ITALIA WEEKEND 02

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SPECIALE CARNEVALE I PIÙ FAMOSI IN PENISOLA CALABRIA SPETTACOLO ASPROMONTE LOMBARDIA LE TRE VALLI DI BRIXIA EMILIA ROMAGNA SEPOLTURE ANOMALE meravigliosa NOTO PERIODICO EDITO DA R. B. Comunicazioni soc. coop. a r. l. - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/03 (conv. in L. n°46 del 27/02/04) art. 1 comma 2 e 3- DCB Caserta ANNO II - NUMERO 1 - GENNAIO - FEBBRAIO 2010

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Il magazine di turismo in Italia

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italian graffiti by covino

www.italiainweekend.it

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*Testata registrata presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (CE) n° 645 del 24/11/2005 Responsabile trattamento dati (D. LGS 196/2003) Raffaele Balletta

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In copertina Noto

supplemento nazionale della rivista Campania Weekend*

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direttore responsabileRaffaele [email protected]

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collaboratoriAntonio Di Filippo,Mario Perrino,Nadia Verdile

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BASILICATALa portaversoil mito

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SPE

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Vittoriadel Turismo Sociale

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AspromonteLa perla di Gerace

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Deviant BurialsSepolture anomale

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Lo StufatoDiventa arte

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LombardiaTre valli di Brixia

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Arte e scienzaPer indagare la realtà

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DozzaIl Muro Dipinto

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CharityCultura e Lusso etico

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Omaggioalla Giordania

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Poffabro e FrisancoLe terre degli Gnomi

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NOTOLa Pompeidel Medioevo

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VENEZIA

38

VALLE D’AOSTA

80IVREA

76PUTIGNANO

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VIAREGGIO

60

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orna la primavera e con lei una gran voglia di ricominciare perché è la stagione più dinamica dell’anno. È il periodo in cui nascono ambiziosi propositi e si fissano nuovi obiettivi. In primavera siamo tutti pieni di nuo-

va energia, felici di rimetterci all’opera. Ed è sulle ali di quest’entusiasmo che abbiamo chiuso in tipografia questo nuovo numero di Italia Weekend. Ricco, come al solito, di interessanti argomenti da leggere, osservare e conservare, perché, il grande compito che i lettori di Italia Weekend che con il loro consenso ci hanno affidato, e del quale siamo molto orgogliosi, è quello di sostenere attraverso le nostre pagine un attivo contributo al turismo italiano. Il nostro Paese sembra stato pensato e costruito per stupire. I ricami della natura e quelli delle opere d’arte d’inestimabile valore che tutto il mondo da sempre c’invidia, sembrano uno il significante dell’altro. Opere d’arte che intimoriscono prima e am-mutoliscono poi. Un inesauribile gioco di colori che prima come riflettori illuminano le ghirlande in rilievo sorrette da messaggeri divini, poi sfiorano gli angioletti e si riflettono sulle figure grottesche attorcigliate ai capitelli. Abbiamo sotto gli occhi, e troppo spes-so non ce ne rendiamo conto, uno Straordinario che non ha uguali nel mondo. Una ricchezza figlia della storia e dello spirito ispiratore italiano ereditato da secoli di lavoro, di creatività senza fine, d’amore per la bellezza e per la vita. Abbiamo cultura, natura, arte, storia. Consideriamo il nostro Rinascimento, con l’Umanesimo, che ha messo appunto l’uomo, la persona, al centro dell’Universo e che dobbiamo fieramente di-fendere e far conoscere al mondo intero. E poi dobbiamo sempre aver presente che il turismo è un rivelatore della salute del nostro pianeta e del Paese in cui abbiamo la fortuna di vivere. Buona lettura e buon “Weekend in Italia”.

Raffaele Balletta

editorialeUno Straordinario

senza eguali

T

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Cantare è un’espansione di ciò che non potrei mai dire senza rischiare una vulnerabilità emozionale.

È una coperta di Linus ed al contempo un dialogo con l’universo

Anime in ViAggioÂmes en VoyAge è più di un progetto. È un binomio inusitato di culture che si incontrano e si fondono tra i ritmi rivisitati delle melodie napoletane e le sonorità parigine.L’intenzione è di diffondere, in modo innovativo, la cultura, la musica e l’arte partenopee che diventano armi di seduzione tra le calde note latineggianti.“Scalinatella”, “Guaglione”, “Torna a Surriento”, “Maruzzella”, “Nun è peccato”, “Tu sì na cosa grande”, “Guapparia”, “Reginella”, “Canzona appassiunata”, si trasferiscono nel mondo francese!C’è aria di café chantant, profumo di tango, atmosfera da Belle Epoque nella voce e nelle note di “ÂMES EN VOYAGE”; piccole alchimie che rendono possibile il raggiungimento dell’obiettivo dell’Artista: superare l’orizzonte delle diversità nazionali e dare vita ad una genialità musicale, ma più in generale, culturale, che riesce ad oltrepassare la soglia delle identità nazionali, rendendo impos-sibile percepire là dove inizia la cultura partenopea e là dove finisce quella francese.

ascoltala in anteprima suwww.annalisamartinisi.it

PERLE D LLA CANZONE NAPOLETANARIVIS TA E NTER R TA E N FRANCES

e anche su

iTunes .com MEGA.fr

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L’istituzione dei Buoni Vacan-za va in direzione di un soste-gno concreto rivolto alle fasce più deboli. E questo per molte ragioni. Un Paese civile come il nostro deve infatti poter ope-

rare con le risorse disponibili per aiutare i suoi cittadini an-che ad accedere al bene della vacanza, intesa come svago, cultura e qualità della vita. E questo a maggior ragione vale per un settore come quello del turismo, che vede l’Italia pri-meggiare nel mondo per le sue eccellenze in tutti i campi. Il turismo sta diventando sempre

di più uno degli asset strategici per lo sviluppo presente e futu-ro del nostro Paese e appunto per questo il Governo deve fa-cilitare in tutti i modi la possibi-lità di accedervi a fasce sempre

più larghe di cittadini italiani. Tale principio, che attiene a ragioni di civiltà, rappresenta anche un investimento di tipo economico perché coinvolge milioni di potenziali clienti del turismo.La persona è da sempre al centro della nostra azione di Governo e la mia particolare attenzione per il “turismo so-

ciale” parte proprio dalla con-statazione che numerosi citta-dini sono esclusi dal turismo e dai viaggi e che è necessario correggere questa disugua-glianza garantendo l’accesso alle vacanze per tutti. Inoltre, il turismo sociale si basa sul principio di sostenibilità socia-le, ambientale ed economica: offre l’occasione di privile-giare i servizi alla persona, di promuovere il rispetto delle diversità culturali dei luoghi di accoglienza e dell’ambiente, di valorizzare il patrimonio di ogni realtà locale, di incenti-vare la crescita economica e occupazionale.Ma non è tutto. I Buoni Vacan-ze danno una concreta attua-zione ai principi fondamen-tali della “Dichiarazione di Montreal” rilasciata dall’As-semblea Generale del BITS (Bureau International du Tou-risme Sociale) nel 1996 che ha definito il turismo sociale come un − creatore di società. Per-ché si qualifica come fattore di coesione sociale che, volendo garantire a tutti l’accesso alla vacanza, lotta contro le disu-guaglianze e contro l’esclu-sione di chi dispone di minori mezzi finanziari.Inoltre, rappresenta un fattore di crescita economica perché può garantire un costante flus-so di persone (turismo giova-nile, familiare, della terza età, delle persone a mobilità ridot-ta) e di investimenti, assicuran-do così lo sviluppo sociale ed economico delle regioni e delle comunità locali, che è cio’ per cui io mi batto dall’inizio del mio mandato. In più, il turismo sociale viene considerato an-che come un importante prota-gonista dell’assetto territoriale e dello sviluppo locale: perché promuove un miglioramento presente e futuro dell’ambiente di vita, con una particolare at-

tenzione rivolta alla conserva-zione e alla tutela del territorio e dell’identità culturale.In Italia è ancora presente una percentuale di cittadini che non può permettersi di accede-re regolarmente al turismo. E’ dunque nostro compito garan-tire la partecipazione di tutte le fasce della popolazione, in particolare dei giovani, degli anziani e dei diversamente abili, ai servizi turistici e pro-muovere un turismo rispettoso dell’ambiente, delle culture e delle identità regionali. Dob-biamo insomma promuovere un turismo di qualità, non eli-tario, capace di integrare sia componenti culturali che orga-nizzative. Così come non dobbiamo dimenticare il ruolo che il soggiorno in località dal cli-ma favorevole gioca nei casi di problemi di salute o di età avanzata.Non ho avuto dubbi, sin dall’ottobre 2008, a battermi perché venisse emanato il de-creto con il quale sono state definite le modalità di eroga-zione dei Buoni Vacanze, uti-lizzando criteri di valutazione della situazione economica delle persone coinvolte nel progetto. Solo grazie a questo decisivo intervento, i Buoni Vacanze per le famiglie a bas-so reddito – già previsti dalla legge 29 marzo 2001 n. 135 di riforma del turismo e ribaditi nella legge finanziaria 2008 – sono diventati realtà.Un’iniziativa che rappresen-ta certo solo un primo passo verso una maggior attenzione alle necessità di quegli italiani che da tempo non riescono a fare - e nemmeno a sognare - le proprie vacanze. La difficile congiuntura economica ha in-ferto un colpo non indifferente al sistema produttivo mondia-le, sebbene ora vi sia una for-

TURISMO SOCIALE

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La ministra del TurismoMichela Vittoria Brambilla

TURISMO SOCIALE

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te previsione di ripresa per il prossimo 2010. Il nostro è un Paese baciato dalla fortuna, è uno scrigno prezioso che si può aprire al turismo in qualsiasi momento dell’anno. Il clima e le stra-ordinarie bellezze paesaggi-stiche, artistiche, culturali e ambientali, vanno considerate come un valore aggiunto del nostro turismo per 365 giorni l’anno. Il turismo sociale può, quindi, essere certamente una strada per favorire la desta-gionalizzazione del settore che soffre di una notevole fl essio-ne della domanda nei periodi tradizionalmente di bassa stagione. Posso quindi dirvi con estrema franchezza che è stato motivo di grande soddi-sfazione la fi rma del decreto, che rappresenta un primo passo per far ripartire a pieno

ritmo l’industria del turismo contribuendo in tal modo al rilancio del sistema Paese e alla ripresa economica. Va ricordato, infatti, che per ogni euro speso nel settore turisti-co, si può stimare che altri tre vengano spesi in altri comparti economici. Da un punto di vi-sta organizzativo, il decreto fa tesoro, tra l’altro – ed è questo un elemento di novità – di un asset strategico del comparto del turismo italiano, e cioè l’associazionismo non profi t qui rappresentato dalla asso-ciazione Buoni Vacanze Italia (BVI), costituita tra FITuS - Reti del Turismo Sociale della Federazione Italiana di Turismo Sociale e Federal-berghi, a cui hanno aderito Assoturismo-Confesercenti, Confturismo-Concommercio, Federturismo-Confi ndustria

e ANCI. Buoni Vacanze Ita-lia infatti dimostra accanto agli altri attori protagonisti, una “versatilità” di impiego ampio ed articolato, anche sotto l’aspetto delle funzioni pubbliche ad essa attribuite. L’iniziativa, inoltre, rappre-senta un fattore di crescita sociale ed economica, in armonia con quanto eviden-ziato dalla dichiarazione di Montreal, con sicuri sviluppi per il turismo giovanile e per quello della terza età, ma an-che in favore delle persone a mobilità ridotta.E voglio concludere ribaden-do che questo è solo un primo passo: considero i Buoni Va-canze un progetto pilota. Sono certa del successo che incontrerà questa misura, as-solutamente unica nel panora-ma nazionale e collegandosi al

sito internet www.buonivacan-za.it i cittadini italiani potran-no conoscere nel dettaglio tut-te le strutture convenzionate, le modalità di adesione, i criteri di defi nizione degli aventi dirit-to e ogni altra informazione sul sistema dei buoni vacanza.Grazie allo sforzo di tutti, siamo riusciti a creare una grande sinergia con il mon-do dell’associazionismo e del non profi t, con il solo intento di raggiungere un obiettivo comune: quello della solida-rietà, principio che appartiene alla nostra storia e che trova nella nostra Carta costituzio-nale il più alto riconoscimen-to. Perché, come recita anche il nostro spot, “anche chi ha un piccolo reddito merita una grande vacanza”.

Il primo stanziamento previsto per i Buoni Vacanze ammonta a 5 milioni di euro, e saranno migliaia le fami-glie che potranno beneficiare in questa prima fase del contributo pubblico che sarà calcolato in percentuale variabile a seconda del reddito e del numero di componenti del nucleo familiare. Le strutture ricettive coin-volte nella convenzione sono circa 800, di cui 600 sono alberghi e le rimanenti più diffusamente campeggi, bed and breakfast e ostelli presenti su tutto il territorio italiano. L’erogazione del buono viene compiuta in base a criteri di reddito. Proprio l’art. 10 della legge del 2001 aveva già indi- viduato apposite risorse volte appunto a realizzare agevolazi- oni per favorire il turismo delle famiglie e dei singoli definiti sulla base di redditi che non consen-tono larghi margini di spesa. Lo stanziamento di queste risorse rappresenta quindi un intervento di solidarietà in favore delle fasce più deboli. Un’operazione questa che va di pari passo con l’obiettivo di attuare strategie per la destagionalizzazione dei flussi turistici. Il plafond di 5 milio- ni di euro stanziato dal Governo per l’attuazione del progetto rap- presenta in tal senso un grosso incentivo. Considerando, infatti, che la percentuale di contributo statale per ciascuna richiesta dei buoni vacanza varia dal 20 al 45%, significa che a regime sti- molerà un giro di affari aggiun-tivo nel settore turistico che si aggira mediamente intorno ai 170 milioni di euro. Un dato che avrà un impatto economico-sociale notevole per l’economia turistica del Paese garantendo un incremento della domanda non solo di servizi di prima necessità (vitto e alloggio), ma anche di opportunità presso ristoranti, centri sportivi, servizi di trasporto o di natura culturale come musei e centri di produzione e vendita di prodotti tipici con con-seguente ricaduta positiva sul fronte occupazionale.

CINQUE MILIONI

DI EURO PER MIGLIAIA DI FAMIGLIE

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Una vera prelibatezza per i buongustai, ma anche l’espressione dell’identi-

tà di un popolo, a tal punto da ‘meri-

tare’ un vero e proprio

marchio, l e g a l -

men-t e

depositato, che tutela l’ori-ginalità e la specialità del prodotto. È lo stufato alla sangiovannese. Carneva-le con lo stufato nella città di Masaccio, San Giovanni Valdarno (Arezzo), un an-golo di Toscana, dove arte, cultura e tradizioni popolari s’intrecciano ancora perfet-tamente. Gli Uffizi di Carne-vale, una manifestazione tra le più uniche nel suo gene-re, che risale all’usanza di raccogliere offerte per i più bisognosi nei saloni della Basilica di Santa Maria delle Grazie, che si svolge nelle cinque domeniche prece-denti il mercoledì delle ce-neri (quest’anno il 17, 24, 31 gennaio e 7, 14 febbra-io).Lo stufato (www.stufatoalla-sangiovannese.it) si serve nei saloni della Basilica di Maria SS. delle Grazie per gli Uffizi del Carnevale e la sua preparazione è riserva-ta agli uomini. Da sempre la ricetta della miscela di spe-

zie usata per insaporirlo vie-ne tenuta segreta. Gli Uffizi sono cinque (di S. Antonio, di S. Lucia, dell’Industria, del Vicariato e delle Donne) e si svolgono per cinque domeniche consecutive. Comprendono una sfilata, la messa e il pranzo in Ba-silica. “Uffizi” in questo caso significa “funzioni religiose”. Funzioni religiose, in suffra-gio dei defunti, in tempo di Carnevale.Portata di origine povera, la cui ricetta è ancora se-gretamente tramandata tra le cuoche e gli stufatari sangiovannesi, lo stufato è realizzato con il muscolo di zampa. Non si tratta di un semplice spezzatino ricco di aromi, bensì un elaborato piatto realizzato tramite una lunga e accurata cottura di muscolo di zampa anteriore di vitello, aromatizzato da un connubio di spezie prepara-to nella giusta percentuale dai droghieri della città.Tante, e sempre, le occasio-

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ni per i turisti e gli appas-sionati di buona cucina per conoscere da vicino una pietanza storica e an-cora oggi ricca di sugge-stioni (mostre tematiche, allestimenti artistici, vide-oproiezioni).Gli Uffizi del Carnevale, e i nomi originari delle Com-pagnie che vi partecipa-no, compaiono nei docu-menti d’archivio a partire dal 1675 – in un periodo nel quale il culto dei morti, incoraggiato dal Concilio di Trento con la definizio-ne del Purgatorio come verità di fede, riprende slancio e si organizza in nuove forme. Le Com-pagnie del Carnevale, in memoria dei defunti, rac-coglievano e portavano offerte: in denaro, in natu-ra, in cera da bruciare du-rante le funzioni religiose (la cera donata in questa occasione era tanta che bastava per tut-to l’anno). Con una

parte delle offerte veniva allestito il pranzo nei sa-loni della Basilica – allora si chiamava Oratorio – di Maria SS. delle Grazie.L’Oratorio della Beata Ver-gine delle Grazie nasce alla fine del Quattrocen-to, inglobando una delle quattro antiche porte del-la città, la porta verso Sie-na, perché su quella por-ta è dipinta l’immagine sacra alla quale s i rivolse la vec-chia Monna Tancia pre-gando la Ma-donna di aiu-tarla a salvare il ni-

potino rimasto orfano a causa della peste (1478). E la Madonna fece la gra-zia e Tancia riuscì ad allat-tare il bambino. Il vicario di San Giovanni certificò il miracolo, fu ottenuta una bolla papale e fon-dato l’Oratorio. Il vicario era il funzionario che rap-presentava l’autorità fio-rentina sul contado. San Giovanni, infatti, venne fondata dai fiorentini alla fine del Duecento.L’Oratorio era “luogo pio laicale”, soggetto alla giu-risdizione degli uffici che amministravano il con-tado fiorentino, non un

beneficio ecclesia-stico. Non poteva

p o s s e d e r e beni im-

mo-

bili (a parte, naturalmente, la sede). Viveva di offerte e di lasciti. Col tempo le sue feste, dette “perdo-ni”, divennero famose. La più importante è tutto-ra, il “Perdono d’agosto” (spostato in settembre), dedicato alla Madonna. I pranzi per chi portava le offerte erano abbon-danti, la musica ottima, e le messe in suffragio dei defunti venivano celebra-te continuamente.Ma lo stufato su quelle tavole è arrivato molto più tardi, intorno alla prima guerra mondiale. Sullo stufato e sulle sue spe-zie circolano molte storie, storie legate all’industria-lizzazione e alla guerra mondiale. Nel 1872 viene fondata a San Giovanni la Ferriera del Valdarno e numerosi sono gli operai che arrivano, anche da molto lontano. E proprio in Ferriera, gli operai im-parano a cucinare la car-

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StufatoDIVENTA ARTE

LO

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LO STUFATO DIVENTA ARTE

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ne, quando riescono a procurarsene, nel modo più adatto a nasconde-re gli sgradevoli effetti di una frollatura troppo pro-lungata.Forse maestranze prove-nienti dall’Europa centra-le, o forse prigionieri au-stroungarici della prima guerra mondiale fanno conoscere il gulasch. Per alcuni, la figura centrale è Virgilio Aldinuzzi, arruo-lato nella prima guerra mondiale e inviato in Li-bia (ma c’è chi dice Etio-pia o Eritrea), che diventa cuoco del reggimento e impara a usare le spezie mediorientali. Di sicuro, lo stufato si diffonde gra-dualmente e solo verso il primo dopoguerra en-tra a far parte del menù dei pranzi della Basilica. Oggi si può continuare a gustarlo, nei sapori e nelle essenze di una vol-ta, grazie ai ristoranti e le gastronomie della città di San Giovanni Valdarno.Altri prodotti tipici sono il pollo del Valdarno e la

Tarese. Le varietà del pol-lo del Valdarno in origine erano due: la nera, ovaiola, e la bianca, da carne. La val-darnese nera è – forse – scom-parsa. La val-darnese bian-ca, tornata sui mercati a metà del No-vecento, for-nisce anche uova piccole ma saporite, di guscio bian-co e di tuorlo grande. È alleva-ta esclusivamente a terra, in piccole imprese a gestione familiare, è ottima per arrosti e grigliate.La Tarese, sorta di pan-cetta stesa di grandi di-mensioni, deriva dalla lavorazione di maiali pe-santi, dei quali vengono utilizzati pancia e schie-na, con parte dell’arista; il grasso pregiato dell’ari-sta, la miscela di spezie con la quale viene insa-

po-r i t a prima della salatura e della stagio-natura, l’uso (a volte) di scorza d’arancia, la ren-dono particolarmente delicata. Suo accompa-gnamento tradizionale è il fagiolo zolfino.

Tommaso di Ser Giovanni di Mone Cassai, chiamato Masaccio quale contrazione di Tommasaccio “…non già perché e’ fusse vizioso, essendo egli la bontà naturale, ma per la tanta straccurataggine…” come afferma Giorgio Vasari, nacque proprio a Castel San Giovanni il 21 dicembre 1401 dal notaio Ser Giovanni di Mone Cassai e da Monna Jacopa di Marti-nozzo. Ancora adolescente si trasferì a Firenze dove completò la propria formazione artistica affiancandosi a personaggi quali Filippo Brunelleschi e Donatello. Su di lui e la rivoluzione svolta nel linguaggio pittorico tramite opere come gli affreschi della Cappella Brancacci, il Polittico di Pisa, la Trinità in Santa Maria Novella a Firenze o Sant’Anna Metterza e la Madonna con il Bambino custodite agli Uffizi, sono state scritte parole ineguagliabili dalla critica mondiale, tanto da rendere noto con lui anche il nome di San Giovanni Valdarno quale sua città natale. Pur avendo vissuto solamente ventisette anni, Masaccio lascerà un segno indelebile per le generazioni a lui immediatamente successive, come per le attuali, quale primo interprete della pittura del Rinascimento. Casa Masaccio, casa natale dell’artista, è adibita dai primi anni ’80 del secolo scorso a sede espositiva per mostre temporanee, quale Galleria Comunale d’Arte Contemporanea. Nel suo contesto è periodicamente visibile la collezione comunale d’arte moderna e contemporanea formatasi grazie a donazioni, all’attività espositiva intrapresa sinora e al Premio Masaccio, concorso di pittura estemporanea organizzato dal 1959 al 1968. La raccolta comprende opere di Giovanni Fattori, di Ottone Rosai, così come di Piero Guccione, Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti; e ancora Venturino Venturi, Mario Airò, Alberto Garutti... L’evolversi delle attività espositive in Casa Masaccio è inoltre espressione di un forte legame con la cultura pittorica cittadina che prosegue ancora grazie all’odierno operato di alcuni rilevanti interpreti locali del linguaggio artistico contemporaneo.

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LO STUFATO DIVENTA ARTE

Nello tempo ch’è detto carnevalealla Basilica, nelle grandi sale,si riunivano in tempi ormai lontaniper far doni alla chiesa, i parrocchiani.Racconta una leggenda che una donna,per onorare meglio la Madonnafece uno piatto forte e assai drogatoche battezzò col nome di Stufato.Questa ricetta tanto decantatada padre in figlio è stata tramandatae per la gioia di ogni buon palato,è giunta a noi in original formato.Se questo piatto buono tu vuoi farequesti son gli ingredienti da adoprare:muscolo libbre tre, tagliato a modoe di osso e zampa a parte, fai del brodo.Tanto prezzemolo e di cipolle unafai un bel battuto con la mezzaluna,vino, olio di oliva, un’impepata,

spezie, garofano e alfin noce moscata.Indi di coccio un tegam devi pigliare,ci versi l’olio ma senza esagerare;perché riesca bene, se ti preme,metti la carne col battuto insieme.Allor che tutto principia a rosolarenon ti stancare mai di razzolare,quando il colore ha preso marroncino,metti le droghe e un bel bicchier di vino.Appena il vino s’è tutto consumatoaggiungi il pomodoro concentratoa questo punto puoi abbassare il fuoco:cuoci aggiungendo il brodo, poco a poco.Questo piatto che viene da lontanosaprà ridarti quel rapporto umanoe far capire anche al più somaroche il tempo è vita e che non è denaro.

(Uffizi dell’Industria e del Vicariato di San Giovanni Valdarno)

STUFATO DEL CASTEL SAN GIOVANNI

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porta la

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Dall’affascinante storia dei popoli

che hanno vissuto nella Basilicata antica

lasciando sul territorio testimonianze straordinarie,

nasce l’Archeoparco del Basileus

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Su Facebook si legge: «Dall’af-fascinante storia dei popoli che hanno vissuto nella Basilicata antica lasciando sul territorio te-stimonianze straordinarie, nasce l’Archeoparco del Basileus». Sia-mo a Baragiano, nel potentino, a 624 m sul livello del mare. Il pae-se, dalle remote origini che si per-dono nella notte dei tempi, ospita uno “strano” museo archeologi-co, l’Archeoparco appunto, che propone diverse chiavi di lettura: culturale, scientifica, didattica e ludica, per far conoscere ai visitatori la storia antica di una zona dell’entroterra lucano che ospitava, 2500 anni fa - ai tempi di Pitagora che sulle rive dello Ionio, a Metaponto, aveva la sua scuola filosofica - una ridente co-munità, quella dei Peuketiantes, il cui re, uno tra i più potenti, fu qui sepolto – proprio dove sorge il museo - con tutti i simboli del potere: armi di tipo greco, elmo, scudo, spada e punta di lancia, ceramiche e il calderone del cor-redo funebre decorato con storie di Eracle, Dioniso e Teseo.

Esso è una vera e pro-pria “porta d’ingres-so” per un viag-gio nella storia e nel mito attraver-so l’archeologia lucana, un viaggio che si svolge per mezzo di postazioni scenografiche, in un percorso emozionale e tra-sversale nel tempo creato con l’obiettivo di sorprendere, diver-tire e far apprendere attraverso oggetti, situazioni, giochi. Il parco si estende su un’area archeologi-ca di tre ettari, sede di numerosi ritrovamenti tra cui la tomba del Basileus - a cui prima facevamo riferimento - del VI secolo a.C., rinvenuta in località Santissima Concezione. L’antico centro abi-tato corrispondente all’odierna Baragiano si trovava su un pia-noro tra due affluenti del fiume Platano, in posizione strategica tra i territori di diverse tribù lu-

cane e alla confluenza di vie di traf-fico com-m e r c i a l i . Lungo le

vallate fluviali si erano svi-

luppati i contatti con la costa ioni-

ca (Siris e Metapon-to) e con le popolazioni

greche ed etrusche della costa tirrenica. Visitare l’Archeoparco vuol dire toccare con mano la storia gre-ca e conoscere le tradizioni del-le popolazioni lucane tra il VI e il IV secolo a.C. Vuol dire anche riviverle giocando. Apprendere tramite laboratori artigianali, rico-struzione di reperti, otto giochi a tema per i bambini e spettacoli notturni. Un percorso di 400 me-tri, suddiviso in nove tappe, che unisce divertimento e sviluppo della conoscenza, nella struttu-ra, prima del suo genere in Italia, che presenta la riproduzione di abitazioni, giardini, monili e vasi

In alto, veduta di Baragiano,

al centro,una coppa

presentenel museo

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ARCHEOPARCO

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in un’area un tempo strategica tra la Basilicata interna e le vie verso il mare, confluenza di traffici com-merciali. L’Archeoparco del Basileus è, come dicevamo, il primo parco ludico-didattico a valenza naziona-le sul tema dell’archeologia. Esso ospiterà inoltre il primo “Centro sul Turismo Scolastico”, un innovativo progetto costato 250mila che gli enti locali si apprestano a realizzare.«L’Archeoparco Basileus di Bara-giano è parte integrante dell’offer-ta turistica culturale regionale - ha detto il direttore dell’Apt Gianpiero Perri - e in sé contiene gli elementi portanti di questo segmento turi-stico. Nello specifico, il patrimo-nio tangibile (reperti archeologici) e intangibile (memoria storica e cultura di antiche civiltà) è ben coniugato da capacità creativa e racconto affabulativo. La struttura si presenta come un prodotto turi-stico rivolto a un ben definito target e il percorso che ha portato alla sua creazione non ha seguito una visione accademica bensì si è ca-ratterizzato per l’intento di far vivere il museo non solo come un con-tenitore, un luogo di esposizione ma anche come uno spazio, al di fuori della sfera di sacralizzazione, in cui allargare il proprio orizzonte conoscitivo tramite laboratori ludi-co-didattici e innovative tecnologie di fruizione culturale. L’idea proget-

tuale è semplice ma nello stesso tempo ben articolata e rispecchia le esigenze del turista, la sua voglia di scoperta del territorio attuando una mediazione ossia creando un ponte fisico e virtuale e collocando i visitatori in una sorta di macchina del tempo. Ad essere maggior-mente coinvolti dalle attività messe in campo dall’Archeoparco sono gli studenti e l’Apt, impegnata in iniziative come “Zainetto verde”, dedicate al turismo scolastico che - ha concluso Perri - si propone di operare in sinergia con soggetti privati per favorire la targhetizzazio-ne del turismo lucano e sostenere progetti innovativi che hanno posi-tive ricadute per l’economia interna della Basilicata».Quella dell’Archeoparco Basileus è dunque un esempio di strate-gia di sviluppo nel turismo e nella valorizzazione dei beni culturali, capace di attivare dinamiche di crescita economica e sociale di un’intera area. Dai dati forniti dalla responsabile della direzione non-ché presidente della Pro Loco, Carmela Baraglia, l’atipico museo ha registrato fino ad oggi un vero boom di presenze. Non resta che rimpinguare il già corposo carnet e andare a sperimentare questo viaggio nella storia e nel mito che si snoda nei meandri dell’archeo-logia lucana.

www.archeoparco.it

Da qualche tempo andare al museo può essere non solo un’esperienza cognitiva ma anche un divertente esperimento lu-dico che consente ai visitatori di divenire protagonisti di un percorso culturale. Il mu-seo interattivo è una struttura di tipo nuovo, che cerca di coinvolgere il grande pubbli-co nella scoperta del mondo dell’archeo-logia, dell’arte, della musica, della scienza, dell’impatto che le nuove scoperte e tec-nologie hanno sulla realtà quotidiana. A

un tempo educativo e informativo, ludico e didattico, è un museo che consente ai visitatori, a prescindere dai differenti livelli e approcci cultu-

rali, l’esperienza diretta e la comprensione di evoluzioni storiche, di sviluppi artistici, di fenomeni scientifici attraverso esperimenti, dimostrazioni, giochi, eventi.Così, anche la conoscenza più specifica diventa una ricchezza condivisibile con tutti. La sperimentazione diretta che av-viene durante la visita dei percorsi storici e degli esperimenti scientifici non solo for-nisce le basi per comprendere i fenomeni, ma contribuisce a creare anche la giusta convinzione che ognuno di noi è in grado di accedere al mondo storico, artistico e scientifico.Il visitatore ha la possibilità di vestire i pan-ni del ricercatore, del critico d’arte, dello scienziato, di diventare cittadino di un tempo remoto, di realizzare degli esperi-menti, ricreare gli accadimenti scientifici e comprenderne le leggi che li governano. Il museo così viene totalmente rivoluzionato rispetto alla sua antica concezione: non più luogo della semplice contemplazione delle collezioni presenti al suo interno, ma uno spazio concepito per essere sperimenta-to e vissuto. Si trasforma in una struttura coinvolgente e interattiva che interpreta l’esigenza del visitatore di svolgere un ruolo attivo nei propri processi di appren-dimento; una realtà viva, dinamica, capace di seguire l’attualità e di offrire servizi per un pubblico esigente e preparato.Antesignano dei moderni musei interattivi è certamente l’Exploratorium, istituzione concepita nel secondo dopoguerra dal fi-sico Frank Oppenheimer, realizzata in un grande palazzo semicircolare antistante la baia di San Francisco. Da allora le grandi capitali del mondo hanno fatto a gara per averne uno. L’Italia ha avuto la sua prima sperimentazione solo a metà degli anni Novanta con l’istituzione del Museo Vivo a Città della Scienza, nell’ex area siderur-gica di Bagnoli, zona periferica di Napoli. L’Archeoparco Basileus è l’ultima creatura nata in casa Italia.

Gioco, mi diverto, viaggio. Vado al museo, interattivo

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Cinquant’anni, senza truCCo

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di Nadia Verdile

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Cinquant’anni in questo 2010, ma non li dimostra. Questa l’età della Biennale d’Ar-te del Muro Dipinto che ogni anno si tiene a Dozza, colorato paesino in provincia di Bologna, che si fregia del marchio Borghi più belli d’Italia.La manifestazione di interventi pittorici sui muri delle case, ideata dalla Pro Loco nel 1960, trasforma l’antico centro medievale, dominato dalla possente Rocca Sforzesca sulle colline romagnole tra Bologna e Imo-la, in un affascinante museo a cielo aperto.La manifestazione del Muro Dipinto, realiz-zata in collaborazione col Mambo - Museo d’Arte Moderna di Bologna, con il Comune di Dozza e la Fondazione Dozza Città d’Ar-te, ha visto negli anni la partecipazione di importanti artisti quali Matta, Saetti, Sassu, Licata, Purificato, Brindisi, Sughi, Schwei-zer, Zancanaro, Frasnedi, Gagliardi, Ma-scellani e Zigaina.Tra i vicoli stretti, carichi di storiche testi-monianze, maestri del pennello si sono cimentati in performance che hanno reso, edizione dopo edizione, il borgo sempre più bello. La principale caratteristica, man-tenuta nel tempo, consiste nel fatto che gli artisti dipingono in stretta relazione con il

Alcuni dipinti e sotto la piazza di Dozza

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MURO DIPINTO

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contesto urbano e a diretto contatto con il pubblico il quale, dialogando con gli ar-tisti, gode del privilegio di veder nascere e definirsi, sotto i propri occhi, l’opera d’arte. Nell’ultima edizione due i poli di espres-sione: il borgo antico di Dozza e il paese contemporaneo di Toscanella, frazione più a valle. Nel centro storico gli interven-ti pittorici sono stati di Marcello Jori, Luigi Presicce e Simone Tosca, mentre a Tosca-nella sono stati protagonisti gli stili del wri-ting e della wall painting con la presenza di alcuni affermati writer e street artist quali Cuoghi Corsello, Rusty e Joys. Marcello Jori, pittore appartenente alla corrente dei Nuovi-Nuovi è intervenuto, a settembre, sul muro della torre dell’orolo-gio, accanto a lui Luigi Presicce e Simone Tosca, artisti di una generazione più giova-ne, che vedono nella pittura uno dei media possibili accanto ad altre tecniche che, di rimando, ne influenzano lo stile. Invece, la coppia artistica bolognese Cuoghi-Corsel-lo, è conosciuta per la continua indagine e sperimentazione che ne caratterizza il lavoro: partita dal Writing, la coppia ora ne mostra le deviazioni che da lì si sono generate. Sono stati affiancati da Rusty e Joys, entrambi writers storici bologne-si, testimoni della longevità che ha avu-to questa forma espressiva. Così questa edizione, proseguendo nel percorso già intrapreso durante quella precedente, ha bilanciato tradizione e innovazione ed ha affiancato al più consueto Wall painting, nel borgo storico di Dozza, il Writing e il Drawing, nel borgo nuovo di Toscanella.La scelta dei muri è stata dettata dalla stra-da. Già, dai muri che fiancheggiano il Mu-nicipio alle facciate di semplici abitazioni, tutte le pareti oggetto di interventi artistici si affacciano sulla Via Emilia, nella volontà di stare sulla strada per ribadire l’origine della disciplina e ricordare che è appunto la strada a determinarne la cifra stilistica e

la tecnica. La strada, dunque – in questa edizione con la direzione artistica affida-ta a Fabiola Naldi, critica d’arte, docente di Fenomenologia dell’Immagine presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e di Fenomenologia delle Arti Contemporanee presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino - come paradigma della pratica artistica e come elemento che unisce, anche simbo-licamente, Toscanella e Dozza e, quindi, le due facce del borgo e della stessa Bien-nale. All’interno della Rocca sforzesca il Centro Studi e Documentazione del Muro Dipinto ha aperto una mostra che ospita circa 150 bozzetti e il consistente nucleo fotografico, archivistico e bibliografico del-la Biennale. La Biennale 2009, come già in passato, non è stata solo creatività pit-torica: durante la manifestazione si sono avvicendati spettacoli musicali e teatrali ed appuntamenti culturali come la giorna-ta di studi “Do The Right Wall/Fai il Muro Giusto”: una riflessione e un ampio spet-tro di punti di vista che hanno indagato e approfondito le pratiche del Writing e del Drawing, viste “in atto” nei due borghi nei giorni precedenti. La volontà è stata quella di chiarire un argomento tanto citato quan-to frainteso, soprattutto alla luce della con-clusione dei lavori degli artisti chiamati ad intervenire, forti di un’eterogeneità di animi e di tipologie di appartenenza che fornisce una panoramica esaustiva delle categorie spesso chiamate in causa quando si parla di “graffiti”. Ed è proprio in questo inter-vento scientifico che si è collocata la pre-senza del Mambo, in direzione di una più solida teorizzazione dei riferimenti storici e culturali che gravitano attorno a queste manifestazioni artistiche, in favore di una qualificazione storico-antropologica più consapevole, che sta alla base degli im-pegni di un’Istituzione che si vuole porre come riferimento regionale per l’arte con-temporanea.

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Si chiama “Muri d’arte” ed è l’associazione che lega insieme gli oltre duecento paesi italiani accomunati dall’arte muraria. Tra-dizione artistica tra le più antiche, quella dell’arte muraria si perde nella notte dei tempi; artisti di tutti i tempi e di tutti i pae-si hanno dipinto sui muri, che costituivano una sorta di “sfondo naturale” da preparare unicamente predisponendo uno strato di intonaco. Molti paesi sono diventati famosi per gli affreschi che si trovano all’aperto, più facilmente conosciuti col nome di murales, sui muri delle strade e delle case. Si tratta quasi sempre di arte semplice, che trasmet-

te messaggi immediati riguardanti la cultura locale o improntati a contenuti ideologici. I “Paesi dipinti” racchiudono in sé una varietà di creatività ed ironia, di colore e leggerez-za che affascina le visitatrici e i visitatori e fa sentire speciali gli abitanti. Gli affreschi dei borghi italiani sparsi su tutto il territorio nazionale “colorati” lungo viuzze, vicoli, scorci, raccontano sempre una sto-ria e spesso, proprio grazie a queste ope-re d’arte diventano dei veri e propri musei all’aria aperta. Orgogliose delle proprie origini, queste comunità sono attente a conservare il loro patrimonio “open air”, che insieme alle altre bellezze storiche e artistiche di ciascuna, ne

fanno delle perle di rara bellezza.Un paese dipinto altro non è che una vasta galleria senza pareti, il cielo per tetto, visita-bile gratuitamente ogni giorno dell’anno ed ogni ora del giorno, a mano a mano che l’in-tensità dei colori sulle pareti muta al mutare della luce. Qualcuno parla di percorsi d’arte di un turismo “minore”. Mai definizione fu più impropria e “fuori luogo”. Per far meglio conoscere questo prezioso spaccato d’arte, dal 1994, i “Paesi Dipinti” si sono riuniti in Associazione con lo scopo - leggiamo nel loro statuto - di collegare sot-to il profilo culturale le comunità italiane che posseggono, promuovono e valorizzano, a prescindere dalle diverse tematiche e cara-ture artistiche, il patrimonio pittorico antico e recente, realizzato sui muri esterni delle abitazioni; sollecitare scambi di esperienze artistiche, organizzative, giuridico – ammini-strative tra gli associati; ottenere maggiore considerazione dalle Istituzioni; spronare gli associati a restaurare, abbellire e mantene-re sempre in condizioni di massima fruibili-tà turistica il patrimonio artistico; stimolare la creazione di itinerari artistico – culturali a tema e la predisposizione dei relativi “pac-chetti turistici” da proporre sul mercato in-ternazionale. Essi valgono bene un viaggio ed aspetta-no un turista motivato per accoglierlo con il garbo che si conviene e la semplicità di co-loro che sanno di poter offrire tanta e tanta cultura!

www.paesidipinti.it

MURI d’ARTE NoN SoLo dozzA

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In barba alla penuria d’acqua che da sempre ha caratterizzato il territorio di Dozza, questo piccolo paese in provincia di Bologna, poco più di seimila anime, trae il suo nome da “doccia”, condotto in cui scorre l’acqua per raggiunge-re una cisterna in cui veniva conservata, e dal quale si abbevera il grifone che è riportato nel-lo stemma del Comune. Abitato fin dall’età del bronzo, il luogo fu prima assoggettato ai Galli, poi ai Romani. Ritornò a fiorire già prima del Mille. Furono i Bolognesi a cingerlo di mura, nel 1086. Il primo documento scritto che ci parla di un Castrum Ducie è del 1126. Il centro storico di Dozza, che gli abitanti pronunciano con un dolcissimo sibilo, si stende, con la caratteristi-ca forma a fuso, sulla dorsale di una collina che domina la valle del Sellustra. Conserva integro il tessuto edilizio risalente al medioevo - fortuna-tamente immune da scempi architettonici – che vive in stretta simbiosi con l’imponente rocca posta sulla sommità del paese.Il borgo è percorso da due strade parallele che dalla porta d’ingresso terminano nello spiazzo della Rocca. Al paese si accede da una porta ad arco realizzata nel 1614, aperta nel Rivellino, opera di difesa del XIV secolo, a pianta rotonda e ora parzialmente interrata, insieme all’intero ponte levatoio.Al Rivellino segue la porta della Rocchetta, eseguita nel 1250 dai Bolognesi per difendere l’entrata, con la torre quadrata, ma più bassa dell’altezza originaria.Possedimento anche della Signoria di Caterina Sforza, l’antico centro storico ha subito continue variazioni e miglioramenti; oggi restano tratti delle mura e alcuni bastioni individuali fra le co-struzioni, ma la struttura antica è rimasta intatta nell’andamento longitudinale delle strade: via XX Settembre e via De Amicis, anticamente dette Contragrande e Contracina. La Contragrande conserva ancora l’acciotolato di un tempo ed i bassi porticati sul quale si affacciano case basse e variopinte. La terza strada medievale è Vico-lo Lorenzo Campeggi, il Contradino, che nasce dalla via XX Settembre e costeggiando le mura del versante ovest sbuca nel piazzale antistante la rocca sforzesca. Qui un belvedere si apre sulla Valsellustra, fino a Montecatone. Se a scarseggiare, in questo borgo delizioso, da sempre è stata l’acqua, non manca, frutto del lavoro delle donne e degli uomini del territorio, il vino. Quello buono. L’Albana, questo il suo nome, è stato il primo bianco ad aver ottenuto in Italia il marchio Docg (Denominazione di origi-ne controllata e garantita). Affonda le radici in un passato remoto e conobbe il suo periodo di gloria ai tempi della Serenissima Repubblica di Venezia, quando era apprezzato dai dogi.

un fuso ariposo sulla Valle del sellustra, patriadell’albana

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L’ultimo tratto delle “Alpi Calabresi”, montagne formate da rocce cristalline, principalmente graniti con un’origine e una geologia diverse dall’Appennino vero e proprio. Una estensione pari a 65.647,46 ettari che comprende il ter-ritorio di 37 comuni della provincia di Reggio Calabria. È l’immenso e incan-tevole Parco Nazionale dell’Aspromon-te che si presenta come una piramide rocciosa, al centro della quale si trova la cuspide più alta del massiccio, il Montalto, dalla cui cima si gode un panorama impressionante nella sua spettacolarità, che consente di esten-dere lo sguardo fino alla costa tirrena, allo Stretto di Messina, alle Isole Eolie, all’Etna e alla costa ionica. Il Parco nac-que con una legge del 1989, la forma-lizzazione avvenne nel 1994 quando, con Dpr, fu istituito l’Ente Parco Nazio-nale dell’Aspromonte.Oltre alle tante montagne calabresi, una caratteristica dell’Aspromonte è anche rappresentata dall’esistenza delle fiumare, corsi d’acqua senza una vera e propria sorgente, nutriti da innumerevoli ruscelli e alimentati da impressionati cascate che si formano nelle parti più elevate del massiccio a causa delle precipitazioni meteorolo-giche. Le cascate del Maesano sono da ricordare come esempio di straordi-naria bellezza, esse confluiscono nella

fiumara Amendolea. Le fiumare hanno una considerevole capacità di erosione e, incidendo profondamente le pendici delle montagne, danno origine a veri e propri canyons, dove l’acqua scorre impetuosamente anche d’estate.In prossimità del centro di San Luca il visitatore trova la Valle delle Grandi Pie-tre, dove spiccano alcuni monoliti con dei profili eccezionali, che hanno stimo-lato da sempre la fantasia della popola-zione: la Pietra Castello, la Pietra Lunga e la celebre Pietra Cappa.La popolazione dell’Aspromonte, lega-ta fortemente alle tradizioni della propria terra, esprime ricche produzioni artigia-nali. Il materiale più utilizzato è il legno, usato per fabbricare oggetti di uso agri-colo e pastorale ma anche strumenti musicali, come tamburelli e zampogne dette “ciaramelle” – come comunica l’Ente Parco Nazionale Aspromonte -. Con il legno, quello della radice dell’eri-ca arborea calabrese, sono realizzate le pipe, tra i prodotti artigianali più carat-teristici. Diffusa, soprattutto a Gerace, la produzione di pizzi e merletti, realizzati all’uncinetto e al tombolo. Gerace è nota anche per i prodotti in ceramica (anfore, pigne, annaffiatoi) molto ricer-cati dai turisti. A Samo sono prodotte le “pezzare”, stoffe variopinte realizzate al telaio, fatte da piccole strisce ricavate tagliando vecchi abiti in disuso.

Spettacolo Aspromonte

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L’estrema bellezza dell’Aspromon-te – è sottolineato sul sito Internet del Parco dell’Aspromonte - è pari solo alla sua storia. Lo stesso nome, che significa “candido, bianco”, risale alle popolazioni greche della costa ionica che ammiravano le candide formazioni montuose del massiccio. Le presenze storiche, artistiche e archeologiche, testimonianze della cultura di antiche civiltà, sono presenti ovunque nel terri-torio aspromontano. La chiesetta di San Leo, ad Africo, rap-presenta uno dei pochi reperti basiliani esistenti in Aspromonte. Bova assieme a Samo, Roccaforte del Greco, Bagala-di e Roghudi conservano forti caratteri della civiltà magnogreca. A Bova, inoltre, è possibile ammirare il castello normanno, da dove si domina la costa ionica. Il centro storico ospita

antiche chiese medievali e dimore pa-trizie. Gerace, scrigno architettonico, custodisce importanti bellezze artisti-che e naturali, come il castello, del XII secolo, le chiese di San Francesco e di San Giovannello e la Cattedrale le cui colonne provengono dai tempi lo-cresi. San Giorgio Morgeto custodisce importanti resti ellenici. Il castello me-dievale, la Chiesa di San Francesco e il Monastero di San Domenico sono preziosi splendori dell’arte. Tra i santua-ri aspromontani, quello in assoluto più frequentato è il Santuario di Polsi, dove alla fine di agosto e nei primi giorni di settembre si celebra la festa della Ma-donna della Montagna. La processione caratteristica e il folklore che anima i giorni della festa sono un tuffo in un mi-sto di fede, sacralità ed antiche usanze pagane.

La perla di Geracephoto © kla!

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photo © ghimpresatu istica

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Non si può parlare di questa parte del-la Calabria senza citare la produzione di bergamotto, la cui fama è legata all’invenzione, nel 1704, della prima acqua di colonia a base di essenza di bergamotto, opera di un profumie-re piemontese emigrato in Germania, a Colonia. In seguito allo sviluppo dell’industria profumiera e alla grande

photo © Lamercantedispezie

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Pappaluni

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richiesta di essenza, le coltivazioni si estesero: nel 1830, nella zona di Me-lito Porto Salvo, i grandi proprietari terrieri dell’epoca realizzarono i primi impianti industriali di trasformazione. La maggioranza del prodotto attual-mente è esportato sotto forma di olio essenziale all’estero, in particolare in Francia, per essere utilizzato dalle case cosmetiche e farmaceutiche.Il friabile pane di grano cotto nel forno a legna, il capocollo, i fagioli “pappa-luni”, le patate d’Aspromonte: sono prodotti alimentari di tipica tradizione pastorale e contadina. Per il palato del turista ci sono ancora i prelibati formaggi, i caprini della Limina, la ri-cotta affumicata, il canestraio, il torro-ne ripieno di mandorle, il vino greco passito che si produce in una picco-la zona del comune di Gerace, fuori dall’area della Doc Greco di Bianco.Tradizionali della cucina locale sono “i maccaruni ‘e casa”, maccheroni fatti a mano arrotolando un pezzetto di pasta attorno a un giunco oppure a un ferro da calza, conditi di solito con ragù di maiale e manzo o di capra.

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NEL REGNO DEL FERRO

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Val Trompia, ba-cino montano del fiume Mella; Val Camonica, per-corsa dal fiume Oglio; Val Sabbia, compagna del fiume Chiese. Tre splendide esten-sioni naturali della provincia brescia-

na ricche di arte, cultura e tradizioni gastro-nomiche. Una Lombardia dai tanti sapori diversi e squisiti, da gustare nel corso di escursioni e gite in cui coniugare le delizie gastronomiche e la scoperta del ricco pa-trimonio artistico e culturale di questa terra.Denominata anche “Regno del ferro”, la Val Trompia - la più piccola delle tre valli di Brixia (l’antica Brescia) -, ha concentrato da sempre la sua economia sulla lavora-zione di questo metallo. Percorsa dal fiume Mella, la Valle è lunga circa 50 chilometri. Il territorio dalla immensa ricchezza artistica, ambientale e gastronomica prende il nome

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dai Triumplini. La presenza di minerali favorì, sin dall’antichità, il precoce sviluppo di una tradizione di lavorazione del ferro anche per la produzione di armi.In Val Trompia sono presenti da secoli se-gni dell’estrazione del ferro e della lavorazione di esso per costruire principalmente armi. Tale cultura nei secoli si è sviluppata passando dalle daghe romane ai fucili; viene fondata nel 1500 la Beretta, nota marca di armi ancora oggi esisten-te e famosa in tutto il mondo. Dal fascino indescrivibile sono, per i turisti, le visite alle miniere stori-che. Anche per i bambini e i ragaz-zi, accompagnati da professionisti esperti, è possibile osservare il grande complesso rappresentato dalla miniera di Sant’Aloisio Tassa-ra di Collio, a circa ottocento metri di altez-za. Un vera e propria avventura attraversare i quattordici passaggi aerei del “circuito so-speso”.La Valle e la Brescia romana si uniscono e si legano a quella longobarda. Oggi un gran-de centro museale è il Monastero di Santa Giulia, realizzato nell’VIII secolo da Ansa, regina dei Longobardi. Fanno parte dello

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Monte Concarena - Val Camonica (Foto Luca Giarelli)

Valle Camonica vista da Gorzone

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photo © Beto Godoy

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stesso complesso la Basilica di San Salva-tore, uno dei principali esempi di architet-tura altomedioevale, e la chiesa romanica di Santa Maria in Solario. Un trenino, che ripercorre le antiche gallerie nel sottosuo-lo della montagna e i cantieri dove veniva lavorato il materiale, offre ai visitatori un’al-tra interessante visita: quella alla Marzoli di Pezzaze. La Val Camonica è tra le più este-se delle Alpi centrali, lunga circa 90 chilo-metri. L’antichissima storia della Valle Ca-monica inizia circa 15mila anni fa, quando il ghiacciaio, sciogliendosi, crea la vallata. Gli abitanti erano gli antichi Camuni, po-polo di origine incerta. Intorno alla fine del I secolo a.C. l’intero territorio fu annesso all’Impero Romano e venne fondata la città di Cividate Camuno, dotata di terme, tea-tro ed anfiteatro. Solo a fine ’800 la Valle Camonica, oggi con circa 114mila abitanti, tra Brescia e Bergamo, venne annessa al Regno d’Italia. L’industria tessile è presen-te in quest’area lombarda già dalla preisto-ria, con incisioni rupestri raffiguranti telai. Sotto la dominazione veneta crebbe il set-tore laniero, mentre dopo l’annessione al Regno d’Italia vi fu il boom della seta con la coltura del gelso.Il turismo, invernale ed estivo, rimane uno dei settori economicamente più importan-ti per la Valle. Durante la stagione fredda sono attivi numerosi impianti sciistici; in estate, le maggiori attrattive sono date dalle escursioni. Numerose le sedi storico-monumentali da visitare in Val Camonica: il Castello di Cimbergo, il Parco del teatro e dell’anfiteatro a Cividate Camuno, Pie-ve di San Siro a Cemmo. Bienno, Lovere, Pescarzo, risultano tra i borghi più belli d’Italia. Tra le bellezze della natura spicca il Parco dello Stelvio, uno dei più antichi parchi naturali italiani. È nato allo scopo di tutelare la flora, la fauna e le bellezze del paesaggio del gruppo montuoso Ortles-Cevedale, e di promuovere lo sviluppo di un turismo sostenibile nelle vallate alpine della Lombardia, del Trentino e dell’A-

to Adige. Il Parco nazionale dello Stelvio fu istituito nel 1935 su un territorio che è stato ampliato a 134.620 ha nel 1977. È caratterizzato da una moltitudine di spe-cie animali e vegetali e nel suo territorio si trovano grandi boschi, aree agricole, masi di montagna, casali e paesi abitati. Si possono trovare cervi, camosci, caprio-li, stambecchi, marmotte, volpi, ermellini, scoiattoli, lepri. Dopo i 2800 metri trovano spazio le rocce, i ghiaioni, le nevi peren-ni e le morene glaciali, dove la presenza di forme di vita è garantita solo da alcune tenaci specie pioniere assai specializzate come i licheni.All’ interno del Parco si trovano inoltre am-bienti particolari come le torbiere: zone umide caratterizzate da una flora altamen-te specializzata come la Drosera rotundi-folia, piccola pianta carnivora, che sop-perisce alla carenza di azoto del terreno catturando piccoli insetti.Paesi, borghi, bellezze dell’architettura rurale, tradizioni, natura incantata, ricca di verde, di limpide acque e prospera di luoghi dove le emozioni possono trova-re il conforto di pace e serenità. È la Val Sabbia. La seconda delle valli bresciane per dimensioni e prende il nome, proba-bilmente, dal popolo dei Sabini. Percorsa dal fiume Chiese, trova in Gavardo il pae-se più popoloso. Un territorio ricco d’inse-diamenti storici, edifici religiosi, castelli e fortificazioni, come la napoleonica Rocca d’Anfo. Il turista appassionato di arte e cul-tura trova nelle numerose chiese di questa parte della Lombardia tele, dipinti e scultu-re lignee, esemplari testimonianze dell’ar-te dell’intaglio della famiglia dei Boscaì di Levrange. Un popolo, quello della Valle Sabbia, co-nosciuto per le proprie tradizioni risultato di una testimonianza autentica con un in-sieme di usi e costumi consolidati e tra-mandati nei secoli che raccontano la sem-plicità e allo stesso tempo la ricchezza di questa gente.

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Nella tradizione c’è Brucia la Vècia (Mezza quaresima, Anfo): un rito per proteg-gersi dall’infecondità dei terreni e per liberarsi dai sentimenti e dalle passioni negative. Il simulacro della vecchia è portato in processione per il paese, ac-compagnato da canti tradizionali e dal suono di gri e tentacole.Stratto Marzo (21 marzo, Capovalle). L’arrivo della nuova stagione è simbo-leggiato dalla dichiarazione pubblica di fidanzamenti fittizi per testimoniare il ritorno della fecondità della terra con il rifiorire degli amori. È una tradizione molto antica.Gioco del Lengalostro (settembre, Vallio Terme). È un antichissimo rito ludico di questo ramo laterale della Valle Sabbia. Il lengalostro è un particolare gioco di bocce: non esiste un vero campo e i giocatori si muovono lungo un percorso itinerante attraverso il paese e nei boschi.

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Un territorio come quello lombardo, dall’antica vocazione agricola, non può che essere una riserva inesauribile di squisite specialità per i buongustai. Sono più di 250 le prelibatezze tradizionali, tra for-maggi, salumi, ortaggi e prodotti da forno, senza parlare dei vini Doc. Cotoletta alla milanese, risotto allo zafferano, pizzoccheri della Val-tellina, mostarda di frutta cre-monese, fanno l’orgoglio di in-tere zone rinomate in tutto il mondo. Nelle aziende sparse sul territorio, si ottengono formaggi dai sapori unici e inconfondibili. Celebre il ti-

pico del Comune di Bagolino già prodotto a partire dal 1500. Può essere consumato a scaglie o cucinato alla brace, oppure uti-lizzato nella preparazione di piatti quali le mareconde, i malfatti, le penne alla ba-gossa, o i casoncelli ripieni. Il vino è molto radicato nella storia delle Valli, i vitigni più diffusi sono: Camunnorum: Merlot

60%, Marzemino 30% e Cabernet 10%; Baldamì è prodotto in pre-valenza con uve Marzemino e in

quantità minore Merlot, Barbera e Incrocio Terzi; Muller Thurgau, Incrocio

Manzoni, Riesling Renano.

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Il grande evento storico legato a culti ancestralidi passaggio dall’inverno alla primavera ha rappresentato un evento gioioso e senza freni inibitori per i ricchi veneziani, i latini e anche i ceti più umili

IL CARNEVALEDEL MoNdoINTERo

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“Sensation, 6 sensi x 6 sestieri”. Il fascino intrigante e l’esclusività del Carnevale di Venezia. Da sempre. Per sempre. Filo conduttore degli eventi e degli spettacoli i sensi tradizionali ab-binati ognuno ai sestieri (quartieri nei quali è suddivisa Venezia). Olfatto a Santa Croce, gusto a Cannaregio, vi-sta a San Polo, tatto a Castello, udito a Dorsoduro, a cui si aggiunge la mente nel sestiere di San Marco. Il Carnevale più conosciuto per il mistero che con-tinua a possedere ancora dopo circa mille anni. In un documento risalente al 1100 si parla dei divertimenti pub-blici. Ma è del 1296 l’atto che dichiara il Carnevale come una festa per tutti l’ultimo giorno della Quaresima.Il grande evento storico legato a culti ancestrali di passaggio dall’inverno alla primavera ha rappresentato un evento gioioso e senza freni inibitori per i ricchi veneziani, i latini e anche i ceti più umili. Questi ultimi poteva-no diventare, per un breve periodo dell’anno, simili ai potenti, conceden-do loro di poter burlare pubblicamen-te i benestanti indossando una ma-

schera sul volto.La città, considerata tra le più incante-voli del mondo, vede e vive il proprio Carnevale durare tutto l’anno e non solo dieci giorni pre-pasquali. I ricordi, i sogni, e i desideri del periodo carne-valesco fanno ritornare i visitatori e i protagonisti dell’evento nella Venezia del Settecento; ci si cala nella città e le calli di Giacomo Casanova. Un perio-do che la rese luogo dalle infinite sug-gestioni e patrimonio di inarrestabile fantasia.Del XIX secolo, invece, Venezia e il suo Carnevale incarnano il mito romantico internazionale con artisti e scrittori di tutto il mondo. Il Carnevale di Venezia convoglia nella Laguna folle di curiosi provenienti da ogni parte del mondo con migliaia di maschere in festa. Tutti con volto semicoperto a celebrare un Carnevale fatto di balli, scherzi e galà la cui esclusività risulta inarrivabile.Sono tre anni che il Carnevale a Ve-nezia è “Sensation”. L’idea ha ca-ratterizzato le edizioni 2008, 2009 e 2010 della manifestazione. Proposta una immagine rinnovata e meno ste-

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reotipata dell’evento, che permette di avere un filo conduttore per tutti gli spettacoli che si svolgono nelle varie location del centro storico.Tutto è nato da una considerazione: da sempre si scopre il mondo attra-verso i cinque sensi. Il mondo è ciò che noi vediamo, tocchiamo, sentia-mo, gustiamo, odoriamo, ed è anche ciò che noi immaginiamo: il mondo è soprattutto nel nostro sesto senso, nella nostra mente.Sei sensi, come sei sono i sestieri in cui è suddivisa Venezia: abbinando un senso a ciascuno dei sestieri si

crea la possibilità di allestire spettacoli tematici (elementi scenografici, per-formance di gruppi teatrali e di artisti, concerti e installazioni di light design) che stimolano o richiamano quelle sensazioni. Il percorso di “Sensation” sviluppa e spettacolarizza ogni senso, portando il pubblico verso una nuo-va dimensione del Carnevale, in cui il divertimento torna a essere protago-nista, nel senso più autentico del ter-mine. Il divertimento come elemento genuino che nasce proprio dalla no-stra percezione, dall’utilizzo immedia-to del nostro corpo e dei sensi.

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Dall’edizione 2009 del Carnevale è stata anche introdotta una ulteriore ri-flessione, volta a rendere “Sensation” il Carnevale delle persone, per le per-sone, dove la gente è protagonista ed è invogliata a mascherarsi. Il format si è quindi adeguato ad un tono acusti-co, lontano dall’amplificazione, da rit-mi assordanti e lontano dalla necessi-tà di dover affollare Piazza San Marco con un importante palco, luogo di un unico fulcro spettacolare. La Piazza si è infatti trasformata in un inedito giardino rinascimentale, fatto di luci e di verde, di decorate quinte te-

atrali. Un luogo in cui il pubblico cam-mina, sfila da protagonista mostran-do il proprio travestimento, assiste a spettacoli che non si concentrano su un palco tradizionale e non pongono alcuna distanza tra lo spettatore e la performance, ma sono anzi alla por-tata di tutti. Soprattutto, grazie a “Sensation”, anche i bambini hanno un posto d’onore, con una serie di iniziative sviluppate per loro su tutto il territorio. “Sensation” per un Carnevale della gente e del divertimento. Che appar-tiene a Venezia e al mondo intero.

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NOTO

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Visit Latina 2009 è stata la quinta edi-zione di un evento che mira ad elevare la provincia di Latina come luogo di turismo e cultura, non solo direttamente fruibile attraverso le bellezze artistiche che sono dislocate all’interno del suo territorio ma anche per la cultura enogastronomica che è un vero fiore all’occhiello, avendo - quasi ogni località - un prodotto tipico da proporre al pubblico, nonché al turista. È la Confesercenti Latina che da anni si fa promotrice dell’evento avvalendosi del fidato appoggio di enti come l’Agenzia regionale per il turismo di Roma e La-zio e la Camera di commercio di Latina. La scelta di organizzare il Visit nella tre giorni (18-20 dicembre 2009) non è una coincidenza; l’intento era quello di far capire agli utenti come il territorio della provincia di Latina possa essere di richiamo, senz’ombra di dubbio, per dodici mesi l’anno, vista la molteplicità del suo paesaggio (costa lacustre e ma-rittima, entroterra collinare e piana dal clima temperato). Un soggiorno turistico adatto a tutte le stagioni insomma.La manifestazione storicamente si ar-ticola in due momenti specifici: il Tour educational e il Workshop; durante gli scorsi 18 e 19 dicembre si è svolto l’edu-cational per l’appunto, l’itinerario pre-posto che ha permesso di far conoscere ai tour operator invitati per l’occasione provenienti da fuori regione (senza di-menticare i giornalisti delle testate na-zionali di settore che pure sono accorsi),

il prodotto turistico di cui si sta parlando in tutte le sue sfaccettature. Nella prima giornata il percorso organizzato è partito da Latina, la città di fondazione per ec-cellenza, con una visita guidata presso il museo Cambellotti, costruzione di regi-me che un tempo ospitava l’Opera Balil-la, oggi adibita a museo; a seguire è stata la volta del Palazzo M, che emula nella struttura edilizia l’iniziale del cognome del duce. La giornata si è conclusa con la visita di Sabaudia (altra città di fon-dazione) e Terracina, con cena di pro-dotti enogastronomici tipici. Sabato 20 l’itinerario proponeva la visita dei centri collinari medioevali, Come Sermoneta, la vicina Ninfa, Priverno e Prossedi. Dome-nica 20 è stata, invece, la volta del Wor-kshop, momento clou nel quale si è svolto l’incontro tra i professionisti del settore: gli operatori della provincia di Latina (i sellers) e i tour operator specializzati (i buyers) di alcuni mercati selezionati.Ma la Confesrecenti Latina non ha in-tenzione di fermarsi. Proprio per portare avanti l’idea di un turismo destagionaliz-zato possibile nella provincia di Latina, altri Visit prossimamente verranno, nei mesi di maggio, luglio e ottobre e ogni volta saranno proposti itinerari diversi vista l’infinità di attrattive godibili sul territorio. In Visit Latina 2009 si è dato risalto alle città di fondazione, in relazio-ne al periodo storico del ‘900, alle città romane e preromane e alle città d’arte, ovvero i centri collinari medievali.

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Scopriamo da sempre il mondo at-traverso 5 sensi: vista, tatto, udito, gusto, olfatto. Il mondo è ciò che noi vediamo, tocchiamo, sentiamo, gustiamo e odoriamo. Ma il mondo è anche ciò che noi immaginiamo: il mondo è soprattutto nel nostro sesto senso, nella nostra mente.Il format per il Carnevale di Vene-zia porta già nel titolo la novità e il cambiamento: “Sensation, 6 sensi x 6 sestieri”. Ogni viene scoperto attraverso lo sviluppo e la spet-tacolarizzazione di un senso, in un percorso che porta il pubblico verso una nuova dimensione del Carnevale, in cui il divertimento torna ad essere protagonista. Il di-vertimento come elemento genui-no che nasce proprio dalla nostra percezione, dall’utilizzo immedia-to del nostro corpo e dei sensi. I sensi sono declinati attraverso la presenza di elementi scenografi-ci, performance di gruppi teatrali e di artisti, concerti e installazioni di light design. Anche quest’anno un bellissimo angelo sorvola la piazza più romantica del mondo. Una persona fortemente legata a Venezia e allo stesso tempo am-basciatrice dello stile italiano. Sono molto orgoglioso che Bianca ab-bia accettato. Bianca Brandolini è una ragazza per metà veneziana, giovane, internazionale e bella che dopo Margherita Missoni rappre-

senta benissimo il no-stro Angelo.Il volo dell’An-gelo, uno degli

avvenimenti più attesi del Carne-vale veneziano, vede calarsi dalla Torre del Campanile di Piazza San Marco, Bianca Brandolini D’Adda. L’Angelo vola sopra la folla che da tradizione riempie la Piazza fino ad atterrare nel fiabesco Giardino dove si svolgono tutte le più impor-tanti manifestazioni della kermesse veneziana.Bianca Brandolini D’Adda confer-ma ancora una volta la scelta di un personaggio di caratura interna-zionale che vanta un forte legame familiare con la città di Venezia: il padre di Bianca è, infatti, un ve-neziano doc; la madre ha origini franco-brasiliane, e Bianca inoltre è uno dei rampolli della famiglia Agnelli in quanto nipote di Cristia-na, sorella dell’Avvocato Gianni Agnelli. Nata nel 1987, cresciuta in Francia, lei stessa si definisce ita-liana in Francia e parigina in Italia. Al termine degli studi secondari frequenta una scuola d’arte dram-matica a Parigi, ma la carriera che l’ha resa un volto internazionale è quella di modella, che l’ha vista fin da giovanissima sfilare sulle più importanti passerelle e comparire sempre più frequentemente come una nuova icona della moda su giornali e riviste che le hanno dedi-cato importanti servizi.Nota per il suo stile impeccabile che sfoggia in tutte le occasioni mondane, Bianca è protagonista di uno dei primi eventi del Carneva-le di Venezia “Sensation 2010 – 6 sensi x 6 sestieri”.

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Marco Balich, direttore artistico Carnevale di Venezia

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STORIA DELLE MASCHERE

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La più famosa maschera veneziana è quella di Pantalone. Nata a metà del secolo XVI, è una fra le maschere più antiche della Commedia dell’arte. Rappresenta un vecchio mer-cante, ignorante e pedante, burlatore e burlato, stolto e saggio, ricco e in rovina.La maschera veneziana, realizzata dagli artigiani del luogo, si trova durante tutto l’anno. La sua origine è antica. La gente era libera di indossare le maschere dal giorno di Santo Stefano (inizio del Carnevale) fino alla mezzanotte del Martedì Grasso, che concludeva il Carnevale. Durante il Carnevale è normale trovare in giro per le calli Arlecchino e Arlec-china, i servitori sciocchi. Poi c’è la maschera di Pulcinella, della Campania. Pulcinella può essere coraggioso o vigliacco. Colombina è una maliziosa e vezzosa servetta della Comme-dia dell’arte, scaltra e pettegola. Un servo astuto, ingegnoso, che sa ingannare è Brighella. Può essere oste, soldato, primo servitore o ladro. Il medico della peste veniva indossata in casi di necessità come le epidemie di peste. Dalla grassa e dotta Bologna, Balanzone, il dottore, è un ersonaggio comico: medico, notaio o avvocato. Zanni, satira cittadina del contadino inurbato.Antichissime le origini della maschera del Capitano, con radici che affondano nel teatro romano di Plauto. La rappresentazione è quella di un soldato spaccone e millantatore. trae origine dalla satira popolare contro il dominatore spagnolo. La Bauta, travestimento veneziano, è la maschera tipica della Venezia del settecento. Moretta è una maschera di velluto nero, sostenuta tenendo in bocca un bottoncino all’altezza delle labbra.Sior Tonin Bonagrazia rappresenta il figlio di un mercante veneziano che aveva comperato per dieci ducati la nobiltà di Torcello per il proprio figlio tonto. Definita una lurida mac-chietta popolare è la maschera di Bernardon. Essa rappresenta un vecchio pidocchioso che mostra le piaghe dovute agli stravizi di gioventù. La Gnaga, una forma di travestimento molto usata dai veneziani. Una imitazione delle donne da parte dei giovani veneziani. È una specie di pagliaccio, il Mattacino, con abito bianco o multicolore, con in testa un cappello piumato.

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Sabato 6 febbraioCARNEVALE AL BUIO 2010 - CastelloFESTA DI APERTURA DEL CARNEVALE DEI BAMBINI - San MarcoARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI DI FERRUCCIO SOLERI - San Marco Domenica 7 febbraioCARNEVALE AL BUIO 2010 - CastelloIL VOLO DELL’ANGELO - San MarcoFESTIVAL DELLE RIEVOCAZIONI STORICHE - San MarcoLA FESTA DELLE MARIE - San Marco Lunedì 8 febbraioCARNEVALE AL BUIO 2010 - CastelloSENSATION TANGO - San Marco Martedì 9 febbraioCARNEVALE AL BUIO 2010 - CastelloSENSATION TANGO - San Marco Mercoledì 10 febbraioCARNEVALE AL BUIO 2010 - CastelloSENSATION TANGO - San Marco

Giovedì 11 febbraio SAN GEREMIA, IL CAMPO DEL GUSTO - CannaregioCARNEVALE AL BUIO 2010 - CastelloSAN POLO, il Campo dei bambini - San PoloSELEZIONI PER LA MASCHERA PIÙ BELLA DEL CARNEVALE 2010 - San Marco

Venerdì 12 febbraio SAN GEREMIA, IL CAMPO DEL GUSTO - CannaregioCARNEVALE AL BUIO 2010 - CastelloSELEZIONI PER LA MASCHERA PIÙ

BELLA DEL CARNEVALE 2010 - San MarcoSAN POLO, il Campo dei bambini - San PoloSELEZIONI PER LA MASCHERA PIÙ BELLA DEL CARNEVALE 2010 - San MarcoDRAG QUEEN BEAUTY PAGEANT - San Marco Sabato 13 febbraioSAN GEREMIA, IL CAMPO DEL GUSTO - CannaregioCARNEVALE AL BUIO 2010 - CastelloSELEZIONI PER LA MASCHERA PIÙ BELLA DEL CARNEVALE 2010 - San MarcoSAN POLO, il Campo dei bambini - San PoloSELEZIONI PER LA MASCHERA PIÙ BELLA DEL CARNEVALE 2010 - San Marco Domenica 14 febbraioSAN GEREMIA, IL CAMPO DEL GUSTO - CannaregioCARNEVALE AL BUIO 2010 - Castello“LE MASCHERE DI MARIO” - San MarcoLA DANZA DELLA QUADRIGLIA - San MarcoSFILATA IN COSTUME SETTECENTESCO - San MarcoSAN POLO, il Campo dei bambini - San PoloLA MASCHERA PIU’ BELLA DEL CARNEVALE 2010 - FINALE - San Marco Lunedì 15 febbraioSAN GEREMIA, IL CAMPO DEL GUSTO - CannaregioCARNEVALE AL BUIO 2010 - Castello Martedì 16 febbraioSAN GEREMIA, IL CAMPO DEL GUSTO - CannaregioCARNEVALE AL BUIO 2010 - CastelloPREMIAZIONE DELLA MARIA VINCITRICE DEL 2010 - San Marco

I GRANDI EVENTI DEL 2010

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“Sensation, 6 senses x 6 sestieri “. The intri-

guing and fascinating exclusivity of Carni-val in Venice. For as

long back as one can remember. And forever. The common elements

are the traditional six senses, each of which is represented by one

of Venice’s sestieri (the areas into which Venice

is divided). Smell in Santa Croce, Taste in

Cannareggio, Sight in San Polo, Touch in Castello and Hearing

in Dorsoduro, while the Mind is reserved for

Santa Croce. Carnival is a time known for the mystery it continues to

preserve even after a thousand or so ye-

ars. In 1100 there is a document that made

reference to public merry-making. But not

until 1296 is Carnival declared a holiday to be celebrated the last

day before Lent.The great historical event evolves from ancestral cults who

celebrated the passage from winter into spring,

and it has long pre-sented an occasion for

Venetians of all social classes to celebrate

without inhibitions. Lower classes could,

for a brief time, become

“upper class”, donning a mask and making fun

of the rich, with their consent.

The city itself, which is one of the most

enchanting cities in the world, lives and loves its Carnival during the entire year, not only in the 10 days before the Easter period begins.

Memories, dreams and desires of a true Carni-

val make visitors and in-habitants alike return to the Venice of the eighth

century; escaping into the times and streets of Giacomo Casanova. It

was a time that inspired infinite suggestions and

still inspires irrepressi-ble fantasies.

Venice in the 19th century embodies the international romantic myth with actors and writers coming from

all over the world. The Carnival of Venice calls

to the Laguna crowds of curious hailing from

all parts of the world with its celebration of thousands of masks. All, with half-covered

faces, celebrate a Car-nival made of dances, jokes and gala events whose exclusiveness remains unparalleled.For three years now,

the Carnival of Venice has had “Sensation” as

its theme: 2008, 2009, and 2010. The theme proposes a renewed

and less stereotypical image of the event, and

also allows to unify all the spectacles that take place in the various lo-cations of the historical

center. All has sprung from this simple consideration: it is since times unknown

that we discover the world through our five

senses. The world, for us, is what we see, touch, hear, taste, smell …

and also what we ima-gine: the world above all is our sixth sense,

our mind.Six senses, just as

there are six sentie-ri into which Venice is subdivided: liking

each sestiere with one sense allows to put on

thematic shows (me-lodramatic elements,

performances of theater groups and of artists,

concerts and light design installations),

which stimulate or directly appeal to those sensations. The trail of “Sensation” develops and turns every sense

into a spectacle, gui-ding the public toward

a new dimension of the Carnival, in which

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tic sense returns to be the protagonist. Fun as

a genuine element is born exactly from our perceptions, from the

use we make of our body and our senses.

From 2009 on, the-re has been a new

reflection, which hopes to involve people in the “Sensations” of Carnival and make the Carnival one of

persons, for persons, where the people are the main protagonists and become desirous

to don masks. The format is suitable

on an acoustic level that does not require amplifications, loud-speakers, deafening

rythms and the neces-sity to crowd into St.

Mark’s Square, which has only one stage,

place of only one spectacular fulcrum. St. Mark’s Place, as a mat-ter of fact, has been tur-ned into a Renaissance garden, made of green

lights and decorated by theater wings. It is a place where people

walk, show off their co-stumes and participate

in performances that do not take place on

a traditional stage and do not put any distance between them and the

performance, but make them part of it. Thanks

to “Sensations”, chil-dren have a place of

honor, with a series of events thought for them

all over the city. “Sen-sation” for a Carnival of the people and to have fun, which belongs not

only to Venice but to the entire world.

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Already in its title the Carnival of Veni-ce alludes to innovations and change: “Sensation, 6 senses x 6 sestieri”. Each of those will be discovered through the development and the “spectaculariza-tion” of one of the senses, which will guide the public toward a new dimen-sion of Carnival, in which fun again turns to be its protagonist. Fun as a genuine element that is born precisely from our perception of scenographic elements, theatrical and artistic groups performing, concerts, and light design installations.This year, too, a beautiful an-gel reigns over the most ro-mantic piazza of the world. A person strongly tied to Veni-ce, and at the same time an ambassador of Italian style. I am very happy that Bianca has accepted. Bianca Bran-dolini is half Venetian by birth, young, internationally known and gorgeous – after Margherita Missoni she will be the per-fect embodiment of our angel. The flight of the angel is one of the most antici-pated events of the Carnival in Venice. This year Bianca Brandolini d’Adda will fly from the Bel Tower of Saint Mark’s Place. The angel traditionally flies abo-ve the crowds that traditionally populate the piazza to land in the mythical Gar-

dens, where the most important events of the Venetian Carnival take place.Bianca Brandolini D’Adda is again cho-sen for her international status, who also has strong ties to Venice: her father is a true-blooded Venetian, while her mother is French-Brazilian. Bianca is also one of the heirs of the Agnelli, as she is the niece of Cristina, sister of the famous Gianni Agnelli.Born in 1987 and raised in France, Bian-

ca calls herself Italian when in France and Parisian whi-le in Italy. After her secon-dary studies, she attended a school for dramatic arts in Paris, but she is most known for her modelling ca-reer, which she undertook from a tender age on, and which led her onto the most important runways. Recen-tly, she has been celebrated in numerous journals and magazines as an icon of the

new style, and many of those have dedi-cated important articles to her persona and career.Noted for her impeccable style which can be admired in all glamorous occa-sions, Bianca is the protagonist of one of the first “Sensation 2010 – 6 senses x 6 sestieri” of the Carnival of Venice’s events.

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Marco Balich, artistic director of the Carnival of Venice

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The most famous Venetian mask is that of Pantalone. Dating back to the Seventeenth century, it is one of the oldest mask of the Commedia dell’Arte. It represents an old, ignorant and pedantic merchant, who at the same time makes fun of others and is made fun of, who is both dumb and wise, who is wealthy but also ruined.In Venice, you can find handcrafted masks all year long. Its origins are ancient. People may don masks from Saint Stephen’s Day (December 26, the begin-ning of Carnival) on until midnight of Fat Tuesday, which concludes the carnival period. During the car-nival period, it is common to see Arlecchino and Ar-lecchina – the silly servants- in Venice’s calli. Then there is the mask of Pulcinella, which has its origins in the Campania region of Italy. Pulcinella may either be courageous or frightened. Colombina is a witty and pretentious maid in the Commedia dell’Arte, wi-thout scruples and rather gossipy. Brighella, on the other hand, is an astute servant who has mastered the art of deception. He can be a host, a soldier, the main servant or even a thief. The Pest Doctor was used during crises such as the pest. Balanzone, a comic character, hails from fat and learned Bologna. He is a doctor, notary and also a lawyer. The Zanni is the satiric representation of a rural peasant.The mask of the Capitano (Captain), too, is of ancient origins and reach back to the theater of Plautus. He is a rough and braggart soldier and has its origins in the popular satire against the Spanish domination. La Bauta, a Venetian costume, is the typical mask of Eighteenth century Venice. Moretta is a mask made of black velvet, which is held up holding a black button at the height of the lips.Sior Tonin Bonagrazia embodies the son of a Venetian merchant who has for ten ducati bought the noble title of Torcello for his somewhat slow son. Bernardon has become known as a lurid eyesore. He is ancient and flea-covered, who clearly show the signs left by the excesses of his youth. La Gnaga is a form of costume very much used by the Venetians. It is an imitation of women donned by young Venetian men. Mattacino is a type of clown with a multicolored outfit and a fea-thered hat on his head.

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Saturday, 6 FebruaryCARNIVAL IN DARKNESS 2010 - Castello

OPENING CELEBRATION OF THE CHILDREN’S CARNIVAL- San Marco

HARLEQUIN, SERVANT OF TWO MASTERS BYFERRUCCIO SOLERI - San Marco

Sunday, 7 February

CARNIVAL IN DARKNESS 2010 - CastelloFLIGHT OF THE ANGEL - San Marco

FESTIVAL OF HISTORICAL REVOCATIONS - San MarcoTHE FESTIVAL OF THE MARIES - San Marco

Monday, 8 February

CARNIVAL IN DARKNESS 2010 - CastelloSENSATION TANGO - San Marco

Tuesday, 9 February

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Wednesday, 10 February

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Thursday, 11 February SAN GEREMIA, CAMPO OF TASTE- Cannaregio

CARNIVAL IN DARKNESS 2010 - CastelloSAN POLO, the Children’s campo- San Polo

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Friday, 12 FebruarySAN GEREMIA, CAMPO OF TASTE- CannaregioCARNIVAL IN DARKNESS 2010 - CastelloSELECTIONS OF THE MOST BEAUTIFUL MASKS OF THE 2010 CARNIVAL- San Marco SAN POLO, the Children’s campo- San PoloSELECTIONS OF THE MOST BEAUTIFUL MASKS OF THE 2010 CARNIVAL- San Marco DRAG QUEEN BEAUTY PAGEANT - San Marco Saturday, 13 FebruarySAN GEREMIA, CAMPO OF TASTE- CannaregioCARNIVAL IN DARKNESS 2010 - CastelloSELECTIONS OF THE MOST BEAUTIFUL MASKS OF THE 2010 CARNIVAL- San Marco SAN POLO, the Children’s campo- San PoloSELECTIONS OF THE MOST BEAUTIFUL MASKS OF THE 2010 CARNIVAL- San Marco Sunday, 14 FebruarySAN GEREMIA, CAMPO OF TASTE- CannaregioCARNIVAL IN DARKNESS 2010 - Castello“THE MASKS OF MARIO” - San MarcoDANCE OF THE QUADRIGLIA - San MarcoFASHION SHOW OF EIGTEENTH CENTURY COSTUMES - San MarcoSAN POLO, the Children’s campo- San PoloTHE MOST BEAUTIFUL MASKS OF THE 2010 CARNIVAL FINALE - San Marco Monday, 15 FebruarySAN GEREMIA, CAMPO OF TASTE- Cannaregio

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DA OBAMA

AMICHAEL JACKSONÈ il Carnevale di Viareggio

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olitici italiani e internazionali, la crisi che incombe sull’econo-mia del mondo, i protagonisti dello spettacolo e del costu-me. Da Obama a Michel Jack-

son al Carnevale di Viareggio. Immense opere d’arte in mo-

vimento, alte sino a 20 metri rea-lizzate dai maghi della cartapesta per

stimolare riflessioni sui mali che affliggono la nostra società: il razzismo, l’inquinamento ambientale, il consumismo, la violenza sulle donne, ma anche il desiderio di rinascita di una città ferita da una stra-ge senza precedenti. Un teatro a cielo aperto su un percorso di 3 km dove sfilano 11 costruzioni di prima categoria, 6 costruzioni di seconda catego-ria, 11 mascherate in gruppo e 9 maschere isolate.Ventuno giorni, tra gennaio e febbraio, in cui la cit-tà di Viareggio si immerge nel divertimento e nel-la spensieratezza del Carnevale, una festa che fin dalle sue origini è legata all’idea del piacere, del godimento dei beni materiali e quindi del buon cibo e del buon vino. Quella di Viareggio rispecchia a pieno questa tradizione carnascialesca e i protago-nisti indiscussi della manifestazione sono da sem-pre i carri allegorici, colossi che sfilano sui sugge-stivi viali a mare della città tra musica e danze.Sfilata da record di opere di cartapesta quella della Passeggiata di Viareggio nei giorni del Carnevale. La satira politica e di costume, una delle caratteri-stiche più significative del Carnevale di Viareggio,

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gi della storia in cui si riconoscono le caricature di Gianfranco Fini, del presidente Napolitano e di tanti altri. Diventa invece un bambino dispettoso nell’opera di Enrico Vannucci Attenti al Papi Pupo!, un bebè che nella sua culla gioca con le api che hanno i volti dei protagonisti della politica italiana e con delle sinuose farfalle-veline.Un’Italia incatenata e tanti politici che fingono di amarla in Notre Dame l’Italie di Luciano Tomei. Ri-troviamo la satira nelle mascherate in gruppo: in quella di Marzia Etna Moira e i suoi elefanti l’autrice ha immaginato il Cavaliere nei panni di Moira Orfei e i ministri del suo governo in quelli di elefanti am-maestrati; in Harem di Giampiero Ghiselli e Maria-chiara Franceschini invece è un sultano attorniato da odalische e dai suoi servitori.In Corsa alla ripresa di Adolfo Milazzo capi di Stato, tra cui Obama, Sarkozy, Angela Merkel ed espo-nenti del mondo delle finanze partecipano a una gara automobilistica che simboleggia la ripresa dell’economia. Un personaggio entrato a far parte della storia del mito è Michael Jackson, il re del pop recentemente scomparso. Gionata France-

il Carnevale d’Italia nel mondo, ha nell’edizione 2010 una passerella di personaggi che ogni gior-no popolano le pagine dei nostri giornali e i nostri notiziari.Il presidente del Consiglio, Berlusconi, e il presi-dente degli Stati Uniti, Barack Obama, i protagoni-sti di tante opere insieme agli esponenti della poli-tica nazionale e mondiale.Silvio Mani di Forbice è il carro di prima catego-ria firmato da Simone Politi e Priscilla Borri che si ispira al celebre film di Tim Burton con chiaro rife-rimento ai tagli ai servizi pubblici e soprattutto ai posti di lavoro degli italiani. Padroni a casa nostra! Soluzione finale di Gilbert Lebigre e Corinne Ro-ger, vede personaggi che appartengono alla Lega Nord impegnati a liberarsi di pericolose intrusioni che minacciano la stabilità di una fantomatica cit-tadella.Nelle costruzioni di seconda categoria presente Nel paese delle Meraviglie di Emilio Cinquini in cui Alice, la protagonista della fiaba ha il volto di Sil-vio Berlusconi affiancato dai fantastici personag-

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sconi immagina il ritorno dell’artista proprio sui viali a mare della città di Viareggio per coinvol-gere il pubblico del Carnevale nella sua danza meccanica con Thriller Party costruzione di pri-ma categoria. La speranza nella ripresa e nel ritorno ai valo-ri prende forma in Metti in moto l’allegria, co-struzione di prima categoria di Carlo Lombardi dedicata alla voglia di divertirsi e di lasciare a casa i problemi della vita. Roberto Vannucci ha proposto l’immagine positiva di due grandi cigni adagiati sulla terra su cui stanno nascendo fiori in Una sola madre: la terra opera portatrice di un forte messaggio di pace e uguaglianza.Il drago, l’animale mitico e carico di significato benefico secondo la concezione che ne hanno i popoli orientali, è al centro dell’opera di Luigi Verlanti e dei fratelli Bonetti in La Danza del dra-go che lancia un invito a incrementare gli scambi culturali tra i paesi del mondo. Per le costruzioni di seconda categoria Jacopo Allegrucci raffigu-ra l’economia del mondo con l’immagine della Statua della libertà danneggiata e in rovina, cir-condata dai simboli dell’Oriente; ma a salvare la condizione dell’Occidente arriva super Obama in Economica Follia.Far finta di essere sani, liberamente tratta

dall’opera di Sandro Luporini e Giorgio Gaber, è invece l’interpretazione che i fratelli Umberto e Stefano Cinquini, vincitori del primo premio nella seconda categoria per l’edizione 2009, danno di una società giunta al paradosso dove tutti sono pronti a commettere gesti folli pur di arrivare al proprio scopo.Un carro tutto al femminile per Eleonora Francio-ni che immagina un grande amuleto per allonta-nare tutte le preoccupazioni in ScacciaPensieri, mentre Antonio Mastromarino rifiuta ogni tipo di guerra nella sua mascherata in gruppo Campo-minato dove dai fucili escono dei fiori. Un monito anche alla società dei consumi che rischia di far diventare il mare, la risorsa più importante del pianeta, una discarica di materiali plastici: è la denuncia di Roberto De Leo con la mascherata Fish&Plastic dove si immagina l’ambiente mari-no popolato di strani esseri frutto della innaturale fusione tra pesci e rifiuti.Tanta fantasia tra riflessione e voglia di spensie-ratezza sono alla base di altre opere in concor-so: Alessandro Avanzini, vincitore per le costru-zioni di prima categoria nella scorsa edizione del Carnevale di Viareggio, utilizza citazioni dall’Or-lando Furioso di Ronconi e dell’omonima rac-colta di Edoardo Sanguineti per descrivere la

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condizione attuale dell’uomo nell’opera Alfabeto Apocalittico.Condizione che Franco Malfatti interpreta in Ma-chinarium come l’ingranaggio di un sistema che mira solo alla lavorazione, alla costruzione e al consumo di ciò che viene prodotto e che prende la forma di una donna-robot ispirata al film Me-tropolis capolavoro di Fritz Lang.Alfredo Ricci invece immagina un paesaggio astratto che fa riferimento alle bellezze e alle caratteristiche della città di Viareggio in Paesag-gio…la città del Carnevale. Dedicato alla città anche il carro di Fabrizio Galli Viareggio nel cuo-re che dopo il terribile incidente ferroviario del 29 giugno immagina una Viareggio congelata dall’orrore ma con una gran voglia di rinascere in nome della speranza.E per tornare a sorridere Ridere per vivere ma-scherata di Giovanni e Libero Maggini dedicata ai maestri della risata, ai più celebri comici italia-

ni e stranieri. Spazio alla fantasia per le masche-rate in gruppo con Personaggi degni di nota di Michele Canova strumenti che si animano per portare musica e allegria; Al di là delle nuvole di Edoardo Ceragioli è un volo pindarico in un mondo parallelo posto al di sopra delle nuvole; The magic world for the carnival di Alessandro Servetto è un corteo di creature fantastiche. Un omaggio ai mitici fumetti di Iacovitti quello che Giorgio Bomberini fa con Trotta Trotta Trottalem-me.Le donne, sono al centro di due progetti del Car-nevale di Viareggio: nel carro di prima categoria di Massimo Breschi L’amore rubato, si denuncia la mostruosità della violenza sulle donne rappre-sentate come dei fiori in un giardino minacciato da un terribile lupo. Mario Neri omaggia l’univer-so femminile con la sua mascherata C’era una volta il re Leone che racconta il trionfo delle don-ne nella società contemporanea.

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Tra i piatti a cui i viareggini non possono rinun-ciare a Carnevale c’è il famoso Cacciucco, quel-lo con cinque C (e non con quattro, “caciucco”, perché se vi scopre un viareggino a scriverlo così sono guai) che prende il suo nome dal turco ku-ciuck minuto, piccolo. Sostantivo poi diventato, nella cucina toscana, sinonimo di un piatto in cui si mescolano ingredienti diversi, tutti ridotti in piccoli pezzi. Il cacciucco nacque nel 1500 a Livorno, quando i pescatori a bordo delle bar-che si inventarono questa zuppa fatta col pesce meno pregiato, quello che a riva non avrebbe avuto mercato. Fra i gozzi e le reti del porto di Viareggio, dove sul finire del Settecento si trasfe-riscono piccole flotte di pescatori marchigiani e

siciliani, la ricetta del Cacciucco Livornese subi-sce poi una significativa variante: una zuppa più leggera, meno piccante. Così il pesce utilizzato è leggermente diverso: di sabbia a Viareggio, di scoglio a Livorno.

CACCIUCCO. CON LE CINQUE C…

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Consolidatisi nel XIX secolo, i piatti regiona-li della Versilia sono molto conosciuti in Italia e all’estero e, come ovvio in una regione di mare, il pesce è alla base delle portate più gustose e ce-lebri. A cominciare dal cacciucco, il piatto unico a base di pesce che, a differenza dell’omonimo livornese, risulta il più ricercato.Del resto, anche il ricercatissimo polpo viene cu-cinato in modo diverso rispetto alle altre località di mare toscane, con solo vino bianco, limone e prezzemolo, senza alcuna traccia di pomodoro. Anche le arselle, qui chiamate nicchi, vengono preparate in zuppa, mentre sono alla base di un piatto esclusivo di questa terra le “cieche”,

gli avannotti delle anguille insaporiti con aglio e salvia, con l’aggiunta di due spicchi di limone o arancia, piatto che oggi non vede più la pre-parazione tradizionale in quanto la pesca delle cieche è vietata e le stesse provengono da al-levamenti.Viste le battaglie culinarie sulla paternità di alcuni piatti che da sempre oppongono la Versilia a Li-vorno e ad altre zone della regione, si può affer-mare che, in realtà, la cucina della Versilia è una cucina che recepisce istanze di altri piatti tosca-ni rielaborandoli in maniera personale, abolendo peraltro quasi del tutto del tutto i tre ingredien-ti caratteristici dei piatti toscani: il pomodoro, il

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RE DELLA TAVOLAPESCE

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pepe e il peperoncino e, per contro, andando a “contaminare” le preparazioni a base di pesce con i sapori tipici della cucina dell’entroterra. Un mix perfetto tra sapori semplici e diversi. Sapori che si ritrovano, ad esempio, oltre che nel cac-ciucco viareggino, anche nel farro con il pesce, nella schiacciata del cavatore (pasta di pane con l’aggiunta di “ciccioli” di maiale), nelle triglie con le fave e negli sparnocchi con fagioli.Oltre ai numerosi ristoranti della città, l’occasio-ne per degustare ottimi piatti della tradizione via-reggina sono i Rioni, feste che si svolgono nei vari quartieri cittadini ogni week-end di Carne-vale e dove sono servite specialità di terra e di mare a buon prezzo. Nei menù dei ristoranti viareggini è facile trovare gli Spaghetti alle arselle. Un segreto per un buon piatto è mettere le arselle appena pescate in un contenitore sul cui fondo sia adagiato un piatto

rovesciato, riempirlo di acqua di mare, coprirlo con un panno e riporlo nella parte bassa del fri-gorifero per almeno mezza giornata in maniera da eliminare tutta la sabbia contenuta nei gusci.Un piatto gustosissimo, un classico della cucina versiliese, ha come ingrediente un prodotto itti-co tra i prediletti sulle coste tirreniche: il totano (un po’ più grosso del calamaro, con una carne meno morbida ma un gusto più deciso, vaga-mente selvatico, il totano si pesca tutto l’anno) cucinato ripieno con le profumate erbe aromati-che raccolte nell’entroterra. Un secondo leggero dal sapore delicato gli Sparnocchi con i fagioli cannellini, da servire ab-binati su un piatto riscaldato dopo aver bollito i due ingredienti separatamente. Con l’aggiun-ta di pomodori tagliati a cubetti e basilico tritato sono ottimi se conditi con olio d’oliva del territo-rio versiliese.

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TRACCE DI UNA STORIASENZA EGUALI

PUTIGNANO

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Il ruolo di assoluto primo piano concesso dalla società al Carnevale ha fatto sì che il costume, nei secoli, abbia portato a un autentico processo di personificazione. Un passaggio ricorrente, oltre che nelle imma-gini e nella letteratura, anche nelle feste, nei Riti del repertorio più classico.Sono ancora in vita diversi riti tradizionali: La Festa dell’Orso, ogni anno, il 2 febbra-io, giorno della Candelora, a Putignano va in scena un’antica consuetudine, una vera e propria performance, che ha come protagonista un orso il cui legame con il Carnevale è confermato da alcune capa-cità magico - divinatorie che la tradizione popolare gli attribuisce. Infatti, secondo un antico proverbio putignanese, proprio il giorno della Candelora, l’orso ha la possibilità di prevedere l’andamento del clima per la parte rimanente dell’inverno, sulla base di una “logica carnevalesca” o meglio “rovesciata”: se in quel giorno il tempo è buono, l’orso “si costruisce” il “pagliaio” per difendersi dalle imminenti intemperie, se invece è cattivo, abbandona

le preoccupazioni, perché sa che il clima sarà buono. Ogni 2 febbraio un’associazione teatrale cittadina mette in scena la teatralizzazione

della Festa dell’Orso.E ancora, dalla Fondazione Carne-

vale di Putignano (attraverso il proprio sito Internet), spiegano

che altrettanto caratteristico il secolare appunta-

mento della Estrema Unzione di

Carnevale,

da sempre abbinato a quello, cronologica-mente successivo, del Funerale di Carne-vale.L’ Estrema Unzione entra in scena ogni anno alla vigilia del martedì grasso, ultimo giorno di Carnevale prima che il calendario introduca il periodo, più intimistico, della Quaresima. Nella penultima sera di vita, un corteo mascherato con paramenti sacerdo-tali e vestiti clericali si sposta per le vie del paese, per impartire una benedizione tutta particolare, declamando una esilarante bio-grafia in vernacolo del Carnevale morente. La finta processione vaga per le vie citta-dine dalle prime ore della sera fino a notte

inoltrata, con il seguito improvvisato di appassionati e curiosi, e con

un peregrinare infinito fra piazze e locali, pronti

ad accogliere e a rifo-

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cillare gratuitamente i “ministranti”. E’ uno dei momenti più belli, uno di quelli che con-servano intatto il fascino della partecipazio-ne, della condivisione, dell’essenza povera e altruista del carnevale del passato.Il programma delle ultime ore della festa si apre con l’ultimo corso mascherato, esal-tato dalle luci della sera nelle sue sfumature “goticheggianti”. Poi, il Funerale di Carne-vale e la Campana dei Maccheroni lascia-no che il sipario cali ancora una volta su eccessi e rumori, danze sfrenate e licenze carnascialesche.Il Funerale di Carnevale manda sotto i riflettori un corteo funebre al seguito del caro estinto, rappresentato da un maiale in cartapesta pronto ad incarnare le metafore un periodo di eccessi e rottura delle regole. Il maiale, al termine dell’itinerario, verrà bruciato nella piazza cardine del centro storico, cuore pulsante della storia e della cultura putignanese. E’ il paradigma di un rito purificatorio, chiamato a bruciare il materialismo in favore della spiritualità, ad innalzare pensieri e progetti verso quelle prospettive che da lì a poche ore avranno il sopravvento.Gli ultimi minuti di vita del Carnevale si muovono al ritmo dei 365 rintocchi della Campana dei Maccheroni, issata in piazza per scandire gli ultimi palpiti di una festa infinita. Davanti alla grande campana in cartapesta, tutto il paese, e le decine di migliaia di visitatori presenti, si ritrovano insieme ancora una volta, per gli ultimi balli davanti a un bicchiere di vino e un piatto di pasta.

Alcune immagini delle sfilatedei carri dei passati anni ‘50

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Un bimbo che indossa il berretto frigio e ri-scrive la pa-rola Carnevale con la Città sullo sfondo: è questa l’im-magine dello Storico Carnevale di Ivrea edizione 2010 alla quale la Fondazione affida il proprio messaggio di essenzialità della manifestazione a partire dai momen-ti storici e autentici che la caratterizzano. Il forte valore storico e simbolico è affidato al berretto frigio; il bimbo rappresenta l’apertura al futuro, la volontà di innestare dal basso la ripartenza dello Storico Carnevale di Ivrea.È con l’Epifania – oltre un mese di festeggiamenti e di-vertimento - che parte lo Storico Carnevale di Ivrea. La Città si sveglia al suono delle diane dei Pifferi e Tamburi che annunciano agli eporediesi l’inizio del Carnevale. Dopo la tradizionale marcia i Pifferi e Tamburi per le vie del centro cittadino, di fronte al Palazzo Municipale, in

piazza di Città, il Generale designato, Alberto Alma, ri-ceve ufficialmente l’investitura, con la consegna di scia-bola e feluca da parte del Generale uscente, Gianluca Actis Perino. Come ogni anno molti i momenti importanti oltre alla celebre e conosciuta in tutto il mondo Battaglia delle Arance.Il tradizionale getto delle arance affonda le sue radi-ci intorno alla metà dell’Ottocento. Ancor prima, e più precisamente nel Medioevo, erano i fagioli i protagonisti della battaglia. Intorno agli anni trenta e sessanta del se-colo scorso, insieme a coriandoli, confetti, lupini e fiori, le ragazze lanciavano dai balconi, mirando le carrozze del corteo carnevalesco, qualche arancia. I destinatari erano giovincelli dai quali le stesse ragazze volevano es-sere notate. Dalle carrozze si iniziò a rispondere scher-

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zosamente a tono e, poco a poco, il gesto di omaggio si trasformò prima in duello, quindi in un vero e proprio testa a testa tra lanciatori dai balconi e lanciatori di stra-da. Solo dal secondo dopoguerra la battaglia assunse i connotati attuali seguendo regole ben precise. Ancora oggi lo scontro si svolge nelle principali piazze della cit-tà, e vede impegnati equipaggi sul carro (simboleggian-ti le guardie del tiranno) contro le squadre degli aranceri a piedi i popolani ribelli) costituite da centinaia di tiratori.Si tratta del momento più spettacolare della manifesta-zione che ben evidenzia la lotta per la libertà, simbolo del Carnevale eporediese. La battaglia delle arance in-sieme a tutti gli eventi storici presenti nella manifestazio-ne di Ivrea, costituisce un incredibile patrimonio cultura-le e goliardico, che posiziona la festa tra le più importanti nel panorama nazionale e internazionale. Il getto dello arance rappresenta anche il momento in cui è più alta la partecipazione collettiva: tutti possono prenderne parte, iscrivendosi in una delle nove squadre a piedi oppure divenendo equipaggio di un carro da getto.Lo Storico Carnevale di Ivrea è un evento unico, ricono-

sciuto come manifestazione italiana di rilevanza interna-zionale, come da comunicazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, un “sogno” che si manifesta ogni anno portando nelle vie e nelle piazze della città di Ivrea storia, tradizione, spettacolo, emozioni e grandi ideali.Un Carnevale in cui storia e leggenda si intrecciano per dar vita ad uno spettacolo che travalica e fonde i seco-li, in cui i protagonisti assoluti – come riporta ancora il

è il personaggio più importante dello Sto-rico Carnevale, l’eroina che è stata elevata a simbolo della libertà conquistata dal popolo in rivolta contro il tiranno feudale. All’epoca del marchese Raineri di Biandrate, la giovane popolana e novella sposa Violetta, si oppose con coraggio alle attenzioni del tiranno che, non contento di vessare il popolo con tasse e maltrattamenti, aveva imposto alle giovani spose lo jus primae noctis. Salita al castello la sera delle nozze, questa giovane giurò al marito Toniotto che non avrebbe accettato un simile ricatto. Estratto improvvisamente un pugnale

dalle vesti, mozzò la testa del tiranno e la mostrò al popolo intero dagli spalti del castello. Fu il segno della rivolta. Il maniero fu subito preso e incendiato e il popolo giurò che in quel luogo non si sarebbe mai più costruito nulla. Am-bientata nell’alto Medioevo, questa leggenda, come tutte, ha un fondo di storia: a quell’epoca, infatti, la Dora Baltea era costellata di numerosi mulini natanti; forse la rivolta eporediese fu causata dall’ennesima tassa sul macinato, ma il suo ricordo si è tramandato nel tempo attraverso l’imma-gine della vezzosa Violetta che liberò l’intera città.

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sito Internet www.carnevalediivrea.it - sono la Vezzosa Mugnaia, eroina della festa, simbolo risorgimentale di libertà, il Generale con il suo Stato Maggiore Napoleoni-co, il Sostituto Gran Cancelliere, il Podestà garante della libertà cittadina, il Corteo con le bandiere dei rioni rap-presentati dagli Abbà ed i Pifferi e Tamburi. A riempire di colori e profumi la città, vi è poi la famosa e spettacolare Battaglia delle Arance, momento di grande coinvolgi-

mento e forte emozione, rievocazione della ribellione popolare alla tirannia.In segno di partecipazione alla festa tutti i cittadini e i vi-sitatori, a partire dal giovedì grasso, scendono in strada indossando il Berretto Frigio, un cappello rosso a forma di calza che rappresenta l’adesione ideale alla rivolta e quindi l’aspirazione alla libertà, come fu per i protagoni-sti della Rivoluzione Francese.

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Valle d’AostaCarnevale a Etroubles

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Valle d’AostaCarnevale a Etroubles Archivio fotografico AIAT Gran San Bernardo

Maschere, rievocazioni storiche, riti propi-ziatori, antiche leggende del Medioevo. La regione più piccola d’Italia colora le sue cime innevate con le tonalità vivaci dei co-stumi della tradizione carnevalesca. In Val-le d’Aosta, tra gennaio e febbraio Verrès, Pont-Saint-Martin, Nus, Quart e il quartiere Saint-Martin di Aosta, rivivono gli arcaici riti propiziatori dei contadini legati alla fine dell’inverno e all’arrivo della primavera con momenti di aggregazione sociale e diver-timento.A Verrès e Pont-Saint-Martin ritornano at-traverso spettacolari feste popolari con balli, canti e soprattutto bellissimi costu-mi le antiche leggende medievali. Ancora più antico e tradizionale il carnevale della “Coumba Freida” (valle fredda). Sopran-nome legato ali spifferi gelidi che soffiano nella Valle del Gran San Bernardo. Ma in pieno inverno in quelle zone non c’è freddo ma si sente tutto il calore e la passione con

la quale gli abitanti della Valle si dedicano all’organizzazione del carnevale certamen-te più curioso della regione.I costumi tipici di questo spettacolo rievo-cano il passaggio dei soldati al seguito di Napoleone nel maggio del 1800. C’è an-che una lettura più fantasiosa: il carnevale sarebbe nato all’occasione del matrimonio di due sempliciotti già un po’ anziani. Gli abitanti del villaggio avevano deciso di fe-steggiarli e di divertirsi, ma provavano un certo imbarazzo all’idea di presentarsi in chiesa con gli abiti della domenica e de-cisero così di indossare degli abiti inusua-li. Le landzette, bizzarre e per certi aspetti inquietanti maschere di questo carnevale sono costumi colorati e cappelli che ri-cordano le uniformi napoleoniche. Questi abiti costosi, confezionati interamente a mano, sono adorni di perline e paillettes e di specchietti che riflettono la luce e allon-tanano le forze maligne. Il volto delle lan-

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Valle d’AostaCarnevale di Verrès

Ph. Giovanni BoninArchivio fotografico

Comitato Carnevale Storico di Verrès

dzette è coperto da una maschera un tem-po di legno; in mano tengono crine di una coda di cavallo ed in vita hanno una cintura munita di un campanello. Questi ultimi ele-menti vengono interpretati dagli antropolo-gi come strumenti simbolici per scacciare gli spiriti avversi. tutti i comuni della vallata, con varianti più o meno importanti, hanno consuetudini simili. Gli ultimi giorni di car-nevale si svolgono le sfilate ufficiali, ma già nelle settimane precedenti le patoille, piccoli gruppi mascherati, fanno visita alle famiglie per bere, mangiare e scherzare in compagnia. Un carnevale decisamente particolare carico di mistero, storia e tanta stravaganza certamente da scoprire, come consigliano dall’assessorato del Turismo della Valle d’Aosta.A Verrès la festa è una vera e propria rie-vocazione storica di una vicenda del 1449 che vede come protagonista Catherine de Challant, figlia del signore del luogo, che scesa in paese per partecipare alla messa,

si fermò a festeggiare e danzare con la po-polazione. Gesto di sfida nei confronti della famiglia che impediva alla donna di eredi-tare i beni paterni, l’iniziativa altamente de-mocratica viene tuttora rievocata con cortei in costume nelle vie del paese e danze nel-le suggestive sale del medioevale maniero.Cento anni festeggia nel 2010 il Carnevale di Pont-Saint-Martin. Assieme a rievocazio-ne storica e leggende, si uniscono sfilate in costume e serate danzanti, spettacoli pirotecnici e degustazioni per una set-timana di divertimento e suggestivi ap-puntamenti. Nel centro storico viene rie-vocata la “gara delle bighe” che i Romani concessero ai Salassi come rivincita; sul ponte viene invece fatta rivivere la leggen-da della “Ninfa” del Lys che, infuriata con gli abitanti, avrebbe ingrossato il torrente con l’intenzione di distruggere il paese, ma giunta con l’onda nei pressi del ponte romano sarebbe stata persuasa dalla pre-ghiere della popolazione.

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Valle D’Aosta - Carnevale a EtroublesArchivio fotografico AIAT Gran San Bernardo

Alla morte di Francesco di Challant, tutti i suoi averi andarono in eredità alle figlie Caterina e Margherita. Mentre quest’ul-tima, debole e irrisoluta, aveva ceduto i suoi domini alla sorella, quella teneva te-sta a tutti coloro che desideravano la sua ricchezza, aiutata dal marito Pierre Sar-riod, Signore d’Introd. Nel 1450 accadde un fatto tanto insolito quanto sensazio-nale data l’epoca: il 31 maggio, di buona mattina, Caterina di Challant e il consorte, scortati da alcuni uomini armati, scendo-no a Verrès. Dopo aver pranzato presso il Reverendo Pietro de Chissé, prevosto della collegiata di Saint Gilles, scendono nella pubblica piazza sottostante la chie-sa. Al suono del piffero e del tamburo tutti si mettono a ballare e Caterina, lasciato il consorte, danza con la balda gioventù del paese. L’entusiasmo è al massimo, un solo grido echeggia: “Vive Introd et Madame de Challant”.Il ricordo di quel gesto altamente demo-cratico viene tramandato negli anni e nei secoli. Quel fatto rimane nella memoria

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Valle d’Aosta - Carnevale di VerrèsPh. Giovanni Bonin Archivio fotografico Comitato Carnevale Storico di Verrès

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del popolo, al punto che alcuni verrezzie-si decidono di ricordarlo nel periodo di carnevale. Come simbolo di continuità tra passato e presente, ancora oggi, dopo più di 50 anni, il sabato di carnevale, Caterina di Challant accompagnata dal consorte Pierre d’Introd, scende in piaz-za Chanoux per incontrare il popolo. La vicenda si svolge in mezzo allo sfolgorio delle fiaccole, alle note delle trombe e ai rulli dei tamburi. Dopo la presentazione del seguito di nobili, finalmente giunge Caterina che al grido di “Vive Introd et Madame de Challant” balla con un popo-lano. Oggi dal sabato al mercoledì mat-tina, Caterina è la signora incontrastata non solo di Verrès, ma anche del Castello.Il sabato di carnevale, tra lo sfolgorio del-le fiaccole, il rullare dei tamburi, gli squilli delle trombe, il Gran Ciambellano si pre-senta sulla scalinata di Piazza Chanoux,

attorniato da armigeri, arcieri, portaban-diera. Dopo aver annunciato i conti del seguito, che impersonano i nobili della Casa Challant, ecco che appaiono Cate-rina ed il consorte Pierre d’Introd. Come in passato, nell’aria risuona il fatidico gri-do “Vive Introd et Madame de Challant” e la contessa balla con un popolano. Poi il Gran Ciambellano legge il proclama, in-vitando tutti all’allegria e a dimenticare i problemi e gli affanni. La sfilata raggiunge il Municipio dove Caterina riceve i poteri dal sindaco. La schiera di nobili e popo-lani si dirige poi verso il maniero, pronta a trascorrere una lunga nottata tra musi-che e balli. Il giorno seguente, nel primo pomeriggio, si ripete la presentazione e la sfilata di Caterina, poi si sale al castel-lo per un pomeriggio di festa dedicato ai bambini. La sera, sempre al maniero, vie-ne servita la cena, seguita da una serata danzante. Il lunedì, al mattino, la castellana visita i ristori del borgo e si reca alla microcomu-nità. Nel pomeriggio, al castello, sono i bambini di Verrès i protagonisti della fe-sta. Sempre al castello, la sera, si svol-ge la rappresentazione teatrale di “Una partita a scacchi” di Giuseppe Giacosa, seguita da un Gran Galà. L’ultimo giorno di carnevale, il martedì, inizia con la di-stribuzione di polenta, saucisses, fisous, fisous et vin clair de notre, in piazza René de Challant.Nel pomeriggio, si snoda per le vie del borgo una sfilata di gruppi folkloristici e mascherati, carri allegorici, bande musi-cali, sempre accompagnati da Caterina e dal suo seguito. L’ultimo appuntamento del carnevale è il veglionissimo di chiu-sura al castello, serata con ballo in ma-schera.

Valle d’AostaCarnevale des Bosses

St. RhèmyArchivio Fotografico AIAT

Gran San Bernardo

Valle d’AostaCarnevale di Verrès

Ph. Giovanni BoninArchivio fotografico Comitato

Carnevale Storico di Verrès

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di giuseppe rapuano

UN VIAGGIO ARTISTICO-CULTURALE

ATTRAVERSO 7 MILLENNI. UN SUCCEDERSI DI TANTI POPOLI

CHE CARATTERIzzA LA STORIA DEL PAESE.

LA MOSTRA CON I SUOI REPERTI ESPOSTI AL PUbbLICO

COSTITUISCE UNA ANTOLOGIA DELLE TESTIMONIANzE

LASCIATEDA qUESTE VARIE CIVILTà

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DI POPOLIe CULTURE

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Piatto invetriato e sotto la statua più antica del mondo

Una mostra a quello che è ritenuto un Paese tra i più ric-chi di storia nel mondo. Gliel’ha dedicata l’Italia. “Gior-dania: crocevia di popoli e di culture”, l’evento interna-zionale ospitato al Quirinale. Una terra, quella giordana, che è stata al centro di tutte le vicissitudini storiche che hanno plasmato il volto del Vicino Oriente. Agli occhi dei visitatori presentati 60 capolavori risalenti alle varie fasi della storia della Giordania, dal lontano Neolitico fino ai tempi dell’Impero ottomano. Alcune di queste opere - allestite nella Sala delle Bandiere - sono uscite per la prima volta dai musei di Petra e Amman. Un viag-gio artistico-culturale attraverso 7 millenni di storia. Un succedersi di tante civiltà che caratterizza la storia del Paese. La mostra con i suoi reperti esposti al pubblico costituisce una antologia delle testimonianze lasciate da queste varie civiltà.Per illustrare - il Neolitico, periodo di grande sviluppo della Giordania – la scelta è andata su una straordinaria statua risalente all’VIII millennio a.C. Di 84 cm di altezza, è la più grande raffigurazione umana mai rinvenuta in un contesto così antico. È formata da uno scheletro fatto di canne e ricoperto di intonaco; presenta un collo lungo, una vita accentuata, braccia piccole; sulle gambe sono tracciate delle linee verticali di colore arancione. Altre trentadue statue furono scoperte nel 1983 e nel 1985 sul sito neolitico di ‘Ayn Ghazal vicino ad Amman; face-vano parte di due gruppi, ognuno dei quali era sistema-to in una fossa scavata appositamente per accogliere le statue. È probabile che queste statue avessero una funzione cultuale.L’Età del Bronzo. Alla fine del II millennio a.C., Mosè conducendo gli Israeliti verso la Terra Promessa giun-se nella pianura di Moab di fronte a Gerico. Dalle alture del monte Nebo il profeta vide la Terra Promessa e morì prima di potervi entrare. Da Gerico un vaso a forma di uccello con un elemento decorativo che raffigura un serpente e un mirabile scrigno in legno e avorio di fat-tura egizia da Pella sono due dei reperti associati all’Età del Bronzo.Tra i reperti più interessanti che illustrano la storia della Giordania nel I millennio a.C. - l’Età del Ferro vede la nascita dei primi regni locali giordani: il regno ammonita a nord con capitale a Rabbat Amon (Amman), il regno moabita al centro con capitale Dibon ed il regno edomi-ta a sud con capitale Bozra – da ammirare alcune statue di rara bellezza. Si comincia con la statua di un sovrano ammonita rinvenuta nella cittadella di Amman e risalen-te all’VIII secolo a.C. Il personaggio è rappresentato in piedi su una base. Porta un copricapo che ricorda la corona egizia atef. La seconda è una straordinaria testa scolpita nel calcare e coronata dal copricapo egizio atef

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Abdullah II Ibn Al hussein

È con grande orgoglio e soddisfazione che presentiamo la mostra “Giorda-nia: crocevia di popoli e di culture” offerta in omaggio dal Regno Hashe-mita di Giordania alla Repubblica Italiana. Attraverso i millenni, grazie alla sua centralità geografica, la Giordania è stata custode e strumento di diffusione delle civiltà che si sono sviluppate nel Medio Oriente e dintorni.

Gli oggetti in mostra, partendo dal Neolitico fino alla dinastia islamica dei Mamelucchi, di-mostrano il processo interattivo e la trasmissione di memorie dall’antichità remota all’Era

moderna. Sin dal 1927 durante il Regno di mio bisnonno, Sua Maestà il Re Abdullah I, il Governo italiano ha condotto scavi archeologici in differenti parti del nostro Paese, cosa che apprezziamo molto.Ringraziamo Sua Eccellenza il Presidente Giorgio Napolitano per aver ospitato la mostra al Palazzo del Quirinale. “Giordania: crocevia di popoli e di culture” è una veloce panoramica sulla nostra storia e testimonianze dell’eredità che i nostri Paesi condividono.

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ABDULLAH II IBN AL HUSSEIN:

NOSTRA TERRA CUSTODE DELLE CIVILTÀ

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databile a sua volta all’VIII secolo a.C.. L’opera proviene dalla cittadella di Amman. È stata interpretata come la raffigurazione del dio Osiride il cui culto fu molto popo-lare in Giordania ed ebbe grande seguito durante il pe-riodo classico ed ellenistico.Poi arriva l’Ellenismo con Alessandro Magno. Il giovane re macedone nel 333 a.C. sconfisse l’imperatore persia-no Dario III nella battaglia di Issos. Nel 330 il suo impero si estendeva dalla Grecia all’Iran, Giordania compre-sa. Dopo la morte di Alessandro la Giordania entrò a far parte del regno dei Tolomei. Nel 198 a.C. i Seleucidi sottrassero ai Tolomei la Giordania ed imposero un go-verno dispotico. Durante i conflitti tra Israeliani e Seleu-cidi, i Nabatei s’installarono in Giordania e raggiunsero grazie ad una straordinaria capacità commerciale l’api-ce del proprio sviluppo economico. Strapparono Petra agli Edomiti e ne fecero la loro capitale. Petra fu la loro capitale dal III secolo a.C. al 106 d.C. quando il regno dei Nabatei fu inserito da Traiano nella Provincia roma-na d’Arabia. Il sito è attestato presso gli autori classici e bizantini e viene designato sia sotto la forma greca Petra “Roccia” (Diodoro Siculo, Strabone), sia sotto la forma semitica Requem “Multicolore” (Flavio Giuseppe, Eusebio di Cesarea, Stefano Bizantio). La loro cultura era quella aramaica, come dimostra una loro lettera scritta ad Antigono in caratteri siriaci e in lingua aramai-ca. L’aramaico poi continuò ad essere la loro lingua, a giudicare dalle iscrizioni attestate sulle monete, quando la struttura tribale lasciò il posto a quella monarchica.Tra il 64 e il 63 a.C. C. Pompeo Magno conquistò tutta la regione e fondò la Provincia romana di Siria alla quale fu annessa la Giordania. Durante la conquista romana i Nabatei seppero resistere all’invasore. A partire dal 62 a.C., Marco Emilio Scauro accettò un versamento di 300 talenti per togliere l’assedio a Petra. Ottenuta la pace i Nabatei conservarono per intero i loro domini e divennero vassalli di Roma. In quanto alleati dei Romani continuarono a prosperare durante tutto il I secolo d.C. Dai tempi lontani del Paleolitico, oltre 30mila anni fa, al Neolitico intorno all’VIII millennio a.C., all’Età del Bronzo tra la fine del IV e quella del II millennio a.C., al perio-do delle grandi conquiste tanti popoli sono stati attratti dalla Giordania: gli Ebrei nel XII secolo a.C., gli Assiri, i Babilonesi e i Persiani dalla fine del IX secolo al 539 a.C., i Greci con Alessandro Magno nel IV secolo a.C., i Nabatei dal III secolo a.C., i Romani dal 63 a.C. al 395, i Bizantini dal 395 al 629, gli Arabi sin dai tempi di Mao-metto nel 629, gli Omayyadi, gli Abbasidi e i Selgiuchidi fino al XVI secolo ed infine gli Ottomani dal Cinquecento al Novecento.

A partire dall’alto: pendente a doppia spirale con decorazioni

applicate a cupoletta e a granuli, coppa d’oro e iscrizione nabatea

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Il Presidentedella Repubblica Italiana,

Giorgio Napolitano

“Giordania: crocevia di popoli e di culture” ripercorre alcune delle tap-pe più significative della storia di uno dei Paesi più attraenti del Vicino Oriente. Da oltre sette millenni le civiltà rappresentate da sessanta e più capolavori si sono succedute sulle terre dell’odierna Giordania. Dai tempi

lontani del Neolitico intorno all’VIII millennio a.C., all’Età del Bronzo tra la fine del IV e quella del II millennio a.C., al periodo delle grandi conqui-ste, vari popoli sono stati attratti dalla

Giordania. Gli Ebrei, gli Assiri, i Babilonesi, i Persiani, i Greci, i Nabatei, i Romani, i Bizantini, gli Arabi, gli Omayyadi, gli Abbasidi, i Selgiuchidi e gli Ottomani hanno lasciato tracce della loro presenza nei vari strati del Paese.Possiamo quindi dire che la Giordania è stata al centro di tutte le vicissitu-dini storiche che hanno plasmato il volto del Vicino Oriente. Il paesaggio della Giordania è anche entrato nell’immaginario collettivo con i racconti biblici che descrivono la fine delle città di Sodoma e Gomorra, distrutte

forse dagli Amorriti, oppure Mosè, oramai vicino alla morte, che dalle alture del Monte Nebo contempla-va la Terra promessa.Spesso queste civiltà si sono scon-trate. Basti ricordare le distruzioni provocate dagli Amorriti, gli scontri tra Bizantini e Arabi presso Kerak, le Crociate che hanno visto intere armate sotto le rispettive bandiere della Croce e della Mezzaluna af-frontarsi in nome del proprio dio. Tuttavia all’indomani di ogni scon-tro, le tessere del mosaico giordano

si sono ricomposte, facendo del Paese una terra dove soffia lo spirito di tolleranza e dimostrando così che la collaborazione e gli scambi tra popoli che ieri erano nemici riescono sempre a sconfiggere la barbarie.

NAPOLITANO:

TERRA DOVE SOFFIASPIRITO DI TOLLERANZA

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HOMMAGE TO JORDANCROSSROADS OF PEOPLE AND CULTURES

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Italy has dedicated an exhibition on one of the world’s historically most significant countries. “Jordan: Crossroads of People and Cultures”, international event hosted displayed at the Qui-rinal Palace. Jordan is a place that has been at the center of all historical events that have ta-ken place in the Near East. On display are 60 restored masterworks that reach into all times of Jordan’s history, from the ancient times of the Neolithic period up to the more recent Ottoman Empire. Some of those works – displayed in the Hall of the Flags – have for the first time left the museums of Petra and Amman. It is a cultural voyage through 7 millennia of history: a succes-sion of many eras that characterize the history of the land. The exhibition, with its artifacts on public display, constitutes an anthology of the testimonies left by this variegated civilization.As an example, to represent the Neolithic – pe-riod of great development in Jordan, the choi-ce has fallen on an extraordinary statue dating back to the 8th century BC. It is 84 cm high and the largest human representation ever found in a period so long ago. Its skeleton is made up of canes covered by plaster, it shows a long neck, an accentuated waist and small arms: vertical lines drawn in orange can be seen on its legs. Other 32 statues were discovered between 1983 and 1985 at the Neolithic site of ‘Ayn Ghazal clo-se to Amman; they are part of two groups, each of which had been places into a ditch that was dug for the purpose of holding these statues. Most likely these statues had a function within a cult.The Bronze Age. At the end of the second mil-lenium BC, Moses led the Israelites toward the Promised Land and reached the Moab desert opposite Jericho. From the heights of Mount Nebo, the prophet saw the Promised Land but died before he could ever enter it. Two artifacts from Jericho – a vase formed like a bird with a decorative element that suggests a snake and a marvelous container made of wood and ivory, made in Pella by the Egyptians – represent the Bronze Age.During the Iron Age, the first local Jordan king-doms arose: the Ammon kingdom in the North with its capital city Rabbath Ammon (Amman), the Moab kingdom in the center with its capital

city Dibon (Dhiban) and the Edom kingdom in the South with its capital city Bozra. Among the most interesting artifacts illustrating Jordanian history of the first millenium BC are some sta-tues of rare beauty. The first one is a statue of a sovereign that hails from the city of Amman and dates back to the eighth century BC. The person is represented on a pedestal. He carries a he-adpiece that recalls the Egyptian crown called atef. The second is an extraordinary head sculp-tured in clay crowned by a limestone Egyptian atef headpiece, an artifact that dates back to the eighth century BC. This artifact hails from the city of Amman. It has been suggested that it represents Osiris, whose cult was very popular in Jordan and was widely followed during the classical and Hellenistic periods.After these arrive Hellenism and Alexander the Great. The young Macedonian king defeated the Persian emperor Darius III in 333 BC at Is-sos. In 330, his empire extended from Greece to Iran, including Jordan. After Alexander’s death, Jordan became part of the Ptolomaic kingdom. In 198 BC, the Seleucid conquered Jordan from the Ptolomaics and imposed a despotic reign. During the conflicts between Israel and the Se-leucids, the Nabataeans settled in Jordan and reached the height of their economic develop-ment thanks to their extraordinary commercial capacities. They took Petra away from the Edo-mites and made it their own capital city. Petra was their capital from the third century BC until 106 AD, when Trajan annexed the kingdom of the Nabatene into the Roman Province of Arabia. This site was mentioned by classical and Byzan-tinian authors and was called both by the Greek word petra “rock” (Diodorus Siculus, Strabo) as well as by the Semitic requem “multicolored” (Josephus, Eusebius of Caesarea, Stephanus of Byzantium). Their culture was Aramaic, as is demonstrated by a letter written to Antigonus with Syrian characters in the Aramaic language. Aramaic continues to be their language, as nu-mismatic inscriptions attest, when a monarchic type of government replaces the tribal structure.Between 64 and 63 BC, Pompey conquered the entire region and founded the Roman Province of Syria, also annexing Jordan. During the Ro-man conquests, the Nabataeans managed to

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resist the invader. Beginning in 62 BC, Marcus Aemilius Scau-rus accepted a payment of 300 talents to resist from attacking Petra. Having thus preserved peace, the Nabataeans main-tained their entire dominion and became Roman vassals. As they were Roman allies, they conti-nued to prosper during the entire first century BC. From the ancient times of the Paleolithic period, more than thir-ty-thousand years ago, passing the Neolithic around 8000 BC and the Bronze Age between the end of the fourth and the second millenium BC, up until the period of the great conquests

many people were drawn to Jordan: the Hebrews in the twelfth century BC, the As-syrians, the Babylonians, the Persians from the end of the ninth century until 539 BC, the Greeks with Alexander the Gre-at in the fourth century BC, the Nabataeans from the third cen-tury BC onward, the Romans after 63 BC until 395, the By-

zantines from 395 until 629, the Arabs since Mo-hammed after 629, the Umayyad Caliphate, the Abbasid Caliphate, the Great Seljuq Empire un-til the sixteenth century and then the Ottomans from the fifth to the twentieth century.

A crater with panthers. On the right, a painted bottle.

Above a double face head

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It is with great pride and sa-tisfaction that we present the exhibition “Jordan: Crossro-ads of People and Cultu-res”, offered as an homage to Italy by the Hashemite Reign of Jordan. Over mil-lennia, thanks to its central geographic location, Jordan has been custodian and in-strument of diffusion of the civilizations that have deve-loped in the Mideast and the areas surrounding it.

The objects of the exhibi-tion, which range from Neo-lithic artifacts up to those of the Mamluks, demonstrate and interactive process and the transmission of memori-es from antiquity to modern times. Ever since 1927, during the Reign of my great-grandfa-ther King Abdullah I, the Italian government has been excavating archeological si-tes in varies places of our

country – something we ap-preciate very much.We would like to express our gratitude to His Excellency the President Giorgio Napo-litano to have agreed to host this exhibition at the Quiri-nal Palace. “Jordan: Crossroads of Peo-ple and Cultures” is a swift view of our history and is witness to the heredity which tie our countries to-gether.

ABdULLAH II IBN AL HUSSEIN: oUR EARTH AS CULTURAL HERITAGE

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“Jordan: Crossroads of People and Cultures” is an exhibition that shows

some of the most signifi-cant historical moments of one of the Near East’s

most attractive countri-es. For more than seven millennia, the civilizations here presented by over 60 masterpieces have succe-eded one another in what is now known as Jordan. From the far-off times of the Neolithic around the eighth century BC, pas-sing through the Bronze Age between the end of the fourth millenium and the second millenium BC to the period of the great conquests, many people were drawn to Jordan. The Hebrews, the Assyrians, The Babylonians, the Per-sians, The Greeks, the Na-bataeans, the Romans, the Byzantine, the Arabs, the Umayyad, the Abbasid,

the Seljuq and the Otto-mans have left testimonies of their presence within the various strata of the country.We can affirm that Jordan has been at the center of all of the historical events that have shaped the Near East. The landscape of Jordan has also entered the collective imagination through the Biblical stori-es, which describe the cities of Sodom and Gomorrah, possibly destroyed by the Amorite, or Moses, who close to his death from the heights of Mount Nebo contemplated the Promi-sed Land.Oftentimes these civiliza-tions were at war. Suffice to

remember the destruction provoked by the Amorite, the battles between the Byzantine and the Arabs at Al-Karak, or the crusades in which entire armies – some carrying the banner of the Half-Moon, others that of the Cross – destro-yed each other in the name of each one’s god. Each time after a battle, however, the tiles of the Jordanian mosaic have been recomposed, making this land one in which the spirit of tolerance re-mains alive, showing that collaboration and cultural exchange between people that once were enemies will always triumph over the barbaric.

NAPoLITANo: THE EARTH WHERE THE SPIRIT oF ToLLERANCE IS ALIVE

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Panoramica

Di Antonio Di Filippo

La POMPEImedievale

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Il Gioiello baroccoè arroccato

su un altopiano che domina la valle

dell’Asinaro. La sua bellezza

nasce da un evento tragico: il terremoto del 1693,

che in questa parte di Sicilia

portò distruzione e morte, ma, nel contempo,

diede impulso alla ricostruzione

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“Una Pompei Medievale”. Questa la definizione data all’antica Noto dal-lo studioso di fine Ottocento, Carlo Ajraghi. Incantevole Il Parco Arche-ologico dell’Alveria, il sito dell’anti-ca Noto distrutta dal terremoto del 1693, di grande suggestione per l’ambiente, contrassegnato da ulivi secolari sorti in mezzo ai ruderi affio-ranti, alcuni dei quali (necropoli sicu-la, Castello Reale, chiesa dei Gesu-iti, chiesa dell’Eremo) visitabili. Noto è un giardino di pietra ove ad ogni angolo è dato incontrare capitelli, fregi barocchi, chiese e palazzi no-biliari. Esistono città e paesi che con i loro nomi rievocano la purezza e l’armonia dell’arte. Nel 903 (all’epo-ca araba), la Sicilia venne suddivisa in tre Valli (province, circoscrizioni amministrative) e Noto fu preposta a una di esse: Val di Noto.Il Gioiello barocco – città inserita dall’UNESCO nella lista dei Siti Patri-monio Mondiale dell’Umanità - è ar-roccato su un altopiano che domina la valle dell’Asinaro. La sua bellezza nasce da un evento tragico: il terre-moto del 1693, che in questa parte

di Sicilia portò distruzione e morte, ma, nel contempo, diede impulso alla ricostruzione. L’11 gennaio di quell’anno, infatti, la città di Noto, allora sita sul monte Al-veria, fu rasa, così come tante altre città della Sicilia orientale, comple-tamente al suolo da uno spavento-so terremoto. La ricostruzione sullo stesso sito apparve impossibile e, pertanto, si scelse di ricostruirla a circa 14 chilometri verso sud est sul colle Meti. Nasce così l’attuale città barocca, famosa in tutto il mondo.Il Monte Alveria, è un vasto altopia-no isolato da profonde cave che ne determinano la forma a cuore. Nel corso delle diverse campagne di scavi sono stati riportati alla luce e resi fruibili le necropoli sicule del IX secolo a.C., il Ginnasio, gli Heroa e le necropoli di epoca ellenistica, gli ipogei e catacombe del periodo cri-stiano, le fortificazioni e il Castello di impianto medievale, edifici e struttu-re rinascimentali e barocche.Dai palazzi maestosi, con pietra candida e rosata, la città appare come incastonata in un paradiso

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Interno Teatro

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In alto, Chiesa di Santa Chiara

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scenografico di linee e curvature delle facciate, di variegate decora-zioni, di riccioli e volute; mascheroni, putti, parapetti in ferro battuto. Meravigliose le chiese settecente-sche del centro storico, e i fastosi palazzi nobiliari, i Giardini Pubblici, i monumenti civili (Palazzo Duce-zio, sede del Comune, Porta Reale, Teatro). Nelle tre piazze principali si trovano le chiese di San Francesco all’Immacolata, preceduta da un’im-ponente scalinata, il Monastero del Santissimo Salvatore e l’omonima chiesa con la volta affrescata splen-didamente, il Convento di Santa Chiara.Piazza Municipio è la più maestosa e movimentata delle tre piazze: su di essa si erge la Cattedrale dall’ampia facciata, scandita da due campanili, che, dopo la ricostruzione seguita al crollo della cupola avvenuto nel 1996, il 18 giugno 2007 è stata re-stituita alla città e al mondo intero in tutto il suo maestoso splendore. Palazzo Nicolaci è famoso per gli splendidi mensoloni, ogni anno, nel-la terza settimana di maggio, ospita

l’Infiorata.Oltre al barocco e al sito archeologi-co di Noto Antica, sparsi come beni di valore in un vastissimo territorio, le bellezze naturali di questa splendida terra di Trinacria sono tante, con un’infinità di vestigia che i vari popoli e le varie culture che si sono succe-duti sul territorio hanno lasciato.La Riserva Naturale Oasi di Vendica-ri. È una meravigliosa oasi faunistica e avicola, per uccelli migratori. Si possono ammirare molteplici esem-plari di animali, come i fenicotteri, gli aironi, i cavalieri d’Italia, i gabbiani, le cicogne, ma anche i pettirossi, i corvi, le tortore. Nell’oasi vivono an-che volpi, lepri, conigli e ghiri. Ger-mogliano la palma nana, il finocchio di mare, il rosmarino, la ginestra, l’oleandro, il mirto e il gelso. All’inter-no si trova la Torre sveva di Vendi-cari, edificata tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento. Aveva un piano superiore ed è dotata di una struttura fortezza, con archi a sesto acuto, per la guarnigione. Lo spet-tacolo che la riserva naturale offre ai turisti è entusiasmante e unico.

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Le feste religiose. Festa di San Corra-do Confalonieri, patrono della città e della Diocesi: si celebra due volte l’anno (il 19 febbraio, giorno della morte, e l’ultima domenica di agosto, a ricordo della bea-tificazione), con la imponente processione della preziosa Arca argentea del 1584, contenente il corpo del Santo. Processione della Santa Spina (la sera del Venerdì Santo), con la reliquia portata a Noto nel 1225 dalla Terrasanta, seguita dall‘urna di vetro del Cristo Morto e dal-la statua dell’Addolorata. Manifestazione della “Pace” (Domenica di Pasqua), con doppia processione del Cristo Risorto (statua del Seicento) e della Madonna, che si incontrano alle ore 13 dinanzi alla Cat-tedrale, fra marce della Banda, lancio di

colombe e sparo di fuochi di gioia, prose-guendo poi insieme fino a San Domenico. Processione della Madonna del Carmine (16 luglio) con la statua lignea della metà del Cinquecento. Processione del Corpus Domini (domenica successiva alla Pente-coste). Processione dell’Immacolata (8 di-cembre), con statua lignea della metà del Settecento.Le feste civili. Primavera barocca, con mostre, manifestazioni varie e principal-mente l’Infiorata di via Nicolaci (che si tie-ne il III fine settimana di maggio), in cui sorge il Palazzo omonimo, famoso per gli splendidi mensoloni. Agosto Netino (da fine luglio a fine agosto), con concerti sin-fonici al chiostro di S. Domenico, spetta-coli vari in piazza, manifestazioni sportive.

Un Anno di fesTe

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Il Castelluccio nell’Età del Bronzo Antico. In questo sito, nell’Età del Bronzo Antico, si registrò l’insedia-mento di un villaggio preistorico sulla sella dello sperone roccioso. La zona, denominata Cava della Signora, fu esplorata da Paolo Orsi sul finire dell’Ottocento, scavando nel sito del villaggio e nell’area de-gli scarti del materiale artigianale preistorico. Ai lati del monte si apre una vasta necropoli, interessante per le tombe a grotticella artificiale o a forno, dove, secondo il rito del tempo, venivano seppelliti i defunti con i corredi funerari (simili agli usi degli Egizi), costituiti da vasi di ter-racotta a bande scure sullo sfondo chiaro (boccali, bicchieri campa-niformi, fruttiere con il gambo alto, orci, vasetti per unguenti), collane di giada, asce di pietra, coltelli litici con manico d’osso lavorato a globuli ed intarsiato, ossidiana.Di fronte al cancello degli scavi, tra-mite una scaletta si giunge alla Grot-ta dei Santi. La grotta, scavata in pe-riodo bizantino, presenta una pianta circolare con al centro un pilastro

che regge il soffitto, alto due metri. All’interno si trova un ciclo pittorico che va dall’VIII secolo fino al Cin-quecento. Tra gli affreschi eseguiti sul pilastro è pregevole quello della Madonna, significativo il Gesù Cro-cifisso. Le raffigurazioni religiose, all’interno della grotta, sono testimo-nianza della religiosità degli abitanti. Ancor più giù, il turista può visitare la catacomba detta del Ciclope, al cui esterno si rilevano resti di tombe paleocristiane.Le rovine della greca Eloro. Su cui spicca la colonna, di forma quasi cilindrica, alta circa 10 metri, detta Pizzuta o Piliere, che faceva parte dell’area cimiteriale della città. Elo-ro, sorge su una bassa collina, limi-tata ad est dal mare Ionio e a sud dal fiume Eloro (oggi Tellaro). Circa 700 anni prima di Cristo i Corinzi si-racusani edificarono una cittadella militare, poi dotata di una poderosa cinta muraria, nel VI sec a.C. La città fu dotata di un Santuario, dedicato a Demetra e Kore, o Koreion “ex-tra moenia” (VI sec. a.C.), in parte ricostruito nel Museo Civico, poi di

photo © Matrusciano

Balconi in via Nicolaci

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Il mio “Giardino di Pietra”Corrado Valvo, sindaco di Noto, racconta la sua città

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photo © Medica Chiesa dell’Immacolata

Capitale del Barocco, Patrimonio dell’Umanità a seguito del ricono-scimento dell’Unesco, da sempre è stata definita il “Giardino di Pietra”, per l’incommensurabile bellezza e ricchezza dei suoi beni culturali, ritornati da risplendere dopo anni di mirabile e specializzato restauro. Ma oggi Noto non è rappresentata soltanto dalla bellezza delle decine di palazzi nobiliari (Nicolaci, Trigo-na, Landolina, Impellizzeri, solo per citarne qualcuno) e delle tantissime chiese barocche (Cattedrale di San Nicolò, SS Salvatore, Santa Chiara, San Francesco all’Immacolata…). Noto è un esempio di simbiosi tra beni culturali, paesaggio, ambiente e territorio. Un luogo dove si “respi-ra” Cultura, ma dove tutto è basato sull’ ecosostenibilità e sulla valoriz-zazione dell’ambiente.La tutela del paesaggio, unico ed incontaminato, ha fatto diventa-re Noto il baluardo della lotta alle trivellazioni e dell’esaltazione della grande ricchezza che la Natura può imprimere ad un’intera area; Natura che si “respira” immergen-dosi nella riserva naturale orienta-ta di Vendicari, oggi divenuta anche Area Marina Protetta, dove si viene rapiti dai silenzi e dai colori di mi-gliaia di fenicotteri rosa; Natura che si “gusta” con i pro-dotti della enogastronomia di al-tissima qualità (Moscato di Noto d.o.c., Nero d’Avola, mandorla di

Noto, olio degli Iblei, fragoline di bosco ecc.); Natura che “vive” nei percorsi guidati nel Monte Alveria, dove sta nuovamente prendendo vita la Noto Antica, da molti defini-ta la Pompei del Sud; Natura che si “esplora” nell’attraversare i piccoli sentieri che conducono all’interno di cascate, ruscelli e insediamenti rupestri.Questa natura e la sua valorizzazio-ne ha permesso a Noto di ottene-re, unica in Italia, la certificazione europea Quality Coast e il ricono-scimento ambitissimo delle 5 VELE da parte di Legambiente per le bellissime coste e per i servizi resi. La storia culturale di Noto e la sua apertura alle dinamiche del tempo, ha fatto sì che nel suo seno si co-niugasse la folgorante bellezza dei monumenti storici barocchi con il fermento dell’arte contemporanea, attraverso la creazione di Gallerie civiche e Musei di Arte contem-poranea, che ospitano le opere di tantissimi artisti del territorio e di tutto il mondo. L’accoglienza, sem-plice e attenta, della gente netina fa sentire il Viaggiatore parte inte-grante di un luogo unico al mondo e sempre in continuo “movimento”.Venire a Noto e scoprire le sue va-riegate sfaccettature è come in-traprendere un profondo “viaggio emozionale”, dove vengono stimo-lati tutti i sensi, rimanendone per-dutamente innamorati…

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NOTO

un Asklepeion o Sanatorio dedicato al dio Esculapio, con annesso the-saurós (IV sec. a.C.), di un tempio di Demetra (III sec. a. C.), di un piccolo teatro greco (IV sec a. C.), in parte scavato nella collina, a sud, ed in parte costruito in muratura.La Villa del Tellaro. Dimora patrizia romana del IV sec. d.C., distrutta da un incendio. Ne sono stati riportati alla luce gli splendidi mosaici pavi-mentali policromi (scene mitologi-che e di caccia), aperti alla fruizione dal 15 marzo 2008.La catacomba di S. Lucia di Noto. Legata alla tradizione dei martiri Lu-cia e Giminiano, è della fine del III sec. d.C., nella contrada S. Lucia, 25 chilometri a nord di Noto. Accan-to ad essa sono i resti della basilica rupestre di epoca bizantina.Con le sue bellezze architettoniche e culturali, Noto risveglia nei visitato-ri l’idea più alta di ciò che gli uomini d’ingegno hanno prodotto in questo tempio di pietre vive.

Numerose e dal gusto raffinato sono le pietanze netine. Buonis-simi i ravioli di ricotta conditi con sugo di maiale, le taglia-telle, i cavateddi e le lasagne. Tradizionali i ceci e le fave con cotica di maiale. Tra i secondi piatti da assaggiare spicca il co-niglio alla stimpirata. Rinomate sono le scacce (focacce) di fa-rina di grano duro, ripiene con broccoli e salsiccia, con spinaci, con cipolle e pecorino. Nella ric-ca tradizione dei dolci siciliani spiccano i cannoli, le cassatine di ricotta, il biancomangiare, prelibatezze per le quali si utiliz-za la Romana di Noto, mandorla delle colline netine. Ci sono poi i mustazzola, impastati con miele e ripieni di fichi secchi e man-dorle tritate. In una terra con vigneti sempre al sole, non può mancare a tavola l’Eloro Doc, il Moscato di Noto Doc, il Rosso Sicilia Igt.

PIETANZESANE E

GUSTOSE

photo © Befiore Interno Palazzo Nicolaci

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Villa Erba

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di Mario Perrino

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Cultura, arte e turismo che si intreccia-no sul Lago di Como. Per beneficenza. Lusso etico, sobrietà, consumo intelli-gente. È stata E20Como (Associazione senza scopo di lucro) a organizzare, a dicembre, Luxury on the Lake, iniziativa con un forte orientamento charity. Tanti eventi che hanno reso l’appuntamento di Cernobbio, presso Villa Erba - loca-tion ricca di fascino e di bellezza - perfet-to connubio tra antico e moderno.Arte, musica, cultura, sport, auto, bar-che, elicotteri e design, gioielli e orologi hanno illuminato per quattro giorni l’in-cantevole angolo del Lago. Oltre 100 espositori nei 7.500 mq di Villa Erba. Il

vero lusso dell’evento, però, è stata la donazione dei proventi raccolti sia dai contributi degli espositori sia dalla ven-dita dei biglietti di ingresso a Onlus di fama nazionale e internazionale: Asso-ciazione Italiana Sclerosi Multipla, Fon-dazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cisti-ca, Fondazione Giaginto Facchetti per lo Studio e la Cura dei Tumori.Luxury on the Lake è stata anche vetrina per artisti di fama internazionale con le loro originali opere d’arte.Dopo le personali presso il MoMA Mu-seum of Modern Art (New York) e la Pina-kothek der Moderne (Monaco), Jon Gro-om ha esposto una trentina di dipinti. Le

In alto, Dario Ballantini.Sotto a sinistra,

la Fiat 1100S,a destra invece,Matteo Fedele

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CHARITY, CULTURA E LUSSO

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sue opere nascono dall’osservazione dei luoghi. Dei colori, dei paesaggi che hanno suscitato nell’artista emozioni profonde.Uno dei volti più noti della televisione ita-liana, il trasformista Dario Ballantini, in realtà è soprattutto artista: è stato a Villa Erba con alcune sue opere inedite e una selezione tratta dalla recente esposizione Identità Artefatte pre-sentata alla Triennale Bovisa e alla Galleria San Carlo di Milano. Matteo Fedeli, l’uo-mo degli Stradivari, violinista di fama in-ternazionale, a Luxu-ry on the Lake si è esibito in un concerto nel corso della se-rata di gala. Per l’occasione ha utilizzato il violino Antonio Stradivari 1708 ex Adams Collection, strumento che ha fatto parte,

nella sua storia, della celebre raccolta in-sieme a molti altri prestigiosi strumenti di Stradivari.Nella Sala Plenaria i visitatori hanno potuto deliziare i loro occhi e rimembrare il loro passato attraverso l’esposizione di auto storiche (modelli risalenti sino agli anni

’50). Gli appassionati delle quattro ruote hanno avuto la pos-sibilità di ammirare la Fiat 1100S Mille Miglia: un’auto rara, ne esistono solo una ventina di esemplari. Possiede una carroz-zeria originale Sport 8V e ha partecipato a

numerose edizioni della Mille Miglia.Luxury on the Lake, per scoprire il meglio del settore luxury e lifestyle. Per essere protagonisti di una grande iniziativa.

Rappresentantiassociazioni e presidenteE20COMO.Sotto, Villa Erbadi notte

CHARITY, CULTURA E LUSSO ETICO

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NELLA CASA di LUCHino VisConTi

Una location di gran classe per uno degli eventi più pre-stigiosi della stagione. La scelta della storica Villa Erba di Cernobbio come sede di Luxury on the Lake sottolinea ancora più fortemente il contesto di glamour e charity ruotato attorno alle quattro giornate di dicembre. Costru-ita alla fine dell’Ottocento nello sfarzoso stile manieri-sta, Villa Erba è famosa nel mondo, oltre che per la sua splendida posizione ai bordi del Lago di Como, anche per essere stata la dimora della famiglia di Luchino Viscon-ti, nipote del pioniere dell’industria farmaceutica Carlo Erba. Il moderno Centro Congressi sorge accanto alla villa, nel meraviglioso parco dove è possibile effettuare interessanti passeggiate botaniche, tra aiuole multicolore e preziose collezioni di azalee e ortensie.

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Comportamenti “devianti” o poco orto-dossi adottati dagli antichi tra il IV se-colo a.C. e l’epoca medievale nei rituali di trattamento e deposizione dei defun-ti. Sono quasi sempre maschi, giovani adulti di età compresa tra i 25 e i 35 anni, gli arti orrendamente mutilati, i crani asportati o trafitti da chiodi, i corpi sepolti faccia a terra, spesso legati, par-zialmente cremati o devastati in modo cruento. Le chiamano deviant burials, letteral-mente sepolture devianti. Sempre più spesso la ricerca archeologica conse-gna da un passato nemmeno troppo re-moto queste tombe anomale in cui sem-bra sia saltato il nesso di causalità tra

morte e pietà. Si infieriva sul cadavere in modo così brutale per respingere o pre-venire i cosiddetti “revenants”, “coloro che ritornano”.La mostra “Sepolture anomale. Inda-gini archeologiche e antropologiche dall’epoca classica al Medioevo in Emi-lia-Romagna”, allestita al Museo Civi-co Archeologico di Castelfranco Emilia (Modena) (fino al 21 febbraio), illustra una serie di sepolture anomale rinvenu-te durante scavi diretti dalla Soprinten-denza per i Beni Archeologici dell’Emi-lia-Romagna nel Modenese, a Bologna e a Casalecchio di Reno.I reperti scheletrici sono esposti con il proprio corredo, in modo da ricreare la

deviant BurialsTombe anomale in cui

sembra sia saltato il nesso di causalità

tra morte e pietà

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DEVIANT BURIALS

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situazione di rinvenimento delle tombe. Per mettere in luce i riti e le peculiarità di queste sepolture, che vanno dal IV secolo .a.C. al Medioevo, gli archeologi hanno lavorato a stretto contatto con gli antropologi del Laboratorio di Bioarche-ologia e Osteologia Forense dell’Univer-sità di Bologna.Che ci si muova nel multiforme univer-so religioso romano o all’interno della

dottrina monoteista cristiana, queste pratiche poco ortodosse ricorrono car-sicamente nei rinvenimenti archeologici, rivelando una sostanziale necrofobia, legata alla volontà di impedire al cada-vere, in forma corporea o spirituale, di nuocere ai vivi – spiegano gli esperti-protagonisti della scoperta -.La legatura dei cadaveri nella necropo-li di età Celtica, lo strano rapporto tra

si cercava di evitare il loro ritorno ricorrendo

ad impedimenti fisici,legando, inchiodando,

bruciando, mutilando arti e testa, disorientando

il morto per impedirgli di trovare la via di superficie

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A lato,un teschio.Sotto, uno scheletro acefalo e senza piedi

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cremazione e calzature in un sepolcreto romano di II-IV secolo, le mutilazioni ri-tuali, le sepolture prone e altre pratiche post-mortem riscontrate in numerose tombe di età tardo romana, i crani chio-dati di XII secolo rinvenuti in San Pietro a Bologna, non sono altro che le ingegno-se soluzioni inventate dai nostri antenati per proteggersi dai defunti. Si cercava di evitare il loro ritorno ricorrendo ad im-pedimenti fisici, legando, inchiodando, bruciando, mutilando arti e testa, diso-rientando il morto per impedirgli di tro-vare la via di superficie.Non si sa cosa li abbia spinti ad adotta-re nei confronti di alcuni individui misure così drastiche. I racconti popolari narra-no di persone fortemente negative, con una vita spesa ai margini della società: vita che pareva si rifiutasse di abbando-nare il corpo persino dopo la morte.Resta aperto il problema di cosa favoris-se la comparsa di queste entità maligne, come venissero riconosciute e in che modo venissero trattate per far cessare le loro azioni. La nascita di un revenant poteva avveni-re per cause diverse. Per predisposizio-ne individuale, come nel caso di perso-ne socialmente indesiderate, malfattori, stregoni o di religione diversa da quella comunemente praticata; per predestina-zione, come i nati in certi periodi dell’an-no, malformati o con la “camicia rossa” cioè il volto coperto dalla membrana amniotica, caratteristiche che candida-vano al ritorno dall’aldilà; per le partico-lari azioni compiute in vita o per le cause della morte, specialmente se repentina, violenta o suicida; infine per essere stati morsi da un revenant divenendolo essi

stessi, un tema caro alla fiction piutto-sto che alla storia visto che nei racconti folklorici non esiste la figura del vampiro che crea stuoli di fedeli sudditi sempli-cemente succhiando il loro sangue.Al momento del trapasso, su queste persone venivano attuate una serie di strategie atte ad impedire il ritorno dall’aldilà: deposizione nella tomba di particolari oggetti con funzione apotro-paica, sepoltura non canonica (inuma-zione del cadavere legato o in posizione prona), manomissione del corpo con in-serzione di oggetti appuntiti e amputa-zioni di vario tipo, distruzione completa del cadavere tramite cremazione.Ma a volte il Revenant si manifestava a scoppio ritardato, denunciato da una serie di eventi soprannaturali o inspie-gabili che potevano essere attribuiti solo a un’entità malvagia. In questi casi, i ca-daveri dei sospetti venivano riesumati e poiché, a causa della decomposizione in atto, i loro corpi presentavano tutti i segni dell’attività tipica dei non-morti (membra flessibili, bocca aperta, denti scoperti, gonfiori al ventre causati dai gas della putrefazione), si agiva su di essi con una serie di strategie letali, del-la più varia natura.Gran parte di questi riti non lascia tracce a livello archeologico: estrarre il cuore e bruciarlo, percuotere le membra, depor-re spine, rovi, reti da pesca nella tomba sono quasi impossibili da determinare. Ma anche il rimedio più celebre, trapas-sare il cuore con un paletto di legno, può risultare invisibile se non viene sfondato lo sterno del cadavere. Talora invece, di queste pratiche resta traccia sui reperti ossei.

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che si faccia strada verso la superficie), per non parlare della decapitazione, un sistema così appropriato e trasversale da funzionare anche coi santi.La mostra, curata dagli archeologi Luca Cesari, Diana Neri e Jacopo Ortalli e dagli antropologi Maria Giovanna Belca-stro, Valentina Mariotti e Marco Milella, è promossa dal Museo Civico Archeo-logico di Castelfranco Emilia, con il pa-

trocinio del ministero per i Beni e le Atti-vità culturali e dell’Università degli Studi di Bologna, e in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, il Dipartimento di Scienze Storiche dell’Università di Fer-rara, il Dipartimento di Scienze dell’Anti-chità e del Vicino Oriente dell’Università Cà Foscari di Venezia ed il Dipartimento di Chimica dell’Università di Modena.

Per assicurare l’effetto mortale dell’in-tervento, all’azione magico-religiosa si associa spesso l’azione meccanica che avrebbe avuto efficacia anche su un cor-po vivo. Gli oggetti taglienti o appuntiti sono sempre efficaci per fermare un re-venant, così come la disarticolazione o il taglio dei piedi (per impedirgli di cam-minare) o la sepoltura prona (per evitare

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Da sinistra Marco Milella,

Valentina Mariotti, Maria

Giovanna Belcastro.

A destra,un teschio.

Sotto, uno scheletro mutilato degli

arti inferiori

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ARTE e SCIENZA PER INDAGARE

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La Scienza in Piazza 2009photo © Michele Famiglietti

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n vero e proprio science center nel cuore della cit-

tà: chi ascolta può chie-dere, chi guarda può inter-

venire, tutti sono chiamati a fare. La scienza esce dalle

accademie per avvicinarsi ai cittadini, arriva nelle piazze, alla portata

di tutti, spiegata con rigore e con metodologie innovative sia pur attraverso un approccio in-formale. Un centinaio di eventi coinvolgeranno il pubblico di ogni età, in particolare le giova-ni generazioni, e animeranno edifici e luoghi storici: da Palazzo Re Enzo con la sua piazza al cortile d’onore di Palazzo D’Accursio, dalla Sala Borsa a Piazza Maggiore.Tutto questo a Bologna dall’11 al 21 marzo con la V edizione de La Scienza in Piazza. La manifestazione di diffusione della cultura scientifica nel 2009 ha registrato 120mila visi-tatori e 70mila partecipanti attivi alle iniziative didattiche e sperimentali.Ideata nel 2005 dalla Fondazione Marino Go-linelli e realizzata da due anni con la collabo-razione del Comune di Bologna, La Scienza in

Piazza porta quest’anno come novità il con-nubio tra scienza e arte, discipline che si in-contrano e attraverso processi affini contribui-scono a indagare la realtà. La scelta di questo tema anticipa l’evolversi della manifestazione che nel 2011 prenderà il nome di Arte e Scien-za in Piazza.«L’arte e la scienza – osserva Marino Golinelli, presidente dell’omonima Fondazione - hanno in comune una radice fondamentale: la curio-sità intelligente nei confronti del mondo. En-trambe sono infatti modi per andare oltre la realtà immediata delle cose: come l’arte non è un semplice “vedere”, così la scienza trova spiegazioni che quasi sempre contraddicono il senso comune».Collaborazioni sono attivate con alcune pre-stigiose istituzioni culturali e scientifiche inter-nazionali, tra cui la Collezione Peggy Guggen-heim (Venezia), l’Ars Electronica di Linz, oltre a importanti musei come la Città della Scienza di Napoli e gallerie d’arte e collezionisti d’Italia e di tutto il mondo.Due le sezioni in programma de La Scienza in Piazza: Arte + Scienza e Science Center.

UVietato non toccare e non partecipare

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La Scienza in Piazza 2009photo © Michele Famiglietti

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ARTE+SCIENZA “Antroposfera, nuove forme della vita”, rassegna sperimentale a cura di Gio-vanni Carrada e Cristiana Perrella. In mostra una quindicina di opere d’arte contemporanea ispirate alla scienza e alla tecnologia, ciascuna delle quali ac-compagnata da un exhibit dedicato al tema scientifico correlato. Per i dialoghi dell’arte e della scienza, incontri di ap-profondimento coordinati da Philippe Daverio, presenti lo storico dell’arte Flavio Caroli e il neuroscienziato Vitto-rio Gallese, il filosofo della scienza Giu-lio Giorello e lo storico dell’arte Eugenio Ricomini e il neuroscienziato Lamberto Maffei.

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Prevede attività organizzate in 5 macro-contenitori tematici: Scienza e coscienza: esplorando il cervello, alla scoperta dei meccanismi della mente umana che ne regolano il funzionamento, con la possibilità per il pubblico di sottoporsi a esperimenti di stimo-

lo e risposta. Nuove scienze e tecnoscienze propone spazi espositivi e laboratori dedicati agli studi genetici e biomolecolari, alle nanotecnologie, alla manipolazione di materiali su scala atomica o molecolare e alla robotica. Si fa presto a dire ambiente! mostre, exhibit e laboratori per sensibilizzare i visitatori su temi di stretta attualità quali il risparmio energetico, il riscal-damento globale e i cambiamenti climatici. Ovunque Scienza, mostre, laboratori ed esperimenti in cui è vietato non toccare e non partecipare.

SCIENCECENTER

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LA SCIENZA IN PIAZZA 2009photo © Michele Famiglietti

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Due perle architettoniche costruite in armonia con l’ambiente naturale la cui forza è racchiusa nelle pietre lavorate a mano, nei ballatoi di legno e nelle piccole corti. Artisti e pittori famosi definirono i borghi della Val Colvera “luoghi magici e ispiratori”, tanto che prediligevano le case in pietra e legno come ri-fugi dove poter elaborare le proprie opere d’arte e chi per la prima volta attra-

verserà le stradine di que-sti paesi del pordenonese non potrà che condividere questa opinione. Stiamo parlando di due stupendi siti del Friuli-Venezia Giu-lia: Frisanco e Poffabro.Ancora vive e tramanda-te nei secoli le leggende e tradizioni di terre popo-late da gnomi, creature dell’acqua e streghe. I vi-sitatori che si recano per le strade di Frisanco e Pof-fabro sentono ancora rac-contare queste storie che mantengo sempre intatto il loro fascino. Frisanco è un comune che fa parte della fascia pedemontana del Friuli occidentale, fa-cilmente raggiungibile da Pordenone e il cui nome deriva da un nome proprio di persona di origine ger-manica, Freidank, citato in un documento notarile del 1293.Poffabro – da prafabrorum, “prato dei fabbri”, è men-zionato in una sentenza

Le terre degli gnomi

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LE TERRE DEGLI GNOMI

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arbitrale del 1339. Un do-cumento notarile del 1357 riporta notizie sulla deci-ma di Pratum Fabri che il signore di Maniago lasciò in eredità al figlio - frazione di Frisanco, è il primo pa-ese della regione a essere stato inserito nella ristretta cerchia dei “Borghi più bel-li d’Italia”. Passeggiando sotto gli archi di pietra e tra i vicoli acciottolati, si resta incantati dall’armonia delle costruzioni con lo scenario circostante e dall’impianto cinquecentesco delle sue abitazioni. La pianta di queste abitazioni-gioiello segue uno schema comu-ne: al pianterreno cucina e dispensa, al primo pia-no le camere, al piano più alto fienile e granaio. Non mancano, inoltre, alcune abitazioni a loggia e a Fri-sanco un palazzo del XVII

secolo, Palazzo Pognici, che domina la piazzetta omonima.In ricordo dei contadini friulani, un museo real-mente unico “Da li’ mans di Carlin”. Con un lavoro durato trent’anni Carlin, un anziano della Val Colvera ha pazientemente ricostru-ito in miniatura (scala 1:10) tutta la civiltà contadina della vallata ormai quasi scomparsa. Con un’ope-ra di maestria e pazienza assoluta, sono state rea-lizzate case, il mulino, bot-teghe artigiane, la chiesa, la scuola e altri edifici con una precisione estrema nei dettagli dell’arredamento,

dei materiali e modi di co-struzione. Il visitatore reste-rà stupefatto ammirando il frutto della passione di un autentico artista di miniatu-re.In Val Colvera i borghi sono vivi. I balconi si sono ani-mati di fiori, le case hanno cominciato a riempirsi di giovani coppie e di grida gioiose dei bambini che qui riescono ancora a giocare sotto gli sguardi attenti dei nonni e dei genitori. Una terra ricca di tradizioni mai dimenticate; manife-stazioni culturali e gastro-nomiche che hanno fatto conoscere la vallata oltre i confini regionali.

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OCChIO E PALATOChi vuole arricchire le proprie esperienze di viaggio e trascorrere qualche giorno a Poffabro e Fri-sanco ha la possibilità di fermarsi al “Da lis mans dal Carlin”, una riproduzione in scala della vita del paese nel secolo scorso.

Cìè la manifestazione “Paesi Aperti” nella prima domenica di settembre e nel periodo natalizio “Poffabro presepe tra i presepi” (dal 13 dicembre al 10 gennaio). Per deliziare il palato bisogna gustare la cucina povera ma im-

preziosita dalle erbe aromatiche di montagna, quella delle valli del Pordenonese.Tipico è il frico, formaggio di sala-moia fritto in padella; appetitose anche la brovada e muset (rape alla vinaccia con cotechino) e tutte

le specialità di selvaggina. Ottimi gli insaccati e infine la pitina, tradizionale impasto di carne ma-cinata e aromatizzata che viene conservata affumicata e può essere consumata cruda o cotta.

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Campanile di Val Montanaia

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LE TERRE DEGLI GNOMI

Frico

Pitina

Brovada e Muset

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