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IULM - LIBERA UNIVERSITÀ DI LINGUE E COMUNICAZIONE MILANO FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE E DELLO SPETTACOLO DOTTORATO DI RICERCA IN ECONOMIA DELLA COMUNICAZIONE (XVIII CICLO) TESI DI DOTTORATO CITTÀ E CULTURA. POLITICHE PER UNO SVILUPPO URBANO SOSTENIBILE BASATO SULLA CULTURA Coordinatore Chiar.mo Prof. Carlo A. RICCIARDI Tutor Chiar.mo Prof. Michele TRIMARCHI Candidata Mariangela LAVANGA ANNO ACCADEMICO 2004-2005

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IULM - LIBERA UNIVERSITÀ DI LINGUE E COMUNICAZIONE MILANO

FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE E DELLO SPETTACOLO

DOTTORATO DI RICERCA IN ECONOMIA DELLA COMUNICAZIONE (XVIII CICLO)

TESI DI DOTTORATO

CITTÀ E CULTURA.

POLITICHE PER UNO SVILUPPO URBANO

SOSTENIBILE BASATO SULLA CULTURA

Coordinatore

Chiar.mo Prof. Carlo A. RICCIARDI

Tutor

Chiar.mo Prof. Michele TRIMARCHI

Candidata

Mariangela LAVANGA

ANNO ACCADEMICO 2004-2005

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INDICE

INTRODUZIONE 5

STRUTTURA DELLA RICERCA 5

Introduzione all’argomento 5

Definizione del problema e obiettivi della ricerca 6

Introduzione all’analisi dei casi studio 8

PROBLEMI DI DEFINIZIONE 10

Cultura 10

Industrie culturali 11

Industrie creative 12

IL CONTESTO DI RIFERIMENTO. CITTÀ E SOCIETÀ

CONTEMPORANEA 15

IL NUOVO SCENARIO URBANO 15

NUOVE FORME DI GESTIONE URBANA 18

IL DIBATTITO SULLO SVILUPPO SOSTENIBILE 19

CONCLUSIONI: QUALE RUOLO PER LA CULTURA NELLA CITTÀ POST-MODERNA? 22

Glasgow: cultura e rigenerazione urbana 24

CITTÀ, CULTURA E SVILUPPO 31

L’EVOLUZIONE DELLE POLITICHE CULTURALI URBANE 31

L’ECONOMIA CULTURALE E LE INDUSTRIE CULTURALI 36

LA CITTÀ CREATIVA 37

IL CLUSTER CULTURALE 41

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VERSO UN APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE ALLO SVILUPPO

URBANO BASATO SULLA CULTURA 46

LA COMPLESSITÀ DELLO SVILUPPO URBANO BASATO SULLA CULTURA 46

I DILEMMI STRATEGICI DELLO SVILUPPO URBANO BASATO SULLA CULTURA 48

Audience: turisti verso residenti 48

Dilemma spaziale: centro verso periferia 49

Dilemma dello sviluppo economico: consumo culturale vs produzione culturale 50

Dilemma dei fondi destinati alla cultura: permanente verso effimero 51

IL CULTURAL PLANNING 51

CASO STUDIO DI ROTTERDAM 55

INTRODUZIONE 55

ARCHITETTURA E RIGENERAZIONE URBANA 60

LA STRATEGIA CULTURALE DI ROTTERDAM 62

ATTIVITÀ CULTURALI A ROTTERDAM 65

R2001 – ROTTERDAM CAPITALE CULTURALE EUROPEA 2001 67

TURISMO A ROTTERDAM 69

L’ASSE CULTURALE DI ROTTERDAM. QUARTIERE MUSEALE, QUARTIERE CULTURALE

DI WITTE DE WITHSTRAATT, WATERFRONT 71

INDUSTRIE CULTURALI E CLASSE CREATIVA A ROTTERDAM 72

CASO STUDIO DI TAMPERE 76

INTRODUZIONE 76

DALLA CITTÀ INDUSTRIALE AD UNO DEI CENTRI PIÙ AVANZATI NELLE NUOVE

TECNOLOGIE DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE 79

LA POLITICA CULTURALE DI TAMPERE 83

ATTIVITÀ CULTURALI E CONSUMATORI CULTURALI A TAMPERE 87

TURISMO A TAMPERE 89

ATTIVITÀ CULTURALI, PRODUZIONE CULTURALE E RIGENERAZIONE URBANA: IL

CLUSTER CULTURALE FINLAYSON/TAMPELLA 90

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CONCLUSIONI 94

NOTE CONCLUSIVE AL CASO STUDIO DI ROTTERDAM 94

NOTE CONCLUSIVE AL CASO STUDIO DI TAMPERE 95

CONCLUSIONI 96

BIBLIOGRAFIA 100

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INTRODUZIONE

Struttura della ricerca

Introduzione all’argomento

A partire dagli anni Ottanta, la cultura è divenuta una componente sempre più

rilevante delle strategie di rigenerazione urbana, diversificazione e sviluppo

economico di numerose città, soprattutto in Europa, Nord America e Australia.

Tale processo è stato incoraggiato dalle politiche nazionali di decentralizzazione

dei poteri, dalla necessità di adattamento alle trasformazioni economiche e sociali

causate dai processi di ristrutturazione economica degli anni Settanta e dei primi

anni Ottanta, e dalla presenza di una domanda di cultura crescente, sempre più

differenziata e sofisticata. L’enfasi degli anni Settanta rivolta allo sviluppo, alla

partecipazione, all’eguaglianza sociale, alla democratizzazione dello spazio

urbano e alla rinascita della vita pubblica viene ad essere sostituita da un

linguaggio che esalta il contributo potenziale della politica culturale nella

rigenerazione urbana economica e fisica, evidenziando il ruolo che i progetti

culturali rivestono per la promozione di una positiva immagine urbana.

Nell’ultimo decennio, lo studio e il dibattito sulle relazioni tra città/territorio,

cultura, creatività e sviluppo economico si è intensificato e, in particolare, si sono

affermate teorie sulla ‘città creativa’ e la ‘classe creativa’, e sui ‘distretti

culturali’, tema particolarmente discusso in Italia visto il modello distrettuale che

caratterizza lo sviluppo recente della nostra piccola e media impresa. Negli ultimi

anni, numerose città europee stanno sforzandosi di reinventare se stesse come città

creative, nutrendo un interesse crescente nell’ospitare grandi istituzioni ed eventi

culturali (festival, Capitale Culturale Europea, etc.) e nel pianificare quartieri e

distretti culturali.

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L’evidenza empirica in Europa mostra una grande varietà di strategie di sviluppo

urbano basate sulla cultura. Tali strategie possono prevedere diversi gradi di

intervento pubblico e privato; possono essere il risultato di una pianificazione per

il riuso di aree degradate o edifici abbandonati (approccio top-down), o di uno

sviluppo spontaneo attorno ad alcune funzioni o organizzazioni già esistenti e

catalizzatrici di sviluppo (approccio bottom-up); possono presentare un forte

orientamento al consumo culturale (un quartiere museale, per esempio) o più

specificatamente alla produzione culturale (un distretto dell’audio-visivo), o

entrambi.

Definizione del problema e obiettivi della ricerca

Nonostante l’uso generale e diffuso delle attività culturali per la rigenerazione

urbana - accentuato da quella che si potrebbe chiamare una crescente

‘competizione culturale’1 tra città europee - mancano spesso strategie che

consentano alla cultura di diventare parte integrante di uno sviluppo urbano

sostenibile. Tale mancanza è dovuta principalmente alla preferenza per approcci

che prediligono ritorni di breve periodo, avvalorata da valutazioni di impatto

esclusivamente economico (impatto diretto, indiretto e indotto in termini di effetti

moltiplicatori di spesa/reddito e di occupazione).

A questo si aggiunge il fatto che molti policy-maker nelle città europee, in

particolare in Italia, non sono ancora sufficientemente consapevoli del potenziale

delle risorse culturali presenti nei loro territori; prevalgono, quasi sempre,

definizioni estetiche di cultura e di arte così che le politiche per le arti sono

raramente coordinate con le politiche per le nuove industre culturali, con elementi

della cultura locale e con le politiche urbane. Il risultato di questa mancanza è 1 Si pensi all’intensa competizione tra le città inglesi per aggiudicarsi il titolo di Capitale Culturale

Europea per l’anno 2008. Delle dodici città che hanno presentato domanda, sono state selezionate

nel 2003 Bristol, Oxford, Cardiff, Liverpool, Newcastle-Gateshead e Birmingham. Tra queste è

stata scelta la città di Liverpool.

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quindi un generale fallimento dello sfruttamento potenziale di sinergie e di

opportunità strategiche di sviluppo urbano.

La formulazione di un’efficace ed effettiva agenda di policy urbana orientata al

settore culturale richiede quindi maggior conoscenza dei processi e degli impatti

generati dalla cultura nella città, oltre che degli strumenti che permettono di

sviluppare sinergie tra il settore culturale e gli altri settori dell’economia urbana.

Alla cultura sono riconosciuti una serie di effetti sull’ambiente urbano cha non si

esauriscono negli impatti economici di breve periodo. Essi comprendono – ed è

proprio qui che viene riconosciuta la vera forza del settore – impatti più intangibili

di tipo qualitativo. Sebbene difficili da quantificare, gli impatti qualitativi

forniscono alle città una dimensione di attrazione e di capacità competitiva che è

molto reale. Tali benefici riguardano la sfera ambientale (qualità della vita, spazio

pubblico, qualità del design urbano, etc.), la sfera sociale (coesione e inclusione

sociale, livello di partecipazione alle attività culturali, benessere, etc.) e la sfera

culturale (la vita culturale urbana, l’identità e il patrimonio culturale urbano, la

governance culturale, etc.).

Se vi è ampia diffusione delle metodologie di valutazione dell’impatto

economico, manca invece un approccio integrato alla valutazione

multidisciplinare degli impatti della cultura sull’ambiente urbano. L’integrazione

della cultura nello sviluppo urbano promette di rivelare interdipendenze che

difficilmente possono essere limitate alla sola sfera economico-finanziaria; solo

un’analisi multidisciplinare può contribuire a comprenderle appieno. Considerare

il carattere multidimensionale dei benefici della cultura, riconciliare quindi le

dimensioni ambientali, culturali e sociali con quelle economiche, diventa

prioritario per valutare il ruolo della cultura nello sviluppo urbano sostenibile.

La presente tesi ha come obiettivo generale quello di offrire un contributo alla

comprensione delle interdipendenze tra la cultura e lo sviluppo urbano. La

metodologia di ricerca si basa su una revisione della letteratura sull’argomento e

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sull’analisi di casi studio. L’analisi comparativa e di descrizione analitica e critica

di casi studio sarà quindi il contributo offerto dal presente lavoro allo studio delle

interrelazioni tra cultura e sviluppo urbano sostenibile.

Introduzione all’analisi dei casi studio

Le città oggetto del presente lavoro di ricerca sono Rotterdam e Tampere, due

città europee con un passato industriale e attraversate oggi da processi di

diversificazione economica e di rigenerazione urbana, in cui la cultura gioca un

ruolo strategico. La scelta di tali casi studio risiede principalmente nel fatto che le

due città permettono di rappresentare bene i processi di trasformazione

dell’economia da industriale a post-industriale, e nello stesso tempo permettono di

evidenziare il ruolo che la cultura svolge in tali processi. A livello nazionale,

entrambe le città sono ‘seconde città’ ed entrambe sono prive del ricco patrimonio

culturale che caratterizza invece le città capitali Amsterdam e Helsinki. La scelta

dei casi permette inoltre di mettere in evidenza due diverse tipologie di strategie

di rigenerazione urbana basata sulla cultura: da un lato Rotterdam che investe nel

miglioramento dell’immagine urbana per accrescere la capacità attrattiva,

dall’altro Tampere che investe nel miglioramento delle relazioni tra cultura,

spazio urbano e identità locali, e la sperimentazione di nuove forme di governance

e comunicazione con i residenti (si pensi al programma e-Tampere).

La scelta di Rotterdam è stata inoltre influenzata dall’opportunità avuta di

trascorrere, nel corso degli ultimi sette anni, diversi periodi di studio e di ricerca

presso l’Erasmus University Rotterdam, in particolar modo presso l’Euricur –

European Institute for Comparative Urban Research: nel 1998 grazie al

programma europeo Erasmus di scambio universitario durante il Corso di Laurea

in Economia Politica presso l’Università Bocconi di Milano, nel 2001 e 2002 in

seguito alla frequenza del Master Internazionale in Management Urbano

organizzato dall’Euricur, infine nel 2004 e 2005 grazie al periodo di ricerca

all’estero durante il Dottorato di Ricerca in Economia della Comunicazione presso

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l’Università IULM di Milano. I servizi di biblioteca e accesso ai dati messi a

disposizione dall’Euricur e dall’Erasmus University hanno reso possibile gli

approfondimenti sulle tematiche legate allo sviluppo urbano. Infine, la possibilità

di fare ricerca in una città in costante trasformazione urbana mi ha permesso di

osservare e analizzare nella pratica quanto evidenziato dalla teoria.

L’analisi dei casi studio si basa su dati primari e secondari, report e documenti di

policy, interviste semi-strutturate ad attori chiave nelle città oggetto di studio.

Partendo da un’analisi e mappatura delle attività culturali nelle città in questione,

la ricerca si focalizza sui ruoli della cultura per uno sviluppo urbano sostenibile,

identificando sia esemplari di eccellenza sia squilibri e aree di potenziale

inutilizzato nelle relazioni dinamiche tra cultura e sviluppo urbano sostenibile.

L’analisi permetterà di suggerire strategie di policy per migliorare le interrelazioni

tra cultura e sviluppo urbano sostenibile.

L’analisi dei casi studio segue il seguente schema:

Struttura dell’economia urbana;

Progressiva trasformazione dell’immagine della città;

Strategia culturale urbana (priorità, budget culturale, etc.);

Attività culturali (introduzione sulle attività culturali, numero visitatori

culturali, proporzione residenti, etc.);

Cultura e turismo;

Cluster culturali;

Industrie culturali e classe creativa.

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Problemi di definizione

Per i fini analitici ed operativi del presente lavoro è indispensabile fornire alcune

definizioni riguardanti il settore culturale.

Cultura

La parola ‘cultura’ racchiude molteplici significati; questi sono diversi a seconda

dei contesti e delle discipline, oltre ad essere soggetti a numerosi cambiamenti nel

corso dei secoli. Risulta, infatti, essere particolarmente difficile fornirne un’unica

ed univoca definizione di ‘cultura’. Sono quindi ancora presenti incertezze su

quali siano i confini del settore.

Da coltivazione della mente e dell’intelletto, a prodotto delle arti cosiddette

‘elevate’, a modo di vivere di una società, l’economista Throsby (2001) riconduce

l’ampia varietà di definizioni a due categorie principali2: cultura come ‘processo’

e cultura come ‘prodotto’. La prima – legata ad aspetti antropologici e sociologici,

prevalentemente immateriali – utilizza il termine ‘cultura’ facendo riferimento

agli usi e costumi, credenze, valori e consuetudini condivisi da un gruppo (e che

permettono quindi di identificare il gruppo stesso). In questa accezione il concetto

di cultura è utile per evidenziare il ruolo dei fattori culturali nella performance

economica e la relazione tra cultura e sviluppo economico. La seconda categoria –

più funzionale e legata ad aspetti prevalentemente materiali – fa riferimento alle

attività e ai prodotti collegati agli aspetti intellettuali, morali ed artistici della vita

umana. Viene utilizzato con più frequenza l’aggettivo ‘culturale’ piuttosto che il

nome ‘cultura’ (si parla di settore culturale, industrie culturali, beni culturali, etc.).

Per meglio definire le attività che rientrano in tale categoria, Throsby (2001)

indica tre criteri: a) la creatività nel processo produttivo; b) la creazione e la

2 Throsby (2001) precisa che tale distinzione non pretende di essere universale; Throsby (2001)

chiarisce inoltre che le due definizioni non sono alternative l’una all’altra.

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comunicazione di significato simbolico; c) l’implicazione di una qualche forma di

proprietà intellettuale. In questa definizione rientrano quindi le arti tradizionali

(musica, letteratura, poesia, danza, teatro) e le arti visive. Cinema, editoria,

giornalismo, radio, televisione ed alcuni aspetti del design possono essere

ricondotti a tale categoria, purché rispettino i tre criteri.

A livello europeo, EUROSTAT (2000) definisce il settore culturale in senso

ampio; esso comprende i beni culturali, le arti visive, l’architettura, lo spettacolo

dal vivo, l’industria dell’audiovisivo, l’industria editoriale, le biblioteche e gli

archivi. A livello nazionale e locale, emergono svariate definizioni di cultura, che

allargano o restringono il campo di attività oggetto delle politiche culturali.

Industrie culturali

Nell’ultimo decennio, l’utilizzo dei termini cultural industries e creative

industries si è ampiamente diffuso in gran parte dei documenti di politica culturale

(sia nazionale che regionale e locale), nella letteratura accademica, in conferenze e

dibattiti riguardanti le relazioni tra cultura e sviluppo economico. Se, coniando il

termine culture industry, l’obiettivo di Adorno e Horkheimer (1947)3 era

chiaramente polemico, vale a dire mettere in risalto il nesso paradossale tra cultura

e industria sottolineando l’emergere di una mercificazione e commercializzazione

dei prodotti culturali, il Greater London Council (GLC) – attivo dal 1981 fino alla

sua abolizione nel 1986 – riprende il termine in chiave positiva e definisce le

cultural industries come «those institutions in our society which employ the

characteristics modes of production and organisation of industrial corporations to

produce and disseminate symbols in the forms of cultural goods and services,

generally, though not exclusively, as commodities» (Garnham, 1983).

Questo termine sottolineava le caratteristiche di democraticità e località della

nuova politica culturale inglese, in quanto legittimava in maniera crescente la

3 Adorno, T. e Horkheimer, M. (1979 / 1947) Dialectic of Enlightenment. London: Verso.

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cultura popolare (musica, film, televisione) e le sue forme di produzione.

L’obiettivo era quello di stimolare lo sviluppo economico locale attraverso il

supporto e la promozione delle piccole imprese culturali, fortemente localizzate

nei territori urbani e fortemente dipendenti dai network di relazioni (O’Connor,

2004). O’Connor (2004) spiega come il termine cultural industries sia una

«costruzione discorsiva», che richiede costantemente chiarificazioni sul suo

significato.

Sebbene a livello statistico il dibattito verta attorno alla definizione di cosa rientri

o non nelle industrie culturali al fine di fornire una conoscenza quantitativa del

settore, il termine viene spesso utilizzato con lo scopo di dare peso economico a

un settore normalmente percepito come marginale. A ragione o a torto, non si

tratta di un tentativo di soppiantare il termine ‘cultura’. L’intento è quello di

enfatizzare il ruolo economico di tali attività: non semplicemente servizi che

richiedono sussidi pubblici, ma un settore produttivo che si alimenta e sviluppa in

svariate modalità all’interno dell’economia locale, regionale e nazionale.

Industrie creative

È nel 1998 che i nuovi documenti di politica culturale del nuovo governo inglese

(‘New Labour’) riporteranno il termine creative industries e non più cultural

industries. Il Department of National Heritage viene rinominato Department for

Culture, Media and Sport (DCMS) a sottolineare il passaggio di interesse dal

supporto alle tradizionali arti elevate a quelle nuove e più creative. Il DCMS

definisce le industrie creative come «those industries which have their origin in

individual creativity, skill and talent and which have a potential for wealth and job

creation through the generation and exploitation of intellectual property… The

creative industries include advertising, architecture, the arts and antiques

market, crafts, design, designer fashion, film and video, interactive leisure

software, performing arts, publishing, software, TV and radio» (DCMS,

1998).

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Alla base di tale cambiamento risiedono diverse motivazioni politiche e teoriche:

argomenti economici riguardanti la struttura e le dinamiche di tali industrie, il loro

ruolo e peso nell’economia e le relazioni tra politica culturale, economica e

industriale; lo specifico contesto storico-politico inglese caratterizzato dal

processo di privatizzazione dei servizi pubblici iniziato sotto il governo della

Thatcher; il rafforzamento dei linguaggi economici e manageriali all’interno delle

politiche culturali; ma soprattutto l’insieme delle politiche riguardanti la società

dell’informazione (Garnham, 2005). Infatti il cambiamento da ‘culturali’ a

‘creative’ è avvenuto nel contesto di un ampio dibattito sugli impatti delle ICT e

la relazione tra l’utilizzo dei nuovi network di comunicazione e i prodotti e servizi

che ne fanno utilizzo. Il termine ‘creative’ fa quindi esplicito riferimento alla

società dell’informazione.

Diverse analisi condotte durante gli anni Ottanta e Novanta sul potenziale di

esportazione delle industrie culturali in Gran Bretagna e il famoso lavoro di

Myerscough’s (1988) The Economic Importance of the Arts in Britain hanno

portato il DCMS a censire le industrie creative in Gran Bretagna (Creative

Industries Mapping Document, 1998) e affermare che il settore presenta il tasso di

crescita più elevato dell’economia nazionale, che è importante puntare sulla

formazione dei lavoratori creativi e sulla protezione della proprietà intellettuale.

Nel 1998 è stato stimato che l’intero settore ha offerto occupazione a circa 1

milione di persone, generando un reddito di circa 57 miliardi di sterline (Tab. 1);

circa 450.000 creativi sono stati inoltre impiegati in altri settori, innalzando così il

totale della forza lavoro creativa a circa 1,4 milioni, il 5% dell’intera forza lavoro

nazionale. Nel 2001 l’occupazione sale a circa 1,300 milioni di persone, il reddito

generato è di circa 100 miliardi di sterline.

Tabella 1 – Reddito e occupazione nelle industrie creative in Gran Bretagna 1998-2001.

1998 2001 Variazione % Reddito stimato (in milioni di £) 57.000 112.500 97,3% Occupazione 966.000 1.322.000 37%

Fonte: Department of Culture, Media and Sport (2001)

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CAPITOLO I

IL CONTESTO DI RIFERIMENTO.

CITTÀ E SOCIETÀ CONTEMPORANEA

Il nuovo scenario urbano

I recenti cambiamenti tecnologici, sociali, politici ed economici della società

contemporanea hanno fortemente influenzato il ruolo delle città nello sviluppo

economico, modificandone i processi di crescita e la posizione competitiva. Le

città hanno dovuto sforzarsi di trasformare la propria base economica (da

industriale a post-industriale) e di ridefinire il proprio ruolo economico4. A livello

internazionale, per effetto combinato della globalizzazione e dell’innovazione

nelle tecnologie dell’informazione (ICT - Information and Communication

Technologies), il mondo post-industriale convive affianco a realtà industriali e

pre-industriali portando ad una nuova divisione del lavoro (Hall, 1995a); la

produzione dei servizi si presenta difatti sempre più distaccata dalla produzione

dei beni e sempre più concentrata nelle grandi città (Sassen, 1995).

Le città si mostrano quali testimoni straordinarie dei mutamenti riassumibili nei

termini di società post-fordista o post-moderna5, economia dell’informazione,

4 In termini di effetti territoriali, la ristrutturazione economica è sfociata nel declino del settore

manifatturiero nelle tradizionali città e regioni industriali, e nella necessità di nuove tipologie e

nuovi luoghi per l’attività economica, e nello stesso tempo ad una costante crescita del settore dei

servizi. 5 La società post-moderna è caratterizzata da una generale estetizzazione della realtà e della vita

quotidiana (Baudrillard, 1979). Featherstone (1994) evidenzia il crollo di alcuni confini tra arte e

vita quotidiana e l'erosione dello status specialmente protetto dell'arte come merce a sé stante. Da

un lato si assiste ad uno spostamento dell'arte all'interno di settori ad alto contenuto simbolico

(design, moda e pubblicità), dall'altro ad una estetizzazione della vita quotidiana e degli oggetti

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della conoscenza, delle reti, economia dell’esperienza, immateriale, simbolica e

creativa. Nonostante la proliferazione della comunicazione virtuale, lo sviluppo

dei servizi di ICT e di una placeless economy, le città continuano a rappresentare

un tipo di luogo di vitale importanza in questo periodo di elevata modernità. La

globalizzazione e lo sviluppo delle ICT hanno fatto emergere una forte «domanda

di città» (Camagni, 1993). Hall (1995b) sottolinea come «as telecommunication

costs have dropped considerably, informational activities should have been

increasingly free to locate away from old face-to-face exchange locations. But

evidently they have not…». Le città conservano il loro storico ruolo di fonte di

creatività e innovazione, di centro di informazione e comunicazione. Le città sono

come un distretto industriale (Rullani et al., 2000) in quanto la prossimità e

l’agglomerazione permettono di ridurre l’incertezza e i costi di transazione ad essa

connessi. Rogers e Fisher (1992) scrivono infatti che «it has become increasingly

clear that the urban density provides the best setting for the easy, face-to-face

interaction and communication that generates the scientific, technological,

financial and cultural creativity that is the engine of prosperity in the post-

industrial age».

Si pensa oggi alle economie nazionali o internazionali come a sistemi di economie

regionali (Ohmae, 1995) o di città-regioni policentriche (Hall, 1995b), come a

sistemi territoriali locali, «nodi di interconnessione tra reti globali e territori»

(Dematteis, 1997) La globalizzazione viene quindi paradossalmente ad aumentare

il ruolo del ‘locale’ nello sviluppo economico. Da un lato si sta difatti assistendo

ad un accrescimento di importanza dei livelli e dei processi locali e globali,

dall’altro ad una diminuzione relativa di quelli nazionali - processo accelerato dai

livelli sempre più alti di decentralizzazione dei poteri pubblici. Swyngedouw

(1992) conia il termine ‘glocalizzazione’, fenomeno descritto come

l’interrelazione tra il ‘locale’ e il ‘globale’. Castells (1996) sostiene che la quotidiani. Tali cambiamenti hanno portato ad indebolire quelli che erano i confini tra cultura alta

e cultura di massa, aprendo la via all'espansione del mercato dell'arte, all'aumento del numero

degli artisti attivi e delle occupazioni ad essi connesse, alla contaminazione tra generi artistici

diversi oltre all'utilizzo dell'arte in contesti non tradizionalmente ad essa deputati.

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relazione paradossale tra il locale e il globale emerge chiaramente dall’interazione

dello ‘spazio dei luoghi’ (locale) con lo ‘spazio dei flussi’ (globale). Le città

vengono quindi ad assumere una duplice funzione, globale e locale allo stesso

tempo: da un lato l’identità e la comunità locale, dall’altro l’apertura verso il

mondo globale. È l’interazione tra i processi che avvengono a grande distanza e le

caratteristiche del locale a costituire oggi la grande arena dello sviluppo

economico, sociale, ideologico e politico. Piccole specifiche differenze tra le

località possono diventare cruciali per il ruolo che una città potrà rivestire nei

processi globali.

Il successo di città e regioni è quindi basato su fattori locali, sulle strutture

istituzionali presenti e sulle strategie impiegate. In particolare, la capacità di

attrazione di una città, in riferimento non solo ai (potenziali) residenti e visitatori,

ma anche ai (potenziali) investitori e imprese, sembra dipendere in misura sempre

maggiore dal livello di qualità della vita in essa presente. I tradizionali fattori

localizzativi hard (all’interno dei quali assumono rilevanza la qualità del lavoro

altamente qualificato2 e dell’accessibilità) cedono gradualmente il posto ai fattori

soft (qualità della vita, intesa nel suo significato più ampio). «In a globalised

world, cities compete openly with each other to attract tourists, to attract

businesses, to attract residents. Quality of life, whether measured mundanely by

the safety of the streets or the efficiency of the public transport system or more

exaltedly by opera or concerts performances, becomes crucial» (Hall, 1998).

2 Nella società dell’informazione la qualità della mano d’opera è un fattore essenziale nel processo

di produzione della maggior parte delle attività economiche. È utile sottolineare come questo

segmento del mercato del lavoro è altamente sensibile non solo alla retribuzione salariale delle

proprie prestazioni, ma anche alla qualità dell’ambiente residenziale e di conseguenza alla qualità

della vita urbana.

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Nuove forme di gestione urbana

Per rispondere alla complessità del presente contesto urbano sono emerse nuove

forme di gestione della città. Si evidenzia un aumento di approcci più integrati

riguardanti gli interventi di sviluppo locale e di rigenerazione urbana. Viene

inoltre posta una crescente enfasi sulle partnership tra settore pubblico e privato,

sia profit che non profit. Mai come adesso le città necessitano di un approccio più

integrato di management urbano6, di una buona dose di quella che è stata definita

organising capacity7 (van den Berg, Braun, van der Meer, 1997), di una più

ampia, pro-attiva e anticiclica politica urbana, basata su un concetto moderno e

integrato di marketing urbano8. Il moderno management urbano deve possedere

una considerevole flessibilità e creatività per poter rispondere rapidamente ai

cambiamenti interni ed esterni alla città ed essere in grado di convertire e

trasformare, in maniera continuativa, i problemi e le criticità in opportunità.

La complessità, la diversità e le dinamiche della società contemporanea non

rendono più soddisfacente parlare di governo sulla base di una relazione univoca

6 Bramezza e van Klink (1994) definiscono il management urbano come «the process of

development, execution, co-ordination, evaluation of integrative urban strategies, with the help of

all relevant urban actors, private and public sectors… in order to improve the competitive position

of a city or a region in a harmonious way». 7 «Organising capacity is defined as the ability to enlist all actors involved and with their help

generate new ideas and develop and implement a policy designed to respond to fundamental

developments and create conditions for sustainable development» (van den Berg, Braun e van der

Meer, 1997). Gli elementi che contribuiscono alla capacità organizzativa sono una visione e una

strategia integrata, le condizioni spaziali ed economiche urbane (vale a dire le opportunità e le

criticità dell’economia urbana), leadership, network strategici, supporto politico e supporto sociale. 8 Il marketing urbano potrebbe essere pensato come una variante del marketing sociale (Kotler e

Levy, 1969), tendente ad una serie di differenti obiettivi che vanno dal raggiungimento di una

posizione competitiva per la città, alla promozione di prodotti competitivi, all’attrazione di

investimenti all’interno dell’area, al miglioramento dell’immagine della città e del benessere e

soddisfazione della sua popolazione, alla promozione della città stessa. Il marketing urbano è

diretto, quindi, sì all’attrazione di fattori di crescita esterni ma soprattutto alla mobilitazione di

fattori interni, vale a dire allo stimolo del potenziale endogeno.

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tra pubblico e privato. Balducci (1999) spiega come occorra ridefinire la forma

dell’intervento pubblico, un cambiamento che viene spiegato bene dai termini

government e governance, «dal governo come azione del soggetto che provvede

direttamente (provider) a fornire soluzioni a problemi, al governo come azione del

soggetto che rende possibile (enabler) la ricerca di soluzioni differenziate

attraverso la mobilitazione di un’ampia serie di altri soggetti». È così che da

approcci top-down di pianificazione si passa gradualmente ad un sistema misto,

con una compresenza di aspetti top-down e bottom-up; questi ultimi permettono

infatti di attivare i fattori di sviluppo endogeno, ponendo l’attenzione sulle

specificità economiche, sociali, spaziali e culturali locali, dal carattere fortemente

idiosincratico (Becattini e Rullani, 1993).

Lo sviluppo della pianificazione strategica degli ultimi anni testimonia questo

nuovo modo di governare il territorio. Si pensi al successo di Barcellona, oggi al

IV Piano Strategico (il I Piano Strategico è stato approvato nella primavera del

1988) o a Torino che quest’anno si trova ad approvare il II Piano Strategico.

Camagni (2003) parla di pianificazione strategica come «di una costruzione

collettiva di una visione condivisa di un dato territorio, attraverso processi di

partecipazione, discussione, ascolto; un patto tra amministratori, attori, cittadini e

partner diversi per realizzare tale visione attraverso una strategia …; ed infine

come il coordinamento delle assunzioni di responsabilità dei differenti attori nella

realizzazione di tali progetti».

Il dibattito sullo sviluppo sostenibile

La crescente mobilità nazionale e internazionale, il crescente benessere e

l’importanza della qualità della vita non hanno rallentato il processo di

urbanizzazione, ma al contrario la proporzione della popolazione mondiale

residente nelle città è in costante crescita. Nelle regioni europee più urbanizzate –

si pensi al Ranstad in Olanda, alla Ruhr in Germania, alla regione metropolitana

di Londra o Parigi – le città tendono a crescere insieme, rendendo indistinti i

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relativi confini. Si stima che nel XXI secolo metà della popolazione mondiale

vivrà in aree urbane.

Uno degli aspetti più problematici e controversi di cui le città si fanno testimoni, e

che le presenti strategie di sviluppo urbano dovranno considerare con maggiore

efficacia, è rappresentato dall’esclusione sociale, legata soprattutto alla presenza

di minoranze etniche. Tale processo, alla base di conflitti e divisioni sociali e

causa di peggioramento delle condizioni di vita, viene spesso analizzato dagli

studiosi tramite la metafora della dual city, una città caratterizzata da una crescita

sbilanciata e da uno spazio polarizzato in cui il gap tra (nuovi) ricchi e (nuovi)

poveri si espande progressivamente.

I cambiamenti che si sono verificati all’interno degli spazi urbani nell’ultimo

trentennio hanno quindi fatto emergere la necessità di rigenerare e rivitalizzare i

sistemi urbani (Harris, 1997), rendendo indispensabile affrontare temi quali lo

sviluppo urbano sostenibile, la crescita di una città ‘armoniosa’ e ‘bilanciata’

(Klassen, 1989), capace di rispondere alle esigenze dei suoi (potenziali)

utilizzatori. Tali ragionamenti a loro volta sembrano rafforzare maggiormente il

ruolo della pianificazione strategica e del management urbano di breve, medio e

lungo periodo.

Il tema dello sviluppo sostenibile ha assunto negli ultimi anni un interesse

crescente9. Alla dimensione ambientale si sono aggiunte nel tempo la dimensione

9 Si pensi alla diffusione dell’ampio documento definito ‘Agenda 21’ (un’Agenda di azioni per il

XXI secolo) prodotto durante il grande Summit della Terra delle Nazioni Unite a Rio de Janeiro

(UNCED, United Nations Conference on Environment and Development) nel giugno 1992. Il

Programma d’Azione Agenda 21 è un ampio catalogo delle politiche-azioni da mettere in atto in

tutti i Paesi per avviarsi sulla strada di uno sviluppo sostenibile. L’Agenda 21, proprio in

considerazione delle peculiarità di ogni situazione locale, invita le autorità locali di tutto il mondo

a dotarsi di una propria Agenda. Esso evidenzia il ruolo chiave che le autorità locali possono

rivestire nell’assicurare uno sviluppo locale sostenibile. La cosidetta‘Agenda 21 Locale’ è il

processo di partnership attraverso il quale gli Enti Locali (Comuni, Province, Regioni) operano in

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economica e sociale e di recente quella della governance. Nonostante le chiare ed

evidenti potenzialità di interagire con gli aspetti di natura economica, sociale e

ambientale, la dimensione culturale appare invece ancora non sufficientemente

considerata.

Lo sviluppo sostenibile si fonda infatti su aspetti economici, sociali e ambientali, e

su obiettivi di etica intergenerazionale, vale a dire sull’assunzione di

responsabilità della società attuale nei confronti delle generazioni future, verso le

quali si impegna a trasmettere una quantità di occasioni di sviluppo non inferiori a

quelle presenti. Sviluppo non implica per forza crescita economica, ma

cambiamento e miglioramento delle capacità di soddisfare i bisogni umani,

materiali e non.

Il concetto di sviluppo sostenibile è stato definito in termini generali nel

Brundtland Report (WCED - World Commission on Environment and

Development, Our Common Future, Oxford University Press, Oxford, 1987)

come «that kind of development which fits the need of the present generation

without affecting the capacity of the future generations of satisfying their needs».

Il dibattito sullo sviluppo sostenibile ha messo in luce con chiarezza la

responsabilità cruciale delle città. Se infatti da un lato le città si mostrano quali

centri di innovazione economica, sociale e culturale, dall’altro esse sono anche i

luoghi dove appare più evidente un utilizzo sbilanciato delle risorse. Una città

sostenibile si caratterizza per un elevato livello di qualità della vita e, nello stesso

tempo, si preoccupa di non trasferire all’esterno o alle generazioni future gravi

problemi sociali, economici ed ambientali. In particolare, secondo Camagni

(1996) la sostenibilità dello sviluppo urbano consiste in un processo di co-

evoluzione sinergica dei tre sottosistemi che compongono la città: il sottosistema

economico, fisico-ambientale e sociale. Le politiche urbane devono quindi

collaborazione con tutti i settori della comunità locale per definire piani di azione per perseguire la

sostenibilità a livello locale.

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proporsi tre obiettivi essenziali: efficienza allocativa, efficienza distributiva,

equità ambientale inter e intra generazionale10.

Alla base del dibattito sullo sviluppo urbano sostenibile, vi è una nuovo modo di

concepire la città, non più come una macchina, ma come un organismo vivente.

Tale visione consente di spostare gli obiettivi della politica urbana dagli hardware

ai software, vale a dire dalla concentrazione sugli investimenti in infrastruttura

fisica a un’attenzione maggiore alle dinamiche urbane e al benessere degli

utilizzatori della città, implicando un approccio integrato alle problematiche

urbane.

Conclusioni: quale ruolo per la cultura nella città post-moderna?

All’interno di tale contesto di trasformazione urbana, di crescente urbanizzazione

e considerazione delle problematiche economiche, sociali e ambientali che

accompagnano lo sviluppo urbano, alla cultura viene riconosciuto un ruolo

significativo e sempre più strategico di catalizzatore di rigenerazione urbana, di

miglioramento della qualità della vita e di stimolo dell’economia simbolica della

città. «With the disappearance of local manufacturing industries and periodic

crises in government and finance, culture is more and more the business of cities...

The growth of cultural consumption (of art, food, fashion, music, tourism) and the

industries that cater to it, fuels the city’s symbolic economy, its visible ability to

produce both symbols and space» (Zukin, 1995).

10 L’efficienza allocativa prevede l’internalizzazione dei costi sociali e la costruzione del ‘buon

mercato’, all’interno del sottosistema economico, in grado di dare il giusto peso non solo ai

vantaggi immediati, ma anche a quelli derivabili da un corretto utilizzo delle risorse del

sottosistema fisico-ambinetale; sulla base del principio di equità sociale, l’efficienza distributiva

prevede che il maggior numero di individui abbia accesso alle risorse; l’equità inter e intra

generazionale presuppone che le risorse siano utilizzabili non solo da tutti i cittadini e fruitori della

città, ma anche dai posteri (Camagni, 1996).

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Throsby (2001) riconosce almeno quattro ruoli che la cultura svolge a livello

urbano. In primo luogo una semplice struttura culturale può fungere da simbolo o

attrazione culturale significativa per l’economia urbana (si pensi al Museo

Guggenheim a Bilbao). In secondo luogo, un distretto culturale o quartiere

culturale può agire da catalizzatore per lo sviluppo locale (si pensi al Northern

Quarter a Manchester). In terzo luogo, le industrie culturali costituiscono una

componente vitale dell’economia urbana; Throsby sottolinea come queste,

specialmente nel settore dello spettacolo, possano ricoprire un importante ruolo

anche nei centri di medie e piccole dimensioni. Infine la cultura assume una

funzione rilevante nello sviluppo urbano grazie alla promozione dell’identità

locale e della coesione sociale, della creatività e della vitalità locale.

A partire dagli anni Ottanta, l’interesse per il ruolo del settore culturale all’interno

della città è cresciuto enormemente. La progressiva qualificazione delle attività

culturali ed artistiche come attività economiche – testimoniata dall’uso sempre più

diffuso dei termini cultural industries e creative industries – è avvenuta in

relazione alla loro importanza per la rigenerazione urbana e la possibile

diversificazione della base economica locale (importante per il passaggio da

industriale a post-industriale), il miglioramento della qualità della vita urbana e

dell’immagine della città. Nella formulazione delle politiche urbane di quel

periodo, la cultura viene considerata quindi parte dei fattori localizzativi soft,

grazie al suo contributo nel migliorare la capacità di attrazione urbana per i

(potenziali) residenti, visitatori, imprese e investitori, e nel portare quindi alla

creazione di nuove attività economiche e di dare impulso all’innovazione e alla

creatività locale, non solo in campo artistico.

La relazione tra le attività culturali, la capacità di attrazione urbana e il vantaggio

competitivo sono stati analizzati da Dziembowska-Kowalska e Funck (2000). Il

livello, la qualità e la diversità della attività culturali ed artistiche in una regione

sono diventati un importante fattore nelle decisioni di localizzazione di imprese

che necessitano della disponibilità di lavoro altamente qualificato. La ragione

risiede nel fatto che il personale qualificato esige un’offerta sufficiente di servizi

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educativi, culturali e del tempo libero nella città che sceglie come propria

residenza abitativa e lavorativa (Funck 1995). Un ambiente stimolante

culturalmente ha capacità di attrazione quindi non solo per i visitatori, ma anche

per i nuovi residenti e le nuove imprese. «It is the access to talented and creative

people which determines where companies will choose to locate and grow. Rather

than being driven exclusively by market forces, economic growth is occurring in

places that are tolerant, diverse and open to creativity – because these are places

where creative people of all types wanted to live» (Florida, 2002).

Nel capitolo successivo verranno affrontate nello specifico le relazioni tra città,

cultura e sviluppo. Si cercherà di ricostruire i diversi ruoli che la cultura svolge

nell’ambiente urbano attraverso un’introduzione sull’evoluzione delle politiche

culturali nelle città europee e un’analisi critica della letteratura sulle relazioni tra

città, cultura e sviluppo.

A livello europeo, testimoni dell’utilizzo della cultura in progetti di rigenerazione

urbana, e quindi di miglioramento dell’immagine e della capacità di attrazione di

una città, sono state soprattutto le città inglesi. A partire dagli anni Ottanta tali

città si sono fatte interpreti di vasti progetti di rigenerazione urbana basati sulla

cultura come antidoto al declino del settore industriale che tradizionalmente

caratterizzava la loro base economica. Uno degli esempi più rappresentativi è

costituito dalla città di Glasgow in Scozia, città pioniera nel campo della

rigenerazione urbana guidata dalla cultura.

Glasgow: cultura e rigenerazione urbana

Da importante città industriale durante il XIX secolo, Glasgow diventa a partire

dalla seconda metà del XX secolo uno dei casi più estremi di città industriale in

declino. A differenza di altre città industriali, la crescita dell’occupazione nel

settore dei servizi non riesce a compensare la perdita di occupazione nel settore

industriale. La città si ritrova quindi a dover affrontare forti problemi socio-

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economici (la maggior parte derivanti dalla disoccupazione di lungo periodo), un

peggioramento della qualità della vita urbana e una perdita di popolazione. Agli

inizi degli anni Ottanta, il Glasgow District Council decide di formare una

commissione speciale – l’Economic Development and Employment Committee –

per affrontare i gravi problemi della città. Boyle e Hughes (1991) spiegano come

questa commissione abbia lanciato specifiche azioni nella speranza di ricostruire

un’immagine positiva di Glasgow e, in questo modo, attrarre nella città personale

altamente specializzato e competente. Importanti esempi di tali strategie sono stati

l’introduzione dell’annuale ‘Mayfest Arts Festival’ nel 1982, l’apertura della

prestigiosa collezione Burrrell e lo slogan e campagna promozionale ‘Glasgow’s

Miles Better’ nel 1983.

Figura 1 – Slogan di city marketing ‘Glasgow’s miles better’.

Fonte: Comune di Glasgow

Nel 1985 una relazione del gruppo di consulenza McKinsey & CO.11 avrà

un’influenza importante sullo sviluppo delle politiche culturali nella città.

Commissionata dalla Scottish Development Agency con il compito di suggerire le

azioni da compiere per realizzare pienamente il potenziale economico e

ambientale della città attraverso lo sviluppo del settore dei servizi, la relazione

identificò una serie di proposte correlate. Queste includevano il miglioramento

dell’ambiente urbano, la rimozione dell’immagine negativa, l’attrazione di

investimenti esterni e il miglioramento dei servizi di consumo. Da questa

importante consulenza ne seguì un nuovo approccio di rigenerazione urbana il cui

strumento principale divenne una politica di city marketing. In contrasto con

l’immagine di città industriale in declino, l’immagine obiettivo doveva essere

focalizzata attorno all’arte e alla cultura come strumenti per accrescere il turismo,

11 McKinsey&CO. (1985) The Potential of Glasgow City Centre. Glasgow: Scottish Development

Agency.

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per promuovere la rigenerazione economica urbana e per comunicare l’immagine

di Glasgow come città post-industriale.

In seguito alla relazione della McKinsey, nel 1985 viene creata la Glasgow Action

(dal 1991 Glasgow Development Agency) come partnership pubblico-privata. La

Glasgow Action, attore importante nel processo di rigenerazione urbana, viene

formata attorno a un gruppo di importanti stakeholder della città con lo scopo di

introdurre la leadership privata nel processo di rigenerazione e attribuire un ruolo

addizionale agli eventi culturali.

Gli sforzi in campo culturale e di rigenerazione urbana hanno il loro culmine nel

1990, quando Glasgow viene designata Capitale Culturale Europea12. A differenza

delle precedenti città dall’elevata reputazione culturale – Atene (1985), Firenze

(1986), Amsterdam (1987), Berlino (1988) e Parigi (1989) – Glasgow è stata la

prima città non internazionalmente riconosciuta come capitale culturale ad essere

nominata Capitale Culturale Europea ed a utilizzare ed integrare l’evento nel

12 Quando l’Unione Europea ha istituito il programma Capitale Culturale Europea (CCE) nel 1985,

la motivazione fu autenticamente culturale. L’evento aveva lo scopo di «help bring the people of

the member states closer together» attraverso «the expression of a culture which, in its historical

emergence and contemporary development, is characterized by having both common elements and

a richness born of diversity» (Commissione Europea, 1985). La storia dell’evento mostra come gli

obiettivi sopra menzionati non siano i soli ad essere presi in considerazione dalle città partecipanti;

l’evento Capitale Culturale Europea viene ampliato ogni anno da nuovi significati, da puro evento

culturale a potente strumento economico. Dopo Atene (1985), Firenze (1986), Amsterdam (1987),

Berlino (1988), Parigi (1989) e Glasgow (1990), è stata la volta di Dublino (1991), Madrid (1992),

Anversa (1993), Lisbona (1994), Lussemburgo (1995), Copenhagen (1996), Tessalonica (1997),

Stoccolma (1998) e Weimar (1999). Nel 2000 nove città vengono designate CCE: Reykjavik,

Bergen, Helsinki, Bruxelles, Praga, Cracovia, Santiago de Compostela, Avignone e Bologna. Nel

2001 è la volta di Rotterdam e Porto, nel 2002 di Bruges e Salamanca, nel 2003 di Graz, nel 2004

di Genova e Lille. Per il periodo 2005-2019, ogni anno due città potranno ospitare l’evento: una

viene scelta all’interno di uno specifico Stato dell’Unione Europea in base a un sistema di

rotazione, per quanto riguarda la seconda città, i paesi che non sono membri dell’Unione Europea

hanno il diritto di proporre una loro città. Nel 2005 è stata la volta di Cork in Irlanda; nel 2006 la

città greca di Patrasso ospiterà l’evento.

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processo di rigenerazione urbana iniziato negli anni precedenti. L’evento Capitale

Culturale Europea ha rappresentato un’occasione importante per a) mantenere il

momento generato dalle iniziative di image building e di city marketing, b) fornire

una piattaforma unica di marketing per le attività culturali ed artistiche, c)

utilizzare ed accrescere l’esperienza organizzativa esistente all’interno della città e

gli sforzi di cooperazione13, d) stimolare la consapevolezza, la partecipazione e lo

sviluppo culturale di Glasgow14.

Figura 2 – Slogan di city marketing ‘There’s a lot glasgowing on in 1990’ in occasione di

Glasgow Capitale Culturale Europea’.

Fonte: Comune di Glasgow

L’evento ha avuto un importante impatto in termini di city marketing, con un

accrescimento della credibilità delle istituzioni culturali della città e 13 L’anno di Capitale Culturale Europea segna l’inizio di una stretta collaborazione tra il Comune

di Glasgow e la Regione. 14 Si vedano gli obiettivi identificati dal Glasgow District Council nel 1987 al momento della

sottoscrizione per la partecipazione alla designazione di Capitale Culturale Europea.

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dell’immagine di Glasgow sia a livello nazionale che internazionale, in particolar

modo in termini di turismo (Booth e Boyle, 1993). L’evento è stato considerato un

successo dal punto di vista economico: nel 1990 il beneficio netto economico

derivante alla città è stato stimato tra i 40 e i 47 milioni di euro, in gran parte

come risultato della spesa turistica (Myerscough, 1991).

L’evento non è stato esente da giudizi negativi, con forti critiche al fatto che il

programma culturale non è riuscito a mettersi in relazione con i residenti della

città. La cultura è stata utilizzata come strumento per la rigenerazione economica

senza essere supportata da un appropriato sviluppo di una politica culturale

urbana. Le decisioni sono state prese in termini di ritorni economici e appeal

turistico, invece che sviluppo della comunità residente. Durante l’anno 1990 la

città ha puntato su grandi eventi spettacolari, piuttosto che sulla creazione delle

condizioni per permettere lo sviluppo ulteriore delle attività culturali locali.

In particolare, il gruppo chiamato Workers City ha criticato il fatto che gran parte

del programma Capitale Culturale Europea aveva avuto poca rilevanza per il

working-class cultural heritage di Glasgow. Pesanti sono state le critiche riguardo

al modo in cui la storia economica, sociale e politica di Glasgow è stata

rappresentata nella grande esposizione sulla città ‘Glasgow’s Glasgow’. A queste

critiche si aggiungono quelle relative al turismo. L’enfasi posta sul turismo e sui

servizi per i visitatori aveva fatto passare in secondo piano lo sviluppo del talento

locale e delle industrie culturali. Inoltre, sebbene vi sia stato un incremento di

occupazione nel settore turistico e dell’intrattenimento da 14.785 nel 1985 a

25.000 nel 1989, la tipologia di posti-lavoro creata è stata oggetto di discussione,

essendo spesso non specializzata, sotto-pagata e part-time. Si richiedeva quindi

nel futuro una maggiore integrazione e diversificazione dell’offerta culturale.

Non bisogna, però, dimenticare che l’impiego della cultura all’interno della

strategia di rigenerazione della città faceva comunque parte di un piano di lungo

periodo, il cui orizzonte si estendeva oltre il 1990. Il dibattito riguardo la relazione

tra cultura e processo di rigenerazione era già presente prima dell’evento e non è

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giunto alla fine con esso. Nel 1996 Glasgow ha ospitato ‘The Year of Visual and

Design’ e nel 1999 la città è diventata la ‘UK City of Architecture and Design’,

mettendo in pratica i propositi di adeguare gli eventi culturali alle richieste locali.

Accanto agli obiettivi economici e di miglioramento dell’immagine, l’evento del

1999 è stato pianificato per essere apprezzabile direttamente dai residenti,

rendendo l’architettura e il design parte integrante della vita urbana.

Glasgow ha saputo utilizzare in maniera innovativa gli strumenti del city

marketing per facilitare la transizione da città industriale a post-industriale. La sua

esperienza mostra comunque i rischi legati al posizionamento delle strategie di

marketing e ricostruzione dell’immagine al centro delle decisioni che riguardano

la politica culturale. La cultura può essere sì utilizzata come strumento di

rigenerazione urbana, ma deve essere interpretata come una dimensione ampia e

multidimensionale della vita urbana piuttosto che come semplice strumento di

strategie di miglioramento dell’immagine urbana (Garcia, 2005).

Un recente studio della durata di tre anni condotto dal Centre for Cultural Policy

Research dell’University of Glasgow – ‘Deconstructing the City of Culture: the

Long-term Cultural Legacies of Glasgow 1990’ – ha valutato in termini qualitativi

gli impatti di lungo periodo (1990-2003) sull’immagine e identità locali derivanti

dall’evento Capitale Culturale Europea. Da questa ricerca emerge come gli effetti

sull’immagine e identità locale sono stati la più forte e duratura eredità che

l’evento Capitale Culturale Europea ha lasciato alla città di Glasgow. I risultati

suggeriscono come siano stati i benefici culturali più soft e intangibili ad essere

meglio sostenuti nel lungo periodo, mentre i benefici economici più acclamati

come la creazione di occupazione sono stati messi in discussione da stakeholder

locali e pubblicazioni accademiche.

Come sottolinea Bianchini (1993b), la cultura – come le forze economiche di

lungo periodo – ha bisogno di radicarsi nella collettività: il grande test che l’anno

1990 ha lasciato alla città di Glasgow consiste nell’abilità di sostenere il

momento, di incanalare la rinnovata fiducia nelle attività economiche e sociali e di

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fare pieno uso del limitato lascito fisico del 1990. Questo richiederà una nuova

forma di impegno politico, un continuo supporto finanziario e strumenti di politica

necessari per integrare la cultura in un miglioramento urbano sostenibile e

duraturo.

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CAPITOLO II

CITTÀ, CULTURA E SVILUPPO

L’evoluzione delle politiche culturali urbane

Negli ultimi trenta anni, numerosi governi locali e nazionali hanno riconosciuto

l’importanza della connessione tra cultura ed economia cercando di sviluppare

politiche per rafforzare tali legami ed incrementare i benefici che ne derivano.

L’esame dell’evoluzione delle politiche culturali urbane adottate in Europa

permetterà di comprendere meglio il ruolo crescente della cultura nelle politiche

urbane di numerose città europee.

Tenendo conto delle difficoltà di comparazione culturale internazionale, Bianchini

(1993a) identifica tre principali fasi nell’evoluzione delle politiche culturali

urbane: a) l’era della ricostruzione: fine anni Quaranta - fine anni Sessanta; b)

l’era della partecipazione: anni Settanta - primi anni Ottanta; c) l’era del city

marketing: metà anni Ottanta – anni Novanta.

Nella prima fase, le politiche culturali urbane hanno avuto relativamente una

scarsa importanza e sono state quasi esclusivamente basate su una definizione

ristretta di cultura. Le politiche culturali urbane erano principalmente focalizzate

nella creazione o ampliamento di infrastrutture culturali classiche, come musei,

teatri d’opera e di prosa, e nell’espansione dell’accesso attraverso i finanziamenti

pubblici. Pochissime sinergie emergevano tra le risorse culturali della città e

l’economia urbana; l’attitudine prevalente era quella di definire la cultura come

una sfera separata e opposta a quella della produzione e dell’attività economica

(Garnham, 1983).

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E’ negli anni Settanta che le politiche culturali iniziano ad assumere una maggiore

rilevanza nelle strategie urbane. Tale processo è stato incoraggiato dalle politiche

nazionali di decentralizzazione dei poteri, dalla necessità di adattamento alle

trasformazioni economiche e sociali causate dai processi di ristrutturazione

economica degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta, oltre che dalla presenza di

una domanda di cultura crescente, sempre più differenziata e sofisticata. Questi

fattori hanno portato numerose amministrazioni locali europee ad incrementare la

spesa in cultura, incoraggiando così la rinascita culturale delle loro città.

Anche grazie all’azione dei movimenti sociali post-sessantotto, le politiche

culturali urbane di tale periodo iniziano a promuovere una varietà di obiettivi

sociali e politici. Questi vanno dall’incoraggiamento alla libera espressione e

dall’estensione dell’accesso alle attività culturali, allo stimolo della vita pubblica e

sociale all’interno della città, un tentativo questo per riaffermare la funzione del

centro della città come catalizzatore per l’identità civile e la socialità pubblica.

Numerosi festival e altre iniziative culturali verranno sviluppati in questo periodo

con lo scopo di (ri)animare gli spazi pubblici. Le strategie culturali cercano quindi

di rispondere ai desideri dei cittadini di riappropriarsi della città, in particolare

dell’uso del centro urbano, soprattutto durante la notte. Si affermano strategie di

design urbano per creare nuovi spazi pubblici e aree pedonali, per migliorare

l’illuminazione delle strade e i servizi di trasporto pubblico estendendoli alla sera

e alla notte. La rigenerazione della vita culturale urbana interessa in misura

sempre maggiore anche ex-spazi industriali che il cambiamento economico ha

reso ormai inutilizzati, permettendone la riconversione con lo scopo di ospitare

iniziative culturali.

In questa fase comincia ad affermarsi una definizione ampia di cultura, iniziando a

rendere più debole la tradizionale distinzione tra cultura elevata e cultura

popolare. Per la prima volta, la cultura inizia ad essere vista come parte integrante

della politica urbana. Nei primi anni Ottanta, vengono sviluppati alcuni

interessanti esperimenti sullo sviluppo di strategie per le industrie culturali. Uno

dei casi più innovativi è l’esperienza del Greater London Council, attivo tra il

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1981 e il 198615. Influenzata da uno dei suoi consulenti, Nicholas Garnham, la

politica del GLC è considerata uno dei più interessanti esperimenti nello sviluppo

delle strategie per le industrie culturali16. Come già sottolineato nel capitolo

introduttivo del presente lavoro, il GLC riprende in chiave positiva il termine

‘industrie culturali’, pubblicando nel 1984 il documento Cultural Industries

Strategies. Sempre nello stesso anno, il GLC istituisce una Cultural Industries

Unit all’interno del Greater London Enterprise Board, l’agenzia di sviluppo

industriale del GLC.

A partire dalla metà degli anni Ottanta, l’enfasi rivolta allo sviluppo, alla

partecipazione, all’eguaglianza sociale, alla democratizzazione dello spazio

urbano e alla rinascita della vita pubblica viene ad essere sostituita da un

linguaggio che esalta il contributo potenziale della politica culturale nello

sviluppo economico e nella rigenerazione urbana, evidenziando il ruolo che i

progetti culturali rivestono per la ricostruzione e promozione di una positiva

immagine urbana, e come simbolo di modernità e innovazione. In questo periodo

hanno inizio i tentativi di incoraggiare le sponsorizzazioni da parte del settore

privato, di monitorare in maniera più effettiva le risorse culturali locali e di

migliorare l’amministrazione, la gestione e il marketing dei servizi e prodotti

culturali.

Una vivace vita culturale urbana viene considerata come un importante fattore

complementare di competitività urbana (Bianchini, 1993a) e componente cruciale

delle strategie di marketing del territorio (Kearns e Philo, 1993) disegnate per

15 Contrariamente al processo di decentralizzazione dei poteri che interessò negli anni Ottanta il

resto degli stati europei, l’Inghilterra si caratterizzò per un processo di erosione dei poteri locali e

metropolitani. Una delle manifestazioni più evidenti di tale processo di centralizzazione sotto il

governo Thatcher è stato l’abolizione nel 1986 del Greater London Council e delle

amministrazioni metropolitane delle sei aree urbane più vaste dell’Inghilterra, comportando chiare

difficoltà di coordinamento e di formazione di partnership pubblico-private. 16 Per approfondimenti sulla politica del GLC si veda Bianchini, F. (1987) GLC R.I.P. Cultural

policies in London, 1981-1986. New Formations, 1.

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attrarre turisti, imprese, investimenti e personale specializzato. Le politiche

culturali urbane emergono come elementi delle strategie sviluppate per rispondere

ai problemi economici e sociali del processo di ristrutturazione economica.

L’utilizzo della cultura in nome del city marketing diventa parte legittima delle

strategie di rigenerazione urbana di numerose città europee. Alla base di tale

cambiamento di obiettivi vi sono difatti le pressioni macroeconomiche generate

dalle recessioni del 1973 e 1979 e i successivi tagli alla spesa pubblica, sia a

livello locale che nazionale.

Le politiche culturali urbane, sia dal lato della produzione che del consumo

culturale, vengono viste quindi come strumenti per diversificare la base

economica e per compensare la perdita di posti di lavoro nei settori tradizionali, e

nello stesso tempo come parte delle strategie di marketing urbano. In un clima di

crescente competizione inter-urbana, l’utilizzo della cultura nelle strategie di

marketing territoriale e di internazionalizzazione diventa sempre più importante e

indispensabile per ricostruire e promuovere l’immagine urbana e la qualità della

vita locale. Da un lato, quindi, è iniziato lo sviluppo di infrastrutture e servizi per

la produzione culturale e la pianificazione di distretti culturali, soprattutto in

settori dipendenti da input culturali come la moda e il design. Spesso sono stati

riconvertiti a fini culturali ex-edifici industriali situati in aree ormai degradate

della città, come ad esempio il Cultural Industries Quarter (CIQ), istituito

dall’Amministrazione Comunale di Sheffield. Dall’altro, prestigiosi progetti

culturali assunti ad icone e simbolo della rinascita culturale della città – cosiddetti

flagship –, come la costruzione di nuovi musei e teatri nel centro della città o la

realizzazione di nuovi festival ed eventi, vengono sviluppati per migliorare

l’immagine della città e, in tal modo, accrescere il turismo culturale, come nel

caso della città di Glasgow.

Dalla seconda metà degli anni Novanta tale convergenza tra cultura e economia si

è maggiormente accentuata. Fonte di occupazione e di crescita economica delle

moderne economie, le industrie culturali hanno catturato l’attenzione di numerosi

studiosi e policy-maker, facendo emergere teorie sui cluster o distretti creativi,

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sulla classe creativa e sulla città creativa. L’emergere di tali teorie segna lo sforzo

di sviluppare approcci capaci di dare stimolo sia allo sviluppo economico che

culturale. Il settore culturale non è più visto come settore improduttivo ma un

settore di mercato in sé in elevata espansione e dall’alto valore aggiunto di

conoscenza, capace di generare impatti non solo in termini di occupazione e

reddito all’interno dello stesso settore, ma impatti indotti e qualitativi, in termini

di coesione sociale e capacità di attrazione. In particolare è l’arte contemporanea a

mostrare negli ultimi anni enormi potenzialità in relazione al rapporto che essa

instaura con le realtà sociali, con la città, con il territorio, con il pubblico, con la

storia e l’identità di determinati luoghi, facendosi essa stessa interprete dei

processi di trasformazione urbana.

Box 1 – Alcune considerazioni sulla public art

Gli sviluppi recenti della public art mostrano come lo spazio urbano sia tornato al centro della

riflessione artistica (Selwood, 1995; Miles, 1997; De Luca, 2003; a.titolo, 2004; De Luca et al.,

2005; Pietromarchi, 2005; Sharp et al., 2005; etc.). La public art si sta oggi interrogando sul

proprio ruolo specifico a contatto con i territori in trasformazione; spesso si tratta di aree urbane

periferiche e degradate, caratterizzate da fenomeni di marginalità ed esclusione sociale.

Le recenti iniziative di gruppi multidisciplinari come l’Osservatorio Nomade/Stalker, Multiplicity,

i Cantieri Isola e l’Associazione Isola dell’Arte, i progetti di public art realizzati all’interno del

programma Nouveaux Commanditaires promosso dalla Fondation de France e adottato in Italia

dalla Fondazione Adriano Olivetti, i casi di Zingonia, Librino, Arte all’Arte sono tutti esempi di

interventi sviluppati per legare le comunità locali, la produzione artistica, e l’identità dei luoghi, in

un’ottica di integrazione e capacitazione.

Emergono come punti chiave lo scambio diretto tra committenti, pubblici di riferimento ed artisti,

il loro reciproco coinvolgimento nelle dinamiche creative, ed una nuova e più ampia

considerazione dello spazio pubblico - non più solo come spazio fisico ma soprattutto come spazio

delle relazioni (De Luca et al., 2004)17.

17 La mostra Arte pubblica in Italia: lo spazio delle relazioni curata da Connecting Cultures nel

2003 per Cittadellarte Fondazione Pistoletto è una riflessione su questo segmento della ricerca

artistica.

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L’economia culturale e le industrie culturali

Come Scott (1997) sottolinea, il capitalismo è entrato in una fase in cui le forme

culturali e i significati dei prodotti culturali diventano fondamentali se non

dominanti nelle strategie di produzione; la cultura diventa soggetta, in misura

sempre crescente, a un continuo processo di commodification. Sempre più

numerose sono oggi le attività economiche che si occupano della produzione e del

marketing di beni e servizi caratterizzati dalla presenza di forti attributi e valori

estetici e semantici. Le industrie culturali rivestono quindi un ruolo essenziale nel

fornire input creativi, dal forte valore simbolico, ad altri settori dell’economia.

Favorite dallo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione e della

comunicazione e dal crescente consumo simbolico, le industrie culturali hanno

mostrato una crescita enorme nei paesi occidentali nell’ultimo decennio, sia in

termini di occupazione che di reddito. «The convergence of artistically based

industries with computer communications and their cross-fertilization through

digitalisation has made them the drivers of the new economy» (Landry, 2000).

Tali industrie, caratterizzate da un ampio grado di innovazione, creatività e

flessibilità, sono un elemento distintivo dell’economia post-industriale,

dell’economia della conoscenza e dell’informazione. «Culture and the creative

industries are increasingly recognised as the core of the knowledge society

because they encourage and enhance innovation, participation, creativity and the

development of risk-taking and trust» (Eurocities - Culture Committee, 2002).

Esse sono infatti contraddistinte da relazioni produttive e metodi di distribuzione

caratterizzanti l’economia culturale18. Le industrie culturali si distinguono per un

considerevole utilizzo di capitale umano al quale si aggiunge un avanzato uso di

nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, per una prevalenza di

strutture di piccola e media grandezza fortemente dipendenti le une dalle altre per

input e servizi specializzati, per una grande domanda sul mercato del lavoro locale

18 Si segnalano i lavori di Scott, Pratt e O’Connor che hanno scritto estesamente sui temi legati alle

industrie culturali.

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e richiesta di specifiche competenze, per l’esistenza e lo sfruttamento di economie

esterne, molte delle quali beneficiano di un mutuo processo di apprendimento, di

conoscenza e di sinergie culturali rese possibili dalla presenza nel territorio di

numerose imprese e settori interrelati, e dalla presenza di infrastrutture

istituzionali che facilitano il funzionamento dell’economia locale.

Tali industrie, altamente interrelate, organizzate in un fitto network di relazioni e

basate su un forte scambio informale di informazioni, operano secondo una

specifica logica spaziale, con una tendenza verso la concentrazione e la

prossimità, tali da permettere lo scambio creativo, il networking, e quindi lo

sfruttamento di economie di agglomerazione e di scopo (Scott, 2000). In

particolare, emerge una forte connessione tra industrie culturali e città. Non a caso

le maggiori porzioni di questa moderna economia culturale sono concentrate in

città globali, come Los Angeles, New York, Londra, Parigi, Milano e Tokyo

(Hall, 1998; Scott, 1997). «Large cities are… sites of leading-edge economic

activity… nodes of location-specific interactions… in which the stimulus to

cultural experimentation and renewal tends to be high» (Scott, 2000).

La città creativa

Lo sviluppo della società della conoscenza ha rafforzato l’importanza del capitale

creativo nelle economie contemporanee. Lo sviluppo del capitale creativo è

considerato la forza e il motore della crescita economica delle società occidentali.

«Creativity is the driving force of economic growth, it is now the decisive source

of competitive advantage… In today’s economy, creativity is pervasive and

ongoing, nurtured by and interact with artistic and cultural creativity… As the

fundamental source of creativity, people are the critical resource of the new age»

(Florida, 2002). L’enorme crescita delle industrie culturali nelle città e

l’importanza che oggi rivestono la creatività e l’innovazione nelle economie

contemporanee hanno portato a interrogarsi su quali siano le condizioni che

possano stimolare e far emergere la creatività, e quindi quali strategie possano fare

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di una città un milieu creativo. La creatività non è più un fenomeno casuale

limitato a pochi singoli casi urbani; in un’economia globalizzata, creare le

condizioni per la creatività diventa parte centrale delle strategie dell’essere una

‘città di successo’ (Hall, 1998).

Le industrie culturali vengono rappresentate come gli apripista del cambiamento

strutturale associato al passaggio da economia fordista a post fordista, all’interno

della quale le imprese basate sul design e sull’informazione operano secondo una

nuova e flessibile organizzazione della produzione. Le città hanno iniziato ad

occuparsi della promozione di settori knowledge-intensive congiuntamente a

politiche culturali con lo scopo di sviluppare un milieu creativo che permetta

l’attrazione e la ritenzione di tali professionalità della conoscenza e del simbolico.

Lo sviluppo della città creativa sta quindi collegando la politica culturale con

quella economica ad un livello ancora più strategico. Le città possono oggi

raggiungere diversi obiettivi simultaneamente attraverso la cultura: a)

diversificare la base economica urbana e facilitare il passaggio da società fordista

a post-fordista, b) realizzare nuovi edifici che agiscano da icone della rinascita

urbana, c) creare un ambiente urbano caratterizzato da un’elevata qualità della vita

sia per i residenti che per i visitatori, imprese e investitori.

Nel libro Cities in Civilisation (1998), Sir Peter Hall osserva come, nel corso dei

secoli, la creatività si è sempre manifestata in aree urbane e che le città che hanno

goduto di epoche d’oro (tra cui la Atene del V secolo a.C., la Firenze del

Rinascimento, la Londra Elisabettiana, la Parigi tra il 1870 e il 1919) sono state

città dove la creatività e l’innovazione hanno giocato un ruolo fondamentale. Hall

(1998) distingue quattro diverse categorie di creatività e innovazione che si sono

manifestate nel corso dei secoli della storia urbana: culturale-intellettuale,

tecnologica-produttiva, culturale-tecnologica («the marriage of art and

technology») e tecnologica-organizzativa. Dalla rivoluzione industriale fino alla

fine del XVIII secolo la seconda e la terza categoria sono diventate

progressivamente più importanti; durante il XX secolo, la prima e la seconda

hanno iniziato a fondersi; durante il XXI secolo ci si aspetta un’unione di tutte le

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categorie. Utilizzando le teorie sul milieu artistico e creativo di Hippolyte Taine

(1865), di Kuhn (1962), Tornqvist (1978) e infine Andersson (1985), Hall (1998)

conclude che le città creative, in senso artistico e culturale, sono state città ricche

economicamente, sebbene caratterizzate da una non equa distribuzione della

ricchezza, in rapida trasformazione economica e sociale, con una cultura

cosiddetta elevata, e con alti tassi di immigrazione o se vogliamo di attrazione di

talenti esterni. Queste città erano «almost invariably uncomfortable, unstable

cities, cities kicking over traces» (Hall, 1998). Florida (2002) suggerisce come sia

la presenza della cosiddetta classe creativa a costituire uno degli impulsi

all’innovazione urbana.

Nel suo bestseller The Rise of the Creative Class, Florida (2002) teorizza la

relazione esistente tra crescita economica, territorio e creatività. Nel mondo

globale la ricchezza si concentra dove sono presenti quelle che Florida definisce le

tre T dello sviluppo economico: tecnologia, talento e tolleranza. «Without

diversity, weirdness, difference, tolerance a city will die. Cities do not need

shopping malls and convention centers to be economically successful, they need

eccentric and creative people» (Florida, 2002). La classe creativa19 è, infatti,

fortemente orientata verso le città e regioni che offrono una varietà di opportunità

economiche, un ambiente stimolante, creativo, tollerante e aperto alle novità, in

cui siano presenti numerose e svariate attività culturali.

19 Florida (2002) descrive in tutti i suoi aspetti la nuova classe creativa, i cui membri svolgono

lavori la cui funzione è quella di creare «meaningful new forms». Florida definisce la classe

creativa come una classe economica, il cui nucleo centrale è costituito da persone che lavorano nel

campo della scienza e ingegneria, architettura e design, educazione, arte, musica e divertimento, la

cui funzione economica è quella di creare nuove idee, nuove tecnologie e/o nuovo contenuto

creativo. Attorno a tale nucleo, la classe creativa include un gruppo ampio di professioni creative

nel business e nella finanza, nella legge, nella salute e nei campi correlati. Di tale classe vengono

analizzate attitudini, valori e scelte – soprattutto localizzative –, mettendo in evidenza la crescita,

in numero di occupazioni, dell’ultimo decennio (negli Stati Uniti i membri della classe creativa

ammontano a circa 38,3 milioni di persone, il 30% dell’intera forza lavoro).

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Box 2 – Applicazioni della teoria di Florida in Europa

Per misurare la capacità creativa di una città, Florida (2002) ha sviluppato un «creativity index»,

indice della creatività, un misto di quattro fattori, dal peso uguale, che riflettono gli effetti

congiunti della concentrazione della classe creativa e dei prodotti economici innovativi: la

proporzione della classe creativa all’interno della forza lavoro, le industrie high-tech,

l’innovazione, misurata con il numero di brevetti pro capite, e la diversità, misurata con il «gay

index». Applicando tali analisi alle città statunitensi, San Francisco, Austin, San Diego and Boston

emergono come le città più creative.

La teoria di Florida è stata accolta con enorme fermento in tutto il mondo. Sebbene sviluppata in

riferimento al contesto statunitense, sono stati fatti diversi tentativi per adeguarla all’ambito

europeo. Nel 2003 le città inglesi sono state analizzate in base al Boho Britain creativity index:

Manchester, Leicester e Londra sono emerse come le città inglesi più creative. Nel 2004 è stata

sviluppata un’analisi al contesto europeo, in cui la teoria delle 3 T è stata applicata agli stati

europei (tab. 2).

Tabella 2 – La teoria delle tre T applicata agli stati europei.

Talento (Human Capital + Classe Creativa)

Tecnologia Tolleranza

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14

Finlandia Olanda Belgio Inghilterra Svezia Irlanda Germania Spagna Danimarca Francia Grecia Austria Italia Portogallo

Svezia Finlandia Germania Danimarca Olanda Belgio Francia Inghilterra Austria Irlanda Italia Spagna Portogallo Grecia

Svezia Danimarca Olanda Finlandia Germania Austria Inghilterra Francia Belgio Italia Spagna Grecia Irlanda Portogallo

Fonte: R. Florida e I. Tinagli (2004) Europe in the Creative Age. London: Demos.

Nella teoria di Florida (2002), la crescita economica è legata a luoghi tolleranti,

aperti alla diversità e alla creatività; luoghi, milieu creativi che secondo Landry

(2000) devono contenere le necessarie pre-condizioni, in termini di hardware e

software, per generare flussi di idee, informazioni ed innovazioni. La creatività

non viene ristretta alla sola sfera dell’arte e delle industrie creative. L’obiettivo di

una città creativa è quello di sviluppare una cultura della creatività all’interno di

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ogni attività urbana (Landry e Bianchini, 1995; Landry, 2000). «Such a milieu is a

physical setting where a critical mass of entrepreneurs, intellectuals, social

activists, artists and students can operate in an open-minded, cosmopolitan context

and where face-to-face interactions creates new ideas, artefacts, products, services

and institutions, and as a consequence contributes to economic success. The

network capacity that lies at the heart of the creative milieu requires flexible

organisations working with a high degree of trust, self-responsibility and strong,

often unwritten, principles. These include a willingness to share and to contribute

to the success of the network for the greater good. In the creative milieu, hard

infrastructure is the nexus of buildings and institution such as research institutes,

educational establishments, cultural facilities and other meeting places as well as

support services such as transport, health and amenities. Soft infrastructure is the

system of associative structures and social networks, connections and human

interactions, that underpins and encourages the flow of ideas between individuals

and institutions. This occurs either face-to-face or through information technology

that enables wider networks of communication to develop, so helping the trade of

goods and services. These networks may include common interest networks such

as business clubs or marketing consortia, public-private partnerships involving

financial support structures and devices and mostly important the social networks

as clubs, cafés, bars or informal associations» (Landry, 2000).

Il cluster culturale

Le considerazioni sul creative milieu e la città creativa, e la presenza di economie

esterne di agglomerazione hanno portato allo sviluppo di diverse teorie sui cluster

culturali. All’importanza dell’agglomerazione spaziale e dei benefici che ne

derivano, si aggiungono le caratteristiche di idiosincraticità della cultura. La

cultura si presenta difatti indissolubilmente legata a un territorio, vale a dire ad

una comunità, alla sua storia e alla sua identità (Scott, 1997, 2000; Santagata,

2000). «Culture is a phenomenon that tends to have intensely place-specific

characteristics thereby differentiating places from one another» (Scott, 1997).

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«The production of culture tends to be rooted in unique communities of workers

anchored to particular places… place (is) a privileged locus of culture (because of

the continued importance of) massive urban communities characterized by many

different specialized economic functions and dense social relationships» (Scott,

2000).

La letteratura sui cluster culturali si è sviluppata partendo dalle teorie sul distretto

industriale, riconosciuto come fonte di vantaggio competitivo, di innovazione e di

crescita delle economie locali.

Box 3 – Una breve sintesi sulle teorie sui distretti industriali.

Come già discusso nel capitolo primo del presente lavoro, le presenti economie nazionali e

internazionali vengono analizzate e comprese come sistemi di economie regionali (Ohmae, 1995).

Le regioni sono state riscoperte negli ultimi anni come fonti importanti del vantaggio competitivo

nella presente economia globalizzata. In parte, questa riscoperta del locale è basata sugli studi

circa il successo di economie regionali fortemente dinamiche e di distretti industriali che si basano

su risorse locali per la loro competitività. L’esempio distrettuale più noto e studiato è la cosiddetta

Terza Italia.

Partendo dalle analisi di Marshall (1919) sull’industria localizzata e sulle economie esterne

imputate alla presenza di una «atmosfera industriale»20, le teorie sul cluster sono state quindi

sviluppate per comprendere il modo in cui alcuni territori sono riusciti a conservare e sviluppare il

vantaggio competitivo all’interno di un contesto globalizzato (Porter, 1990; Pyke et al., 1990;

Storper e Harrison, 1991). Nonostante gli sviluppi tecnologici e la presumibile riduzione del ruolo

della prossimità, molte attività economiche mostrano difatti una forte tendenza a concentrarsi nello

spazio.

Da un lato, è cresciuto l’interesse sulla teoria della crescita economica endogena, che riconosce

economie di scala crescenti associate al clustering, all’agglomerazione e alla specializzazione

(Porter, 1994; Krugman, 1995). Tra i benefici derivanti dal clustering vengono evidenziati ritorni

crescenti, riduzione dei costi di transazione, economie di agglomerazione associate alla prossimità

e agli scambi tra imprese, sviluppo di know-how e lavoro specializzati, rapida diffusione di

20 Marshall (1919) applica il termine atmosfera industriale agli asset sociali specializzati presenti

nei distretti industriali inglesi del XIX secolo. L’atmosfera industriale viene quindi intesa come

un’esternalità, un insieme comune di risorse che facilitano l’adattamento dei lavoratori alla

produzione, che forniscono una piattaforma per l’attività creativa e innovativa, che facilitano la

comunicazione all’interno del distretto.

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innovazioni tecnologiche e informazioni.

Dall’altro, è stata analizzata la fonte di tali vantaggi localizzati, affermando che questi risiedono

proprio nelle caratteristiche sociali, culturali ed istituzionali locali (Amin e Thrift, 1995; Sunley,

1996; Storper, 1997). In particolare, Storper (1997) sottolinea come sia caratteristica distintiva di

tali cluster la forza dei loro «relational assets» o «untraded interdependecies», che si presentano

non commerciabili e non sostituibili, profondamente legati alle caratteristiche sociali dei network

locali. Tra questi asset si segnalano la conoscenza tacita basata sullo scambio interpersonale face-

to-face di informazioni e know-how, la fiducia e la reciprocità che si reggono spesso attorno alla

presenza di una comunità socialmente coesa, a valori e culture condivisi e legati ad un particolare

territorio, idiosincratici, in contrapposizione quindi alla conoscenza codificata e disponibile in

qualsiasi territorio (Becattini e Rullani, 1993). Capitale umano, capitale informativo e capitale

sociale emergono quindi come tratti distintivi del distretto industriale (Sacco e Pedrini, 2003).

In questa sede, non si vuole affrontare una rassegna critica della presente

letteratura sui cluster culturali21; la giovane età di tali teorie, la loro complessità e

varietà, la diversità delle loro forme, scopi e contenuti potrebbero costituire il

tema principale di un successivo lavoro di ricerca. Attenendoci allo scopo del

presente lavoro ci si limita ad offrire un approfondimento sul cluster culturale

limitato alla scala urbana come base per lo sviluppo di politiche culturali urbane.

«The power of cultural clustering, culture in regeneration, the Bilbao effect, call it

what you will – has been given higher profile in the last couple of years than ever

before» (Tessa Jowel, Secretary of State per la Cultura, Media e Sport22).

A tal proposito risultano utili lo studio di Wynne (1992) sui quartieri culturali in

relazione al caso di Manchester e l’analisi di Mommaas (2004) in relazione a

progetti di cluster culturale sviluppati in alcune città olandesi.

Wynne (1992) definisce il quartiere culturale come «a spatially limited and

distinct area which contains a high concentration of cultural and entertainment 21 Per una rassegna sullo sviluppo di tali teorie in Italia si veda il numero monografico dedicato ai

distretti culturali della rivista di ‘Economia della Cultura’, vol. 2, 2005. 22 Jowel, T. (2003) Building Tomorrow: Culture in Regeneration. Relazione della Conferenza del

DMCS, Salford, 25 febbraio 2003.

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facilities compared with other areas of town or city, which provide a sense of

place in downtown locations, an ambience which further encourages the use of

cultural facilities, also during the night, by both residents and visitors». In

particolare il quartiere culturale si distingue per la sua posizione centrale, per la

presenza di industrie culturali, sia dal lato della produzione culturale che del

consumo (istituzioni private, profit e/o non-profit, istituzioni pubbliche), per la

presenza di crossover tra produzione e consumo culturale, per la presenza di un

utilizzo misto dello spazio tale da permettere un’adeguata diversificazione

economica (oltre alle industrie culturali, vi è la presenza di piccoli negozi, studi,

club, café, ostelli o hotel, residenze, etc.), ed infine la presenza di arte pubblica.

Alcune delle caratteristiche evidenziate da Wynne (1992) si ritrovano anche

nell’analisi di Mommaas (2004) che distingue sei elementi critici che influenzano

l’evoluzione dei cluster culturali urbani:

il differente mix, a livello orizzontale, di attività culturali e il loro livello di

collaborazione e integrazione all’interno del cluster (sia tra attività di tipo

leisure - come negozi, bar e ristoranti - e attività più strettamente culturali; sia

tra le stesse attività culturali, in modo da garantire crossover);

il differente mix, a livello verticale, delle funzioni culturali – lo specifico mix

di attività di design, produzione, distribuzione e consumo, insieme ad un

connesso livello di integrazione all’interno del cluster (cluster mono-

funzionali spesso basati solo sul consumo culturale vs cluster multifunzionali e

integrati che presentano un mix di produzione, distribuzione e consumo);

la struttura organizzativa del cluster in termini di coinvolgimento dei vari

stakeholder nella gestione stessa del cluster (assenza di una gestione centrale

verso presenza di una gestione centrale responsabile di negoziare contratti di

finanziamento, attrarre le attività culturali, organizzare la promozione

collettiva, stimolare forme di finanziamento incrociato);

il regime finanziario e la tipologia di coinvolgimento dei settori pubblici e

privati (coinvolgimento di capitale finanziario pubblico vs forme ibride di

autonomia finanziaria e sostenibilità autonoma un maggior coinvolgimento

privato e attraverso il finanziamento incrociato);

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Il livello di apertura e adattabilità o chiusura e solidità dei programmi culturali

e spaziali all’interno del cluster;

il percorso di crescita e gli obiettivi del cluster (un’iniziativa di rigenerazione

culturale pianificata dall’alto – top-down – vs uno sviluppo spontaneo a partire

da una emergenza culturale localizzata);

la posizione del cluster all’interno della città (centro vs margini della città).

Si potrebbe generalizzare e concludere tale paragrafo con una definizione di

cluster creativo del network Creative Clusters Ltd. «A cluster of creative

enterprises needs much more than the standard vision of a business park next to a

technology campus. A creative cluster includes non-profit enterprises, cultural

institutions, arts venues and individual artists alongside the science park and the

media centre. Creative clusters are places to live as well as to work, places where

cultural products are consumed as well as made. They are open round the clock,

for work and play. They feed on diversity and change and so thrive in busy, multi-

cultural urban settings that have their own local distinctiveness but are also

connected to the world» (Creative Clusters Ltd - www.creativeclusters.com).

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CAPITOLO III

VERSO UN APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE ALLO

SVILUPPO URBANO BASATO SULLA CULTURA

La complessità dello sviluppo urbano basato sulla cultura

La cultura presenta le potenzialità per contribuire ad un processo di sviluppo

urbano molto articolato, in termini di benefici sia materiali che immateriali; può

favorire un processo di rigenerazione urbana, un miglioramento della qualità della

vita e dello spazio pubblico urbano, può generare benefici materiali per

l’economia e per l’intera società – direttamente o indirettamente attraverso la

creazione di un fertile sostrato sociale e culturale, capace di generare e rigenerare

il milieu creativo urbano. «Parlare di cultura come leva per lo sviluppo vuol dire

cercare di comprendere gli effetti diretti e indiretti dell’investimento culturale nel

territorio, le condizioni e strategie per generare un circolo virtuoso tra cultura e

sviluppo locale agendo sui molti nessi che legano la crescita cultura a quella

sociale, economica e civile» (D. Benelli, Assessore alla Cultura, Culture e

Integrazione, Provincia di Milano23).

Lo sviluppo urbano basato sulla cultura è un processo complesso che vede la

compresenza di dimensioni economiche, sociali, ambientali e culturali. Le

politiche culturali necessitano di avere un impatto su tutte queste dimensioni per

contribuire effettivamente al processo di sviluppo urbano. Negli anni Ottanta e

Novanta le politiche si sono concentrate soprattutto sulla dimensione economica

legando la cultura alle strategie di city marketing e allo sviluppo di alcuni settori

interrelati a quello culturale, come quello turistico (il caso della città di Glasgow

23 Benelli, D. (2006) Cultura e sviluppo locale. Relazione all’interno del Seminario ‘La funzione

della cultura nello sviluppo locale’. Spazio Oberdan, 13 gennaio 2006, Milano.

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costituisce l’esempio più evidente di tale approccio). Gli anni Ottanta hanno visto

quindi il fiorire di studi sull’importanza economica della cultura a livello urbano,

sugli impatti economici diretti e indiretti delle attività cultuali. Questi studi sono

stati molto importanti per incrementare il profilo delle politiche culturali e gli

investimenti culturali pubblici e privati.

A partire dalla fine degli anni Novanta il legame delle politiche culturali con le

politiche riguardanti l’educazione, la formazione, la ricerca e lo sviluppo sta

assumendo un ruolo centrale. Il successo delle strategie culturali non può più

essere misurato semplicemente in termini di reddito e occupazione ma occorre

valutare i miglioramenti in termini di qualità della vita, coesione sociale e

capacitazione delle comunità locali. La crescente collaborazione tra il settore

pubblico e quello privato in campo culturale, la presenza di una molteplicità di

attori rende necessario lo sviluppo di nuove forme di governance. Le

amministrazioni locali avranno un ruolo centrale e insostituibile nello sviluppo di

politiche culturali urbane. L’evidenza suggerisce che il successo delle politiche

culturali come strategie di sviluppo urbano è dovuto a una serie di fattori che

possono essere identificati nella presenza di solide partnership tra

l’amministrazione locale, il settore privato, profit e non profit, e la comunità

locale, nella qualità dalla leadership urbana, nell’abilità dei policy-maker di

formulare progetti di azione concreti, e nella loro consapevolezza della posizione

che la città occupa all’interno delle gerarchie culturali urbane nazionali e

internazionali (Bianchini, 1993b).

Quello che si richiede oggi è un approccio più integrato che permetta di fornire

una base solida per strategie di sviluppo urbano sostenibile. Tale approccio

richiede la considerazione di alcune problematiche culturali, economiche, sociali e

spaziali. Le politiche culturali urbane possono infatti presentare implicazioni

culturali, economiche, sociali e spaziali, spesso controverse, implicazioni che

Bianchini (1993b) ha identificato nella forma di alcuni dilemmi strategici.

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I dilemmi strategici dello sviluppo urbano basato sulla cultura

I dilemmi strategici evidenziati da Bianchini (1993b) costituiscono un punto di

riferimento fermo del presente lavoro. Seppur siano stati sottolineati in relazione a

casi studio di città europee con riferimento alle strategie culturali urbane adottate

durante gli anni Ottanta e inizi anni Novanta, tali dilemmi non hanno perso la loro

validità.

Il primo dilemma riguarda l’audience (turisti vs residenti), il pubblico a cui le

iniziative culturali sono rivolte. Questo è connesso al secondo dilemma,

riguardante l’obiettivo geografico delle iniziative culturali (dilemma spaziale), per

affrontare le tensioni tra centro e periferia. Il terzo dilemma riguarda

l’opposizione e la separazione tra le strategie orientate al consumo culturale e

quelle orientate alla produzione culturale (dilemma dello sviluppo economico).

Infine, vi è il dilemma del permanente verso l’effimero, infrastrutture culturali

verso eventi e festival (dilemma dei fondi destinati alla cultura).

Audience: turisti verso residenti

Il primo dilemma riguarda l’audience, il pubblico a cui le iniziative culturali sono

rivolte. Occorre infatti distinguere tra strategie che si prefiggono l’obiettivo di

attrarre turisti, investitori e consumatori dall’esterno della città, quale chiaro

segnale di prestigio urbano, e strategie che mirano a prendere in maggior

considerazione, e più efficacemente, i bisogni culturali della popolazione locale,

rafforzandone l’identità e la coesione sociale. Diventa quindi importante chiedersi

non solo quanti siano i visitatori alle attività culturali, ma soprattutto quale sia la

proporzione di residenti e quale quella di visitatori esterni alle attività culturali

presenti nella città.

A tal proposito è utile menzionare una mostra dal titolo ‘La sindrome di

Pantagruel’ organizzata a Torino nel 2005 all’interno della Triennale di Arte

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Contemporanea. La riflessione della mostra ruota attorno all’esplosione, la

voracità e il gigantismo degli eventi culturali degli ultimi anni, eventi creati ad

hoc per attrarre flussi di turisti, eventi il cui impatto e benefici si mostrano essere

estremamente limitati al breve periodo (si pensi al fenomeno recente delle

cosiddette ‘grandi mostre’ in città quali Treviso o Brescia).

Dilemma spaziale: centro verso periferia

Questo è connesso al secondo dilemma, riguardante l’obiettivo geografico delle

iniziative culturali (dilemma spaziale), per affrontare le tensioni tra centro e

periferia, ed il rischio di gentrification24 (nobilitazione). Vi è quindi una tensione

tra lo sviluppo di progetti culturali nel centro della città, e lo sviluppo di iniziative

culturali community-based in aree periferiche e decentralizzate per facilitare

l’integrazione dei residenti, e le fasce a rischio di esclusione sociale.

In relazione al processo di gentrification, nel libro Loft Living (1982) Zukin

sottolinea le contraddizioni tra il discorso sul ruolo dell’arte come catalizzatore di

rigenerazione dei centri urbani e empowerment culturale, e il discorso della

politica culturale urbana gestita assecondando gli interessi degli speculatori e

investitori immobiliari. In alcuni casi, infatti l’istituzione di aree urbane come

distretti o quartieri culturali ha spesso generato un processo di gentrification,

24 L’incremento nel centro della città del numero di lavoratori qualificati e il declino degli

occupati nelle attività meno specializzate, vale a dire i cambiamenti nella struttura occupazionale

del centro della città sono alla base del cambiamento nella struttura sociale e residenziale dell’area

urbana, la gentrification dei quartieri interni. Il risultato di questi cambiamenti economici e sociali

è un incremento della domanda di abitazioni nell’area interna urbana da parte di famiglie ad alto

reddito che produce un allontanamento delle famiglie a reddito più basso. Paradossalmente il

processo di gentrification viene facilitato e accelerato da alcune famiglie di reddito alto che si

localizzano per prime all’interno di aree a reddito più basso, attirate dall’atmosfera di quartiere

popolare che vi si trova. Localizzandosi in tali aree urbane, questi gruppi – spesso si tratta dei

cosiddetti creativi – ne innalzano lo status, rendendo l’area trendy e alla moda, stimolando l’arrivo

di altre famiglie di classe media e accelerando in tal modo il processo di gentrification.

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incrementando il valore immobiliare e il costo della vita nell’area e costringendo i

residenti locali, gli artisti e i giovani imprenditori culturali a spostarsi.

Risulta fondamentale valutare la presenza di servizi culturali decentralizzati,

centri per i giovani, democratizzazione dell’accesso nelle istituzioni culturali della

città, accentuare la connessione tra cultura e servizi educativi, miglioramento della

comunicazione culturale, investire in arte pubblica e in un design urbano che

accentui il concetto di spazio pubblico aperto.

Dilemma dello sviluppo economico: consumo culturale vs produzione culturale

Il terzo dilemma riguarda l’opposizione e la separazione tra le strategie orientate

al consumo culturale e quelle orientate alla produzione culturale (dilemma dello

sviluppo economico). Da un lato quindi strategie che promuovono le attività

culturali per attrarre visitatori, dall’altro strategie di supporto alle industrie

culturali. Sebbene profittevoli nel breve periodo, attraverso il miglioramento

dell’immagine urbana e l’incremento dei flussi turistici, nel lungo periodo le

strategie orientate solo al consumo culturale si mostrano spesso insostenibili. Due

ordini di motivi possono essere evidenziati: a) il primo riguarda la tipologia di

occupazioni creata, che risulta spesso essere poco specializzata, b) il secondo

riguarda la dipendenza da fattori su cui le città possono esercitare un limitato

controllo (cambiamento delle preferenze e/o del reddito disponibile dei

consumatori, aumento delle spese di viaggio, esplosione di nuove mete turistiche,

etc.).

Diventa importante combinare una politica che mira a incrementare il consumo

culturale con strategie che mirano ad assicurare le precondizioni per la futura

produzione culturale, per lo sviluppo di industrie culturali, che hanno le

potenzialità di creare occupazione specializzata in settori dell’economia dall’alto

valore aggiunto; politiche quindi per migliorare l’accessibilità alla cultura, non

solo al consumo culturale ma anche agli strumenti di produzione e distribuzione.

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A queste considerazioni si collegano gli investimenti nel settore dell’educazione e

nelle sue interrelazioni con la città, gli investimenti in milieu o cluster creativi,

nell’attrazione, sviluppo e ritenzione della classe creativa.

Dilemma dei fondi destinati alla cultura: permanente verso effimero

Infine, vi è il dilemma del permanente verso l’effimero (dilemma dei fondi

destinati alla cultura). Da un lato strategie che mirano a creare nuove

infrastrutture culturali, come musei, teatri, biblioteche e centri artistici, con i

relativi elevati costi di gestione, dall’altro strategie volte ad incrementare la

programmazione di eventi e festival artistici. I costi di gestione delle infrastrutture

culturali sono spesso così elevati da assorbire la maggior parte delle risorse

pubbliche disponibili.

In periodi di ristrettezze finanziarie, le amministrazioni locali sono più propense a

tagliare i fondi a quelle attività che vengono viste come marginali, o comunque,

attività di carattere sperimentale e innovativo, piuttosto che a ridurre i

finanziamenti a musei o teatri. Occorre quindi valutare il maggior utilizzo degli

spazi pubblici, di strutture temporanee, e di un crescente accostamento di utilizzi

culturali con altri usi.

Il cultural planning

La considerazione dei dilemmi strategici evidenziati nel paragrafo precedente

impone una tipologia nuova di approccio alle politiche culturali e allo sviluppo

urbano. La difficoltà di superare tali dilemmi rivela l’esistenza di relazioni

sbilanciate tra le dimensioni culturali e quelle economiche nelle politiche di

sviluppo urbano, avvalorando l’ipotesi dell’importanza di un approccio integrato e

multidimensionale. Bianchini (1993b) ha riconosciuto in un approccio orientato al

cultural planning le potenzialità di identificare e considerare le problematiche

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connesse allo sviluppo urbano basato sulla cultura, permettendo di riconciliare le

priorità culturali e sociali con quelle economiche.

Il cultural planning, già ampiamente utilizzato negli Stati Uniti e in Australia

negli anni Ottanta sta ricevendo negli ultimi anni una crescente attenzione in

Europa. Nel 1999 il Department for Culture, Media and Sport del governo inglese

ha realizzato il documento Guidance for Local Authorities on Local Cultural

Strategies che incoraggia i governi locali inglesi a sviluppare una politica

culturale ispirata all’approccio di cultural planning.

Per cultural planning non si intende la ‘pianificazione della cultura’, ma un

approccio culturalmente sensibile alla pianificazione urbana e alle politiche

pubbliche. Caratteristica centrale è il riferimento ad una definizione allargata ed

antropologica di cultura e l’integrazione dell’arte negli altri aspetti della cultura

locale e nel tessuto della vita urbana. L’approccio è di tipo interdisciplinare e

intersettoriale: relazioni di tipo biunivoco25 devono essere sviluppate tra le risorse

culturali locali ed ogni altra tipologia di politica urbana, dal design urbano e dalla

pianificazione urbana al turismo, allo sviluppo industriale, al city marketing,

all’educazione e alla formazione.

Bianchini (1993b) suggerisce inoltre come vi sia una chiara esigenza per una

formazione in cultural planning condivisa dai policy-maker di differenti

background professionali. Tale formazione dovrebbe fornire conoscenze in

materia di economia urbana e regionale, storia, sociologia, politica, geografia e

planning (capacità di progettazione e pianificazione), così come di istituzioni

della Comunità Europea e di modelli di politiche culturali urbane nei vari paesi

dell’Europa. Lo scopo di questa tipologia di formazione dovrebbe essere la

creazione di un linguaggio condiviso che permetta ai policy-maker di creare

25 Queste relazioni presentano delle caratteristiche importanti: devono essere olistiche, flessibili,

laterali, interdisciplinari, innovative, umanistiche, tendenti ad attribuire maggior valore al dato

qualitativo che a quello quantitativo, aperte e non strumentali.

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connessioni tra le loro rispettive aree di lavoro, generando, in questo modo,

strategie di sviluppo urbano più efficaci, equilibrate e capaci di migliore la qualità

della vita urbana.

Il segnale di un’effettiva e creativa strategia di cultural planning risiede

precisamente nel grado in cui i dilemmi strategici vengono identificati e trascesi.

Centrale in tale approccio è la percezione che le politiche culturali, se integrate e

coordinate con le altre politiche urbane, possono svolgere un ruolo centrale e di

guida all’interno delle strategie di sviluppo urbano, potenziando la capacità di

attrazione e la posizione competitiva urbana. Tale approccio è fondamentale per

garantire uno sviluppo urbano sostenibile, permettendo di migliorare la qualità

della vita urbana e di riconciliare le priorità sociali e culturali con quelle

economiche.

L’approccio di cultural planning permette inoltre di esaminare temi più ampi

concernenti la politica culturale urbana e il futuro della città come public realm,

legando il dibattito sul futuro della città come entità fisica e economica al dibattito

sul futuro della cittadinanza e della democrazia locale. Amin e Graham (1997)

sostengono l’importanza di sviluppare una governance urbana aperta e dialogica, e

una democrazia partecipativa centrata attorno alla creazione di reali opportunità

per le comunità locali. Negli ultimi anni molte amministrazioni locali hanno

cercato di rendere i processi di policy-making culturali più rispondenti alle

richieste, aspirazioni e idee dei cittadini, con una nuova enfasi sulle relazioni tra

pubblico, privato e non profit, tramite consultazioni pubbliche e forum, e

devoluzione di poteri decisionali a community group.

Tali considerazioni si collegano alle teorie di Amartya Sen, premio Nobel per

l’Economia nel 1998. Secondo la teoria di Sen (1994), la premessa vera di ogni

sviluppo è costituita dall’entitlement, ossia dalla capacitazione degli uomini di

intervenire attivamente nella società. Lo sviluppo viene inteso come un processo

di espansione delle libertà reali di cui godono gli esseri umani. La teoria delle

capacitazioni può essere considerata una rivoluzione nel campo dell'economia, dal

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momento che riesce ad inquadrare meglio lo scopo a cui tendono tutte le attività

economiche, che non è limitato all’incremento del reddito, ma al miglioramento

della qualità della vita tramite l’acquisizione di nuove capacitazioni.

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CAPITOLO IV

CASO STUDIO DI ROTTERDAM

Introduzione

La città di Rotterdam è situata sul delta del fiume Mosa, che la separa in due parti.

La città si affaccia sul suo waterfornt con sorprendenti architetture, un landscape

urbano inaspettato e inusuale per una città europea, e in particolar modo per una

città olandese.

Figura 3 – Mappa di Rotterdam.

Fonte: Comune di Rotterdam.

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Con i suoi circa 600.000 abitanti, Rotterdam è la seconda città più popolata

d’Olanda. Assieme a Amsterdam, Utrecht e L’Aia, la regione metropolitana di

Rotterdam (1.4 milioni di abitanti) fa parte del Randstad, una delle aree urbane

più densamente popolate d’Europa (due quindi dell’intera popolazione olandese,

circa sei milioni di persone). In confronto con il resto dell’Olanda la popolazione

di Rotterdam è relativamente più giovane (percentuale più alta di abitanti di età

compresa tra i 15 e i 24 anni); a questo si aggiunge un altro carattere distintivo, la

sua multiculturalità. Si contano circa 135 differenti etnie in prevalenza provenienti

dal Suriname, Turchia, Marocco, Antille e Capo Verde. Il 45% circa della

popolazione è immigrata, e di questo il 65% è costituito da minoranze etniche.

Figura 4 – MARKT BLAAK – uno dei più grandi mercati d’Olanda.

Fonte: Foto di Mariangela Lavanga.

A partire dal Medioevo, la città si è sviluppata diventando un importante nodo

commerciale, oggi il porto più vasto e in rapida espansione d’Europa (40 km di

porto). L’economia della città è sempre stata dominata dai settori legati alle

attività portuali (logistica, distribuzione, servizi finanziari legati alle operazioni

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marittime). Dalla fine del XIX secolo, grazie alle fiorenti attività legate al porto, la

città ha mostrato una rapida crescita demografica, favorendo l’immigrazione di

numerosi lavoratori non specializzati. A metà degli anni Sessanta si contavano

circa 740.000 abitanti.

A partire dagli anni Settanta, fattori economici, sociali e politici hanno favorito

una dispersione spaziale con un drammatico calo della popolazione. Il crescente

processo di sub-urbanizzazione delle famiglie di reddito alto nei sobborghi

periferici in seguito alla forte recessione degli anni Settanta ha portato ad

acutizzare i problemi socio-economici all’interno della città. L’economia urbana

soffre nei primi anni Ottanta di elevati livelli di disoccupazione: è stato stimato

che circa il 20% della popolazione attiva era senza occupazione. A partire dalla

fine degli anni Ottanta, grazie allo sviluppo del settore finanziario, la città avvia

un processo di progressiva terziarizzazione.

Nonostante la forte recessione degli anni Settanta, una politica intelligente di

supporto agli investimenti e alla rigenerazione socio-economica ha comunque

permesso a Rotterdam di mantenere la sua posizione come principale porto

europeo e nello stesso tempo diversificare la sua base economica. Il prodotto

regionale lordo della regione di Rotterdam (Rijnmond) ammonta a circa un

decimo del prodotto interno lordo olandese, facendone una delle regioni più

importanti dal punto di vista economico. A partire dalla metà degli anni Ottanta,

grandi imprese come Unilever, Robeco Group, Nedlloyd e Crédit Lyonnais

stabiliscono i loro headquarter nel centro di Rotterdam, investendo in architetture

spesso d’avanguardia. Accanto agli headquarter della Shell e della AMN-AMRO,

nel centro urbano sorgono quindi nuovi edifici adibiti ad uffici, che

contribuiscono ad aumentare lo status di internazionalità della città. A partire

dagli anni Novanta la città ha inoltre investito nello sviluppo di alcuni settori

riconosciuti con «growth cluster», tra questi l’industria audio-visiva e quella

medico-tecnologica. Negli ultimi anni il cambiamento strutturale dell’economia si

è accentuato (Tab. 3), con un incremento del settore dei servizi e una crescita

significativa nel settore culturale. Tali cambiamenti sono stati accompagnati da un

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progressivo miglioramento dell’immagine urbana e della percezione sia interna

che esterna della città; da città portuale e industriale, Rotterdam inizia ad essere

considerata una moderna città commerciale, dinamica, conviviale e con una

qualità della vita in costante crescita.

Figura 5 – Il nuovo headquarter della UNILEVER.

Fonte: Foto di Mariangela Lavanga.

Nel trasmettere tale rinnovata immagine e nel promuovere la città, il Comune di

Rotterdam è attivamente impegnato attraverso la Rotterdam City Development

Corporation (OBR), un attore importante in molti progetti di rigenerazione, e

attraverso l’organizzazione Rotterdam Marketing. Di recente è stato creato un

board per lo sviluppo economico di Rotterdam (EDBR - Economic Development

Board Rotterdam) che riunisce stakeholder dei settori dell’educazione, della

scienze, delle imprese private, oltre che dell’amministrazione pubblica e ai

cittadini. Il compito è quello di formulare una visione condivisa per la città e

assicurarne l’implementazione. La creazione di tale board è collegata

all’impregno assunto dalla città nel costituire un ponte tra il governo e la politica

da un lato e la comunità di Rotterdam dall’altro.

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Tabella 3 – Struttura economica della città di Rotterdam nel periodo 1996-2005.

OCCUPAZIONE VARIAZIONE % SETTORI 1996 2000 2003 2004 2005 Trasporti, distribuzione/comunicazione 40.512 40.902 36.724 34.991

34.360

-15,19%

Servizi finanziari 16.590 19.047 17.714 18.642 18.090 9,04% Servizi di business 33.260 60.162 57.998 58.059 56.540 69,99% Amministrazione pubblica 12.806 15.442 18.539 18.257 18.280 42,75% Educazione 17.712 20.220 24.216 23.764 23.320 31,66% Sanità e welfare 35.360 39.585 45.218 46.193 46.490 31,48% Cultura, attività di tempo libero e altri servizi 9.190 12.567 13.734 13.766

13.340

45,16%

Horeca 7.174 8.553 9.173 8.436 7.940 10,68% Agricoltura, pesca e produzione di energia 501 675 498 466

420

-17,65%

Industria 31.157 30.105 27.710 26.018 24.070 -22,75% Public utilities 1.853 1.761 2.171 2.642 2.640 42,47% Costruzioni 15.020 16.228 17.408 16.617 16.820 11,98% Retail 22.627 24.836 40.272 38.444 36.460 -4,43% TOTALE 259.294 306.234 311.375 306.215 298.770 18,10%

Fonte: Elaborazione da COS.

Tuttavia la città soffre di rilevanti problemi sociali. In confronto con le altre

grandi città olandesi, Rotterdam presenta un livello di educazione più basso con

una situazione ancor più aggravata per i gruppi a reddito basso. Tale situazione è

legata principalmente alla peculiare composizione sociale della sua popolazione

dovuta alla predominanza di attività portuali e alla forte presenza di minoranze

etniche. Sebbene si sia cercato di evitare lo sviluppo di aree ad alta concentrazione

di esclusione sociale, alcune zone della città sono seriamente svantaggiate, e tra

queste alcune che sono state investite dal progressivo spostamento delle funzioni

portuali all’esterno del centro urbano, e altri quartieri storici ad ovest e nord del

centro della città. Questi quartieri sono stati oggetto di innovative politiche di

rivitalizzazione, che hanno cercato di favorire il mix funzionale e il

coinvolgimento degli investitori privati nei progetti sociali, nonché la comunità

dei residenti.

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Architettura e rigenerazione urbana

Rotterdam è una città in continuo cambiamento; a partire dall’impressionante

ricostruzione dopo i bombardamenti che rasero al suolo il centro della città

durante la Seconda Guerra Mondiale, l’attività costruttiva e l’investimento in

impressionanti architetture non si è mai arrestata. Il vuoto spaziale lasciato dai

bombardamenti ma anche un ben più radicato desiderio e attitudine alla

sperimentazione sono alla base dell’importanza che l’architettura riveste per la

città. Già nel 1929 Rotterdam era considerata «la città più americana nel

continente» a causa dei suoi straordinari esempi di architettura d’avanguardia

come il café De Unie (1924) di J. J. P. Oud e la famosa Van Nelle Fabriek (1925-

1931) disegnata da Brinkman & Van der Vlugt.

Figura 6 – Veduta di Rotterdam durante i bombardamenti del maggio 1940.

Fonte: U.S. National Archieves.

L’architettura è divenuta negli anni il simbolo della città, simbolo del suo

dinamismo. A Koolhaas, uno dei più noti architetti al mondo, vincitore del Premio

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Pritzker per l’Archiettura nel 2000, è stato riconosciuto il merito di aver dato

stimolo alla cosiddetta generazione dei «Superdutch architects», affermatasi nella

seconda metà degli anni Ottanta. La maggior parte di tali architetti ha difatti

lavorato nell’OMA – Office for Metropolitan Architecture –, lo studio di

architettura creato a Rotterdam negli anni Settanta da Zenghelis e da Koolhass.

Importanti istituzioni dedicate all’architettura verranno localizzate a Rotterdam

nel corso degli anni: nel 1989 viene istituito l’Istituto Olandese di Architettura, il

NAi (Nederlands Architectuurinstituut), e viene scelta come sede Rotterdam, nel

1992 il Fondo per la Promozione dell’Architettura (Stimuleringsfonds voor

Architectuur) e nel 2000 l’Istituto Berlage di Architettura (BiA) sposta la sua sede

da Amsterdam a Rotterdam.

Un’intera area portuale situata sulla riva sinistra del Mosa, Kop van Zuid, è stata

di recente oggetto di un vasto progetto di rigenerazione. Il grande impeto si è

avuto con la costruzione del ponte Erasmus nel 1996, opera dell’architetto Ben

van Berkel, che rappresenta un tentativo di ridurre la distanza psicologica, socio-

economica e fisica tra le due parti della città: la problematica Rotterdam Sud e il

centro situato nella Rotterdam Nord. Il ponte Erasmus, chiamato anche «il cigno

d’acciaio», ha attirato, con il suo design spettacolare, grande attenzione

diventando il nuovo simbolo e landmark della città di Rotterdam. Il masterplan è

basato su un’integrazione tra aree residenziali, aree di lavoro, ed altri servizi

urbani, culturali e ricreativi. Lo sviluppo del progetto è stato stimolato dalla

decisione della compagnia di telecomunicazioni olandese KPN di localizzare

nell’area il suo nuovo ufficio, opera di Renzo Piano. Tutta l’area presenta

straordinarie architetture, l’edificio dell’Autorità Portuale di Foster, la struttura di

vetro e acciaio della scuola InHolland, il ristrutturato Hotel New York

(hotel/café/ristorante, un tempo sede della Holland American Line), il Café

Rotterdam, oltre a servizi culturali come il nuovo teatro Luxor e il recupero di Las

Palmas, ex-magazzini un tempo workshop della Holland American Line, centro

d’arte durante Rotterdam Capitale Culturale Europea, oggi ospitano mostre di arte

contemporanea e in futuro un centro nazionale di fotografia, film e media.

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Figura 7 – Il ponte ERASMUS.

Fonte: Foto di Mariangela Lavanga.

L’ambizione del progetto consisteva non solo nel rigenerare l’area interessata ma

anche nel relazionarla e integrarla con i quartieri circostanti, tra i più deboli dal

punto di vista sociale, economico ed estetico della città. La rigenerazione di Kop

van Zuid può essere considerata un successo dal punto di vista estetico e

architettonico (considerando il miglioramento del waterfront), ed economico

(considerando gli esorbitanti prezzi di vendita degli appartamenti) ma purtroppo

non è ancora riuscita nel suo tentativo di connessione con il Sud della città.

La strategia culturale di Rotterdam

La politica culturale in Olanda è basata sull’assunzione che lo stato non deve

intervenire con giudizi di valore in campo artistico e scientifico. Alcune

fondazioni sono state quindi create dal Ministero dell’Educazione, della Cultura e

della Scienza per finanziare la cultura, come il Fonda BKVB per l’arte, il design e

l’architettura. Lo sviluppo di attività culturali ed artistiche è stato quindi il

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risultato di iniziative da parte di privati e di un ampio numero di fondazioni,

sebbene siano comunque presenti dei council o advisory body (Raad for Culture)

a livello nazionale e locale, come l’Amsterdam Arts Council e la Rotterdam Arts

Foundation (RKS – Rotterdamse Kunststichting). La definizione di cultura

utilizzata ai fini del finanziamento pubblico include il patrimonio culturale

(musei, edifici e siti storici, archeologia, archivi), i media, le lingue e la letteratura

(broadcasting, editoria, biblioteche), le diverse forme d’arte (arti visive, design,

architettura, film, arti performative, arti amatoriali, educazione artistica). Il

termine industrie culturali non è utilizzato nei documenti ufficiali nazionali.

L’Ufficio Nazionale Statistico (CBS) non raccoglie dati sulle industrie culturali;

settori quali editoria, musica, film e video vengono di solito considerati

separatamente. A livello locale, invece, si sta diffondendo l’uso dei termini

industrie culturali/creative. In particolare, vi è un’esplicita connessione tra cultura

e politiche urbane; la relazione tra cultura e sviluppo urbano è un tema centrale

nelle politiche urbane, parte integrante dei progetti di rigenerazione.

Verso la fine degli anni Settanta, il centro della città venne ri-pianificato secondo

un ‘modello di intensità urbana’, vale a dire combinando abitazioni con uffici e

servizi culturali e di intrattenimento, e accentuando il ruolo dell’arte pubblica e

del design urbano; contrariamente a quanto avvenuto nel secondo dopoguerra

quando la città venne pianificata secondo un ‘modello funzionalista’ basato su una

razionale divisione tra le funzioni urbane. Il classico esempio è il quartiere

centrale della Lijnbaan (1951-1953) che ha attirato negli anni Cinquanta

l’attenzione di numerose delegazioni di architetti stranieri. Disegnata da van den

Broek e Bakema, la Lijnbaan è un’area completamente dedicata allo shopping, ed

è il primo esempio di strada pedonale in Europa.

Nel 1987, il policy memorandum «Revitalising Rotterdam» ha iniziato a

considerare le attività legate alla cultura, all’intrattenimento e al turismo come

elementi indispensabili per accrescere la capacità di attrazione urbana, per

contribuire allo sviluppo di una città completa e al miglioramento della qualità

della vita urbana. Il piano di sviluppo urbano, formulato nella seconda metà degli

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anni Ottanta sulla base di un ampio dibattito riguardante il futuro della città, viene

ispirato dalla rigenerazione che ha interessato Baltimora, una delle prime città ad

adottare un piano di rinnovamento del suo waterfront basato su attività culturali e

di intrattenimento. Sono state così sviluppate politiche per promuovere servizi di

alta qualità per residenti e visitatori, e per migliorare la qualità degli spazi

pubblici, attraverso l’investimento in architettura e in un disegno urbano attento

alle specificità e unicità dello spazio pubblico. La città viene interessata sia da un

continuo rinnovamento dei suoi quartieri centrali che dalla rigenerazione del suo

waterfront attraverso nuove espansioni e trasformazioni delle vecchie aree

portuali in quartieri residenziali, lavorativi e ricreativi, accompagnato da

un’integrazione sempre maggiore dell’investimento culturale nelle strategie di

crescita urbana. Durante gli anni Novanta la città ha investito in maniera

considerevole in architetture e infrastrutture culturali, come lo Schouwburg (il

teatro principale della città) e i nuovi musei concentrati principalmente nel

quartiere museale Museumpark, il cui masterplan è stato affidato a Rem Koolhaas.

Negli anni Novanta le politiche urbane si sono focalizzate su investimenti in

architettura, infrastrutture e grandi eventi per incrementare il pubblico soprattutto

turistico. Negli ultimi anni la città mostra un crescente impegno nel creare

opportunità per i residenti, soprattutto i giovani e la popolazione di immigrati,

investendo in educazione e stimolo dell’imprenditorialità.

Il Piano Culturale della città di Rotterdam relativo al periodo 2001-2004 puntava

ad un maggior legame tra cultura e città in termini di accessibilità e sviluppo

urbano, con un maggior coinvolgimento del settore dell’educazione e del settore

privato nella vita culturale della città. Il nuovo Piano Culturale 2005-2008 si

concentra su sei priorità:

maggiore attenzione al patrimonio culturale della città;

rinnovato interesse all’allargamento e alla diversificazione dell’audience;

rafforzamento del coinvolgimento del settore dell’educazione, e in particolare

degli studenti;

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rafforzamento della cultura come strumento di inclusione sociale e sviluppo

economico-spaziale;

maggiori investimenti in infrastrutture culturali;

rafforzamento della posizione dei singoli artisti con lo scopo di promuoverne

l’indipendenza e l’imprenditorialità.

L’ammontare del budget destinato alla cultura dal Comune di Rotterdam nel 2004

è di circa 100 milioni di euro, il 2% dell’intero budget comunale (Tab. 4).

Tabella 4 – Budget destinato alla cultura e budget totale del Comune di Rotterdam 2001-

2004.

Ammontare del budget destinato alla cultura (milioni di euro)

Ammontare totale del budget (milioni di euro)

% del budget culturale sul budget totale

2001 88,590 4.829,620 1,83%2004 105,390 4.650,680 2,26%

Fonte: Elaborazione da Palmer&Rae, 2004.

Attività culturali a Rotterdam

Grazie agli investimenti in infrastrutture culturali degli anni Ottanta e Novanta

Rotterdam può contare oggi su numerose attività culturali ed artistiche. Si contano

circa 37 musei, numerosi festival e spazi teatrali e di danza, che permettono alla

città di offrire attività culturali sia tradizionali che d’avanguardia e sperimentali.

I musei principali sono concentrati nel Museumpark. Tra questi il famoso Museo

Boijmans, fondato nel 1849, il NAi, uno dei più importanti centri dedicati

all’architettura in Europa, e la Kunsthal, uno spazio per mostre temporanee.

Rotterdam è sede di una delle più note orchestre sinfoniche al mondo, la

Rotterdam Philharmonic Orchestra, diretta da Gergiev, di numerose compagnie

teatrali e di ballo, come lo Scapino Ballet. La città di Rotterdam si presenta come

una città di eventi e festival. L’organizzazione Rotterdam Festival è stata creata

nel 1993 per delineare un programma di festival per la città, migliorandone il

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coordinamento e la promozione. Si contano circa 23 festival nel periodo estivo

(Zomerfestivals), 29 nel mese di Settembre per inaugurare la nuova stagione

culturale dei suoi teatri, musei e altri centri culturali (September in Rotterdam),

oltre all’International Film Festival Rotterdam in febbraio, uno dei festival più

internazionali della città.

Per quanto concerne le attività più propriamente culturali, la Tab. 5 mostra un

sostanziale incremento nel numero di visitatori alle attrazioni della città, ai suoi

eventi e teatri nel periodo 1992-2003, mentre si sottolinea un lievissimo

incremento nel numero di visitatori ai musei della città. Gli incrementi relativi

all’anno 2001 sono principalmente dovuti al fatto che Rotterdam è stata Capitale

Culturale Europea. In particolare l’incremento nel numero di visitatori registrati al

Museo Boijmans nel 2001 è dovuto al grande successo della mostra dedicata

all’artista olandese Hieronymus Bosh (Tab. 6).

Tabella 5 – Numero di visitatori a attrazioni, eventi, teatri e musei di Rotterdam nel periodo

1992-2003.

1992 2000 2001 2002 2003 VARIAZIONE %

Attrazioni 3.300.000 3.950.000 4.270.000 4.344.000 4.409.000 33%

Eventi 2.970.000 3.360.000 4.310.000 3.600.000 4.618.000 55%

Teatri 3.170.000 4.070.000 4.250.000 5.350.000 6.013.000 89%

Musei 890.000 920.000 1.230.000 900.000 936.000 5%

TOTALE 10.330.000 12.300.000 14.060.000 14.194.000 15.976.000 55%

Fonte: Elaborazione da Rotterdam Festival, Rotterdam Marketing e OBR.

Tabella 6 – I 5 musei più visitati di Rotterdam nel periodo 1999-2003.

1999 2000 2001 2002 2003 Variazione %

Kunsthal 232.159 160.000 200.021 176.104 190.000 -18,1%Boijmans 137.482 130.000 293.000 113.800 162.000 17,8%NAi 95.198 105.038 160.000 101.064 106.000 11,3%

Havenmuseum 95.040 91.300 89.400 98.500 94.000 -1%Maritiem Museum 148.452 129.848 120.928 130.638 83.000 -44%

Fonte: Elaborazione da Rotterdam Festival, Rotterdam Marketing e OBR, 2004.

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Da un’analisi di Vries e Rijpma (2004) emerge che rispetto al 2001 la percentuale

dei residenti che si è recata nei musei della città non è aumentata. Un lieve

incremento è stato registrato solo dalle gallerie e dagli atelier: nel 2003 il 20% dei

visitatori era costituito da residenti, contro il 17% del 2001. Anche per quanto

riguarda teatro e cinema non vi è stato un incremento sostanziale nella

partecipazione locale.

R2001 – Rotterdam Capitale Culturale Europea 2001

La nomina di Rotterdam a Capitale Culturale Europea (R2001) nel 2001 ha

rappresentato il risultato più visibile delle strategie adottate dalla città in campo

culturale negli anni Novanta. Con lo slogan «Rotterdam is many cities», R2001 ha

voluto promuovere la città multiculturale, e scoprire nuovi modalità per

coinvolgere le minoranze etniche e le giovani generazioni nella vita culturale

urbana. Da un lato l’evento ha cercato di contribuire allo sviluppo autonomo delle

diverse forme artistiche, dall’altro di migliorare la qualità della vita urbana per i

residenti. Usando una definizione ampia di cultura e accentuando il carattere

multiculturale della città, Rotterdam è stata la prima città in Europa ad usare

l’evento CCE principalmente per obiettivi sociali: migliorare la coesione sociale e

community development, incrementare la partecipazione locale alle attività

culturali, assicurare uno sviluppo culturale di lungo termine. Tra gli altri obiettivi

si segnalano il miglioramento delle infrastrutture culturali, l’attrazione di visitatori

dall’Olanda e il miglioramento dell’immagine culturale e internazionale della

città, quindi benefici economici di lungo termine, come il turismo.

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Il budget per l’evento è stato di 34,1 milioni di euro (circa un terzo proveniente da

sponsor), di cui 22,7 milioni di euro spesi per la sola programmazione culturale.

Tabella 7 – Budget relativo a R2001.

BUDGET MILIONI DI EURO PUBBLICO

Stato 7,7 Comune 7,7 EU 0,5

PRIVATO Sponsorship 11,4

ALTRO Fondazioni, donazioni, etc. 6,8

TOTALE 34,1

Fonte: Palmer & Rae, 2004.

L’evento ha permesso il riutilizzo e la restituzione alla città di alcuni spazi vuoti

ora destinati alla cultura (come il Calypso e Las Palmas), di rigenerare e

valorizzare spazi pubblici con opere di arte pubblica e investimenti in

illuminazione (es. uno dei più belli e centrali canali della città), espandere alcuni

dei suoi musei ed aprire un teatro multifunzionale nell’area di Kop van Zuid, il

Nuovo Luxor.

Il numero totale stimato di pubblico ai circa 524 eventi culturali è stato di 2,25

milioni, di cui il 49% costituito da residenti, il 12% provenienti dalla regione, il

22% olandesi, il 17% internazionali. La spesa stimata attribuibile esclusivamente

alla presenza di R2001 è stata di 17,4 milioni di euro (comprendenti horeca,

shopping, spesa culturale legata al programma di R2001). Secondo Hitters e

Richards (2002), R2001 ha attratto un pubblico diversificato, sebbene non si siano

registrati grossi incrementi nella partecipazione delle minoranze etniche.

Nel 2001 il numero totale di visitatori a Rotterdam è aumentato del 17% rispetto

all’anno precedente (Fonte: Rotterdam Marketing). Sempre nel 2001 la

proporzione totale dei visitatori internazionali a Rotterdam è salita dal 4% al 7%,

la proporzione più alta in 10 anni; il 22% dei visitatori internazionali visitava la

città per la prima volta (Hitters e Richards, 2002). Tra il 1999 e il 2001 la città è

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passata dal ventesimo al quindicesimo posto nella lista ATLAS (The Association

for Tourism and Leisure Education) delle 22 città europee considerate

destinazioni culturali (Hitters e Richards, 2002).

Tra i benefici di lungo termine derivanti dall’evento si registrano una crescente

collaborazione e nuovi network all’interno del settore culturale, un innalzamento

dell’orgoglio e identità da parte dei residenti, seguiti da una migliore

programmazione culturale, un incremento dell’audience, impulso al dibattito

artistico e culturale, impulso all’innovazione e creatività con lo sviluppo di nuove

attività (es. ideato durante R2001, Motel Mozaique, un programma di musica di

artisti emergenti, performance teatrali e arti visive, registra ogni anno il tutto

esaurito), un incremento del numero di visitatori olandesi e internazionali,

miglioramento del profilo internazionale della città.

Se da un lato l’evento CCE ha suscitato critiche per la bassa partecipazione dei

cittadini, soprattutto le minoranze etniche, per la scarsa integrazione tra la nuova

immagine di Rotterdam e i suoi residenti, e per l’incremento non eclatante dei

flussi turistici nella città, dall’altro occorre comunque tener presente il

cambiamento di immagine che ha avviato e gli impulsi allo sviluppo di iniziative

culturali ed artistiche a livello locale, oltre al miglioramento del networking.

Turismo a Rotterdam

I pesanti bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale, l’assenza di un

ricco patrimonio storico e la sua immagine prevalentemente legata ad attività

portuali non fanno di Rotterdam una destinazione turistica al pari di Amsterdam o

Utrecht.

E’ soprattutto negli anni Novanta che si registrano incrementi nel numero di

visitatori, grazie agli investimenti in infrastrutture culturali e architettoniche, e in

eventi che portano Rotterdam ad essere considerata la festival city d’Olanda.

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Sebbene la sua immagine sia migliorata, anche grazie a R2001, la percentuale di

turisti internazionali è ancora bassa. La maggior proporzione di visitatori proviene

dall’Olanda (Tab. 8). Nel 2003 il settore leisure26 a Rotterdam ha generato un

reddito di circa 1,4 miliardi di euro. Sono stati stimate circa 17 milioni di visite

giornaliere, per una spesa media di 81 euro per visita.

Tabella 8 – Volume delle visite giornaliere nel 2003.

Provenienza Rotterdam Regione

(excl. Rotterdam)

Sud OlandaOlanda

(excl. Sud)

Estero (excl.

Olanda)

Totale e media

Numero visitatori (A)

486.000 350.000 1.048.000 1.715.000 185.000 3.784.000

Frequenza delle visite (B)

12,4 volte 7,9 volte 4,5 volte 2,2 volte 1,6 volte 4,6 volte (media)

Numero di visite a Rotterdam (C) (A x B)

6.026.000 2.748.000 4.674.000 3.824.000 292.000 17.546.000

Numero di attività combinate per visita (D)

3 2 2 2 3 2,4 (media)

Totale spesa per le attività (C x D)

18.078.000 5.496.000 9.348.000 7.648.000 867.000 41.446.000

Spesa media per visita (E)

€ 40 € 72 € 84 € 88 € 72 € 81

(media)

Totale spesa (C x E)

€ 234 milioni

€ 198 milioni

€ 393 milioni

€ 337 milioni

€ 21 milioni

€ 1,4 miliardi

Durata della visita per giornata

3 ore 57 min. 4 ore 5 min.4 ore 33

min. 5 ore 12

min. 5 ore 33

min. 4 ore 48

min.

Le 5 ragioni principali per visitare Rotterdam

1. Shopping 2. Ristorante/ bar 3. Cinema 4. Passeggiare5. Uscire fuori

1. Shopping 2. Nessun motivo particolare 3.Attrazioni 4. Nightlife 5. Teatri e concerti

1. Sightseeing 2. Attrazioni 3. Musei 4. Shopping 5. Uscire fuori

Fonte: Elaborazione OBR da COS e Marktplan Adviesgroep.

26 Il settore leisure include ristoranti, bar, hotel, congressi, eventi, festival, attrazioni, casinò, musei, teatri, cinema e funshopping (OBR, 2004).

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Gli arrivi e presenze nel periodo 2000-2003 sono in calo (Tab. 9). Questo

conferma il trend di diminuzione di arrivi e presenze registrato anche nelle altre

città olandesi e in tutta l’Olanda. Il 75% delle presenze è comunque costituito da

turismo d’affari. Il trend negativo è quindi dipeso anche dalle sfavorevoli

condizioni economiche degli ultimi anni.

Tabella 9 – Arrivi e presenze negli hotel e guest-house di Rotterdam nel 2000-2003.

Origine 2000 2001 2002 2003 Variazione %

2000-2003

A P A P A P A P A P

Olanda 186.400 292.000 230.700 358.900 174.200 270.700 176.700 250.800 -5% -14%

Estero 276.000 541.900 281.100 481.600 288.600 563.600 213.000 435.100 -23% -20%

Totale 462.400 833.900 511.800 840.500 462.800 834.300 389.700 685.900 -15% -17%

Fonte: Elaborazione da COS, CBS e OBR.

L’asse culturale di Rotterdam. Quartiere museale, quartiere culturale

di Witte de Withstraatt, waterfront

Le principali infrastrutture ed attività culturali di Rotterdam sono situate nel

centro della città. Il quartiere museale (Museumpark) di Rotterdam, molto simile

al Museumpark di Amsterdam che ospita il Museo Van Gogh, il Rijksmuseum

(Museo Nazionale) e lo Stedekijk (Museo Municipale), è stato uno dei primi

esempi di cluster culturale completamente pianificati dall’alto (Mommaas, 2004).

Con l’obiettivo di rafforzare il profilo culturale della città, e restituire ad essa

un’area centrale ma deprivata, lo sviluppo del quartiere museale è stato basato su

una combinazione di argomenti legati alla rigenerazione urbana e al marketing

urbano. Il quartiere museale, il cui masterplan viene affidato a Rem Koolhaas

negli ani Novanta, ospita il Museo Boijmans, il NAi, la Kunsthal, il Museo

Chabot e il Museo di Storia Naturale. Il quartiere è orientato esclusivamente al

consumo culturale e si denota una scarsa collaborazione tra le varie istituzioni.

L’idea di connettere il quartiere museale con la vicina strada Witte de Withstraat e

il waterfront, ed estendere quindi i benefici del cluster culturale proviene dalla

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Fondazione Kunstas (Asse culturale). L’idea di rigenerare Witte de with risale al

1996, quando la sua posizione centrale e il suo completo stato di abbandono

spingono il Comune di Rotterdam ad acquistare gli esercizi dell’intera strada e

allontanare le attività illegali. Il Comune stimola la creazione di un club per

riunire i vari proprietari delle attività commerciali dell’area, ed istituisce il WOM,

un ente, in parte profit, in parte non-profit, per la scelta degli esercizi commerciali

da attrarre nell’area, e quindi in tal modo guidarne la rigenerazione. Il ruolo della

Fondazione Kunstas è stato quello di innalzare l’immagine culturale dell’area, già

sede di alcune gallerie d’arte, del centro artistico Witte de With e del Nederlands

Fotomuseum.

Il quartiere rimane comunque orientato principalmente al consumo, con un misto

di gallerie, centri d’arte, ristoranti, bar e attività commerciali legate al design e

alla moda. I vantaggi derivanti dal cluster si limitato a cooperazione sporadica ed

ad hoc, come nel caso dell’organizzazione della Museum Nacht, la Notte dei

Musei.

Industrie culturali e classe creativa a Rotterdam

Durante gli anni Novanta, le industrie culturali in Olanda hanno mostrato

un’enorme crescita in termini di occupazione rispetto al resto dei settori

economici (Fig. 1). L’occupazione totale è cresciuta di circa il 27%, da 5.508.500

nel 1993 a 7.011.900 nel 2001. Il numero totale di occupazione nelle industrie

culturali è cresciuto invece del 41%, da 157.500 nel 1993 a 222.100 nel 2001.

Tale crescita si mostra inoltre concentrata nelle principali agglomerazioni urbane

dell’Olanda (Fig. 2) – Amsterdam, Utrecht, Rotterdam e L’Aia –, rispecchiando le

recenti teorie sviluppate sulle industrie culturali e il loro clustering.

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Figura 8 – Occupazione nelle industrie culturali in Olanda 1993-2001 (Numero indice:

1993=100; occupazione totale 100=5.508.500. e occupazione nelle industrie culturali

100=157.500).

Fonte: Raspe e Segeren, 2004. Ministero Olandese della Pianificazione Spaziale.

Figura 9 – Occupazione nelle industrie culturali nel 2002 per Comuni.

Fonte: Raspe e Segeren, 2004. Ministero Olandese della Pianificazione Spaziale.

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Il solo settore della produzione culturale a Rotterdam è stato stimato in 920

imprese con 4.500 posti lavoro, rispettivamente il 4% e l’1% dell’occupazione e

delle imprese complessive nell’economia della città (Raspe e Segeren, 2004 –

Ministero Olandese della Pianificazione Spaziale).

Tabella 10 – Industrie culturali per Comune: occupazione e numero di imprese nel 2002 per

Comuni.

Occupazione Numero di imprese Occupazione

nelle industrie culturali

Occupazione complessiva

% industrie culturali su

totale

Numero di industrie culturali

Numero di imprese

complessive

% industrie

culturali su totale

Amsterdam 19.190 473.339 4% 5.592 63.870 9%Rotterdam 4.509 301.654 1% 920 21.518 4%L’Aia 3.172 244.216 1% 773 18.497 4%Hilversum 397 29.893 1% 195 2.680 7%

Fonte: Raspe e Segeren, 2004. Ministero Olandese della Pianificazione Spaziale.

Sulla base della crescita delle industrie culturali nella città, il Comune di

Rotterdam attraverso l’OBR, ha avviato alcuni progetti per lo stimolo alla

produzione culturale, in particolare nel settore dell’audio-visivo, nell’ex-centrale

elettrica Schiecentrale, e nel settore del design e dell’architettura nella Van Nelle

Fabriek.

Schiecentrale è situata nel Lloydkwartier, un’ex-area portuale oggetto di un

interessante progetto di rigenerazione urbana. L’idea di fare dell’area un cluster

creativo nei settori dell’ICT, TV, film e video risale al 1996. Attraverso l’offerta

di spazi a costi inferiori al mercato, e i benefici derivanti dal clustering, circa 80

imprese per un totale di 500 posti lavoro sono state attratte nell’area. Sono stati

inoltre realizzati studio per artisti audio-visivi in modo tale da accentuare le

interrelazione tra creatività ed economia. Se mancano al momento forme di

cooperazione strategica tra le imprese, l’interazione tra di esse sta crescendo. Un

esempio è la creazione dell’organizzazione Het Initiatief (L’Iniziativa) che ha

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come obiettivo il miglioramento della visibilità delle imprese audio-visive nella

regione, promovendone competenze e attività.

Parallelamente allo sviluppo di progetti per stimolare l’attrazione delle industrie

culturali, il Comune è attivamente impegnato nell’attrarre la cosiddetta classe

creativa. Non a caso è stato invitato Richard Florida alla conferenza

CityLive2005conference organizzata dal CityCorp (organizzazione che riunisce

sei cooperative residenziali di Rotterdam) in collaborazione con EDBR, per

stimolare il dibattito su come aumentare la vitalità nel centro di Rotterdam e

quindi la capacità di attrazione della città stessa.

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CAPITOLO V

CASO STUDIO DI TAMPERE

Introduzione

Tampere è la seconda città più popolata (200.000 abitanti) e il secondo polo

economico della Finlandia, dopo Helsinki. Oltre 100 diverse nazionalità

compongono la sua popolazione; la minoranza etnica più numerosa (2,6% della

popolazione) è costituita da madrelingua di origine russa. La città è situata sulle

sponde del fiume Tammerkoski, abbracciata da due grandi laghi, connessi da un

canale artificiale attorno al quale si trovano ex-fabbriche, cartiere e ciminiere.

Figura 10 – Mappa del centro di Tampere.

Fonte: Università di Tampere.

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Acquisito lo status di città nel 1779 da Gustavo III, re di Svezia, per meriti

industriali e commerciali, Tampere diviene all’inizio del XIX secolo uno dei

maggiori centri industriali della Scandinavia, tanto da essere soprannominata ‘la

Manchester del Nord’. Oggi, il contrasto fra gli edifici industriali perfettamente

restaurati ed il fiume rendono unico il landscape urbano. L’eredità industriale

della città non solo si riflette nella sua architettura, ma anche nelle altre attività

della sfera pubblica, attraverso la valorizzazione della responsabilità sociale,

l’attenzione per l’ambiente, le pari opportunità e il settore dell’educazione27.

Figura 11 – Una veduta del centro di Tampere.

Fonte: Foto di Mariangela Lavanga.

27 Tampere ha ricevuto nel 1999 l’European Sustainable City Award per aver integrato nelle sue

politiche finanziarie ed operative la sostenibilità ecologica, sociale, culturale e finanziaria.

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L’aumento di occupazione nei settori della new economy, l’espansione di attività

innovative, l’aumento demografico, il rafforzamento della propria immagine ed

identità sono alcuni dei caratteri distintivi che hanno contribuito a rafforzare la

capacità di attrazione della città. Questi fattori si integrano a vicenda in un

processo di auto-rafforzamento: l’immagine positiva della città contribuisce alla

sua capacità di attrazione, questa attrae forza lavoro imprese, stimolando nuovi

progetti di rigenerazione urbana – che a loro volta rafforzano l’immagine della

città, in un circolo virtuoso.

Figura 12 – Evoluzione della popolazione nella città di Tampere nel periodo 1900-2020.

1900

1950

1960

2020 (est.)2002

2000

199019801970

0

50000

100000

150000

200000

250000

Fonte: Comune di Tampere – Ufficio Statistiche.

I finlandesi considerano Tampere una città con un’elevata qualità della vita e con

vivaci attività culturali. Tampere è una città di medie dimensioni, con un ambiente

a misura d’uomo ed una diversificata composizione sociale. Gran parte delle

attività culturali della città sono concentrate nell’area centrale, dove si trovano le

principali attrazioni ed istituzioni della città.

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Dalla città industriale ad uno dei centri più avanzati nelle nuove

tecnologie dell’informazione e della comunicazione

Lo scozzese James Finlayson potrebbe essere considerato come il vero

progenitore industriale di Tampere. Arrivato in Finlandia dalla Russia, nel 1820

Finlayson ha fondato a Tampere un cotonificio, dando quindi il via a quello che

sarebbe divenuto il primo grande centro industriale del paese28. Completata nel

1837 sulla riva sinistra del fiume Tammerkoski, la fabbrica a sei piani di

Finlayson è stato il primo edificio disegnato appositamente per la produzione su

grande scala. Oggi costituisce un esempio innovativo di architettura industriale ed

il più significativo monumento della storia industriale della Finlandia, tanto da

essere riconosciuto ufficialmente come patrimonio storico. Finlayson era

considerata una vera e propria ‘città nella città’, per le numerose attività non solo

produttive che si svolgevano al suo interno: la villa del proprietario, case per gli

impiegati e per gli operai, un ospedale, una chiesa, una scuola, un centro sociale

ed una casa di riposo per anziani.

Durante il XIX secolo, Tampere diventa un importante centro industriale per la

produzione tessile, lavorazione dei metalli e per l’industria cartaria – tutte attività

situate all’interno del centro della città. La Tampere Linen e la Iron Industry Ltd,

conosciuta come Tampella, è stata, fino alla fine degli anni Ottanta, una delle più

importanti società finlandesi. Posta sulla riva occidentale del fiume Tammerkoski,

Tampella si occupava di lavorazioni tessili e della lavorazione di metalli pesanti.

Nel 1881 viene fondata la Tampere Printing House Ltd (Tampereen Kirjapaino

Osakeyhtiö), responsabile della pubblicazione di Aamulehti, il più importante

28 Finlayson è stato il primo ad introdurre in Finlandia enormi turbine ad acqua ed un sistema

automatico antincendio. Nel tardo XIX secolo, Finlayson vantava la più grande macchina a vapore

e la prima lampadina elettrica della Scandinavia. Le tecniche e tecnologie necessarie venivano

importate dall’Inghilterra: disegni tecnici per macchinari e per edifici industriali, oltre a personale

specializzato per controllare l’attività produttiva dei vari reparti della fabbrica.

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giornale locale e tuttora il principale quotidiano della regione, parte di una delle

due principali società editoriali in Finlandia, la Alma Media.

Nell’Ottocento, la società urbana era permeata di valori e stili di vita strettamente

legati alla produzione industriale. Gli operai costituivano il gruppo sociale più

ampio, mentre la classa media non era quasi presente. Attività come la biblioteca,

il coro, l’orchestra, o il teatro erano estremamente popolari all’interno delle

comunità operaie, mentre attività legate alle arti visive o alla musica classica

arriveranno a Tampere verso gli anni Venti-Trenta. Nel 1943, l’industria

siderurgica costituiva il principale settore produttivo della città; dopo la seconda

Guerra Mondiale, Tampere era ancora una città industriale con oltre metà della

popolazione impegnata direttamente nel settore. E’ agli inizi degli anni Sessanta

che la proporzione relativa di occupazione industriale inizia a diminuire

(Kostiainen e Sotarauta, 2002). Solo le attività specializzate riescono a mantenere

il proprio ruolo nonostante la recessione industriale, rinnovandosi e sviluppandosi

grazie alle tecnologie avanzate.

Oggi Tampere può contare su nuovi settori produttivi ed in forte crescita, in

particolare l’automatizzazione, la bio-ingegneria medica, e il settore delle

tecnologie dell’informazione e della telecomunicazione (ICT). La Nokia, leader

mondiale nelle telecomunicazioni, è nata nel sobborgo di Tampere, chiamato

appunto Nokia. La perdita avvenuta nei settori produttivi tradizionali è stata più

che compensata dalle nuove opportunità occupazionali nei campi della new

economy, ingegneria, telecomunicazioni e dei servizi. Nel 2001, il più grande

datore di lavoro era costituito dall’amministrazione comunale (11.316 dipendenti),

seguita dal Tampere University Hospital (3.890), dalla Nokia (3.800), e dalle due

Università presenti nella città (3.730). Nel 2001 l’occupazione totale è stata di

104.504 posti-lavoro, circa il 22% in industria e il 70% in servizi. Nonostante

l’alto tasso di disoccupazione (13,4% al 31.10.2003) – dovuto in gran parte

all’ampia proporzione di disoccupazione a breve termine – Tampere mantiene la

sua immagine di ‘città delle opportunita’, continuando ad attrarre residenti e

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nuove imprese; l’elevata qualità dei servizi sociali offerti dal Comune impedisce

che la disoccupazione si trasformi in un problema per la città.

Figura 13 – Occupazione a Tampere nel 2001.

1%

21%

1%

6%

15%

8%

16%

32%

1

2

3

4

5

6

7

8

Attività agricole e forestali

Industria

Manutenzione reti elettriche ed idriche

Edilizia

Horeca

Trasporti

Servizi finanziari ed immobiliari

Servizi pubblici

Fonte: Comune di Tampere – Ufficio Statistiche

Il ruolo svolto dal settore dell’educazione all’interno della città aiuta a

comprendere meglio come Tampere sia riuscita a rinnovare la propria

competitività industriale, approfittando nello stesso tempo della crescita di nuovi

settori produttivi. Alla fine del XIX secolo, parallelamente allo sviluppo

industriale emerge la necessità di investire in una scuola tecnica; nel 1912 viene

aperto il Tampere Technical Institute; nel 1960, Tampere riesce ad attrarre da

Helsinki la School of Social Sciences, che nel 1966 diventa University of Tampere

(UTA), e nel 1974 viene riconosciuta università statale. Nel 1965 apre a Tampere

una sede della Helsinki University of Technology, che nel 1972 diventa Tampere

University of Technology (TUT). Oltre alle attività didattiche e di ricerca, la nuova

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Università si concentra sulla collaborazione con il settore industriale. Nonostante

il clima di critiche in Finlandia durante gli anni Settanta attorno alle attività di

ricerca commissionate da imprese private, e nuove e più severe direttive da parte

del Ministero dell’Educazione, la Tampere University of Technology ha

continuato a perseguire le proprie politiche, esplorando per prima in Finlandia il

campo della ricerca finanziata da privati, e confermando il suo ruolo di

‘Università dell’industria’ (Kostiainen e Sotarauta, 2002).

Fin dalla loro apertura, le due Università di Tampere sono state attive in molti

campi: la prima società di software di Tampere, Softplan, è stata creata da studenti

e neo-laureati dell’Università di Tampere, sotto la supervisione del professor

Reino Kurki-Suonio, che occupava la prima cattedra in computer sciences della

Scandinavia. Softplan ha avuto un impatto notevole nello sviluppo delle

tecnologie dell’informazione nella città di Tampere. E’ con l’acquisto di Softplan

nel 1986, che la Nokia rafforzerà le attività connesse alle tecnologie

dell’informazione, sviluppando a Tampere il Nokia Cellular Systems per

implementare i sistemi di telefonia mobile.

Oggi Tampere rappresenta la seconda concentrazione d’istituzioni educativi della

Finlandia, con un totale di 36.000 studenti in due Università (UTA e TUT) e in

due Politecnici (Pirkanmaa Polytechnic e Tampere Polytechnic). Secondo la

National Union of Students Tampere è considerata la migliore città universitaria

in Finlandia, e la TUT la migliore università a livello nazionale. Tutti i risultati

che la città ha ottenuto nei settori industriali e dell’educazione sono il riflesso del

suo approccio proattivo e delle sue strategie attorno ad obiettivi chiari e condivisi

– un atteggiamento che Tampere mostra anche in altri campi, come sarà illustrato

nelle parti successive del presente caso studio.

Tampere è spesso citata come caso esemplare nei campi del management urbano,

dell’inclusione e dell’innovazione nelle politiche governative, nell’interazione fra

cittadini ed amministrazione comunale, per la capacità di attrarre imprese

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innovative, e per il suo supporto alle attività di ricerca e sviluppo nel suo

territorio.

In particolare, il programma eTampere Information Society29, svoltosi nel periodo

2001-2005, è un progetto cooperativo su ampia scala che ha promosso la

collaborazione fra imprese private, ricerca, educazione, e settore pubblico, allo

scopo di rendere la società dell’informazione parte integrante della vita quotidiana

di tutti i suoi cittadini. Nonostante Tampere avesse già una forte tradizione di

cooperazione e di apertura da punto di vista sociale e commerciale, il programma

eTampere ha accentuato tale cultura cooperativa.

Anche se la cultura non ha rivestito una posizione specifica all’interno di

eTampere, questa si presenta come una delle aree naturali per uno sviluppo futuro,

sia nel campo dei servizi avanzati per il pubblico, sia nel campo dell’innovazione

produttiva.

La politica culturale di Tampere

Il finanziamento pubblico per il settore culturale è sempre stato parte delle

politiche governative finlandesi. Generalmente, la cultura viene riconosciuta come

parte fondamentale delle politiche di spesa pubblica. Incentivi fiscali per

29 Il programma eTampere, parte del progetto pilota finlandese finanziato dal programma eEurope,

è iniziato nel 2001 ed è stato sviluppato all’interno di un ampio network di partner istituzionali e

tecnici (la città di Tampere, TUT, UTA, il Technical Research Centre della Finlandia – VVT – e

varie società della regione). eTampere si articola in vari sotto-programmi, ognuno dei quali

focalizzato su un tema specifico dello sviluppo della società dell’informazione – come e-

governance, knowledge transfer ed e-commerce. Oltre 450 ricercatori e 230 imprese partecipano in

oltre 250 progetti, inclusi 16 progetti internazionali. Parallelamente sono stati organizzati seminari

internazionali e nazionali, oltre che nuovi servizi pubblici online – come il website della città,

visitato oltre due milioni di volte il mese.

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donazioni e finanziamenti privati al settore culturale sono pressoché assenti30,

scarso è quindi il supporto privato alle attività culturali.

A partire dal 1918 il finanziamento pubblico alla cultura è garantito attraverso

l’istituzione di comitati di esperti, nella forma di istituzioni arm’s lenght. Nel

1920 le amministrazioni locali acquistano maggiore autonomia finanziaria; si

afferma quindi una tipologia di responsabilità finanziaria condivisa dallo Stato e

dalle amministrazioni locali, che costituisce uno dei pilastri della moderna politica

culturale finlandese (Mitchell e Heiskanen, 2003).

Negli ultimi dieci anni il ruolo dello Stato e delle amministrazioni locali nel

garantire forme di finanziamento diretto è progressivamente diminuito; tale

cambiamento nelle politiche culturali è stato accompagnato dalla crescita degli

investimenti di capitale per infrastrutture, servizi, e training specializzato per il

settore creativo e culturale. Le politiche dell’Unione Europea hanno ulteriormente

rafforzato questa tendenza, rafforzando il legame tra le politiche culturali, lo

sviluppo urbano e regionale, l’educazione e le politiche di sostenibilità sociale.

La città di Tampere offre un forte supporto al settore culturale, come mostrato

dalla percentuale del budget municipale assegnato alla cultura: il 7% (circa 57,7

milioni di euro) nel 2004, contro una media del 4,5-5% nelle altre principali città

Finlandesi. Inoltre, rispetto all’anno 2003, il budget del 2004 risulta incrementato

del 5,1%, circa 2,8 milioni di euro.

30 Manca in Finlandia una legislazione – o speciali politiche amministrative – che offra incentivi

alla sponsorizzazione privata. Vengono offerte deduzioni fiscali entro un limite ristretto (da un

minimo di 850 euro ad un massimo di 25.000 euro) per donazioni allo Stato, alle Università, o a

organizzazioni non-profit nei campi dell’arte e delle scienze, a patto che vengano riconosciute

culturalmente significative da uno speciale Tax Relief Board. Infine non è presente un tetto

massimo per la deducibilità delle donazioni riguardanti la conservazione del patrimonio culturale

nazionale.

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Figura 14 – Spesa dell’amministrazione comunale per settore di attività nel 2004.

Servizi per la Comunità

9%Amministrazione

7%

Educazione22%

Servizi Culturali ed educativi

7%

Servizi Sociali e Sanitari

55%

Fonte: Comune di Tampere – Ufficio Statistiche.

Tabella 11 – Spesa dell’amministrazione comunale per settore di attività nel periodo 2003-

2004 in migliaia di euro.

Budget 2003 Budget 2004 Crescita Variazione %Amministrazione 42.954 44.364 1.413 3,3%Educazione 168.816 174.723 5.907 3,5%Servizi Culturali e per l’Educazione 54.879 57.695 2.816 5,1%Servizi Sociali e Sanitari 410.675 433.783 23.108 5,6%Servizi per la Comunità 34.339 34.892 553 1,6%

Totale 711.663 745.460 33.797 4,7%

Fonte: Comune di Tampere – Ufficio Statistiche.

L’obiettivo principale del Dipartimento Culturale dell’amministrazione comunale

è quello di promuovere attività culturali accentuando i principi di eguaglianza,

diversità, tolleranza e di collaborazione internazionale. L’amministrazione

comunale pubblica materiale sui propri website in quattro lingue, e il

Dipartimento Culturale trasmette un notiziario multiculturale settimanale su un

canale televisivo locale. Il Dipartimento Culturale interviene in tre aree principali:

supporto alla Tampere Philharmonic Orchestra, ad istituzioni e progetti culturali,

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ed infine ai servizi per i giovani31. I maggiori finanziamenti sono destinati alla

Tampere Hall, al Festival internazionale di teatro, ed al Film Festival. In

particolare, è aumentata significativamente negli ultimi anni l’offerta di attività

per i giovani. Di particolare importanza risulta inoltre essere l’enfasi posta al

supporto del senso di comunità e dell’identità locale attraverso l’organizzazione di

eventi e festival in tutta la regione.

Per quanto riguarda le relazioni tra arte ed educazione, è utile sottolineare come i

corsi scolastici di arte e di musica vengono finanziati attraverso il budget per la

Cultura e l’Educazione della città. Con il supporto nazionale, Tampere sostiene

inoltre vari centri che offrono educazione artistica, una scuola d’arti visive, ed un

Centro di Educazione per Adulti (il primo istituito tra 254 centri simili presenti in

Finlandia).

Figura 15 – Suddivisione del budget culturale del Comune di Tampere nel 2003. Entrate ed

uscite in milioni di euro. Il finanziamento alle istituzioni culturali non è incluso (10,6 milioni

di euro).

-

0,50

1,00

1,50

2,00

2,50

3,00

3,50

4,00

FESTIVALS

PROJECTS Y

OUTH CENTRES A

ND FACIL

ITIE

S

AFTERNOON CLU

BS FOR C

HILDREN

ADMIN

ISTRATIV

E SERVIC

ES

YOUTH CENTRE M

ANAGEMENT

NEIGHBOURHOOD A

CTIVIT

IES

SUPPORTS, GRANTS

EVENTS AND H

APPENINGS IN

DIS

TRICTS

COSTS REVENUES

Fonte: Comune di Tampere – Ufficio Statistiche.

31 Il Dipartimento Culturale ha istituito e sostiene con un budget di circa 1,3 milioni di euro un

network di tredici Youth Centres.

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Attività culturali e consumatori culturali a Tampere

Tampere non è una città d’arte come Helsinki o Turku, l’antica capitale della

Finlandia. La sua immagine industriale non ha comunque impedito alla città di

svilupparsi come attivo centro culturale. Le politiche culturali di Tampere sono

pienamente al servizio della comunità locale, da cui proviene la percentuale

maggiore di visitatori alle attività culturali della città.

Tampere è considerata a livello nazionale come ‘festival city’, come capitale

teatrale del Paese, e come importante centro per l’educazione artistica. Il centro

della città ospita inoltre svariati musei, tra cui l’ultimo museo europeo dedicato a

Lenin, e la più grande biblioteca comunale della Finlandia, la Tampere Municipal

Library che conta 1,2 milioni di vistatori all’anno.

In particolare, il numero di visitatori dei musei comunali è in costante crescita

negli ultimi anni, da 252.000 visitatori nel 1996 a 454.000 nel 2002. I musei più

visitati sono all’interno del Centro Museale Vapriikki, ricavato da un ex-edificio

industriale all’interno dell’area Finlayson/Tampella nel centro della città. Oltre

agli spazi espositivi (che ospitano quindici mostre ogni anno, oltre ad eventi

speciali ogni fine settimana), il Centro Museale possiede una propria collezione di

opere d’arte, un proprio archivio fotografico, una biblioteca, un auditorium, un

programma educativo per giovani in età scolastica, ed una serie di attività di

ricerca e di management. La proporzione maggiore di visitatori è costituita dalla

comunità di residenti, seguita dai visitatori provenienti dall’area di Helsinki e dal

resto della Finlandia.

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Tabella 12 – Numero di visitatori ad attività culturali a Tampere nel periodo 1996-2003.

1996 1999 2000 2001 2002 Variazione %

Musei 251.951 227.339 322.249 434.092 453.824 80%Patrimonio Culturale 1.587.312 1.509.359 1.644.798 1.619.391 1.656.949 4,5%Tampere Hall 262.310 278.698 267.449 288.084 237.264 -9,5%Teatri 481.565 479.357 403.205 440.914 444.627 -7,6%Festival 662.300 708.900 810.684 879.913 945.492 43%

Fonte: Elaborazione da Comune di Tampere – Ufficio Statistiche.

I festival organizzati nella città hanno svolto un ruolo fondamentale nel

miglioramento della vitalità culturale urbana, della visibilità e dell’immagine della

città, sia per i suoi residenti che per i visitatori. La stagione estiva di Tampere,

durante la quale si svolge la maggior parte dei festival, non viene difatti più

considerata dai finlandesi come il periodo ‘morto’ quale era agli inizi degli anni

Ottanta. In occasione del festival urbano, il Tammerfest City Festival32, si

registrano a Tampere circa 85.000 visitatori. La maggior parte delle

organizzazioni che si occupano dei festival (il Tampere International Short Film

Festival, il Tampere Music Festivals, il Tampere International Theatre Festival,

ed il Dance Festival) hanno sede nello stesso edificio, il Tullikamari o Cultural

Centre of the Old Customs House. Oltre ai festival, il Tullikamari ospita il

Pakkahouse, una sala per spettacoli teatrali, di musica e danza, e uno dei club più

frequentati della città, Klubi. E’ importante sottolineare come sia stata idea e

iniziativa strategica dell’amministrazione comunale offrire alla maggior parte

delle organizzazioni dei festival uno spazio unico e a basso costo come sede dei

loro uffici, facilitando così uno scambio informale di idee e di esperienze.

Oltre ai musei, ai teatri e ai festival, la città di Tampere ha investito nella

creazione del maggior centro per concerti e congressi della Scandinavia, la

Tampere Hall. La costruzione di questo centro, finanziata col budget municipale

per venire incontro alle necessità di un miglior spazio di lavoro per la Tampere

Philarmonic Orchestra, costituisce un esempio di come l’intera comunità sia

32 Il Tammerfest City Festival, giunto alla undicesima edizione, conta circa 20 podia per concerti

dislocati in tutta la città.

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coinvolta nelle decisioni che riguardano i servizi culturali e il loro miglioramento,

spesso prendendo essa stessa per prima l’iniziativa. La Tampere Hall, di proprietà

del Comune di Tampere, viene gestita autonomamente come srl. La sostenibilità

finanziaria viene garantita dal fatto che la Tampere Hall è stata concepita come

edificio multifunzionale; concerti, grandi eventi, conferenze e seminari vengono

organizzati contemporaneamente in diverse sale, e gestite da due distinti

dipartimenti amministrativi, che si occupano rispettivamente dei programmi

culturali e del centro congressi. La Tampere Hall genera, infatti, l’80% del suo

budget attraverso le sue entrate, mentre il contributo della città ne copre il 10%

(comunque la più alta voce di spesa all’interno del budget culturale municipale).

Turismo a Tampere

Tampere è considerata un’importante meta per il turismo nazionale, come effetto

combinato del successo dei suoi festival ed eventi, e della sua posizione strategica

vicino ad attrazioni naturali e sportive. Secondo una ricerca di mercato svolta

nella primavera del 2005 dalla società Taloustutkimus per valutare l’immagine di

trentuno città finlandesi, Tampere vanta la migliore immagine come destinazione

turistica. Si contano circa 600.000 turisti pernottanti, il 20% dei quali stranieri,

con una media di 3,1 pernottamenti. Il turismo familiare, seguito da quelle d’affari

e infine culturale sono le tre fasce principali in termini di impatto per l’economia

urbana. Purtroppo il Finish Tourist Board non colleziona dati sul turismo

culturale. A livello nazionale è stato comunque stimato che i turisti leisure

spendono in Finlandia in media 440 euro, 117 euro al giorno.

Nel 2002-20003 il Tampere Tourist Board ha condotto un’analisi sugli impatti del

turismo a Tampere. E’ stato stimato che nel 2002 il turismo d’affari ha generato a

Tampere 333 milioni di euro, l’8% in più rispetto al 1999. Il turismo a Tampere

rappresenta quindi un importante contributo all’economia urbana.

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Comunque, come conseguenza di nuovi voli low-cost per la Gran Bretagna, la

Germania, l’Estonia e la Svezia (forniti da Ryanair e Blue), Tampere sta godendo

di una crescita del turismo di medio periodo. L’impatto di questi nuovi voli è

anche percepito come un opportunità per presentare Tampere come il nodo

nazionale per turisti low-budget, in particolare durante i Festival estivi.

Attività culturali, produzione culturale e rigenerazione urbana: il

cluster culturale Finlayson/Tampella

In Finlandia i siti industriali hanno quasi sempre avuto una posizione centrale

all’interno delle aree urbane. Nel caso di Tampere, l’ex-area industriale

Finlayson/Tampella delimita gli spazi urbani del centro della città. Per più di un

secolo, l’area Finlayson è stato uno spazio chiuso, una ‘città dentro la città’. Il

processo di deindustrializzazione degli anni Ottanta ha portato ad una graduale

trasformazione negli utilizzi dell’ex-sito industriale Tampella (un’area di circa 40

ettari), e all’avvio di un processo di rigenerazione urbana (Tamminen, 2002). Con

il progressivo calo delle attività industriali, venivano studiate alternative per il

recupero dell’area Finlayson/Tampella, come strumento per rigenerare ed

espandere il centro urbano della città.

Il progetto di rigenerazione dell’ex-sito industriale è stato condotto all’interno di

un piano generale per l’intera area centrale della città. L’obiettivo era quello di

migliorare il landscape urbano e la capacità di attrazione della città come centro

residenziale e come polo per attività finanziarie e commerciali, e nello stesso

tempo di rendere le ex-aree industriali parte integrante del centro urbano, sia dal

punto funzionale, del traffico e del design urbano. Si voleva sviluppare un

quartiere stimolante, in cui fossero presenti svariate tipologie di attività urbane,

senza danneggiare il carattere identitario delle strutture industriali preesistenti.

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Figura 16 – L’ex-area industriale Finlayson.

Fonte: Foto di Mariangela Lavanga

A partire dagli inizi degli anni Novanta, sono stati studiati diversi modi alternativi

per rigenerare l’area33; accurate valutazioni di impatto ambientale, economico,

sociale sono state svolte in modo tale da selezionare l’alternativa che offrisse le

migliori opportunità per sviluppare l’area come parte integrante del centro urbano

(Tamminen, 2002). Il contributo delle attività culturali alla rigenerazione dell’area

e al miglioramento della sua immagine è stato fondamentale. Nel 1991, in seguito

all’incendio che distrusse il Technical Museum, l’amministrazione comunale

decide di creare nell’area Finlayson/Tampella il Centro Museale Vapriikki, a quel

33 La pianificazione dell’area Tampella ha avuto inizio con un concorso di architettura, conclusosi

nel 1991. Il concorso è stato vinto dalla proposta ‘Shouts or Whispers?’ degli architetti Keijo

Heiskanen e Erkki Helamaa, premiata per la riuscita integrazione del progetto all’interno del

tessuto urbano esistente; la proposta illustrava un approccio flessibile nelle destinazioni d’uso,

un’ottima soluzione per un boulevard sul waterfornt, ed il posizionamento di edifici a torre lontani

dal contesto del centro storico. La prima fase dei lavori di progetto dell’area si è conclusa alla fine

del 2000.

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tempo l’unica attività non industriale presente nel sito. Un ulteriore impulso allo

sviluppo del quartiere museale viene dato dai finanziamento di 10 milioni di euro

da parte del governo centrale per l’organizzazione dell’European Summit nel

1999. Oggi il quartiere museale è il più ampio complesso museale della Finlandia.

Figura 17 – L’ex-area industriale Tampella.

Fonte: Foto di Mariangela Lavanga

Per stimolare la rigenerazione degli ex-edifici industriali Finlayson in chiave

culturale, l’amministrazione comunale ha offerto spazi lavorativi a condizioni

convenienti, attraendo in tal modo nell’area istituzioni come il Media Museum, il

quotidiano Aamulehti e la Tampere Polytechnic School of Arts and Media. In

particolare la creazione del Media Museum è frutto di una stretta collaborazione

tra il Comune di Tampere, il giornale Aamulehti, la compagnia di

telecomunicazioni Elisa, l’Associazione Giornalisti, ed ad altri stakeholder locali.

L’area Finlayson si sta trasformando in un versatile centro per le tecnologie

dell’informazione e per il multimedia. Oltre al Media Museum, il Politecnico e il

giornale Aamulehti, Finlayson ospita al suo interno oltre 80 imprese, con circa

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3.000 impiegati, un complesso cinematografico con dieci sale, un parcheggio

multipiano, ristoranti e caffetterie, gli uffici della eTampere Information Society

Programme e del Tampere Region Centre of Expertise Programme for Media

Services. La combinazione di attività di produzione con attività di consumo, oltre

a centri di ricerca e di educazione sono alla base del successo della rigenerazione

dell’area. A queste considerazioni si aggiunge il fatto che la varietà nella tipologia

di attività e quindi nell’utilizzo dell’area – attività che si sostengono e rafforzano a

vicenda – non è limitata alle sole attività lavorative diurne, ma fornisce anche la

base per una evening and night economy. L’intensità di queste attività rimanda

all’intensità storica del passato industriale dell’area; anche se la nuova identità è

profondamente diversa da quella storica, la nozione di produzione continua

attraverso lo sviluppo di forme di produzione culturale (Nevanlinna, 2002).

Oltre alle industrie creative presenti nell’area Finlayson, a Tampere hanno sede

alcune alcune compagnie televisive nazionali, come TV2, il principale canale per

programmi per l’infanzia, adolescenza, sport, teatro e varietà, parte di YLE

(Finnish Broadcasting Company), la compagnia televisiva con il più alto share in

Finlandia (44% di share nel 2003).

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CONCLUSIONI

Note conclusive al caso studio di Rotterdam

Lo sviluppo di un virtuoso cluster culturale è considerato nelle strategie della città

di Rotterdam come uno strumento indispensabile per migliorare la qualità della

vita urbana. La città investe da un lato in infrastrutture culturali (hardware),

dall’altro in software, vale a dire nel miglioramento dei network creativi, nello

stimolo alla creatività. L’approccio è orientato allo sviluppo delle industrie

culturali, dell’imprenditorialità culturale, alla creazione del cluster audio-visivo di

Schiecentrale, e all’attrazione della cosiddetta classe creativa. Lo sviluppo di una

taskforce concernente lo sviluppo di Rotterdam come ‘student-city’ rispecchia

l’obiettivo strategico di attrarre e ritenere nella città gli studenti e i giovani

laureati, parte della futura classe creativa.

Nonostante il tentativo di R2001 di promuovere la città multiculturale, gran parte

degli investimenti in cultura e la nuova immagine di Rotterdam non presentano un

legame stretto e una forte connessione con la realtà locale. L’effettiva capacità

delle strategie urbane di guidare i processi di cambiamento nella struttura urbana

viene quindi minata. E’ richiesta una maggiore considerazione ed enfasi sugli

aspetti socio-culturali, in modo tale da permettere una maggiore integrazione tra

l’immagine di Rotterdam e la comunità dei suoi residenti.

Rotterdam dimostra il ruolo che la cultura può giocare in una città con una

negativa immagine e con un patrimonio culturale quasi del tutto assente. Come

già evidenziato in relazione al caso della città Glasgow, il processo di radicamento

della cultura nella collettività locale si mostra essere un processo di lungo periodo:

il grande test che l’anno 2001 lascia alla città consiste nell’abilità di sostenere il

momento e di incanalare la rinnovata fiducia nelle attività economiche e sociali.

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Note conclusive al caso studio di Tampere

Il settore culturale di Tampere emerge come rappresentazione esemplare della

comunità locale: responsabile, diversificata, dinamica ed a misura d’uomo. Le

istituzioni culturali sono nate quasi nello stesso momento in cui le fabbriche

chiudevano, collegando e riflettendo il passato storico della città nella sua

presente immagine. Nonostante la città di Tampere non goda dell’ammontare di

sussidi e finanziamenti pubblici come le istituzioni culturali localizzate nella

Regione Metropolitana di Helsinki, la comunità di Tampere si mostra molto

orgogliosa dei risultati che riesce ad ottenere grazie alla propria iniziativa e grazie

ad una forte coesione sociale – senza la necessità di sovrastimare il proprio

potenziale, o sottostimare le necessità culturali dei propri residenti, ma facendo

piuttosto un uso bilanciato delle proprie risorse all’interno di una strategia urbana

bilanciata e sostenibile.

Questa attenzione alla sostenibilità riflette il modo pionieristico e strategico con

cui Tampere si è dimostrata capace di adattarsi alle diverse fasi del proprio

sviluppo economico, sociale e culturale – vale a dire attraverso l’uso di strategie

innovative, di un approccio proattivo, precedendo i vari cambiamenti ed

adattandosi ad essi, ma nello stesso tempo creando il proprio percorso di sviluppo

e rigenerazione urbana.

Le nuove attività all’interno dell’area Finlayson/Tampella hanno avuto un forte

impatto sulla struttura, le funzioni e l’immagine di Tampere, contribuendo a

guidare e indirizzare lo sviluppo futuro dell’intera città. Lo sviluppo integrato di

nuove attività e di utilizzi innovativi all’interno delle aree ex-industriali ha

contribuito al recupero e al rafforzamento delle identità nella città post-industriale.

La comunità residente sembra aver riconosciuto la trasformazione dell’area

Finlayson/Tampella come un’estensione di quella che era la Tampere, città

industriale. Gli ex-lavoratori dell’area sono orgogliosi del fatto che il loro

precedente luogo di lavoro si sia trasformato in un’area museale e in uno spazio

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d’incontro e di commercio per l’intera comunità di residenti e per i visitatori della

città.

Conclusioni

Il settore culturale presenta le potenzialità per contribuire ad un processo di

sviluppo urbano molto articolato, in termini di benefici sia materiali che

immateriali. Il settore culturale può portare ad un miglioramento della qualità

della vita e dello spazio pubblico urbano, può generare benefici materiali per

l’economia e per l’intera società – direttamente o indirettamente attraverso la

creazione di un fertile sostrato sociale e culturale, capace di generare idee

innovative, di testare nuovi modelli di scambio e di produzione, e di captare

nuove necessità. E’ comunque necessario che una città trovi un equilibrio nella

natura dei suoi investimenti, così che tutti i pilastri necessari per uno sviluppo

sostenibile siano mantenuti e rafforzati.

Il ruolo della cultura nell’economia di Tampere è molto forte. La comunità

residente rappresenta la proporzione maggiore di visitatori culturali, una

sostanziale proporzione del budget comunale è riservata alla cultura, con un

particolare focus sull’accessibilità, sull’educazione collegata all’arte e lo sviluppo

di centri per i giovani. L’investimento in cultura ha permesso di ri-definire e

rafforzare l’identità della città e il suo carattere partecipativo e inclusivo. Nello

stesso tempo tali investimenti hanno prodotto benefici in termini di miglioramento

dell’immagine culturale della città e incremento nel numero di visitatori. I due

processi si alimentano e rafforzano in un circolo virtuoso.

Nel caso di Rotterdam, la comunità residente rappresenta una proporzione molto

bassa di visitatori culturali. Sebbene la cultura abbia rivestito un ruolo importante

nelle politiche di rigenerazione a partire degli anni Ottanta, la strategia della città

si è concentrata su investimenti per il miglioramento dell’immagine urbana con lo

scopo di attrarre flussi di residenti, turisti e investitori, con scarso riguardo verso

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l’identità della città e della comunità dei suoi residenti. A differenza di Tampere

che presenta flussi crescenti di turisti, Rotterdam non ha visto aumentare in

maniera considerevole il turismo, fatta eccezione durante l’evento R2001.

In entrambe le città le principali attività culturali sono concentrate nel centro

urbano. Sono comunque presenti o in fase di sviluppo iniziative culturali

community-based in aree periferiche e decentralizzate per facilitare l’integrazione

dei residenti, e le fasce a rischio di esclusione sociale. Lo sviluppo di forti

connessione tra cultura e servizi educativi, l’apertura di centri per i giovani, il

miglioramento della comunicazione culturale interna alla città sono i caratteri

distintivi della strategia culturale di Tampere. Lo sviluppo a Rotterdam dei Local

Cultural Centres previsti nel Piano Culturale 2005-2008 dovrebbero aiutare a

migliorare il legame tra cultura e residenti, e promuovere la diversità culturale. La

città è comunque all’inizi in tale tipo di approcci.

Il grande sviluppo delle industrie culturali nella città di Rotterdam ha portato ad

adottare strategie per lo sviluppo di cluster creativi e per l’attrazione della classe

creativa. A livello urbano la politica culturale si presenta bilanciata, con

investimenti in consumo e produzione culturale. A livello di cluster, la città

presenta un quartiere museale e culturale orientato al consumo nel centro della

città, ed il cluster audio-visivo di Schiecentrale orientato alla produzione

decentrato.

A livello di cluster lo sviluppo dell’area Finlayson/Tampella a tampere può essere

considerata un successo per la sua combinazione di attività di produzione con

attività di consumo culturale, centri di ricerca e di educazione, e per la sua

integrazione con la rinnovata identità e immagine della città. A differenza di

Rotterdam, Tampere non ha al momento ancora sviluppato strategie per lo

sviluppo delle industrie culturali, sebbene abbia riconosciuto il loro ruolo

importante nello sviluppo urbano. Tampere ha annunciato alla fine del 2005 il

lancio del programma della durata di sei anni (2006-2011) Creative Tampere, con

lo scopo di sviluppare l’economia creativa della città. Il programma verte attorno

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a tre temi: a) tecnologia, b) business c) ambiente e cultura. La data di chiusura del

programma, il 2011, coincide con l’anno in cui Tampere competerà per ricevere il

titolo di Capitale Culturale Europea, una perfetta conclusione per l’intero

progetto. Le basi per lo sviluppo del programma Creative Tampere sono molto

solide e vengono rafforzate dal successo del programma eTampere, conclusosi nel

2005. «The eTampere initiative has generated functional cooperation between

businesses, the public sector, associations, providers of training and research

institutes. These stakeholders will also produce the content for the Creative

Tampere programme and the reception has been enthusiastic throughout. Some of

the methods of operation created in eTampere may also continue as part of the

new programme… eTampere has also produced the necessary international

visibility and credibility for the city as well as networks that will be of use when

the Creative Tampere projects kick off» (Harri Airaksinen, Direttore del Business

Development del Comune di Tampere e ideatore del programma Creative

Tampere).

Tampere è un caso esemplare d’integrazione fra cultura, interessi delle comunità

locali, identità e new economy: un’integrazione frutto di una strategia di

rigenerazione urbana in cui le forze globali si innestano nel tessuto urbano

preservando e rafforzando le identità locali. Tampere investe in cultura senza

sovrastimare il proprio potenziale o sottostimare i bisogni della comunità di

residenti questo viene ripagato in termini di un’elevata qualità della vita e

sostenibilità dei processi di sviluppo. Rotterdam è invece l’esempio di una città

che necessita un ridimensionamento dei suoi obiettivi strategici e delle sue

ambizioni, ponendo maggiore attenzione sulle necessità dei suoi residenti.

Le relazioni tra immagine e identità urbana sono ben rappresentate negli approcci

adottati dalle due città, che si rispecchiano nei dilemmi strategici che

accompagnano lo sviluppo urbano basato sulla cultura. Da un lato investimenti

per il miglioramento dell’immagine in modo tale da aumentare la capacità di

attrazione urbana. Dall’altro investimenti orientati al rafforzamento dell’identità

locale e della coesione sociale, della qualità della vita urbana. I casi di Rotterdam

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e Tampere mostrano come gli investimenti legati al miglioramento dell’immagine

urbana, sebbene possano produrre benefici di breve periodo, necessitano degli

investimenti in identità per produrre benefici di periodo e innescare processi di

sviluppo urbano sostenibile.

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