Istanze boitiane in Sicilia

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Istanze boitiane in Sicilia tra storia, restauro e modernismo e il caso del restauro del castello di Mussomeli Carmen Genovese [email protected] Gioacchino Piazza [email protected] Rosario Scaduto [email protected] In Sicilia l’influenza di Boito nella cultura architettonica tra Otto e Novecento si manifesta secondo l’inscindibile connubio tra restauro, storia e progetto del nuovo, connubio vivo, d’altronde, nella figura stessa dello studioso. Oltre che alla notorietà del suo pensiero tra i coevi, l’influenza di Camillo Boito nella cultura della regione si deve ad eventi specifici in cui entrò in contatto con temi siciliani. Nell’ambito della nuova organizzazione centralizzata della tutela del Ministero della Pubblica Istruzione, infatti, alla fine dell’Ottocento egli si recò più volte in Sicilia come membro di Commissioni ministeriali a dirimere varie questioni nate intorno al restauro di importanti monumenti, come il Palazzo Chiaramonte a Palermo, il Palazzo della Giudecca a Trapani e la Badiazza a Messina. Inoltre, in qualità di membro di commissioni di concorsi di architettura o di consulente in merito ad altre vicende legate al restauro monumentale, egli si confrontò più volte con alcune figure che dominarono la scena siciliana tra il XIX e gli inizi del XX secolo, come Giuseppe Patricolo, Antonino Salinas ed Ernesto Basile. Studiando l’architettura siciliana, che in Architettura del Medio Evo in Italia analizzò e definì «romano- bisantino-arabo-normanno-sicula», Boito ne ribadì l’importanza nella definizione dell’arte veneta e dunque di quella nazionale. Tali ragionamenti influirono senz’altro nel dibattito sullo stile e nella cultura progettuale dell’isola che, guardando anche ai modelli operativi offerti da Boito e dai suoi allievi, come Beltrami , D’Andrade e Moretti, sfociarono nell’opera di Ernesto Basile e dei suoi epigoni, come Francesco Fichera, Saverio Frangipane, Salvatore Benfratello ed Ernesto Armò. A partire da Ernesto Basile tali figure, esponenti a vario titolo del Modernismo, si distinsero anche per ampi contributi alla storia dell’architettura e d in particolare dello stile siciliano, essendo attivi nel dibattito e nella prassi del restauro dei monumenti, secondo quell’inscindibile connubio già citato. A dimostrazione di tale sfaccettata impostazione culturale e professionale, il saggio vuole indagare in particolare sulla figura di Ernesto Armò (1867-1924), nato a Palermo, ma di formazione torinese. Egli mostra di recepire anche gli insegnamenti derivati da Boito e più in generale dall’ambiente culturale europeo. Alla fine dell’Ottocento in Sicilia, con l’attività dell’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti diretto da Giuseppe Patricolo, si perpetuava il restauro stilistico delle antiche fabbriche normanne, con la coda di polemiche ed attente ispezioni effettuate dal Ministero della Pubblica Istruzione. Invece la metodologia con cui l’architetto Armò p ortava, nel 1911, a compimento gli interventi di restauro del nisseno castello di Mussomeli - in un contesto non istituzionale e quindi lontano dalla cultura degli uffici preposti alla tutela dei monumenti - per molti versi rispondono non solo ai dettami del Regio decreto e circolare del Ministero della Pubblica Istruzione del 21 luglio 1882 sui Restauri degli edifizi monumentali , ma anche agli emendamenti alle norme precedentemente indicate, formulati da Camillo Boito, presidente della sezione dei restauri del IV Congresso degli Ingegneri e Architetti, tenutosi a Roma nel 1883. Inoltre, nelle varie regioni italiane ed europee il tema dei castelli, sia nella progettazione sia nell’intervento sull’esistente, fu tra i terreni più fertili in cui realizzare l’ideale stilistico medievale con frequenti riferimenti, anche in Sicilia, alle teorie boitiane. L’intervento nel castello di Mussomeli non è episodio unico ma solo uno dei più eloquenti casi del concretizzarsi delle influenze del pensiero di Boito nella coeva cultura progettuale siciliana. A cavallo fra i secoli XIX e XX questo manufatto aveva già suscitato l’interesse di castellologi ed esponenti della coeva cultura del restauro, ma era stato oggetto solo di piccoli e scarsamente documentabili interventi. Giuseppe Agnello, castellologo e studioso del manufatto, ne ravvisa l’ascendenza sveva. È in questo contesto che i proprietari, il principe Pietro Lanza Branciforti (1863-1938) e il principe Francesco Lanza di Scalea (1834 1919), riconoscendo l’importanza della fortificazione ormai in condizioni ruderali, nel 1909 commissionano ad Armò il restauro del Castello di Mussomeli a Caltanissetta.

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Istanze boitiane in Sicilia tra storia, restauro e modernismo e il caso del restauro del castello di Mussomeli Carmen Genovese [email protected]

Gioacchino Piazza [email protected]

Rosario Scaduto [email protected]

In Sicilia l’influenza di Boito nella cultura architettonica tra Otto e Novecento si manifesta secondo l’inscindibile connubio tra restauro, storia e progetto del nuovo, connubio vivo, d’altronde, nella figura stessa dello studioso. Oltre che alla notorietà del suo pensiero tra i coevi, l’influenza di Camillo Boito nella cultura della regione si deve ad eventi specifici in cui entrò in contatto con temi siciliani. Nell’ambito della nuova organizzazione centralizzata della tutela del Ministero della Pubblica Istruzione, infatti, alla fine dell’Ottocento egli si recò più volte in Sicilia come membro di Commissioni ministeriali a dirimere varie questioni nate intorno al restauro di importanti monumenti, come il Palazzo Chiaramonte a Palermo, il Palazzo della Giudecca a Trapani e la Badiazza a Messina. Inoltre, in qualità di membro di commissioni di concorsi di architettura o di consulente in merito ad altre vicende legate al restauro monumentale, egli si confrontò più volte con alcune figure che dominarono la scena siciliana tra il XIX e gli inizi del XX secolo, come Giuseppe Patricolo, Antonino Salinas ed Ernesto Basile. Studiando l’architettura siciliana, che in Architettura del Medio Evo in Italia analizzò e definì «romano-bisantino-arabo-normanno-sicula», Boito ne ribadì l’importanza nella definizione dell’arte veneta e dunque di quella nazionale. Tali ragionamenti influirono senz’altro nel dibattito sullo stile e nella cultura progettuale dell’isola che, guardando anche ai modelli operativi offerti da Boito e dai suoi allievi, come Beltrami, D’Andrade e Moretti, sfociarono nell’opera di Ernesto Basile e dei suoi epigoni, come Francesco Fichera, Saverio Frangipane, Salvatore Benfratello ed Ernesto Armò. A partire da Ernesto Basile tali figure, esponenti a vario titolo del Modernismo, si distinsero anche per ampi contributi alla storia dell’architettura ed in particolare dello stile siciliano, essendo attivi nel dibattito e nella prassi del restauro dei monumenti, secondo quell’inscindibile connubio già citato. A dimostrazione di tale sfaccettata impostazione culturale e professionale, il saggio vuole indagare in particolare sulla figura di Ernesto Armò (1867-1924), nato a Palermo, ma di formazione torinese. Egli mostra di recepire anche gli insegnamenti derivati da Boito e più in generale dall’ambiente culturale europeo. Alla fine dell’Ottocento in Sicilia, con l’attività dell’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti diretto da Giuseppe Patricolo, si perpetuava il restauro stilistico delle antiche fabbriche normanne, con la coda di polemiche ed attente ispezioni effettuate dal Ministero della Pubblica Istruzione. Invece la metodologia con cui l’architetto Armò portava, nel 1911, a compimento gli interventi di restauro del nisseno castello di Mussomeli - in un contesto non istituzionale e quindi lontano dalla cultura degli uffici preposti alla tutela dei monumenti - per molti versi rispondono non solo ai dettami del “Regio decreto e circolare del Ministero della Pubblica Istruzione del 21 luglio 1882 sui Restauri degli edifizi monumentali”, ma anche agli emendamenti alle norme precedentemente indicate, formulati da Camillo Boito, presidente della sezione dei restauri del IV Congresso degli Ingegneri e Architetti, tenutosi a Roma nel 1883. Inoltre, nelle varie regioni italiane ed europee il tema dei castelli, sia nella progettazione sia nell’intervento sull’esistente, fu tra i terreni più fertili in cui realizzare l’ideale stilistico medievale con frequenti riferimenti, anche in Sicilia, alle teorie boitiane. L’intervento nel castello di Mussomeli non è episodio unico ma solo uno dei più eloquenti casi del concretizzarsi delle influenze del pensiero di Boito nella coeva cultura progettuale siciliana. A cavallo fra i secoli XIX e XX questo manufatto aveva già suscitato l’interesse di castellologi ed esponenti della coeva cultura del restauro, ma era stato oggetto solo di piccoli e scarsamente documentabili interventi. Giuseppe Agnello, castellologo e studioso del manufatto, ne ravvisa l’ascendenza sveva. È in questo contesto che i proprietari, il principe Pietro Lanza Branciforti (1863-1938) e il principe Francesco Lanza di Scalea (1834 – 1919), riconoscendo l’importanza della fortificazione ormai in condizioni ruderali, nel 1909 commissionano ad Armò il restauro del Castello di Mussomeli a Caltanissetta.

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Come prima accennato, l’architetto Ernesto Armò nasce a Palermo nel 1867 e consegue la laurea nel 1888 presso l’Università di Torino. Il consolidato e documentato rapporto con l’ambiente culturale piemontese fa sì che la sua formazione sia fortemente influenzata dalla presenza di due grandi personalità del mondo del restauro: Camillo Boito ed Alfredo D’Andrade. L’influsso di queste figure sul giovane architetto palermitano si riconosce nelle istanze moderniste ma anche nelle scelte metodologiche ed operative adottate nei lavori di restauro del castello di Mussomeli. La cura con cui egli conduce le indagini preliminari e le cautele che fanno da premessa ai suoi interventi ne attestano il recepimento del fermento culturale inerente al restauro degli anni ottanta dell’Ottocento, manifestando così la volontà di intervenire scientificamente sull’esistente. Proprio l’intenzionale scientificità con cui Armò documenta questo suo lavoro rimanda agli interventi che negli stessi anni realizzano Boito e D’Andrade. Pur intervenendo da architetto, tra eclettismo neo-medievale e modernismo, Armò analizza infatti la storia del manufatto, consultando le fonti storiche medievali, moderne e contemporanee, ed avvalendosi dell’apporto degli studi d’Oltralpe individua le fasi storiche attraversate dal castello, riconoscendone l’unità cronologica ad eccezione di alcune stratificazioni barocche. Quindi Armò osserva le raccomandazioni di matrice boitiana in merito alla necessità di redigere una documentazione scritta, grafica - anche con la produzione di rilievi a varie scale e di dettagli costruttivi - e fotografica del manufatto. In particolare la documentazione fotografica, un completo reportage degli interventi - lavoro innovativo se pensiamo alla prassi operativa perpetuata fino ad allora sull’esistente - raccoglie in pieno i suggerimenti boitiani e le moderne istanze di documentazione scientifica del lavoro, seppur tralascia la descrizione dello stato di fatto. Inoltre, dovendo ricostituire alcune parti architettoniche andate perdute, Armò conferma ancora una volta l’adesione alla lezione boitiana, e in particolare ai suggerimenti inerenti all’uso di forme semplificate «nelle parti di compimento indispensabili alla solidità e alla conservazione». In altri casi conduce invece chiare operazioni di ripristino che rimandano al pensiero di Viollet-le-Duc, che Armò cita espressamente. Infine, considerato che il restauro del castello di Mussomeli si pone in linea con la coeva cultura nazionale modernista ma anche conservatrice, che inizia cioè a sostituire la prassi del ripristino con una maggiore attenzione allo studio ed alla conservazione dei monumenti, nel presente contributo non si limita ad indagare sui principi e le posizioni culturali di Armò nel restauro del castello di Mussomeli; infatti, considerato che tale intervento fu noto e dibattuto anche nel contesto culturale europeo, in particolar modo dall’architetto più vicino a Guglielmo II imperatore di Germania, Bodo Ebhart, e del suo allievo Caesar Rave, per quanto detto prima e per i suoi rimandi europei, tale caso di studio si offre come terreno d’indagine privilegiato per analizzare legami e dissonanze tra la cultura architettonica siciliana e la più avanzata cultura architettonica coeva.