ISNN 1724-7640 SOCIETÀ ITALIANA DI GINNASTICA MEDICA …€¦ · Biagio AMATO, Manlio BITOCCHI...

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1 Fondata da Carlo PAIS ISNN 1724-7640 ORGANO UFFICIALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI GINNASTICA MEDICA MEDICINA FISICA - SCIENZE MOTORIE E RIABILITATIVE Volume LVIII - Fasc. 1/2/3 - Anno 2010 Spedizione in a.p. - Filiale di Brindisi Direttore: Alvaro CORIGLIANO Via Vittorio Emanuele, 86 50134 FIRENZE Comitato di redazione: Biagio AMATO, Manlio BITOCCHI Mario CANEPA, Salvatore CASERTA Tommaso CESAREO, Gabriella CHIONNA Giuseppe MASSARA, Luigi MOLFETTA Giovanni Battista ODONE Giovanni RAINERO, Donato TODARO Vittorio VALERIO Direttore responsabile: Vittorio VALERIO E-mail: [email protected] Segreteria di Redazione: Angelo RINI - Gabriella CHIONNA Via Osanna, 69 - tel. 0831.528469 72100 BRINDISI Segreteria Amministrativa: Via Newton, 150 41100 MODENA Autorizzazione Tribunale di Brindisi n. 7/1987 Studio grafico: Schena Editore - Fasano Viale Nunzio Schena, 177 72015 Fasano (BR) Tel./Fax 080.4426690 www.schenaeditore.it [email protected]

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    Fondata da Carlo PAIS

    ISNN 1724-7640

    ORGANO UFFICIALE DELLASOCIETÀ ITALIANA DI GINNASTICA MEDICAMEDICINA FISICA - SCIENZE MOTORIE E RIABILITATIVE

    Volume LVIII - Fasc. 1/2 /3 - Anno 2010Spedizione in a.p. - Filiale di Brindisi

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    CANALE S. T., MANUGIANA H., Irriducibile traumatic disloca-tion of the hip., J. Bone and Joint Surg., 61/A, 7-14, 1979.

    E per le monografie:

    PUTTI V., Anatomia della lussazione congenita dell’anca,Cappelli, Bologna 1935.

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    5Francesco Cimino

    La chirurgia del piede torto congenito e tibia vara infantilea Fianarantsoa (Madagascar)

    presso la clinica Alfeo Corassori - La V ita per T e

    11D. Vittore - M. Salvemini - G. Caizzi

    Le fratture vertebrali in osteoporosi

    19Angelo Rini

    La riabilitazione delle fratture di polso nel paziente osteoporotico

    23Gaetano Moraglia - Fabio Colonna

    Linfedema post-mastectomia:protocollo riabilitativo multidisciplinare

    27Antonino Di Nardi

    Il protocollo di attività motoria preventiva ed adattataper il miglioramento dell’equilibrio in una classe di soggetti

    di varia disabilità stabilizzata

    35VERBALE N. 16

    Consiglio Direttivo Nazionale SIGM (18.4.2010)

    36RECENSIONI

    Rodolfo LisiTennis e scoliosi, stato dell’arte

    Vittorio Valerio - Gabriella ChionnaL’acqua elemento terapeutico. Idrokinesiterapia

    SOMMARIO

  • I casi di piede torto congenito e tibia vara infantile,nei bambini del Madagascar, trattati dal team chirur-gico dell’Associazione Alfeo Corassori - La Vita perTe, ad oggi superano le 100 unità e sono tutti casi in-veterati, che non hanno avuto alcun trattamento finoa quel momento oppure che hanno subito un tratta-mento non sufficiente o incompleto o inadatto alladeformità.

    In particolare, la deformità del piede torto congeni-to peggiora soprattutto dal momento in cui il bambinoinizia a camminare perché il peso del corpo grava sul

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    Francesco Cimino

    LA CHIRURGIA DEL PIEDE TORTO CONGENITO E TIBIA VARA INFANTILE A FIANARANTSOA (MADAGASCAR) PRESSO LA CLINICA ALFEO CORASSORI - LA VITA PER TE

    Chirurgo ortopedicoModena - Madagascar

    Il lavoro che viene presentato è il resoconto dell’attività che viene effettua-ta in ogni Missione Umanitaria che il dottor Francesco Cimino ed la sua Equi-pe formata da Medici e Paramedici Volontari effettuano almeno tre volte al-l’anno a Fianarantsoa (Madagascar).

    Ad oggi tanti bambini sono stati operati e a tutti loro è stato poi assicuratoun percorso riabilitativo adeguato fino alla conquista del cammino autonomo.

    I bimbi accolti in strutture idonee di varie Missioni provengono da villaggilontani o dalla foresta e nella maggioranza dei casi sono bambini abbandona-ti che vivono sulla strada o in Orfanotrofi.

    Nel lavoro viene fatto vedere i momenti tecnici e chirurgici più significatividei due interventi chirurgici che maggiormente vengono effettuati.

    L’impegno del gruppo di Volontari insieme al dottor Cimino è notevole an-che perché molte volte le condizioni un cui si è obbligati a lavorare sono dav-vero al limite del possibile.

    Sono esperienze professionali e soprattutto umane uniche, piene e scon-volgenti, dove ogni difficoltà e sacrificio si supera quando si riesce a vedere,solo dopo pochi mesi, un bimbo camminare verso un’aspettativa di vita mi-gliore, ma soprattutto con la speranza di una vita migliore.

    The article presented is a report on what dr Francesco Cimino and hiséquipe of Volunteer Physicians and Paramedics actually do, at least threetimes a year, in their Humanitarian Missions in Fianarantsoa (Madagascar).

    To date, many children have received surgical treatment and they have allbeen guaranteed an adequate course of rehabilitation to enable them to walkby themselves.

    The children, who are given shelter in the various missions having ade-quate facilities, come from far-away villages and from the forest, and in mostcases, are children that have been abandoned living in the streets or in or-phanages.

    The study examines the most significant technical and surgical phases inthe two surgical operations most practised.

    The commitment made by of the group of volunteers working with dr Cimi-no is indeed remarkable considering also that the conditions in which they arecompelled to work very often verge on the incredible.

    The professional and above all humane experience involved is unique, ful-filling and soul-stirring. Whatever difficulty or sacrifice there be is overcomewhen you see, but a few months later, a small child walking towards the ex-pectancy of a better life, with the hope of a better life.

    RIASSUNTO

    SUMMARY

    Fig. 1. Piede torto equino varo supinato bilaterale inveterato.Bernadette.

    – Relazione preparata per il Convegno Regionale SIGM Puglia.Brindisi 18.09.2010.

  • margine dorso-laterale del piede, incrementando coltempo la forma già anomala e causando aggrava-menti nella deformità. I tessuti contratti della partemediale del piede tendono ad accorciarsi ancora dipiù. Le ossa vengono compresse in modo innaturalee, essendo ancora abbastanza plastiche, si deforma-no in base all’andamento delle linee di forza cui sonosottoposte.

    Le ossa che normalmente sostengono l’arco lon-gitudinale mediale del piede, il quale a sua volta di-stribuisce le forze del carico assiale, ora non svolgo-no più questa importante funzione e la pianta del pie-de, in tal modo, non fa mai esperienza della soppor-tazione del peso corporeo; questi piedi sono inoltreimpossibilitati ad indossare calzature normali. Nelpiede così sollecitato e privo di calzature, si sviluppaun addensamento calloso proprio dove il piede defor-me appoggia per terra, cioè sul suo lato dorso-latera-le; in prossimità del callo spesso si aprono ferite e ilrischio di infezioni è alto.

    Il solo intervento sui tessuti molli tramite il loro ri-lascio, talvolta non può completamente correggerel’anatomia ossea, e le recidive, in questi casi, sonomolto frequenti a causa della tendenza delle ossa atornare nella loro scorretta posizione.

    Il team chirurgico della Clinica Alfeo Corassori - La V ita per T e di Fianarantsoa

    Le figure professionali incluse nel team che svolgegli interventi chirurgici su piede torto e tibia vara ed al-tre patologie di Ortopedia Pediatrica sono: anestesi-sta, chirurgo, medici assistenti al chirurgo, infermiere,ferrista, assistenti di sala. Il team si completa graziealla compresenza di alcuni professionisti locali delMadagascar con altri italiani dell’Associazione OnlusAlfeo Corassori - La Vita per Te di Modena.

    Malgasci sono l’anestesista, un chirurgo (dott. Bo-naventure Rakotonandrosana), una infermiera di salaoperatoria e gli assistenti di sala. Italiani sono inveceil dottor Francesco Cimino, Ortopedico e Presidentedell’Associazione e una, a volte due, infermiere di sa-la operatoria e una ferrista.

    Operazione chirurgica del piede torto equinovaro supinato

    L’operazione chirurgica di correzione del piede tor-to equino varo supinato, eseguita dal team mediconella Clinica Pediatrica di Fianarantsoa, comincia conla recisione completa del tendine d’Achille; l’allunga-mento del tendine d’Achille è ottenuto grazie ad unaincisione a Z: un taglio longitudinale tra due tagli tra-sversali permettono di ricavare due lembi separati epiù sottili.

    Dalla stessa incisione il chirurgo opera per il rila-scio della capsula articolare tra tibia, astragalo e cal-cagno; è questa manovra che permette al calcagno diabbassarsi dalla sua posizione equina. Se a seguitodella recisione del tendine d’Achille l’alluce mantieneuna posizione di estrema flessione, si procede con larecisione a Z del tendine flessore lungo dell’alluce econ il suo allungamento. Questo tendine decorre nelversante mediale del piede, passando sotto al su-stentaculum tali e in profondità.

    Francesco Cimino

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    Fig. 4. Incisione del lato mediale del piede.

    Fig. 5. Recisione tendine del muscolo flessore lungo dell’alluce.

    Fig. 2. Recisione tendine d’Achille.

    Fig. 3. Recisione tendine d’Achille.

  • Sempre medialmente si recidono anche le ca-psule articolari tra scafoide, cuneiforme e primo me-tatarso. Inoltre, è necessario rilasciare il tendine delmuscolo tibiale posteriore.

    Esso decorre nella pianta del piede e, insieme almuscolo peroniero lungo, forma la cosiddetta ‘staffa’,stabilizzatrice per i movimenti di inversione ed ever-sione; in particolare il tibiale posteriore aziona i movi-menti di supinazione e di flessione plantare.

    L’insieme di questi tre interventi sulle parti mollidella zona mediale del piede è detto, nel suo insieme,medial release.

    Successivamente si incide latero - posteriormenteper asportare il tessuto fibroso-connettivale in ecces-so, che ha formato il callo osseo su cui il piede ap-poggiava durante il mantenimento della stazione eret-ta e durante il cammino.

    Se la deformazione non si corregge dopo gli inter-venti sulle parti molli, si procede con l’approccio alleparti ossee.

    A seconda dei casi, l’osteotomia può essere ese-guita con tecniche diverse.

    Talvolta si compie una osteotomia tra osso cu-neiforme e calcagno, con l’asportazione di un fram-mento osseo cuneiforme (a base laterale e punta me-diale). Tale ablazione crea uno spazio che permetteuna modificazione dei rapporti tra le due ossa e tra leloro superfici; si ottiene così una correzione in abdu-zione e flessione dorsale.

    Altre volte si segue, invece, la strada della astra-galectomia, ovvero estrazione totale dell’astragalo.

    In questo caso, dunque, le nuove superfici di con-tatto dell’articolazione tibio-tarsica saranno quelledella tibia e del calcagno.

    Infine i lembi dei tessuti, compresi i lembi del ten-dine d’Achille, vengono suturati.

    La chirurgia del piede torto congenito e tibia vara infantile

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    Fig. 6. Taglio postero-laterale.

    Fig. 7. Tessuto fibro-connettivale in eccesso nella zona poste -ro-laterale.

    Fig. 9. Estrazione dell’astragalo.

    Fig. 10. Astragalo rimosso.

    Fig. 11. Sutura del tendine d’Achille.

    Fig. 8. Apertura della zona laterale del piede.

  • L’immobilizzazione dell’arto viene conseguita sen-za alcun mezzo di fissazione quali chiodi, viti, plac-che, fissatori; questo per mancanza di risorse e dimateriale idoneo, ma anche per evitare il rischio di in-fezioni e complicazioni, che sarebbero difficilmente ri-solvibili da personale esperto dal momento che moltidei bambini operati vivono in villaggi spesso lontanida centri medici. La fasciatura e il gesso vengono ap-plicati in modo che la posizione ottenuta e mantenutasia quella corretta, con un leggero grado di ipercorre-zione. È il chirurgo stesso che, quando il gesso è an-cora modellabile, applica delle pressioni lì dove vuoleottenere gradi diversi di articolarità.

    Il gesso viene applicato fino al terzo prossimaledella coscia.

    Operazione chirurgica della tibia vara infantile

    L’operazione chirurgica di correzione della tibiavara infantile, eseguita dal team medico nella ClinicaAlfeo Corassori - La Vita per Te di Fianarantsoa, ini-zia con un’incisione medio-laterale nel terzo medianodella gamba per eseguire la frattura del perone con ri-mozione di una parte ossea; ciò per permettere il suc-cessivo raddrizzamento della tibia, evitando che il pe-rone funga da ‘fermo’ per la correzione.

    I tipi di osteotomia eseguiti usualmente dall’équipechirurgica di Fianarantsoa per correggere il varismosono due.

    Il primo prevede la sezione trasversale con sfac-cettatura a cupola della tibia nel suo terzo prossima-le. In seguito, per ottenere la correzione del varismo,la parte distale della tibia viene ruotata esternamentesulla parte prossimale. Questa tecnica permette di ot-tenere un’ottima superficie di contatto tra le due su-perfici tibiali.

    L’altro intervento di osteotomia consiste nella se-zione trasversale del terzo prossimale della tibia conasportazione di un frammento osseo cuneiforme. Ciòcrea spazio per la correzione in valgismo.

    Viene infine applicata la fasciatura e il gesso perottenere e mantenere la posizione corretta. Non ven-gono utilizzati mezzi di fissazione quali chiodi, plac-che, fissatori. La posizione assunta dalle ossa è quel-la che viene imposta manualmente dal chirurgo chemodella il gesso finché morbido.

    Francesco Cimino

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    Fig. 13. Applicazione e modellamento del gesso.

    Fig. 15. Frattura del perone.

    Fig. 16. Sezione trasversaledella tibia.

    Fig. 17. Sezione trasversaledella tibia.

    Fig. 14. Applicazione del gesso ultimata.

    Fig. 18. Drenaggio e sutura.

    Fig. 12. Drenaggio e sutura.

  • La chirurgia del piede torto congenito e tibia vara infantile

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    SECONDA PARTE

    Prima. Dopo.

    Prima. Dopo.

    Prima. Dopo.

    Prima. Dopo.

  • Francesco Cimino

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    Prima. Dopo.

    Prima. Dopo.

    Prima. Dopo.

    Dopo.

    Prima.

  • Introduzione

    Le fratture vertebrali nei pazienti osteoporotici rap-presentano una fonte di inabilità importante, in quan-to innescano frequentemente un circolo vizioso di cuila frattura è solo il punto di partenza.

    Infatti la frattura vertebrale osteoporotica è causadi dolore dorso-lombare cronico, deformità del troncoe alterazione posturale globale, che a loro volta com-portano disturbi nell’equilibrio e difficoltà nella deam-bulazione autonoma. In questa condizione il rischio dicaduta diventa molto elevato, con possibile comparsadi una seconda frattura, che alimenta nuovamente il“circolo vizioso”.

    La comprensione della patogenesi delle fratturevertebrali è quindi di fondamentale importanza sia per

    impostare il trattamento chirurgico e riabilitativo piùadeguato, ma anche per intervenire precocemente suifattori di rischio ed eseguire una prevenzione primaria.

    Epidemiologia (1, 2)

    Dati epidemiologici nel mondo. L’invecchiamen-to è uno dei principali fattori di rischio per l’osteoporo-si ed è quindi ovvio che gli Stati con la percentuale dianziani più elevata sono quelli che presentano la pre-valenza maggiore della malattia e ne sostengono i co-sti più elevati. Per limitarsi ai Paesi dell’Unione Euro-pea, la percentuale di ultrasessantacinquenni variadall’11,4% dell’Irlanda al 18,3% dell’Italia, che è quindiin testa alla classifica, mentre assai vicine sono Gre-cia, Svezia e Spagna (circa il 17%) e leggermente di-stanziate Francia e Regno Unito (intorno al 16%).

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    D. Vittore - M. Salvemini - G. Caizzi

    LE FRATTURE VERTEBRALI IN OSTEOPOROSI

    Università degli Studi di BariFacoltà di Medicina e Chirurgia

    Dipartimento di Metodologia e Tecnologie Medico-ChirurgicheU.O. Ortopedia e Traumatologia II - Direttore: Prof. V. Patella

    Le fratture vertebrali occupano un capitolo importante nella traumatologiaper le complicanze neurologiche e funzionali che causano frequentemente.

    Vanno distinte, in base al meccanismo che le produce, fratture traumati-che, che colpiscono soprattutto soggetti giovani in corso di incidenti stradali, efratture patologiche, che invece interessano la popolazione anziana.

    Le fratture del soggetto anziano possono essere considerate nella maggiorparte dei casi patologiche; esse infatti sono di solito dei crolli vertebrali su ba-se osteoporotica. Va però sottolineato che la patogenesi del crollo osteoporo-tico che si realizza nell’anziano ha radici già nell’età adulta, a causa dei pro-cessi di degenerazione discale, che comportano la modifica delle curve sagit-tali e successiva alterazione della distribuzione dei carichi sui corpi vertebrali,ed a causa della progressiva disidratazione cellulare inter-trabecolare del cor-po vertebrale. Il crollo osteoporotico comporta quindi un aggravamento deldanno anatomo-biomeccanico del rachide con progressivo dolore, limitazionefunzionale e disabilità.

    Gli Autori concludono esaminando le più recenti terapie conservative e chi-rurgiche indicate nelle fratture vertebrali osteoporotiche.

    Vetrebral fractures occupy an important chapter in Traumatology due toneurological and functional complications they often cause.

    They are classified, according to their pathogenesis, in traumatic fractures,wich almost regard young people during road accident, and pathological frac-tures, wich regard elderly population.

    Fractures in elderly people can be principally considered pathological; infact they are often osteoporotic vertebral collapses. It is important to point outthat pathogenesis of elderly vertebral collapse begins in adult age, because ofdiscal degeneration, wich causes sagittal curves changes and subsequent al-teration of load distribution on vertebral bodies, and because of the gradualand continuous dehydration of inter-trabecular cells in vertebral body.

    So osteoporotic collapse causes worsening of anatomic and bio-mechanicinjury to vertebral column with increasing pain, functional limitation and disabi-lity.Authors conclude whit a review of the most recent conservative and surgi-cal therapies for osteoporotic vertebral fractures.

    RIASSUNTO

    SUMMARY

    – Lezione magistrale tenuta al Convegno Regionale SIGM Puglia. Brindisi 18.09.2010.

  • Una caratteristica della popolazione anziana at-tuale rispetto a quella del passato è la maggiore fra-gilità complessiva individuale e a questo l’osteoporo-si contribuisce in misura determinante.

    Per quanto riguarda i dati di prevalenza delle frattu-re osteoporotiche, i più importanti studi epidemiologiciinternazionali hanno fatto emergere stime preoccupanti.

    L’Epidemiology of Vertebral Osteoporosis Study(EVOS) per esempio, condotto su circa 16.000 cittadi-ni europei di ambo i sessi, ha riscontrato la presenzadi deformità vertebrali valutabili come frattura nel 12%degli uomini e nel 14% delle donne tra 65 e 70 anni dietà e nel 18% degli uomini e nel 25% delle donne nel-la fascia compresa tra 76 e 79 anni. Il trial statuniten-se Study of Osteoporotic Fractures (SOF), che ha va-lutato prospetticamente se una bassa massa osseafemorale fosse predittiva di frattura nella stessa sede,ha rilevato che la riduzione di una deviazione standardper età (z score) aumentava il rischio fratturativo disette volte nei confronti del controllo.

    Il MEDiterranean Osteoporosis Study (MEDOS)ha evidenziato un’incidenza per frattura del femore di30/100.000 casi a 55 anni di età e di 2.000/100.000 a85 anni. Infine il report della International Osteoporo-sis Foundation (IOF) del novembre del 2002 ha diffu-so cifre impressionanti circa le fratture osteoporoti-che: l’incidenza cumulativa annuale è di 1.500.000casi, mentre il numero degli episodi di infarto miocar-dico è di 513.000 e di ictus di 228.000. Nonostantequesti numeri è ancora diffusa l’opinione che l’impat-to sociosanitario dell’osteoporosi sia trascurabile.

    Dati epidemiologici in Italia. L’EpidemiologicalStudy On the Prevalence of Osteoporosis (ESOPO),pubblicato nel 2006, è la prima indagine epidemiolo-gica sull’osteoporosi estesa a tutto il territorio italiano.In 83 centri specialistici sono stati valutati circa16.000 soggetti ai quali è stata eseguita una misura-zione della densità ossea con la metodica di ultra-suonometria. Lo studio ha evidenziato prevalenze diosteoporosi e di osteopenia rispettivamente del 18,5e del 44,7% nelle donne di 40-79 anni e del 10 e del36% negli uomini nella fascia di età compresa tra 60e 79 anni. È stata inoltre osservata in ambedue i ses-si una significativa associazione tra osteoporosi epresenza di fratture nella storia clinica individuale.

    È importante sottolineare che esiste una marcata di-screpanza tra questi dati, e in generale tra i riscontri epi-demiologici degli studi clinici, e tra i risultati dell’Indagi-ne Multiscopo sulle famiglie del 2000 condotta dall’Isti-tuto di Statistica Nazionale (ISTAT). I dati ISTAT infatti siriferiscono solamente ai soggetti che si sono dichiaratiaffetti da osteoporosi, ma essendo questa, una malattiaspesso asintomatica, il semplice rilievo anamnestico hapresumibilmente sottostimato di molto la realtà.

    Per quanto riguarda invece l’incidenza di fratture, gliultimi dati disponibili risalgono al 2002 (Indagine Cono-scitiva della Commissione Igiene e Sanità del Senato).

    Per ciò che concerne la frattura del femore viene

    stimata un’incidenza di 78.000 casi all’anno, mentreper le fratture vertebrali, come già ricordato, non èsufficiente registrare il dato anamnestico, che faemergere solo il 30-40% dei casi: il rimanente 60%deve essere attivamente ricercato con esami radio-grafici e con la morfometria vertebrale.

    La prevalenza complessiva delle fratture vertebraliviene calcolata in 20 fratture per ciascuno dei 50.000medici di medicina generale italiani. Il Ministero dellaSalute riconosce comunque che il numero di fratturevertebrali supera in Italia 100.000 casi all’anno.

    I dati epidemiologici di prevalenza delle fratturevertebrali sono tutt’altro che omogenei, sia per la va-riabile espressività clinica (nel 50-65% dei casi, le frat-ture vertebrali non arrivano ad una valutazione clinicain quanto oligo-sintomatiche), sia per la non univocadefinizione morfometrica della deformità. Si stima, ingenerale, una prevalenza di fratture vertebrali similenei due sessi, anche se l’incremento percentuale nel-le fasce di età più avanzate è molto più pronunciatonel sesso femminile. L’età è uno dei fattori maggior-mente correlati con il rischio di frattura vertebrale

    Le indagini epidemiologiche basate sul criterioesclusivamente radiologico, rivelano una prevalenzadelle fratture vertebrali nettamente superiore a quelledegli studi clinici. Sulla base del criterio radiologico laprevalenza delle fratture vertebrali supera il 50% neisoggetti di età superiore ai 85 anni. Anche se posso-no risultare del tutto asintomatiche, la rilevanza dellefratture vertebrali sotto il profilo clinico e prognosticonon deve essere sottovalutata. Indipendentementedall’entità della sintomatologia dolorosa acuta, fra lecomplicanze tardive delle fratture vertebrali spiccanola riduzione staturale, l’ipercifosi toracica, la restrizio-ne dei volumi polmonari, la ridotta tolleranza allo sfor-zo, il dolore cronico vertebrale, la perdita di capacitàfunzionale e lavorativa. L’insieme di tali complicanzepuò determinare una rilevante compromissione dellaQualità della Vita (QdV).

    Per l’analisi della disabilità e della QdV sono oggidisponibili strumenti di valutazione di comprovata af-fidabilità. Tra quelli più utilizzati nei pazienti conosteoporosi figurano: l’Osteoporosis Quality of LifeQuestionnaire (OQOL) e la sua versione ridotta, il mi-ni-Osteoporosis Quality ofLife Questionnaire (mini-OQOL), il Quality of Life Questionnaire of the Euro-pean Foundation for Osteoporosis (QUALEFFO), l’O-steoporosis-Targered Quality of Life (OPTQoL) sur-vey instrument e l’Osteoporosis Assessment Que-stionnaire (OPAC).

    Classificazione delle classificazionedelle fratture vertebrali (3, 4)

    Nel corso degli anni sono state proposte numero-se classificazioni delle fratture vertebrali. Una primadistinzione che va fatta è tra le fratture vertebrali

    D. Vittore - M. Salvemini - G. Caizzi

    12

  • traumatiche, che insorgono di solito in seguito ad in-cidenti stradali, ad incidenti sul lavoro e in corso di po-litraumi, e le fratture patologiche, che invece colpi-scono delle vertebre la cui struttura è alterata da pa-tologie ossee come metastasi tumorali o osteoporosi.

    In quest’ultimo tipo di frattura vertebrale non si ri-conosce un vero trauma responsabile della lesione, inquanto essa può essere prodotta anche da una solle-citazione a bassa energia, che a causa della riduzio-ne della resistenza ossea vertebrale risulta sufficien-te a causarne la frattura.

    Una modalità di classificazione delle fratture ver-tebrali, che risulta particolarmente importante per ilclinico e il chirurgo, è quella che suddivide le fratturevertebrali in stabili ed instabili.

    Il giudizio sulla stabilità o meno di una frattura ver-tebrale può essere dato seguendo la classificazione diDenis delle tre colonne o la classificazione di Magerl.

    Denis suddivise la vertebra in tre colonne: anterio-re, che comprende la metà anteriore del corpo verte-brale, media, che comprende la metà posteriore delcorpo vertebrale e posteriore, che è rappresentatadall’arco e dai processi apofisari (articolazioni, pe-duncoli, lamine, processi trasversi).

    A seconda del numero di colonne interessate dal-la lesione le fratture vengono definite stabili o instabi-li; sono stabili le fratture che interessano solo una del-le tre colonne, mentre sono ritenute instabili tutte lelesioni che interessano simultaneamente due o piùcolonne.

    La classificazione di Magerl è basata invece sulmeccanismo traumatico; si identificano così tre gran-di gruppi di fratture: Tipo A, fratture da compressione;Tipo B, fratture da trazione; Tipo C, fratture da rota-zione. Le fratture ritenute stabili sono quelle di tipo Aisolate, con minima riduzione di altezza del corpo ver-tebrale, senza eccessiva comminuzione e con inte-grità degli elementi posteriori.

    Le fratture vertebrali osteoporotiche rientrano soli-tamente nel tipo I di Denis e nel Tipo A di Magerl, poi-ché insorgono con un meccanismo compressivo e in-teressano solo la colonna anteriore e parte di quellamedia, e sono pertanto nella maggior parte dei casistabili. Quando però coesistono crolli vertebrali multi-pli, o una cifosi secondaria eccessiva si realizza unosbilanciamento biomeccanico anteriore eccessivo,con evidente instabilità globale del rachide.

    Le fratture vertebrali semplici possono essere per-tanto trattate con metodiche conservative (busto orto-pedico, fisiokinesiterapia) o chirurgiche mini-invasive(vertebroplastica o cifoplastica).

    Etiopagenesi (5, 6, 7, 8)

    Le fratture vertebrali nell’osteoporosi sono in risul-tato della cooperazione di più fattori patogenetici, rap-presentati dalla riduzione della densità ossea, dall’al-

    terazione della microarchitettura scheletrica, unita-mente alle alterazioni posturali del soggetto ed allapatologia discale.

    Quest’ultima infatti è a nostro avviso un elementoda porre particolarmente in evidenza. Infatti fin quan-do il disco intervertebrale funziona la ripartizione deicarichi tra i corpi vertebrali avviene in maniera fisiolo-gica, con mantenimento dell’orientamento tridimen-sionale del rachide e delle curve sagittali.

    Quando iniziano i processi di degenerazione delcomplesso nucleo polposo-anulus si realizza una per-dita della stabilità vertebra-le fisiologica, che si manife-sta con un disassamentodei corpi vertebrali ed unaalterazione delle curve sa-gittali.

    A livello dorsale la pro-gressiva disidratazione deldisco comporta un avvici-namento delle porzioni an-teriori dei corpi vertebrali,con un movimento rotatorioin flessione che fa fulcrosulle articolari posteriori; learticolazioni a livello dorsa-le infatti non consentono al-cun movimento sul pianosagittale poiché sono orien-tate in maniera parallela al piano frontale. La riduzio-ne dello spazio anteriore intersomatico, causato dallaprogressiva degenerazione discale, comporta quindiun avvicinamento delle porzioni anteriori dei corpivertebrali.

    Il risultato di questo processo è un aumento dellacifosi distrettuale, che comporta un’abnorme solleci-tazione anteriore dei corpi vertebrali, che vengonosottoposti ad un momento flettente eccessivo.

    In questa condizione, a causa anche della riduzio-ne della resistenza ossea dovuta all’osteoporosi chenegli anni si è sviluppata, si realizza facilmente unafrattura vertebrale.

    Nel tratto dorsale infatti è tipico osservare dellefratture vertebrali “a cuneo”, che sono l’espressionedell’eccessiva sollecitazione anteriore delle vertebre;contestualmente si osserva quasi costantemente unariduzione dello spazio discale, più marcato nella por-zione anteriore (Figg. 1-2).

    Le fratture vertebrali in osteoporosi

    13

    Fig.1. Frattura dorsale acuneo. Si noti la riduzionedello spazio discale so -prattutto nella porzione an -teriore (freccia).

  • A livello lombare invece la degenerazione discalecomporta una riduzione della lordosi fisiologica, conun progressivo spostamento in avanti dei carichi, cheperò raramente si concentrano nella porzione ante-riore dei corpi vertebrali. Infatti anche nelle forme diinstabilità degenerativa più grave a livello lombare siosserva un appianamento della lordosi lombare, soloraramente compare una cifosi lombare.

    Con la scomparsa della lor-dosi le sollecitazioni compres-sive della colonna lombarevengono concentrate sulla por-zione centrale dei piatti verte-brali; se negli anni si è svilup-pata anche l’osteoporosi com-pariranno delle fratture verte-brali “a lente”, cioè con cedi-mento della porzione centraledel piatto vertebrale (Fig. 3-4).

    La degenerazione discalepuò essere considerata quindicome un evento favorente lacomparsa delle fratture verte-brali osteoporotiche poiché es-sa influenza direttamente l’o-rientamento delle curve sagitta-

    li e la distribuzione dei carichi sui corpi vertebrali. Èpertanto estremamente importante evitare che il pro-cesso di degenerazione discale comporti un eccessi-vo spostamento in avanti dei carichi vertebrali, attra-verso della terapia di tipo riabilitativo e posturale pre-coce.

    Altro elemento patogenetico fondamentale è l’alte-razione microstrutturale della vertebra; alcuni studihanno dimostrato che il depauperamento osteoporo-tico di osso mineralizzato comporta un assottiglia-mento ed una interruzione delle trabecole ossee. Ciòsi verifica in primis a livello delle trabecole orizzonta-li, che hanno la funzione di stabilizzare le trabecoleverticali e distribuire in maniera equilibrata i carichi;esse agiscono in pratica come dei tiranti che stabiliz-zano dei pilastri portanti. La perdita della funzione ditali tiranti comporta una ridotta resistenza delle trabe-cole verticali, con conseguente cedimento strutturalesotto carico, che si manifesta con le tipiche deformitàmorfologiche dei somi vertebrali e la comparsa deicrolli osteoporotici (Fig. 5).

    Altri fattori che contribuiscono all’insorgenza dellefratture vertebrali sono rappresentati dall’invecchia-mento del sistema neuromuscolare, che comportauna riduzione dell’equilibrio, una riduzione della forzamuscolare e della coordinazione, con aumento del ri-schio di caduta e della forza d’impatto al suolo.

    Anche in questo appare fondamentale il tratta-mento kinesiterapico attraverso esercizi di recuperodell’equilibrio, della motilità articolare e della forzamuscolare.

    Trattamento chirurgico (9, 10, 11, 12)

    Gli obiettivi fondamentali del trattamento chirurgi-co delle fratture vertebrali sono rappresentati dalla ri-soluzione del dolore e dalla precoce mobilizzazione.

    D. Vittore - M. Salvemini - G. Caizzi

    14

    Fig. 2. Patogenesi delle fratture vertebrali dorsali. La degene -razione discale causa un aumento della cifosi dorsale con au -mento delle sollecitazioni anteriori sui corpi vertebrali, che, in -deboliti dall’osteoporosi, vanno incontro a cedimento struttu -rale con morfologia “a cuneo”.

    Fig. 3. Patogenesi delle fratture vertebrali lombari. La degene -razione discale causa una riduzione della lordosi lombare conaumento delle sollecitazioni centrali sui corpi vertebrali, che,indeboliti dall’osteoporosi, vanno incontro a cedimento strut -turale con morfologia “a lente”.

    Fig. 4. Fratture verte -brali “a lente”. Si notila riduzione della lor -dosi fisiologica checausa ipersollecita -zione centrale.

    Fig. 5. La perdita delle trabecole orizzontali destabilizza tuttala struttura, che sotto carichi fisiologici gradatamente si defor -ma.

  • Vertebroplastica e Cifoplastica, tecniche di inter-vento minimamente invasive, si presentano oggi co-me le principali risorse della medicina nel trattamentodelle fratture vertebrali su base osteoporotica e tumo-rale-metastatica.

    Queste fondano il loro funzionamento su iniezionipercutanee di cemento acrilico nella spongiosa deicorpi vertebrali, e perseguono, attraverso il consoli-damento della loro struttura, la riduzione della sinto-matologia dolorosa e dunque la normale ripresa delleattività quotidiane; inoltre la Cifoplastica, più dellaVertebroplastica, mira al recupero dell’altezza meta-merica, quindi al recupero della normale anatomia as-siale ed alla riduzione dell’angolo di cifosi vertebralee regionale.

    La procedura di esecuzione standard della verte-broplastica si avvale dell’utilizzo del fluoroscopio conbraccio a “C”, ideale per consentire un rapido pas-saggio dalla proiezione antero-posteriore alle latero-laterali o oblique. Solamente nel caso di trattamentodelle vertebre cervicali o delle prime toraciche, co-munque di non frequente riscontro, si ha indicazioneper la doppia guida TC-fluoroscopia, la cui combina-zione permette di valutare il decorso dell’ago (anchein casi di lesioni di minima entità), una centratura piùsicura della vertebra, un riconoscimento agevole deipeduncoli (di dimensioni minori) e una precoce iden-tificazione di eventuali complicanze.

    La metodica prevede l’utilizzo di un ago di lun-ghezza compresa tra i 10 e i 15 cm, diametro fra gli11 e i 15 Gauge, con delle alette laterali (ideali per fa-vorire il maneggiamento e le manovre di rotazione) eun’estremità terminale a becco di flauto. Per l’avan-zamento si usa il classico martello ortopedico, la cuinecessità è legata, non tanto alla consistenza ossea(soprattutto se al cospetto di quadri osteoporotici),quanto all’opportunità di un controllo più fine dell’a-vanzamento dell’ago.

    L’accesso d’elezione è transpeduncolare, tantoper le vertebre lombari quanto per le toraciche infe-riori. La limitatezza delle dimensioni peduncolari dellealto toraciche consiglia, invece, un ingresso parape-duncolare (attraverso l’articolazione costo trasversa-ria), mentre il trattamento dei corpi cervicali (raro) pre-vede l’accesso anterolaterale. Con l’accesso monola-terale si ottiene un adeguato riempimento nella mag-gior parte dei casi, ma spesso è necessario un ac-cesso bilaterale.

    In questa fase è possibile l’esecuzione di un pre-lievo bioptico in quanto, nonostante l’accuratezza del-le indagini preoperatorie, solo con questa modalità sipuò avere la certezza assoluta della natura e delladiagnosi del crollo vertebrale.

    L’effetto antalgico non è proporzionalmente corre-lato alla quantità di cemento iniettato: l’iniezione di so-li 2 ml è sufficiente a garantire il consolidamento dellimite elastico di ogni corpo vertebrale, mentre la rigi-dità è ricostituita con 4 ml nelle vertebre dorsali e 6-8

    ml nelle vertebre lombari. Quantità maggiori sono inu-tili e potenzialmente controproducenti: un sovrariem-pimento, aumentando eccessivamente la rigidità in-dotta, può causare un trasferimento eccessivo del ca-rico alla vertebra adiacente, ampliando il rischio difrattura.

    Al termine della seduta TC e radiografia assicura-no l’immediata identificazione di eventuali complican-ze (es. lo stravaso e la diffusione del cemento o lapresenza di cemento embolizzato).

    La durata totale del trattamento, comunque rela-zionata al numero di vertebre da trattare, non superale due ore. Al paziente è richiesto il mantenimentodella posizione supina per un ulteriore ora. Normal-mente il carico è concesso già dal giorno dopo l’inter-vento.

    La scomparsa del dolore è di solito riferita entro lasettima giornata o, comunque, in una forchetta tem-porale estesa dall’ora 24 fino al 30° giorno. Con ogniprobabilità le spiegazione di questa regressione sinto-matologica va ricercata nella stabilizzazione meccani-ca indotta dall’iniezione del cemento, in grado di bloc-care la stimolazione periostale che nel giro di pochis-simi minuti dalla sua introduzione nella spongiosa rag-giunge il 90% della sua solidità definitiva (Figg. 6-7).

    La letteratura riferisce di possibili valenze dellatemperatura del cemento (che può superare anche i70°C), della sua neurotossicità, citotossicità (sullecellule tumorali) e di un suo effetto ischemizzante, manon vi sono prove a supporto.

    I vantaggi di tale metodica sono quindi rappresen-tati dalla rapidità di esecuzione e dal precoce effettoanalgesico; inoltre non va sottovalutato l’economicitàdella procedura. La possibilità di fuoriuscita del ce-mento dalla vertebra e l’impossibilità di eseguire una ri-duzione della frattura costituiscono gli svantaggi di talemetodica. In realtà applicando la metodica secondodelle corrette indicazioni il rischio di incorrere nello stra-vaso del cemento è piuttosto raro. Esso infatti si realiz-za o per un grossolano errore di tecnica, oppure, piùfrequentemente, a causa della presenza di una lesionedel muro posteriore della vertebra, che non sia statoidentificato in fase di accertamento pre-operatorio.

    La fuga del cemento dalla vertebra è inoltre fre-

    Le fratture vertebrali in osteoporosi

    15

    Fig. 6. Caso clinico di V ertebroplastica di L2.

  • quente in caso di trattamenti da crolli da lesioni nonosteoporotiche: infatti, mentre nell’osteoporosi il ce-mento viene iniettato i una struttura con ampi spazivuoti rappresentati dalle ampie lacune tra le trabeco-le assottigliate, in caso di presenza di tessuti neopla-stici il cemento incontra resistenza all’espansione epuò andare incontro ad uno stravaso; questo può es-sere endovascolare, con comparsa di un’embolia dacemento, oppure extravertebrale con possibile com-pressione delle strutture nervose midollari.

    La tecnica di intervento classica di Cifoplastica,ideata agli inizi degli anni ’90 prevede l’utilizzo di un pal-loncino-battistrada che viene introdotto nel corpo, me-diante ago dello spessore di 9 Gauge (maggiore quindidegli 11-15 Gauge della vertebroplastica) (Fig. 8).

    Questo, opportunamente riempito di liquido fungeda sistema pneumatico, in grado di innalzare, in teo-ria, lo spessore della vertebra crollata, creando lospazio all’iniezione del cemento.

    Di più recente ideazione una seconda tecnica diintervento che prevede l’arricciamento all’interno delcorpo vertebrale di un polimero plastico introdotto conun ago di spessore ancora maggiore (8 Gauge).

    Tali modalità di esecuzione, differentemente dallavertebroplastica, propongono il recupero dell’altezzadel corpo vertebrale, quindi avrebbero maggiori indica-zioni laddove l’accentuazione della curva cifotica (perle vertebre toraciche) causa importanti alterazioni delcarico. È doveroso comunque riportare, come sosten-gono i detrattori di tale metodica, che tale risolleva-mento è inefficace o insufficiente poiché avverrebbesolo nella porzione centrale della vertebra, dunque noncostituisce un avallo all’utilizzo della cifoplastica.

    I vantaggi di questa metodica sono legati al minorrischio di stravaso del cemento ed alla possibilità, al-meno teorica, di eseguire una riduzione della frattura;tale metodica va dunque eseguita nelle fratture verte-brali recenti, in cui il crollo vertebrale non si sia anco-ra stabilizzato. Anche questa metodica ha una rapidaefficacia sul dolore, mentre va sottolineato il costo re-lativamente elevato.

    Un’altra complicanza riportata in tale metodica è lafrattura del peduncolo in corso di posizionamento del-l’ago (che è di calibro considerevole).

    La frattura sintomatica “stabile” da cedimentoosteoporotico, non responsiva ai comuni trattamenticonservativi, costituisce il fondamentale criterio inclu-sivo al trattamento con vertebroplastica e cifoplastica.

    Le fratture francamente instabili, o quelle che pre-sentano un’interruzione del muro posteriore, richiedo-no una stabilizzazione chirurgica.

    Tali metodiche sono anche controindicate in casodi allergia al cemento, concomitanti infezioni o statidebilitativi. È dibattuto invece l’utilizzo di questa tec-nica a scopo profilattico.

    Controindicazioni relative alla procedura sono ilcollasso completo del corpo vertebrale, per cui il trat-tamento sarebbe vano o tecnicamente molto difficile,la presenza di lesioni di tipo osteoblastico, dolore dor-sale non localizzato, trattamento di più di tre livelli perseduta e la presenza di disordini della coagulazionenon altrimenti correggibili.

    In entrambe le metodiche secondo alcuni Autoric’è il rischio della comparsa nel tempo di crolli verte-brali nelle vertebre vicine a quella trattata, a causadella variazione del modulo i elasticità del corpo ver-tebrale riempito dal cemento.

    Trattamento riabilitativo (13)

    Il trattamento riabilitativo delle fratture vertebrali ri-veste a nostro avviso un ruolo importante nell’inter-rompere il circolo vizioso che dalla frattura vertebraleconduce alla disabilità del soggetto.

    Gli obiettivi fondamentali di tale trattamento sonorappresentati dal miglioramento del tono-trofismo mu-scolare, dal recupero dell’articolarità globale, dal mi-glioramento del controllo posturale e neuromotorio,nonché della coordinazione e dell’equilibrio, oltre allariduzione della sintomatologia dolorosa.

    D. Vittore - M. Salvemini - G. Caizzi

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    Fig. 7. Caso clinico di V ertebroplastica di D1 1, L1, L3 simultanea.

    Fig. 8. Intervento di cifoplastica (schema).

  • In tal senso i pazienti si possono giovare della co-noscenza ed osservanza di norme di igiene postura-le e dell’esecuzione di esercizi respiratori di gruppo,esercizi di potenziamento della muscolatura paraver-tebrale e degli arti attraverso una loro mobilizzazioneattiva, esercizi di controllo posturale e propriocettivi,esercizi di coordinazione ed equilibrio ed ovviamenteginnastica in acqua.

    A nostro avviso il trattamento riabilitativo deve es-sere intrapreso ben prima dell’insorgenza del crollovertebrale.

    Infatti, attraverso il recupero della postura finaliz-zato al mantenimento delle curve sagittali fisiologicheè possibile evitare l’alterazione della distribuzione deicarichi sui piatti vertebrali, che inducono il crollo nellavertebra osteoporotica.

    Nelle fasi di dolore vertebrale da frattura recente èinoltre indicato l’uso di busti ortopedici, come il bustoa tre punti, il busto in tela armata ed il Multifunziona-le a pressione variabile, che hanno la funzione di so-stenere la colonna ed alleviare il dolore.

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    Le fratture vertebrali in osteoporosi

    17

    • Norme di igiene posturale

    • Esercizi respiratori di gruppo

    • Esercizi potenziamentomuscolatura paravertebrale

    • Mobilizzazione attiva arti

    • Esercizi di controllo posturale e propriocettivi

    • Esercizi di coordinazione ed equilibrio

    • Ginnastica in acqua

    • Migliorare il tono-trofismo muscolare

    • Migliorare articolarità

    • Migliorare il controllo posturale e neuromotorio

    • Migliorare la coordinazione e l’equilibrio

    • Ridurre la sintomatologia dolorosa

  • Introduzione

    Come è noto la conseguenza più comune e piùcaratteristica dell’osteoporosi è un aumentato rischiodi frattura a causa dell’aumentata fragilità ossea. Lefratture possono avvenire anche per minimi traumi,ad esempio cadere e mettere le mani avanti può pro-vocare una frattura di polso.

    Appare chiara oggi la necessità di intervenire inogni momento della storia naturale dell’osteoporosicon approcci terapeutici globali e con una strategiaeducativa che svolga un ruolo essenziale nella pre-venzione dei danni secondari da osteoporosi.

    Ne consegue che l’intervento del terapista dellariabilitazione nei confronti del soggetto osteoporoticocon fratture non si limita più, come accadeva fino aqualche decennio fa, al trattamento del dolore, allariabilitazione e alle conseguenze delle fratture stesse.

    La riabilitazione è orientata prima di tutto a preve-nire il fatto che un problema del polso diventi un pro-blema della mano; secondo, a restaurare rapidamen-te una mobilità funzionale e infine ad ottimizzare lafunzione del polso dopo la lesione.

    L’approccio globale alla mano e al polso traumatizzato

    L’assenza di discontinuità tra l’atto chirurgico equello riabilitativo è da considerare un corretto ap-

    proccio globale al recupero della mano o del polsotraumatizzato. Diviene quindi importante, oltre al pri-mo trattamento specifico cruento o incruento, stabili-re un protocollo riabilitativo che consenta di ridurre itempi di recupero e le conseguenze invalidanti per ilpaziente. Conseguenze dovute, non solo alla defor-mazione tipica della lesione, ma soprattutto alla limi-tazione funzionale legata al dolore articolare nella ri-presa dei movimenti.

    È pertanto indispensabile impostare un tratta-mento riabilitativo sfruttando il MOVIMENTO RESI-DUO a disposizione, poiché il movimento stessogioca il ruolo principale nel recupero funzionaledel polso .

    Riabilitazione delle fratture di polso

    Le fratture dell’epifisi distale del radio (E.D.R.) so-no estremamente frequenti, sia esse di tipo intrarti-colare che extrarticolare (molto più complesse anchedal punto di vista riabilitativo). Interessano una largafascia di popolazione di tutte le età e di entrambi isessi, favorite dall’attività sportiva nel giovane, dal-l’osteoporosi nell’anziano; un ruolo a parte, non tra-scurabile, è determinato dalla traumatologia dellastrada.

    È anche utile ricordare che la frattura di Colles èla più comune frattura del polso (circa 70-80% dellefratture dell’avambraccio riguarda l’estremità distaledel radio e l’articolazione radio-ulnare distale), ma neparleremo più diffusamente in seguito.

    19

    Angelo Rini

    LA RIABILITAZIONE DELLE FRATTURE DI POLSONEL PAZIENTE OSTEOPOROTICO

    FisioterapistaDocente a contratto Corso di Laurea in Fisioterapia

    Università di Bari - Polo di Brindisi

    Una conseguenza molto frequente nell’osteoporosi è la frattura di polso.L’Autore presenta un protocollo riabilitativo che comprende una fase pre-

    coce, intermedia e tardiva. Lo sfruttamento del movimento residuo con esercizi mirati svolge il ruolo

    principale nel recupero funzionale del polso.

    A very frequent consequence in osteoporosis is the fracture of the wrist.The Author presents a rehabilitative protocol that includes a early, middle

    and tardy phase.The utilization of residual movement with aimed exercises plays the princi-

    pal role in functional recovery of the wrist.

    RIASSUNTO

    SUMMARY

    – Relazione tenuta al Convegno regionale SIGM Puglia. Brindisi, 18.09.2010.

  • Complicanze

    Molto spesso le fratture di polso comportano com-plicanze determinate da più fattori. Inoltre è interes -sante rilevare che alcune di queste complicanzesono il risultato del trattamento piuttosto che deltipo di frattura.

    Qualsiasi metodo di trattamento che contribuiscaad aumentare la tumefazione o limitazione del movi-mento delle dita deve’essere abbandonato. Ad esem-pio, un gesso modellato troppo stretto fa aumentarel’edema.

    In modo assai schematico, si ricordano le possibilicomplicanze nelle fratture dell’epifisi distale del radio: – disturbi a carico del nervo mediano ;– artrosi radio-carpica o radio-ulnare ;– rigidità delle dita ;– distrofia simpatica riflessa (o Sindrome di Su -

    deck) ;– viziosa consolidazione ;– pseudoartrosi ;– dolore piso-piramidale ;– comparsa di noduli “pseudo-Dupuytren”.

    È buono e giusto affermare che il movimentoattivo è la migliore prevenzione di complicanze.

    È da dire, però, che spesso il paziente, nel timoredi accusare dolore, è inibito e timoroso nel compieredei movimenti attivi. Sarà allora compito del terapistarieducare il paziente all’esecuzione di tale movimenti,magari attraverso una mobilizzazione attiva di distret-

    ti indirettamente interessati, e quindi meno dolorosi,quale la spalla e l’arto superiore (assai utile anche nelmantenimento del trofismo).

    Protocollo riabilitativo

    La riabilitazione di una frattura dell’epifisi distaledel radio è pressoché uniforme in tutti i tipi di fratturepurché lo schema della lesione sia stato correttamen-te individuato e trattato.

    È d’obbligo sottolineare che le varie tecniche riabi-litative in uso (Attivo, Splint, CPM) contribuiscono nonpoco alla ripresa funzionale del polso (ed indiretta-mente della mano) e ricoprono un’importanza fonda-mentale.

    Queste tecniche necessitano di un approccio bendiverso da quello usato nella riabilitazione di altri seg-menti di arto. La non osservanza di tali accorgimenti,pone seri rischi nella riuscita del recupero funzionaledell’arto stesso.

    Le fasi della riabilitazione post-chirurgica possonoessere suddivise in precoce, intermedia e tardiva ,ma è decisamente necessario che il trattamento ria -bilitativo inizi già durante il periodo di immobiliz -zazione, qualunque sia il tipo di trattamento, cruentoo incruento, eseguito (già in I-II giornata ).

    Angelo Rini

    20

  • In particolare le metacarpo-falangee debbono es-sere mobilizzate in maniera attiva e passiva conesercizi di adduzione-abduzione ed esercizi dipinza tra il primo e le altre dita ; esercizi di abdu -zione, retroposizione e rotazione esterna dellaspalla ed esercizi di flesso-estensione del gomito.

    FASE PRECOCE (0-6 settimane)

    La parte critica della prima fase della riabilitazioneè la limitazione della tumefazione e della rigidità dellamano.• La tumefazione può essere limitata e ridotta inse-

    gnando a tenere elevata la mano sopra il livello delcuore, incoraggiando una frequente mobilizzazio-ne attiva.

    • La rigidità può essere in parte prevenuta insegnan-do al paziente un programma aggressivo di eserci-zi attivi e passivi per il ROM. (Range Of Motion),ossia dai gradi di libertà permessi da una specificaarticolazione.

    • Un’altra parte critica della prima fase della riabilita-zione è l’uso funzionale della mano. Molti di questipazienti sono anziani e hanno una ridotta capacitàdi adattamento alla loro lesione del polso.

    • Quando la mano viene utilizzata per eseguire atti-vità della vita quotidiana, come mangiare, vestirsi,fare toilette, sarà meno soggetta a diventare di-strofica. L’uso funzionale serve anche al recuperodella mobilità e alla riduzione della tumefazione.

    • Il massaggio della cicatrice può servire a limitare leaderenze nell’area delle incisioni, specialmente inpazienti con cicatrici sollevate ed ipertrofiche.

    • Il movimento attivo della spalla e del gomito omo-laterali viene utilizzato per tutto il tempo della riabi-litazione post-operatoria onde evitare una spalla oun gomito congelati.

    FASE INTERMEDIA (6-8 settimane)

    • Una volta saldata la frattura (6-8 settimane dopo iltrauma o l’intervento), vengono utilizzati eserciziattivi assistiti di mobilizzazione dell’avambraccio edel polso per favorire al massimo la mobilità.

    • Il terapista inizierà pertanto ad effettuare al pazien-te delle mobilizzazioni globali del polso:

    – nel piano sagittale dei movimenti di flessione e diestensione;

    – nel piano frontale dei movimenti di abduzione (ra-dializzazione) e adduzione (ulnarizzazione);

    – movimenti di torsione o di rotazione ; – di prono-supinazione dell’avambraccio; – mobilizzazioni contro resistenza per il recupero

    della forza;– esercizi attivi di circumduzione del polso ;– esercizi di auto postura.

    La riabilitazione delle fratture di polso nel paziente osteoporotico

    21

  • • Una particolare attenzione va posta nella kinesi ri-petitiva attiva-passiva di flesso-estensione delpolso la quale potrebbe determinare al paziente lacomparsa di sintomi riferibili a STC.

    • Uno splint dinamico può servire per migliorare ilmovimento, in particolar modo quando la supina-zione è lenta da recuperare.

    • Quando trattasi di fratture molto frammentate quasisempre il periodo di immobilizzazione si prolunga.

    FASE TARDIVA (8-12 settimane)

    • Una volta ben stabilizzata la consolidazione (8-12settimane dal trauma o dall’intervento), si possonoiniziare esercizi di rinforzo muscolare mentre sicontinua con la mobilizzazione attiva assistita.

    • Il polso e la mano sono stati a riposo per mesi do-po il trauma o l’intervento e trarranno vantaggio daesercizi di rinforzo (con plastilina, piccoli pesi e va-rie macchine).

    Nell’apporto di mezzi fisici intrinseci nel piano ria-bilitativo è bene ricordare che l’apporto della magne -toterapia a selenoide può stimolare la consolidazio-ne della frattura riducendo il rischio di osteoporosi e lacomparsa di sindromi algo-distrofiche .

    In presenza di edema, complicanza post-operato-ria spesso frequente in caso di trattamento cruento,che notoriamente determina una riduzione dell’arti -colarità di tutto l’arto.

    Un adeguato trattamento è di fondamentale im-portanza.

    Il massaggio linfatico si rivela di grande aiuto inquanto più efficace e senza rischi, mentre il massag -gio superficiale , può stimolare la flogosi , respon-sabile a sua volta, della comparsa di calcificazioniperiarticolari.

    Fratture di Colles

    Un breve cenno sulle fratture di Colles si rendeutile in quanto questo tipo di frattura rappresenta peril riabilitatore un particolare impegno lavorativo.

    Questo tipo di fratture sono determinate da traumaindiretto in seguito alla caduta sul palmo della manocon polso in estensione. I segni più evidenti sono:

    • dolore spontaneo;• tumefazione del polso; • ecchimosi diffusa polso e mano;• impotenza funzionale.

    Scopo della terapia fisica e della rieducazione fun-zionale è ridurre tutto ciò che è capace di determina-re o mantenere l’edema, una reazione di tipo neuro-distrofico e conseguentemente una fibrosi.

    Il movimento attivo è la migliore prevenzionema, anche in assenza di una controindicazione dauno scopo terapeutico, è il paziente che è spesso ini-bito dalla paura del dolore o dal timore di un possibi-le danno.

    Bisogna allora insegnarglielo, non tralasciando imovimenti d’insieme della spalla e dell’arto superioreal fine di mantenere il trofismo degli altri segmenti.

    Lo stimolo doloroso deve essere completamen -te evitato durante tutto il ciclo di rieducazione inquanto provoca contratture muscolari che a loro voltaincrementano la flogosi, innescando così un circolovizioso.

    Solitamente la funzione si recupera pienamentetra i 4 mesi e 1 anno.

    Conclusioni

    A seguito del trattamento puramente ortopedicodelle fratture dell’epifisi distale del radio, il terapistadella riabilitazione avrà il compito principale di ridurrelo stimolo doloroso, poiché questo determina semprecontrazioni muscolari, rigidità nonché una situazioneflogistica persistente.

    Come già prima sottolineato, le tecniche di mobi-lizzazione sia attiva, passiva che contro resistenzaunitamente al linfodrenaggio rappresentano un gros-so aiuto sin dal periodo di immobilizzazione a caricodelle articolazioni metacarpo-falangee, del gomito edella spalla.

    Dopo che l’arto viene liberato dall’immobilizzazio-ne il terapista si impegnerà ad una corretta riabilita-zione finalizzata al recupero della funzione.

    Bibliografia

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    4. Riabilitazione delle fratture dell’epifisi distale del radio -www.medicinariabilitativa.it

    Angelo Rini

    22

  • Introduzione

    Il linfedema post-mastectomia rappresenta unadelle complicanze più frequenti che possono presen-tarsi in seguito ad ogni tipo di chirurgia della mam-mella; esso è costituito da un accumulo di fluido, ric-co di proteine, che si verifica quando il drenaggio lin-

    fatico dei linfonodi di un arto è interrotto e dipende dadiverse cause.

    Le donne affette da linfedema post-mastectomiahanno una sintomatologia caratterizzata da dolore,tumefazione, tensione e pesantezza dell’arto linfede-matoso. La menomazione prodotta può essere causaimportante di disabilità, con una limitazione o perdita

    23

    Gaetano Moraglia - Fabio Colonna

    LINFEDEMA POST-MASTECTOMIA:PROTOCOLLO RIABILITATIVO MULTIDISCIPLINARE

    P.O. di Riabilitazione dell’A.S.L. BR/1“Fondazione San Raffaele”

    Ceglie Messapica (BR)

    Nel lavoro sono stati proposti e valutati due protocolli riabilitativi multidisci-plinari per il trattamento di soggetti affetti da linfedema post-mastectomia. Taliprotocolli comprendevano un trattamento massofisioterapico di linfodrenaggiolinfatico manuale, una terapia fisica contenitiva con bendaggio elasto-com-pressivo ed una serie di esercizi fisioterapici standardizzati. I due progetti dif-ferivano tra loro nel parametro “frequenza” di trattamento e non in quello del“numero” di trattamenti complessivi.

    La misurazione eseguita sulle pazienti affette da linfedema post-mastecto-mia è quella di una misurazione centimetrica dalla differenza tra l’arto sano equello con linfedema sia all’inizio sia alla fine del trattamento. Le misure delledifferenze sono state eseguite a livello di quattro segmenti dell’arto, secondole Linee Guida per la valutazione del linfedema post-mastectomia propostedalla British Columbia University di Vancouver.

    I risultati ottenuti hanno evidenziato un miglioramento clinico in tutte quel-le pazienti trattate con un’oggettiva riduzione del linfedema; nello specifico l’a-nalisi dei risultati ha evidenziato un’efficacia terapeutica, con una significativitàstatistica in tutti i segmenti dell’arto linfedematoso presi in esame, nelle pa-zienti che hanno eseguito il protocollo riabilitativo che prevedeva lo svolgi-mento del programma giornalmente, mentre per le pazienti che hanno ese-guito il protocollo riabilitativo con frequenza settimanale non si sono rilevatemodificazioni statisticamente significative.

    Parole chiave : linfedema, mastectomia, riabilitazione.

    In the work have been proposed and evaluated two multidisciplinary reha-bilitation protocols for the treatment of patients with post-mastectomy lymphe-dema. These protocols included a treatment of lymphdrainage manual, physi-cal therapy containment with elastic compression bandage and a series ofstandardized physiotherapy exercises. The two projects differed in the para-meter “frequency” of treatment and not of “number” of treatments in total.

    The measurements made on patients suffering from post-mastectomylymphedema is a measurement of inches from the difference between thehealthy limb and one with lymphedema both the beginning and end of treat-ment. The measures of differences were performed at four segments of thelimb, according to the Guidelines for the assessment of post-mastectomylymphedema proposed by British Columbia in Vancouver.

    The results showed clinical improvement in all those patients treated withan objective reduction of lymphedema, specifically the analysis of resultsshowed a therapeutic effect, with statistical significance in all segments of thelimb lymphedematous examined in patients who carried out the rehabilitationprotocol which included the conduct of the program daily, while for patientswho carried out the rehabilitation protocol with weekly changes were not foundstatistically significant.

    Keywords : lymphedema, mastectomy, rehabilitation.

    RIASSUNTO

    SUMMARY

  • della capacità di compiere un’attività nel modo o conl’ampiezza considerati normali. Di conseguenza laqualità della vita delle pazienti affette da questa com-plicanza, spesso sottovalutata, è in generale compro-messa a causa di una serie di “limitazioni” e “frustra-zioni” tipiche della cronicità e della complessità dellamalattia.

    Dal punto di vista terapeutico il linfedema post-mastectomia necessita di un approccio complesso; ri-sulta, infatti, fondamentale la fattiva collaborazione dipiù figure professionali. Un intervento interdisciplina-re (oncologo, chirurgo, fisiatra, fisioterapista, masso-terapista, psicologo) è condizione migliore e neces-saria per raccogliere i bisogni della persona, coinvol-gendo la paziente nell’intero percorso terapeutico-ria-bilitativo.

    Materiali e metodi

    Per il seguente studio sono state arruolate 22 pa-zienti affette da linfedema post-mastectomia, conun’età compresa tra gli anni 44 e 78, con un’età me-dia di 60-68 anni. Di queste 11 avevano un linfedemadell’arto di destra ed 11 un linfedema dell’arto di sini-stra; il linfedema, studiato secondo la classificazioneproposta dal Centro di Linfologia dell’Ospedale SanMartino di Genova, era compreso tra gli stadi due equattro. Nessuna paziente aveva in atto una terapiafarmacologica e solo una paziente aveva eseguito unciclo di chemioterapia negli ultimi sei mesi.

    I criteri d’inclusione allo studio prevedevano le se-guenti caratteristiche:

    – presenza di linfedema successivo ad interventoper carcinoma mammario;

    – linfedema compreso tra gli stadi due e quattro;– l’assenza di complicanze controindicanti il tratta-

    mento con drenaggio linfatico manuale;– l’assenza di precedenti interventi di microchirurgia

    per il linfedema.

    Al momento dell’arruolamento una paziente è sta-ta esclusa perché presentava un’emiparesi dell’artolinfedematoso.

    Le pazienti sono state sottoposte a misurazionidella circonferenza di entrambi gli arti superiori, sia almomento dell’arruolamento sia alla fine del tratta-mento riabilitativo.

    Nello specifico la metodica di misurazione fa riferi-mento alle Linee Guida del trattamento del carcinomadella mammella in uso presso l’Università della Briti-sh Columbia di Vancouver; tali Linee Guida prevedo-no una misurazione oggettiva, riproducibile, standar-dizzata, centimetrica di quattro livelli anatomici defini-ti come segue:

    – l’articolazione metacarpo-falangea;– il polso;

    – 10 cm al di sotto dell’epicondilo laterale;– 15 cm al di sopra dell’epicondilo laterale.

    Le pazienti sono state suddivise in due gruppiomogenei, uno formato da 11 elementi ed un altro da10 elementi.

    Le pazienti del primo gruppo sono state sottopostead un programma quotidiano, di dieci sedute, di linfo-drenaggio manuale secondo Leduc, di bendaggioelasto-compressivo contenitivo e ad una serie diesercizi di fisiocinesiterapia selezionati e mirati di se-guito esposti nel dettaglio.

    Le pazienti del secondo gruppo, invece, hannosvolto il medesimo trattamento riabilitativo con unafrequenza settimanale per un totale di dieci sedute.

    Esercizi di fisiocinesiterapia

    Es. 1 - Da seduto con piedi appoggiati al pavi-mento, gambe divaricate e braccia rilassate lungo ifianchi:a. alzare le spalle verso le orecchie e lasciarle torna-

    re nella posizione di partenza;b. ruotare le spalle dall’avanti all’indietro e viceversa;c. spingere indietro le scapole e ritornare alla posizio-

    ne di partenza.

    Es. 2 - Da seduto con piedi ben appoggiati al pa-vimento, gambe divaricate e braccia rilassate lungo ifianchi: da questa posizione contrarre tutta la musco-latura del braccio chiudendo con forza la mano a pu-gno; dopo qualche secondo rilassare la muscolaturaaprendo le mani.

    Es. 3 - Iniziare a sollevare il braccio esteso ed unavolta in alto aprire e chiudere le mani ripetutamente.

    Es. 4 - Da seduto con piedi appoggiati al pavi-mento e le gambe divaricate: appoggiare le mani aifianchi, con i pollici rivolti all’indietro, spingere i gomi-ti avanti ed indietro senza spostare le mani.

    Es. 5 - Da seduto, come nell’esercizio precedente,appoggiare le mani ai fianchi e farle scivolare attornoalla vita avanti ed indietro.

    Es. 6 - Da seduto con le mani incrociate sollevareentrambe le mani in alto; se l’esercizio non crea diffi-coltà alla paziente volgere il palmo delle mani versol’alto.

    Es. 7 - Da seduto, con l’aiuto del terapista, solle-vare lateralmente le braccia con il palmo delle mani ri-volto verso l’alto; da questa posizione cercare di muo-vere le braccia in modo che le mani eseguano ideal-mente dei cerchietti.

    Es. 8 - Da seduto, con le mani incrociate, solleva-re le braccia sino a portare le mani dietro la nuca; daquesta posizione cercare di avvicinare ed allontanarei gomiti.

    Es. 9 - Da seduto e con le mani appoggiate alle

    Gaetano Moraglia - Fabio Colonna

    24

  • spalle ruotare il più possibile le braccia in avanti ed in-dietro.

    Es. 10 - Da seduto sollevare le braccia distese fi-no a toccare in alto il dorso delle mani.

    Es. 11 - Sempre da seduto, con le braccia incro-ciate dietro alla schiena, allontanare dal tronco lebraccia ben distese.

    Es. 12 - Come nell’esercizio precedente incrocia-re le mani dietro la schiena, piegare i gomiti e cerca-re di avvicinare le mani alle scapole.

    Es. 13 - Da seduto far compiere al braccio tutto ilmovimento di circonduzione, prima in un senso e poinell’altro.

    Es. 14 - In piedi appoggiare le mani ad una pare-te ed iniziare a farle risalire fino a trovarsi con le brac-cia completamente estese ed il più possibile appog-giate al muro.

    Esercizi per il tratto cervicale (da seduto):– inclinare lentamente la testa avanti ed indietro;– girare lentamente la testa a destra ed a sinistra te-

    nendo ferme le spalle;– inclinare lentamente la testa a destra ed a sinistra.

    Risultati

    I risultati ottenuti sono definiti dalla media aritmeti-ca e dalla deviazione standard. Il confronto dei valoriottenuti dalle misurazioni è stato eseguito con il “testt di Student” per dati dipendenti, considerando comelivello di significatività quello che solitamente si utiliz-za in letteratura e cioè con p < 0,05.

    I due gruppi di pazienti hanno eseguito completa-mente il programma riabilitativo previsto e le misura-zioni sono state effettuate per confronto con l’arto sa-no all’inizio ed alla fine del trattamento.

    Considerando le misure dei singoli pazienti, siaper il gruppo che ha svolto il trattamento giornaliero esia per quello che lo ha svolto settimanalmente, nonsi rilevano peggioramenti.

    Nel gruppo di pazienti che ha svolto il programmariabilitativo quotidiano i risultati statistici delle misura-zioni hanno dimostrato una significatività con una p <0,0024 nella misura a 15 cm superiormente all’epi-condilo, una significatività con una p < 0,0066 nellamisura a 10 cm inferiormente all’epicondilo, una si-gnificatività con una p < 0,0002 nella misura al polsoed una significatività con una p < 0,0186 nella misuraalla mano (grafico 1 e 2).

    Nel gruppo di pazienti che ha svolto il programmariabilitativo settimanale le misurazioni statistiche diconfronto tra inizio e fine trattamento eseguite neiquattro segmenti dell’arto superiore non hanno dimo-strato una significatività statistica.

    I risultati esposti sono riassunti nella tabella I.

    Linfedema post-mastectomia: protocollo riabilitativo multidisciplinare

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    Grafico 1.

    Grafico 2.

    TABELLA I

    Segmento Media pre Media post Differenza Medie p <Gruppo trattamento giornaliero (n. 1 1)15 cm sovra gomito 2,863 1,318 1,545 0.002410 cm sotto gomito 4,409 2,636 1,772 0.0066Polso 4 2,454 1,545 0.0002Mano 0,772 0,272 0,5 0.0186

    Gruppo trattamento settimanale (n. 10)15 cm sovra gomito 2,187 1,687 0,5 n.s.10 cm sotto gomito 3,562 2,875 0,687 n.s.Polso 4,312 3,187 1,125 n.s.Mano 0,875 0,812 0,625 n.s.

  • Discussione

    Sicuramente, in ambito di ricerca, il presente stu-dio accompagna quelli già pubblicati; in ogni modo sicaratterizza per alcune peculiarità quali l’organicitàdell’approccio che coinvolge diverse professionalitàriabilitative effettivamente interagenti ed un progettoomogeneo e sistematico mirato ad una riduzione diuna disabilità.

    In bibliografia sono numerosi i lavori sul tratta-mento riabilitativo del linfedema post-mastectomia,con tecniche ed esperienze diverse di terapie fisiche,dai quali non sempre emergono conclusioni chiara-mente significative e concordanti.

    Bovio et Al., ad esempio, hanno reclutato 34 donneoperate di carcinoma mammario ed affette da linfede-ma post-mastectomia; di queste 20 sono state sottopo-ste ad un breve ciclo di dieci sedute di linfodrenaggiomanuale, le restanti 14 sono state sottoposte ad una te-rapia complessa che prevedeva il drenaggio linfaticomanuale associato a pressoterapia e bendaggio e conl’indicazione di effettuare esercizi attivi.

    Gli Autori hanno rilevato l’efficacia, a breve termi-ne, del drenaggio linfatico manuale specie se asso-ciato ad altre terapie.

    Un’altra interessante ricerca è quella svolta daJohansson et Al. che hanno trattato 38 pazienti, affet-te da linfedema post-mastectomia, in una prima fasecon bendaggio compressivo per due settimane ed inuna seconda fase con bendaggio compressivo asso-ciato a drenaggio linfatico manuale per una settima-na, dimostrando che il bendaggio compressivo è unefficace ausilio che riduce il volume di un linfedemalieve o moderato in donne operate alla mammella eche il drenaggio linfatico manuale associato al ben-daggio apporta un effetto chiaramente positivo.

    Il lavoro di Liguori e Sarcinella, che hanno sele-zionato venti pazienti affetti da linfedema del bracciodopo intervento chirurgico di mastectomia totale, trat-tando dieci pazienti con linfodrenaggio manuale e lealtre dieci con linfodrenaggio associato a terapia far-macologica; nella discussione si è evidenziato chetutte le pazienti, alla fine del trattamento, hanno riferi-to la diminuzione soggettiva del prurito ed in parte delsenso di pesantezza, nonché l’incremento della diu-resi, tali risultati sono stati chiaramente evidenti per lepazienti che hanno associato al drenaggio linfaticomanuale la terapia farmacologica.

    Il lavoro di Miralo et Al. Valuta la qualità della vitadi un gruppo di venticinque pazienti affette da linfede-ma post-mastectomia che, per quattro settimane,hanno eseguito un trattamento con massaggio, pres-soterapia sequenziale e bendaggio contenitivo; i ri-sultati ottenuti dimostrano che sia il linfedema sia laqualità della vita miglioravano e rimanevano stabiliper i successivi dodici mesi.

    Obiettivamente la valutazione incrociata del pre-sente studio con altri pubblicati ha prodotto delle con-

    clusioni rilevati che possono essere considerate unsicuro punto di partenza per un ulteriore impegno diricerca.

    Conclusioni

    Questo lavoro si caratterizza per aver studiato inmodo omogeneo un gruppo di pazienti affette da lin-fedema post-mastectomia, per aver proposto ed isti-tuito due protocolli riabilitativi, differenti per il solo pa-rametro “frequenza” delle sedute che prevedevano:un trattamento di drenaggio linfatico manuale, un trat-tamento di bendaggio elasto-compressivo di conten-zione, un trattamento di fisiochinesiterapia.

    Lo studio ha dimostrato un’efficacia, statistica-mente significativa, nella riduzione del linfedema nel-le pazienti che hanno svolto il trattamento giornalieroed una riduzione con il contenimento delle misure nel-le pazienti che hanno eseguito il trattamento settima-nalmente.

    In ultima analisi possiamo ipotizzare una possibileintegrazione dei due protocolli proposti, pensando dipoter utilizzare il trattamento con “frequenza” giorna-liera in una fase acuta del linfedema e quello con “fre-quenza” settimanale in una fase di stabilizzazione emantenimento.

    Bibliografia

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    del linfedema post-mastectomia: revisione della letteratura,Europa Medicophysica, 2001; 37: 836-9.

    Gaetano Moraglia - Fabio Colonna

    26

  • Introduzione

    La capacità di conservare il controllo dell’equilibrioè fondamentale per il mantenimento dell’indipenden-za funzionale (15). L’incidenza del disturbo dell’equili-brio negli anziani assume una rilevanza sociale taleda diventare la causa principale delle cadute e del lo-ro incremento.

    Le cadute dell’anziano rappresentano la primacausa di ricovero e decesso per incidente domestico.Il 53% avvengono durante la fase di rilevazione del

    passo. Ogni anno 1/3 degli ultrasessantenni è vittimadi un incidente domestico (28). Per il 50% dei casi sitratta di cadute ricorrenti (24).

    Nell’anziano le cadute sono la quinta causa dimortalità. La caduta è un evento temibile per l’an-ziano sia per le conseguenze a livello di disabilitàche per le ripercussioni psicologiche come la pauradi cadere (25). I fattori di rischio del fenomeno dellecadute vengono classificati in fattori estrinseci ed in-trinseci.

    Ricordiamo solo alcuni dei più importanti quali:

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    Antonino Di Nardi

    Il PROTOCOLLO DI ATTIVITÀ MOTORIA PREVENTIVA ED ADATTATAPER IL MIGLIORAMENTO DELL’EQUILIBRIO IN UNA CLASSE DI SOGGETTI DI VARIA DISABILITÀ STABILIZZATA

    Dott. Mag. in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive ed AdattateChinesiologo Clinico Professionista Certificato

    Master in PosturologiaSpecialista in Salute ed Efficienza Fisica

    Perfezionato in Chinesiologia Rieducativa

    L’autore intende evidenziare come una proposta di un programma di atti-vità motoria preventiva ad adattata rivolto agli adulti e agli anziani possa, mi-gliorando l’equilibrio, il controllo propriocettivo e le capacità coordinative-con-dizionali, contribuire a ridurre l’incidenza delle cadute e il fenomeno della pau-ra di cadere.

    Attraverso una attenta analisi della selezione del campione composta dauna approfondita anamnesi medica iniziale e da una raccolta di informazionisull’equilibrio mediante i test stabilometrici, si e potuto studiare e proporre unpercorso motorio allenante adattato a tutti quegli individui caratterizzati da sta-bilità clinico-funzionale, da condizioni fisiche svantaggiose, quali la disabilitàstabilizzata o nella fase cronica di una malattia quando percorso riabilitativo haesaurito il suo intervento.

    L’attività motoria preventiva ed adattata proposta è stata progettata e veri-ficata in gruppo in un clima socio-relazionale sereno al fine sia di valorizzare epromuovere l’attività motoria quale mezzo ludico-ricreativo, espressivo e di be-nessere, sia per poter essere di valido supporto didattico e metodologico a tut-ti gli educatori fisici e ai laureati in Scienze Motorie.

    The author wishes to highlight as a proposal for a program of adapted phy-sical activity prior to targeted at adults and the elderly can, improving balance,proprioceptive control and coordination skills-conditional, to help reduce the in-cidence of falls and phenomenon of fear of falling.

    Through a careful analysis of the sample selection consists of a deep me-dical history and an initial collection of information through the balance test sta-bilometric, you are able to study and propose a path workout motor adapted toall those individuals characterized by stable clinical and functional by unfavo-rable natural conditions, such as disability or stabilized in the chronic phase ofdisease when rehabilitation is out of his involvement.

    Physical activity and adjusted prior proposal has been designed and testedin groups in a socio-relational peaceful climate in order both to enhance andpromote physical activity as a means of leisure and recreation, expressive andwell-being, both in order to be valid educational and methodological supportfor all physical educators and graduate in Sports Science.

    RIASSUNTO

    SUMMARY

  • L’esercizio fisico finalizzato all’incremento dell’e-quilibrio migliora la funzionalità globale dei soggettianziani, la loro qualità di vita e può contribuire a ri-durre il tasso di cadute.

    Anziani praticanti il Tai Chi per un programma diquindici settimane hanno ridotto del 47,5% il rischio dicadere (29).

    Lo studio è finalizzato a proporre un protocollo diesercizi fisici finalizzati alla prevenzione delle cadute,al miglioramento dell’equilibrio, della propriocettivitàcinestetica e dell’assetto posturale in persone in con-dizioni di stabilità clinico-funzionale.

    Materiali e metodi

    SELEZIONE DEL CAMPIONE

    Il campione era composto da 36 persone, 28 disesso femminile (78%) e 8 di sesso maschile (22%).con una età media di 63 anni.

    CRITERI D’INCLUSIONE

    q Soggetti adulti sedentari.

    q Tutti i partecipanti allo studio erano in possesso diun certificato comprovante l’idoneità alla pratica diattività motoria non agonistica da parte del medicocurante.

    CRITERI DI ESCLUSIONE

    q Severi deficit cognitivi.

    q Tumori.

    q Cardiopatie.

    q Obesità.

    q Infiammazioni osteoarticolari in fase acuta.

    q Gravi deformazioni del rachide.

    Il programma di attività motoria (sedute di 60 mi-nuti, con cadenza trisettimanale per 15 mesi con pau-sa estiva di tre mesi) prevedeva esercizi suddivisi in4 gruppi tematici:

    – esercizi respiratori;– esercizi propriocettivi e di equilibrio;– esercizi di allungamento muscolare e di mobilità ar-

    ticolare;– esercizi di rinforzo muscolare generale.

    Per mantenere elevato il grado di motivazione, ilnumero delle ripetizioni non era quantificato, il ritmo diesecuzione doveva rispettare e seguire l’ampiezzadegli atti respiratori (cordinazione movimento-respi-ro). Il campione durante la pausa estiva ha continua-to a svolgere in via autonoma un protocollo di eserci-zi di mantenimento appositamente preparato.

    Antonino Di Nardi

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    Fattori estrinseci

    Pericoli ambientali e abitativi:– scarsa illuminazione;– tappeti, pantofole;– bagno, camera da letto;– animali domestici grossa taglia;– giocattoli, ecc.

    Pericoli extra-abitativi, barri