italia composizione del reddito

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Lamberto Aliberti Il mondo vede un crescente inarrestabile enorme divario nella ricchezza fra le persone. 4 Italia. La composizione del reddito dal 1974 al 2004 30 novembre 2011 La domanda. Come si forma, nel nostro paese, il reddito delle classi ricche, di quel 10%, posto ai vertici della classifica, costruita secondo i criteri della fonte principale di questo studio, citata nel primo articolo di questa serie? Ne osserveremo le dinamiche dal 1976 al 2004. Staremo sui valori assoluti, espressi in euro, a prezzi costanti (2004). Maggiori dettagli si possono trovare nell’allegato “Italia reddito fattori”, presentazione in slides, che permette di scendere in profondità, soprattutto sulle dinamiche, attraverso numeri e diagrammi. Le fonti di reddito. Stipendi, salari e pensioni È il reddito fisso Professionisti e partite IVA Le retribuzioni dei lavoratori autonomi Utili imprenditoriali Ovvero dividendi e assimilabili Remunerazione del capitale Cioè capital gains, guadagni e perdite dipendenti dalle transazioni in borsa Rendite Principalmente affitti e interessi attivi, frutto del risparmio La riserva. Gli autori della ricerca sottolineano di non essere riusciti a fornire un quadro integrale dei capital gains, cioè delle remunerazioni del capitale. Ci stupisce? Pensiamo proprio di no, quantunque siano state accurate e complete le indagini. Anzi, forse dovremo andare un po’ al di là e prendere con le pinze i numeri, convinti che tutte le fonti di reddito debbano essere guardate come decisamente sottostimate, fatta eccezione del reddito fisso, cioè stipendi, salari e pensioni. La circostanza non offusca in nessun modo comunque le sorprendenti riflessioni, che si possono trarre da questo studio, anzi, per più versi, le esaltano. Fonte: Altromedia

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Lamberto Aliberti

Il mondo vede un crescente inarrestabile enorme divario nella ricchezza fra le persone. 4 – Italia. La

composizione del reddito dal 1974

al 2004 30 novembre 2011 La domanda. Come si forma, nel nostro paese, il reddito delle classi ricche, di quel 10%, posto ai vertici della classifica, costruita secondo i criteri della fonte principale di questo studio, citata nel primo articolo di questa serie? Ne osserveremo le dinamiche dal 1976 al 2004. Staremo sui valori assoluti, espressi in euro, a prezzi costanti (2004). Maggiori dettagli si possono trovare nell’allegato “Italia reddito fattori”, presentazione in slides, che permette di scendere in profondità, soprattutto sulle dinamiche, attraverso numeri e diagrammi. Le fonti di reddito. Stipendi, salari e pensioni È il reddito fisso

Professionisti e partite IVA Le retribuzioni dei lavoratori autonomi

Utili imprenditoriali Ovvero dividendi e assimilabili

Remunerazione del capitale Cioè capital gains, guadagni e perdite dipendenti dalle transazioni in borsa

Rendite Principalmente affitti e interessi attivi, frutto del risparmio

La riserva. Gli autori della ricerca sottolineano di non essere riusciti a fornire un quadro integrale dei capital gains, cioè delle remunerazioni del capitale. Ci stupisce? Pensiamo proprio di no, quantunque siano state accurate e complete le indagini. Anzi, forse dovremo andare un po’ al di là e prendere con le pinze i numeri, convinti che tutte le fonti di reddito debbano essere guardate come decisamente sottostimate, fatta eccezione del reddito fisso, cioè stipendi, salari e pensioni. La circostanza non offusca in nessun modo comunque le sorprendenti riflessioni, che si possono trarre da questo studio, anzi, per più versi, le esaltano.

Fonte: Altromedia

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10-5%. Siamo nella parte bassa del macro segmento ricco, che include circa 2milioni di unità familiari, con un reddito medio, nel 2004, intorno ai 33mila euro. La predominanza del reddito fisso è assoluta. Il suo peso si aggira costantemente sull’80%. Gli altri fattori si allineano alla fine, intorno a un 5% ciascuno. Top 5-1%. Il segmento comprende circa 1milione 600mila soggetti, con un reddito medio annuale di 52mila 500 euro, nel 2004. Il quadro comincia a cambiare. Alla fine del periodo, la parte fissa, stipendi, salari e pensioni, pesa poco più del 64%. Emergono gli introiti professionali, fino a raggiungere quasi il 14%, alla fine, e i capital gains, quasi il 10%. Le altre componenti si attestano sul 6%. Sul piano dinamico, è importante osservare come la crescita più vivace, nel periodo, riguarda i compensi professionali, che guadagnano posizioni soprattutto sugli utili imprenditoriali, inizialmente sul 14%. Top 1-0.5%. Sono 200mila circa, reddito 92mila. L’anticamera della vera ricchezza. Il reddito fisso supera appena il 50%, le partite IVA sfiorano il 23%, i capital gains il 13%, utili imprenditoriali e rendite intorno al 6%, alla fine del periodo.

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Top 10-5%stipendi, salari e pensioni professionisti e partite IVAutili imprenditoriali remunerazione capitalerendite

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Top 5-1% stipendi, salari e pensioni professionisti e partite IVAutili imprenditoriali remunerazione capitalerendite

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Top 0.5-0.1%. Sono 162mila circa, reddito 142mila. Il fisso sfiora il 40%, quello professionale arriva al 30%, i capital gains superano il 17%, gli utili imprenditoriali il 7% e le rendite il 6%.

Top 0.1-0.01%. Si tratta di circa 45mila unità, reddito medio 317mila euro all’anno nel 2004. Presentano una distribuzione del reddito del tutto diversa dai segmenti precedenti: il primo posto appartiene alle partite IVA, con quasi il 41%, seguono i capital gains, intorno al 26%, quindi il reddito fisso col 26%, mentre estremamente bassa è l’incidenza di utili imprenditoriali (5.5%) e rendite (sotto il 4%). Top 0.01%. Erano 405, reddito medio circa 1milione 200mila euro all’anno. Non diversi dal segmento precedente, come classifica e neanche tanto per i pesi. I compensi professionali arrivano infatti al 42%, i capital gains sfiorano il 26%, il reddito fisso il 23%, gli utili imprenditoriali sono meno del 6% e le rendite del 3%. Un’ulteriore corrispondenza la troviamo sul piano dinamico: di nuovo, come prima, i compensi professionali

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Top 0.01 % stipendi, salari e pensioni professionisti e partite IVAutili imprenditoriali remunerazione capitalerendite

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superano i capital gains, piuttosto statici e irregolari che, in un’epoca segnata dalla finanziarizzazione dell’economia è piuttosto singolare e desta non pochi interrogativi. Il peso dei segmenti nelle forme di reddito. Può essere interessante invertire l’ottica, continuando a presentare i valori assoluti, per consentire un paragone coi diagrammi precedenti. Stipendi, salari e pensioni. Alla fine del periodo i segmenti si presentano nell’esatto ordine della classifica del reddito, quando, almeno per questa voce, ci si aspetterebbe un diverso ordine o quantomeno delle distanze molto inferiori. Del resto, se guardiamo il diagramma sul piano dinamico, è in tutto questo periodo che i superricchi si sono guadagnati il basso grado di rischio degli stipendi e delle pensioni (di salari sembra utopistico parlare, almeno per le prime posizioni della classifica). Così, in ultima analisi si getta qualche luce sui membri del primo e secondo segmento: non solo padroni del vapore e certo non i rentiers di un tempo, ma indubbiamente, oltre a qualche classe di sportivi, come i calciatori, da noi, ci sembra, assimilati ai dipendenti, managers pubblici e privati, che ripropongono, nel microcosmo aziendale, ineguaglianze, giustificabili soltanto come rare eccezioni e mai come regola.

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ITA stipendi, salari e pensioni Top 10-5% Top 5-1%

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Professionisti e partite

IVA. Anche in questo caso la classifica dei redditi è conservata integralmente. Si deve notare, rispetto al diagramma precedente, però la diversa espansione delle singole curve, che porta, alla fine del periodo, ad una distribuzione dei valori più larga, ben espressa già dai 2 primi segmenti, che trovano in questo fattore i loro punti di forza, con valori specifici decisamente robusti: in un caso si sfonda alla fine la barriera dei 500mila euro annuali, nell’altro dei 125mila. Altra caratteristica specifica è la distanza decisamente più accentuata per tutta la classifica. Come in precedenza, tassi di crescita significativamente diversi cambiamo il quadro dagli anni ’70 al 2000. Insomma, meglio di tante osservazioni fattibili sulla questione, i diagrammi rivelano che il periodo appena dietro le nostre spalle è soprattutto quello della crescita delle disuguaglianze. Utili imprenditoriali.

Una componente del reddito decisamente fuori dal coro. Non tanto per la classifica finale dei segmenti, che si ripete esattamente come prima, ma per la dinamica della voce, dall’andamento decisamente inconsueto: il suo contributo iniziale è notevole, in termini assoluti (105mila euro/anno nel segmento superricco, ma si caratterizza, fino alla metà esatta degli anni ’90, per una discesa costante, a passo piuttosto deciso. Dopo, risale, con altrettanta velocità. Viene da chiedersi: “che è successo?”. Le

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ITA professionisti e partite IVA

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ITA utili imprenditoriali

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imprese hanno smesso per un po’ di fornire dividendi agli azionisti? E, parlando di imprese e dividendi, è istintivo parlare di industria, soprattutto manifatturiera, che segna profondamente il PIL del nostro paese. Forse nella parte negativa della curva c’è la deindustrializzazione e la delocalizzazione? Se così fosse, mal si spiegherebbe però la successiva ripresa, nella quale non c’è stata nessuna inversione dei fenomeni citati, semmai consolidamento, in un contesto di crescita complessiva del paese, ancora più depressa. Diciamo quindi che il problema richiede altre osservazioni per essere risolto. Per ora accontentiamoci di rimarcare, in sintonia con le precedenti osservazioni, che l’impresa, per un po’, ha ridotto la remunerazione del potere coi dividendi a favore degli stipendi e, come vedremo tra poco, dei capital gains Remunerazione del capitale

(capital gains). Questa componente del reddito ha senso unicamente per il primo segmento e diventa decisamente marginale già per il secondo, non parliamo degli altri. Il che è del tutto plausibile, anche nell’ottica di quella difficoltà di rilevazione, detta all’inizio. Non meno giustificato è il suo andamento incerto nel suo intero percorso. Si tratta di un fenomeno finanziario e la sua volatilità, contrassegnata soprattutto dal susseguirsi di bolle, è troppo nota, anche se non abbastanza spiegata. Come nel caso precedente, il suo peso segna profondamente il primo segmento, molto meno il secondo e ricovera progressivamente nella marginalità tutti gli altri.

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ITA remunerazione capitale

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Rendite. Quanto poco incidano, sulla formazione del reddito delle famiglie, interessi attivi, affitti e quant’altro assimilabile, è questione già ripetutamente sollevata in precedenza. Qui se ne ha immediata conferma, col rispetto assoluto dell’ordine naturale dei segmenti e nitidi distacchi dall’uno all’altro. E quando si va parlando di tassazione delle rendite, come panacea dell’angosciante debito pubblico e forse addirittura della stessa disuguaglianza sociale, bisognerebbe tenerlo presente. Perché, o si allude a qualcos’altro di ben più esteso o si suppone un occultamento, che però, coi mezzi e le volontà del nostro apparato pubblico, ha ben poche possibilità di messa in chiaro. Top 10%: peso delle

forme di reddito. È una sintesi necessaria, ma non inattesa. L’ incidenza complessiva, espressa in %, vede la preminenza del fisso, che è sempre oltre il 60%, con una dinamica leggermente recessiva. Le altre componenti stanno su soglie decisamente inferiori, piuttosto vicine e altrettanto statiche, fatta eccezione dei compensi professionali, che vedono, nel periodo, triplicare la propria quota. Su questa base si può ritornare a una delle questioni generali, uno dei dogmi del liberismo, fatto proprio dai Repubblicani negli Stati Uniti e spesso invocato dal defunto Berlu: alleggerire la pressione fiscale sui ricchi è necessario, perché loro sono il motore dell’economia. Dal tipo di reddito

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l’assioma, almeno da noi, presenta qualche crepa, in ragione del basso peso degli utili imprenditoriali, che ci dice che, quanto meno sul piano degli investimenti produttivi, i Top non si dannano assolutamente l’anima. In effetti la quota di reddito è attestata per tutti sul 5% e sorprendentemente maggiore, pur se di poco, per le fasce basse. E non si obietti che è colpa della globalizzazione o della deindustrializzazione, perché non si farebbe che giustificare la loro assenza, altro che motore. Né si sostenga che è l’incidenza crescente degli introiti professionali a sancirne il ruolo propulsivo, perché si dovrebbe dimostrare che questa fonte di reddito si scarichi sull’economia del paese sotto forma di posti lavoro o di export, quando si tratta di attività prettamente individuali <<altrimenti saremmo nella categoria degli utili imprenditoriali>> al più sostenute da una miseria di segreteria o di giovani di bottega malpagati. Quanto all’export, non ci viene in mente nessun contributo, anzi riteniamo che si tratti di mestieri ben protetti, interamente esauriti nei nostri confini, fatte rarissime eccezioni, che saranno esaminate più avanti. Insomma, il contributo dei ricchi ad alzare la ricchezza nazionale si può semmai cercare nella spesa, come voleva del resto uno degli innumerevoli slogan berlusconiani. E non mancheremo di farlo. Conclusione. Questa parte dell’indagine è stata per noi sorprendente << il peso del reddito fisso >> e attesa << l’affermarsi, come seconda fonte, per importanza, degli introiti professionali >>. Ne faremo buon uso, unendovi più avanti altre informazioni. Ora torneremo sulla distribuzione dei redditi per rifletterla su uno dei temi più caldi oggigiorno: la tassazione. Prima però dovremo lavorare un po’ sul piano statistico. (continua)