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MARTEDÌ 29 LUGLIO 2008

DIARIODI REPUBBLICA

E’il nucleare la ri-sposta alla crisidell’energia? An-zitutto, bisognacapire di cosastiamo parlan-

do. Se il problema è il pieno della vo-stra macchina, il nucleare non puòfare nulla. L’Italia potrebbe esserelastricata di centrali atomiche, ma,fino a quando non ci saranno in gi-ro centinaia di migliaia di auto elet-triche, il problema del pieno resteràil problema del petrolio, che è unapartita diversa e indipendente dalnucleare. L’energia che può fornirel’atomo, invece, è l’elettricità. E,pur se non serve per auto e aerei, an-che l’elettricità che alimenta i vostricondizionatori, le vostre lampadi-ne, i vostri televisori è un problemafondamentale dei prossimi decen-ni. Secondo l’Aie, l’agenzia per l’e-nergia dell’Ocse, l’organizzazioneche raccoglie i paesi industrializza-ti, i consumi di elettricità sono de-stinati a raddoppiare o triplicare, daqui al 2050. Ma nessuno sa comeprodurre questi kilowatt. Il gas, cheè oggi il combustibile cui più si ri-corre per far funzionare le centrali,ha riserve, anch’esse, limitate e for-nitori (Russia, Algeria, Qatar, Iran)che molti ritengono poco affidabili.Soprattutto, il gas produce anidridecarbonica. Nessuna lotta all’effettoserra sarebbe possibile, con un ri-corso sempre più massiccio al me-tano.

Secondo molti, questo fa del nu-cleare una ricetta vincente. Il com-bustibile che alimenta le centralicosta relativamente poco e l’im-pianto non produce neanche ungrammo di Co2. Ma quella ricetta è,probabilmente, solo un’illusione.In uno scenario, disegnato dallastessa Aie per far fronte ai bisogni dielettricità al 2050, si ipotizza uncontributo del nucleare, con la co-struzione di un migliaio di nuovecentrali (metà destinate a sostituirequelle oggi già in funzione), al ritmodi una trentina l’anno. Una corsamozzafiato: secondo Charles Fer-guson, dell’autorevole Council forForeign Relations americano, l’in-gorgo di appalti e commesse che nederiverebbe farebbe salire i costidelle centrali a livelli insostenibili.In più c’è il problema uranio. Gli im-pianti nucleari ne consumano po-co, ma, anche così, ai ritmi attuali diproduzione, le riserve mondiali du-rerebbero 70 anni. Con un numerodoppio di centrali, si esaurirebberoin 30-40 anni, lasciando a secco ireattori. Infine, anche mille centra-li nucleari ridurrebbero la Co2 nel-l’atmosfera solo del 6 per cento.

Se l’atomo non è la bacchettamagica per risolvere il problemaelettricità, questo non significa chenon possa fornire un contributo piùlimitato, ma significativo. Ancheperché, accanto al costo del com-bustibile e all’assenza di effetto ser-ra, il nucleare ha un terzo punto diforza: è un matrimonio perfetto conle energie rinnovabili. Vento e soleproducono molta energia, quandoc’è molto vento o molto sole. Zero,quando non ce n’è. Per far funzio-nare, in qualsiasi condizione, con-dizionatori e televisori devono,perciò, essere affiancate da unafonte di energia in grado di fornireuno zoccolo di produzione costan-te, come quella delle centrali nu-

si con realtà nucleari più importan-ti, come la Gran Bretagna, si trova-no di fronte ad una bolletta di 100miliardi di euro per la sistemazionedelle centrali ormai obsolete.

Allora, il nucleare è un vicolo cie-co? Niente affatto. I reattori attual-mente allo studio, quelli di quartagenerazione, dovrebbero risolverealmeno due dei problemi che in-contra oggi una strategia nucleare.Siccome utilizzano più a fondo ilcombustibile, hanno bisogno dimeno uranio e producono menoscorie. Il problema è che non saran-no, probabilmente, disponibili pri-ma del 2030. Troppo tardi, per chipensa che sia necessario affrontareil probabile buco di elettricità di-sponibile, già con le centrali nu-cleari nel 2020. Troppo presto, perchi pensa che quelle centrali del2020 diventerebbero obsolete nelgiro di soli dieci anni.

Ma c’è un altro inciampo sullastrada del nucleare subito e co-munque. E non ha niente a che ve-dere con le paure per la salute e lepreoccupazioni per l’ambiente. E’il costo della strategia nucleare. Intermini economici, infatti, i puntidi forza del nucleare si traducono indebolezze. In una centrale a gas ilcosto fondamentale è quello delcarburante, che incide solo per il 5per cento nel bilancio di una cen-trale atomica. Il parametro fonda-mentale, in questo caso, è il costo dicostruzione: il reattore deve vende-re i suoi kilowattora ad un prezzosufficiente a ripagare l’investimen-to fatto per costruirlo. Qual è questoinvestimento? La cifra che circolafra gli industriali del settore è anco-ra di 2 miliardi di euro per una cen-trale da 1000 Megawatt. Ma uno deipiù importanti fra loro – Wulf Ber-notat, leader di E.On, uno dei gi-ganti europei del settore – dichiarache il costo reale è, ormai, quasi ildoppio: 3,5 miliardi di euro. Secon-do Moody’s, una delle agenzie di ra-ting che sarà cruciale nel renderedisponibili i finanziamenti dellenuove centrali, è di 4,6 miliardi dieuro. Secondo un gigante america-no, impegnato nella progettazionedi nuove central i , FloridaPower&Light, si arriva a 5,2 miliar-di di euro. Qui, il problema non èsoltanto se l’Italia, per dotarsi didieci centrali da 1000 Megawatt,debba impegnare 20, 35, 46 o oltre50 miliardi di euro. Il punto è chequel costo vincolerà anche le futu-re bollette. Una centrale nucleare è,economicamente, rigida. Non sipuò spegnere, come un impianto agas o eolico: deve sempre funziona-re al 90-95 per cento della capacitàe vendere la sua produzione ad unprezzo sufficiente a ripagare l’inve-stimento, almeno per 15-20 anni.Altrimenti, va in perdita, come èsuccesso per le centrali inglesi, arri-vate alla bancarotta negli anni ’90.Infatti, i sostenitori del nucleare co-minciano a parlare della necessitàdi assicurare “stabilità dei prezzi”.In un mondo, quello dell’energia,in continua evoluzione (sole, ven-to, carbone pulito) è un impegnodifficile da onorare. Presuppone unaccordo tra i produttori (cioè uncartello) o un calmiere statale (unanazionalizzazione mascherata).Può darsi che, alla fine, il kilowatto-ra nucleare si riveli il più economi-co. Ma potrebbe anche rivelarsi ilpiù costoso, fuori mercato. Dopo lasicurezza e le scorie, è la terza scom-messa che il nucleare deve vincere.

ANGELO

BARACCA

L’Italia tornaal nucleare?I costi,i rischi,le bugieJaca Book2008

A volteritornano: ilnucleareJaca Book2005

GWYNETH

CRAVENS

Il nuclearesalverà ilmondoMondadori2008

CHICCO

TESTA

Tornare alnucleare?L’Italia,l’energia,l’ambienteEinaudi 2008

PASCAL

ACOT

Catastroficlimatiche edisastrisocialiDonzelli 2007

JAMES

LOVELOCK

Solo l’atomoci può salvareUtet 2007

La rivolta diGaiaRizzoli 2006

ANTHONY

GIDDENS

L’Europanell’etàglobaleLaterza 2007

JOSEPH E.

STIGLITZ

Laglobalizzazioneche funzionaEinaudi 2007

GIANCARLO

NEBBIA

Nucleare: ilfrutto proibitoBompiani2007

LIBRI

Se dentro l’energiasi nasconde un demone

NUCLEARE

Perché nel movimento ambientalista è così diffusal’ostilità verso l’energia nucleare? Ci sono ragionivalide, ovviamente, per essere contrari alla diffu-

sione dell’energia nucleare, ma questa ostilità deriva inparte da un disagio istintivo nei confronti della scienzae della tecnologia, che non tiene conto del fatto chescienza e tecnologia dovranno avere un ruolo centralenella risoluzione dei problemi ambientali…

L’energia nucleare sarà probabilmente oggetto di in-vestimenti, a prescindere dalle obiezioni degli antinu-clearisti. È molto importante ragionare su quali sareb-bero le implicazioni a livello europeo. La sicurezza dellecentrali nucleari è un problema che non riguarda solo ipaesi in cui sono situate. Una misura auspicabile sareb-be l’istituzione di un sistema di autorizzazioni paneuro-peo, che tenga conto degli standard di sicurezza con-cordati e della possibilità di aiuto reciproco se una cen-trale dovesse essere colpita da un attacco terroristico.

SILLABARIO

NUCLEARE

ANTHONY GIDDENS

Si discute in Italiae nel mondo se le centrali a uranio

siano la risposta alla crisi energetica. Quelle esistenti

presentano dei rischie dei costi. Quale scenario è possibile?

Non esiste la bacchetta

magica per risolvere

il problema della crescente

necessità di energia

elettrica. Ma dall’atomo

può venire un aiuto

Bacchetta magica

I reattori di quarta generazione

utilizzano meno uranio

e producono meno scorie

Ma non saranno disponibili

prima del 2030. Troppo tardi

per l’attuale carenza di energia

Troppo tardi

IN COPERTINALa copertinadelsettimanaleamericanoTime del9 aprile 1979dedicataall’“incubonucleare”dopol’incidente allacentrale diThree MileIsland, inPennsylvania

■ 36DIARIODI REPUBBLICA

Gli autori

IL SILLABARIO di Anthony Giddens ètratto da L’Europa nell’età globale (La-terza). Jan Beraneck è coordinatore in-ternazionale della campagna sul nuclea-re di Greenpeace. Richard K. Lester èprofessore di ingegneria nucleare alMassachusetts Institute of Technology.

I Diari online

TUTTI i numeri del “Diario” di Repubblicasono consultabili su www.repubblica.it,cliccando dalla homepage sul menuSupplementi. Qui i lettori troveranno tut-te le uscite dell’inserto con le paginecomprensive delle illustrazioni.

MAURIZIO RICCI

cleari. Per celebrare questo matri-monio, però, l’atomo dovrebbe su-perare due ostacoli che, da decen-ni, gli appesantiscono il decollo. Ilprimo è la sicurezza. I nuovi reatto-ri sono molto più sicuri di quelli co-struiti negli anni ’80: meno inciden-ti, molto più limitati. Ma il concettodi sicurezza, per il nucleare, non è lostesso che si applica agli altri im-pianti. Una centrale a gas cheesplode si traduce in una palla difuoco che incenerisce centinaia dimetri tutto attorno e, forse, provo-ca qualche decina di vittime. Pun-to: il disastro si ferma qui. Un inci-dente in un impianto nucleare hamolte meno probabilità di verifi-carsi, ma quella probabilità mini-ma potrebbe avere effetti catastro-fici a livello globale. Ne abbiamoavuto un piccolo assaggio, in questigiorni, alla centrale francese di Tri-

castin, dove un modesto incidenteha fatto scattare, fra l’altro, l’allar-me falde acquifere, con il divieto diutilizzare l’acqua potabile. La pos-sibilità di una fuoriuscita radioatti-va sarà remota, ma i suoi effetti im-prevedibili, incontenibili, deva-stanti. Il secondo problema sono lescorie, il residuo del lavoro del reat-tore. Nonostante 440 centrali ope-ranti nel mondo, nessuno ha anco-ra risolto il problema del loro stoc-caggio. Le soluzioni trovate finorasono solo temporanee. Ad un costodi cui si parla poco, ma che è pesan-te. L’Italia sta spendendo 300 milio-ni di euro (cioè il 15 per cento diquanto costerebbe, nel caso più ot-timistico, una nuova centrale) soloper sistemare provvisoriamente lescorie prodotte dai piccoli impian-ti atomici, in funzione negli anni’80, a Trino, a Caorso, a Latina. Pae-

Repubblica Nazionale

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SINDROME

CINESE

Uscito nellostesso annodel disastro diThree MileIsland,racconta diunatelecronista edel suocameramanchedenuncianoun pericolosoguasto allacentralenucleare diHarrisburg, inCalifornia.Terzetto distar: JaneFonda,MichaelDouglas eJackLemmon.Di JamesBridges, 1979

SILKWOOD

KarenSilkwood,operaia in unafabbrica dimaterialeradioattivo,raccoglie undossier chedenuncia ilcattivofunzionamento dellostabilimento.Morirà in unincidentepoco chiaro.Con MerylStreep. Dauna storiavera.Di MikeNichols, 1983

CHERNOBYL

UN GRIDO

DAL MONDO

Il disastronucleare diChernobylraccontato inun docudramacon castd’eccezione:Jon Voight,JasonRobards,Sammy DavisJunior.Di AnthonyPage, 1991

FILM

LE CENTRALI

Nel 1954 è inaugurata lacentrale nucleare di Obninsk(Urss), nel ’56 quella di CalderHall (Gran Bretagna) e nel ’57quella di Shippingport, inPennsylvania, il primoreattore commercialestatunitense

LA CRISI PETROLIFERA

La crisi del ’73 ha un forteimpatto sulle politicheenergetiche. Francia eGiappone iniziano a investiresul nucleare, che oggifornisce rispettivamente l’80per cento e il 30 per centodell’energia di questi paesi

GLI INCIDENTI

Dopo l’incidente nel 1979 diThree Mile Island (Usa) e ildisastro di Chernobyl, inUcraina, nel 1986, sisviluppa nel mondo unmovimento contro il nuclearee in favore dell’utilizzo difonti energetiche alternative

NEL MONDO

In Austria (1978), Svezia(1980) e Italia (1987) unreferendum blocca l’utilizzodel nucleare. Francia eFinlandia perseguonoprogrammi nucleari.Attivissimi nel settore sonoGiappone, Cina e India

OGGI

L’incidente nella centrale diTricastin in Francia e il progetto del governoItaliano di costruire nuoviimpianti nucleari riapre ildibattito su rischi e vantaggidel ritorno all’atomo comefonte di energia

«Proviamo ad accantonare per un momento il pro-blema sicurezza, un motivo già più che sufficienteper evitare l’avventura nucleare. Parliamo solo divantaggi economici, partendo dalla premessa che

occorrono alternative ai combustibili fossili per rallentare il cam-biamento climatico. Ebbene, da questo punto di vista, io dico cheinvestire in centrali atomiche è un autogol: vuol dire sottrarre ri-sorse preziose allo sviluppo e al miglioramento delle tecnologieche sono disponibili oggi e che, oggi, possono dare risultati bensuperiori a quelli ipotizzabili con il nucleare». Jan Beranek, coor-dinatore internazionale della campagna sul nucleare di Green-peace, parte da una premessa inusuale nelle argomentazioniecologiste: la convenienza economica.

Eppure proprio la necessità di rallentare il riscaldamentoglobale ha convinto qualche ambientalista ad aprire all’atomo.

«A livello globale l’atomo soddisfa solo il 6,5 per cento del fab-bisogno energetico, o meglio il 2 per cento calcolando che dueterzi dell’energia prodotta è calore che si perde. Immaginiamoun formidabile sforzo in questo settore, immaginiamo addirittu-ra di raddoppiare i 439 reattori attivi nel mondo. Ebbene, a fron-te di questo scenario, carico di rischi dal punto di vista della sicu-rezza, delle scorie, degli attacchi terroristici, il risultato sarebbemodesto. Anche costruendo un impianto nucleare ogni due set-timane da oggi fino al 2030 il taglio delle emissioni serra non ar-riverebbe al 5 per cento. E le sembra uno scenario verosimile?»

Un 5 per cento di emissioni in meno non è eccitante ma nep-pure trascurabile.

«Dipende dalle alternative. Oggi è in gioco una torta enorme:entro il 2030 si spenderanno quasi 5 mila miliardi di euro per co-struire impianti capaci di dare elettricità. Le risorse ci sono: biso-gna spenderle bene. Il piano che noi abbiamo elaborato, basatosu un forte rilancio delle fonti rinnovabili, dà risultati molto mi-gliori rispetto alla scelta nucleare. Per ogni dollaro investito in ef-ficienza energetica si risparmia 7 volte più anidride carbonica diquella evitata con un dollaro investito sull’atomo, e senza rischi».

L’efficienza può dare un grande contributo, ma bisogna pro-durre l’energia da usare bene.

«Raddoppiare la capacità nucleare, installando 500 gigawatt dinuova potenza, costerebbe più di 2 mila miliardi di euro, oltre ildoppio di quanto occorre per realizzare una potenza equivalen-te da fonti rinnovabili, che oltretutto non dipendono da una ri-sorsa limitata come l’uranio».

E se si investisse sia sulle rinnovabili che sul nucleare?«Rispondo citando un caso emblematico: la centrale di Olki-

luoto, in Finlandia, il primo reattore di terza generazione. Non gliambientalisti ma la Iea, International Energy Agency, nel 2004aveva avvertito il governo finlandese che ogni ritardo nella co-struzione di quell’impianto avrebbe minato la capacità di rispet-tare gli impegni di taglio dei gas serra. Quel rischio è oggi diven-tato una realtà. Nell’ottobre 2007, dopo 30 mesi di cantiere, il ri-tardo era di 30 mesi. Il che, calcolando che il prezzo del chilowat-tora nucleare è fortemente influenzato dal costo di costruzionedel reattore, ha già comportato un extra costo di 1,5 miliardi dieuro. In conclusione quella centrale non entrerà in funzione intempo per rispettare gli impegni di Kyoto e la sua travagliata co-struzione, secondo le dichiarazioni dell’ex ministro dell’Am-biente finlandese Satu Hassi Mep, ha sottratto energia e fondi al-lo sforzo a favore delle rinnovabili che invece si possono realiz-zare in tempi brevissimi».

Una quota di nucleare potrebbe comunque essere utile perdiversificare le fonti e garantire la produzione di elettricità.

«Per garantire la fornitura di elettricità occorre uno scenarioopposto a quello super centralizzato e militarizzato degli Statiche sposano il nucleare: ci vuole una produzione diffusa e capil-lare basata sulle varie forme di energia solare, comprese biomas-se ed eolico, che nessuno può far venir meno. Con il nucleare,sempre rimanendo al solo campo economico, il rischio è doppio.Innanzitutto le riserve di uranio conosciute e stimate bastano per70 anni e ovviamente il tempo si dimezza se gli impianti raddop-piano. Poi, come dimostra il terremoto che ha messo fuori giocoda un anno i sette reattori di Kashiwazaki-Kariwa che fornisconoil 6-7 per cento dell’elettricità utilizzata in Giappone, affidarsi aimpianti strutturalmente precari è sbagliato proprio dal punto divista della sicurezza dell’approvvigionamento energetico».

Perché le centrali sono poche. Se si moltiplicassero?«Il nucleare è un treno che sta rallentando sempre di più: la cre-

scita della capacità produttiva frena vistosamente di decennio indecennio. Da 29 anni negli Stati Uniti nessun reattore è stato ordi-nato. E, nonostante gli incentivi pubblici voluti da Bush, i prestiti fe-derali garantiti e i contributi assicurativi versati, secondo Moody’squello sul nucleare resta un investimento non affidabile».

■ 37

La speranza di fonti alternative

poggiava sul nucleare, ma oggi

quella speranza sta svanendo

Entropia, 1980

Jeremy Rifkin

Hai visto i politici? Tutti dicono

di sì alle centrali nucleari.

Questo sì, che lo pretendono

I mari del sud, 1979

Manuel V. Montalbán

Con gli incidenti nucleari si

creano nuovamente “zone grigie”,

monumenti a ciò che ci minaccia

La società del rischio, 1999

Ulrich Beck

26 APRILE 1986

La centrale nucleare di Chernobyl dopo l’esplosionedel reattore numero 4. Sotto, l’impianto nucleare di Dounreay, nel nord della Scozia, in una fotografiadel 1957

Le tappe

Intervista al professore del MIT

IL DESTINOENERGETICO

L’ATOMONON BASTA PIÙ

RICHARD K. LESTER

Parla Jan Beranek “Un investimento poco affidabile”

ANTONIO CIANCIULLO

Nell’affrontare il tema dell’innovazione tecnologicanel settore energetico e degli strumenti politici peraccelerarla, è necessario fare tre premesse. La prima:pur essendoci stati molti progressi e notevoli investi-

menti nello sviluppo di tecnologie pulite, gli sforzi sono benlontani da quel che occorre per una vera soluzione.

La seconda premessa riguarda il futuro del nucleare e del-l’elettricità ottenuta bruciando il carbone e raccogliendone leemissioni inquinanti. Il nucleare e il carbone sono tutt’altroche popolari: alcuni non le considerano affatto tecnologie pu-lite. Ma senza uno sviluppo su larga scala di entrambe, soprat-tutto nel periodo tra il 2020 e il 2050, è improbabile – anzi, nonplausibile – che il mondo riesca ad evitare i disastri ecologici edeconomici legati al cambiamento climatico: anche se, ovvia-mente, si dovrà trovare un modo più sicuro di gestire le scorieradioattive, che vada al di là dell’esperienza americana a Yuc-ca Mountain, e un modo più economico di catturare le emis-sioni di carbonio.

L’ultima premessa è che non esiste una soluzione unica emiracolosa ai nostri problemi. Dovremo certo usare l’energiain maniera più efficiente, ma non possiamo rinunciare al con-tributo crescente dell’energia del sole, del vento, delle bio-masse e del nucleare, oltre che delle tecnologie avanzate neicombustibili fossili.

A meno che non ci sia una lunga e dolorosa recessione, la do-manda energetica globale è destinata a raddoppiare primadella metà del secolo, e quella di elettricità addirittura tripli-

cherà, perché centinaia di milioni di persone stanno uscendodalla povertà grazie allo sviluppo economico. E così, mentre ri-marremo per qualche decennio dipendenti dal petrolio delGolfo Persico e dovremo affrontare prezzi in rialzo – non tantoper la speculazione quanto per la domanda globale – saremoanche tormentati dai dilemmi del cambiamento climatico.

Se questo è lo scenario, non possiamo permetterci il lusso didire che, in termini di fonti energetiche, siamo contro questoo contro quello. Occorre invece accelerare l’introduzione e l’u-so di nuove tecnologie energetiche, tenendo conto che l’inno-vazione non può essere lasciata unicamente alle forze del mer-cato perché l’incentivo del profitto non è sufficiente. Sono fat-tori esterni alla logica privatistica, infatti, come la sicurezzadelle fonti energetiche e le questioni ambientali, a imporci lasvolta.

Ci vuole una politica molto più ambiziosa: qualcuno ha ipo-tizzato qualcosa di simile al Manhattan project, che portò allacostruzione della prima bomba atomica, o all’Apollo program,che mandò l’uomo sulla Luna. Ma erano iniziative circoscrit-te, specifiche, in gran parte segrete, mentre io suggerisco diusare invece la metafora di un piano Marshall applicato all’in-novazione nel campo energetico, che veda un ruolo di leader-ship del governo federale americano e che sostenga lo sforzoin vari modi: aiuti diretti, incentivi, regolamenti, ricerca pub-blica e privata, istituzioni universitarie.

Nei prossimi decenni centinaia di miliardi di dollari di inve-stimenti, soprattutto privati, dovranno essere canalizzati inquesta direzione. Superando le inevitabili controversie, biso-gnerà rendere disponibili centinaia di siti per la costruzione dinuove centrali. Occorrerà formare decine di migliaia di giova-ni ingegneri specializzati in sistemi energetici. E tutto questosenza dimenticare che negli ultimi trent’anni l’innovazione èstata carente, e che quindi si dovrà puntare a un capovolgi-mento del sistema che, in modo creativo e rigoroso, e con fi-nanziamenti di scala ben diversa, porti a una ri-progettazionedelle istituzioni.

Non sarà facile, certo. Ritengo ad esempio che si debbanosuperare le forche caudine dei bilanci annuali dello stato. Co-me? Un’idea potrebbe essere quella di finanziare l’innovazio-ne – al di là dei progetti di base affidati ai ministeri dell’energia– non con le tasse, ma attraverso le bollette e le vendite delle so-cietà del settore. Si potrebbe, ad esempio, prevedere una vocedi pochi centesimi – mezzo euro in più nella bolletta mensiledell’elettricità per una famiglia media – per raccogliere som-me importanti a livello nazionale. Che verrebbero poi gestiteda “comitati per l’innovazione” all’interno di ogni settore in-dustriale.

Un’altra idea è quella di puntare sulle piccole imprese, inve-ce che unicamente sulle grandi, che pure dominano il settoredell’energia. Le piccole sono più in contatto con il consumato-re finale e hanno grandi potenzialità creative. L’importante co-munque è fare presto: più aspettiamo, specie in termini di im-patto ambientale, più le conseguenze saranno dolorose.

(Testo raccolto da Arturo Zampaglione)

Piano Marshall

Occorre mettere in piedi un Piano Marshall applicato

all’innovazione nel campo dell’energia. Occorre

mobilitare risorse avendo bene in mente l’obiettivo

Costi eccessivi

Raddoppiare la capacità nucleare costerebbe oltre il doppio

di quanto occorre per realizzare una potenza equivalente

da fonti rinnovabili, che, inoltre, non dipendono dall’uranio

Repubblica Nazionale