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Saggio finale sul femminicidio Istituto Comprensivo ”Gino Rossi Vairo” Agropoli - SA A cura di Alfonso Graziano- classe 3C Il Femminicidio Origine, significato e diffusione del termine In lingua inglese il termine veniva usato già nel 1801 in Inghilterra per indicare "l'uccisione di una donna". Il termine femicide (femminicidio) è stato utilizzato per la prima volta dalla criminologa Diana Russell nel 1992, nel libro scritto insieme a Jill Radford Femicide: The Politics of woman killing. La Russell identificò nel femminicidio una categoria criminologica vera e propria: una violenza estrema da parte dell’ uomo contro la donna «perché donna», in cui cioè la violenza è l'esito di pratiche misogine. Un anno dopo, nel 1993, l'antropologa messicana Marcela Lagarde utilizza il termine femminicidio per comprendere «La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine - maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia». È proprio dall' analisi dei crimini di massa compiuti contro le donne che la Lagarde propone la sua definizione. La violenza sulle donne perpetrata all’ interno di una relazione intima (intimate partner violence) è un fenomeno sociale presente in tutti i Paesi e diffuso trasversalmente all’ interno di tutte le classi sociali. Nella maggioranza dei casi i maltrattamenti vengono agiti da parte dell’ uomo nei confronti della partner e ciò rende la violenza domestica una questione di genere che palesa lo squilibrio di potere tra uomini e donne, mantenuto nella relazione di coppia attraverso gli abusi di natura fisica, psicologica, sessuale ed economica. La comprensione della complessità della intimate partner violence può essere favorita dall’ analisi dell’ interazione dei diversi fattori socio-culturali, relazionali ed individuali che contribuiscono alla creazione del contesto in cui avvengono le violenze. Si rivela quindi particolarmente utile l’ utilizzo di un modello ecologico,

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Saggio finale sul femminicidio

Istituto Comprensivo ”Gino Rossi Vairo” Agropoli - SA

A cura di Alfonso Graziano- classe 3C

Il Femminicidio

Origine, significato e diffusione del termine

In lingua inglese il termine veniva usato già nel 1801 in Inghilterra per indicare

"l'uccisione di una donna".

Il termine femicide (femminicidio) è stato utilizzato per la prima volta

dalla criminologa Diana Russell nel 1992, nel libro scritto insieme a Jill

Radford Femicide: The Politics of woman killing. La Russell identificò nel

femminicidio una categoria criminologica vera e propria: una violenza estrema da

parte dell’ uomo contro la donna «perché donna», in cui cioè la violenza è l'esito di

pratiche misogine.

Un anno dopo, nel 1993, l'antropologa messicana Marcela Lagarde utilizza il

termine femminicidio per comprendere «La forma estrema di violenza di genere

contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico

e privato, attraverso varie condotte misogine - maltrattamenti, violenza fisica,

psicologica, disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla

democrazia». È proprio dall' analisi dei crimini di massa compiuti contro le donne

che la Lagarde propone la sua definizione.

La violenza sulle donne perpetrata all’ interno di una relazione intima (intimate

partner violence) è un fenomeno sociale presente in tutti i Paesi e diffuso

trasversalmente all’ interno di tutte le classi sociali. Nella maggioranza dei casi i

maltrattamenti vengono agiti da parte dell’ uomo nei confronti della partner e ciò

rende la violenza domestica una questione di genere che palesa lo squilibrio di

potere tra uomini e donne, mantenuto nella relazione di coppia attraverso gli abusi

di natura fisica, psicologica, sessuale ed economica.

La comprensione della complessità della intimate partner violence può essere

favorita dall’ analisi dell’ interazione dei diversi fattori socio-culturali, relazionali

ed individuali che contribuiscono alla creazione del contesto in cui avvengono le

violenze. Si rivela quindi particolarmente utile l’ utilizzo di un modello ecologico,

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come quello di Bronfenbrenner, che permette di analizzare i differenti livelli

dell’ambiente coinvolti nella trasmissione dei valori, delle norme, dei ruoli e delle

aspettative caratterizzanti il comportamento maschile violento nei confronti della

partner.

L’adesione rigida al modello maschile tradizionale della cultura patriarcale

condiziona lo sviluppo dell’ identità del genere maschile e le sue modalità di

relazionarsi a quello femminile. La violenza domestica sulle donne è perciò una

violenza di genere, espressione del dominio e del controllo esercitato dagli uomini

sulle donne.

Al fine di rendere conto delle differenze individuali nella popolazione maschile, gli

effetti del genere vanno considerati unitamente alle esperienze relazionali precoci

che condizionano le modalità adulte di vivere l’ intimità nella relazione di coppia.

La intimate partner violence è dunque un problema maschile sul quale è necessario

intervenire, non solo tutelando ed offrendo sostegno alle vittime, ma soprattutto

promuovendo delle iniziative d’intervento specifiche per i maltrattatori, come

quelle già presenti negli Stati Uniti, in Canada, in America latina, in Spagna, nei

Paesi Scandinavi e nel Regno Unito. Si tratta per lo più di programmi rieducativo-

terapeutici di stampo pro-femminista che attribuiscono totalmente la responsabilità

delle violenze agli uomini ed utilizzano tecniche cognitivo-comportamentali

finalizzate ad interrompere l’uso della violenza sulla partner. La partecipazione può

essere volontaria o su ordine del tribunale e, metodologicamente, il trattamento di

gruppo è preferibile alle terapie individuali in quanto conferisce maggior supporto

ai partecipanti durante il processo di cambiamento e facilita l’assunzione di

responsabilità per le proprie condotte violente. L’efficacia dei programmi merita

tuttavia maggior attenzione e necessita di valutazioni più precise nonostante sia

stata riscontrata una buona percentuale di successo dei programmi attualmente

presenti.

In Italia attualmente i programmi diretti al cambiamento dei partners violenti sono

assenti e dovrebbero essere inclusi nei progetti futuri d’ intervento insieme ad una

formazione specifica ed alla promozione di un lavoro di rete coerente tra tutte le

agenzie sociali (Forze dell’Ordine, servizi socio-sanitari, sistema giudiziario, Case

delle Donne e Centri Antiviolenza) che si occupano di casi di violenza domestica

sulla donna; un intervento adeguato dovrebbe inoltre comprendere dei percorsi

educativi nelle scuole sulle relazioni tra i generi ed un maggior impegno maschile

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nel mettersi in discussione come genere e nel favorire forme di mascolinità meno

rigide e stereotipate.

La violenza nega alle donne i più fondamentali diritti: la vita, la libertà, l’integrità

corporea, la libertà di movimento e la dignità della persona. La violenza sulle donne

non è un’emergenza, ma un fenomeno strutturale in una società che pone uomini e

donne in una relazione di disparità, di subalternità, di dominio.

Le statistiche, in Italia, sono diverse da come sono state presentate ma il problema

resta allarmante. Ogni tre giorni viene uccisa una donna ma il massacro può essere

fermato.

Il 25 novembre 2012 è stata la giornata mondiale dedicata alla lotta contro i crimini

sulle donne, per tale importante ricorrenza si è parlato moltissimo del femminicidio,

sono stati riportati molti dati statistici agghiaccianti, si è creato un passaparola

allarmante, al punto che in alcuni articoli e blog si è parlato della violenza

domestica come seconda o addirittura prima causa di morte in Italia per le donne tra

i 16 e i 44 anni. Ma perché è stato utilizzato proprio il 25 novembre? Tramite la

risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999, l'Assemblea Generale delle

Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come la Giornata internazionale per

l'eliminazione della violenza contro le donne ed ha invitato i governi, le

organizzazioni internazionali e le ONG ad organizzare attività volte a sensibilizzare

l' opinione pubblica in quel giorno. L'Assemblea Generale dell' ONU ha

ufficializzato una data che fu scelta da un gruppo di donne attiviste, riunitesi nell'

Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà (Colombia)

nel 1981. Questa data fu scelta in ricordo del brutale assassinio del 1960 delle

tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l'impegno con

cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo (1930-1961), il

dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell' arretratezza e nel caos per oltre

30 anni.

Una notizia shock riguardante il femminicidio è stata quella per cui si è stimato che

tale fenomeno in Italia sia tra le prime cause di morte nella fascia d’età che va tra i

16 e i 44 anni. La stessa notizia è stata data in riferimento alla popolazione

mondiale. Ovviamente balza all’ occhio, destando sospetti, che l’Italia e il resto del

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mondo (di cui fanno parte popoli estremamente misogini) abbiano lo stesso tipo di

classifica. Ma se si vanno a controllare le statistiche con intelligenza si scopre che

in Italia il femminicidio è tra le prime cause di morte (esattamente al terzo posto),

soltanto in riferimento alle persone, uomini e donne, che muoiono di morte violenta

o dovuta a cause esterne, ovvero dagli omicidi agli incidenti passando per i suicidi,

ma solo per questa categoria. Il femminicidio quindi non è tra le prime cause di

morte per le donne tra i 16 e i 44 anni, e anzi le donne vittime di omicidio, in

relazione alla popolazione femminile deceduta complessiva sono solo 1,49 %

A livello generale il femminicidio, come riportato dai dati Istat, è fortunatamente

molto basso come causa di morte. Inoltre anche per quanto riguarda il resto del

mondo va comunque data importanza alla fascia d’età presa in considerazione, che

esclude le donne anziane e l’altissima mortalità infantile dei paesi poveri (più di un

bambino su 3 muore per malattie e malnutrizione) dove, peraltro, c’è anche il più

alto numero di femminicidi.

“Il femminicidio è un’ ermergenza enorme nel nostro paese”, spiega Titti Carrano,

presidente di D.i.R.e. Donne in Rete contro la violenza. La causa? “E’ la cultura

patriarcale improntata sul possesso a far morire le donne solo perché sono

donne. Ecco perché gli interventi, oltre che di tipo pratico, devono essere di

tipo culturale e abbattere stereotipi di questo tipo”.

Ma non solo. Ancora una volta, di fronte a casi del genere, si torna a parlare di

silenzi. Alla fine della sua visita in Italia Rashida Manjoo ha dichiarato:“Gran parte

delle manifestazioni di violenza non viene denunciata in un contesto caratterizzato

da una società patriarcale e incentrato sulla famiglia; la violenza domestica, inoltre,

non sempre viene percepita come reato (…). Per di più, un quadro giuridico

frammentario e l’inadeguatezza delle indagini, delle sanzioni e del risarcimento alle

donne vittime di violenza sono fattori che contribuiscono al muro di silenzio e di

invisibilità che circonda questo tema”.

Omicidi in Italia: dove, quando, come si uccide

Nel 2002, si legge nel rapporto Eures, gli omicidi maturati all'interno dei 'rapporti di

prossimità' hanno superato quelli legati alla malavita e alla criminalità organizzata: il

51,5% del totale (325 in tutto) e' infatti avvenuto all'interno della famiglia (223

vittime), tra amici e conoscenti (68), nell'ambito vicinato (22) o del lavoro (12).

Seguono poi le 100 vittime della criminalità comune e le 77 del crimine organizzato.

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Restano sconosciuti gli ambiti di ben 120 delitti. Rispetto al 2000, nel 2002 sono

lievemente diminuiti gli omicidi in famiglia e in modo consistente quelli da

criminalità organizzata. In fortissimo aumento invece quelli tra vicini di casa

(+69,2%), tra conoscenti (+58%) e quelli sui luoghi di lavoro (+35,7%).

- Dove si uccide: A detenere il triste record, con 304 omicidi è ancora il

Mezzogiorno, che supera i 221 del Nord e i 109 del Centro, con un' incidenza su ogni

100.000 abitanti dello 0,9 al Nord, 1,0 al Centro, 1,5 al Sud. Al Nord prevalgono gli

omicidi in famiglia (50,9%), che in Italia vedono la Lombardia al primo posto,

seguita dal Piemonte, Emilia Romagna e Lazio. Forti aumenti al Nord anche per gli

omicidi nel vicinato (+175%) e sul lavoro (+133%). Al Centro prevalgono gli

omicidi in famiglia e quelli legati alla criminalità comune, mentre crescono del 150%

gli omicidi tra vicini. I delitti in famiglia e quelli legati alla criminalità organizzata

sono ai primi posti al Sud, dove si registra un deciso aumento dei delitti tra

conoscenti (+163,6%) e della criminalità comune (+35,7%).

- Quando si uccide: La fascia oraria più a rischio è quella 18-24 (38,1% dei casi),

poi quelle 24-6, 12-18 e 6-12. Durante la settimana il picco è al lunedì col 20,3%,

mentre il venerdì è il giorno più tranquillo (10,3%).

- Come si uccide: Il 46,2% dei killer ha usato un' arma da fuoco, il 19,2% un' arma

da taglio, e poi corpi contundenti, percosse, soffocamento, strangolamento, uso di

armi improprie, precipitazione, speronamento. Il 23,5% degli autori dei 293 omicidi

compiuti con armi da fuoco aveva il porto d'armi e a sparare sono di solito gli

uomini, mentre le donne ricorrono al soffocamento e alla precipitazione, specie negli

infanticidi.

- Omicidio d’ autore: La premeditazione (il 59,9% dei casi) prevale sui delitti non

premeditati (40,1%). A compiere gli omicidi sono soprattutto autori singoli (43,5%),

seguiti dai delitti in associazione e in concorso.

- Profilo della vittima: Vengono uccisi più uomini (444 nel 2002, il 70%), che

donne (190). In forte calo gli omicidi dei criminali 'per professione' (dal 15 al 4,6%)

e delle prostitute (dal 4,3 all'1,3%), mentre sono aumentate le vittime disoccupate.

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Gli italiani rappresentano l'82,5% delle vittime. Tra gli stranieri prevalgono gli

albanesi e i romeni. Il valore più alto tra le vittime donne straniere si registra tra le

cittadine dell'Est Europa (39,6%) e del continente americano (44,4%). Il 10% delle

vittime appartiene alla fascia del disagio (droga, handicap, alcol, problemi psichici,

povertà).

- Profilo dei killer: Nella stragrande maggioranza dei casi il killer è un uomo

italiano tra i 25 e i 34 anni, e gli autori over 65 si incontrano soprattutto negli omicidi

in famiglia, sul lavoro e nel vicinato. Nel 20% dei casi il killer e' agricoltore,

bracciante o operaio, nel 15,8% un commerciante, imprenditore o libero

professionista. Dimezzati gli omicidi attribuiti a criminali per professione e a uomini

delle Forze Armate e di Polizia.

-I moventi: Nei delitti in famiglia prevale il movente passionale col 27,4% dei casi

che al Sud salgono al 34,7%. Ma al Nord liti e dissapori si trasformano in tragedia in

misura nettamente superiore. A uccidere per motivi passionali sono soprattutto gli

uomini, mentre le donne killer sono spesso compromesse da problemi psichici. Nei

delitti tra conoscenti prevale invece il movente dei dissapori, seguito dai futili motivi

o interessi economici. Negli omicidi di vicinato, le questioni legate ai confini di

proprietà e rivalità per un posto letto, anche di fortuna. Nell' ambiente di lavoro la

vittima e' sempre un uomo tra i 35 e i 54 anni, la fascia di età più significativa della

vita professionale.

- L’omicidio in famiglia - Nei 223 omicidi tra le mura domestiche del 2002

prevalgono le vittime donne (63,2%), più numerose al Nord (68,8%) e al Centro

(61,5%), mentre al Sud le differenze si riducono. Le vittime in famiglia hanno un' età

compresa tra i 25 e i 34 anni (ma la gran parte delle donne hanno, ma le vittime con

più di 64 anni sono più numerose di quelle tra i 55 e i 64. Alto (13,5%) il numero,

influenzato anche dagli infanticidi, delle vittime fino ai 18 anni. Nella fascia di età

oltre i 64 anni si contano numerosi omicidi-suicidi tra coniugi anziani e delitti

compiuti da figli, nipoti, generi e nuore. Le donne uccidono prevalentemente i figli,

poi i coniugi e i genitori. Nella gran parte dei delitti in famiglia la vittima convive

con l'assassino, mentre negli omicidi passionali o per interesse avviene il contrario.

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Contro il femminicidio: iniziative, prospettive, speranze per il 2013

A metà dicembre l’Italia ha approvato un decreto legge di ratifica della

Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa per la prevenzione e il contrasto

alla violenza domestica e sulle donne. Il provvedimento ora deve passare al vaglio

di Camera e Senato. Un’urgenza dopo che la proposta di legge sul femminicidio

(che prevede l’aggravante dell’ergastolo) è slittata alla prossima legislatura.

Sul fronte della mobilitazione sociale, l’ultima iniziativa per dire no al

femminicidio, è quella promossa, a gennaio di quest’anno, dalla Rete degli Studenti

Medi e dall’Unione degli Universitari. «Chiediamo – fanno sapere dalla Rete – e

vogliamo vivere in una società che tuteli i diritti di tutti e non permetta più di ledere

la dignità altrui. Ribadiamo ancora una volta il nostro appoggio alle donne di "Se

non ora Quando?"». Numerose le adesioni all’iniziativa: da don Luigi Ciotti a don

Andrea Gallo, da Claudio Bisio a Marco Rossi Doria, sottosegretario al Ministero

dell’Istruzione.

La pagina Facebook dell’iniziativa si chiama “femminicidio: mettici la faccia” e c’è

anche un hashtag per Twitter (#iocimettolafaccia). Basta postare una propria foto,

far vedere il proprio volto, e accompagnare lo scatto con lo slogan “Stop

femminicidio: io ci metto la faccia”».

E per capire la gravità del fenomeno, basta guardare il quadro dei dati fornito dalla

Casa delle donne di Bologna - Ami (Associazione avvocati matrimonialisti italiani).

Nel 2012 le donne uccise sono state 120; esattamente come nel 2011. Il picco si ha

avuto nel 2010 quando le vittime sono state 127. Secondo i dati, dalle 84 vittime del

2005, l’aumento è stato notevole, arrivando dunque all’ ultimo di riferimento con

un circa di più 40 vittime nell’arco di sette anni. Questi dati, con quelli analizzati

precedentemente, non possono essere sottovalutati o bollati come “casi”, in

particolare in un paese come l’Italia, in cui sussiste un retaggio derivato dal “delitto

d’onore”, la cui abolizione è relativamente recente. Sul femminicidio il dibattito è

stato ulteriormente acceso da recenti e discusse affermazioni comparse su diverse

testate. Secondo gli autori di tali dichiarazioni, la causa del femminicidio è da

attribuirsi ai comportamenti e all’abbigliamento femminili. Un atteggiamento che si

pone in linea con l’idea che i delitti commessi da un compagno siano “passionali”.

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In un omicidio non ci può essere passione, ma solo sopraffazione, e l’atto estremo

di chi considera la donna (ex, amante o compagna che sia) un possesso o un

oggetto. Concezioni queste, che con l’amore non hanno nulla a che vedere.

Le affermazioni sono state fortemente avversate o completamente condannate dal

popolo di Facebook e non solo, mentre le mobilitazioni popolari, per dire “no” sono

il sintomo di un cambiamento che si vorrebbe attuare. Guardando anche ai recenti

eventi che hanno colpito l’India, ci si aspetta che la mobilitazione possa dare frutti

maturi, a tutela delle donne, sempre più incoraggiate a denunciare i propri

persecutori.

Flashmob contro il femminicidio

Nel giorno di San Valentino, le donne di tutto il mondo hanno lasciato perdere fiori

e cioccolatini e in tante sono scese in piazza al grido unanime di “One billion

rising”, per dire basta al femminicidio.

“Basta scuse, basta abusi. Noi siamo madri, noi siamo maestre. Noi siamo

bellissime, bellissime creature”. Sulle note della canzone Brake the chain, scritta

per l’occasione da Tena Clark e Tim Heintzpet, migliaia di donne dagli Stati Uniti

all’Afghanistan, dal Corno d’Africa all’India, hanno dato vita a flash mob, marce e

sit in per dire basta alle violenze di genere.

Quella del femminicidio è una ferita aperta per il nostro Paese, ultima, estrema e

brutale manifestazione della violenza maschile su mogli, compagne, amanti e figlie,

che oggi ci viene sbattuta neanche sulla prima, ma sulla quarta o quinta pagina dei

quotidiani, sotto forma di cifre.

Il silenzio, la vergogna, l’imbarazzo sono i migliori alleati di questi criminali che il

più delle volte agiscono tra le mura domestiche, trasformando la casa da luogo

dell’amore e dell’intimità a teatro di terrore e sfinimento.

Lo scorso anno Rashida Manjoo, Special Rapporteur dell’Onu, dopo il suo viaggio in

Italia ha pubblicato per le Nazioni Unite un rapporto formale nel quale ha definito il

femminicidio italiano crimine di Stato, dichiarando insufficienti e inadeguate le misure

di prevenzione e protezione messe in atto dalle istituzioni italiane per porre fine al

problema.

Nell’ambito del G8 si è segnato un passo fondamentale nella lotta alla violenza sulle

donne nelle zone più disagiate. La violenza sulle donne nelle zone di conflitto sarà

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punita come crimine di guerra: lo hanno deciso i ministri degli Esteri riuniti al G8. La

firma è stata definita storica, un segnale importantissimo per tutte le donne che si

sentono abbandonate a se stesse, soprattutto nei paesi devastati dalla guerra.

Grazie a questo accordo è stato sbloccato un pacchetto di fondi pari a 27,5 milioni di

euro che saranno utilizzati per prevenire quella che il capo del Forein Office, William

Hague ha definito una ”grave violazione della Convenzione di Ginevra al pari dei

crimini di guerra”. ”Abbiamo adottato una dichiarazione – dice Hague – che indica che

lo stupro e la violenza sessuale nelle zone di conflitto sono gravi violazioni della

Convenzione di Ginevra, così come i crimini di guerra”. Verrà inoltre istituito ”un

protocollo internazionale per le indagini di stupro e di violenza sessuale nelle zone di

conflitto”.

Il 14 febbraio l’ acclamatissima Luciana Litizzetto, che in prima serata su Rai1 in

occasione del Festival di Sanremo, ha portato avanti un acceso monologo, ha preso di

petto il tema del femminicidio dando voce alle migliaia di donne che in Italia e nel

mondo hanno ballato insieme per le strade delle loro città per dire no agli stupri, agli

abusi e alla morte. Questa giornata ha una provenienza ben precisa che a dire il vero ha

anche un titolo ben preciso: “I monologhi della vagina”. Un’opera teatrale scritta

dall’originale drammaturga inglese Eve Ensler, inizialmente per celebrare la femminilità

in tutte le sue forme, ma che poi alla fine ha portato alla nascita di un vero e proprio

movimento contro la violenza sulle donne. Infatti l’opera si presenta come insieme di

monologhi, letti da diverse signore e signorine, ognuno collegato alla vagina, dalla

nascita al sesso, dall’amore allo stupro, dall’orgasmo alla mutilazione. I monologhi hanno rappresentato la base di partenza per la nascita del movimento

V-Day, che nel giorno di San Valentino ha dato vita a una serie di manifestazioni

molto partecipate volte alla denuncia della violenza di genere. La V in V-Day può

avere tante accezioni e riferirsi a diverse parole: Valentino, Vagina, Volontà. Ma

forse quello che calza di più rispetto al successo della giornata del 14 febbraio è

senz’altro Vittoria.

Femminicidio, da Bongiorno e Carfagna proposta di legge per l’ergastolo

Le parlamentari di Fli e Pdl propongono di modificare le aggravanti dell'omicidio

quando la violenza nasce da un atteggiamento discriminatorio". Puppato: "Le

esponenti democratiche aderiscano"

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 22 novembre 2012

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Sono già più di cento, dall’inizio dell’anno, le donne uccise in Italia per mano di un

uomo che quasi sempre è il partner o un ex o un parente. Quasi una ogni due giorni.

Lo chiamano femminicidio, la parola non è bella ma rende l’idea: uccidere una

donna proprio perché donna, e in quanto tale considerata di proprietà

dell’uomo che ha diritto di scelta su come e quanto deve vivere la compagna, la

figlia, la sorella, la cui unica colpa è di aver voluto sottrarsi a questa tirannia. Per

questo reato Giulia Bongiorno e Mara Carfagna chiedono, in una proposta di

legge, la pena dell’ergastolo.

L’argomento è di grande attualità, non solo per i continui episodi di cronaca ma

anche perché domenica si celebra la Giornata mondiale contro la violenza sulle

donne. Anche il ministro Elsa Fornero, che ha la delega alle Pari opportunità, ieri

ha ammesso che essere donna in Italia è un ostacolo oggettivo e che verso le

donne “c’è un accanimento particolare” e ha auspicato che il Parlamento ratifichi

al più presto la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne.

“Non chiamateli raptus di follia – ha pregato la Bongiorno, presidente della

Commissione giustizia della Camera, sua l’iniziativa della proposta di legge – mi

rendo conto che se li consideriamo gesti folli siamo tutti più tranquilli, ma non è

così. Questa violenza nasce da un atteggiamento discriminatorio degli uomini

verso le donne: c’è un diffuso maschilismo, gli uomini pensano di aver diritto a

decidere della vita delle donne”. Dunque, alla base di tutta questa violenza nei

confronti delle donne c’è una questione culturale e solo un profondo cambiamento

potrebbe combattere il fenomeno in modo efficace e duraturo, ma i continui episodi

riportati dalla cronaca impongono misure normative.

Ecco dunque la proposta elaborata dalla parlamentare finiana, che ha incontrato

subito l’adesione della collega del Pdl Carfagna, seconda firmataria. Si propone

innanzitutto di introdurre una specifica aggravante nell’articolo 576 del Codice

penale (cioè le aggravanti previste per l’omicidio), per punire con il carcere a vita

chiunque uccida “in reazione a un’offesa all’onore proprio o della famiglia di

appartenenza o a causa della supposta violazione, da parte della vittima, di norme o

costumi culturali, religiosi o sociali ovvero di tradizioni proprie della comunità

d’origine”. Vengono subito alla mente il caso di Hina, ragazza pakistana uccisa in

Italia dai parenti come punizione per non volersi adeguare agli usi tradizionali della

cultura d’origine o di Sanaa, sgozzata dal padre in quanto colpevole di avere un

fidanzato italiano.

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Altra aggravante per quale è previsto l’ergastolo è quando l’omicidio è preceduto

da anni di maltrattamenti. La proposta vuole poi estendere queste aggravanti alle

convivenze more uxorio e prevede una pena da 24 a 30 anni per chi commette il

reato nei confronti di un minore di anni 10 o in sua presenza.

Infine, viene introdotta una nuova figura di reato, il “matrimonio forzato“,

punendo con il carcere da uno a cinque anni chi costringe o induce con la violenza

o minaccia a contrarre matrimonio contro la sua volontà. Stessa pena per chi attira

con l’inganno una persona residente in un altro Stato allo scopo di costringerla a

sposarsi. In ogni caso, il matrimonio così contratto verrebbe considerato nullo ai

sensi della legge italiana.

Le promotrici si rendono conto che ormai la legislatura è agli sgoccioli e il tempo è

poco, ma non disperano: “Ho visto a volte miracoli, in poche settimane legge

prendere forma e diventare priorità, altre leggi invece scomparire. Siccome la

violenza sulle donne è un’emergenza nazionale, se ci sarà il supporto dei

parlamentari io non escludo anche di poter riuscire a vedere approvata questa

legge” ha detto Bongiorno. E già arrivano i primi sostegni: da Barbara

Saltamartini, vice presidente del gruppo Pdl alla Camera e da Laura Puppato,

unica donna candidata alle primarie del centrosinistra, che non può sottoscrivere

perché non è parlamentare ma invita le parlamentari democratiche a farlo. Alla

Puppato risponde però la senatrice del Pd Anna Serafini: “Siamo in attesa di

questo testo, come di altri che potranno essere presentati da altri gruppi, per poterci

confrontare a partire dalla nostra proposta di legge, depositata come parlamentari

del Pd, già il 4 luglio scorso – spiega - Il nostro testo, in questi mesi ha viaggiato

anche per ricevere i contributi di tante donne e uomini e ha incontrato in molti

eventi pubblici le maggiori associazioni che si battono contro il femminicidio.

Durante questo percorso non è mancato mai l’incoraggiamento del segretario del Pd

Pierluigi Bersani per procedere con determinazione in questa battaglia per la libertà

delle donne”.

PD al Senato presenta ddl contro femminicidio

E' la ratifica della Convenzione di Istanbul. Lo sottoscrivono il presidente del

gruppo Luigi Zanda e, tra gli altri, Valeria Fedeli

pubblicato il 25 marzo 2013

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Saggio finale sul femminicidio

La senatrice del Pd Anna Finocchiaro ha ripresentato il disegno di legge per la

ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne e

la violenza domestica. Oltre che dal presidente del gruppo Pd Luigi Zanda, il

disegno di legge è stato sottoscritto finora dalla metà dei senatori democratici, tra i

quali Valeria Fedeli, Silvana Amati, Maria Teresa Bertuzzi, Rita Ghedini, Manuela

Granaiola, Leana Pignedoli, Roberta Pinotti, Filippo Bubbico, Rosaria

Capacchione, Felice Casson, Rosa Maria Di Giorgi, Miguel Gotor, Luigi Manconi,

Andrea Marcucci, Riccardo Nencini, Francersca Puglisi, Laura Puppato, Angelica

Saggese e Magda Zanoni ed è ancora in corso la raccolta delle firme.

"Il 27 settembre 2012 - spiega Anna Finocchiaro - il ministro Fornero ha

sottoscritto a Strasburgo, per l'Italia, la Convenzione del Consiglio d'Europa contro

il cosiddetto femminicidio e la violenza di genere. Si è trattato di un atto importante

che è venuto con il mandato del Parlamento, visto che era stata approvata una

nostra mozione di impegno specifico al governo. Ora è necessario dare corso alla

ratifica, bloccata a causa del termine della legislatura. La Convenzione è, infatti,

fondamentale per la prevenzione e il contrasto perché definisce e punisce la

violenza contro le donne basata sul genere, enfatizzando il carattere discriminatorio

di ogni violenza che sia 'diretta contro una donna in quanto tale' e istituisce un

Gruppo internazionale di esperti indipendenti con l'incarico di monitorare

l'attuazione del trattato da parte degli Stati aderenti. Il contrasto al femminicidio e

alle violenze contro le donne, come è noto, riguarda anche il nostro Paese. Basti

pensare che il 76 per cento delle violenze avviene in Italia ad opera di ex partner,

mariti, compagni o persone conosciute. Non a caso il Rapporto sulla violenza

contro le donne redatto per il Consiglio dei diritti umani dell'Onu da Rashida

Manjoo afferma che 'in Italia sono stati fatto sforzi da parte del Governo, attraverso

l'adozione di leggi e politiche. Questi atti non hanno però portato a una diminuzione

dei femicidi e non sono stati tradotti in un miglioramento della condizione di vita

delle donne e delle bambine'. Crediamo dunque - conclude Anna Finocchiaro - che

sia fondamentale introdurre nell'ordinamento italiano questo importante strumento

di prevenzione e lotta a un fenomeno di natura soprattutto culturale".

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Saggio finale sul femminicidio

Proposta di legge inserita nel forum di Beppe Grillo

Femminicidio. Proposta di legge per tutelare le donne.

postato da ROBERTO DEMURO

Le recenti cronache hanno evidenziato i numerosi omicidi consumati a danno delle

donne. In questo senso, necessita una normativa che salvaguardi in modo pregnante le

vittime Si propone la seguente "Modifica dell'articolo 576 del codice penale, in materia

di circostanze aggravanti per l'omicidio. Articolo 576, numero 5 ter, del codice penale

Si applica la pena dell'ergastolo se il fatto preveduto dall'articolo precedente (nota: art.

575 tipizza l'omicidio) è commesso: da chiunque abbia cagionato la morte di donna,

minore o altro soggetto debole, anche se in assenza di precedenti atti persecutori di cui

all'articolo 612 bis.

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STATISTICHE

I dati riportati riguardano i morti per omicidio nei paesi dell’Unione Europea tra

il 1982 e il 2002. È un periodo sufficientemente lungo per consentire delle

considerazioni generali.

Con questi numeri ho prodotto due grafici.

IlI primo riguarda il numero di donne uccise o, più precisamente, il tasso di donne

uccise ogni centomila abitanti.

Tra tutti i paesi disponibili, ho limitato il confronto a Italia, Francia, Germania,

Svezia e Finlandia. Francia e Germania in quanto tra i maggiori paesi europei.

Svezia e Finlandia perché noti per le loro politiche particolarmente attente riguardo

alle istanze femminili e femministe.

Il secondo grafico confronta il tasso di omicidi diviso per i generi delle

vittime: quanti uomini muoiono in più rispetto alle donne nei varî paesi?

Siamo di fronte ad un’esplosione del fenomeno (femminicidio)?

Le rilevazioni statistiche effettuate finora tendono ad escludere questa ipotesi. E’ un

fenomeno che in Italia ha evidenziato una certa costanza nel tempo, senza

variazioni particolarmente significative, in controtendenza però con la progressiva

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diminuzione del numero complessivo degli omicidi. Mentre gli omicidi sono in

generale diminuiti, i femminicidi non sono in proporzione diminuiti, o sono rimasti

stabili, se non in lieve aumento.

Il 2006 è stato l’anno peggiore dell’ultimo decennio (per l’ Italia),

con 147 femminicidi di cui 70 nel nord (47,6%), 44 al centro (29,9%) e,

infine, 33 al sud (22,4%). Se però rapportiamo i femminicidi alla popolazione

femminile nello stesso periodo, suddivisa per area geografica emergono delle

differenze significative.

A questo puto si può dire che non si debbano avere dei pregiudizi in nessun campo.

Grafici vari non esaminati al dettaglio

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Saggio finale sul femminicidio

INTERVISTA DI RICCARDO IACONA

� 5 MILIONI DI DONNE SONO STATE VIOLENTATE

� IL 93% NON DENUNCIA

� STA SUCCEDENTO CHE IL FATTO CHE "LA DONNA NON CONTA MAI

NIENTE" IN TUTTI I CAMPI È IL RISULTATO DI UN GRANDE PREGIUDIO

� CASE PRIGIONI ABITUALMENTE VIOLENTATE E SOTTOMESSE

� AUMENTO DAL 2006 IN POI

� LA MAGGIOR PARTE DELLE DONNE MORTE SONO AL NORD MA

NON AL SUD

� L' UCCISIONE È UNA REAZIONE DA PARTE DELL' UOMO A QUESTA

VOGLIA DELLE DONNE AD ESSERE AUTONOME

� IL FEMMINICIDIO NON RIENTRA NELL' AGENDA POLITICA. SE CI

FOSSERO DELLE CASE ANTIVIOLENZA I FEMMINICIDI SI

RIDURREBERO ANCHE PIÙ DEL CINQUANTA PER CENTO