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IURIS ET DE IURE Bollettino quindicinale di aggiornamento del Consiglio Notarile di Catania e Caltagirone N. 9 - 15 OTTOBRE 2014 in redazione: Giuseppe Pappalardo --------------------- Cari Lettori, nella "prima pagina" di questo numero del bollettino trovate un approfondimento del Collega Notaio Alberto Spina in tema di rinunzia all'azione di restituzione prima della morte del donante. Come tutti sapete, trattasi di un argomento di stretta attualità e la cui soluzione, ove esso venga affrontato e risolto con esito positivo (sulla scorta di quanto sostenuto da parte di chi si è occupato della materia nonché di un recentissimo precedente giurisprudenziale pure richiamato nel contributo che pubblichiamo), potrà essere di notevole aiuto per il professionista notaio e per la sua clientela al fine di possedere un ulteriore mezzo negoziale che consenta una migliore circolazione giuridica agli immobili la cui provenienza donativa spesso funge da ostacolo al trasferimento a terzi nonché all'ottenimento del credito bancario; e ciò senza dover soggiacere alla stipulazione, forse raramente davvero voluta e per ciò stesso probabilmente priva di causa, di tutti quei contratti risolutori ormai ben noti alla prassi di questi anni. Grazie per l'attenzione e buona lettura! (G. P.) --------------------- SOMMARIO Prima Pagina: La rinuncia all'azione di restituzione prima del decesso dei donanti (di Alberto Spina) pag. 2 Rassegna di Giurisprudenza pag. 7 Studi del Notariato pag. 7 Varie pag. 22 1

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IURIS ET DE IURE

Bollettino quindicinale di aggiornamentodel Consiglio Notarile di Catania e Caltagirone

N. 9 - 15 OTTOBRE 2014

in redazione: Giuseppe Pappalardo

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Cari Lettori,nella "prima pagina" di questo numero del bollettino trovate un approfondimento del Collega Notaio Alberto Spina in tema di rinunzia all'azione di restituzione prima della morte del donante. Come tutti sapete, trattasi di un argomento di stretta attualità e la cui soluzione, ove esso venga affrontato e risolto con esito positivo (sulla scorta di quanto sostenuto da parte di chi si è occupato della materia nonché di un recentissimo precedente giurisprudenziale pure richiamato nel contributo che pubblichiamo), potrà essere di notevole aiuto per il professionista notaio e per la sua clientela al fine di possedere un ulteriore mezzo negoziale che consenta una migliore circolazione giuridica agli immobili la cui provenienza donativa spesso funge da ostacolo al trasferimento a terzi nonché all'ottenimento del credito bancario; e ciò senza dover soggiacere alla stipulazione, forse raramente davvero voluta e per ciò stesso probabilmente priva di causa, di tutti quei contratti risolutori ormai ben noti alla prassi di questi anni. Grazie per l'attenzione e buona lettura!(G. P.)

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SOMMARIO

Prima Pagina: La rinuncia all'azione di restituzione prima del decesso dei donanti (di Alberto Spina) pag. 2

Rassegna di Giurisprudenza pag. 7

Studi del Notariato pag. 7

Varie pag. 22

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PRIMA PAGINA

LA RINUNCIA ALL'AZIONE DI RESTITUZIONE PRIMA DEL DECESSO DEI DONANTI

A) INTRODUZIONE

Come è noto, uno dei problemi che affligge maggiormente la professione notarile e con il quale ci si confronta quasi quotidianamente è quello relativo alle provenienze donative ed alla difficoltà - per non dire impossibilità - di garantire la sicura circolazione di immobili caratterizzati, appunto, dall'essere pervenuti al dante causa attraverso una liberalità.E quando parliamo di liberalità ci riferiamo, ovviamente, a tutte le fattispecie conosciute nel nostro ordinamento, tanto se l'immobile da commercializzare provenga da una donazione tipica quanto se lo stesso sia stato oggetto di una liberalità indiretta.Scopo di questo breve studio, premessa l'analisi dei rimedi proposti nella pratica quotidiana per scongiurare la difficoltà di circolazione degli immobili oggetto di provenienza donativa, è proprio quello di verificare la legittimità di una soluzione proposta recentemente da uno studioso della materia (Giancarlo Iaccarino, Notariato 4/2012 pagg. 395 e segg.) soluzione che, se riconosciuta lecita, consentirebbe di evitare il ricorso ad alternative spesso forzate e di dubbia legittimità.

B) LE SOLUZIONI PROPOSTE NELLA PRATICA

Le criticità che caratterizzano le provenienze donative si manifestano su due fronti.Da un lato ci potremmo trovare di fronte ad un soggetto titolare di un immobile pervenuto per donazione e che deve realizzare un'operazione che non implica il trasferimento dell'immobile a terzi (caso classico, la stipula di un mutuo con garanzia ipotecaria) ma che mette comunque a rischio la posizione del terzo (nel nostro esempio la Banca); in questo caso, i legittimari lesi potrebbero, dopo la morte del donante, agire in riduzione al fine di rendere inefficace nei loro confronti la liberalità, riduzione che, ai sensi dell'art. 561 c.c., comporterà la restituzione degli immobili alla massa ereditaria liberi da pesi ed ipoteche (salvo il decorso del ventennio dalla trascrizione della donazione) con conseguente danno per il terzo che è "entrato in contatto" con il donatario.Da un altro lato, si potrebbe prospettare il caso - più frequente nella pratica - in cui il soggetto titolare dell'immobile pervenuto per donazione debba trasferire lo stesso a terzi, che correrebbero il rischio concreto di vedersi coinvolti nell'azione prevista dall'art. 563 c.c.., azione di natura reale dalla quale consegue la restituzione dell'immobile (fatto salvo il decorso del ventennio dalla trascrizione della donazione).Al fine di scongiurare i pericoli richiamati sopra, nella pratica sono stati escogitati vari rimedi, alcuni dei quali, peraltro, di dubbia legittimità; si pensi alla fideiussione prestata dagli stessi donanti, all'ampliamento della garanzia per evizione, alla novazione della donazione ed alla risoluzione consensuale del titolo donativo.Quest'ultimo, in particolare, è il rimedio più utilizzato nella prassi e la sua legittimità è stata recentemente affermata da una sentenza della V Sezione della Cassazione - la n. 20445 del 6 ottobre 2011 - la quale, partendo dal principio per cui "la figura del mutuo dissenso costituisce espressione dell'autonomia negoziale dei privati che sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio a prescindere dalla esistenza di eventuali fatti o circostanze sopravvenute impeditivi o modificativi della attuazione dell'originario regolamento di interessi...(omissis)", afferma la legittimità dell'istituto e la

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sua applicabilità anche ai contratti con efficacia reale; in particolare, secondo la Suprema Corte la risoluzione convenzionale integra, un contratto autonomo con il quale le parti estinguono un contratto precedente, liberandosi dal relativo vincolo", producendo "effetti estintivi delle posizioni dallo stesso create"; il contratto, conclude la sentenza, produce un "effetto ripristinatorio con carattere retroattivo" identico a quello previsto dall'art. 1458 c.c. per il caso di risoluzione per inadempimento. Non vi sono, pertanto, "impedimenti ad un accordo risolutorio con effetto retroattivo di un contratto ad efficacia reale, fatto salvo l'onere della forma ad substantiam".Peraltro, fino a poco tempo fa tale soluzione non era conveniente da un punto di vista fiscale, in quanto l'Amministrazione finanziaria, partendo dal presupposto che con la risoluzione consensuale si realizzasse un contrarius actus, concludeva per l'applicazione delle imposte in misura proporzionale; tuttavia, questa pesante conseguenza è stata scongiurata da una recente risoluzione dell'Agenzia delle Entrate - la 20/E del 2014 - che, accogliendo l'orientamento della Cassazione, ha concluso per l'assoggettamento dell'atto ad imposta fissa.I principi affermati dalla Cassazione - e ripresi dall'Agenzia delle Entrate - sono della massima importanza, anche perché vengono affrontati un po' tutti i problemi legati alla risoluzione consensuale; ma la legittimità della risoluzione consensuale è ancora molto discussa, principalmente in dottrina e l'utilizzo di tale rimedio non sempre e non per tutti dà garanzia di sicurezza nella circolazione degli immobili.Infine, a seguito della riforma del 2005, una parte della dottrina (in particolare, Filippo Patti, La circolazione dei beni da provenienza donativa, in Quaderni di Notariato, pag. 139 ss.) ha sostenuto che con la rinunzia all'opposizione prevista dall'art. 563 c.c. "il legittimario accetta il rischio di rinunziare alla pretesa reale sui beni alienati dal donatario, mantenendo in ogni caso il credito nei confronti di quest'ultimo. La rinunzia all'opposizione si sostanzia in una rinunzia all'azione di restituzione nei confronti del terzo...".Invero, come è stato osservato, affermare che rinunziare all'opposizione equivalga a rinunziare all'azione di restituzione, se ha una sua logica in linea con quello che avrebbe dovuto essere lo spirito della riforma, si scontra inevitabilmente con la lettera della legge e, da un punto di vista tecnico, appare carente: la rinuncia all'opposizione, così come è stato congegnata dal legislatore del 2005, aveva ed ha il solo scopo di rinunciare a bloccare un termine trascorso il quale non vi è più spazio per i legittimari per recuperare il bene oggetto di donazione dai terzi o per recuperarlo libero da pesi ed ipoteche; qualunque lettura diversa, seppur in linea - ripetesi - con lo spirito della riforma, appare una forzatura eccessiva.E con ciò non si vuole dire che non sia possibile rinunciare sic et simpliciter all'azione di restituzione quando i donanti siano ancora in vita, ma si intende affermare che, probabilmente, esiste una strada più diretta e meno "tortuosa" per giungere alla stessa conclusione.

C) LA RINUNCIA ALL'AZIONE DI RESTITUZIONE PRIMA DEL DECESSO DEI DONANTI: UNA STRADA PERCORRIBILE.

E veniamo al punto centrale della nostra indagine, esaminando gli argomenti contrari che tradizionalmente la dottrina ha sostenuto per negare la possibilità di rinunciare all'azione di restituzione prima del decesso dei donanti nonché gli argomenti, di contro, a sostegno di tale possibilità.

C1) Il primo argomento sostenuto da una parte della dottrina per negare la possibilità di rinunciare all'azione di restituzione prima del decesso dei donanti è quello del divieto -

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quello sì espressamente previsto dalla legge - sancito dall'art. 557 c.c. di rinunciare all'azione di riduzione "finché vive il donante". In particolare, secondo questa teoria l'azione di restituzione sarebbe una sorta di "costola" dell'azione di riduzione, con la conseguenza inevitabile dell'applicabilità del divieto in questione anche a quest'ultima.Invero, come si avrà modo di esaminare più avanti, la dottrina dominante e la stessa giurisprudenza hanno da sempre sottolineato che le azioni in questioni si muovono su due piani diversi, sono totalmente autonome l'una dall'altra e gli interessi che l'art. 557 c.c. mira a tutelare si riferiscono esclusivamente all'azione di riduzione: il divieto di rinunziare a quest'ultima, in particolare, oltre a tutelare gli interessi della famiglia, è stato dettato per evitare di condizionare all'evento morte la sistemazione del patrimonio del de cuius, interesse che non ricorre nel caso della rinunzia all'azione di restituzione, che è riferita a beni singoli, già usciti dal patrimonio del futuro de cuius ed è finalizzata esclusivamente a consentirne la libera circolazione.Tutto ciò senza voler considerare - argomento di non poco conto - il dato letterale, perché la norma si riferisce esclusivamente all'azione di riduzione e, trattandosi di norma che pone un divieto, la sua interpretazione deve essere restrittiva e l'applicazione analogica deve essere esclusa.

C2) Come si è appena detto, un argomento decisamente a favore della rinunziabilità dell'azione in questione è certamente quello relativo alla chiara differenza fra la stessa e l'azione di riduzione.La dottrina dominante (Mengoni, Capozzi, Tamburrino e altri) e la giurisprudenza della Cassazione (Cass. sez. II, 22 marzo 2001 n. 2261) da sempre sottolineano la profonda diversità delle due azioni.Un primo argomento è quello di carattere sistematico: le azioni sono disciplinate da norme diverse - art. 553 per l'azione di riduzione, 561 per la restituzione nei confronti dei donatari o beneficiari e 563 per la restituzione nei confronti dei terzi - benché riportate nella stessa sezione dello stesso libro del codice civile: e ciò a differenza di quanto previsto dal codice abrogato, che disciplinava le due azioni con un'unica norma (l'art. 1069).Ma, al di là del dato sistematico, altri argomenti sono stati proposti per sottolineare la differenza fra le due azioni: diversi sono il petitum (nella riduzione, la dichiarazione di inefficacia di donazioni e disposizioni testamentarie lesive, nella restituzione il recupero della res fuoriuscita), la causa petendi (intesa come la pretesa da far valere in giudizio), la legittimazione passiva (i beneficiari delle disposizioni nella riduzione, gli aventi causa di questi ultimi nella restituzione) e la natura (come ha ben motivato la sopra richiamata Cassazione, l'azione di riduzione è una azione di impugnativa, che costituisce il presupposto dell'azione di restituzione, mentre quest'ultima è un'azione di condanna che presuppone il passaggio in giudicato della prima).Ma un ulteriore argomento che sottolinea l'evidente differenza si può ricavare dal recente orientamento della Cassazione - sentenza n. 11496 del 12 maggio 2010 - secondo il quale alla riduzione delle donazioni indirette non potrà conseguire il recupero reale del bene (azione di restituzione); conseguentemente, al legittimario leso - o preterito - non spetterà altro che un diritto di credito nei confronti del donatario indiretto, corrispondente al controvalore dell'immobile, mediante il metodo dell'imputazione, come nella collazione; la Suprema Corte conclude affermando che "la riduzione delle donazioni indirette non mette in discussione la titolarità dei beni donati, né incide sulla circolazione dei beni".Per quel che concerne l'argomento in questione, la sentenza è interessante per due aspetti: da un lato conferma la diversità delle due azioni, tanto da ammettere l'esperibilità della prima - la riduzione - negandola per la seconda - la restituzione - ; da un altro lato, se si negasse la disponibilità dell'azione di restituzione e la possibilità di rinunziare alla stessa,

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non si coglierebbe la ragione logica per la quale la liberalità indiretta dovrebbe ricevere un trattamento più favorevole della donazione tipica.Infine, giova ricordare una recente risposta a quesito - n. 453/2012/C - del settore studi civilistici del CNN che, partendo dal presupposto della profonda differenza fra le due azioni, ha ammesso per il legittimario la possibilità di rinunziare all'azione di restituzione - nella fattispecie dopo il decesso del donante - pur mantenendo la possibilità di agire in riduzione, proprio a sottolineare il fatto che si tratta di due azioni completamente diverse.

C3) Veniamo, adesso, ad un altro argomento utilizzato da una parte della dottrina per negare la possibilità di ricorrere alla rinuncia di cui si tratta.Secondo alcuni autori, la rinunzia ad agire in restituzione prima del decesso dei donanti sarebbe in contrasto con il divieto dei patti successori, ed in particolare con i patti cd. rinunziativi, mediante i quali un soggetto rinunzia ai diritti che gli possano spettare su una successione non ancora aperta.Ma, a ben vedere, anche questo argomento contrario sembra non reggere. Come è noto, la ratio del divieto in questione, secondo la dottrina prevalente, consiste nell'evitare eccessi di prodigalità - soprattutto da parte di soggetti più deboli per ragioni di età o di stato di salute - nonché scongiurare accordi immorali e pericolosi perché fondati sul desiderio dell'altrui morte: ebbene, nessuno di questi elementi sembra ricorrere nella fattispecie che si sta esaminando.Non certo il rischio di prodigalità, argomento troppo debole se solo si pensa che lo stesso sarebbe destinato a cadere in presenza di un corrispettivo; inoltre, il rischio di prodigalità è scongiurato anche dal fatto che, nella fattispecie che ci occupa, la rinuncia ha ad oggetto dei beni determinati il cui valore è ben noto al rinunziante, mentre nel caso di rinunzia all'azione di riduzione prima del decesso dei donanti si rinunzierebbe ad un patrimonio il cui valore non solo non è noto al rinunziante ma verrà determinato in un momento successivo, ovvero all'apertura della successione.Ancor meno probante è l'argomento relativo alla immoralità e pericolosità della rinuncia, che non si riferisce ad un bene che appartiene alla sfera patrimoniale del de cuius ma, al contrario, ad un bene che ne è già fuoriuscito: non si tratta di un atto concluso in previsione dell'evento morte, ma di un atto finalizzato ad agevolare la circolazione degli immobili, che non solo prescinde dall'evento morte ma addirittura è "collegato" alla vita del donante che, anzi, ne costituisce il presupposto.

C4) Un ultimo - anche se non meno importante - argomento a favore della possibilità di rinunciare all'azione di restituzione si può ricavare proprio dalla riforma del 2005 ma non nel senso, sopra esposto, di equiparare la rinunzia all'opposizione alla rinunzia alla restituzione.La dottrina più acuta (Tagliaferri, Iaccarino) ha osservato che il legislatore della riforma è partito da un presupposto: dare maggiore certezza alle provenienze donative. E, per raggiungere questo obiettivo, il legislatore ha previsto la decadenza dalla possibilità di agire in restituzione dopo il decorso di venti anni dalla trascrizione della donazione: ebbene, questa previsione costituisce una svolta epocale nel sistema della tutela dei legittimari che, in presenza di determinati presupposti, degrada da reale ad obbligatoria, proprio a vantaggio della commerciabilità degli immobili.Ma - e questo è il punto - il presupposto del decorso del ventennio si può verificare anche quando i donanti sono in vita; ne consegue che il legislatore della riforma ha definitivamente sganciato l'azione di restituzione dall'evento morte e, così come è possibile per il legittimario decidere di rinunciare al proprio diritto di agire in restituzione facendo trascorrere il termine ventennale, non si vede in virtù di quale principio o di quale norma imperativa lo stesso non possa decidere di anticipare gli stessi effetti con una rinuncia preventiva all'azione di restituzione.

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C5) Giova segnalare, infine, nonostante si tratti di una pronunzia di merito, l'unico e recentissimo precedente del la giurisprudenza sull'argomento in questione: un decreto del Presidente del Tribunale di Torino - n. 2298/2014 del 25 settembre 2014.I fatti: un Notaio di Torino riceve l'atto di rinuncia in oggetto, prima del decesso dei donanti, e ne chiede la trascrizione, formalità che viene rifiutata dal Conservatore in quanto non prevista dall'art. 2643 c.c.; il Notaio ricorre al Presidente del Tribunale, sostenendo la legittimità della rinuncia e la sua trascrivibilità in virtù di un supposto principio di simmetria, stante l'espressa previsione del legislatore con riferimento alla trascrizione della rinunzia all'opposizione che, secondo il ricorrente, si sostanzia in una rinunzia alla restituzione.Il Presidente del Tribunale non accoglie il ricorso del Notaio, a nostro avviso correttamente, sulla base del principio della tassatività degli atti soggetti a trascrizione, fra i quali non rientra certamente la rinunzia alla restituzione e rimarca la sostanziale differenza fra l'atto in oggetto e la rinunzia all'opposizione, che ha la sola finalità di rendere noto ai terzi che il termine ventennale di prescrizione dell'azione di restituzione è sospeso.Detto questo, il Presidente del Tribunale afferma che comunque la "disponibilità dell'azione di restituzione, e quindi la sua espressa rinunciabilità, prima del decorso del ventennio dalla tracrizione della donazione, sembra avvalorata dal fatto che in caso di inerzia del legittimario l'azione è destinata a perire col decorso del predetto termine anche se il donante sia ancora in vita", così legittimando - utilizzando uno dei tanti argomenti a favore portati avanti dalla dottrina - la rinunzia in oggetto.Ma il Presidente va oltre, e suggerisce un sistema alternativo di pubblicità: l'annotazione a margine dell'atto di donazione e, pur prendendo atto dell'impossibilità di inserire nel quadro C dei soggetti i rinuncianti (in quanto l'atto annotato era intercorso fra soggetti diversi) suggerisce di risolvere il problema esplicitando il contenuto dell'atto e le generalità dei rinuncianti nel quadro D.Sulla legittimità di quest'ultima forma di pubblicità si può discutere, anche se serve ricordare che, secondo certa dottrina (Gabrielli) nel sistema della pubblicità immobiliare, oltre al principio di tassatività, esiste anche il principio di verità, che legittimerebbe l'esecuzione di una annotazione anche al solo fine di notizia, per rendere note le modifiche e le vicende relative ad atti già trascritti.Crediamo, tuttavia, che l'atto di rinunzia di cui discutiamo non sia soggetto ad alcuna forma di pubblicità immobiliare, al pari della rinunzia all'eredità o della rinunzia alla riduzione: non certo la trascrizione, che nessuna norma prescrive, e ancor meno l'annotazione, che è una forma di pubblicità utilizzata per gli atti che incidono sugli effetti di altri atti (si pensi alla risoluzione di un contratto, all'avveramento o meno di una condizione, alle modifiche dal lato soggettivo di un rapporto obbligatorio): la rinunzia in oggetto non incide sugli effetti della donazione, serve solo a rendere non più aggredibile il successivo atto di trasferimento a terzi.

D) CONCLUSIONI

Le considerazioni sin qui svolte ci inducono a ritenere senz'altro legittima una rinuncia all'azione di restituzione (contro gli aventi causa dai donatari) prima del decesso dei donanti.Questa rinuncia non è vietata da alcuna norma imperativa (l'art. 557 c.c. si riferisce ad una azione, come si è visto, completamente diversa dalla nostra) né viola alcun principio inderogabile (come si è detto, siamo completamente al di fuori dei patti successori rinunziativi).Di contro, esistono parecchi argomenti favorevoli nonché una lettura logica della riforma del 2005 che autorizzano a considerare questa strada non solo legittima ma sicuramente

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da preferire ad altri rimedi escogitati non sempre idonei a raggiungere gli effetti sperati e, in alcuni casi, di dubbia legittimità.Se la riforma del 2005 ha previsto la perdita del diritto di agire in restituzione a prescindere dall'evento morte, non esiste alcuna spiegazione logica che impedisca di anticipare lo stesso effetto ad un momento precedente e per volontà dello stesso titolare del diritto.(Alberto Spina)

GIURISPRUDENZA

SUCCESSIONI - Testamento olografoCassazione, sentenza 3 settembre 2014, n. 18644, sez. II civile

La data del testamento olografo può essere apposta in ogni parte della scheda, non prescrivendo la legge che essa debba precedere o seguire le disposizioni di ultima volontà.

TRIBUTI - Agevolazioni prima casa e cittadino emigrato all'esteroCassazione, Ordinanza del 9 settembre 2014 n. 15617, Sez. 6 - 5 1) In tema di agevolazioni tributarie per l'acquisto della prima casa, ai sensi della nota II bis dell'art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, l'esonero dal requisito della correlazione tra comune di ubicazione dell'immobile e luogo di residenza o svolgimento dell'attività lavorativa di cui gode il cittadino italiano emigrato all'estero, in ragione del particolare valore sociale riconosciuto al lavoro prestato all'estero ed all'emigrazione, opera anche in relazione alla conservazione del beneficio in caso di vendita dell'immobile nel quinquennio e riacquisto di un ulteriore immobile entro l'anno.

2) In tema di agevolazioni tributarie per l'acquisto della prima casa, ai sensi del comma 4, ultimo periodo, della nota II bis dell'art. 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, la relativa decadenza è evitata se il contribuente, pur avendo trasferito l'immobile prima del decorso del termine di cinque anni dall'acquisto, entro un anno dall'alienazione ne acquisti un altro e dichiari, nell'atto di compravendita, l'intenzione di adibirlo ad abitazione principale, mentre non è richiesta la concreta realizzazione dell'intento abitativo.

STUDI DEL NOTARIATO

Su CNN Notizie del 29 settembre è stata data la seguente risposta al Quesito di Impresa n. 82-2014/I, intitolato SOCIETÀ TRA FARMACISTI IN FORMA DI S.A.S. E DISCIPLINA DELLE SOCIETÀ TRA PROFESSIONISTI, che si riporta. "Si chiede se sia legittimo costituire una società in accomandita semplice nella quale:- il socio accomandante non è farmacista ma conferisce l'azienda farmacia pervenutagli per successione, quale unico erede;- socio accomandatario è un farmacista,e se vi sia un limite temporale (dalla data del decesso) entro il quale costituire la società.

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Si precisa che nel frattempo, l'attività è continuata a seguito della nomina di un "direttore".***L’art. 10 della legge 12 novembre 2011, n. 183, ammette la costituzione di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli delle società di persone, di capitale e cooperative, alle quali possono partecipare anche soggetti non professionisti, a condizione che il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti sia “tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci” (comma 4 lett. b).Tale disposizione, che ammette – seppure entro precisi limiti – la possibilità per soggetti non professionisti di partecipare alle società professionali, non sembra potersi applicare alle società tra farmacisti, le quali possono essere costituite, ai sensi del comma 2 dell’art. 7 l. 8 novembre 1991, n. 362 (Norme di riordino del settore farmaceutico), esclusivamente tra farmacisti.La disciplina generale sulle STP, che è contenuta nella l. 183/2011, deve essere, infatti, coordinata con le precedenti normative speciali in tema di professioni protette.Il coordinamento tra la legge sulle STP e le leggi di settore che in precedenza regolavano le società tra professionisti è contenuto nel comma 9 dell’art. 10 l. 183/2011 n. 183, il quale fa «salve le associazioni professionali, nonché i diversi modelli societari già vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge».Tale disposizione è stata interpretata nel senso che:- nonostante l’art. 10, comma 11 l. 183/2011 abbia abrogato la legge 23 novembre 1939 n. 1815, contenente la disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza, deve ritenersi ancora legittimo il ricorso all’associazione professionale regolata nell’art. 1 della predetta l. 1818/1939;- rimangono in vigore i modelli societari regolati nelle precedenti leggi di settore, le quali si pongono come norme speciali rispetto alla disciplina generale sulle STP contenuta nella l. 183/2011 e, pertanto, non possono ritenersi abrogate in virtù del principio lex posterior non derogat priori speciali (NARDONE – RUOTOLO – SILVA, Prime note sulla società tra professionisti, in Studi e materiali, 2012, 1155).Resta, quindi, immutata la disciplina delle società tra professionisti regolate in precedenti leggi, quali quelle tra ingegneri, avvocati, revisori dei conti e, per ciò che qui interessa, farmacisti.In virtù, dunque, della regola della specialità delle discipline previgenti, le società tra farmacisti continuano ad essere regolate dalle leggi 2 aprile 1968, n. 475 e 8 novembre 1991, n. 362 (in tal senso, SPADA, Società di farmacisti e socio di capitali. Parere pro veritate, reperibile su www.cavererespondere.it).***Non appare, quindi, possibile costituire una s.a.s. nella quale socio accomandante non è farmacista che conferisce l'azienda farmacia pervenutagli per successione, quale unico erede.L’art. 7, comma 2, l. 362/1991, infatti, richiede necessariamente la qualifica di farmacista per costituzione della società, senza operare alcuna distinzione tra la posizione socio illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali e socio con responsabilità limitata.Resta, pertanto, fermo l’obbligo imposto dall’art. 12, comma 11, l. 475/1968, il quale prevede che nel caso di morte del titolare gli eredi possano entro un anno effettuare il trapasso della titolarità della farmacia a favore di altro farmacista, continuando, durante tale periodo, l'esercizio in via provvisoria sotto la responsabilità di un direttore."

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Sempre su CNN Notizie del 29 settembre è stata data la seguente risposta al Quesito di Impresa n. 593-2013/I, dal titolo CONFERIMENTO DI FARMACIA PRIVATA IN S.N.C. E TITOLARITÀ DI PIÙ ESERCIZI; si riporta per intero. "Si prospetta la seguente fattispecie: il dottor Tizio, titolare di una farmacia quale ditta individuale, intende conferire detta farmacia nella società Alfa s.n.c., la quale a sua volta è titolare di una farmacia sita nella stessa provincia di quella del dottor Tizio, ed i cui soci sono il dottor Calo ed il dottor Mevio.La Alfa s.n.c., quindi, intenderebbe deliberare un aumento di capitale da offrire in sottoscrizione al terzo estraneo dottor Tizio che a liberazione dello stesso conferirebbe la sua farmacia.Contestualmente, il dottor Tizio e la dottoressa Mevia (anch'ella farmacista) intenderebbero acquistare, l'intera quota dei soci della Alfa s.n.c. dottori Caio e Mevio, con il risultato finale che la società Alfa s.n.c., la cui ragione sociale vorrebbero che fosse mutata in "Farmacia Dottor Tizio e C. s.n.c.", sia titolare delle due farmacie ed i cui unici soci siano il dottor Tizio e la dottoressa Mevia.Alla luce delle vigenti normative è realizzabile l'operazione nei termini sopra prospettati?Premesso che i patti sociali della Alfa s.n.c. prevedono che la società "ha per oggetto esclusivo l'acquisto, l’esercizio e la gestione di una farmacia", al fine di acquisire la seconda farmacia è necessario preventivamente modificare l'oggetto sociale prevedendo l'acquisizione e la gestione di farmacie nei limiti in cui ciò sia consentito dalle norme tempo per tempo vigenti?***La risposta è, ad avviso di chi scrive, da rinvenirsi nello stesso testo della legge 8 novembre 1991, n. 362 che, all’art. 7, dettato in tema di Titolarità e gestione della farmacia, prevede:- al comma 1, che La titolarità dell'esercizio della farmacia privata è riservata a persone fisiche, in conformità alle disposizioni vigenti, a società di persone ed a società cooperative a responsabilità limitata; e- al comma 4-bis, introdotto dall'art. 5, D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (che, peraltro, ha abrogato il previgente comma 5, il quale disponeva che ciascuna società può essere titolare dell'esercizio di una sola farmacia e ottenere la relativa autorizzazione purché la farmacia sia ubicata nella provincia ove ha sede legale la società), che “Ciascuna delle società di cui al comma 1 può essere titolare dell'esercizio di non più di quattro farmacie ubicate nella provincia dove ha sede legale”.Dunque, dal 2006, non vi è più il limite di una farmacia per società, potendo la stessa esser titolare di 4 farmacie, purché ubicate, come nel caso di specie, nella stessa provincia (sul punto, Guida, L'oggetto sociale della società di gestione di farmacia e riflessi notarili, Studio n. 155-2009/I, in Studi e materiali, 2009, 1084 ss. e in CNN Notizie, del 20 luglio 2009).Quanto al fatto che l’attuale oggetto sociale preveda che la società "ha per oggetto esclusivo l'acquisto, l’esercizio e la gestione di una farmacia", esso non sembra preclusivo rispetto alla divisata operazione, posto che la formulazione risente evidentemente del testo della disciplina previgente e che non vi sono ulteriori elementi specificativi che inducano a ritenere che l’attività sia limitata ad una sola farmacia (quale sarebbe, ad esempio, l’indicazione dell’ubicazione specifica della farmacia attualmente gestita)."

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Su CNN Notizie del 30 settembre 2014 è stata pubblicata la risposta al Quesito Tributario n. 817-2013/T, dal titolo ART. 32 D.P.R. N. 131/1986 - PRELIMINARE PER SÉ E PER PERSONA DA NOMINARE SEGUITO

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DALLA STIPULA DI UN CONTRATTO DEFINITIVO A FAVORE DI SOGGETTO DIVERSO DAL PROMISSARIO ACQUIRENTE, che si riporta integralmente. "Si chiede di conoscere se, in caso di contratto preliminare, per sé e per persona da nominare in sede di atto notarile, seguito dalla stipula del contratto definitivo direttamente da parte di soggetto diverso dal promissario acquirente, espressamente richiamando il preliminare, sia corretto il comportamento dell’ufficio dell’Agenzia delle entrate che ritiene di dover assoggettare ad imposizione, ai sensi dell’art. 32 d.p.r. n. 131/1986, un doppio trasferimento.Premesso che, in caso di contratto preliminare per sé o per persona da nominare, lo stipulante si riserva, nei confronti dell’altro contraente (promittente), la facoltà di nominare successivamente un soggetto diverso al quale faranno capo i diritti e le obbligazioni nascenti dallo stesso contratto preliminare con effetto ex tunc, ossia dalla data della stipulazione (1), l’art. 32 menzionato, con riguardo alla disciplina fiscale della dichiarazione di nomina, dispone l’assoggettamento ad imposta fissa di registro della dichiarazione di nomina della persona “per la quale un atto è stato in tutto o in parte stipulato”, a condizione che la facoltà di nomina:- derivi dalla legge o da espressa riserva contenuta nell’atto cui la dichiarazione si riferisce;- sia esercitata entro tre giorni dalla data dell’atto, “mediante atto pubblico ovvero mediante scrittura privata autenticata o presentata per la registrazione entro il termine stesso”.Nell’ipotesi in cui la dichiarazione di nomina sia effettuata nello stesso atto o contratto che contiene la riserva, non è dovuta alcuna specifica imposta.In ogni altro caso, per la dichiarazione di nomina è dovuta l’imposta “stabilita per l’atto cui si riferisce la dichiarazione”.Con riguardo a quest’ultima disposizione occorre considerare come le modalità ed il termine previsti dall’art. 32 cit. differiscano da quelli di cui all’art. 1402 c.c. E ciò non per introdurre condizioni e termini che si aggiungano o sostituiscano quelli codicistici, ma per regolare le conseguenze di ordine tributario soprattutto per ragioni di cautela fiscale, tese ad evitare che la riserva di nomina venga utilizzata per coprire un doppio trasferimento dal promittente allo stipulante e da questi all’eletto. Pertanto, da un lato, il mancato rispetto, nella dichiarazione di nomina, delle condizioni di cui all’art. 32 d.p.r. n. 131/1986 non impedisce che la stessa sia considerata, anche dal punto di vista tributario, pienamente efficace e produttiva degli effetti che le sono tipici se effettuata ai sensi degli artt. 1402 e 1403 c.c. (mentre, diversamente, nel caso di mancata effettuazione della dichiarazione di nomina o di mancato rispetto dei modi o dei termini di cui agli artt. 1402 ss c.c., gli effetti del contratto al quale si riferisce la riserva di nomina si consolidano in capo ai soggetti che l’hanno stipulato (2)); da un altro lato, però, il legislatore fiscale considera la dichiarazione di nomina, effettuata senza i requisiti di forma oppure il rispetto dei termini di cui all’art. 32 d.p.r. n. 131/1986, alla stregua della conclusione di un nuovo contratto, avente gli stessi effetti di quello precedente, tra il soggetto stipulante ed il soggetto nominato, disponendo la debenza della medesima imposta di registro prevista per l’atto cui la dichiarazione si riferisce (3).Ciò considerato, se la dichiarazione di nomina effettuata senza le forme od il rispetto dei termini di cui all’art. 32 cit. è riferita ad un contratto preliminare, l’imposta prevista “per l’atto cui si dichiarazione si riferisce” è l’imposta fissa, ai sensi dell’art. 10 della tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. n. 131/1986.Un problema interpretativo si potrebbe porre nelle ipotesi in cui il contratto preliminare preveda il pagamento di caparre confirmatorie oppure di acconti sul prezzo, in quanto per queste pattuizioni è dovuta un’imposta proporzionale. Tuttavia è possibile ritenere che questa imposizione non attenga al contratto preliminare in quanto tale, ma ad elementi negoziali che risultano autonomi ai fini della tassazione e che assumono rilevanza in

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funzione della propria portata “anticipatoria” rispetto al contratto definitivo; e quindi che non si tratti dell’imposta che attiene all’atto in quanto tale, ossia al contratto preliminare, ai sensi dell’art. 32 cit. (4).In conclusione, quindi, nel caso di specie, laddove la contestazione dell’ufficio riguardi una dichiarazione di nomina relativa ad un contratto preliminare, idonea quindi alla sostituzione con effetti ex tunc del promissario acquirente, effettuata non rispettando le forme indicate dall’art. 32 cit., l’applicazione dell’imposta prevista per l’atto cui la dichiarazione stessa si riferisce dovrebbe comportare la debenza dell’imposta di registro in misura fissa, prevista dall’art. 10 della tariffa, parte prima, cit., per “i preliminari di ogni specie”.__________________1) Per approfondimenti cfr., tra gli altri, Alcaro, La sostituzione del promissario acquirente in sede di definitivo tra nomina di terzo, attribuzione a favore di terzo, cessione del contratto, in La “circolazione” del contratto preliminare di alienazione di immobili, Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2008, 10 ss.; Caravaglios, Il contratto per persona da nominare, Milano, 1998; Pennasilico, Profili della «contrattazione» per persona da nominare, Napoli, 1995; Gazzoni, Contratto per persona da nominare, dir. civ., in Enc. Giur., IX, Roma, 1988.2) Cfr. Cass. n. 21254/2006 e n. 10403/2002, richiamate in Tassani, Osservazioni in merito alla tassazione del contratto preliminare per persona da nominare (nell’imposta di registro e nell’iva), studio n. 32-2007/T, in Studi e materiali, 2008, 221 s., nt. 10.Alcuni problemi si sono posti nei casi in cui termine per la nomina sia fissato con riferimento a quello per la stipula del contratto definitivo, da ritenere ammissibile purché quest’ultimo termine, ossia quello relativo alla stipula del definitivo, sia determinato in modo certo (infatti, secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, in caso di modifica pattizia del termine di tre giorni, ai sensi dell’art. 1402 c.c., deve essere indicato un termine certo, il quale non faccia sorgere alcun dubbio sul fatto che l’adempimento prescritto dalla legge avvenga in un determinato numero di giorni, o a scadenza fissa o in altro modo sicuramente determinato). Sul punto, peraltro, l’Agenzia delle entrate si è espressa, da ultimo con la ris. n. 212 del 2009, ritenendo incerta e generica l’indicazione del termine fatta con riferimento “al momento del rogito notarile”, in un caso, però, in cui detto momento non era a sua volta individuato in modo certo e determinato (con la conseguenza di considerare il contratto preliminare, ai sensi dell’art.1405 c.c., come produttivo di effetti tra i contraenti originari).E sempre con riguardo alla clausola - molto frequente nella prassi – che stabilisce l’effettuazione della nomina con riferimento alla stipula del definitivo, si riscontra, a nostro avviso, sia in dottrina che in giurisprudenza una certa confusione e sovrapposizione del preliminare per persona da nominare con la figura del preliminare rivolto ad un definitivo per persona da nominare. In particolare la dottrina avverte del rischio che, a fronte di alcune modalità redazionali di queste clausole, la volontà delle parti non sia intesa come volta a conferire alla nomina effetti ex tunc, e quindi a produrre un mutamento soggettivo riferito al preliminare, con la conseguenza, secondo una tesi, che la dichiarazione di nomina, fiscalmente irregolare, sarebbe riferita al contratto definitivo e tassata, pertanto, come questo. Cfr. Braccini, Contratto per persona da nominare, dir. trib., inEnc. Giur., Roma, 1988; Ghinassi, Trascrizione del contratto preliminare, Aspetti fiscali, studio n. 597-bis cit., in Banca dati Notarile “AngeloGallizia” [il quale osserva che la clausola normalmente ricorrente nei preliminari di vendita, che consente di effettuare la nomina in sede di definitivo (e quindi per lo più oltre i tre giorni), può dar luogo ad inaspettate e pesanti pretese impositive ai sensi dell'art. 32 citato. Più precisamente il definitivo potrebbe essere tassato come contenente una implicita ancorché inespressa dichiarazione di nomina di altro soggetto e quindi come produttivo di un duplice effetto traslativo]; Vissalli, Contratto per persona da nominare e preliminare, in Riv. dir. civ., 1998, II, 394; Busani,L’imposta di registro, Milano, 2009, 807 s. In ordine ad una possibile riqualificazione della dichiarazione di nomina da effettuare “all’atto del definitivo” come cessione del contratto v. Pennasilico, op. cit., 88 s.; Tassani, risposta a quesito n. 237-2007/T, in Cnn notizie del 22 febbraio 2008 (il quale sottolinea come, in questi casi, la successiva dichiarazione di nomina potrebbe presentarsi o quale cessione del contratto preliminare oppure quale cessione del contratto definitivo a seconda del momento in cui la stessa interviene).

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Cfr. altresì Petrelli, Formulario notarile commentato, vol. II, Milano, 2001, 296 ss., il quale evidenzia come sarebbe opportuno precisare in atto che la clausola per persona da nominare e la relativa dichiarazione di nomina, anche ai fini e per gli effetti dell’art. 32 cit., afferiscono al contratto preliminare e non al definitivo.3) Così cfr. Tassani, Osservazioni in merito alla tassazione del contratto preliminare per persona da nominare (nell’imposta di registro e nell’iva),cit., 222 ss.4) Tassani, Osservazioni in merito alla tassazione del contratto preliminare per persona da nominare (nell’imposta di registro e nell’iva), cit., 225ss., il quale osserva altresì come la dichiarazione di nomina e gli effetti che le sono propri non comportino nessuna alterazione nella tassazione della sequenza negoziale preliminare-definitivo, caratterizzata dall’imputazione dell’imposta proporzionale di registro pagata per caparre confirmatorie ed acconti prezzo all’imposta principale prevista per il definitivo. E ciò considerando che gli effetti della dichiarazione di nomina retroagiscono, ai sensi dell’art. 1404 c.c., al momento in cui il contratto è stato stipulato, con la conseguenza che è il soggetto nominato che acquista “i diritti e assume gli obblighi derivanti dal contratto”, e quindi anche il diritto allo scomputo dell’imposta (p. 222). Nello stesso senso anche Ghinassi,Trascrizione del contratto preliminare, Aspetti fiscali, cit."

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Su CNN Notizie del 1° ottobre 2014 è stata data la seguente risposta al Quesito di Impresa n. 280-2013/I, dal titolo AFFITTO DI AZIENDA DI FARMACIA “PRIVATA”, che per intero si riporta. "Si chiede se sia ammissibile la stipula di un contratto di affitto di azienda avente ad oggetto una farmacia “privata”.La circostanza che, nel caso di specie, l’azienda oggetto del contratto di affitto sia rappresentata da una farmacia implica la necessità di valutare la compatibilità della gestione da parte del terzo affittuario con l’esercizio dell’attività di farmacia, che è riservata agli iscritti all’albo.Nella disciplina di settore, si rinviene una disposizione che sembra in apparenza consentire una distinzione fra la conduzione professionale (che rimane affidata a un farmacista direttore) e l'esercizio dell'azienda e dell'impresa (art. 11, comma 1, legge 2 aprile 1968, n. 475: “Il titolare della farmacia ha la responsabilità del regolare esercizio e della gestione dei beni patrimoniali della farmacia”).Si deve però dare atto di alcune pronunce giurisprudenziali che affermano: la nullità, per illiceità dell'oggetto e per contrarietà a norme imperative, di tutti gli accordi, comunque attuati, che di fatto sottraggano (in tutto o in parte) al titolare della farmacia la responsabilità del suo esercizio e la piena disponibilità dell'azienda farmaceutica e/o la gestione della relativa nonché la nullità dei contratti di affitto (Cass. Civ., Sez. Un., 8 novembre 1983 n. 6587, in Foro it., 1984, I, c. 465; App. Roma, 4 febbraio 1988) o di gestione della sola azienda da parte di terzi (Cass. Civ. Sez. III, 3 aprile 1991 n. 3471), fatti salvi i casi previsti dalla Legge (art, 11, comma 7, Legge n. 362/1991); e la nullità degli atti di trasferimento del diritto di esercizio della farmacia separato dall'azienda (Appello Milano, Sez. I, 19 ottobre 1984 n. 1887) (v., sul punto, Nicoloso, Il sistema farmacia, Roma, 2010, 532 s.).In sostanza, secondo la citata giurisprudenza, ogni qual volta è permessa la sostituzione del titolare nella conduzione professionale, è possibile altresì l’affitto a favore del sostituto per la durata della sostituzione (Cass. 8 novembre, n. 6587, cit.; App. L’Aquila 18 maggio 1989, in Rass. dir. farmaceutico, 1991, 70; Cass. 24 ottobre 1983, n. 6231; e con specifico riferimento al fallimento Trib. Roma 10 agosto 1995, cit., p. 392).A ben vedere, peraltro, tutte le pronunce citate sono anteriori alla modifica dell’art. 11 della legge 475 ad opera della legge 362, per cui “il titolare ha la responsabilità del regolare esercizio e della gestione” (in luogo del principio per cui “il titolare della farmacia deve

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avere la gestione diretta e personale”), che ha comportato il superamento del dogma della inscindibilità fra titolarità e gestione della farmacia fermo restando, per un principio di ordine pubblico, una correlazione fra i due profili, che implica che l’esercizio del servizio farmaceutico sia costantemente effettuato da persone munite di titoli idonei.Su tali argomenti si basa una pronuncia più recente, che ha ammesso ad esempio il sequestro giudiziario della farmacia a patto che sia nominato quale custode, accanto ad un soggetto con adeguate competenze nella gestione amministrativa e contabile, anche un soggetto, iscritto all’albo, cui affidare la responsabilità esclusiva della conduzione tecnico professionale del servizio farmaceutico (Trib. Termini Imerese, ord. 12 maggio 2006, in Riv. Giur. Farm., 6/2006, con nota adesiva di Duchi).La sostituzione del titolare dell’azienda con un soggetto che abbia i requisiti di legge per la conduzione tecnico professionale del servizio farmaceutico dovrebbe, tuttavia, esser soggetta alla approvazione dei competenti uffici del Servizio Sanitario Nazionale (così come, per l’ipotesi di fallimento del farmacista, prevede l’art. 129, comma 2, del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265).Tuttavia, anche in tempi recenti, la dottrina specialistica (Nicoloso, Il sistema farmacia, cit., 523) sembra ribadirel’illiceità dell’oggetto e la contrarietà a norme imperative di quegli accordi che, comunque attuati, di fatto sottraggano, in tutto o in parte, al titolare della farmacia la responsabilità del suo esercizio e la piena disponibilità della azienda farmaceutica e della gestione della relativa impresa. Ciò poiché si violerebbe la necessaria coincidenza della titolarità dell’autorizzazione all’esercizio di un’attività sanitaria con la gestione dell’azienda organizzata in forma d’impresa, tipica di ogni altra privatizzazione di tale attività (Cons. Stato, sez. IV, 28 maggio 2002, n. 2940)."

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Su CNN Notizie del 3 ottobre scorso è stato pubblicato, con la relativa risposta, il Quesito Civilistico n. 1050-2013/C, dal titolo RINUNZIA LIBERATORIA ALLA QUOTA DI COMPROPRIETÀ "Si chiede se sia ammissibile un atto di rinunzia alla quota di comproprietà ai sensi dell’art. 1104 c.c. e quali ne siano le conseguenze, con particolare riferimento all’eventuale accrescimento nei confronti degli altri comproprietari ed alla necessità dell’intervento in atto dei medesimi.Occorre esaminare, al fine di rispondere al quesito, l’istituto della cd. rinunzia liberatoria (1). L’art. 1104 c.c.stabilisce, nei primi due commi, che “ciascun partecipante deve contribuire nelle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune e nelle spese deliberate dalla maggioranza a norma delle disposizioni seguenti, salva la facoltà di liberarsene con la rinunzia al suo diritto. La rinunzia non giova al partecipante che abbia anche tacitamente approvato la spesa”.La disposizione in commento, dunque, consente al condividente di liberarsi dall’obbligazione di contribuire alle speserelative alla cosa comune mediante rinunzia al proprio diritto.Come è stato autorevolmente affermato (2), scopo dell’atto in questione è la liberazione, mediante il sacrificio del proprio diritto, da un’obbligazione che il soggetto abbia nei confronti di determinati altri soggetti in quanto titolare del diritto dismesso. La rinunzia è il mezzo impiegato dal condividente per raggiungere il fine della liberazione dalle spese (3). La stessa produce, dunque, non solo l’effetto abdicativo proprio di ogni rinunzia, ma anche e soprattutto quello liberatorio che vale a caratterizzarla. E proprio tale effetto liberatorio giustifica la necessità dell’espressa previsione da parte del legislatore, non essendo altrimenti consentito al debitore di rinunziare al debito senza il consenso del creditore.

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La peculiarità dell’atto di cui all’art. 1104 c.c. consiste nella circostanza che per effetto della rinunzia il comproprietario si vede liberato dell’obbligazione di contribuire alla spese inerenti la cosa comune e ciò non solo per il futuro, ma anche per il passato (e dunque anche con riferimento alle spese già deliberate) (4).Ciò vale a distinguere la figura in esame dalla rinunzia abdicativa alla quota di comproprietà, la quale ha come effetto unicamente la dismissione del diritto, determinando la liberazione solo dalle obbligazioni future (come ovvio non essendo il soggetto più proprietario del bene), ma non per quelle passate, cui il rinunziante rimane tenuto.Con riferimento alla natura giuridica della rinunzia in esame, la dottrina decisamente prevalente (5) afferma che si tratta di un negozio unilaterale recettizio.Nessun dubbio si pone circa la sua unilateralità, risultando evidente che la dismissione della situazione giuridica non può che provenire dal soggetto cui essa appartiene. In particolare, si esclude che sia necessaria l’accettazione da parte degli altri comproprietari (6). Come si vedrà, infatti, l’effetto di accrescimento della quota degli altri condividenti è una conseguenza solo mediata e riflessa della rinunzia, connessa alla natura della comunione, come tale non richiedente un atto di accettazione (7).Si è anche affermato che la volontà dismissiva deve essere manifestata in modo non equivoco, non essendo sufficiente un generico disinteresse rispetto alla cosa comune (8).Qualche dubbio si è posto, invece, con riferimento alla recettizietà della rinunzia liberatoria. Qualche autore (9) ha sostenuto, coerentemente con quanto la dottrina prevalente afferma in tema di rinunzia abdicativa, che l’atto in esame non dovrebbe essere recettizio. Si fa leva sull’effetto istantaneo dell’accrescimento, che consegue ipso iure alla rinunzia, quale conseguenza della natura giuridica della comunione. Tale automatismo renderebbe superflua la conoscenza dell’atto da parte degli altri comproprietari.La dottrina nettamente prevalente (10) critica questa ricostruzione, sostenendo che l’efficacia accrescitiva automatica implicherebbe unicamente la non necessità di accettazione e non già la superfluità della notificazione ai restanti comproprietari. La conoscenza di questi ultimi della intervenuta rinunzia, e della conseguente variazione delle quote, sarebbe necessaria per prendere atto dell’intervenuta modifica e, soprattutto, perché ad essa consegue la liberazione ex tuncdall’obbligo di contribuzione alla spese comuni in favore del rinunziante; effetto che incide in misura evidentemente negativa nei loro confronti.A seguito della rinunzia, in altri termini, gli altri condividenti si ritrovano non solo ad essere titolari di una quota di comproprietà accresciuta, ma anche gravati da un’obbligazione di pagamento delle spese (non solo per il futuro, ma anche per quelle già deliberate) in misura conseguentemente maggiore rispetto a prima. Da ciò la necessità che l’atto di rinunzia glisia portato a conoscenza e dunque la recettizietà dello stesso.Connesso al tema della natura recettizia dell’atto in esame è il problema della sua revocabilità, evidentemente esclusa da coloro che ritengono trattarsi di un atto non recettizio (11) e invece ammessa, fintanto che l’atto non sia giunto a conoscenza degli altri comproprietari, da parte di chi ne afferma la recettizietà (12).Con riferimento agli effetti della rinunzia liberatoria, dottrina (13) e giurisprudenza (14) concordano nell’affermare che ad essa consegue l’accrescimento proporzionale delle quote dei comproprietari non rinunzianti. Effetto, tuttavia, non diretto e causalmente connesso alla stessa, bensì meramente indiretto o riflesso, dovuto alla natura della comunione (pur non previsto espressamente dalla legge) (15).Venuto meno, infatti, il limite costituito dalla quota del rinunziante, il diritto di (com)proprietà dei restanti titolari tende naturalmente ad espandersi, alla luce del principio di elasticità del dominio. La fuoriuscita dalla comunione di uno dei compartecipi, del resto, non può che determinare l’incremento della partecipazione degli altri, stante che il diritto da essi vantato non ha ad oggetto una parte o frazione del bene, ma l’intero (16).

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Resta da aggiungere, con riferimento alla fattispecie de quo, che avendo ad oggetto un diritto reale immobiliare risultano necessarie, ai sensi degli artt. 1350, comma 1, n. 5 e 2643, comma 1, n. 5, c.c., la forma scritta e la trascrizione dell’atto di rinunzia (17)."

_______________________________1) Sulla rinunzia liberatoria v. LA TORRE, Abbandono e rinunzia liberatoria, Milano, 1993, p. 139 ss.; BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, in Tratt. Cicu-Messineo, XI, t. 3, Milano, 1984, p. 154 ss.; MANCINI, Note in tema di rinuncia alla proprietà, in Vitanot., 2013, 2, p. 943 ss.; FEDELE, La comunione, in Tratt. dir. civ., dir. da GROSSO-SANTORO PASSARELLI, III, 5, 1967, p. 327 ss.; FRANCO, La comunione ordinaria, in Tratt. di dir. imm., dir. da VISINTINI, III, Padova, 2013, p. 48 ss.; BIANCA, Diritto civile, VI, La proprietà, Milano, 1999, p. 407 ss.; FAVARA, Abbandono di fondo, in Nov. dig. it., I, Torino, p. 10 ss.; GRECO, in PESCATORE, ALBANO, GRECO, Della proprietà, in Comm. del cod. civ., libro III, t. 3, Torino, 1968, p. 56 ss.; FAVALE, La comunione ordinaria, in Il diritto privato oggi, a cura di CENDON, Milano, 1997, p. 486 ss.; BRANCA, Comunione. Condominio negli edifici, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1982, p. 168 ss.; FRAGALI, La comunione, in Tratt. Cicu-Messineo, t. II, Milano, 1978, p. 458; FRAGALI, La comunione, in Tratt. Cicu-Messineo, t. II, Milano, 1978, p. 450 ss.; LENER, La comunione, in Tratt. Rescigno, 8, Proprietà, t. 2, Torino, 2002, p. 348 ss.2) DEIANA, Abbandono (derelictio), in Enc. dir., I, Milano, 1958, p. 12.3) LA TORRE, Abbandono e rinunzia liberatoria, cit., p. 153. Cfr. anche BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 156, secondo la quale «se a produrre l’effetto reale sarebbe qui sufficiente anche una semplice rinuncia, l’effetto liberatorio non può che derivare, ancora una volta, da un atto col quale il singolo comunista decida di soddisfare l’interesse dei (con)creditori nel diverso modo consentitogli dalla norma (attribuzione della proprietà del bene nei limiti della sua quota)»; FRANCO, La comunione ordinaria, cit., p. 50, nt. 151, secondo il quale «la rinunzia e l’abbandono non sono strumentali alla dismissione della proprietà (o di altro diritto reale), bensì alla liberazione del soggetto debitore dalle gravose obbligazioni poste a suo carico, sì che la divisata dismissione è soltanto il mezzo che il legislatore ha utilizzato per conseguire il fine della liberazione dai debiti»; nonché MANCINI, Note in tema di rinuncia alla proprietà, cit., p. 947 ss.4) In tal senso v. FEDELE, La comunione, cit., p. 331; FRANCO, La comunione ordinaria, cit., p. 49; LA TORRE, op. cit., p. 166 ss.5) Cfr. LA TORRE, op. cit., p. 156 ss.; FAVALE, La comunione ordinaria, cit., p. 483; FAVARA, Abbandono di fondo, cit., p. 11; FRANCO, La comunione ordinaria, cit., p. 49; FEDELE, La comunione, cit., p. 328; BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 156;FRAGALI, La comunione, cit., p. 453; GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, Milano, 1959, p. 88.6) Escludono espressamente la necessità di accettazione dei comproprietari non rinunzianti: FEDELE, La comunione, cit., p. 328; LA TORRE, op. cit., p. 156; MANCINI, Note in tema di rinuncia alla proprietà, cit., p. 949; BIANCA, Diritto civile, cit., p. 408; FAVARA, Abbandono di fondo, cit., p. 11; GRECO, op. cit., p. 56.7) Cfr. BIANCA, Diritto civile, cit., p. 408, secondo il quale «Si pone allora il problema se l’acquisto richieda un atto di accettazione. La soluzione negativa è sicura nelle ipotesi di rinunzia alla quota di comproprietà. La quota rinunziata passa infatti agli altri comproprietari in virtù del principio dell’accrescimento».8) Cfr. BRANCA, Comunione. Condominio negli edifici, cit., p. 164; FAVALE, La comunione ordinaria, cit., p. 483.9) BRANCA, Comunione, cit., p. 169; GRECO, op. cit., p. 75.10) LA TORRE, op. cit., p. 156 ss.; FEDELE, La comunione, cit., p. 328; BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 156, nt. 103, la quale afferma trattarsi di una «rinuncia affatto singolare; con un atto, cioè, il cui scopo è quello di provocare la liberazione del rinunciante e, dunque, un effetto che si ripercuote negativamente nella sfera giuridica degli altri comunisti. Ed è questo aspetto che – sotto il profilo considerato – dovrebbe prevalere (rispetto a quello, positivo, dell’acquisto della quota rinunciata), giustificando il carattere recettizio dell’atto».11) V. nota 9.12) V. nota 5.

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13) LA TORRE, op. cit., p. 154 ss.; FEDELE, La comunione, cit., p. 328, secondo il quale «L’accrescimento conseguente alla rinuncia, pacificamente ammesso pur nel silenzio del legislatore, si fonda, come è stato ben osservato, sulla considerazione che, se gli altri comunisti non guadagnassero qualcosa come conseguenza della rinuncia di uno di loro, non si spiegherebbe più l’efficacia liberatoria di questa»; GRECO, op. cit., p. 58; LENER,La comunione, cit., p. 348; BRANCA, Comunione, cit., p. 168 ss.; FRAGALI, La comunione, cit., p. 458; BIANCA, Diritto civile, cit., p. 408; FAVARA, Abbandono di fondo, cit., p. 11; DEIANA, Abbandono (derelictio), cit., p. 15; BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propterrem, cit., p. 139 e p. 155 ss.; MANCINI, Note in tema di rinuncia alla proprietà, cit., p. 949; FAVALE, La comunione ordinaria, cit., p. 486; FRANCO, La comunione ordinaria, cit., p. 48 ss.14) Cass. 23 agosto 1978, n. 3931, in Rep. foro it., 1978, Comunione e condominio, n. 92: «La rinunzia abdicativa del partecipante ad una comunione, in quanto determina l’accrescimento della quota rinunciata a favore degli altri compartecipi, ha una funzione satisfattiva-liberatoria: ne consegue che il rinunziante, con la dismissione del proprio diritto (reale) si libera delle obbligazioni (propter rem) a quel diritto collegate e queste vanno a carico dei rimanenti partecipanti»; Cass. 22 febbraio 1963, n. 424, in Foro it., 1963, 1181 ss., la quale, mettendo in luce il rapporto tra rinunzia liberatoria e comunione, afferma che la rinuncia «lascia inalterato il rapporto di comunione nei confronti degli altri condomini. Lo stato di comunione, insomma, permane, restando solo più limitato il numero dei partecipanti, ma accresciuta la quota di partecipazione degli stessi sulla cosa comune. In altri termini, nel sistema della legge, la rinuncia, ai sensi dell’art. 1104, è pienamente compatibile con lo stato di indivisione della cosa comune». Da ultimo, cfr. Cass. 9 novembre 2009, n. 23691, in NGCC, 2010, I, 579 ss., la quale ha ammesso l’accrescimento delle quote dei comproprietari non rinunzianti con riferimento alla rinunzia abdicativa tout court.15) Cfr. Cass. 22 febbraio 1963, n. 424, cit., 1182, ove si legge che «è vero [...] che, nel caso di comunione di proprietà, la rinuncia ha come effetto l’acquisto della quota rinunciata da parte dei condomini, ma si tratta di effetto secondario e derivato, che non costituisce condicio iuris per il verificarsi del principale effetto liberatorio della derelictio».16) BRANCA, Comunione, cit., p. 159.17) Cfr. LA TORRE, op. cit., p. 153.; FEDELE, La comunione, cit., p. 328; GRECO, op. cit., p. 56; LENER, La comunione, cit., p. 349; FRAGALI,La comunione, cit., p. 453; FAVARA, Abbandono di fondo, cit., p. 11; FAVALE, La comunione ordinaria, cit., p. 483; FRANCO, La comunione ordinaria, cit., p. 55. Sulla trascrizione v. GAZZONI, La trascrizione degli atti e delle sentenze, in Trattato della trascrizione, dir. da GABRIELLI-GAZZONI, I, Torino, 2012, p. 260 ss."

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Su CNN Notizie del 6 ottobre 2014 è stato pubblicato lo Studio di Impresa n. 237-2014/I, IN TEMA DI IMPOSSIBILITÀ DI CONSEGUIMENTO DELL’OGGETTO SOCIALE E SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI CAPITALI.Se ne riporta l'abstract e il sommario. Lo studio in sintesi (Abstract): lo studio intende esaminare l’eventuale legittimità di una dichiarazione iscritta nel Registro delle Imprese, ai sensi dell’art. 2484, 3° comma, cod. civ., da parte degli amministratori che ritengono verificata la causa di scioglimento di cui all’art. 2484, 1° comma n. 2 cod. civ. in presenza di situazioni di difficoltà economica. Dopo aver esaminato attentamente la nozione di oggetto sociale e la sua concettuale diversità dallo scopo di lucro nonché i rapporti tra la causa di scioglimento in esame e la diversa ipotesi del fallimento, causa autonoma di scioglimento ora solo nell’ambito delle società personali, si è escluso che le difficoltà economiche, per quanto gravi, possano essere ritenute di per sé sufficienti ad integrare la causa di scioglimento di cui all’art. 2484, 1° comma, n. 2, cod. civ. e si sono passate in rassegna le conseguenze, sotto il profilo organizzativo e quello della responsabilità dei soggetti coinvolti, derivanti da uno scioglimento che trae il suo impulso procedimentale da una causa illegittima ed erroneamente pubblicizzata, individuando i rimedi dell’ordinamento a tale situazione.

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*** Sommario: 1. Premessa; 2. Impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale e mancata produzione di utili; 2.1. Oggetto sociale e scopo di lucro; 2.1.1 (segue): oggetto sociale e attività; 2.1.2. (segue): fallimento e impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale; 2.2. Conseguimento e impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale; 3. Insussistenza della causa di scioglimento e iscrizione nel registro delle imprese dell’erronea dichiarazione del suo accertamento; 3.1. Efficacia dello scioglimento e Iscrizione nel registro delle imprese; 3.2. L’iscrizione della dichiarazione erronea; 4. Impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale: caratteri, procedimento ed efficacia della causa di scioglimento; 5. (segue) Documentazione necessaria; 6. Poteri del Conservatore del Registro delle Imprese in presenza della illegittimità della causa di scioglimento; 7. Profili di responsabilità degli amministratori e dei liquidatori; 8. Rimedi alla cancellazione della società derivante da dichiarazione di scioglimento erronea.

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Su CNN Notizie del 7 ottobre 2014 è stata pubblicata la risposta al Quesito Tributario n. 87-2014/T, intitolato AGEVOLAZIONI C.D. “PRIMA CASA” PER SUCCESSIONI E DONAZIONI - TITOLARITÀ DI DIRITTI SU ALTRA ABITAZIONE NEL COMUNE, che si riporta. Si espone la seguente fattispecie. Tizio e Caia, due coniugi in regime di comunione legale, residenti a Roma, sono contitolari del diritto di usufrutto con diritto di accrescimento su due appartamenti in Roma e risultano altresì comproprietari di un altro appartamento ubicato in Roma.Tizio muore, lasciando eredi per legge la moglie Caia e i loro due figli. Con la morte di Tizio, Caia diviene unica titolare del diritto di usufrutto sui due appartamenti in Roma. La stessa, inoltre, acquista, per effetto della successione, un’ulteriore quota del diritto di proprietà dell’appartamento sito in Roma, caduto in successione per la metà, di cui era comproprietaria con il coniuge.Si chiede di sapere se, con riferimento a tale ultimo acquisto mortis causa, sia possibile per Caia richiedere l’agevolazione “prima casa”, ai fini dell’imposta ipotecaria e catastale, di cui all’art. 69, commi 3 e 4, L. n.342/2000. Si premette che in sede di successione o donazione, per il trasferimento di diritti immobiliari, il soggetto che ne abbia i requisiti, ai sensi dell’art. 69 della L. n. 342/2000 (1), può richiedere l’applicazione dell’imposta ipotecaria e catastale in misura fissa. A tal fine, detto soggetto deve risultare in possesso dei requisiti richiesti per l’agevolazione “prima casa”, così come stabilito nella nota II bis, all’art. 1, della Tariffa Parte prima, allegata al T.U. in materia di imposta di registro (D.P.R. n. 131/1986) (2).Tra le condizioni, previste dalla predetta nota II-bis per usufruire delle cd. agevolazioni per l’acquisto della “prima casa”, la lettera b) dispone che «nell'atto di acquisto l'acquirente deve dichiarare di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune in cui è situato l'immobile da acquistare».Il comma 4 dell’art. 69 citato prescrive altresì che le predette dichiarazioni, di cui alla Nota II-bis, siano rese dall’interessato nella dichiarazione di successione o nell’atto di donazione (3).A ben vedere, con riferimento al caso prospettato, difetterebbe in capo al beneficiario la condizione di cui alla citatalett. b) (dell’impossidenza di altra abitazione nel Comune in cui è ubicato l’immobile oggetto del nuovo acquisto) posto che, alla luce di quanto descritto,

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Tizia risulterebbe, al momento in cui si perfeziona il trasferimento mortis causa di una ulteriore quota del diritto di proprietà dell’immobile, sito in Roma, per il quale intende avvalersi del beneficio de quo, contitolare, con il coniuge, del diritto di usufrutto su altri due immobili siti nello stesso Comune. Ciò non le consentirebbe, in ragione della predetta previsione normativa, di richiedere le agevolazioni c.d. “prima casa”, in sede del nuovo acquisto mortis causa.Pur tuttavia è opportuno considerare la possibilità, per quest’ultima, di fruire delle agevolazioni in questione in qualità di soggetto beneficiario per estensione (4), ovvero di soggetto che non rende la dichiarazione in ordine alla sussistenza dei requisiti previsti dalla legge, in virtù della peculiare modalità di fruizione del trattamento agevolato de quo (5).Nell’ipotesi di acquisto mortis causa o per donazione della c.d. prima casa occorre distinguere tra il beneficiario in possesso dei requisiti, per fruire dell’agevolazione in esame, che ne fa espressa richiesta (“beneficiario dichiarante”) ed il beneficiario che, indipendentemente dal possesso dei requisiti suddetti (ed anche privo totalmente degli stessi), è tuttavia coinvolto nelle agevolazioni relative alla vicenda traslativa (“beneficiario per estensione” o indiretto).In capo a quest’ultimo si viene infatti a verificare un’automatica riduzione d’imposta in ragione del trovarsi in una certa situazione giuridica (comproprietà) nei confronti di chi fa la richiesta del trattamento agevolato essendo in possesso dei requisiti (6).Quanto appena affermato, trova puntuale riscontro nella prassi dell’Amministrazione finanziaria (7). Nel caso esistanouna pluralità di beneficiari per un solo immobile, secondo l’Agenzia delle Entrate, è sufficiente che la dichiarazione di possidenza dei requisiti richiesti ex lege sia resa da “almeno uno” dei beneficiari in possesso dei requisiti. L’agevolazioneverrà poi estesa automaticamente agli altri.In altre parole, il beneficiario per estensione, pur non essendo in possesso dei requisiti, ma per il solo fatto di trovarsi coinvolto nella vicenda traslativa, insieme con il soggetto che rende la dichiarazione ai fini della concessione dell’agevolazione, fruisce del trattamento tributario in esame in forza di espressa previsione di legge (8).E difatti il predetto art. 69 della legge n. 342/2000 espressamente prevede la spettanza del beneficio qualora “in capo al beneficiario ovvero, in caso di pluralità di beneficiari, in capo ad almeno uno di essi, sussistano i requisiti e le condizioni previste” dalla citata disposizione normativa.Alla luce di quanto detto, con riferimento al caso in esame, può dunque ammettersi la possibilità per Tizia eventualmente di fruire, in sede di successione, dell’agevolazione in questione, in qualità di beneficiaria indiretta, pur difettando, in capo alla stessa, i requisiti predetti e sempre che tali requisiti sussistano in capo ad altro beneficiario (dichiarante).________________________1) L’art. 69 della legge n. 342/2000, nel modificare profondamente le disposizioni relative alle imposte sulle successioni e sulle donazioni, introduce in materia le c.d. agevolazioni “prima casa”, stabilendo nel comma 3 che “le imposte ipotecaria e catastale sono applicate in misura fissa per i trasferimenti della proprietà di case di abitazione non di lusso e per la costituzione o il trasferimento di diritti immobiliari relative alle stesse, derivanti da successioni o donazioni, quando in capo al beneficiario ovvero, in caso di pluralità di beneficiari, in capo ad almeno uno di essi, sussistano i requisiti e le condizioni previste in materia di acquisto della prima abitazione dall’art. 1, comma 1, quinto periodo della Tariffa, parte I, allegata al d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131”.2) E’ utile qui ricordare che per godere dei c.d. benefici “prima casa” oggetto del trasferimento deve essere una casa di abitazione, “ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9”(l’art. 1 della Tariffa cit., nella sua nuova formulazione, introduce, dal 1° gennaio 2014, una diversa definizione dei requisiti oggettivi delle case di abitazione, per il cui acquisto a titolo oneroso è possibile usufruire - in presenza delle condizioni di cui alla nota II-bis - di un’aliquota ridotta dell’imposta di registro (2 per cento), definizione che appare ancorata solo alla categoria catastale-

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per approfondimenti a riguardo si veda lo Studio n. 1011-2013/T) e devono ricorrere le seguenti condizioni di cui alla citata Nota II-bis del predetto articolo :“a) l’immobile deve essere ubicato nel territorio del comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività, ovvero, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende, ovvero in caso in cui l’acquirente sia cittadino italiano emigrato all’estero che l’immobile sia acquistato come prima casa nel territorio italiano. La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistato deve essere resa a pena di decadenza dall’acquirente nell’atto di acquisto;b)nell’atto di acquisto l’acquirente deve dichiarare di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;c)nell’atto di acquisto l’acquirente deve dichiarare di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale, su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni di cui al presente articolo ovvero di cui all'articolo 1 della legge 22 aprile 1982, n. 168, all'articolo 2 del decreto legge 7 febbraio1985, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 aprile 1985, n. 118, all'articolo 3, comma 2, della legge 31 dicembre 1991, n. 415, all'articolo 5, commi 2 e 3, dei decreti legge 21 gennaio 1992, n. 14, 20 marzo 1992, n. 237, e 29 maggio 1992, n. 293, all'articolo 2, commi 2 e 3, del decreto legge 24 luglio 1992, n. 348, all'articolo 1, commi 2 e 3, del decreto legge 24 settembre 1992, n. 388, all'articolo 1, commi 2 e 3, del decreto legge 24 novembre 1992, n. 455, all'articolo 1, comma 2, del decreto legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 1993, n. 75, e all'articolo 16 del decreto legge 22 maggio 1993, n. 155, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 243”.3) Il soggetto richiedente deve attestare il possesso dei requisiti con una dichiarazione resa nell’atto di donazione oppure mediante dichiarazione sostitutiva da allegare alla dichiarazione di successione, il cui modello è allegato alla circ. min. n. 18 ottobre 2001, n. 91/E. Si segnala al riguardo, come già precedentemente indicato dal CNN, che tale formalità non è richiesta dalla legge, ma è stata introdotta dall’Amministrazione finanziaria mediante la soprarichiamata circolare.4) Cfr. circolare 44/E del 7 maggio del 20015) La disciplina in esame presenta sotto questo profilo una profonda diversità con l’analoga agevolazione di cui all’art. 1, quinto periodo, Tariffa parte prima, in quanto in quest’ultimo caso, nell’ipotesi di acquisto(di quote o di diritti parziari) da parte di più soggetti il beneficio compete solo a coloro che hanno i requisiti per ottenere l’agevolazione, senza nessun effetto estensivo verso gli altri coacquirenti. Cfr. Busani A, cit. nota 35, pag546.6) Così Commissione Studi Tributari, Studio 21/2002/T, La posizione del beneficiario per estensione delle agevolazioni prima casa in materia disuccessione e donazione, est. U. Friedmann, G. Cipollini.7) Cfr. Circolare n. 91/E del 18 ottobre 2001, su cui Cfr. Commissione Studi Tributari, Studio 21/2002/T, La posizione del beneficiario per estensione delle agevolazioni prima casa in materia di successione e donazione, est. U. Friedmann, G. Cipollini.8) Cfr. Busani A. l’agevolazione per l’acquisto della prima casa, pag. 345 ss.Cfr. in ordine al concetto di beneficiario "ulteriormente agevolato",PETTERUTI G., in Immobili e Proprietà, n. 9/2001, pagg. 505 e ss."

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Su CNN Notizie dell'8 ottobre 2014 è stato pubblicato lo Studio di Impresa n. 545-2014/I, dal titolo TRASFORMAZIONE DI SOCIETÀ UNIPERSONALE IN IMPRESA INDIVIDUALE.Se ne riporta l'abstract e il sommario.

Lo studio in sintesi (Abstract): lo studio esamina la questione delle possibilità di trasformare la società unipersonale in impresa individuale, questione risolta in senso

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affermativo dalla prevalente dottrina successiva alla riforma del diritto societario, ma in senso negativo dalle poche pronunce giurisprudenziali che se ne sono occupate.Tanto il presunto principio di tipicità della trasformazione, quanto la necessità di fornire un’adeguata tutela dei creditori sociali non sarebbero disattesi dall’operazione in oggetto, in quanto:- la previsione normativa della trasformazione di società in azienda individuale costituisce una prova del fatto che il principio di continuità dei rapporti giuridici, che caratterizza la trasformazione, può esplicare i propri effetti anche solo con riferimento ai beni che formano oggetto del complesso aziendale, e non anche ai soggetti titolari dello stesso, rispetto ai quali è consentita un’alterazione dell’identità soggettiva;- la qualificazione dell’operazione in esame in termini di trasformazione eterogenea consente di tutelare adeguatamente i creditori attraverso il rimedio dell’opposizione ex art. 2500-novies c.c.Sul piano operativo, la configurazione del passaggio da società in impresa individuale in termini di trasformazione consente di affermare che in relazione agli immobili eventualmente esistenti nel patrimonio della società non è configurabile alcun tipo di trasferimento, con conseguenti riflessi pratici sia con riferimento ai profili pubblicitari, sia con riguardo alle regole di circolazione degli immobili. ***Sommario: 1. Il dibattito sulla ammissibilità della trasformazione; 2. La presunta tassatività delle ipotesi trasformative e la continuità riferita al complesso aziendale; 3. La tutela dei creditori; 4. Riflessi operativi della qualificazione dell’operazione come trasformazione; 5. Conclusioni.

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Su CNN Notizie dell'8 ottobre 2014 è stata pubblicata la risposta al Quesito di Impresa n. 795-2014/I, intitolato TRASFORMAZIONE DI S.P.A. IN S.R.L. E DECADENZA DEL COLLEGIO SINDACALE. Si riporta per intero. "Si prospetta un quesito riguardante la liceità di un verbale avente all'ordine del giorno la trasformazione di una S.p.A. con sistema di amministrazione tradizionale in s.r.l., senza riduzione del capitale sociale, (ammontante ad Euro 300.000,00), al fine di dismettere il collegio sindacale vigente, giusta le disposizioni inserite nel modificato art. 2477 c.c. sancite dal decreto legislativo 91 del 24 giugno 2014 (G.U. 144 del 24 giugno 2014) convertito in legge n. 116/2014.In dette nuove disposizioni tra le altre cose, scompare l'obbligo di nomina dell'organo di controllo, sia esso collegio sindacale o sindaco unico, qualora il capitale sociale della società a responsabilità limitata superi o sia pari alla soglia minima stabilita per le S.p.A.I dubbi sorgono, essendo procedura di recente costituzione, sull'opportunità di una delibera che contenga, sia pur con adeguata cronologia di eventi, la trasformazione della società lasciando inalterato il capitale sociale ed in presenza di solidità di bilancio, la dismissione dell'organo di controllo, in quanto non più obbligatorio dato il novellato art. 2477 c.c. ed infine lo scioglimento della s.r.l. attraverso la messa in liquidazione con nomina del liquidatore nella persona del dimissionario presidente del collegio sindacale e quindi non più soggetto ad incompatibilità di carica.Inoltre non essendoci riduzione del capitale sociale, in sede di trasformazione, non dovrebbe ricorrere il presupposto di deposito previsto dall'articolo 2445 c.c.

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Si chiede, pertanto, se, laddove resti inalterato il profilo di garanzia dato dalla non riduzione del capitale sociale, possa l'impresa venir meno all'onere economico derivante dall'obbligo di dotarsi di un organo di controllo.***Il problema è se alla fattispecie in esame si applichi l’art. 2400, comma 2, c.c., che dispone che “i sindaci possono essere revocati solo per giusta causa. La deliberazione di revoca deve essere approvata con decreto dal tribunale, sentito l'interessato”, norma chiaramente volta alla protezione della stabilità del rapporto.Sul punto si è rilevato da una parte della dottrina come in taluni casi sia possibile provocare l'interruzione della carica sindacale per effetto di modificazioni statutarie. Infatti, il principio della stabilità reale del sindaco in tanto merita d’essere salvaguardato in quanto resti destinato ad operare nel contesto organizzativo che lo presupponga. Si è così affermato che tale principio non operi quando la società si trasformi in altro tipo che non esiga la presenza di un collegio sindacale, venendo in tal caso meno la fattispecie che funge da antecedente per l’applicabilità della disciplina della revoca del sindaco. Mentre diverso sarebbe il caso in cui - all'interno di una società per azioni dotata del sistema di amministrazione e controllo tradizionale - con una modificazione statutaria si volesse ridurre con effetto immediato il numero dei componenti del collegio sindacale (SCIUTO, La revoca del sindaco, in Alessi – Abriani – Morera, Il collegio sindacale. Le nuove regole, Milano, 2007, 283 ss, spec. 414. Nello stesso senso, SPADA, Istituzione dell'ufficio, preposizione all'ufficio e assunzione del preposto (profili sistematici della "revoca" dei sindaci facoltativi nella nuova società a responsabilità limitata), studio n. 52/2009I, in Studi e materiali, 2009, 668 ss. e LIBERTINI, sub art. 2400, inCommentario d’Alessandro, II, 2, Padova, 2011, 230 s., secondo il quale nel caso di trasformazione si verifica un’ipotesi di cessazione ex lege dell’intero collegio sindacale in quanto l’autonomia organizzativa della società in materia di operazioni straordinarie è destinata a prevalere sul principio di inamovibilità dei sindaci. Con riguardo alla variazione numerica,CAVALLI, I sindaci, in Tratt. Colombo – Portale, 5, Torino, 1988, 18).Analoghe considerazioni sono state prospettate con riferimento alle delibere di adozione di sistemi di amministrazione e controllo alternativi. In tal senso, si è affermato che «Posto che la deliberazione di adozione del diverso sistema di amministrazione e controllo (dualistico o monistico) integra una causa sui generis di cessazione anticipata dei componentidegli organi di controllo, non assimilabile alla loro revoca, si ritiene che in detta ipotesi non trovi applicazione il disposto dell’art. 2400, comma 2, c.c. che subordina la revoca dei sindaci alla preventiva approvazione del tribunale» (cosìCOMITATO TRIVENETO DEI NOTAI, Orientamento, H.E.2 - (Cessazione del collegio sindacale - non applicazione del disposto dell'art. 2400, comma 2, c.c. - 1° pubbl. 9/06). Nello stesso senso, ABRIANI, Variazione del sistema di amministrazione e controllo e nomina dei primi componenti degli organi sociali, in Riv. dir. comm., 2008, 683 s., spec. 696).Ne consegue, quindi, che una volta divenuta efficace la trasformazione, si verifica una cessazione automatica dall’incarico dei componenti del collegio sindacale; ciò a patto che nell’atto costitutivo della s.r.l. risultante dalla trasformazione non venga prevista la facoltatività della nomina dell’organo di controllo (cioè al di fuori delle ipotesi contemplate dal comma 3 dell’art. 2477, c.c., che, dopo il recente intervento del legislatore con il decreto legge 24 giugno 2014, n. 91, e con la relativa legge di conversione 11 agosto 2014, n. 116, prevede i casi ormai residuali di obbligatorietà di nomina del sindaco)."

VARIE

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COMUNICATO STAMPA DELLA BANCA D’ITALIA SUI TASSI DI INTERESSE EFFETTIVI GLOBALI MEDI AI SENSI DELLA LEGGE SULL’USURA PER IL PERIODO 1° OTTOBRE – 31 DICEMBRE 2014 Dal sito della Banca d’Italia Banca d’ItaliaCOMUNICATO STAMPARoma, 30 settembre 2014 - Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha emanato in data odierna con Decreto Ministeriale i tassi di interesse effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura n. 108 del 1996 in vigore per il periodo 1° ottobre – 31 dicembre 2014 (cfr. tabella allegata). I tassi soglia sono stati calcolati secondo il meccanismo introdotto dal decreto legge del 13 maggio 2011, n. 70 in vigore dal 14 maggio 2011 (1).Le segnalazioni sono inviate dagli intermediari alla Banca d’Italia e tengono conto delle Istruzioni per la rilevazione emanate nell’agosto 2009 e delle risposte ai quesiti pubblicate sul sito della Banca (2) nonché dei chiarimenti forniti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nella nota metodologica al Decreto del 24 dicembre 2009.Come previsto dall’art. 2 della legge 108/1996, si è tenuto conto delle decisioni di politica monetaria assunte dalla BCE per apportare ai tassi rilevati una correzione al ribasso pari alla media delle variazioni del tasso BCE negli ultimi due trimestri (-10 basis point). I tassi effettivi globali medi (TEGM) registrati nel secondo trimestre del 2014 presentano le variazioni più consistenti per le seguenti categorie:- sono in diminuzione i tassi del leasing autoveicoli e aereonavali fino a 25.000 euro (-80 bp) e quelli del leasing immobiliare a tasso fisso (-54 bp).- risultano invece in aumento i tassi del credito revolving oltre 5.000 euro (+35 bp) e quelli degli scoperti senza affidamento fino a 1.500 euro (+30 bp). Con riferimento ai compensi complessivamente pagati ai mediatori, comprensivi degli oneri direttamente a carico dei clienti (già inclusi nel calcolo del TEG) e di quelli sostenuti dagli intermediari, si riportano i dati medi di sistema per il secondo trimestre 2014, aggregati in tre categorie di operazioni.In proposito, si rammenta che la legge 108/96 prevede il reato di mediazione usuraria nel caso in cui gli oneri sostenuti “avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto [...] all'opera di mediazione” (3). La rilevazione statistica evidenzia una notevole variabilità dei compensi percepiti, a volte determinata dalle differenti attività svolte dai mediatori per ciascuna tipologia di finanziamento.Per visualizzare l’intero comunicato stampa e la tabella dei tassi effettivi globali medi consultare il sito della Banca d’Italia al seguente indirizzohttps://www.bancaditalia.it/media/comsta/2014/tassi-usura-108.pdf ____________________1) Ai fini della determinazione delle soglie oltre le quali gli interessi sono da considerarsi usurari ai sensi dell'art. 2 della legge 108/96 e del d.l. 70/2011, ai tassi medi rilevati aumentati di un quarto si aggiunge un margine di ulteriori 4 punti percentuali; la differenza tra la soglia e il tasso medio non può superare gli 8 punti percentuali.2) Le Istruzioni sono pubblicate in Gazzetta Ufficiale del 29 agosto 2009 n. 200 e sul sito della Banca d'Italia ( www.bancaditalia.it/vigilanza/contrasto_usura/Normativa/Istr_usura_ago_09-istruzioni.pdf ). Le risposte ai quesiti si trovano sul sito della Banca d’Italia nella pagina “Contrasto all’usura” ( www.bancaditalia.it/vigilanza/contrasto_usura/Normativa/istr_usura_faq.pdf ).3) La legge non stabilisce un parametro massimo per gli oneri di mediazione, differentemente da quanto avviene per i tassi effettivi globali medi.

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