Istantanea di un'isola

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Una fotografia della situazione socio-economica della Sardegna

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Page 1: Istantanea di un'isola

Navigare tra i numeri alla scoperta di un’Isola

Viaggio virtuale in Sardegna: la popolazione, il territorio, il tessuto produttivo e le

potenzialità di sviluppo.

Siamo poco più di un milione e seicento mila residenti e disponiamo di tanto territorio: con

un’equa distribuzione ognuno di noi avrebbe quasi 15 m2 di superficie, il triplo della media

nazionale. La densità di popolazione non arriva a 68 abitanti per km2 contro i 197 nel resto del

Paese. Anche le abitazioni sono più che adeguate al fabbisogno, considerato che nei 377

Comuni ce ne sono 856 mila, una ogni due persone, 36 ogni km2 di superficie (sono 96 in

media in Italia).

Numero di abitazioni per Comune

Fonte: Elaborazione Centro Studi L’Unione Sarda su dati Istat

I bambini e i ragazzi fino all’età da lavoro (15

anni) sono 200 mila circa, il 12% della

popolazione. Una percentuale più bassa

rispetto al resto del Paese (14%), dovuta alla

ridotta natalità (7,9 ogni 1000 residenti contro

i 9,1 di media nazionale) e alla scarsa presenza

di stranieri (che hanno un tasso di fecondità

più elevato), appena l’1,9% mentre nel resto

d’Italia è del 6,82%. I potenziali lavoratori,

ossia le persone con più di 14 anni ma meno di

65, sono invece in proporzione superiore

nell’Isola che nella media delle regioni italiane,

rispettivamente il 68% in Sardegna e il 65% in

Italia. La percentuale è identica a livello

regionale e nazionale se si considera invece la

popolazione con più di 64 anni. Questi dati

determinano per la Sardegna degli indici di

dipendenza: degli anziani e strutturale, inferiori

a quelli nazionali (30% e 32% anziani e 48% e

53% strutturale) ed è un segno positivo perché

si riduce il “carico potenziale” dei lavoratori nel

sostenere chi invece non è in età da lavoro.

Ma quanti dei possibili lavoratori hanno effettivamente un’occupazione? Perché senza lavoro

non c’è reddito e senza quest’ultimo si riduce il consumo. La risposta è fornita dal tasso di

occupazione (numero occupati in rapporto alla popolazione residente): in Sardegna si attesta

al 51,7%, nel resto del Paese al 56,8%. Nell’Isola ci sono 78 occupati ogni 100 persone non

attive (tra cui studenti, casalinghe, pensionati, portatori di handicap e tutti coloro che non

cercano attivamente un’occupazione), nella penisola sono 87. Se gli occupati devono farsi

carico anche di coloro che il lavoro lo cercano ma non lo trovano allora questo rapporto diventa

ancora più sbilanciato: 69 lavoratori ogni 100 non lavoratori (per qualsiasi motivo) contro i 79

a livello nazionale. Il che significa che, contrariamente a quanto affermano i dati demografici, i

pochi lavoratori sardi (595 mila) devono farsi carico di un peso decisamente più elevato dei

connazionali residenti fuori regione. A questo si aggiunge una distribuzione del lavoro per

settore economico differente dal resto d’Italia e l’unico settore rilevante è quello dei servizi

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(77,2%), più precario e con una minore produzione di valore aggiunto, quindi di ricchezza per

la regione.

Distribuzione degli occupati per settore (valori percentuali)

Settori Sardegna Italia

Agricoltura 5,6 3,7

Industria in senso stretto 9,1 20,1

Costruzioni 8,1 7,7

Servizi 77,2 68,5

Fonte: Elaborazione Centro Studi L’Unione Sarda su dati Istat

Parliamo quindi di coloro che il lavoro non ce l’hanno ma lo cercano. L’Istat ne conta 109 mila

e il tasso di disoccupazione (misurato rapportando il numero delle persone che cercano lavoro

sul totale delle forze di lavoro) supera il 15%, quasi 5 punti percentuali in più rispetto alla

media nazionale. Se si considerano solo i giovani (15-24 anni) questo indicatore raggiunge il

47%, 12 punti in più rispetto al solito confronto.

Tasso di disoccupazione totale per regione (valori sopra e sotto la media nazionale)

Fonte: Elaborazione Centro Studi L’Unione Sarda su dati Istat

Per determinare la vera

carenza di posti di lavoro

nell’Isola, ai disoccupati

vanno sommate le forze di

lavoro potenziali, altre 117

mila persone. Ogni 100

forze lavoro ce ne sono

infatti altre 27 che lo sono

solo potenzialmente, perché

non cercano un’occupazione

seguendo le direttive

europee, quindi non

possono essere definite

disoccupate.

Queste statistiche però non

forniscono alcun elemento

per separare la

disoccupazione involontaria

da quella volontaria, dovuta

al fatto che qualche lavoro

disponibile non è più

appetibile per i residenti. Bisogna infatti ricordare che anche in Sardegna ci sono dei posti di

lavoro per i quali non ci sono richieste. In taluni casi mancano le competenze per ricoprire certi

ruoli. Una delle cause della disoccupazione è proprio la mancata corrispondenza tra le

opportunità lavorative offerte dal mercato regionale e le competenze e la formazione

professionale possedute da chi cerca un’occupazione. Secondo l’Unioncamere infatti ci sono

varie posizioni lavorative1 che non trovano corrispondenza con l’offerta di lavoro locale e

spesso la motivazione è la mancanza di specializzazione, anche se a volte si tratta di posizioni

professionali poco qualificate che nessuno è più disposto a ricoprire. Spesso però non manca

1 Dall’ultimo rapporto Excelsior, le figure con maggiore difficoltà di reperimento sono: Operatori dell'assistenza sociale

e dei servizi sanitari, Professioni operative dei servizi alle persone e di sicurezza, Operai metalmeccanici ed

elettromeccanici, Commessi e altro personale qualificato nelle attività commerciali.

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solo la specializzazione, ma anche un titolo di studio adeguato. In Sardegna, infatti, la

dispersione scolastica e il fenomeno sempre più frequente dei Neet (i giovani tra i 15 e i 34

anni che non studiano e non lavorano sono il 30%) sono in percentuale maggiore rispetto alla

media delle regioni italiane. Nel 2012 il 25% dei giovani sardi di età compresa tra 18 e 24 anni

ha abbandonato gli studi2, in Italia la percentuale si ferma al 17,6%.

Le motivazioni dell’elevato tasso di disoccupazione non sono legate però solo all’offerta di

lavoro, ma anche e soprattutto alla domanda, che dipende dal tessuto produttivo, cioè dalle

esigenze delle imprese operanti nel territorio regionale. Nell’Isola si contano 147 mila imprese

e il tasso di imprenditorialità è in linea con la media nazionale: 89 imprese ogni mille residenti

e 88 nel resto d’Italia. Se si considerano però solo le attività extra agricole l’indice di

imprenditorialità passa a 68 ogni mille abitanti (75 nella media nazionale). Questo mette in

evidenza che il settore agricolo continua ad avere un certo peso sull’economia della regione.

Però bisogna considerare che le imprese agricole sono le meno strutturate e le più piccole e

questi fattori sono indice di poca produttività e basso valore aggiunto prodotto. Conferma

questo dato il fatto che il 23,5% delle imprese (fonte Infocamere) opera nel settore agricolo

mentre la percentuale di occupati arriva solo al 5,6%. Anche se i lavoratori considerati

dall’Istat sono esclusivamente i residenti, non vengono quindi considerati gli stranieri, che in

agricoltura sono impiegati più frequentemente che in altri settori.

Imprese attive per settore economico.

Tasso di crescita del 2012 rispetto al 2011 e incidenza dei settori sul totale

DESCRIZIONE Imprese

attive

Tasso

crescita

incidenza

% settore

Commercio all'ingrosso e al dettaglio; riparazione di auto 40.318 -1,20 27,52

Agricoltura, silvicoltura pesca 34.482 -2,24 23,53

Costruzioni 21.903 -2,17 14,95

Attività dei servizi alloggio e ristorazione 11.400 -1,70 7,78

Attività manifatturiere 11.106 -2,44 7,58

Altre attività di servizi 5.085 -1,43 3,47

Trasporto e magazzinaggio 4.517 -3,16 3,08

Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese 4.226 -2,24 2,88

Attività professionali, scientifiche e tecniche 2.863 -2,66 1,95

Servizi di informazione e comunicazione 2.842 -1,40 1,94

Attività immobiliari 2.179 0,08 1,49

Attività finanziarie e assicurative 2.040 -0,69 1,39

Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento 1.340 -1,98 0,91

Sanità e assistenza sociale 925 -1,43 0,63

Istruzione 651 -1,89 0,44

Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di gestione acque 258 0,31 0,18

Estrazione di minerali da cave e miniere 190 -2,27 0,13

Imprese non classificate 139 26,28 0,09

Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizion. 61 7,84 0,04

Totale 146.525 0,04 100,00

Fonte: Elaborazione Centro Studi L’Unione Sarda su dati Infocamere

La struttura produttiva regionale non può più contare sul settore manifatturiero che ha visto

ridurre sensibilmente il proprio contributo negli ultimi 10 anni. Dal censimento del 2001 a

2 Percentuale della popolazione tra i 18 e i 24 anni con al più la licenza media, che non ha concluso (e non frequenta)

un corso di formazione professionale riconosciuto dalla Regione di durata di almeno 2 anni e che non frequenta corsi

scolastici o altre attività formative.

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quello del 2011 le imprese del settore sono diminuite del 13,2% e l’occupazione ha registrato

una flessione del 18,7%.

Posti letto negli esercizi ricettivi per comune

Fonte: Elaborazione Centro Studi L’Unione Sarda su dati Istat

Questo ha determinato uno

spostamento dell’asse produttivo

verso il terziario, dando maggior

rilievo al turismo, considerato tra i

settori più importanti dell’Isola,

non tanto per il numero di

imprese o di addetti, quanto

perché è ritenuto il settore

trainante per la ripresa dell’intera

regione. Attualmente è ancora

forte la predilezione per il turismo

balneare e gli esercizi ricettivi si

concentrano sulle coste più che

nelle zone interne, anche se ormai

in quasi tutti i Comuni c’è qualche

esercizio ricettivo (per lo più

B&B).

I turisti che scelgono come meta

di vacanza la Sardegna sono in

maggioranza italiani, anche se

negli ultimi anni, a seguito della

crisi stanno aumentando gli

stranieri mentre gli italiani sono in

calo. Le presenze turistiche sono

però ancora concentrate nei mesi estivi, proprio a causa della specializzazione per il turismo

balneare, ma recenti politiche regionali mirano ad incentivare l’allungamento della stagione

turistica puntando sulle forme di turismo attivo che si adattano a quasi tutti i mesi dell’anno

grazie alle condizioni climatiche favorevoli.

A complicare ulteriormente la situazione c’è una cronica difficoltà ad avere credito per proporre

nuove iniziative imprenditoriali o far crescere quelle esistenti. Richiedere dei finanziamenti è

infatti più oneroso in Sardegna rispetto alla media nazionale, viceversa è più elevato il rischio

di insolvenza: il tasso di decadimento dei finanziamenti per cassa è pari al 3,3% nell’Isola

contro un 2,3% come media nazionale.

E non sono certo d’aiuto le Pubbliche Amministrazioni che hanno un peso rilevante nel sistema

produttivo regionale. Sono infatti 542, 59 in meno rispetto al 2001, eppure gli addetti sono

aumentati di due mila unità circa, il 4,1% in termini percentuali, mentre nel resto del Paese

sono diminuiti dell'11,5%.

Completano il quadro del sistema produttivo le Istituzioni non profit che sono 9.616 (quasi

mille e cinquecento in più in 10 anni, +18% in termini percentuali) e danno lavoro a 17 mila

addetti, 8 mila lavoratori esterni e più di 140 mila volontari. I settori di attività nei quali

operano queste istituzioni sono (ordinate per numero di addetti): sanità e assistenza sociale

(59%), istruzione (24%), altre attività dei servizi (11%) e attività artistiche, sportive e di

intrattenimento. Se si considerano invece i volontari le percentuali cambiano anche se i settori

coinvolti sono gli stessi. La prevalenza in questo caso è delle attività artistiche, sportive e di

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intrattenimento (45%), seguite dalle altre attività dei servizi (32%) e da sanità e assistenza

sociale (21%).

Tutte le attività indicate, siano esse imprese, pubblica amministrazione o istituzioni non profit

hanno realizzato nel 2012 un prodotto interno lordo di 32 miliardi di euro, che ripartito tra tutti

i residenti corrisponde a 19.344 euro (valore pro-capite), un importo esiguo considerato che

vale appena il 75% di quanto si produce mediamente in Italia, per di più è in calo rispetto al

2011 (quando ammontava a 20.080 euro pro-capite, il 77% della media italiana), indicando

che la crisi in Sardegna ha avuto ripercussioni più forti che nel resto del Paese.

Il sistema economico e produttivo sin qui descritto, la mancanza di lavoro, la precarietà per chi

invece ne ha uno, come pure l’elevato tasso di irregolarità (22,2% le unità di lavoro irregolari

sul totale delle unità di lavoro, contro un 12,2% di media nazionale) e il peso rilevante della

Pubblica Amministrazione che non sempre agevola lo sviluppo economico, spiegano le ridotte

capacità di spesa delle famiglie residenti nell’Isola e il conseguente livello di povertà.

I consumi mensili rilevati dall’Istat per le famiglie sarde ammontano infatti a 1.879 euro, 540

in meno rispetto al livello medio nazionale.

Anche la ripartizione della

spesa differisce da quella

delle altre regioni. Infatti

nell’Isola hanno una

rilevanza maggiore le

spese alimentari: 23%

del totale della spesa

mensile (440 euro) contro

il 19% del livello italiano

(469 euro). Il divario è in

parte dovuto al fatto che

questa tipologia di spesa

è l’ultima che può essere

tagliata quando si riduce

il livello dei redditi a

disposizione e incide di

più su importi di spesa

inferiori. La soglia di povertà, ossia l’importo dei consumi che segna il confine tra l’essere e

non essere poveri, è determinata a livello nazionale (corrisponde ai consumi medi di una

famiglia italiana con due componenti: 991 euro) dove il 12,7% delle famiglie consuma meno

del valore soglia ed è quindi definito povero. In Sardegna le famiglie che non raggiungono

questo livello di spesa sono invece il 20,7%, ricordando che nell’Isola il fenomeno della povertà

è più ampio e rilevante rispetto alla media delle altre regioni italiane.

Non si può trascurare la relazione esistente tra povertà e criminalità: spesso al crescere

dell’una cresce anche l’altra. Un recente studio proposto dalla Banca d’Italia ha dimostrato per

esempio che, nei primi due anni della crisi (2008-2009), al ridursi delle attività economiche

sono aumentati i furti e le estorsioni. Considerati gli effetti che la crisi ha avuto sulle imprese

locali (sulla loro sopravvivenza) queste affermazioni potrebbero preoccupare e non poco, però

su questo confortano i dati dell’Istat che per il 2011 (ma questo valeva anche prima della crisi

del 2008) rilevano un indice di criminalità diffusa inferiore alla media nazionale (14 furti e

rapine meno gravi ogni mille residenti in Sardegna, contro una media nazionale di 25). Anche

l’indice di microcriminalità (riferito in questo caso solo a Cagliari, in quanto capoluogo di

regione) è ben al di sotto della media nazionale (5,6 delitti legati alla microcriminalità ogni

1000 residenti nell’Isola e 12,2 del livello nazionale). Più preoccupante è invece la situazione

594

440

250

122 11592 81 66 51 41

13 13

699

469

351

135 121

247

11687 99

4619 29

0

100

200

300

400

500

600

700

Spesa media in euro per capitolo

Sardegna Italia

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riferita ai soli giovani. L’indice di criminalità minorile (misurato rapportando il numero dei

minori denunciati per le varie tipologie di reato sul totale dei denunciati) è pari al 3,9%

nell’Isola ed è leggermente superiore al 3,6% della media nazionale. Significa infatti che c’è

una propensione maggiore nei giovani a commettere dei reati.

Ancora l’Istat, con la rilevazione del 2012, fa sapere che in Sardegna le famiglie si sentono

sicure nei quartieri in cui risiedono. Solo il 14% di esse percepisce un “rischio criminalità” nella

zona in cui vive. Mediamente in Italia questa percentuale arriva al 26%, con punta del 38,7%

in Campania e il valore minimo in Trentino Alto Adige (8,6%).

Insomma, nella pur ridotta sequenza di dati è evidente la motivazione di non effimere

preoccupazioni.