicarteggi tenuti da Klemperer nel dopoguerracon il romanista Eugen Lerch, il maestro KarlVossler, con cui Klemperer aveva studiatoall’Università di Monaco, e Stefan Hermlin.La lettera indirizzata da Klemperer a Hermlinil 27 marzo 1949, con cui lo studioso prendeposizione rispetto a una severa recensione diHermlin su di una pubblicazione del filologo,Moderne französische Prosa, testimonia, aldi là delle convinzioni politiche di Klemperer,l’ancor più tenace fedeltà al magisterovossleriano: Hermlin rimproverava aKlemperer di non aver introdotto nella suastoria della letteratura importanti scrittoriquali Aragon o Vercors e di aver invececonsiderato altri scrittori, “sciovinisti” e“imperialisti”, come Seillière e Barrès.Klemperer replicava osservando che una verastoria della letteratura non si componesolamente di altissime prestazioni estetiche oetiche: “No, essa comprende tutto ciò in cuitrova forma linguistica la situazioneintellettuale e spirituale di un popolo. Non sipossono trascurare le mediocrità carat-teristiche (…), ciò che è reazionario non puòessere tralasciato, qualora esso esprimal’opinione di larghi strati della popolazione.La storia di un popolo e la sua letteratura sitrovano in un rapporto di stretta correlazione.La storia mi aiuta a capire la storia dellaletteratura, la storia della letteratura mi aiutaa capire la storia”. In questa interpretazionestorico-sociologica della letteratura si coglieappunto l’eredità di Vossler e la suaconcezione di una “Kulturkunde”, protesaall’individuazione della cultura di un popolo,intesa, quest’ultima, come il complesso deitratti e delle manifestazioni più tipiche delVolksgeist. Si trattava di un’idea di “cultura”in senso lato, secondo una concezionemoderna per quei tempi (l’inizio delNovecento), in quanto l’indagine della culturadi un popolo, condotta anche sulla base delle

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sue manifestazioni meno appariscenti,conferiva implicitamente dignità culturalea ogni manifestazione sociale e individuale.Da qui l’interesse di Klemperer per opereletterarie non eccelse, ma che si rivelasserocome manifestazioni del Volksgeist; da quil’interesse, chiaramente rinvenibile nei suoidiari, per la vita quotidiana e minuta, per lereazioni più banali, per le battutepronunciate da uno sconosciuto per stradao in un negozio, in breve, per quella voxpopuli più volte invocata dall’autore nellesue annotazioni del periodo nazista.In questo contesto kulturkundlich, la linguasi configura come l’espressione di unacultura e dello spirito di un popolo: “Solonella lingua è davvero possibile trovare eafferrare lo spirito di un popolo, la suaanima. (….) La lingua: l’elemento spiritualedi un popolo che nutre il singolo e che sinutre dello spirito di ognuno.” (Diari, 24/5/1932) e si ricordi anche il motto posto aepigrafe di LTI, una citazione da FranzRosenzweig: “Sprache ist mehr als Blut”.Di fatto, l’ambito di ricerca e di interesselinguistico manifestato dal’autore nei diaridel nazismo è amplissimo: egli considera illinguaggio metaforico e figurale, indagainteri ambiti semantici quali lo sport, lareligione, il mondo militare, cita modi didire e proverbi, dedica attenzione allestrategie argomentative e retoriche e ailinguaggi non verbali, registra la comparsadi contraddizioni, eufemismi, iperboli,commenta l’uso di termini stranieri, ma èattento anche all’intonazione dei discorsi ealle particolarità dell’interpunzione.All’uso dei proverbi e dei modi di dire neidiari 1933-45 è dedicato lo studio diWolfgang Mieder, pubblicato in una vestemolto elegante dalla casa editrice viennesePraesens. Mieder insegna germanistica eVolkskunde all’Università del Vermont ed èuno specialista di questo specifico settorelinguistico: dirige l’annuario internazionale“Proverbium” ed è autore, tra l’altro, deisaggi “Sprichwörter unterm Hakenkreuz”(1983), “Proverbs in Nazi Germany” (1993)e di uno studio del 1995 sulla manipolazione

dei proverbi nel Mein Kampf.Mieder muove da un’importante consta-tazione: nelle 1526 pagine dei diari ’33-’45vengono citati 951 proverbi e modi di direproverbiali, il che implica la ricorrenza diun’espressione fraseologica ogni 1,60pagine. Del resto, osserva Mieder, la stessacelebre frase “Ich will Zeugnis ablegen, undexaktes Zeugnis!”, che ha dato origine altitolo dei diari, è un’allusione all’ottavocomandamento, divenuto proverbiale: “Nonproferirai contro il tuo prossimo falsatestimonianza” (Esodo, 20, 16).Nell’ottica antropologico-culturale diKlemperer, i proverbi e i modi di dire non siriducono a vuote frasi fatte e a espressionilogore, ma si qualificano come unostrumento essenziale per l’indagine dellamentalità popolare, che Klemperer, facendoappunto ricorso a un modo di dire, qualificanei suoi diari come “vox populi”. Alla voxpopuli si appellava del resto anche Hitler,quando in suo discorso del 16 marzo 1936affermava: “Popolo tedesco (…) Attendo latua decisione e so che essa mi darà ragione!Accetterò la tua decisione come la voce delpopolo che è anche voce di Dio”. Klemperer,invece, non crede in una vox populi unitaria,condanna il nazismo per la manipolazionee le menzogne che esso diffonde spac-ciandole per “Stimme des Volkes” e passapiuttosto al riconoscimento della presenzadi diverse “voces populi”. L’attenzioneall’opinione della gente comune conferisceai diari di Klemperer una patina difreschezza e vivacità e li connota inoltrecome un esempio di “storiografia orale” antelitteram (si veda a questo proposito il brevesaggio di M.H. Würzner: Das Tagebuch[Klemperers] als “Oral History”, 1997).Un pregio della trattazione di Miederconsiste nel porre l’utilizzo dei proverbi daparte di Klemperer (che Mieder indagaanaliticamente, in modo serrato e con precisirimandi testuali) in un continuo rapportodialettico con l’uso e l’abuso dei proverbi edel patrimonio linguistico popolare messi inatto dai gerarchi nazisti nei loro discorsipubblici e accreditati dai filologi di fede

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nazionalsocialista nelle loro operescientifiche. Lo studio dei proverbi fu infattioggetto di intensi studi durante il periodonazista. Nei proverbi, intesi come ilpatrimonio linguistico in cui si erasedimentata un’antica saggezza popolare, sicercavano le basi per accreditarel’antisemitismo e il razzismo propagandatidal regime. Si pensi a libri quali Dasdeutsche Sprichwort als Künder völkischenGedankengutes (1934) del filologo KarlBergmann, a Rassenpflege im Sprichwort(1937) di Julius Schwab o a Der Jude imSprichwort der Völker (1942) di ErnstHiemer. In effetti, in una nota di diario del29 aprile 1944, Klemperer constatavaallarmato l’affinità tra la filosofia dellinguaggio nazista, che considera il„linguaggio come espressione della vita diun popolo“, e la filologia idealistica, ossia„ciò che vogliamo noi: Vossler, Spitzer e io.Soltanto che essa [la filosofia del linguaggionazista, NdR] si rifiuta di essere scientifica.Intende mettersi al servizio dei politici” (aproposito della Kulturkunde di Klemperere della Kulurkunde biologico-razziale deinazisti, si rimanda al succitato saggio diCombes).Molto interessante è inoltre il capitolo delvolume di Mieder dedicato allo stravol-gimento di un modo di dire, all’Antisprich-wort “In lingua veritas”, in cui si manifestala fiducia klempereriana nella lingua. Comescrive Klemperer in un passo di fortepotenza retorica: “La lingua è illuminante.A volte, qualcuno cerca di nascondere laverità mediante il parlare. Ma la lingua nonmente. A volte qualcuno vuole dire la verità.Ma la lingua è più vera di lui. Non vi ènessun mezzo per combattere la verità dellinguaggio. I medici possono curare unamalattia quando ne abbiano riconosciuto lanatura. I filologi e i poeti conoscono lanatura del linguaggio ma non possonoimpedire al linguaggio di dire il vero” (31/3/1942). Klemperer, come un altroSprachkritiker del Novecento, Karl Kraus,ritiene perciò che è la stessa lingua adottatadai Nazisti a tradire la loro immoralità:

l’espressione linguistica è infatti l’ambito incui la natura criminale del nazismo viene allaluce senza infingimenti proprio perché lalingua “non mente”, ma, anzi, tradisce laverità e non si presta a camuffamenti eipocrisie. Come ha commentato MartinWalser nella sua Laudatio auf VictorKlemperer del 1996: “la lingua può esseremanipolata come strumento di dominio e dipropaganda ma si trasforma subito nellostesso tribunale giudicante”.Il libro di Mieder è corredato daun’appendice in cui si riportano cinquantunopassi di diario che contengono espressioniproverbiali, giustapposti senza commento ein ordine cronologico con il fine diriassumere e illustrare la vicenda umana diKlemperer negli anni 33-45 e di mostrarel’uso dei proverbi come strumento perconferire maggiore efficacia e immediatezzaalla cronaca delle angherie e delle violenzesubite. Il volume, dedicato a Raul Hilberg, ilcelebre autore di La distruzione degli ebreiin Europa, si chiude con una riccabibliografia finale.

Paola Quadrelli

Rita Svandrlik, Ingeborg Bachmann: isentieri della scrittura, Roma, Carocci, 2001,pp. 273, £. 42.000

A quasi ormai venti anni da un primo,essenziale bilancio critico dell’opera diIngeborg Bachmann, uscito nel decennaledella morte col titolo Il linguaggio comepunizione, Rita Svandrlik presenta una nuovaampia monografia che, anche consultandol’apparato bibliografico, risulta insieme aquella di Hans Höller uno dei rari studiorganici sulla scrittrice austriaca. Infatti difronte a un buon numero di traduzioni inlingua italiana, peraltro non sempresoddisfacenti, di testi bachmanniani, apregevoli edizioni della lirica, alla vastaletteratura critica spesso circoscritta a singoliaspetti, all’uso frequente di estrapolazioni ecitazioni dalla sua opera, sorprendentemente

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mancava ancora a tutt’oggi un articolato eapprofondito inquadramento dell’autrice,soggetta talvolta a discutibili classificazionie definizioni, complice una coinvolgentedipendenza di lettori e commentatori dallaricca dimensione extratestuale. Non cheaffermazioni poetologiche, interventi ininterviste, dichiarazioni più o menopubbliche di Bachmann non aiutino acomprendere la sua presenza e la suacentralità nella cultura novecentesca, ma èsenza dubbio il costante e approfonditorichiamo ai testi, la scoperta della inter eintratestualità a permettere di ricostruirnel’itinerario poetico ed esistenziale e arivedere canoniche posizioni, come adesempio la presunta drastica cesura, agliinizi degli anni Sessanta, fra produzionelirica e prosastica, mentre grazie alla recenteacquisizione di importanti materiali, lettere(Briefe an Felician), appunti, frammentinarrativi, l’imponente Todesarten-Projekt,si è in grado di meglio orientarsi nei percorsidella riflessione e della peregrinazione sullinguaggio in cui Bachmann stessa sollecitaa entrare perché “un lettore potrei portarlocon me solo su un monte fatto di parole, susentieri di parole, e lo posso gettare increpacci di parole, posso farlo travolgere daruote di parole”.In mancanza del resto di un’edizione criticacon l’obbligato riferimento allapubblicazione ormai datata dei Werke, ilcontributo monografico di Svandrlik divieneancora più apprezzabile soprattutto per ilrigoroso raccordo fra l’analisi delle fonti eil momento critico-interpretativo. Esami-niamo quindi più da vicino questo volumeche si compone di sette capitoli, cinque deiquali hanno per oggetto i generi praticatida Bachmann, la lirica, il radiodramma, ilsaggio, il racconto e il romanzo. L’ultimocapitolo è riservato alla narrativa delTodesarten-Zyklus, mentre nel primo siricostruisce un ricco profilo dell’autrice chesarebbe riduttivo definire soltanto biograficoperché come precisa Svandrlik “questocapitolo introduttivo vuole presentare ilpercorso di Ingeborg Bachmann come

caratterizzato da un doppio movimento:quello centrifugo, nomade, e quellocentripeto, verso il nucleo della propriaorigine e della propria topografia”. All’“immaginario mitico della terra”, al “mondoin cui si parlano molte lingue e in cuicorrono molti confini”, come scriveBachmann in un testo biografico del 1952,può essere ricondotta quella pluralità dielementi e prospettive che a prima vistasembrano escludersi: da un lato laconflittuale ricerca dell’identità austriaca,la centralità di concreti confini geografico-linguistici della valle della Gail, traspostiin seguito in Tre sentieri per il lago, illegame con la cultura viennese, liricamenterappresentato in Grande paesaggio neidintorni di Vienna, una tensione appuntocentripeta che si condensa nella singolareautodefinizione del 1952 di essere una“Heimatdichterin”; d’altro lato la coscienzadello sradicamento, dell’estraneità dallapropria terra, l’inevitabilità di una secondaemigrazione, della fuga come direttaconseguenza dell’insanabile distanza fracultura ufficiale e il mondo autentico dellacultura, proiettano Bachmann in unatopografia estensiva le cui immagini emetafore sono il sofferto distillato dei grandimali e delle catastrofi del ventesimo secolo.Svandrlik fa ben vedere come “il confinediventerà sempre più un luogo e un tempointeriore”, che registra l’assenza di uncentro, la percezione di un vuoto in cui èsprofondata la coscienza storica. Losconfinamento, il nomadismo, il movimentocentrifugo nella vita e nell’opera diBachmann, che risultano in definitivaspeculari e complementari al nucleoterritoriale delle proprie origini, rispondonosoprattutto a una strategia esistenziale epoetica contro la rimozione del passatostorico, delle colpe di ieri, contro l’“immenso mercato nero”, il “linguaggiodella canaglia”, la “prostituzioneuniversale” che caratterizzano il mondocontemporaneo. Nella duplicità di questomovimento Svandrlik segue le principalitappe dell’io bachmanniano colto nella sua

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frequente “funzione dialogica autoreferen-ziale”, che ha alla base la percezione di unosdoppiamento, fecondamene rappresentatonella trasposizione letteraria di Malina, enella sua peregrinazione votata a un approdoche si rivela spesso naufragio, in una soffertadialettica di deiezione ed emersione, di“Zugrundegehen” e Unverlorensein”.Secondo questa linea di lettura Svandrliksviluppa in definitiva un percorso che dallatensione utopica, presente ad esempio inDas dreißigste Jahr, nelle FrankfurterVorlesungen e nella lirica Böhmen liegt amMeer, declina verso l’atopia, come in Exilin cui “la parola finale, il movimento versol’alto (“hinauf”) non è sufficiente a trovareun luogo per chi è già morto”.È noto che negli ultimi anni di vitaBachmann stesse sviluppando un progettonarrativo, che avrebbe dovuto articolarsi inuna tetralogia, intorno al tema delleTodesarten (cause, ma anche modalità, dimorte) di figure femminili. Di questoprogetto restano Malina, alcuni racconti,frammenti, abbozzi, parti espunte nellaversione finale. Al romanzo Svandrlikdedica un ampio capitolo che sia comeinquadramento dell’opera, sia come sintesidella letteratura critica costituisce unindubbio contributo e sussidio per la letturadi un testo problematico e complesso. Benrilevati risultano gli elementi compositivi eformali: la circolarità e l’antinarratività dellascrittura, la contaminazione di generedrammatico e narrativo, l’antilinearità dellanarrazione, la vanificazione di ogniscansione temporale, l’isotopia topograficadel romanzo, l’intertestualità: “Il tempo èun non-tempo, il luogo è esplicitamente‘solo’ un paesaggio interiore, la casa unanon-casa, i personaggi sono ‘inventati’,doppiamente, si potrebbe dire, rispetto algrado d’invenzione zero senza il qualenessun personaggio letterario esisterebbe”.Rilevando la negazione di unconsequenziale e lineare decorso narrativoper cui l‘annullamento dell’ Io femminileavverrebbe a vantaggio del suo doppiomaschile, Svandrlik insiste sull’autonomia

e sull’im-mediatezza del “materiale vivo dellanarrazione” che non deve essere reificato,soffocato dal possesso, perché occorre che “itesti e i luoghi entrino in dialogo con lasoggettività”, perché, commentando la quintalezione francofortese, “la letteratura è unessere vivente, antropomorfizzato”. Sel’azione si svolge sul campo dell’interioritàdove si confrontano e confliggono partidell’io femminile, oscure zone esperienziali,il cui sostrato immanente dovrebbe essereoggetto di narrazione, si tocca alla fine illimite aporetico che Svandrlik stessa, nellasua capillare e persuasiva analisi, discute manon può risolvere: al linguaggio, chemediante la comunicazione falsificante è lostrumento di “espropriazione spirituale”, è “ilpiù potente mezzo di eteronomia”, è lapunizione, si ricorre comunque perrappresentare quella distruttiva estraneità cheesso stesso produce affermandosi come causadi morte. Ad altri linguaggi dovrebbe in realtàaffidarsi la soggettività femminile proprioperché come dice Svandrlik essa “è leggibilee rintracciabile solamente in ciò che le rimaneimplicito”.Il linguaggio onirico col quale nel secondocapitolo si evoca il rapporto di Io col padre ela leggenda dei Segreti della principessa diKagran rendono ancor più evidente lo scartofra l’assimilazione del piano storico-collettivonell’impianto simbolico dell’io e larappresentazione delle sue stratificazioni piùprofonde. “Il conflitto può essere solomostrato, e rimane visibile proprio nella crepadella parete e nelle lettere mai spedite, néfirmate”, conclude Svandrlik che sull’“autobiografia immaginaria”, come la definìBachmann, offre un articolato spettro dispunti e prospettive per affrontare di nuovola lettura di un romanzo il cui protagonista èun personaggio che parla da una posizionedi soggetto, che quindi non si fa raccontareda altri, anzi semmai è il personaggio araccontare il proprio autore”. A questaproposta di lettura sembrano significa-tivamente fare eco le parole di Christa Wolfche nel 1966, senza ancora poter conoscereMalina, riconosceva in Bachmann l’ “estrema

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soggettività, ma nemmeno l’ombra diarbitrio, nemmeno l’arbitrio dellacommiserazione o dell’esuberanza, ma soloautenticità ricca di tensione”.

Fabrizio Cambi

Giulio Schiavoni, Walter Benjamin. Il figliodella felicità. Un percorso biografico econcettuale, Torino, Einaudi, 2001, pp. 398,L.38.000

“Questo nuovo libro su Walter Benjaminnasce dal desiderio di ripercorrerne ilpensiero offrendo un’aggiornataricognizione d’insieme della sua prismaticae proteiforme personalità, alla luce anchedei nuovi materiali resisi disponibili con ilconcludersi dell’edizione critica dei suoiscritti e della sua corrispondenza pressol’editore Suhrkamp di Francoforte, oltre chein seguito alla pubblicazione di documentirelativi soprattutto alle sue ultime tragicheore di vita alla frontiera franco-spagnola nelvano tentativo di sfuggire alla Gestapo” (p.XIV). Così Giulio Schiavoni presenta il suorecentissimo volume dedicato a WalterBenjamin, un autore a cui il noto germanistaha dedicato gran parte della sua riflessionedi studioso e intellettuale. E occorre subitosottolineare l’elemento della fedeltà inSchiavoni verso un autore oggi tuttosommato poco letto e ormai anche pococitato, con cui, invece, si sarebbe tentati didire, il critico ama confrontarsi e quasirispecchiarsi, ritrovare se stesso e le ragionidella propria avventura intellettuale,affascinato dall’oggetto della propriariflessione. Nell’ormai lontano 1980, in unastagione dominata da costellazioni politicheoggi non più facilmente ricostruibili,Schiavoni aveva pubblicato un ottimostudio sul pensatore berlinese (G. Schiavoni,Walter Benjamin. Sopravvivere alla cultura,Palermo 1980), ma questa nuovamonografia amplia e approfondiscequell’approccio e quelle conclusioni,offrendo al lettore di oggi una ricchezza di

informazioni che solo un’attenta eappassionata disamina dell’autore e dellaletteratura secondaria consentono. Il metododi Schiavoni, nell’ avvicinarsi a una figuratanto complessa e complicata, quale è e restaWalter Benjamin, il metodo storico-biografico, come egli stesso avverte di averscelto nell’Introdu-zione al volume, intendevenire a capo e illuminare tanto il percorsointellettuale dell’autore quanto altrettantosalvare e valorizzare le ragioni umane di unavicenda drammatica e rappresentativadell’intelli-genza ebraico-tedesca nei primidecenni del Novecento. Schiavoni infattiinserisce il pensiero, ma forse ancora di piùla vita di questo sfortunato pensatore, chenella sua tormentata vicenda esistenziale eintellettuale rincorrerebbe la felicità,all’interno delle vicende tragiche riguardantigli ebrei tedeschi in Germania non solo alui più vicini emotivamente ed intellet-tualmente come Scholem e Kafka, ma anchepiù lontani come Heine, da Schiavoni vistoquale prototipo dell’intellettuale “disinseritodal sistema, oppositore della società, prontoa rimettere continuamente in discussioneogni cosa, a cercare nuove vie e a varcare iconfini stabiliti, a superare lesclerotizzazioni del pensiero mettendo inrelazione posizioni apparentementeinconciliabili e traendo il meglio dalleaperture più audaci e dalle tensioni decisivee feconde che ne derivano” (p. XV).Seguendo Schiavoni, il lettore avrà mododi conoscere, grazie alla ricchezza delle fontie delle conoscenze che caratterizzano questovolume, anche il mondo intorno a Benjamin,la complessa rete di rapporti e relazioni chesegnò, in modo vario, spesso contraddittoriol’esperienza del pensatore berlinese.Nell’accostarsi alla vita del suo beniamino,Schiavoni è particolarmente sensibile allacostellazione felicità-sventura, così rilevantesul piano biografico e riconducibile sulpiano intellettuale alla costellazione,fondamentale per Benjamin, di apocalissee redenzione, catastrofe e messianesimo cheattraversa come un filo rosso la suariflessione e che forse meriterebbe, partendo

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proprio da questa monografia, un’attentarilettura e un’analisi più circostanziata. Suiresidui o resti di questa nascosta tradizioneebraica, o teologia, che fermenta nelpensiero antistoricistico dell’autoreoccorrerebbe ancora indagare e interrogarsipiù da vicino, proprio perché essa a livelloesoterico costituisce, verrebbe fatto dicredere, il doppio fondo di tutta l’opera diBenjamin, persino di quel Dramma baroccotedesco, come ha recentemente messo inluce in un suo intervento Gert Mattenklott.Apparentemente un contributo originalerispetto alla lettura allora dominante delTrauerspiel, questo lavoro, che avrebbedovuto aprire le porte dell’accademia al suoautore e significare dunque la fine della suaprecarietà economica ed esistenziale e delladipendenza dalla famiglia, resta, anche perla presenza nascosta del pensieromessianico, di difficilissima lettura. Comesottolinea Schiavoni, esso costerà non a casoa Benjamin, purtroppo o per fortuna, macerto secondo un paradossale rovescia-mento, l’esclusione dall’Università, all’in-segna di quel celebre motto cinico: “all’in-telligenza non spetta la libera docenza”, checosta a tutt’oggi, a chi allora tantotronfiamente lo pronunciò, un meritatooblio.Con amore e rispetto, Schiavoniaccompagna Benjamin dalla sua infanziaberlinese, ovvero dalla “promessa difelicità” minata già da subito dalla presenzafunesta e premonitrice del celebre ominogobbo, fino alle ultime ore di vita a Port Bou,in cui pare, a noi che leggiamo le intense evibrate pagine di Schiavoni, di toccare conmano la tragedia e l’isolamento anche finaledi Benjamin, le circostanze complesse dellasua morte, il suicidio avvolto dal mistero eda testimonianze contraddittorie, e laprecarietà della sua identità anche da morto. Questo volume, così ben articolato e cosìattento a ricostruire il percorso intellettualee biografico di un pensatore che è ancoraun masso erratico nella cultura delNovecento, è dunque uno strumentoindispensabile e necessario per chi, studente

o studioso, voglia comprendere il mondo diWalter Benjamin.

Claudia Sonino

Amedeo Bertolo (a cura di), L’anarchico el’ebreo. Storia di un incontro, Milano,Elèuthera, 2001, pp. 238, £. 28.000

Costituito da quattordici interventi più tretestimonianze, il volume che Elèutherapubblica a cura di Amedeo Bertolo,responsabile del Centro di studi libertari diMilano e attivo animatore della vivace casaeditrice milanese, raccoglie le relazioni e idibattiti presentati in occasione del convegnointernazionale “Anarchici ed ebrei”, tenutosia Venezia tra il 5 e il 7 maggio 2000 -un’iniziativa che, tra le prime, “nonostantela posizione di grande rilievo avutadall’anarchismo nella sfera politica eculturale nel diciannovesimo e nel ventesimosecolo, nonostante il ruolo di primo pianoavuto dagli ebrei nell’evoluzione del pensieroe della pratica politica anarchica” (Jacobson),assume a tema di discussione entrambi glielementi di una dialettica solo in apparenzacontraddittoria. Come spesso accade con lepubblicazioni collettanee, manca un’au-tentica omogeneità strutturale a una raccoltache si presenta piuttosto come serie di-sarticolata di approfondimenti e riflessionilegati al profilo e alla specificità dei singoliintervenuti, uniti dal minimo comunedenominatore che dava spunto al convegno edà titolo adesso al volume: ovverol’interazione - sociale, culturale, politica - traforme di approccio e di espressionericonducibili alla matrice ebraica e il lorocontribuito al pensiero e alla prassi anarchicatra Ottocento e Novecento. In tale ambito, perla verità assai vasto, si ritaglia uno spazio nonsecondario e anzi centrale - e qui il discorsoviene a farsi per noi interessante - il contributotedesco. Quasi metà del volume, in effetti,affronta movimenti e istanze che proprio neipaesi di lingua tedesca hanno posseduto illoro centro nevralgico: da Enrico Ferri che sioccupa de La questione ebraica in Max

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Stirner e nella prospettiva libertaria a EricJacobson che affronta Gershom Scholem inAnarchismo e tradizione ebraica, daSiegbert Wolf che, in Il vero luogo è lacomunità, affronta l’importantissimo ruoloche l’amicizia tra Gustav Landauer e MartinBuber ha rivestito per l’utopia socialista delprimo Novecento, a Mina Graur che, inAnarchismo e sionismo: il dibattito sulnazionalismo ebraico, nell’articolare undiscorso più ampio ritaglia uno spazio diprotagonista per lo stesso Landauer, vero eproprio cardine umano e intellettualeintorno a cui ruota buona parte dellariflessione anarchica di inizio secolo, e nonsoltanto in Germania.Da una ricognizione complessiva delfenomeno dell’incontro tra ebraismo eanarchia, risulta evidente come propriol’ambito tedesco abbia rappresentato uncontesto particolarmente favorevole ainnesti e contaminazioni. Che fosse infatti- con qualche appiattimento e sempli-ficazione - la prospettiva immanente einsieme utopica del millenarismo a offrireun terreno comune al procedere delle dueistanze, come ad esempio nella primavisione teologico-politica di Benjamin eScholem (all’incirca fino all’inizio deglianni Venti) oppure che “la dimensionecomunitaria e insieme individualistica dellavita ebraica” (Bertolo) rappresentasse unapiattaforma adatta a sostenere ilcosmopolitismo anarchico, così comel’indifferenza anarchica alle radici etnichee dogmatiche fosse agente di attrazione perebrei stanchi di essere caricati a forza delpeso delle loro origini: comunque sia, stadi fatto che gli intrecci sono frequenti efecondi, e producono non di rado fruttianche sul piano letterario. L’esempio diKafka, cui qui è dedicato l’intervento diMichael Löwy, Anarchismo ed ebraismonella Mittel-europa: il caso Franz Kafka, èin questo senso tra i più significativi. Löwy,nel tentativo di confutare la posizione diquegli studiosi (e sono la maggior parte: daEduard Goldstücker a Hartmut Binder aRitchie Robertson a Ernst Pawel) che hanno

negato ogni possibile influenza del pensieroanarchico sull’opera dello scrittorepraghese, ricostruisce una mappa accuratadelle fonti dei possibili contatti di Kafka conla galassia dei gruppi radicali nella Pragadel suo tempo. Sono tre le testimonianzeprincipali cui Löwy attinge: quellaampiamente nota di Michal Kacha, riportatada Max Brod nel romanzo Stefan Rott (1931)e in seguito nella sua biografia Franz Kafka,secondo la quale Kafka sarebbe stato unsolerte per quanto taciturno frequentatoredelle riunioni del libertario e anticlericale„Klub Mladych“; quella altrettanto nota(perché fatta circolare da Klaus Wagenbachin appendice alla sua prima biografia diKafka, con l’avvertenza che, probabilmente,l’enfasi posta sul coinvolgimento di Kafkaè da considerarsi eccessiva) di MichalMarès, secondo la quale l’autore cecoavrebbe preso parte intensa alla vita deicircoli sovversivi praghesi soprattuttointorno agli anni 1910-1912; e infine quelladi Gustav Janouch nelle sue Conversazionicon Kafka (1951), riportata con i moltidistinguo che essa comporta, soprattutto perquanto riguarda le parti aggiunte nellaseconda edizione del 1968. Più significativeappaiono (e appaiono a Löwy) le tracce, delresto già largamente studiate e discusse, chelegano Kafka a Otto Gross e alla sua criticaal carattere autoritario della società e delsistema a partire da posizioni anarchico-freudiane, secondo una dialettica che, nellaradicale opposizione a ogni forma di poterecome riflesso e prosecuzione dell’autoritàpaterna, trovava in Kafka una sicurarisonanza. È questa della rivolta anti-autoritaria a segnare l’eventuale “tracciaanarchica” nella produzione di Kafka, viratatutta sul versante della negazione e non certosu quello dell’utopia, della critica al “mondoreale come universo della non redenzione edella non libertà” (Löwy), e ripercorsa quirapidamente nelle opere, da Das Urteil a Inder Strafkolonie e infine ai romanzi,Amerika, Der Prozess, Das Schloss.Resta da dire, alla fine, che manca, in unvolume intitolato L’anarchico e l’ebreo, un

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intervento dedicato a colui che, almeno inGermania, è stato probabilmente piùanarchico e più ebreo di ogni altro: ovveroErich Mühsam. Nominato qua e là disfuggita, tuttavia, il grande protagonistadella protesta libertaria tedesca nel primoscorcio del secolo raccoglie un tributo dialtro tipo: il suo inconfondibile profilo,infatti, campeggia in copertina in unaelaborazione grafica di Ferro Piludu, e nonpoteva esserci scelta migliore persimboleggiare questo „incongruo incontrodi due tradizioni culturali apparentementeestranee“ (Bertolo).

Alessandro Fambrini

SCHEDE

AA. VV., Testo e immagine nel Medioevogermanico, a cura di Maria Grazia Saibenee Marina Buzzoni, Milano, Cisalpino, 2001,pp. 295, s.i.p.

Svoltosi a Venezia tra il 26 e il 28 maggiodel 1999, il XXVI convegno dell’Asso-ciazione Italiana di Filologia Germanica(AIFG) ha affrontato la questione delrapporto tra testo e immagine nel panoramaassai vasto – sia dal punto di vista geograficoche da quello cronologico – delle culturemedievali di lingua germanica (e non solo,visto che il bel saggio dedicato da EugenioBurgio all’immagine della Veronica indagasoprattutto in ambito romanzo la diffusionedi una leggenda agiografica e dell’icono-grafia a essa collegata).I contributi raccolti nel volume studiano tipidi testo e di immagine prodotti in contesticulturali tra loro assai diversi: nell’Inghil-terra anglosassone (Nicoletta FrancovichOnesti, Maria Amalia D’Aronco, MarinaBuzzoni), nella Scandinavia d’epocavichinga (Giulio Simone, Marco Battaglia)e tardo medievale (Fabrizio D. Raschellà),nel mondo tedesco (Henrike Lähnemann,

Carla Del Zotto, Raffaele Disanto, MariaGrazia Saibene, Maria Grazia Cammarota,Lucia Busani, Carmela Giordano), oltre che,come si è detto, in area romanza (Burgio).Molti, naturalmente, sono i percorsi di stu-dio, a seconda dello specifico testo scelto daogni autore come oggetto di indagine, e al-cuni di essi appaiono particolarmente stimo-lanti: penso ad esempio alla questione cen-trale di come l’apparato iconografico di untesto possa veicolare informazioni preziosesulla sua ricezione. Anche a questo proposi-to, il rapporto testo/immagine può delinear-si in maniera assai differente: l’immaginepuò rappresentare un ausilio alla trasmissio-ne del materiale narrativo per chi non pa-droneggi con agio lo strumento della lettura(Saibene); può sottolinearne e rafforzarne ilmessaggio ideologico (Cammarota); può tra-dire una diversa scansione-segmen-tazionedel testo a opera del copista, e di conseguen-za del lettore (Buzzoni); può, infine, rivela-re una difficoltà di ricezione, una impossi-bilità di connettere una particolare rappre-sentazione visiva alla lettera del testo, in unmeccanismo tipico della traduzione per cui,in presenza di uno iato culturale significati-vo, la trasposizione pur fedele di una sequen-za di sintagmi non fornisce sempre e imme-diatamente al lettore la possibilità di crearsiun’immagine di quanto il testo comunica(Del Zotto).Molto interessante, anche, è il modo in cuil’apparato iconografico riprende e sottolineail meccanismo tipologico nel suo senso piùampio, per cui non solo il Nuovo Testamen-to viene presentato come ripetizione e com-pimento dell’Antico (Saibene), ma le vite deisanti e di alcuni personaggi storici riprendo-no, ripetono e attualizzano le figureveterotestamentarie, intessendo una fitta tra-ma di rimandi che permette di leggere l’in-tera evoluzione della cultura occidentalecome storia sacra (Lähnemann). Da segna-lare, inoltre, mi paiono anche i saggi di Ni-coletta Francovich Onesti, che avanza unaproposta interessante e convincente del fa-moso “cofanetto Franks”, di Marco Batta-glia, sulla rilevanza storico-culturale della

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pietra runica Jelling-2, e di Maria AmaliaD’Aronco sulla tradizione iconografica ne-gli erbari anglosassoni. Utile, pur nelle con-clusioni negative sulle possibilità di inter-pretazione cui perviene, è anche il saggiodedicato da Giulio Simone alle iscrizioniruniche incise su uno dei leoni del Campode l’Arsenal a Venezia, scultura di originegreca e trasportata nella città italiana sulfinire del XVII secolo.Un discorso a parte vale per i saggi di Fa-brizio D. Raschellà, Lucia Busani e CarmelaGiordano, dedicati alla questione dell’illu-strazione di testi medievali di caratterescientifico. La finalità chiarificatrice del-l’immagine crea qui un legame, se possibi-le, ancora più stretto con il testo che accom-pagna, e in particolare nel caso di grafici ediagrammi (Raschellà, Busani) si pone ilproblema di una edizione critica dell’appa-rato iconografico stesso, indispensabile perconservarne la funzione originaria e permet-tere una lettura del testo nella sua interezza.

Fulvio Ferrari

Giovanni Chiarini, L’avventura di una ri-vista romantica, Napoli, Istituto Universi-tario Orientale 1998, Lit. 30.000

La rivista “Wünschelruthe”, di cui furonopubblicati 52 numeri nel breve arco di 6mesi a cavallo fra il 1817 e il 1818, emer-ge, grazie a questo studio delicato e appas-sionato insieme, dal panorama grigio e in-distinto delle riviste letterarie tardo-roman-tiche, da sempre considerate prodottiepigonali, privi di interesse e originalità.Nata a Göttingen come espressione diun’associazione poetica studentesca e re-datta da personalità se si vuole minori, ap-plicando i criteri classici della storiografialetteraria, ma di certo ben calate nella real-tà culturale e anche politica della cittadina,tra cui August von Haxthausen, zio di An-nette von Droste-Hülshoff, la rivista ebbela capacità di guadagnarsi la collaborazio-ne di personalità di spicco del mondo acca-

demico di Göttingen e più ampliamente cul-turale, superando per un breve periodo, al-meno idealmente, le divisioniregionalistiche che creavano una nutrita se-rie di “scuole”, per lo più irrigidite solo nel-la loro maniera e fondanti solo su questa laloro ragione d’essere. Così, se fu “una cosadivina che noi, piccoli studentelli, [si sia]riusciti a costringere i vecchi filistei di que-sto ateneo – Heeren, Bouterwek, Benecke,Fiorillo – a prendere parte a un foglio poeti-co” (p. 46), quasi stupefacente fu che all’ini-ziativa aderissero personalità delle “scuo-le” di Heidelberg (Arnim, Brentano, iGrimm), di Dresda (Wetzel), i poeti svevi(Schwab, Uhland). Certo alcuni furono at-tratti per i più diversi motivi, come la vo-lontà di essere presenti o il riguardo per ilCurator dell’università e ministro del regnodi Hannover padre di uno dei redattori, maaltri, fra cui in prima istanza Arnim e iGrimm, erano fortemente interessati al-l’esperimento culturale in quanto tale, losostennero con consigli e anche con contri-buti e ne rimpiansero la fine. Perché questofu la rivista, “un’avventura culturale” chequesto libro ricostruisce nei suoi aspetti sto-rico-sociali, ma soprattutto nelle sue inten-zioni intellettuali e nei suoi legami con iltramontante mondo figurativo e concettua-le del romanticismo. “Cimentarsi pubblica-mente nel campo “delle libere arti e dellapoesia” voleva dire certamente entrare inconflitto editoriale e di mercato con la posi-zione dominante delle riviste di Lipsia e diBerlino, ma prima ancora scegliere se schie-rarsi con il nutrito numero di ‘sorelle’, nateper allietare le ore di ozio dei lettori […]oppure chiudersi in una torre che sarebbestata assediata da ogni lato e attendere larapida fine. Tutto ciò senza nascondere ladifficoltà di destreggiarsi e trovare un im-probabile equilibrio fra le varie scuole ro-mantiche, visto che Gottinga non ne vanta-va una propria. La scelta iniziale anche inquesto caso era già contenuta in quel sim-bolo dello strumento del rabdomante: i te-sori potevano nascondersi in tutta la Ger-mania. Si trattava di scoprirli e dar loro voce.

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Un esperimento, certo, ma anche un gran-de coro, quasi a riprova che la “Geselligkeit”romantica non era un vaniloquio, bensìun’esigenza che corrispondeva ad una sen-sibilità profonda propria di tutta la Germa-nia” (p. 11). Lo studio di Chiarini è moltoattento a leggere quest’avventura nelle suemolteplici sfumature, cercando nei contri-buti e nei nuclei tematici, così come negliintenti, i segni di una ricerca sincera, anchese condannata dall’atmosfera acquiescentedella restaurazione. Negli scritti evocanti ilpassato artistico tedesco; nelle liriche tra-boccanti una figuratività che aveva ormaiperso slancio (quella stessa che sarà ogget-to della caustica ironia heiniana); nelle fia-be, nelle storie vere o negli aneddoti, negliscritti sul teatro o nelle recensioni si rin-traccia un linguaggio che ancora si sottraealla tentazione di aderire in maniera totaleal gusto del pubblico (“La fine dellaWünschelruthe ha confermato l’opinioneche ho del pubblico lettore” scrive Arnim aW. Grimm, p. 74) e che anzi, proprio perquesto sforzo può validamente servire da‘sismografo’ del suo tempo.Arrivati all’ultima pagina – ma in realtà giàdopo l’introduzione -, si è completamente“perdonata” l’astuzia del titolo, che accen-de la curiosità di quanti si occupano di ro-manticismo, mettendo in moto le loro aspet-tative senza nulla anticipare. I piaceri dellalettura e della scoperta, sapientemente gui-dati dall’analisi, non fanno rimpiangere chead esserne oggetto non sia un’altra più fa-mosa rivista romantica, fra quelle che diprimo acchito sono forse venute in mente.

Donatella Mazza

INTERVENTI

Da Susanne Böhme-Kuby riceviamo il se-guente intervento, che pubblichiamo comecontributo alla discussione

Vom 4.-7.Oktober fand in Berlin eine

öffentliche Tagung der Kurt-Tucholsky-Gesellschaft statt zumThema: Wieder gilt“Der Feind steht rechts”. Perspektiven einerdemokratischen Publizistik ausgehend vonder “Weltbühne”. Der Kampf der heutebereits legendären “Weltbühne” gegen Hitlerund gegen Rechts wurde in seinenwichtigsten Aspekten dargestellt undanalysiert. In seinem grossen Einführungs-referat zumThema hat der diesjährigeTucholsky-Preisträger, der streitbare Publizistund Politikwissenschaftler Harry Pross,darauf hingewiesen, daß heute, wo sich dieÖkonomie global der Politik überlegenerweist, die Medienarbeit immer auch eineKritik der politischen Ökonomie sein undbleiben muß, um analysieren zu können, wiedie symbolische Gewalt der Herrschaft vonMinderheiten über Mehrheiten dient. Inweiteren Referaten ging es um Literatur-,Justiz- und die wieder aktuelle Militärkritik,um die Beiträge Tucholskys und ErichKästners, sowie des lange fast vergessenenKurt Hiller, für den sich 1998 endlich eineKH-Gesellschaft in Leipzig konstituiert hat.Der berüchtigte “ Weltbühnen”-Prozess von1931, der Carl von Ossietzky hinter Gitterbrachte, wurde in einem von Elke Suhrrekonstruierten Film gezeigt, der mit derbitteren Feststellung endet, daß auch diebundesdeutsche Justiz der 90er Jahre sichnicht zu einer Revision des skandalösenUrteils überwinden konnte. Vor der Welt istOssietzky schon seit 1936 durch den ihmverliehenen Friedensnobelpreis rehabilitiert,ob die deutsche Justiz noch einmal dieChance ergreifen wird, sich durch eineWiederaufnahme des Verfahrens siebzigJahre später selber zu rehabilitieren, stehtdahin, wünschenswert wäre es. Die im Exilerschienene “Neue Weltbühne” verstricktesich dann in die politischen Richtungs-kämpfe ihrer verbliebenen Mitstreiter undnach dem Kriege setzte sich die sowjetischlizensierte “Weltbühne” unter Hans Leonardsehr entschieden, dem antifaschistischenVermächtnis folgend, für die Erhaltung derdeutschen Einheit ein. Die Tatsache, daß esheute, in der vereinigten Bundesrepublik zwei

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Nachfolge-Blätter gibt, “Ossietzky” und“Das Blättchen”, erscheint, wie vielesandere als ein Hohn der Geschichte.

SEGNALAZIONI

Saggi

Francesco Fiorentino, La letteratura dellaSvizzera Tedesca, Roma, Carocci, 2001, pp.142, £. 25.000

Roberta Ascarelli (a cura di), Juden.Percorsi autobiografici, “Cultura tedesca /Deutsche Kultur”, n. 16, Roma, Donzelli,2001, pp. 220, £. 45.000

Walter Benjamin, Tra critica romantica ecritica del Romanticismo, a cura di B. Maje D. Messina, Nocera Inferiore, Aletheia,2001, pp. 243, £. 35.000

Giuseppe Bevilacqua, Letture celaniane,Firenze, Le Lettere, 2001, pp. 240, £.30.000

Gudrun Bukies, Texte zum Lesen undNacherzählen, Vorwort di Eva-MariaThüne, Bologna, CLUEB, 2001, pp. 163,£. 25.000

Sandra Bosco Coletsos, Marcella Costa, Lastruttura parentale nelle fiabe dei fratelliGrimm, Alessandria, Edizioni dell’Orso,2001, pp. 125, £. 25.00

Giulia Cantarutti (a cura di), La scritturaaforistica, Bologna, il Mulino, 2001, pp.270, £. 34.000

Fausto Cercignani, Elena Agazzi, RolandReuß, Peter Staengle (a cura di), Dalgiornale al testo poetico. I “BerlinerAbendblätter” di Heinrich von Kleist,Studia Theodisca, Milano, CUEM, 2001,pp. 238, £. 40.000

Paolo Euron, L’artificio dell’eternità. Il

primo Romanticismo tedesco e la poeticadella modernità, Bologna, Pendragon, 2001,pp. 136, £. 28.000

Massimo Ferrari Zumbini, Le radici delmale. L’antisemitismo in Germania: daBismarck a Hitler, Bologna, il Mulino, 2001,pp. 1124, £. 90.000

Furio Jesi, Materiali mitologici. Mito eantropologia nella cultura mitteleuropea, acura di Andrea Cavalletti, Torino, Einaudi,2001, pp. 385, £. 34.000

Hans Kitzmüller, Peter Handke. Da Insultial pubblico a Giustizia per la Serbia, Saggi.Arte e letteratura, Torino, Bollati Borin-ghieri, 2001, pp. 162, £. 30.000

Elvira Lima, La riforma contestata. Itineraristorici dell’ortografia tedesca, Palermo,Flaccovio, 2001, pp. 107, £. 18.000

Barnaba Maj, Heimat: la cultura tedescacontemporanea, Roma, Carocci, 2001, pp.128, £. 16.000

Giovanni Pellegrini, La legittimazione di sé.Kafka interprete di Kierkegaard, Torino,Trauben, 2001, pp. 224, £. 25.000

Isolde Schiffermüller (a cura di), Geste undGebärde. Beiträge zu Text und Kultur derKlassischen Moderne, Bozen, editionSturzflüge, 2001, pp. 294, s. i. p.

Davide Stimilli, Fisionomia di Kafka,Torino, Bollati Boringhieri, 2001, pp. 247,£. 40.000

Riviste

Studia austriaca IX - 2001Wolfgang Nehring, Das Unheimliche inHofmannsthals frühen Erzählungen: ZumZusammenhang von Form und Gehalt;Giuseppe Dolei, La Sicilia del dopoguerra.

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Mito e storia nella ricostruzione di unromanzo austriaco; Evelyne Polt-Heinzl,Elfriede Jelineks verstörende Arbeit imSteinbruch der Sprache. Wolken. Heim. alsAnalyse historischer Gedächtnislücken;Gabriella Rovagnati, Tetre escatologie dimondi estremi. L’opera di ChristophRansmayr; Anton Reininger, ThomasBernhard „Am Ziel“. Eine Handreichungfür Schauspieler; Grazia Pulvirenti, Le Museinquiete. Sinergie artistiche agli inizi delNovecento; Wolfgang Straub, “Die Liftkartegilt hier nicht”. Der Topos des Schifahrersin der österreichischen Literatur; FaustoCercignani, Robert Musil e il ritorno delmerlo; Ursula Klingenböck, „Die Natur istwie unsere Oper“. Rezeption und Reflexionvon Stadt und Provinz in August Ernst vonSteigenteschs Zwey Tage auf dem Lande;Moira Paleari, Parallelismi tematici aconfronto. Le Geschichten vom lieben Gotte il Malte.

Annali dell’Istituto Universitario Orientaledi Napoli (AION) . Studi Tedeschi -Filologia Germanica - Studi Nordici - StudiNederlandesi. Nuova Serie, IX (1999), 1-2Elena Agazzi, Ipocondria e dialetticanell’opera di Goethe; Ulrike BöhmelFichera, Goethes Wilhelm Meister. Ein Arztzwischen Erfahrungswissenschaft undHeilkunde; Paolo Chiarini, Tutto è foglia;Margherita Cottone, „...Und in GottesNamen sei der Versuch gemacht!“ Il lessicodelle Wahlverwandtschaften comeZwischen-raum?; Giorgio Cusatelli,Proposta per una fonte goethiana; Giovannid’Erme, La nozione goethiana dell’Orientenell’annesso di Note e saggi al Divanooccidentale-orientale; Alberto Destro, Modidella scrittura scientifica, modi dellascrittura letteraria in Goethe; PaolaGiacomoni, Scienza e poesia della terra inGoethe; Maddalena Mazzocut-Mis, Lamorfologia di Goethe tra funzionalismo estrutturalismo; Giampiero Moretti, Goethe,Hölderlin e l’essenza della poesia. Brevestoria di un’incomprensione; Lucia PerroneCapano, Goethe e il mondo sensibile.

L’immagina-zione del senso nei Wanderjahre;Lea Ritter Santini, Paesaggio con cascata;Roberto Venuti, Sotto il vulcano. Alcuneconsiderazioni su “natura” e “storia” neltardo Goethe; Federico Vercellone,Composizione dell’infinito: Goethe e Novalis

Cultura tedesca 16, aprile 2001Juden: Roberta Ascarelli, Presentazione;Giacomo Scarpelli, L’autobiografia di un fi-losofo: Salomon Maimon; GideonFreudenthal, The Lost Life of G. Itelson;Armin Eidherr, Costanti e mutamenti tematiciin alcune autobiografie yiddish tra Ottocen-to e Novecento; Franco Bezza, Autoritrattoallo specchio. Le autobiografie giovanili diMarc Chagall; Paola Bertolone, Memorie dalteatro yiddish; Claudia Sonino, “La storia diquesta giovinezza è stata la storia di un’ami-cizia”: l’autobiografia di Theodor Lessing;Giulio Schiavoni, “Profumo di mela”. Un’in-fanzia berlinese “intorno al Novecento”;Roberta Ascarelli, Praga, ricordi di infanzia;Renate Schlesier, Freud, la Sfinge; KlausDawidowicz, Gershom Scholem, “Da Berli-no a Gerusalemme”; Rosalia Coccia, Scrit-tura autobiografica in Elias Canetti; HaimBurstin, “Il significato della vita oltre lamorte”: percorsi autobiografici a confronto;Rita Calabrese, Scrivere l’indicibile: R. Elias,C. Edvardson, R. Klüger; Anna Morpurg,Stralci di autobiografie inedite di ebreispalatini tra realtà commerciali, tradizionireligiose e sogni. Saggi: Gabriella Rovagnati,Approdi negati. Destini di ebrei nella prosadi W. G. Sebald; Gabriella Steindler Mosca-ti, Un messaggio rinnovato: la letteraturad’Israele oggi. Lemmi ebraici. Recensioni

Cultura tedesca 17, Annali Goethe 2001/IIGoethe e la scena: Patrizio Collini, L’abitobianco di Lotte; Sandro Barbera, Stella e lamaga Armida. La funzione del mito e il suodestino in Stella; Mauro Ponzi, Il ritmo ero-tico degli esametri; Marino Freschi, IlCagliostro di Goethe; Federica Cioppi, Il fi-nale delle Wahlverwandtschaften fra realtàe immaginazione. Il rapporto di Goethe con

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la cultura romantica; Grazia Pulvirenti,L’“illusione consapevole”. Proserpina el’opera d’arte totale; Hans-Albrecht Koch,Zum Wechselspiel von Rahmen- undBinnenerzählung in der Geschichte vomProkurator in Goethes Unterhaltungendeutscher Ausgewanderten; Elena de Pa-squale, Un evento teatrale: il Faust diGoethe nella messinscena di Peter Stein.Saggi: Luca Crescenzi, Il manoscritto per-duto e ritrovato. Sulla costituzione testualedei Lehrlinge zu Sais di Novalis. Recensioni

Traduzioni

Wolfgang Borchert, Fuori davanti allaporta e racconti scelti, a cura di RebeccaDe Marchi, trad. di Roberto Rizzo, prefaz.figurativa di Francesco Barocco, Torino,Allemandi, 2001, pp. 272, s.i.p.

Georg Brandes, Radicalismo aristocraticoe altri scritti su Nietzsche, a cura diAlessandro Fambrini, Trento, Dipartimentodi Scienze Filologiche e Storiche, Labirinti53, 2001, pp. 138, £. 25.000

Thomas Brussig, In fondo al Viale del sole,trad. di Palma Severi, Milano, Mondadori,2001, pp. 139, £. 22.000

Paul Celan, Sotto il tiro di presagi. Poesieinedite 1948-1969, a cura di MicheleRanchetti e Jutta Leskien, Torino, Einaudi,2001, pp. 500. £. 36.000

Hans Magnus Enzensberger, Più leggeridell’aria, trad. di Anna Maria Carpi, Torino,Einaudi, 2001, pp. 181, £. 26.000

Jeremias Gotthelf, Kurt di Koppigen, trad.di Elisabetta Dell’Anna Ciancia, Milano,Adelphi, 2001, pp. 151, £. 25.000

Christoph Hein, Willenbrock, trad. Di MariaAnna Massimello, Roma, e/o, 2001, pp.277, £. 32.000

Friedrich Hölderlin, Tutte le liriche, a curadi Luigi Reitani, con uno scritto di AndreaZanzotto, Milano, Mondadori (I Meridiani),2001, pp. LXVII + 1967, £. 95.000

Friedrich Hölderlin, Poesie, scelta, introd.e trad. di Luca Crescenzi, Milano, BUR,2001, pp. 547, £. 25.000

Jens Peter Jacobsen, Doktor Faust e gli al-tri racconti, a cura di Bruno Berni, Roma,Edizioni dell’Altana, 2001, pp. 134, £.28.000

Hans Henny Jahnn, La notte di piombo, trad.di Alberta Bonacci, Pisa, Tipografia Editri-ce Pisana, Jacques e i suoi quaderni, 2001,pp. 143, £. 20.000

Alfred Kolleritsch, Il primato della fioritu-ra, introd. di Peter Handke, a cura diRiccarda Novello, Milano, Crocetti, 2000,pp. 168, £. 29.000

Friedrich Schiller, Wallenstein, trad. di Ga-briella Piazza, introd. di Giulio Schiavoni,Milano, Rizzoli, 2001, pp. 663, £. 24.000

Kathrin Schmidt, A nord dei ricordi, a curadi Anna Ruchat, Torino, Einaudi, 2001, pp.424, £. 32.000

Birgit Vanderbeke, Vedo una cosa che tu nonvedi, trad. di Sarina Reina, Venezia,Marsilio, 2001, pp. 92, £. 20.000

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53. Georg Brandes, radicalismo aristocratico e altri scritti su Nietzsche,a cura di Alessandro Fambrini, 142 pp., ISBN 88-8443-009-7, L. 25.000.

Georg Brandes (1842-1927), danese, critico letterario e studioso di fama internazionale, fu ilcapofila di un movimento che proiettava la cultura nordica ai vertici dell’avanguardia europeanel fin de siècle. Il suo saggio su Nietzsche, Radicalismo aristocratico (1889), non è soltanto ilprimo di una lunga teoria di testi che nel volgere di pochi anni segneranno l’immensa fortunacritica del filosofo tedesco, ma anche la voce ora distaccata ora appassionata di chi per Nietzscherappresentava un modello critico e un esempio intellettuale e fu al tempo stesso un’isola diserenità e comprensione nel periodo che precedette il crollo psichico del gennaio 1889. Questovolume raccoglie per la prima volta il complesso di testi che Brandes dedicò a Nietzsche nel-l’arco di vent’anni, dal 1889 al 1909, ed è completato dal carteggio Brandes-Nietzsche.

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Osservatorio Critico della germanisticaanno IV, n. 11Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche - Trento 2001

Direttore Responsabile: Massimo Egidi

Redazione: Fabrizio Cambi, Alessandro Fambrini, Fulvio FerrariComitato esterno: Luca Crescenzi, Guido Massino, Lucia Perrone Capano, Grazia Pulvirenti,Aldo Venturelli, Roberto VenutiProgetto grafico: Roberto MartiniImpaginazione: C.T.M. (Luca Cigalotti)Editore: Maria Pacini Fazzi Editore - Lucca

Periodico quadrimestrale (febbraio, giugno, ottobre)Abbonamento annuale (tre numeri): £. 25.000Abbonamento estero: £. 36.000Numero singolo e arretrati: £. 10.000

Modalità di abbonamento: versamento sul conto corrente postale numero 11829553 intestatoa: MARIA PACINI FAZZI - LUCCA, specificando nella causale sul retro ABBONAMENTOANNUALE A ‘OSSERVATORIO CRITICO DELLA GERMANISTICA’, e indicando nome,cognome, via e numero, c.a.p., città, provincia e telefono, oltre al numero di partita i.v.a. per glienti, istituzioni, aziende che desiderano la fattura.

Manoscritti di eventuali collaborazioni e libri da recensire vanno indirizzati ai componentidella redazione presso il Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche,via S.Croce 65, 38100Trento (tel. 0461/881718, 0461/881723 o 881739; fax. 0461/881751; [email protected]).

Amministrazione e pubblicità: MARIA PACINI FAZZI EDITORE S.R.L., piazza S. Romano16 - casella postale 173 - 55100 Lucca; tel. 0583/55530 - fax 0583/418245; [email protected]

Stampa: Tipografia Menegazzo - viale S. Concordio 903 - LuccaAprile 2000

periodico in attesa di registrazione presso il Tribunale di Lucca

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OSSERVATORIO CRITICOdella germanistica

Università degli Studi di Trento

III - 8Lire 10.000

INDICE

Alberto DestroStoria della civiltà letteraria tedesca diretta da Marino Freschi 1

Daniela RandoHeinrich von Nördlingen e Margaretha Ebner, Le lettere (1332-1350),a cura di Lucia Corsini e con una “Premessa” di Donatella Bremer Buono 5

Maria Grazia SaibeneMichela Fabrizia Cessari, Der Erwählte, das Licht und der Teufel. Eineliterarhistorisch-philosophische Studie zur Lichtmetaphorik in Wolframs“Parzival” 7

Donatella MazzaJochen A. Bär, Sprachreflexion der deutschen Frühromantik.Komzepte zwischen Universalpoesie und Grammatischem Kosmopolitismus 11

Giulia CantaruttiJohann Caspar Lavater, Ausgewählte Werke in historisch-kritischer Ausgabe.Vol. II. Aussichten in die Ewigkeit. 1768-1773/78, a cura di Ursula Caflisch-Schnetzler 13

Cesare GiacobazziEckhard Schumacher, Die Ironie der Unverständlichkeit 16

Stefano BerettaRobert Walser und die moderne Poetik, herausgegeben von Dieter Borchmeyer 21

Paola Quadrelli Identités – existences – résistances: Réflexions autour des Journaux 1933-1945 de Victor Klemperer, textes réunis par André Combes et Didier Herlem

Wolfgang Mieder, “IN LINGUA VERITAS”. Sprichwörtliche Rhetorik in Victor Klemperers Tagebüchern 1933-1945 24

Fabrizio CambiRita Svandrlik, Ingeborg Bachmann: i sentieri della scrittura 28

Claudia SoninoGiulio Schiavoni, Walter Benjamin. Il figlio della felicità. 31

Alessandro FambriniAmedeo Bertolo (a cura di), L’anarchico e l’ebreo. Storia di un incontro 32

SCHEDE 34INTERVENTI 36SCEGNALAZIONI 37

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