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IL MONUMENTO DA CAMERA I bronzetti della Collezione Sperati in Palazzo Lascaris

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IL MONUMENTO DA CAMERAI bronzetti della Collezione Speratiin Palazzo Lascaris

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IL MONUMENTO DA CAMERAI bronzetti della Collezione Sperati

in Palazzo Lascaris a Torino

a cura di Maria Luisa Moncassoli Tibone

Contributi di:Pier Luigi Berbotto

Giuliana Brugnelli BiraghiClara Palmas

Pier Massimo Prosio

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Ufficio di Presidenza:

Presidente: Roberto Cota

Vicepresidenti: Francesco Toselli, Lido Riba

Consiglieri segretari: Beppe Pozzo, Marco Botta, Alessandro

Di Benedetto

Direzione Comunicazione istituzionale dell’Assemblea regionale

Direttore: Luciano Conterno

Settore Comunicazione e partecipazione dell’Assemblea regionale

Responsabile: Michelangelo Fessia

Settore Informazione dell’Assemblea regionale

Responsabile: Marina Ottavi

Settore Relazioni esterne dell’Assemblea regionale

Responsabile: Gualtiero Freiburger

Alessandra Pont

Direzione Amministrazione e Personale

Direttore:Wally Montagnin

Ufficio Tecnico e Sicurezza

Claudio Minnicelli

Direzione Segreteria dell’Assemblea regionale

Direttore: Maria Rovero

Servizi generali operativi e sicurezza

Angelo Cappella, Carlo Greghi

Direzione Processo Legislativo

Direttore:Adriana Garabello

IL MONUMENTO DA CAMERA

Cura della mostra e del catalogoMaria Luisa Moncassoli Tibone

Contributi in catalogoPier Luigi Berbotto, Giuliana Brugnelli Biraghi, Clara Palmas, PierMassimo Prosio

Curatori della CollezioneMichelangelo Fessia, Claudio Minnicelli

MusicheOto Perillo, con l’insieme vocale “Il sogno di Polifilo”

Scritte in mostraPier Luigi Berbotto

AllestimentoMaria Pia Dal Bianco A&A Architetti & Associati, SabrinaBeltramo, Monica Zanzotto

Coordinatore tecnicoClaudio Minnicelli

Collaborazione editorialeChiara Genisio, Gianni Boffa

FotografiePino dell’Aquila, Carlo Devoti, Paolo Siccardi, Maria LuisaMoncassoli Tibone

Grafica e ImpaginazioneManera,“Immagine & Comunicazione”

Si ringraziano per la cortese collaborazioneMarco Albera, Rosalba Belmondo, Rossana Bossù, Patrizia Bottardi,Andrea Bruno, Piero Cazzola, Famiglia Calandra, Circolo degliArtisti, Famiglia Conrieri, Gabriella Daghero, Famiglia Dal Bianco,Gualtiero Dolce,Antonio Forchino, Funzionari GAMTorino, EnricoGastaldi, Giuseppe Luigi Marini, Gian Giorgio Massara, GermanaMazza,Maurizio Micai,Michelangelo Miele,Eriberto Naddeo,SergioNoero, Alessandro Paolini, Vittorio Peracino, Adriana Peruccio,Famiglia Rubino, Piera Savina, Grazia Tartaglini, Angelo Tibone,DomenicoTibone, Bianca Vetrino, Paolo Vinai,Gianni Vurchio

Mostra e catalogo realizzati dal Consiglio regionale del PiemonteDirezione Comunicazione Istituzionale dell’Assemblea regionale

FONDAZIONE PER IL LIBRO, LA MUSICA E LA CULTURA

Presidente:Mercedes Bresso,Presidente della Provincia diTorinoVice Presidenti: Enzo Ghigo, Presidente della Giunta Regionaledel Piemonte, Sergio Chiamparino, Sindaco della Città di Torino

Segretario Generale: Rolando Picchioni

Comitato dei Garanti: Piero Bianucci, Pier Giovanni Castagnoli,Lorenzo Mondo,Giuliano Soria

ARTIGIANO METROPOLITANO

StaffDirettore Artistico: Enzo Biffi GentiliAssistente di Direzione: Davide PaludettoAssistente agli allestimenti: Massimiliano MontaruliAmministrazione:Alessandro DottaUfficio stampa e pubbliche relazioni: Daniela Lo PiccoloOperatori professionali:Valentino MacriSegreteria Generale: Daniela Icardi

Comitato tecnico scientificoPresidente: Stefano ZecchiMembri:CristinaAccornero,RobertoAlbanese,Riccardo Bedrone,Consolata Beraudo di Pralormo, Denise Biernaux, RossanaBossaglia, Francesca Comisso, Maria Pia Dal Bianco, FrancescoDrago,Pablo Echaurren,Antonio Forchino,Anne Leclercq,DanielaMagnetti, Cristina Morozzi, Luisa Perlo, Isabella Ricci Massabò,Paola Navone, Francesco Pernice, Roberto Sandri-Giachino, CarlaEnrica Spantigati, Maria Luisa Tibone,Mauro Volpiano

Comitato di coordinamentoGuido Bolatto,Marco Cavaletto, Luciano Conterno,Gaudenzio DePaoli, Rita Marchiori, Anna Martina, Roberto Moisio, PatriziaPicchi, Roberto Salvio,Alberto Vanelli, Carlo Viano

ConsulentiProgetto didatticoAnna Pironti

Ufficio stampa e ComunicazioneThreeSixty

Coordinamento dell’immagine graficaBellissimo

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Questo catalogo non è solo uno strumento indispensabile per conoscere al meglio lamostra “Il monumento da camera”. È, insieme alla rassegna stessa, un omaggio allamemoria della famiglia Sperati e un rinnovato ringraziamento per la donazione cheha arricchito di opere artistiche la sede dell’Assemblea regionale piemontese.Il felice itinerario che porta la“Collezione Sperati”sotto le volte di Palazzo Lascaris è noto.Nel 1980 Luisa Sperati vedova Mezzalama decide di donare la raccolta ereditata dalpadre Emilio al Consiglio regionale. Un gesto di grande generosità quello della signo-ra Luisa e, aggiungerei, d’affetto verso la comunità piemontese, quello di affidare all’i-stituzione una parte non marginale della propria storia famigliare, intrisa d’amoreper l’arte, di capacità artigianale d’altissimo livello, di sensibilità e buon gusto.Nell’atto della donazione è precisato che le opere devono essere “custodite ed ambien-tate” a Palazzo Lascaris.Da allora bronzetti e quadri sono una parte del Palazzo, unasua componente inscindibile. È anche grazie a queste opere che la sede dell’Assemblearegionale del Piemonte è più ricca non solo dal punto di vista squisitamente artistico,ma anche storico.La collezione infatti rappresenta nel suo insieme Torino e il Piemonte a cavallo tral’Ottocento ed il Novecento, proprio in quegli anni cruciali che segnano, nel bene e nelmale, lo sviluppo della regione nel secolo scorso.Un Piemonte ed una Torino ancora legati alla tradizione, ma già protesi verso il futurocon coraggio, con il coraggio di chi sa di rischiare, certo della propria capacità e volon-tà.E vedendo le opere raccolte o “fuse” da Emilio Sperati nel suo laboratorio-officina diCorso Regio Parco in Torino, è possibile cogliere in questa volontà, intrisa di curio-sità e speranza, una forza che trae le sue energie, per il futuro, dal rispetto delle tra-dizioni del passato.In questo senso la Collezione Sperati è molto significativa e particolare perché conservaopere di uomini che ebbero fede nella propria città e nella propria terra.Partendo da queste considerazioni e cogliendo l’opportunità delle mostre “Artigiano-metropolitano” per il centenario della grande Esposizione di Torino del 1902, l’Ufficiodi Presidenza ha deciso di offrire ai cittadini l’esposizione della Collezione Sperati inun contesto ed in una ambientazione diversi da quelli della mostra permanente, visi-bile ai cittadini, associazioni e gruppi scolastici, nel contesto del progetto “Porte aper-te a Palazzo Lascaris”.Questa presentazione vuole collocare nella giusta luce - come merita - un piccolo teso-ro lasciato in eredità alla comunità piemontese da una sensibile signora in ricordodel padre artista.

ROBERTO COTA

Presidente del Consiglio regionale del Piemonte

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IL PERCORSO DELLA MOSTRA

Il messaggio eroicoAll’alba del secolo XX la monumentomania impe-rante, dopo aver dilagato per piazze e giardini, trovaun valido sbocco negli interni domestici. I fonditoririducono drasticamente le dimensioni dei manufattiin bronzo, privilegiando la cura del dettaglio. Per ibuoni borghesi fu motivo d’orgoglio poter esibire incasa i bronzetti: un Arnaldo da Brescia, unMichelangelo, un Alfonso Lamarmora, unBartolomeo Colleoni. Sono riproduzioni dell’operadi artisti celebri: due o tre spanne d’altezza, per untributo alla moda e alla storia.

Nell’attualità storicaA Torino, proprio accanto agli edifici dell’Esposizione,Davide Calandra aveva innalzato una figura equestre,un’opera insigne per celebrare un principe e CasaSavoia. Certo è che tanta maestria, e insieme quella delfonditore Emilio Sperati, valsero al monumento il presti-giosissimo Premio degliArtisti. L’inaugurazione avvennea Torino il 7 maggio 1902. E da cento anni il principeAmedeo di Savoia duca d’Aosta è lì, alto e bronzeo suldestriero, a perpetuare il suo slancio eroico nell’ariachiara delValentino.Altri messaggi i bronzetti domesticici propongono:un corollario di glorie patrie.

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L’eleganza del nudoAl tramonto del classicismo, la tradizione del nudonella scultura sembra meno importante, confinatanelle scuole delle Accademie. L’analisi del corpo -femminile,maschile, infantile - ricompare con la sca-pigliatura, coglie nuove rappresentazioni nell’ambi-to del naturalismo, impreziosisce le immagini sim-boliste, anima le forme plastiche più vicine almondo liberty e crepuscolare. Con scrupolo realisti-co, garbata esibizione, e magari, sotto sotto, un sus-surro di malizia.

Costumi esotici e tradizioni popolariL’orientalismo è un fenomeno che conferisce alleopere il fascino del raro, dell’esotico. Le bronzee raffi-gurazioni di un cammello, di una beduina portatriced’acqua, di una slitta e del suo vetturino in rassegnataattesa portano, nell’aria un po’ greve degli internid’inizio secolo, l’alito caldo del deserto, o un brividodi gelo dal cuore innevato della Santa Russia.Altri usie costumi vicini e lontani esprimono i bronzetti erisvegliano l’interesse per le opere in scala ridotta deigrandi scultori.

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Uno sguardo all’infanziaL’immagine dei bambini sollecita in modo variol’estro degli scultori. Protagonisti di precoci inge-nue imprese, i piccoli personaggi sono amorosa-mente effigiati. Mostrano sempre una vitalità che ilbronzo imprigiona e poi restituisce, nella levità gio-cosa propria dei fanciulli, nella malizia trasgressivadei monelli, nella grazia malandrina e fuggevole diuno scugnizzo o nel tenero raccoglimento della fan-ciulla in preghiera.

Il racconto animalisticoLo scultore“animalier” aveva trionfato nella Francia delsecondo ottocento, percorrendo con le sue immagini“fauves” i sentieri delle steppe, i deserti africani e asia-tici, o rappresentando in chiave vicina il mondo dome-stico degli animali più mansueti.Ed ecco anche in Italiacomparire su mensole e caminetti cani e cavalli, leprot-ti e camosci o addirittura elefanti, a ricordo delle gran-di ménagéries sovrane. Una fascinazione animalistica,una creatività stupefacente nella sua verosimiglianza.

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Il “monumento da studio”Un bronzo da collezione si valuta anche per la fun-zione che ha avuto nell’ambiente dove è stato visto alungo. I “monumenti da studio”, un orologio e unbronzetto sono appartenuti a due noti medici. Una“Amazzone” di Davide Calandra fu donata dalla fami-glia al medico di casa dottor Dal Bianco; un orologiocon la raffigurazione della Sapienza scandì l’orariodelle visite nello studio del professor DomenicoTibone rettore magnifico dell’Università di Torino.

Il “monumento da tasca”La medaglia è uno strumento di comunicazioneportatile d’alto artigianato - oggi attentamente col-lezionato - che nel caso di eventi importanti comel’inaugurazione dei monumenti, è stato fortementecelebrativo. Edoardo Rubino progettò la medagliaper l’inaugurazione a Torino del monumento aVittorio Emanuele II nel 1899 con un bronzetto chela collezione Sperati conserva. La moneta verràconiata in oro, argento, bronzo.

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PERSONAGGI D’ALTRI TEMPI

LUISA

racconto di Pier Luigi Berbotto

C’è un momento della giornata che lei predilige inassoluto.Un momento di cui solo lei, Luisa, può sentir-si incontrastata padrona: quando il pomeriggio non èpiù pomeriggio ma è ancora troppo presto per chia-marlo sera. Possono essere le cinque, le sei, anche lesette, secondo la stagione. L’importante è quella lucetutta particolare che filtra dai vetri e che, col rimpian-to del giorno in fuga, sembra portare l’annuncio dinuove delizie. Queste delizie, per Luisa, s’identificanonella casa al momento deserta. Papà ancora al lavoro.La mamma a far la spola tra le sue associazioni cultura-li, i suoi tè, le sue accademie.E lei libera di aggirarsi trale pareti domestiche, di riprendere il colloquio con isuoi specialissimi amici.Già, perché Luisa non è più nell’età di giocare con lebambole. Ma non ancora in quella per pensare agliamori.A dire il vero, qualcuna delle sue amiche già cipensa e ne sussurra con le altre, tra mille risatine, eammiccamenti,e toccatine di gomito.Luisa,però,nonne ha bisogno. Per lei ci sono questi dorati crepusco-li nella casa torinese. E c’è questa folta corte di per-sonaggi che le si stringono intorno,e che mai la faran-no sentire sola.Non sono che piccole, curiose sculture - antichi guer-rieri piuttosto che animali, ed effigi della storia che sicontrappongono a vivaci figurette muliebri e infantili -ad adornare nicchie e mensole, tavoli e vetrine dellagrande sala e del salotto, debordando pure nel corri-doio d’ingresso, nella biblioteca e nelle camere daletto. Praticamente tutto l’appartamento ne è invaso.Ma tanta quantità, lungi dal tediare o dall’opprimere,pare fatta per rallegrare, per accendere la fantasia. Edè così che entra in gioco la luce del crepuscolo.

Perché, dalle finestre che guardano ad occidente,sugli ippocastani del corso, a quest’ora non entranopiù raggi,ma come uno spolverio d’ambra o di fuocoche si spalma sul bronzo delle statue e gli infonde unbrivido di vita.Così, ogni giorno, Luisa assiste al miracolo. E scher-za col Bambino sul cavallo a dondolo, riassesta ilmanto alla Donna che allatta sul cammello.Conforta il vecchio esausto sulla Slitta. Assume,davanti ad Arnaldo da Brescia, la sua stessa posaoracolare. S’incanta davanti al gesto della Giovanecon una spina piantata nel piede, e quasi vorrebbeessere lei a levargliela, ma con mano leggera, senzafarle male...Quanto dura tutto questo? Giusto il tempo che quelpulviscolo esaurisca la sua carica, e l’agonia del gior-no ceda alla notte. Allora le statuette riprendono laloro fissità impassibile. E non resta che attendere ilritorno di papà Emilio, fonditore nonché scultore inproprio, che di quei bronzi, pur se firmati da altri, è ilvero, insuperato artefice.Di tanto in tanto da mensole e nicchie ne scompareun esemplare, prontamente rimpiazzato da un dipin-to. Sono scambi che papà Emilio ama fare con i suoiamici pittori: io ti do un mio bronzetto, tu mi dai untuo quadro. E così anche le pareti di casa si infittisco-no di tele. Parecchi di questi artisti sfilano sotto gliocchi attenti di Luisa, quando vengono a trovarepapà. Ci sono vecchi suoi compagni di Brera, espo-nenti di quella Scapigliatura milanese che tennebanco come movimento vivo e anticonformista. Maquesti preferiscono rinchiudersi con lui nel suo labo-ratorio al numero 36 di corso Regio Parco, là dovedomina la scritta, invero altisonante:

FONDERIA ARTISTICAPER MONUMENTI EQUESTRI

E STATUE COLOSSALIDEL CAVALIER EMILIO SPERATI

Chi, invece, preferisce i più comodi sofà del salottodi casa è un pittore già in là negli anni, che abita inprovincia, dalle parti di Biella.Arriva di buon matti-no, un po’ greve e ansimante, e si abbandona tra icuscini invocando un caffè “come Dio comanda”.Papà lo chiama confidenzialmente Lorenzo, maLuisa sa che è il famoso maestro Delleani, autore dipaesaggi di una bellezza “da togliere il fiato” (tale èl’opinione paterna).Un altro pittore è tra gli assidui di casa. Si chiamaCesare Ferro e, pur essendo un ritrattista affermato,ha poco più di vent’anni. Sarà per la giovane età,ma,a differenza di Delleani, a Luisa non incute sogge-

G. Grande, Ritratto del Cav. Uff. E. Sperati1921.Olio, cm. 49x54.

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zione.Anzi. Papà sembra stimarlo molto:“È un allie-vo di Giacomo Grosso” dice di lui, con una puntad’invidia. E la sua stima si è spinta al punto di com-missionargli un ritratto della figlia. Così Luisa si ètrovata a posare davanti al suo cavalletto, con losguardo del pittore appuntato sui propri tratti, ascandagliarne la pur minima vibrazione, il più fuga-ce trasalimento. Oh, se le sue amiche - Amalia,Carolina... - fossero state lì a vedere: sai le esclama-zioni smorzate, i sorrisetti... Invece, nello studio,c’erano loro due soli, ed estremamente laconici. Lui,soprattutto: la cui timidezza altro non gli consentivache quelle occhiate morbide, quei silenzi vaghi maprotratti all’infinito. La sua mano, il suo tocco, tene-vano il posto delle parole. E il viso che ha saputodonarle è qui sulla tela ancor fresca di colori: velatodi una dolcezza assorta, di una malinconia chel’adolescenza riesce appena a stemperare...Una volta, a prendere il tè dalla mamma, è venutoanche un poeta. Giovane lui pure, come il pittoreFerro, ma più sulle sue, magro e asciutto in quell’abi-to di foggia elegante. Insomma, un damerino. Lo chia-mavano tutti l’Avvocato, anche se, in realtà, pare fre-quenti solo la facoltà di Legge, in via Po, e sia ancorlontano dal laurearsi. Dicono che le sue poesie, tutto-ra inedite, siano bellissime. La mamma doveva averloconosciuto alla Società di Cultura e,attenta com’è allenuove promesse dell’arte, non ci aveva pensato duevolte a estendergli un invito.Appena entrato in salotto, e presentato agli altri ospi-ti - il nome, Luisa non lo capì bene: qualcosa comeGuido Losano, o Gondrano... -, l’Avvocato si era guar-dato intorno, e non la smetteva di fissare questo oquel soprammobile, questo o quel capo d’arredo: dalcaminetto alle sedie damascate,dai frutti sotto le cam-pane di vetro a un certo scrigno fatto di gusci di con-chiglie, a un mosaico un po’ rudimentale che ritraeun angolo di laguna veneziana, per poi soffermarsicon marcata insistenza sul grande lampadario centra-

le. Era stato, quello, l’unico momento in cui egli sem-brò sorridere.Poi si era chiuso in se stesso,e per tuttala durata del tè nessuno lo udì proferir parola.Passano i giorni, e del poeta non si hanno più notizie:come se fosse letteralmente scomparso, ingoiato dallasua stessa magrezza. Finché oggi, dopo pranzo, lamamma estrae dalla borsa alcuni fogli manoscritti e lidispiega sulla tovaglia:“Sapete quell’avvocato... Mi ha fatto avere per postaquesti suoi versi. S’intitolano L’amica di nonnaSperanza.A me sembrano... semplicemente sublimi!”E si mette a leggere, con la sua bella voce tutta nuan-ces e chiaroscuri. Lì per lì Luisa non vorrebbe sentire:a lei di quello zerbinotto con la puzza sotto il nasonon importa un bel niente, e ancor meno delle suepoesie“sublimi”.Ma, d’un tratto, certe parole la obbli-gano a far mente locale:

... il caminetto un po’ tetro, le scatole senza confetti,i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro,un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve...

E poi, ancora:

...Venezia ritratta a mosaici, gli acquerelli un po’scialbi...

per culminare con:

...il gran lampadario vetusto che pende a mezzo il salonee immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto...

“Ma, buon Dio, questa è casa nostra!” esclama Luisabalzando in piedi.E prosegue con foga, rivolta a padree madre:“C’è proprio tutto: il caminetto e le campa-ne di vetro. E il mosaico di Venezia. E lo scrigno diconchiglie. E il grande lampadario a gocce... Come sipermette, quello, di appropriarsi delle nostre cose? Edi dire che sono di pessimo gusto?”Quindi, piantati in asso i genitori allibiti, corre di là,

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L. Delleani,Parte rusticadel Santuario

d’Oropa.1894.Olio,cm. 30x45.

L. Delleali,La fossa di

Morozzo.1894.Olio,cm. 30x45.

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nel salotto, a controllare. Sì, sembra davvero la mate-rializzazione dei versi di quel tale. Come ci avessefatto la fotografia.Con una vistosa lacuna,però: i bron-zetti. Dei bronzetti, nei versi, non c’è traccia. Parla, sì,dei busti diAlfieri e di Napoleone:ma quelli non sonodi bronzo. Che non li abbia notati, quel giorno?Impossibile: così numerosi e incombenti, neanche aun cieco potrebbero sfuggire. Ma se invece... - e apoco a poco l’ipotesi, nel prendere corpo, attenua ildispetto, lo volge in sollievo - ... se invece li avesseben visti, e gli fossero piaciuti, ecco che non avrebbepiù potuto accomunarli con le altre cose, che certonon dovevano andargli a genio (e, detto tra noi, nonsenza ragione!), e allora non gli restava che cancellar-li dal quadro, salvarli da quel contesto di mediocrità...Sì, forse è stato davvero così. E, nel resto della sualunga vita, ogni volta che Luisa avrà a tornare sullepoesie di Guido Gozzano, mai potrà dimenticare lebuone cose di pessimo gusto, e quell’omissione che,per lei, varrà più di un’apoteosi.Il martedì e il venerdì, tuttavia, le sue fantasiose soli-tudini di fine pomeriggio subiscono uno strappo.Allecinque e trenta in punto, preceduta da una lungascampanellata, si presenta la vecchia e arzilla signori-na Martinengo per la rituale lezione di piano. Unaconsuetudine cui Luisa si accosta con non eccessivoentusiasmo ma neppure di malavoglia. È buonanorma, di questi tempi, che le ragazze di buona fami-glia sappiano suonare con sufficiente disinvolturaPrima carezza e Petit montagnard. Luisa, anzi, è benpiù avanti: sotto la guida inflessibile della signorinasta già affrontando le sonatine del Clementi.Ed eccola, oggi, sbizzarrirsi nell’allegro della Prima,mentre la maestra, alle sue spalle, scandisce con vigo-re sergentesco:“Uno... due... tre... quattro...”. L’occhioinsegue le note sul pentagramma, e le mani, sui tasti,fanno miracoli.Anche la signorina, pur senza mostrar-lo, ha da essere soddisfatta. Ma d’un tratto, quando lamusica si apre a un nuovo tema particolarmente

gioioso, è come se la festa dei suoni non salisse piùdalle corde dello strumento ma direttamente daibronzetti investiti da quella corrente armonica: cia-scuno a cantare la propria nota: la Testa di saracenocon la gravità di un si bemolle, lo Scugnizzo diMedardo Rosso con l’allegria di un fa... Subissata dalfenomeno, Luisa non sa più dove guardare: il respirosi fa rotto, mentre il cuore le martella in petto, e lemani inevitabilmente s’inceppano sulla tastiera.“Luisa... Ma... che ti succede?” si allarma la maestra.“I bronzetti...sono loro a suonare!”farfuglia in un soffio.L’altra non può che mostrarsi perplessa.Che c’entranoi bronzetti? Una cosa, comunque, le è chiara: chel’eccessiva sensibilità musicale della ragazza va crean-dole qualche problema.Sicché per oggi conviene tron-care la lezione.“Ti piacciono così tanto le tue statuine?” domanda,immettendo nel tono tutta la dolcezza di cui è capace.“Tantissimo” è la risposta ancora ansimante.“Perché, allora, non me le fai vedere da vicino?”E Luisa,di buon grado,scivola dallo sgabello del pianoe si avvia a mostrare i suoi tesori. Che, a quanto pare,riscuotono presso l’insegnante un certo successo.“Bello, questo... Carino, quest’altro... E tu, qualepreferisci?” Luisa non ha esitazioni: punta subitol’indice sulla Ragazza con una spina nel piede.La signorina Martinengo guarda, e senza scampol’occhio le cade sulla coscia femminile rigogliosa-mente scoperta. Cerca quindi riparo in un’altra dire-zione: ma è fatale che le si pari davanti la carnalitàtrionfante della Schiava firmata da Giacomo Ginotti.Meglio dunque tornare alla Spina nel piede... E lei,che nella vita si è sempre trovata più a suo agio conminime e biscrome che non con le lusinghe delnudo, tenta qualche impacciata obiezione:“Sì, ma... così nature... così osé...”Luisa la guarda senza capire:“Perché osé, se è tanto bella?”Ma già, nell’altra, sugli interessi estetici prevale il

piglio della precettrice:“Non devi attaccarti troppo agli oggetti di casa,visto cheun giorno dovrai lasciarli.Pensa a quando te ne andrai diqui,per farti una casa tua propria, col tuo sposo...”La reazione di Luisa scatta immediata:“Io non lascerò mai i miei bronzetti. Piuttosto rinun-cio a sposarmi!”E sul volto le è apparsa la stessa intensità pensosa, lastessa malinconia che seppe rendere, nel ritratto,Cesare Ferro.Ma un giorno, sì, li lasciò. Un giorno di molti e moltianni dopo - era il 1980 - quando, nella sua avanzata,lucidissima vecchiaia, la signora Luisa Sperati vedova

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O.Tabacchi,Bagnante. La spina nel piede.Bronzo, altezza cm. 36.

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Mezzalama si decise al grande passo. Le forze le veni-vano ormai meno, il commiato lo sentiva imminente.Che ne sarebbe stato, dopo la sua “dipartita”, dei bron-zetti? Stipati in qualche solaio a coprirsi di polvere, diragnatele? O mortificati in tanti anonimi, irrecuperabi-li rivoli di elargizioni infruttuose? Entrambe le alterna-tive le mettevano i brividi addosso.No,occorreva pen-sare a una particolare destinazione per quel centinaiodi piccole sculture che il padre aveva amorevolmenteraccolto e in gran parte fuso, e per quegli altrettantiquadri che ne impreziosivano la casa.Una destinazioneche preservasse il tutto dalla dispersione o dalla rovi-na, facendone beneficiare l’intera collettività.E che cosa, meglio del Consiglio Regionale delPiemonte, avrebbe fatto al caso suo? Quali spazi,meglio di palazzo Lascaris da poco restituito ai suoisecenteschi splendori,potevano ospitare,e valorizzare,il suo piccolo patrimonio di bellezze e suggestioni?Così avvenne la donazione.Non sappiamo se l’età tar-dissima e le precarie condizioni di salute le abbianoconsentito di presenziare alla cerimonia. Ma ci piaceimmaginare che le cose siano andate veramente così:la sala gremita e plaudente, gli immancabili discorsid’occasione, le protocollari carte da firmare... E lei,tutta in ghingheri, che risponde ai convenevoli: c’èpure da bere una sorta di rosolio che, nell’emozionedell’attimo, le va per traverso, la costringe a tossire.Poi, se Dio vuole, la cerimonia ha termine, non restache uscire. E Luisa, prima di lasciare la prestigiosasede, non rinuncia a voltarsi ancora una volta verso ibronzetti.O meglio, verso le casse ove questi giaccio-no imballati, in attesa che “altre” mani li estraggano,“altri” occhi trovino loro un’adeguata collocazione.Ma questo, ormai, poco conta. L’importante è che laloro salvezza sia assicurata. Che il ricordo di papàEmilio resti impresso nelle loro forme. E che quassù,al piano nobile di palazzo Lascaris, nella luce radentedi ogni crepuscolo, ciascuno di essi ritrovi la sua veri-tà, il suo palpito di vita.

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Emilio Sperati,Gina bimba allo studio(la figlia Luisa giovinetta). Bronzo.

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PERSONAGGI D’ALTRI TEMPI

GUIDO

racconto di Pier Massimo Prosio

Nel 1902 Guido Gozzano aveva 19 anni. Studenteassai poco modello, dopo essersene venuto via dalCavour ove l’anno precedente era stato bocciato sistava preparando per gli esami di ammissione allaterza liceo frequentando una scuola privata, l’IstitutoRicaldone. Ma c’erano tante cose che l’interessavanopiù che la scuola! Per esempio scrivere poesie, anchese per adesso non pubblicava ancora i suoi versi chesolo a pochi amici e parenti faceva leggere; oppureandare in bicicletta, ad Agliè tra i prati ed i campirespirando l’aria fresca delle montagne ma anche aTorino lungo i viali ombreggiati dai platani o tra ilverde delValentino;o, ancora, frequentare quel nuovocircolo che da poco era sorto in città, in via delleFinanze, la Società di Cultura ove si riunivano tantepersone intelligenti e colte, e dove si potevano trova-re tanti libri, ma non quelli noiosi della scuola.Ma per fortuna, quel giorno le scuole erano chiuse.Era il giorno dell’inaugurazione del monumento alPrincipe Amedeo, l’opera di Davide Calandra unodegli eventi più significativi di quella EsposizioneInternazionale d’Arte decorativa moderna che di lì apoco si sarebbe aperta al Valentino. Erano arrivati aTorino insieme ai sovrani anche il Presidente delConsiglio Zanardelli, l’onorevole Giolitti, varie perso-nalità. Una limpida e odorosa giornata abbracciava lacittà, la primavera pareva essersi risvegliata quel mat-tino stesso ancora stupita della sua bellezza tenutaper tanti mesi nascosta.Camminando lungo il corso Vittorio Emanuele, Guidosi guardava attorno; il corso era splendido di luce e dicolori, la sua corona di platani frondosi, i balconiagghindati di bandiere e gagliardetti. Insolito il movi-

mento per le strade. Gli parve che addirittura VittorioEmanuele II dall’altissimo monumento sbirciasse disotto incuriosito di tutto quel viavai, del frenetico traf-fico per la sua tranquilla città.Mentre camminava udivada distante squilli di fanfare, rullo di tamburi; seguì lafolla che si muoveva verso il Valentino. Gruppi di sol-dati si stavano dirigendo alle loro postazioni.I tramvai erano tutti imbandierati, e alle fermate sivuotavano di un gran numero di persone che allegree rumorose andavano a trovar posto lungo il percor-

so che avrebbe seguito il corteo reale:piazza Castello,via Roma, corso Vittorio Emanuele, corso Massimod’Azeglio. Si vedevano piccoli gruppi famigliari com-posti e dignitosi nei loro abiti da festa, vecchi militaricon lustrini e decorazioni in mostra, impiegati incompleto scuro, operai, studenti chiassosi ed irre-quieti per il giorno di vacanza. Lungo i bordi dellastrada una folla sempre più fitta e festosa si venivaaccalcando, plotoni di militari erano disposti in dop-pia fila per annunciare con le fanfare il passaggiodelle autorità.In corso Massimo d’Azeglio scorse da distante unatenda biancheggiare, era quella che coprival’inauguranda scultura. Guido si portò verso il picco-lo palco che era stato apprestato lì presso per acco-gliere le autorità. Era arrivato giusto in tempo pervedere scoprire il monumento dedicato al ducad’Aosta.Un grido di stupore compiaciuto ed un lungobattimani fece seguito al disvelamento della impo-nente statua equestre. Ebbero inizio i discorsi ufficia-li: “Maestà! Altezze Reali! Non meno che nel granito enel bronzo la Storia con la sua alata eloquenza tra-manderà alle genti future le gloriose pagine rifletten-ti il principe Amedeo…”. Ma Guido non aveva orec-chi né occhi per quei signori impettiti che pronun-ciavano quelle parole altisonanti. Ed invece girava losguardo intorno a sé dal palco delle autorità al parcodel Valentino. Chi sarà mai stata quella bella signorasul palco con la veletta e il gran cappello bianco chele cadeva obliquo sul volto? E quella giovane donnache camminava pensosa per una delle allée del parco,con quel tailleur color cammello dai grossi bottoni divelluto,un cappello da amazzone con piuma e nastro:gli parve che passando accanto al monumento si fer-masse come incuriosita poi con un sorriso si allonta-nasse perdendosi nei sentieri sinuosi. Guido immagi-nò con improvvisa fantasia di scortare quella bellasignora per le meraviglie dell’Esposizione, di farle dacicerone.Una promenade con una bella donna accan-

L’inaugurazione della 1a Esposizione Internazionaledi Arti Decorative. Pasquino, anno XLVII.

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to per il Valentino, il fatato malioso parco torinese:poteva pensarsi qualcosa di più bello?La cerimonia finì che era quasi l’una. Per tornare acasa prese un tram. Nel maggio 1902 i Gozzano abi-tavano in via Montecuccoli 3, un piccolo alloggio chea differenza della casa natale di Guido in via Bertolotti2 descritta da Francesco Pastonchi, non sappiamocome fosse. Lui, il poeta,non ne fa alcun cenno,comedel resto ignora del tutto, nei suoi scritti, le abitazionitorinesi mentre quelle di Agliè sono amorosamenteraffigurate e ripercorse. Forse perché, queste, diTorino,erano così smorte e scure in confronto a quel-le solatie e gioiose del paese canavesano; forse per-ché queste erano le case della vita grigia e dimessa ditutti i giorni con le sue banalità e le sue tristezze (pro-prio in via Montecuccoli sarà stilato l’atto di venditadel Meleto, con gran dolore di Guido) e quindi erameglio che non entrassero nel dominio fatato dellapoesia. Non facciamo però molta fatica ad immagi-narcela, la casa di via Montecuccoli. Un alloggio

alquanto tetro, silenzioso, un po’ triste, abitato solodalla madre e da Guido (il padre, era morto due anniprima). Ci sarà stato un salotto in cui la madre rice-veva i pochi visitatori, una stanza con sofà e vecchiepoltrone, una specchiera, le pareti tappezzate. Lamamma di Guido, Diodata, aveva un certo gusto perl’arredamento, e aveva stipato di oggetti la stanza conquella paura del vuoto tipica delle case borghesi diinizio secolo: le statuine sul caminetto accanto al vasoe all’orologio, i soprammobili allineati sulla mensola,le stampe polverose appese con bella simmetria, leminiature un po’ sbiadite, alcune scure fotografie diavi e parenti lontani. Una raccolta insomma di quellebuone cose di pessimo gusto che pochi anni dopo ilpoeta doveva immortalare nella sua lirica.E ci saranno stati in quella stanza, possiamo agevol-mente supporre, delle étagères, dei ripiani, delle con-solles, su cui avranno fatto bella mostra di sé alcunibronzetti che Guido, naturalmente, vedeva sempre,ma con quella indifferenza che provocano le coseche quotidianamente abbiamo sotto gli occhi. Maquel giorno, quel giorno di festa e di primavera, liosservò con uno sguardo nuovo.Tornato dalla inaugurazione del monumento alPrincipe Amedeo, la sua attenzione fu presa proprioda un bronzetto di Davide Calandra. Quell’arditocavaliere settecentesco dritto ed impettito come ilsuo cavallo che porta in mano uno stendardo. Cosasarà stato: un dragone forse? Guido non era moltoedotto nella storia, neppure in quella sabauda.Ma ciòche lo attraeva di quella statuetta era piuttosto il fasci-no del passato che vi leggeva, la poesia del tempo chefu. Gli sarebbe piaciuto vederlo all’opera quel solda-to, in mezzo ai suoi commilitoni, tra i suoi superiori,durante le battaglie; ma di più gli sarebbe piaciutovedere e conoscere la società che lo circondava.Poter entrare non visto in un palazzo nobile torinese,magari anche in quello del re, (chi sarà stato il re altempo di quel dragone? forse Vittorio Amedeo III?) e

seguire come un invisibile folletto i discorsi dellebelle dame immerse nell’immenso guardinfante, lealte acconciature imbiancate da una nuvola di pou-dre, un vezzoso nastro nero a cingere un collo dicigno! Anche a Guido aveva fatto una certa impres-sione il gigantesco monumento equestre del principeAmedeo appena inaugurato al Valentino; anche seforse era per il suo gusto un po’ troppo ufficiale,solenne, severo: come dire? scarso di sogno, di quelsogno della storia che già intravedeva come un privi-

1902 Tramways a Torino:“Linea dei Viali”.

Davide Calandra,Dragone del Re.Bronzo, altezza cm. 64.

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legiato sito della sua fantasia. In questo senso più glierano consoni i romanzi e racconti storici del fratellodi Davide, Edoardo, quei libri così legati alla terra eall’animo piemontesi che gli avevano provocato unavibrazione di simpatia e di rimpianto, un soprassaltodi orgoglio amoroso per la storia della sua terra.Il Settecento era un’epoca assai suggestiva.Ma il seco-lo che più lo attraeva era l’Ottocento, il tempo delRisorgimento. Non certo per motivi patriottici, maper quell’incanto di un’epoca passata e trascorsa manon così lontana che non ne fosse rimasto qualchericordo, magari anche soltanto una fievole eco, nellavita di ogni giorno, che non ne cogliesse cenni dinostalgia nei libri che leggeva, tra le vie e le piazzedella sua città, nei discorsi degli stessi parenti. Iltempo del re Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele, diMassimo d’Azeglio: diciamo, per indicare un anno, il1850. Ed ecco, proprio un altro piccolo gruppo inbronzo ben disposto su un tavolino rappresentavaCarlo Alberto con alcuni soldati in Torino. Era eviden-temente il modello del monumento del Marochetti dipiazza Carlo Alberto, quel monumento così familiarea Guido, la statua equestre del re circondata da quat-tro soldati. Che a lui non faceva affatto venire inmente episodi di guerra, epiche battaglie, scontricruenti sul campo, ma lontani tranquilli interni dicase o angoli della sua città rivestiti dei tratti favolosidel passato.I salotti onusti di soprammobili e le pareti coperte diquadretti e stampe; le donne con i capelli divisi sim-metricamente sulla fronte e le fanciulle dai vestiti lun-ghi che toccano terra; le belle signore che passeggia-no sotto i portici di Po osservate dall’occhio attentoe galante degli ufficiali; i caffè Fiorio e Nazionalerumorosi e frequentati da giovani e patrioti e artisti esfaccendati che attendevano le notizie che erano ognigiorno apportatrici di speranze delusioni entusiasmirecriminazioni… Sì era questo forse il tempo che piùammaliava la fantasia del giovane Guido.

Ancora un bronzetto c’era in quella stanza, piccolo,nascosto quasi schiacciato dai gonfi vasi che correva-no sulla mensola del camino. Non vi aveva sino adallora fatto molto caso, ma adesso si avvicinò perosservarlo meglio. Si trattava di una figurina femmini-le nuda che accosciata nascondeva la testa come perun esercizio ginnico, o forse per un momento dimalinconia. Non si vedeva il volto della giovanedonna. Guido pensò, chissà perché? che fosse quellodella bella e giovane signora che aveva visto pocoprima passeggiare per i sentieri del Valentino.L’autore era ignoto ma egli istintivamente lo accosta-va all’opera di uno scultore casalese che non cono-sceva personalmente, ma di cui aveva sentito parlarecon accenti molto elogiativi. In realtà Bistolfi era notosoprattutto per i monumenti sepolcrali e Guido nonpoteva certo sospettare che sarebbe stato proprioBistolfi, che egli considerava il possibile autore diquella statuina, ad apprestargli il monumento tomba-le: quel giorno lieto di maggio non era ancora turba-to dall’ombra fredda della Signora vestita di nulla. E

Bistolfi era per lui in quei giorni, soprattutto l’autoredel manifesto che era stato affisso in vari luoghi dellacittà ed era diventato il simbolo dell’Esposizione chestava per aprire i battenti. Le quattro fanciulle bian-covestite che con passo di danza parevano posarsicome calando lievemente dal cielo su quel prato fio-rito di primavera;e che con lo svolazzare dei loro can-didi veli formavano la magica parola: Ars. C’era inquella vaporosa e aerea immagine una vena di poesiache incantava Guido tutte le volte che s’imbatteva nelmanifesto che era stato affisso nei più eleganti nego-zi della città. E questo nudino assorto e raccolto nelsuo gesto di riflessione e di malinconia, pur cosìdiverso, gli parve tenere anch’esso qualcosa dellafemminilità musicale e sognante di quelle figure.Il dragone fiero in sella al suo destriero; la nuda pen-sosa e distante come una deità pagana; il re con la suapiccola guardia di soldati. Quelle statuine lo affasci-navano con l’intensità di un presagio e di una pro-messa. Andò alla finestra e la aprì. Una lama di lucetrasversalmente andò a posarsi proprio sui tre bron-zetti che gli parvero, sopraggiunti da quella nuovavibrazione, assumere un nuovo aspetto, come voles-sero dirgli qualcosa. Che cosa?

Ignoto (o L. Bistolfi?),Nudo reclinato.Bronzo, altezza cm. 35.

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Gli edifici dell’esposizione del 1902 sono progettatidall’Architetto Raimondo d’Aronco che assume “laresponsabilità della formazione dei progetti, la dire-zione dei lavori, la liquidazione e demolizione aopera compiuta nonché per la sovrintendenza del-l’ordinamento di tutto quanto concernel’esposizione e gli espositori”.Per la parte artistica è coadiuvato dagli ing. (sic, ndr.)Vacchetta e Rigotti. “A testimonianza della grandeimportanza attribuita dal comitato artistico alladecorazione è la nomina di una nuova commissio-ne (...) con l’incarico di esaminare i progetti”.(A.A.V.V.Torino 1902 Le Arti Decorative Internazionali delnuovo secolo Milano 1994). La rivista “Memorie di unarchitetto” pubblicava i progetti presentati al concor-

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AL TEMPO DELL’“ARTE NOVA”

L’ESPOSIZIONE AL VALENTINO

Torino,maggio 1902Il trionfo dell’arte borghese si ebbe nellaEsposizione internazionale d’arte decorativamoderna che inaugurava questa nuova dizione insostituzione del termine arte applicata all’industria.Era la proposta per una nuova “estetica della via,della casa, della stanza”; si ammettevano solo pro-dotti originali che venivano vagliati da unaCommissione artistica presieduta dal Duca d’Aosta.A spese degli espositori erano i trasporti, gli imbal-laggi delle merci, delle quali era consentita la vendita.Si assegnarono molti premi:- al miglior progetto di casa moderna (da pigione,villa...)- al miglior complesso decorativo di un appartamen-to di lusso composto di almeno tre stanze di diversadestinazione- al miglior complesso di un appartamento economico- alla migliore stanza di lusso- alla migliore stanza economicaVale la pena di dare uno sguardo complessivo ai mate-riali esposti, in una rilettura del catalogo.Alla decorazione pittorica e plastica s’affiancava laserie degli infissi, ceramiche e laterizi, vetri e mosaici;per gli interni si proponevano stoffe, tappeti, galloni,tovaglierie, pizzi, ricami, stuoie e lavori in vimini;carte da parati, cuoi e succedanei.Si proponevano armi e accessori; apparecchi perriscaldamento e per illuminazione; e quindi mobili,arredi..ma anche oreficerie,monete,medaglie e i pro-dotti raffinati delle arti grafiche:ex-libris, tessere, fregiper iniziali,caratteri da stampa, francobolli,marche dabollo,cartoline,carte valori,biglietti di banca,carte da

giuoco, stampe decorative e illustrazioni di libri. Unsettore occupava l’arte della rilegatura. Era stata pre-vista inizialmente una sezione di abiti, poi soppressaper ragioni pratiche.Nella sezione della casa e della via si presentavanoprogetti di edifici e delle loro parti, piazze, porticati,cavalcavia e passerelle.Per la decorazione esterna della casa e della via vierano progetti e modelli di inferriate, ringhiere, roste,cancelli, cancellate, chiusure di porte, tira campanel-li... e ancora fontane, abbeveratoi, candelabri, lampio-ni, fanali, lanterne,colonne luminose,edifici di decen-za, chioschi, quadri di pubblicità, insegne, pensiline,tende, sedili pubblici, facciate di botteghe, cassettepostali, orologi.Nel primo affiche,G.B.Carpanetto rappresentava una

dama abbigliata alla moderna, ornata da un lungo boarosso, in atto di affiggere o indicare il manifesto deifesteggiamenti predisposti durante l’Esposizione.Nel secondo affiche, opera di Leonardo Bistolfi, quat-tro giovani fanciulle, atteggiate alla danza e vestite diveli si muovono fra nastri che formano la parola ARS.Secondo quello che i francesi chiamarono stile“nouille” il famoso scultore,organizzatore della mani-festazione e animatore della rivista che l’aveva prepa-rata e sostenuta,offriva,con un elegantissimo dipinto,una prima suggestiva immagine liberty.

Una lunga gestazione

Votata dalla Sezione di architettura del Circolo degliArtisti per l’autunno l899, l’Esposizione avrebbedovuto realizzarsi nel l901,ma il clima difficile dopoil regicidio e l’intento di presentare la mostra con-temporaneamente alla Prima Quadriennale d’Arte,organizzata dalla Società Promotrice di Belle Arti, neavevano fatto rimandare l’apertura alla primaveradel 1902.Nella rassegna non si ammisero imitazioni degli stilidel passato: di qui l’assoluta originalità del nuovomessaggio floreale e decorativo.Fra le presenze italiane di rilievo ricordiamo GalileoChini,Cometti,Bugatti,Ceruti;per le vetrate artisticheG. Beltrami; per il ferro battuto Mazzucotelli; perl’oreficeria Musy padre e figlio,Valabrega per i mobi-li...All’Italia andarono 12 dei 68 diplomi d’onore; e 9delle 78 medaglie d’oro.L’Esposizione si chiuse con un bilancio in attivo: gliazionisti riebbero quasi il 40 per cento delle sommeversate. Discreta fu l’affluenza del pubblico, anche semolto rimase invenduto. Durante l’estate il bigliettodi ingresso fu diminuito di prezzo.Articoli favorevoli all’Esposizione comparvero suimportanti riviste europee: The Studio, Gazette de

Charles Van Der Stappen, Trionfo da tavolaLes quatre périodes du jour. Bronzo. 1898 circa.Musées royaux d’Art et d’Histoire. Bruxelles.

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Beaux Arts...Così, mentre la Torino teatrale del secondo Ottocentosfumava e il mondo della celluloide si faceva avanti,trionfava, per il nuovo consumismo, l’arte ‘moderna’decorativa,un’arte per la vita,all’insegna del quotidiano.“Torino si muove, dietro di lei cammina l’Italia -scrisse di quei primi anni del secolo XXAugusto Monti- pullulano le società anonime. La liretta di carta faaggio sull’oro.Tornano a circolare i gialli marenghi-ni d’oro. La corsa alla ricchezza? no, piuttosto all’a-giatezza dei nonni: le nuove ricchezze tornano incase dove ci sono mobili vecchi, libri, ricordi”. È que-sto un messaggio borghese che abbiamo raccolto, nelfare questa mostra di bronzetti da camera e che speria-mo possa essere utile a questa nostra vita, nonostanteil tanto progresso, così difficile e degradata.

Una rassegna di presenze internazionali

Darmstadt, novembre 1902. Un anno dopo la grandeesposizione tedesca che aveva presentato il rinnova-mento dello stile delle arti applicate,Alexander Koch,il critico che aveva dedicato alla colonia degli artistiall’esposizione di Darmstadt un volume circostanziato,ricco di 500 illustrazioni fuori testo a colori, componeil brano di apertura ad un nuovo libro sulla Esposizionedi Torino il cui carattere internazionale nella valorizza-zione delle arti applicate sembrava aver superato lepremesse tedesche. Uscirono così due edizioni delvolume per un ricordo durevole: quella francese siaffiancò in parallelo a quella tedesca. Destinata “ai let-terati di ogni ordine amici delle arti, agli artisti ed atutti coloro che si occupano di arti industriali nellenazioni civili”, tendeva a trarre importanti lezionidallo straordinario evento torinese ed a fornire, con lericche immagini, tanti “modelli”da consultare.Posta sotto l’alto protettorato del giovane sovranod‘Italia Vittorio Emanuele III e con la presidenzad’onore di S.A.R. il Duca d’Aosta, la mostra torinese

aveva, nel volume diretto dal Koch con i testi diGeorg Fuchs e F.H.Newberry, un capitolo significati-vo di “prime impressioni”. Derivate dal dichiaratosoggiorno di tre settimane a Torino, rilevavano pro-prio in apertura la straordinaria organizzazione degli“amici torinesi” e la loro capacità affermata di offri-re “cose per molti aspetti ammirabili”. Fin da quelmomento si notava che Torino aveva realizzato unnotevole progresso nell’organizzazione di una espo-sizione d’arte industriale, profittando degli insegna-menti della meritoria mostra di Darmstadt. Si affer-mava che le prossime rassegne, a partire da quella diMonaco del 1904, avrebbero dovuto tener conto deiprincipi stabiliti a Torino.Ma dopo l’Esposizione Universale di Parigi del 1900 ela già citata di Darmstadt del 1901 tutto sommato nonsi scopriva molto di nuovo aTorino.La sezione tedescavi presentava il quadro più rinnovato e originale: ban-dito il carattere di esposizione bazar, edificata sui gran-di piani del signor Berlepsch di Monaco, l’esposizionetedesca era una sequenza di sale piccole e grandi, cia-scuna dedicata ad uno stato tedesco: Prussia, Sassonia,Baviera, Baden, Wûrttemberg, Assia e Amburgo. Nelcatalogo seguiva un excursus attraverso le sezioni:americana,con vasi e oggetti di metallo prezioso,vetre-rie di Tiffany; giapponese con paraventi e graziosi ser-vizi moderni; inglese con le importanti scuole di arti-gianato di Morris, Crane, Townsend, Webb, Ashbee eGuild; scozzese,rappresentata dai coniugi Mackintoshe dalla scuola di Glasgow; francese con l’Art Nouveau,la casa moderna e Lalique e infine ungherese con pic-cole ceramiche e oggetti di vetro. S’aggiungevanoancora Norvegia, Svezia e Danimarca con splendideceramiche e tessuti.

Presenza della scultura

ATorino l’Esposizione si presentava ben distribuitae l’architettura dei giardini offriva un aspetto

molto variato.Il gruppo plastico della costruzione principale - Dan-zatrici -, ripetutamente fotografato nel volume delKoch, faceva un bell’effetto. Si trattava dell’immaginedelle arti applicate che sotto forma di un bronzettoerano presenti anche in mostra. Edoardo Rubinoaveva modellato - sul tema affascinante e dinamicodella danza - un ricco bronzetto, fuso dalla ditta Musyin tre esemplari, che lo presentava trionfalmente nelsuo stand. Era un “monumento da camera” sottil-mente allusivo all’eleganza di un ambiente evocato.Nell’atrio e nello scalone del Palazzo del Giornaleecco un altro bronzo: il ritratto di Bottero dello scul-tore Tabacchi. Un genio con fiaccola, Lucifero - para-digma illuministico del simbolismo massonico - reggeun ritratto ovale del fondatore della Gazzetta delPopolo. Così nel 1902 si apriva, con queste citazioni,l’interessante stagione del bronzetto da acquistareper ornare l’ambiente della vita. Non era la primavolta che una grande esposizione offriva in mostra equindi in acquisto al visitatore quel prodotto raffina-to di artigianato d’arte. Nella Esposizione del 1898 alValentino, la ditta Sperati,una fonderia di statue colos-sali che aveva con attenzione guardato anche ai pro-dotti di arredo, aveva esposto nel suo stand una con-tesa sfilata di bronzetti d’autore. Ora di nuovo si erapresentata l’occasione di mostrare e vendere statuet-te ordinate e provocanti, tratte - su tematiche diverse- dai modelli dei grandi artisti del momento. Il pubbli-co rispondeva bene alla proposta espositiva e benpresto tutti i pezzi trovavano un compratore.

UNA RIVISTA PER PROPORREL’ARTE DECORATIVA

Occorreva sostenere con adeguati scritti teoricil’avvento delle arti decorative: i promotori della gran-de Esposizione progettarono una pubblicazione cheprese il nome di “Arte decorativa moderna”.

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Diretta da Enrico Thovez aveva tra i prestigiosi colla-boratori gli scultori Calandra e Bistolfi, il decoratoreGiorgio Ceragioli, l’architetto Reycend. Per trovare ilnuovo stile occorreva riavvicinare l’arte alla vita: ilsecolo che si apriva portava un determinante rinno-vamento sociale, tecnologico, scientifico, culturale: lospirito della modernità era la molla che spingevaverso i nuovi prodotti che le arti predisponevano conversatile inventiva.“Tutta l’attività umana è più complessa, rapida,vigile e sogna e conquista nuove gioie, nuovi oriz-zonti, nuove altezze” (Paoletti).Era un’arte per tutti ”materiali meno costosi, mag-giore adattabilità soprattutto dei mobili adambienti non preordinati come quelli delle cased’affitto” (Pica). “L’arte nova non è un fatto isolatosul campo della vita ma un prodotto di un movi-mento sociale che intende a spostare ogni centrodell’attività umana: coloro dunque che sono timidi

in politica, pensosi e paurosi davanti al problemaeconomico, (…) coloro che non possono rinunciarea nessuna forza del passato, non si credano dipenetrare agevolmente nei propositi e nelle bellezzedell’Arte Nova” (Melani).In uno dei primi articoli, E.Bonardi definiva la NuovaArte Decorativa: “Le arti decorative od industrialihanno per oggetto la ricerca del bello in tutte lemanifestazioni non puramente artistiche dellavita: nella strada come nella casa; nella personacome nell’abito, nel libro che leggiamo come nellostrumento che adoperiamo”.A firma di Leonardo Bistolfi e Davide Calandra, diGiorgio Ceragioli, di G.A.Reycend e di EnricoThovez,un lungo articolo introduceva lo scopo di questa arte.(cfr. “L’arte decorativa moderna” Anno I, n.1, gen-naio 1902, pp.1-3).“L’uomo moderno, affaccendato sinora a rinnovarela sola sua mente, ha finalmente compreso cheuguale cura richiedono la sua città, la sua casa, lasua persona, senza di che le sue stesse facoltà intel-lettuali non potrebbero assumere il loro pieno svi-luppo; ha compreso che se l’ambiente materialenon corrisponde alla spiritualità di chi lo abita,non sono possibili né l’armonia della vita, né quel-la dell’arte che è la sua più grande espressione”(…) “occorre che tutti lavorino alacremente asgombrare le forme del passato, accingendosi allagrande opera di rinnovamento dell’ambiente mate-riale, pubblico e domestico, infondendovi quellospirito d’arte che per troppo tempo ne fu escluso.Occorre riannodare il filo delle tradizioni decorati-ve rottosi negli sconvolgimenti del principio delsecolo e risollevare le arti minori soffocate sinoradall’espansione puramente meccanica dell’indu-stria. Bisogna riavvicinare la vita all’arte se sivuole che l’arte ritorni alla vita. (…) Bisogna chel’arte, come avvenne nelle età passate porti nel piùumile oggetto il suo marchio e il suo fascino, orni

tutte le forme materiali dell’esistenza (…) che ogniforma insipida, inespressiva, volgare sia sostituitada una forma gustosa, espressiva, squisita; occorreche dai cardini di una porta al cuoio di un porta-fogli, dalla cornice di un quadro ad un braccialet-to, dallo stelo degli alari alla maniglia di un uscio,dalle sedie al tappeto ogni cosa porti, come in altritempi, un’impronta ed un sorriso d’arte ed unaimpronta armonica, coerente, ‘una’ di stile nellavarietà degli atteggiamenti formali; occorre cheogni arredo trovi nella logica della sua forma lasua utilità e la sua bellezza”.(…)“Ciò che fu sino a pochi anni or sono, un problemateorico, è ormai entrato nel numero dei fatti. Unardore di rinnovamento ha pervaso tutti gli spiritie la causa dello stile moderno ha trionfato di tuttele dubbiezze e di tutte le diffidenze”.(…)“Perciò godiamo di annunciarvi il nostro proposi-to di pubblicare una rivista mensile illustrata,destinata a rispecchiare quanto si opera in Italiain questo campo e quanto di più notevole si com-pie all’estero. Essa abbraccerà l’intero campo del-l’arte decorativa, dallo studio architettonico del-l’edificio alla decorazione del più umile oggetto incui l’arte è venuta a portare la sua impronta: ospi-terà perciò l’architettura e la decorazione plasticae pittorica, le ceramiche e i vetri, i mosaici e lestoffe, i mobili e le carte da parati, i ricami e letrine, i metalli e i cuoi e le arti grafiche,l’illustrazione del libro, le rilegature, le armi, levesti. Non escluderà cioè nulla di ciò che contri-buisce all’estetica della casa, della via, della stan-za e della persona, intesa nel suo carattere deco-rativo; sarà la rivista utile all’architetto ed aldecoratore, allo studioso ed all’operaio, all’uomocolto ed alla signora. Vorremmo che essa potessetrovarsi nello studio dell’ingegnere quanto sullatavola della famiglia borghese e portarvi un inse-gnamento ed un aiuto”.

La Francia a Torino: nella proposta di sala da pranzoGaillard diverse statuette si presentano sul tavolo.

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Ma la rivista avrà vita breve e cesserà nel 1907.1902: I MENU DELL’ESPOSIZIONE

Il menu, il piccolo cartoncino stampato in occasionedi un convivio,propone un messaggio di immagini e diparole in cui storia e arte mirabilmente s’intrecciano.La storicità degli antichi menu - petites estampesoggetto di un raffinato collezionismo - si concreta neipiatti serviti, nel contorno spettacolare che scandiscele portate, allietando talora il banchetto con canti,musiche, discorsi onorifici.Sempre importante è la presenza prestigiosa dei com-mensali, venuti per celebrare una occasione pubblicao privata.Aspetto fondamentale è l’ornato decorativo del menu,opera anche di noti artisti, in linea con il gusto dei tempi.A Torino molti furono i pranzi che sottolinearono glieventi della Prima Esposizione internazionale diarte decorativa moderna al Valentino.In quell’anno la grande rassegna che brillantementeapriva l’era del gusto floreale, richiamò un grannumero di visitatori anche stranieri, rivelando comel’Italia, apparentemente ostile a ogni idea di rinnova-mento artistico, si scuotesse ad un tratto dal torporeper accogliere lo stile decorativo ormai dominante intutta Europa.Vi si esponeva il prodotto dei più notidesigners dell’epoca, da Mackintosh aWalter Crane, aMorris; da Peter Behrens a Olbricht; da Victor Horta aVan de Velde, a Louis Comfort Tiffany.È da questo momento che l’arte comincia ad essereelemento della vita quotidiana, indispensabile per“dare bellezza alla casa, alla vita, alla città, a tuttigli oggetti più fantasiosi, creando finalmente unostile decorativo proprio dell’epoca nostra”.ATorino, nell’Archivio Storico della Città, la collezioneSimeom conserva ben undici menu decorati del 1902.L’inaugurazione al Valentino fu di più giorni: unmomento di grande mondanità, ripreso dai giornali edalle riviste con immagini nuove.

Quel giorno,il 10 maggio, il pranzo offerto dalla Città diTorino presentava, sotto lo stemma della città circonda-to da un bel fregio floreale, dieci portate elencate infrancese, nelle quali, in omaggio al momento interna-zionale, si accostavano foie gras di Strasburgo,haricotsà l’anglaise, poulardes de Bresse e gâteau bretonne...Fu stampato dai fratelli Künzli il menu-ricordo dell’i-naugurazione del monumento per Umberto I a Super-ga che avvenne il giorno seguente. Lo scultore Tan-credi Pozzi aveva ideato l’immagine di un fieroallobrogo gesticolante alla base di una colonna sullaquale sta un’aquila ferita a ricordo del sovrano ucciso

a Monza. Ed era stato il figlio di questi, il nuovo re Vit-torio Emanuele III - vestito di impermeabile nero,ricor-da un cronista, mentre la regina Margherita portava alcollo un boa di piume - a compiere la mesta cerimonia,“sotto un tempo orribile”. Il cartoncino - formato car-tolina, in collezione privata - mostra il ritratto diUmberto I con i grandi baffoni, sotto l’immagine dellaprestigiosa basilica juvarriana.Elegantissimo è il menu stampato per il Congresso degliIstituti Industriali e Commerciali, il 27 settembre.Con perfetto stile nouille include fra nastri sinuosi glistemmi del regno e della città, le ruote dentate, simbo-lo del convegno, l’immagine dei padiglioni creati alValentino dalla fervida fantasia di Raimondo D’Aronco.Fra le nove portate nel banchetto, che si tenne alRistorante internazionale dell’Esposizione, si imban-dirono ostriche e melone, storione in maionese,chaud froid di caccia e spumone alla napoletana.In una Torino vivace e moderna si riunisce il 15ottobre 1902, nel corso del IV Congresso delleSocietà Economiche, la giuria dell’EsposizioneInternazionale di Fotografia Artistica.Giunta ad unacerta maturità, la nuova arte non cessa di destareinteresse. In città lavorano fotografi celebri e glistudi sono già alcune centinaia.Il senatore Frola - un famoso sindaco per la città - haconservato, come souvenir la lista di nove portateofferta dal Municipio di Torino per la colazione uffi-ciale. Nella collezione Simeom il prezioso pieghevo-le mostra l’immagine del monumento al PrincipeAmedeo, duca d’Aosta, eretto al Valentino per sotto-scrizione nazionale. Opera lodata e premiata diDavide Calandra, fusa dall’abilissimo Sperati, rappre-senta il personaggio sabaudo in atto di sfoderare lasciabola a Monte Croce, nella battaglia in cui fu feri-to. A fianco della celebre immagine, tra raffinati ghi-rigori, la minuta del pranzo: risotto e salmone, filet-to e pernici, capricciosa, cassata e millefoglie, secon-do una sequenza tradizionale nella cucina delle

NellacollezioneSimeom

all’ArchivioStorico

della Città,un menudel 1902

riccamenteillustrato.

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NELLA PIAZZA, NELLA VIA

L’EVOLUZIONE DELLA CITTÀ

di Clara Palmas

Alla fine del secolo XIX Torino aveva ormai superatola crisi che era seguita allo spostamento della capita-le. Perso il ruolo di centro politico amministrativodello Stato e la presenza della Corte, la città si eraadeguata alla nuova situazione. Lo sviluppo era favo-rito dalla esistenza di una borghesia ricca di patrimo-ni consolidati nei secoli precedenti, non ricchissima,basata su commerci e attività industriali differenzia-te, che nel corso del secolo XIX si erano ulterior-mente sviluppate guardando anche a mercati nazio-nali e internazionali.Aveva contribuito a questa apertura la presenza diuna classe dirigente colta e consapevole della neces-sità di dare alla città nuovi obiettivi di sviluppo.Questi sono i presupposti che consentono di supera-re la non lieve crisi economica seguita allo sposta-mento della capitale e di promuovere un periodo dinuova fioritura basato sull’estensione dei commerci,su una florida attività bancaria e sull’incentivazionedelle attività artigianali e industriali che si rivelerannoal pubblico attraverso le esposizioni. Se le rassegneche chiudono il secolo risultano ancora ancorate auno storicismo romantico, in quella del 1902 questinuovi caratteri della città si appalesano pienamente.L’Esposizione ci mostra una città ricca di interessi ovele attività produttive e artigianali sono attente alleinnovazioni e particolarmente fiorenti.Città poco orientata al turismo, già allora,Torino haper quel periodo poche descrizioni nelle guide chesi soffermano prevalentemente sul suo carattereindustrioso in modo generico. Occorre perciò farriferimento all’immagine che la città dava di sèall’esterno.

La crescita industrialeNella descrizione dello sviluppo di Torino a cavallodei due secoli la guida Bertarelli, edita a Milano nel1914, rileva nella città proprio negli anni dal 1896 al1909 un “intenso svolgimento” Per avere un’idea delcambiamento intervenuto si può far riferimento alcensimento del 1911. In tale data figuravano inTorinoben 5150 imprese con 93640 operai e la città risulta-va al secondo posto in Italia per rilevanza del movi-mento industriale “fra le industrie metallurgiche emeccaniche sviluppate in modo veramente cospi-cuo nel circondario e specialmente nel capoluogo sipresenta caratteristica quella delle automobili”Erano a quel tempo attive in Torino“una industriachimica che produceva concimi saponi candele efiammiferi, l’industria vetraria, industrie tessililaniere e cotoniere. Tra i rami minori si segnalaval’industria delle maglierie, la fabbricazione dinastri, trecce, passamanerie. Tra le industrie ali-mentari oltre a quella molitoria ancora frazionatain piccoli stabilimenti quelle della cioccolatta, deiconfetti, dei biscotti, ha qualche importanza la fab-bricazione della birra e gode fama mondiale laproduzione del vermouth. Ha il primato in Italial’industria torinese delle concerie. (…) È caratteri-stico il fatto che in Torino abbiano sede quasi tuttele maggiori cartiere d’Italia. Segnaliamo infinecome notevole in Torino l’Industria del vestiariospecialmente dell’abbigliamento femminile e quel-lo della manifattura delle films cinematografiche.Sicontano ora per questa industria non meno didieci stabilimenti di primaria importanza cheoccupano più di 600 operai e più di 400 artisti.”Alla vita politica amministrativa della città partecipa-vano uomini provenienti ancora dalla piccola nobiltàe dalla borghesia dedita ai commerci e all’industria maanche uomini di cultura, letterati e artisti. A questiuomini si deve il processo di sviluppo della città versouna caratterizzazione industriale che porta poi al par-

ticolare sviluppo della industria automobilistica.Questo carattere della città legato ai valori del suc-cesso economico e all’attenzione verso gli sviluppidei processi industriali, la crescita di una classe ope-raia sempre più consapevole e partecipativa,l’apertura verso mondi commerciali e culturali nonpiemontesi, promuovono e orientano anche lo svi-luppo urbanistico della città.

L’evoluzione urbanaCon la fine del secolo il sistema della città nel suonucleo entro la cinta dei viali tracciati con le proget-tazioni urbanistiche di metà ottocento si va comple-tando e così pure l’asse diagonale della via PietroMicca con il suo prolungamento fino alla stazione diPorta Susa, mentre la città tende ad espandersi inmodo disordinato verso i quartieri esterni che ver-ranno inglobati dal nuovo sistema di assi radiali di col-legamento con il territorio.Nel terzo quarto del secolo XIX il disegno della cittàsegue le indicazioni del Piano di ingrandimento ela-borato da Carlo Promis a metà del secolo che “rap-presentano una svolta importante in quantointroducono un elemento nuovo, un parametronotevole della localizzazione e specializzazionecommerciale urbana: la stazione ferroviaria”.L’area antistante la stazione viene organizzata: acco-glie ora negozi e alberghi che si affacciano sul per-corso porticato a esedra che prospetta su uno spa-zio alberato: Piazza Carlo Felice è un polo plurifun-zionale elegante e completo particolarmente vitale.Carlo Promis nelle sue progettazioni è attento alvalore dei percorsi porticati e alla loro continuità eli ripropone, non solo per ragioni di tradizione o diqualità formale, mentre, per ragioni di funzionalitàurbana, suggerisce una comunicazione pedonaleche dalla piazza Statuto, attraverso la via Cernaia e latrasformata Piazza della Legna giunge a piazza CarloFelice, antistante la stazione di Porta Nuova, colle-

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gando in questo modo due poli significativi dellavita della città. Questo processo di trasformazioneurbana, che precede l’Esposizione della fine delsecolo, promuove la realizzazione delle due gallerieNatta e Umberto I come luoghi deputati al passeg-gio della classe borghese.

Una città di monumentiNegli ultimi decenni del secolo XIX gli spazi urbanisignificativi vengono arredati sia con finalità aulichee celebrative sia per fissare nella memoria dei citta-dini le figure degli uomini che ne hanno reso possi-bile e segnato lo sviluppo.Via via si passa dai temicelebrativi dell’Unità di Italia ai temi della cultura edella vita della città. Fiorisce così, in quella finesecolo, l’attività degli scultori in particolare degliscultori che amano il bronzo, attività che si realizzanelle industrie della fusione. Sono artisti che porte-ranno la loro opera fuori Torino, in molte altre cittàitaliane. Finiti i temi legati alle esigenze di rappre-sentatività della Corte, l’interesse della città sugge-risce nuovi soggetti diversi - spesso simbolici e illu-strativi delle memorie - e come committenza, si haora l’autorità municipale.

Una grande statua per il padre della patriaFa eccezione il caso del monumento aVittorio EmanueleII, la gigantesca statua celebrativa sorta all’incrocio delcorsoVittorio Emanuele II con il corso Galileo Ferraris eultimata con vent’anni di ritardo rispetto al concorso.La costruzione di questo monumento - recentementerestaurato - era stata promossa dopo la morte diVittorio Emanuele II per celebrarne la figura dal figlioUmberto I con una lettera del 23 gennaio 1878 con laquale stanziava a questo fine la somma di un milionedi lire e comunicava che avrebbe affidato “alla reli-giosa devozione di Torino i segni del valore che ilRe conquistava combattendo per l’Unità el’Indipendenza della patria”; affermava inoltre “costìin Torino erigerò un monumento che eterni lamemoria del primo re d’Italia”.I monumenti che ora vanno a collocarsi negli spazidella città svolgono un ruolo di arredo dell’ambientee di attualizzazione dello stesso quasi sempre già defi-nito nelle sue architetture in anni precedenti. Sonotalvolta legati alle esperienze veriste, tal altra orienta-ti verso un simbolismo quasi intimista che tende avoler esprimere nella sua complessità, attraverso leimmagini dei monumenti, la storia più intima dellacittà e dei suoi uomini, l’orgoglio dei suoi imprendi-tori per le opere eseguite (vedi il singolare e al tempomolto discusso monumento al Fréjus).I temi del concorso per il monumento a VittorioEmanuele II erano quelli delle tipologie celebrative:statua equestre, arco trionfante, colonna culminantecon la figura del re.Vinse un giovane artista genove-se: Pietro Costa la cui proposta era un monumento “abase quadrata con angoli mozzi sporgenti, quattroaquile reggono stemmi sabaudi, quattro colonnedoriche formano il piedistallo. Alla base di essastanno quattro figure sedenti: l’Unità, la Libertà, laFratellanza e il Lavoro primi fattori del risorgi-mento italiano. Sull’alto emerge la figura del Re inpiedi, a capo scoperto sopra un tappeto recante le

armi di Roma e la data 1870. È in atto di pronun-ziare il motto “siamo a Roma e ci resteremo”. È diinteresse la motivazione della scelta del sito, deter-minata dal fatto che “la località stabilita, all’incro-cio tra il corso Galileo Ferraris e il corso VittorioEmanuele II esige una massa la quale si innalzi,non si allarghi troppo, non trovi riscontro nellelinee dei fabbricati vicini, sia semplice e severa”.La realizzazione del monumento incontrò molte diffi-coltà non ultima la scelta di affidare la fusione a unfonditore non torinese. Il monumento venne inaugu-rato il 9 settembre 1899. Esso è in realtà lontano daicaratteri ben più innovativi delle opere scultoree chea fine secolo vengono a arredare gli spazi della città.In occasione delle iniziative celebrative per la mortedi Vittorio Emanuele II era stata anche promossa tra,l’altro, la applicazione di una targa sul PalazzoCarignano la cui realizzazione fu affidata a Carlo Ceppicon un incarico del 1873. Collocata sul frontone delpalazzo, la targa risulta già preludere, con la sua formainconsueta a cartiglio con gli spigoli arcuati, alle varia-zioni di gusto che andavano maturando con attenzioneai nuovi indirizzi che in Europa si cominciavano ad

Pietro Carrera,Progetto di bazar(La galleria Subalpina a Torino).

Carlo Ceppi ealtri. Fontanadei mesi.Torino Parcodel Valentino,1898.

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affermare da Parigi, a Bruxelles, a Vienna.Va ricordatoche operavano in Torino artisti di rilievo come il lom-bardo ticinese Vela, autore tra l’altro del monumentoall’Alfiere donato dai milanesi alla città e collocato inpiazza Castello di fronte al Palazzo Madama o CarloMarochetti autore del monumento a EmanueleFiliberto di piazza S. Carlo e di quello a Carlo Albertonella piazza omonima, inaugurato nel 1861.

Artisti in garaTra i monumenti costruiti in questo periodo nellestrade e piazze di Torino si distinguono per il ruolosignificativo a livello urbano il monumento al trafo-ro del Fréjus in Piazza Statuto - ideato dal contePanissera e scolpito da Tabacchi e dagli allievi dellaAccademia Albertina tra i quali il Belli - sull’idealeprolungamento della nuova radiale del corsoFrancia. S’aggiunge il monumento commemorativo

della spedizione in Crimea anch’esso opera delloscultore G.Belli.Questo, che chiude l’asse del corso Vittorio nel pro-lungamento verso la collina oltre il Po, è formato daun obelisco alto 18 metri in granito e marmo; sonoinvece in bronzo i gruppi che ornano il ponteUmberto.Opere dello scultore Contratti le due versoil Valentino: “Sul campo di battaglia” e “sul campodel dolore” e dello scultore Reduzzi quelle verso lacollina:a sinistra“la maestà che protegge l’industria”e a destra “la maestà che protegge le arti”, punti diapprodo di una ricerca formale che si prolunga benoltre l’inizio del secolo XX.Meno legati alle prospettive urbanistiche sono invecei monumenti di piazza Paleocapa, dello scultoreTabacchi, e di piazza Lagrange dello scultore milaneseAlbertoni. Odoardo Tabacchi era considerato il capogruppo degli scultori torinesi; nel periodo verista erafamoso per le figure femminili: suoi la statua della“Tuffolina”, il monumento ad Arnaldo a Brescia e ilmonumento a Cavour eretto in Milano.Ancor più svin-colati da obiettivi scenografici sono i monumenti delcorso Cairoli, il monumento al noto caricaturistaCasimiro Teja di Rubino mentre quello eretto dalloscultore Tabacchi sul corso, in fondo alla via dei Mille,dedicato a Garibaldi,conserva evidente il suo caratterecelebrativo, così diverso e quasi privato rispetto aimolti monumenti a Garibaldi che sorgono nelle piazzeitaliane in quegli anni.Celebrativo ma anche pensato infunzione di una nuova organizzazione dello spaziourbano è il monumento a Ferdinando duca di Genovaal centro della piazza Solferino opera di AlfonsoBalzico, il monumento in piazza Bodoni ad AlfonsoLamarmora e quello a Cavour in piazza Carlina delloscultore fiorentino Giovanni Duprè (1873).Di particolare rilievo è il monumento al principeAmedeo duca d’Aosta di Davide Calandra all’inizio dicorso Raffaello sia per l’impostazione del principe acavallo sia per i profondi chiaroscuri della scena

Luigi Belli,Monumento

alla spedizionedi Crimea.

Torino, 1892.

OdoardoTabacchi,Monumentoa Garibaldi.Torino, 1887.

AlfonsoBalzico,Monumentoa Ferdinando,duca diGenova.Torino, 1877.

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posta alla sua base e per il suo porsi in asse al corsoma già inserito sullo sfondo collinare in dialogo congli ampi spazi del parco. Rappresenta il punto di arri-vo delle tendenze di fine secolo ed è giustamente giu-dicato il capolavoro dell’artista; ma la statua estrema-mente dinamica è scolpita tanto veristicamente daessere criticata per la rappresentazione quasi fotogra-fica. I gruppi scultorei che rappresentano le gloriesabaude alla base del piedistallo, sono perl’impostazione mossa già anticipatrici di cambiamen-ti e pienamente rispondenti allo spirito innovativodella esposizione che ne vede l’inaugurazione nel1902.Certamente innovativo è il bel monumento di Rubinoa memoria di Edmondo De Amicis nei giardini diPorta Nuova; singolare per il tema il monumento inpiazza Madama Cristina angolo via Belfiore dedicato aGovean fondatore con Botero e Borello della Gazzettadel Popolo.Hanno carattere di arredo il monumento di via Cavoural Generale Robilant dello scultore Ginotti e i monu-menti al Generale Bava e a Cesare Balbo degli scultoriAlbertoni e Vela; i busti di Pes di Villamarina dello scul-tore Tabacchi, dell’attore Gustavo Modena di Bistolfi equello di Quintino Sella di fronte al Castello delValentino. Infine ecco il monumento a Massimod’Azeglio del Balzico nel giardino delValentino,all’ango-lo del corso che porta il nome dello statista con il CorsoVittorio e quello a Federico Sclopis, ai giardini dellaCittadella,del Rubino.Tante presenze scultoree*,quasi lacittà volesse rassicurare se stessa del ruolo svolto daisuoi generali, uomini politici,di scienza e di cultura,sta-tue e busti che andavano a sommarsi ai molti già erettinegli anni precedenti a celebrare l’unità d’Italia e coloroche avevano contribuito alla sua realizzazione,erano unfatto così singolare che nella guida turistica del BertarelliTorino viene cosi descritto “la città è caratterizzata dauna grande abbondanza di gruppi monumentali: sta-tue e busti seminati nei giardini pubblici nelle piazze

e nei cortili d’onore dei suoi palazzi storici”: sembraquasi che la città ora arredi se stessa come in passatol’aristocrazia aveva arredato i cortili dei propri palazzicon le proprie glorie e memorie.

*Appartiene ancora a questo spirito il monumento aAscanio Sobrerodi Ceragioli e Biscarra e il busto di Amedeo Avogadro del Canonicadinanzi alla cittadella.Nelle aiuole di piazza Solferino i monumenti ade Sonnaz del Dini e a La Farina dell’Altieri.Statue e busti vengono aornare i cortili della città, anche privati o i palazzi pubblici. Così nelpalazzo del municipio; così pure nel cortile dell’università in via Po,dove già dal terzo quarto del secolo erano state collocate statue aimedici Riberi (.Albertoni),Gallo (Vela),aTinermans (Tabacchi) ai giu-reconsulto Matteo Pescatore (Dini).Vanno anche ad ornare il cortiledel palazzo dell’arsenale statue dedicate a Pietro Micca - scultoreBaglioni - e ai generali Cavalli eAlessandro Lamarmora.

Stile Liberty per le case borghesiAl contrario le ultime case della borghesia che vannoad attestarsi lungo le nuove direttrici sono talvoltaespressione di quella aderenza al fantastico e allaricerca di libertà che è anche ricerca di nuovo e dinon sperimentato. Appartengono proprio all’iniziodel secolo le case di Pietro Fenoglio in Corso Francia.Mila Leva Pistoi, a cui si devono i primi studi sulliberty in Torino, ha osservato: “bisogna tener contoche l’edilizia civile del periodo liberty scelta dallaborghesia imprenditoriale come immagine di deco-ro produsse essenzialmente ville e villette con giar-dino e bei palazzi residenziali che non prevedeva-no la presenza di attività commerciali: queste con-tinuano a svolgersi negli spazi porticati della cittàsei e settecentesca o lungo gli assi porticati deinuovi ampliamenti di metà ottocento”.Come osserva la Pistoi “con l’accentuarsi della terzia-rizzazione del centro urbano negli anni connotatidalla vivace presenza degli architetti eclettici PetittiGilodi Reycend Carrera Ceppi gran peso hanno nel-l’ambito della geografia urbana le nuove vie porticate:corsoVittorio, via Cernaia che danno all’attività com-merciale il prezioso supporto di una cornice in stile”.

Cesare Reduzzi,Monumento aQuintino Sella.Torino, 1894.

Leonardo Bistolfi,Monumento a

Gustavo Modena.Torino, 1900.

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La seconda metà dell’ottocento segna un cambia-mento nel decoro dei locali deputati al pubblico;scompaiono gradualmente i modelli classici ispirati aidecoratori delle chiese e dei palazzi nobiliari.AncoraLeva Pistoi rileva “La maggiore influenza sullo stiledi vita fu esercitato nella nostra città dalla mostrainternazionale di Arte decorativa e industriale chesi tenne al Valentino nel 1902 nei fantastici padi-glioni progettati da D’Aronco e Rigotti”.

Arredi e decoriNegli anni tra il 1909 e il 1911 lo scultore EdoardoRubino dà le indicazioni per il decoro e l’arredo dellanuova sala della confetteria Baratti Milano in PiazzaCastello ed è l’immediato esito degli indirizzi emersinella Esposizione del 1902 (presso l’AccademiaAlbertina esiste un bellissimo e pregevole studio delfronte verso i portici in scala 1:25). La facciata dellocale si inserisce nell’ambiente con austera eleganza

come un pezzo di arredo interno.A questi indirizzi digusto si ispirano in quegli anni gli arredi delle caseprivate. Dei decori delle devantures entrano a farparte particolari scultorei di pregio lignei o in bron-zo, come quelli di Edoardo Rubino per Baratti eMilano. I modelli sono quelli dell’art nouveau belga,dello jugendstil e della secessione viennese. Di que-ste decorazioni nei negozi e locali pubblici moltesono scomparse, in particolare quella del barCalcaprino nella antica via Roma che sfruttava in pro-fondità la manica vitozziana o i decori di PietroCarrera per i portici della Fiera in piazza Castello. Daricordare anche le trasformazioni della sede del forofrumentario in corso Matteotti angolo via Arsenale incasa di affitto per abitazioni e negozi accuratamentedecorata con tralci di melograno in ferro battuto estucchi. Decori liberty in ferro battuto e bronzo ispi-rati quasi sempre a soggetti naturalistici e più rara-mente agli schemi grafici della secessione viennese,ornano i vani scala, nei quali cominciano a compariregli ascensori, i balconi e le recinzioni dei giardini.

L’influenza dell’Esposizione si fa sentire in città anchenell’uso dell’illuminazione. Per il baraccone dell’oro-logiaio Achille Banfi in piazza Castello “le modifica-zioni che noi faremo a quel baraccone tendono,come dobbiamo, a trasformarlo in chiosco réclame,all’uopo faremo un impianto di dodici lampade damille candele cadauna di luce Millennio, quella chefu riconosciuta superiore a tutte nell’ultima esposi-zione di Torino del 1902”. Appartiene agli indirizzidecorativi che prendono l’avvio con l’esposizione del1902 anche la decorazione che l’ingegner Vandonedisegna per il caffè Mulassano di piazza Castello ovenella parte bassa delle pareti interne il decoro inmarmo e bronzo è della ditta Fumagalli.“L’arredo tende a riprodurre l’habitat della commit-tenza - la classe borghese - in un primo tempo limita-tamente agli esercizi pubblici identificabili con i suoiluoghi di aggregazione - caffè confetterie - il decoroesterno dove in un primo tempo prevalgono le istanzefunzionali e segnaletiche viene portato ad elaborazio-ni che assumono significati prevalentemente simbolici:è la rappresentazione di uno status acquisito”.

PietroFenoglio,

PalazzinaScott.

Torino,1902-1904.

Edoardo Rubino,Progetto del fregio per laconfetteria Baratti e Milano.Torino, 1909-1911.

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Davide CalandraMonumento al principe Amedeo di Savoia, ducad’Aosta.Torino 1902.Una foto all’albumina ci mostra il monumento vinci-tore del Premio degli Artisti alla Prima EsposizioneInternazionale diArte Decorativa Moderna, in ambien-te invernale, circondato come in origine da una can-cellata di ferro.

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AL MONUMENTO DI CALANDRA IL PREMIODEGLI ARTISTI

Torino 1902. La prima Esposizione Quadrienna-le della Società Promotrice delle Belle Arti siaffiancò - come “maggior allettamento” - alla“Prima Esposizione Internazionale di ArteDecorativa Moderna”: delle due mostre, nel1994, sono state presentate a Torino ben quattrorassegne retrospettive, sotto il titolo complessivode “Il sogno a disposizione”.Il momento importantissimo di confronto per le artiè stato rievocato anche in una sezione della mostra“Così moderna,così internazionale... vita e costumenella Torino del 1902”, presentata dal 15 dicembre1994 al 10 gennaio 1995 al Circolo degli Artisti, ilsodalizio torinese in cui l’Esposizione stessa venneideata e dove si riunì ripetutamente la CommissioneGenerale incaricata di gestirla.Nel complesso delle rassegne che proponevano ilnuovo ideale sociale dell’“arte per la vita” si aprivadunque a Torino la prima Quadriennale d’Arte orga-nizzata dalla Società Promotrice di Belle Arti. Nesosteneva gli assunti la “Rivista letteraria illustrata”pubblicata a cura della Commissione Artistica di sor-veglianza, composta da Leonardo Bistolfi, Davide edEdoardo Calandra, Pietro Canonica,Vittorio Cavalleri,Lorenzo Delleani, Giacomo Grosso, Edoardo Rubino,Carlo Stratta. Redattore capo era Efisio Aitelli. In aper-tura, il periodico dichiarava i propositi che ne anima-vano la pubblicazione: illustrazione letteraria e graficadella Mostra di Belle arti che si inaugurava alValentino, ma anche intenti di fratellanza spirituale...Discuterà “di quante cose interessano l’arte pratica-mente ed intellettualmente, seguendo in particolarmodo le opere esposte alla mostra ma dando ezian-dio larghi cenni del movimento attuale, delle pub-

blicazioni che debbono interessare gli artisti; e diquesti sopratutto, dei migliori, dei più forti, ricer-cherà in ‘medaglioni’ gli intimi intendimenti, schia-rendo al pubblico l’opera che hanno compiuto evanno compiendo”. (La Quadriennale Rivista lettera-ria illustrata della Esposizione di Belle Arti N. 1Torinol902 L’Opera nostra). Il primo di quei medaglioni, afirma di Efisio Aitelli, era, subito dopo il testo di aper-tura, dedicato a Davide Calandra, di cui, proprio nellaprima pagina, si mostrava il ritratto,opera di GiacomoGrosso. Il tono borghese della pubblicazione si rile-vava poi nel taglio dell’articolo biografico che sottoli-neava l’impronta aristocratica dello scultore in armo-nia con il suo modo di concepire l’arte. “Con il con-tatto d’un padre, scrittore di cose archeologichenon comune (a lui si devono, tra l’altro gli scaviarcheologici diTestona n.d.r.),d’un fratello che, dopoaver tentato con buone sorti la matita del disegna-tore e la tavolozza del paesista, si guadagnò bellafama di romanziere, egli non poteva che trarredagli elementi stessi di quanto avvicinava, il coloree l’opera che doveva stabilirne definitivamente

l’alto valore.E con il saggio del Dragone del re e conil Monumento ad Amedeo di Savoia, egli ha dato laprova che l’indole sua si è plasmata su esempi chesi armonizzano colla sua personalità intera ecosciente”.L’articolo continuava esaminando tutta l’opera prece-dente del Calandra e ricordando l’assegnazione a luidell’incarico per il monumento al Valentino di cuiancora una volta si lodava l’impostazione grandiosa.Spettava poi a Giovanni Faldella, senatore, la rievoca-zione del personaggio ritratto, il principe soldato,l’uomo forte e buono di “rare e ferme virtù”,mentreera ancora Aitelli a descrivere minutamente il monu-mento, protagonista, in quel maggio l902,di una cele-brata inaugurazione.Così, nell’importante occasione, la Gazzetta del Popolodella Domenica descriveva il Monumento al principeAmedeo duca d’Aosta. “Davide Calandra, cui fu affi-data l’esecuzione dopo due concorsi tenutisi nelnovembre 1892... lo rappresenta... in atto cavalleresco,nella baldanza giovanile, nell’entusiasmo patriottico,che caratterizzò sempre la Casa di Savoia.La statua equestre misura circa m. 4,80 d’altezza,pesa circa 55 quintali e venne fusa dal cav.E.Speraticon abilità superando anche non comuni difficoltàtecniche. L’altorilievo su cui poggia misura oltre 28metri di sviluppo lineare e metri 4,70 di altezza.Venne fuso dal sig. Pietro Lippi di Pistoia.Vi sonoraffigurati Umberto Biancamano, Amedeo V, PietroI, Amedeo VI, Amedeo VII, Carlo I, Carlo III,Emanuele Filiberto; sull’altra parete CarloEmanuele I, Vittorio Amedeo I, Carlo Emanuele II;nella terza parete Vittorio Amedeo II, il PrincipeEugenio, Carlo Emanuele III, Ferdinando duca diGenova, Carlo Alberto,Vittorio Emanuele II”.L’opera aveva richiesto dieci anni di diligente ecostante impegno; fusa nel famoso laboratorio delloSperati, fu curata in tutti i particolari dall’autore cheseguì personalmente anche la fusione dell’altorilievo

“Lo scoprimento del monumento al principe AmedeoinTorino 7 maggio 1902” (fotografia Berra).

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del basamento, realizzato presso il Lippi di Pistoia. Igraniti erano stati tratti dalle cave di Vayes. Con unapresentazione così ricca ed accurata il monumentonon poteva che essere considerato l’opera più impor-tante fra tutte quelle che si presentavano allaQuadriennale. Infatti proprio a Davide Calandra, auto-re del Monumento al Principe Amedeo Ducad’Aosta,venne assegnato il “Premio degli Artisti” dicinquemila lire.L’opera era stata inaugurata il 7 maggio l902 alValentino, a fianco della Esposizione. Nei giorni dell’i-naugurazione della importante rassegna fu scoperto, aSuperga, il monumento al re Umberto I,ucciso a Monzadall’anarchico Bresci. Rappresenta un’aquila feritaaccanto alla figura gesticolante di un‘fiero allobrogo’edè opera diTancredi Pozzi ( Milano 1864-1929).“Serviràad esprimere il pensiero affettuoso e nobilissimo delpopolo.Là dove per altissime ragioni storiche e politi-che non potè avere la sua tomba, il povero e rim-pianto Re martire avrà la sua glorificazione” scri-veva la Gazzetta del Popolo della Domenica”.

Altre importanti opere scultoree si fecero aTorino nell902: il monumento che Luigi Contratti preparava perGalileo Ferraris in bronzo con l’allegoria dell’Elettri-cità (o della Verità) ignuda in marmo susciterà censu-re e verrà spostato per questo dalla sua collocazioneoriginaria in Piazza Castello all’attuale spazio di CorsoGalileo Ferraris.“Bellissime cariatidi e gruppi di sta-tue” annunciava il 27 aprile 1902 la Gazzetta delPopolo:erano i gruppi di figure danzanti che EdoardoRubino aveva realizzato per la facciata del Palazzodelle Belle Arti nell’Esposizione.Il Monumento al Principe Amedeo, l’opera maestosaed ardua di Davide Calandra, era illustrata in fondo alcatalogo e portava il numero l040.“...Vasta, quasi sterminata era la rassegna, nellaquale tuttavia si contavano intere personali eretrospettive che ne erano un po’ i fuochi, o se sivuole, i cardini...” ha scritto con lucidità AngeloDragone in una rievocazione sintetica, ma rigoro-samente articolata della Quadriennale 1902 (inTorino città viva Da capitale a metropoli 1880-1980. Cento anni di vita cittadina. Centro StudiPiemontesi Torino 1980).Tanti erano in quella ras-segna gli artisti presenti; vi erano le retrospettive discomparsi come Antonio Fontanesi e TelemacoSignorini; tra i presenti Mosè Bianchi, Carlo Follini,Vittorio Cavalleri (con ben 40 opere), MarcoCalderini (con 36 dipinti), Gaetano Previati (conuna sala) e ancora Anton Maria Mucchi, Guglielmoe Beppe Ciardi, il Nomellini, Felice Carena, CinoBozzetti... (Dragone A. Le arti visive in Torinocittà viva, op. cit.) Di Fattori c’era Cavalleria inmanovra, di Cesare Ferro il Ritratto dell’amicoBozzalla (che sarà fra i premiati dalla giuria popo-lare negli ultimi giorni di Esposizione), di AvondoVoli mattinali...Ma al centro dell’interesse, oggetto di lunghe discus-sioni era - presentato in una delle prime tavole delCatalogo-ricordo - un grande (cm. 543X285) dipinto

di Giuseppe Pellizza da Volpedo (Volpedo l868-Alessandria 1907): il (poi) famoso QUARTO STATO. NeiSaggi critici del 1902 il poeta Giovanni Cena l’avevacitato come un’opera che in altro paese sarebbebastata a metter il nome di un artista fra i piùcelebrati. A Pellizza veniva dedicato uno dei primi“medaglioni” della Quadriennale: uno scritto diDomenico Pica del 1898. “Lavoratore lento ecoscienzioso, che lungamente s’attarda a ideareun quadro prima di poggiare il pennello sulla telae che si compiace nella ricerca e nella pazienteattuazione delle più ardue innovazioni tecniche,Giuseppe Pellizza ha al suo attivo un numerolimitato di opere, ma tutte in compenso degne diessere prese, come concetto e come fattura, in seriaconsiderazione”.Lo scritto proseguiva analizzando la nuova tecnicache l’artista seguiva in quegli anni con l’intento di“rendere più intenso il fulgore del sole che invade-va la campagna da lui dipinta, con macchiettatu-re di colori puri; naturale è quindi che quando, dilì a poco, un amico lo mise a conoscenza dellericerche cromatiche dei divisionisti francesi, eglidovesse lanciarsi con entusiasmo nella ricercadegli effetti luminosi, mercè la separazione deicolori, ritornanti ad unità nella pupilla dei con-templatori di un quadro. Egli però, come da loroparte dovevano fare il Segantini, il Morbelli, ilGrubicy e il Nomellini, non accettò senza riservee senza modificazioni la tecnica dei francesiSeurat e Signac, ma, pur mettendosi deliberata-mente nella loro medesima via innovatrice, tentòe ritentò per proprio conto e finì col creare per suouso e consumo un’applicazione del divisionismoabbastanza personale”.Fin dal 1898 quindi la ricerca del Pellizza era statabene individuata ed appariva certo molto originale esignificativa.Alla Mostra torinese del 1898 l’artista aveva presenta-

“Le feste dell’artemoderna si sonoiniziate con uno

splendidoesemplaredell’arte...

di tutti i tempi”.

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to “Lo specchio della vita”, un’opera “concettosa esuggestiva” “ponderata e sicura”. Erano gli anni incui egli stava dando vita al capolavoro“Fiumana”cherichiedeva un continuo controllo e un ripensamentosignificativo.Pellizza non era riuscito a terminarlo perla Biennale di Venezia del 1899 ed aveva deciso diportarlo alla Quadriennale torinese, sperando in ungiusto riconoscimento.“Il Quarto Stato che fu nella mia mente Fiumanaprima, quindi il Cammino dei lavoratori, fu unadelle mie primissime concezioni, fu il pensiero con-tinuato di un decennio (1891-1901) e non riescii aconcretarlo che dopo aver evoluto la mia arte conmolto, moltissmo lavoro e con altrettanto pensiero”(28 ottobre 1904 minuta di lettera di Pellizza all’ami-co Matteo Olivero, citata anche da Angelo Dragone,op. cit.). Nel commento che seguiva nel Catalogodella Quadriennale, il ‘medaglione’ del Pica, la figuradell’autore del “Quarto Stato” è generosamente deli-neata ma qualche riserva si esprime sull’opera:“Fermo e risoluto nella sua idealità estetica, egli hadimostrato che la vita solitaria, lo studio pazientedella natura e degli uomini che lo circondano, ilcontatto collo spazio e col silenzio hanno fatto spri-gionare dalla sua tavolozza una più vasta promes-sa. Il suo “Quarto Stato”, pittura eminentementemoderna, satura di pensiero sociale, ardita di tec-nica, potrà essere giudicata variamente. Certo èl’opera d’un artista che è sicuro di sè. Forsel’artefice è stato soverchiato dal pensatore. Nellaampia tela, il Pellizza ha voluto racchiuderel’espressione di quella nuova forza potente ecosciente che sorge dal popolo e per il popolo. e nel-l’atteggiamento dei lavoratori che procedono lenta-mente, in modo ritmico e uguale, nella luce quasimistica che li avviluppa, nella rappresentazioneangosciosa dei bambini e delle donne ches’avanzano processionalmente anch’essi, non c’èpiù che la manifestazione di un momento pittori-

co, tutta una sinfonia di aspirazioni che l’artistadeve aver sentito con la dolcezza e la commozionedi una grande musica.Se la scena fosse stata rudemente reale, il pubblicosarebbe stato tratto verso di essa con maggioreentusiasmo.Invece la spiritualità del quadro non persuade ipiù; e quelli che potrebbero leggervi dentro, nonsanno o non vogliono consentirvi.La critica - ripetiamo - per evitare che ci pigli perlodatori soverchi di tutto quanto cade sotto i nostriocchi, la critica ha molte riserve da fare intorno alquadro del Pellizza. Ma se poniamo mente chel’artista ha voluto dare più che un quadro vero,una visione di sogno, più che una tela dipinta convirtuosità, una pittura essenzialmente suggestiva ecommotiva, non sapremmo davvero dire che eglinon sia riuscito nel suo intento.”La Giuria preferì il simbolo del passato, una celebra-zione dell’ideologia sabauda e della tradizione artisti-ca, il Monumento al Duca d’Aosta di DavideCalandra, il cui valore, si affermava, era stato decreta-to “dal plauso e dall’approvazione del pubblico edegli artisti”.Subito dopo il commento all’opera di Pellizza un arti-colo intitolato “Premi e acquisti” sembrava cercaregiustificazioni all’operato della CommissioneEsaminatrice; “Abbiamo sentito più di un giovaneaccennare al fatto che l’opera del Calandra non pote-va aspirare al premio dacchè essa è frutto di un pub-blico concorso, per se stesso largamente compensa-to... L’opera del Calandra poteva e doveva innanzitutto trattarsi alla stregua di qualunque altra sta-tua, quadro o bozzetto esposto nelle sale dellaQuadriennale, perché essa è nel recintodell’Esposizione... D’altronde ammessa in catalogo,accettata quindi, senza restrizioni, dalla SocietàPromotrice di Belle Arti, veniva naturalmente adavere i diritti di tutti gli altri capi d’opera, sui quali

è un numero d’ordine ufficiale... Nel caso di DavideCalandra, ognuno sa che il monumento ad Amedeodi Savoia è costato all’artista dieci anni di fatiche,non interrotte mai. Nessuna preoccupazione mate-riale lo ha distolto dal dare tutto ciò che poteva offri-re di più alto il suo intelletto.Ed al nobilissimo sacri-ficio non doveva sorridere, anche adesso, il premioche gli veniva dai colleghi, dagli artisti sicuri ecoscienti della sana opera sua? Doveva rinunciare aquella somma che giungeva, giusta e propizia, adindennizzarlo dei tanti discapiti avuti”.In realtà la vittoria venne decretata molto presto ePellizza lo apprese con grande dolore.Una importante sua lettera,indirizzata il 23 maggio l902al Bistolfi, relatore della Giuria, ora ritrovata in collezio-ne privata torinese,manifesta il suo pensiero.Con paro-le accorate fa riferimento alle voci appena corse...ad untelegramma inviato ad Angelo Rizzetti... la cui risposta,inequivocabile, ha confermato a Pellizza che il monu-mento del Calandra concorre al Premio degli Artisti.Aquesto punto il tono della lettera si fa concitato el’artista vi sfoga tutta la sua amarezza. L’opera di scultu-ra,un ritratto di potere, simbolo del passato, prevarrà

Volpedo (Al), Nello studio di Giuseppe Pellizzatra le diverse opere domina “Il Quarto Stato”.

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sulla modernità del tema sociale del Quarto Stato...“Se avessi saputo tanto un giorno solo prima chesi aprisse la mostra, avrei fatto di tutto per riti-rare il mio quadro...Mi vien voglia (non fosse per-ché sarebbe cosa scandalosa) di venire a Torino ecoprirlo tutto di colore prima che qualunque giu-ria l’abbia a giudicare”. Il tono si fa passionale,concitato, quasi profetico: “...non perché io temache restando soccombente il valore del mio lavo-ro venga menomato, no; può darsi che sia il prin-cipio della sua gloria...”.E dire che l’opera avrebbe dovuto figurare allaBiennale veneziana, per essa richiesta dallo stessoorganizzatore Fradeletto... Pellizza definisce il suoQuarto Stato un’opera poderosa, insuperabile... e sirammarica ora di aver preferito alla città lagunarela capitale del vecchio Piemonte...È uno sfogo vivace, che non trattiene i toni forti.Deiquali in conclusione Pellizza si scusa, con espres-sioni affettuose verso il vecchio amico Bistolfi. Unaannotazione che rivela l’orientamento socialista delpittore di Volpedo è il post-scriptum, in cui egliprega ancora l’amico di ricordarlo alla sua buonacompagna e di baciare i suoi figli.Nonostante il grave scacco, IL QUARTO STATO divenneuna delle opere d’arte più note del Novecento.Come ricorda ancora Angelo Dragone, già nel l905il giornale socialista “L’Avanti della domenica” aVoghera ne offriva una riproduzione - ornata da ungarofano liberty - in regalo ai suoi fedeli abbonati.Fu in seguito presentato a Roma, nel 1907 allaLXXVII Esposizione della Società Amatori eCultori di Belle Arti. Nel l920 dominò la mostrapostuma di Pellizza alla Galleria Pesaro, dove la cittàdi Milano l’acquistò per esporla in Palazzo Marino.Torino perdette così definitivamente con l’opera,l’espressione più importante di un messaggiosociale ed umano precoce e impegnato. Ma ilPiemonte non lo dimentica. E stato aperto al pub-

blico, a Volpedo, lo studio dove l’artista realizzò ilcapolavoro: una stanza che egli aveva fatto ingran-dire, aprendo lucernari, per avere le migliori con-dizioni per le sperimentazioni divisioniste.

AppendiceDocumenti

Ecco la trascrizione completa della lettera di Pellizza daVolpedo testè ritrovata in collezione privata torinese.

“Volpedo 23 maggio l902Caro Bistolfi,scriverti... non scriverti: ancora sono indeciso sefaccio bene o male. So peraltro che mi conosci datempo e che darai a questo mio scritto il suo giustovalore. Avevo sentito voci vaghe quando fui costàultimamente e per sapere qualcosa di decisivo hotelegrafato ieri a Rizzetti... M’ha risposto confer-mando che il monumento concorre al premio.O non è questo un giochetto che si fa a tutti gli altriconcorrenti? Non è un tiro che il medioevo fa allamodernità? Non un colpo che Amedeo assesta alQuarto Stato? È enorme poi per tutti che lavoram-mo tanto tempo speranzosi, non di vendere lanostra opera, chè in una società come l’attuale nontroverà compratori, ma di concorrere onestamentead un premio che sarebbe stato l’unico possibilecompenso! Nel mio caso ti assicuro che se avessisaputo tanto un giorno solo prima che si aprisse lamostra avrei fatto di tutto per ritirare il mio qua-dro. Mi vien voglia ( non fosse perché sarebbe cosascandalosa) di venire a Torino e coprirlo tutto dicolore prima che qualunque giuria l’abbia a giu-dicare. Non perché io tema che restando soccom-bente il valore del mio lavoro venga menomato, no:può darsi che sia il principio della sua gloria ( ed’altronde già il sostegno di Amedeo a guardarlo adistanza non regge mentre il quarto stato si deli-

nea meglio a distanza che davvicino).Fradeletto (organizzatore della Biennale diVenezian.d.r) mi scrisse durante l’inverno che preparassiun’opera poderosa per la sua Esposizione: che daparte sua avrebbe fatto il possibile per procurarmile soddisfazioni alle quali avrei avuto diritto. Tucomprendi bene... L’opera poderosa io l’avevo quasicompiuta (che potrò fare più di “Quarto Stato”!?)ma preferii alla lagunare la capitale del nostroPiemonte.Ed ora in barba ai regolamenti, al buon senso,all’avvenire delle future esposizioni torinesi( poi-ché resta inutile sbraitare ai quattro venti che sihanno premii per artisti italiani) mi si gioca inmodo che io avrò tutto perduto costì e a Venezia.Perdona il mio sfogo, avrei fatto peggio se l’avessitrattenuto. Continua a volermi bene e credimiaff.mo tuo Pellizza

P.S.Ti prego ricordarmi alla tua buona compagna edi baciare per me i tuoi figli.”

Ed ecco la risposta di Bistolfi, pubblicata in CarloPirovano Scultura italiana del Novecento Milano,1991.

“A Pellizza da VolpedoTorino 27 maggio ’02

Carissimo, tu hai fatto benissimo a sfogarti con meche posso aver compreso e, meglio, sentite le tueapprensioni. Ma purtroppo né a me, né ad altrisarebbe stato possibile o prima o dopo di opporsialla condizione di cose che te le avevano suscitate.Nessuno forse più del Calandra sentiva la delica-tezza della tua posizione di fronte ai colleghi ita-liani. Egli è spirito veramente buono e cortese edama anche essere e mostrarsi in ogni caso corretto.Ma dinnanzi alla questione di sentimento egli hadovuta lasciar andare la questione d’interesse: la

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solita questio, e che guasta tutto, sempre(…)La Giuria ha però preso, secondo, naturalmente icriteri personali dei diversi componenti, in serioesame le altre opere degne di concorrere al premio.E ti assicuro con tutta coscienza che, ove avessivisto al possibilità di far sorgere la convinzione chela tua opera restasse a competere con quella delCalandra, non avrei esitato a far sì che valesserotutte le sue forze di resistenza, all’infuori di qua-lunque preconcetto e di qualunque riguardo.Ma - ate si può dire tutta la verità - ciò non avvenne. I giu-rati insistettero assai più sui difetti che sulle quali-tà del tuo quadro e la discussione proseguì lunga-mente. Né io ho saputo, devo proprio confessarlo,trovare in me stesso sufficienti energie per sostene-re le tue ragioni. La grande e solenne visione che tuavesti nella concezione del tuo quadro non si èinteramente rivelata a me attraverso l’opera tua.Ho (…) finora domandato lungamente invanol’emozione che desideravo raccogliere. È mancatafinora a me una tal “grazia”? o pure manca anco-ra all’opera tua il segno rivelatore?Avrei voluto poterne parlare con te. Forse avremmobisogno entrambi di questa reciproca comunione dipensiero dinnanzi al tuo lavoro.Quando ritornerai?Ti abbraccio tuo Leonardo”

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Turin strikes again (Torino colpisce ancora).Con questo affiche creato da Bistolfi per l’Esposizione del 1902 si presenta

in sede internazionale l’iniziativa:“artigiano metropolitano”Arts and Crafts Showfor a new century Turin, December 2002 - january 2003

di cui la mostra “Il monumento da camera” fa parte.

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L’immagine più poetica della formatura del bronzo edel mistero della sua scoperta è offerta dal poetaromanoTito Lucrezio Caro che nel De Rerum Naturaimmagina la fusione dei metalli come un eventocasuale determinato dagli incendi boschivi che conimmenso inconsueto calore fecero liquefare dei mine-rali che affioravano sul terreno. Qui cavità naturali,accogliendo argento, oro, rame e piombo ne riprodus-sero le prime forme.Interessante è pure il suggerimento di Leonardo DaVinci: “Se volli fare presti getti e semplici, fagli conuna cassa di sabbione di fiume inumidito conaceto.Quando tu avrai fatto la forma sopra il caval-lo, tu farai la grossezza del metallo in terra. (…) Permaneggiare la forma grande, fanne modello dellapiccola forma.” (Leonardo da Vinci Manoscritto diWindsor 12350.t da Scritti scelti di Leonardo daVincia cura di Anna Maria Brizio,Torino,UTET, 1952).La tecnica estremamente raffinata della fusione dellestatue colossali interpreta in modo grandioso il miste-ro antico. Il Cav. Uff. Emilio Sperati - fonditore delmonumento al principe Amedeo duca d’Aosta sito alValentino, premiata opera di Davide Calandra - realiz-zò con eccezionale bravura dei particolari ancora oggisorprendenti.

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BRONZI E BRONZETTI

LA RICCHEZZA DI UNA TECNICA

L’arte del bronzo è una pratica misteriosa i cui segre-ti non sono in sostanza mutati dalle ere più lontane.In essa concorrono diversi mestieri che utilizzanoconoscenze acquisite nel corso dei secoli. Bisognatrasmettere ancora una volta alle giovani generazioniquesta eredità antica affinché, con coscienza profes-sionale possano penetrarne il valore delle tecniche:che spaziano dalla sabbia tradizionale alla cerapersa; dalla emozione della fusione al preciso colpod’occhio del cesello, fino alla conquista raffinata dellepatine più preziose.Il grande sapere dei formatori è all’origine delle rea-lizzazioni di ogni tempo. Jean Pierre Rama in un trat-tato delle tecniche tra i più esaurienti porge, proprioin apertura un hommage aux mouleurs d’art che,con le diverse pratiche au sable, au plâtre, sur ela-stomère, à la cire perdue, dans les procédés spé-ciaux et modernes, participent tous avec diversestechniques aux métiers de la fondérie d’art.La difficoltà del lavoro del ‘formatore’, infatti, fa la suagrandezza e la sua nobiltà. Una forma, in genere, nonserve ad ottenere che una sola prova in bronzo. Perestrarla, la forma sarà distrutta. Il metallo fuso, colatonella forma, rinasce dunque come creazione artisticao industriale. L’arte di fondere e di dar forma ai metal-li è antica come il mondo. Dopo l’età della pietraspezzata, tagliata e in seguito levigata, ecco l’età delrame e quella del bronzo. La scoperta dei metalli e ildominio del fuoco consentirono la nascita dellametallurgia. In Cina, tremila anni avanti Cristo, si fon-devano con maestria i primi spettacolari bronzi. Neiforni attrezzati si raggiungevano temperature di 1200-1300 gradi centigradi, sufficienti per la fusione dei

Fusione di statue equestri.Nell’atélier della fonderiaè in atto l’operazione di colarela statua in bronzo.

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metalli. Anche Mesopotamia, Creta, Egitto ebberoesperti fonditori. Con il termine calcòs i Greci indica-rono sia il rame che il bronzo. I Romani lo chiamaro-no aes, specificando aes cyprium il rame e aes bru-num il bronzo. Da quest’ultimo termine, secondo ilRossignol (Les métaux dans l’antiquité) sarebbe ori-ginata la parola bronzo.La lega dei bronzi greci è stata diversamente analizza-ta. Lucien Magne ( in Décor du métal: le cuivre et lebronze Paris Laurens 1917) li dice composti di un62 % di rame,di un 32% di stagno e di un 6% di piom-bo. Di rame era ricco il bacino del Mar Egeo e ilMonte Sinai. Lo stagno proveniva dall’India e dalleisole britanniche che Erodoto indica come Cassiteriti.

I bronzi nella storia

Gli Etruschi furono, dopo i Greci, grandi maestri dibronzi a carattere decorativo e di statue fuse a vuoto; iRomani svilupparono le premesse degli artefici elleni-ci e d’Etruria con produzione di statue di grandidimensioni.Trentasei metri dovette essere l’altezza delcolosso di Nerone, opera di Zenodoro presso la metasudante dell’anfiteatro Flavio. Nel Foro Imperialel’Equus Domitianus si innalzava sul piedestallo per 15metri. Lodato nelle Selve di Stazio fu distrutto allamorte dell’imperatore.A Pavia aveva dominato la piaz-za, che fu poi del Duomo, il Regisole, ritratto equestrein bronzo dorato dell’imperatore Antonino Pio.Ammirato da Leonardo che ne apprezzò “più il movi-mento che nessuna cosa” (Solmi Leonardo Firenze,Barbera) fu abbattuto dai rivoluzionari che piantaronoin suo luogo l’albero della libertà.Nel Museo Nazionaledi Napoli è un magnifico Cavallo, alto metri 2,16, pro-veniente da Ercolano Dei superstiti cavalli di SanMarco e del Marco Aurelio del Campidoglio molto si ègià scritto, anche in occasione di recenti restauri. Sonotutte sculture dalle pareti molto sottili e la bellezzadella loro fusione non è stata ancora eguagliata.

Nel medioevo si assiste ad una certa decadenza del-l’arte fusoria. La statua di San Pietro (opera bizantinadel V secolo?) si accosta all’unico ricordo di un caval-lo: quelloin bronzo dorato, dedicato in Ravenna aTeodorico, descritto dal vescovo Agnello.Interprete del richiamo religioso ma anche di scopicivici, fu, nel medioevo, la fusione delle campane, ilcui timbro e suono furono oggetto di molti studi peri fonditori.Nel Museo Falcioni diViterbo è forse la piùantica, risalente all’VIII o IX secolo.Arricchite di iscri-

zioni, di rilievi con figure allegoriche o religiose, lecampane costituirono una speciale branca per i fon-ditori d’arte che ne cedettero ben presto la realizza-zione ai maestri di artiglieria che le ‘gettarono’ conpareti robuste come le bombarde o le colubrine.Conil Rinascimento ecco rinascere arti e tecniche delfuoco. Nel suo volume De la pirotechnia VannuccioBiringuccio Sanese (presso Curtio Navo, Venezia1540) riprende la fusione a cera persa. Insieme ainumerosi accenni nei trattati di Leonardo - che vi

Apparato per la fusione di un cavallo dello scultoreBourdelle. Si notino i condotti di aspirazione attia facilitare la colata e il sostegno della forma.

L’opera di Bourdelle in una prova intermediaria di148 cm. (1913-1915). Si ammira la raffinatezza dei

particolari dei finimenti.

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descriveva tra l’altro i suoi progetti per il monumen-to Trivulzio da realizzarsi con un solo gran getto - loscritto diVannuccio appare come la premessa alla piùcelebre opera del Cinquecento: il Trattato dellaScultura di Benvenuto Cellini.Egli apparteneva a quella schiera di artisti creatoriche lavoravano in completa autonomia, essendo,volta a volta scultori, medaglisti, fonditori, pittori,scrittori e così via. Cellini fu artista veemente edappassionato: nella sua autobiografia, tra l’altro,descrisse la grande emozione del salvataggio dellafusione del Perseo.Nel Seicento cominciò ad essere praticata la fusionedi pezzi in bronzo per l’arredamento. Accanto agliimportanti orologi da parete ‘à cartel’ in bronzocesellato e dorato ed alle sculture che andavanoanche ad ornare gli studioli dei principi, ecco tuttauna serie di prodotti atti a decorare serrature,mobi-li. Anche l’età settecentesca offrì una ricca produ-zione di bronzi d’arte decorativi, accanto alla sta-tuaria e al bronzetto che, risorto nel secondocinquecento con gli esempi celeberrimi di Giambo-logna, cominciò la sua fortunata ascesa come scul-tura ‘da camera’.Ai pezzi unici dei grandi artisti (ricordiamo da noile opere di Pelagio Palagi e in Francia soprattuttoRodin e Bourdelle) cominceranno ad affiancarsi,nell’Ottocento le riduzioni delle grandi opere. È inambiente francese che si inventa ‘il riduttore diCollas’ un apparecchio che permette ai fonditori - trai più noti Barbédienne ed Hébard - la riproduzionein serie e a buon mercato delle opere dei celebriscultori: Rude, Carpeaux, Barye ecc... Un’edizionespesso non numerata di tipo industriale che con-sentirà al buon borghese di mostrare nella sua casalo specchio di una grande arte. È la strada che con-duce a vedere, offerta nelle grandi Esposizioni difine Ottocento, una infinita serie di bronzetti in cuila firma dei grandi autori è preservata e reclamizza-

ta ed il cui acquisto, a prezzi facilmente abbordabili,è riservato ad una classe media che potrà così van-tare, nella propria casa, la presenza memorabile diveri e propri monumenti.

Il prodigio della riproducibilità

Nessun materiale,meglio del bronzo,è in grado di tra-durre in tre dimensioni il pensiero e il gesto; e di con-servarne nel tempo, in modo indistruttibile, la creati-vità e la spontaneità.Il bronzo, come è noto è anzitutto un mezzo di ripro-duzione. All’origine c’è una forma plastica - in terra-cotta, argilla, gesso, cera - che la mano e l’utensileassemblano e solcano; poi c’è il gesto che ‘getta’l’opera bronzea, per tradizione ‘a cera persa’. Mal’opera più spesso non è unica.Nel celebrato ‘metodoCellini’ costituiva il nucleo interno della scultura unamiscela detta ‘luto’ (di creta macerata in acqua, fram-mista con materiali che variavano, secondo la fantasiadel creatore, dalla cimatura di panni allo sterco dicavallo, dalle corna di castrato bruciate alle scaglie diferro, all’orina cfr. Le forme del fuoco Tecniche e pro-dotti della fusione artistica, Sesto Fiorentino, 1982).La massa diventava atta a creare un’anima, nocciolo omaschio, che non si crepava alle alte temperature eche, ricoperta di cera dello spessore che avrà il metal-lo, veniva poi modellata negli infiniti particolari cheun altro luto, materiale refrattario in sospensionefinissima e fluida, applicato a pennello in diversi stra-ti, copriva con una cappa esterna entro la quale,dopol’eliminazione della cera, veniva colato il metallo.Varie tecniche saranno applicate affinché l’anima,all’interno del modello, non si sposti; altri accorgi-menti cureranno i canali di colata e di getto, gli sfia-tatoi e gli scolatoi.Calata in una fossa davanti al fornofusorio, la forma di piccole o di grandi dimensioniveniva costipata di terra per evitare rotture durante lacolata. Una particolare formatura è quella ‘a modello

salvo’. La tecnica, descritta dal Biringuccio e dalCellini, è famosa per esser stata pubblicata nel 1743dal Boffrand che eseguì la statua equestre del Re Sole(Description de ce qui a été pratiqué pour fondreen bronze, d’un seul jet, la figure équestre de LouisXIV élevéé par la ville de Paris dans la place LouisLe Grand en 1699, Paris, 1743). Modellata in gesso,unta di olio e sego per realizzare facilmente la formanegativa, la statua venne circondata da blocchi digesso segnalati da riscontri e incastri per poterlifacilmente rimontare.Con le capacità di riduzione e l’evoluzione delle tec-niche ‘a modello salvo’, sarà possibile la riproducibili-tà delle opere. Innumerevoli soggetti, modellati concura, diventeranno nel tempo ‘alla moda’: ornerannonel cinquecento gli studioli dei signori, nel sei e set-tecento saranno oggetto di passioni collezionistiche

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Apparato per un bronzetto di nudo realizzato, come ilprecedente, nella Fonderie de Coubertin, Parigi.

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infinite e finalmente, nell’ottocento, editi anche incentinaia di esemplari, diffonderanno temi in voga oriduzioni di opere monumentali accessibili, attraversole grandi esposizioni, ad una clientela internazionalesempre più estesa.Queste opere sono prodotte con raffinatezza tecnica,ma ormai senza più la partecipazione dell’autore. Eglivende i diritti di riproduzione dei suoi modelli: allafine dell’ottocento compare la numerazione dellecopie riprodotte, ma non è tassativamente applicata.Il pantografo adattato alla terza dimensione permettedi realizzare diverse misure delle opere (oltre al giàcitato metodo inventato da Achille Collas nel 1836 eapplicato da Barbédienne, abbiamo, conservato alMuseo Industriale di Boulogne - sur - mer, il meccani-smo per la riduzione inventato da Federico Sauvage(cfr Kjellberg op.cit.).

I percorsi del bronzetto d’arte

Così il bronzetto d’arte, creato dai fonditori-editoriviene inserito - in Francia soprattutto - in cataloghiche ne propongono le diverse versioni e dimensioni,indicandone i prezzi. Saranno da questo momento isoggetti a prevalere sul nome degli autori. Gli editoridei bronzi creano una vera e propria diffusionedemocratica delle opere da loro prodotte che acqui-stano un mercato borghese ampiamente diffuso.Il ‘monumento da camera’ si mette così alla portatadi tutti.Dipenderà allora dalla bravura del fonditore, dalla suasensibilità e dalla conoscenza dei diversi autori se ibronzi e i bronzetti riusciranno ad esprimere in modoadeguato la creatività che li ha ispirati.“È ai fabbri-canti di bronzi che spetta di venire in aiuto ainostri artisti, mettendoli in grado di essere loro col-laboratori vigilanti, abili ad interpretare le loroopere senza tradirle”.Così il fonditoreAlbert Susse inun rapporto all’Esposizione di Chicago del 1893

auspica “una collaborazione più precisa fra lo scul-tore e il bronzista per realizzare i miglioramentidesiderabili in una industria così indissolubilmen-te legata alle più alte manifestazioni dell’arte”.Nel 1922 settantadue statuette originali di Degas, tro-vate nel suo atélier dopo la morte nel 1917,sono statefuse in bronzo in ventidue esemplari. (Ci si domandase l’artista avrebbe desiderato questo).Il celebre ‘Ratapoil’ di Daumier – morto nel 1871 - furiprodotto ripetutamente nel 1891,nel 1925,nel 1961.A Torino il fonditore Emilio Sperati realizzò, proprioper i suoi stretti legami con gli artisti, opere di note-vole qualità. Prendendo in mano le sue riproduzioni,esaminandole su tutte le loro facce, sotto tutti i pos-sibili angoli, si distinguono sempre valori di qualità eciò conferma la loro grandezza, sottolineata certo dalvalore commerciale all’epoca.

Dalla parte degli autori

‘Bronzi di’ o ‘bronzi da’? Quelli della collezioneSperati sono tutti ‘da’, perché riproduzioni. Potrannoessere in prima edizione, in numero limitato, con-trollati dall’autore.Tuttavia non è possibile provarel’intervento dello scultore. Anche il grande Barye -come il nostro Fumagalli, ad esempio - apre una suafonderia. Pure in questo caso ci si pone il quesito:egli interviene nella riproduzione delle sue opere osi fida degli operai? Barbédienne realizza tirature diBarye vivente, ma ne moltiplica la riproduzionedopo la morte. Importante sarebbe ritrovare gliarchivi delle fonderie per una adeguata documenta-zione. In aggiunta al fondo Sperati è stato conse-gnato dalla figlia Luisa solo il piccolo archivio di cuidiamo l’elenco a pag. 92.Ma per fortuna un bronzo da collezione si valutasoprattutto con l’occhio. Come oggetto si può valo-rizzare anche per la funzione che ha avuto nell’am-biente dove è stato visto a lungo. È il caso del ‘monu-

mento da studio’, come abbiamo voluto chiamare unorologio e un bronzetto appartenuti a due notimedici. Sono documenti di vita: l’amazzone ricorda-va la bellezza femminile e il coraggio che spessol’accompagna; l’orologio scandì l’orario delle visite ,ricordando - con una raffinata figura femminile - chela sapienza deve presiedere alla formazione delmedico, deve suggerire il suo continuo aggiorna-mento, affinché la sua azione di prevenzione,di tera-pia, di salvezza si attui.Mentre l’amazzone è sicuro bronzetto di DavideCalandra, l’opera che sovrasta l’orologio è di ignoto,ma nella resa e nell’impianto rivela notevole capacitàplastica. Alla firma su un bronzo non si deve daresoverchia importanza; spesso le riproduzioni ne sonoprive; alle attribuzioni molto spesso si giunge, comedimostra il presente studio, per le notizie trasmessedal fusore o per le spettacolari analogie con operenote degli autori.

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UN ARTIGIANO METROPOLITANOIL FONDITORE EMILIO SPERATI

di Giuliana Brugnelli Biraghi

Salendo lo scalone d’onore e percorrendo la galleria diPalazzo Lascaris a Torino, si è attratti da un susseguirsidi deliziosi bronzetti artistici, finora ignoti al grandepubblico, che fanno parte di una notevole collezionedonata nel 1980 alla Regione Piemonte dalla signoraLuisa Sperati ved. Mezzalama, con la precisa clausolache fossero esposti nelle sale del Palazzo, insieme adun congruo numero di dipinti che essa aveva ereditatidal padre, il fonditore e plasticatore Emilio Sperati. Mioccupai per la prima volta della collezione Sperati,

mentre stavo concludendo la seconda edizione delvolume su Palazzo Lascaris (Biraghi,Tibone,Garbarino,Palazzo Lascaris,Torino, 1979).La signora Luisa, ultranovantenne e gravemente amma-lata, tanto che non mi fu mai possibile incontrarla, mifaceva via via recapitare dal suo medico il dottor EnricoGastaldi, ritagli di giornali italiani e stranieri, articoli eattestati riguardanti l’attività del padre,che essa accom-pagnava con qualche breve chiarimento.Questo mate-riale costituisce ora un archivio piccolo ma prezioso.Pur non incontrandola,con emozione intuivo la sua sof-ferenza nel doversi separare da quel patrimonio a leitanto caro e gelosamente conservato per tanti anni.La raccolta dei bronzetti è particolarmente interessan-te perché è composta da opere di artisti fra i più notidel tempo, pressoché coetanei, vissuti tutti a cavallodel Novecento. Si erano incontrati sui banchi di scuo-la nel decennio 1870-80 frequentando l’Accademia diBrera ed erano divenuti amici. Avevano affrontatoinsieme analoghe esperienze, discutendo degli stessiproblemi e animati da una volontà di contestazione -che li portò poi a ribellarsi al clima accademico con-venzionale - attratti dalla vivace atmosfera antiaccade-mica e anticonformista della Scapigliatura romanticamilanese. Erano scrittori e artisti bohémiens, che vive-vano una vita povera e disordinata, cercando di risol-vere, ciascuno a suo modo, i problemi fortemente datutti sentiti per ridare all’arte la sua libertà, ripudiandole regole di quell’insegnamento che non lasciava spa-zio alla creazione e non stimolava la fantasia inventiva.Fra gli scapigliati lombardi si distinguevano i pittoriDaniele Ranzoni e Tranquillo Cremona e lo scultoreGiuseppe Grandi; a Milano si era formato anche il tori-nese Medardo Rosso.

Anni di crisi e di crescita

Per il Regno d’Italia, finite le guerre d’indipendenzae risolta la questione romana, si chiudeva l’epoca

eroica del Risorgimento e si apriva un periodo dicrisi, che fra errori e delusioni, doveva risolvere igravi problemi della politica interna. La metropolilombarda - riconosciuta allora come la capitale mora-le della cultura italiana e il termometro dei muta-menti sociali, aperta al progresso economico, tecno-logico e civile - divenne il centro dell’inquietudineche sfociava in aperte dichiarazioni di dissenso,men-tre stava nascendo la nuova classe borghese e pro-prio tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX siintensificava lo sviluppo dell’industria modernametallurgica e meccanica.Cresciuto in questa temperie viva e stimolanteEmilio Sperati, (nato a Milano il 12 febbraio 1861)dal 1874 al 1883 - come attestano i certificati rilascia-

Stefano Borelli, Il Cav. Uff. Emilio Sperati.Bronzo, altezza cm. 28.

Emilio Sperati (fusore),Ritratto di Luisa Sperati.Bronzo, altezza cm. 17.

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tigli dall’Accademia - aveva seguito a Brera i corsidella “Scuola di Ornato”, di quella di “Elementi diFigura”e della “Scuola di Architettura”.Uno dei suoiprimi compagni di studio era stato GiovanniSegantini, che era approdato all’Accademia dopoun’infanzia solitaria e poverissima. Rimasto orfano dimadre, dal natio Trentino (terra di confine con ilRegno d’Italia) il padre l’aveva condotto a Milano asoli sei anni, affidandolo alle poche cure distratte diuna sorellastra. Il bambino passava le sue giornatechiuso in un buio abbaino, da cui non poteva neppu-re vedere il cielo.“Si era inselvatichito, ribelle a tuttele leggi costituite”, - scriverà più tardi in una letteraautobiografica, pubblicata dalla figlia dopo la suamorte, insieme ad altri suoi scritti – “sentendo pietàsolo per i miserabili come lui.” Ogni tanto fuggiva,

finché venne arrestato per vagabondaggio e rinchiu-so in un riformatorio per minorenni, costretto adimparare il mestiere di calzolaio. Segantini a tredicianni era ancora analfabeta e firmava con un segno dicroce. Nell’Istituto Correzionale Marchiondi diMilano finalmente cominciò a scrivere e a disegnare;ma la rigida disciplina e la mancanza di libertà loindussero a fuggire di nuovo. Ritornò in Trentino,ospite del fratellastro, che gli diede un lavoro.Attrattodai colori e nella pace agreste di quel borgo dellaValsugana, iniziava a dipingere soggetti pastorali, col-pito soprattutto dagli effetti di luce sui monti. Maspinto dal vivo desiderio di dedicarsi al disegno,ripar-tiva presto per Milano e nel 1875 riusciva ad iscriver-si ai corsi di ornato e di paesaggio a Brera. Più tardigiudicherà quegli anni difficili, criticando aspramentel’insegnamento delleAccademie, le quali“uccidono lapersonalità degli studenti”, con l’applicazione diregole e formule convenzionali, che limitano grave-mente l’estro e l’immaginazione, mentre l’arte habisogno di libertà espressiva.In un suo scritto, Segantini ricorda particolarmenteun giorno di festa, in cui, andato a visitareun’esposizione di arte moderna, ne era uscito delusoe tutti quei quadri gli erano parsi insignificanti emuti. Aveva diciannove anni e sentiva un cocentedesiderio di amare, che acuiva ancor più il suo sensodi infinito isolamento. La sera finalmente qualcunoaveva bussato alla porta del suo triste abbaino ed egliaveva subito riconosciuto un amico, studente di scul-tura all’Accademia, venuto a prenderlo per andare aspasso. Segantini non ne dice il nome, ma probabil-mente si trattava proprio di Emilio Sperati, uno deipiù sensibili tra i compagni d’arte.Testimone del rap-porto affettuoso fra i due giovani sarà un delicatoacquerello (ora esposto in Palazzo Lascaris), donato aricordo della loro lunga amicizia. È un semplicefoglio, uno studio analitico di viole recise copiate dalvero nel progressivo appassire delle foglie che si

vanno accartocciando. È forse questa la prima naturamorta rimastaci del pittore trentino - e ancora oggiignorata dalla critica - in cui,particolare curioso, il pit-tore si firma due volte con mano ancora incerta diadolescente rimasto a lungo analfabeta:all’interno delfoglio usa il suo vero cognome “Segatini”, che egliportava quando venne rinchiuso in riformatorio,mentre sotto il dipinto, si firma con il nome nuovo“Segantini”, da lui assunto quando cominciò a fre-quentare Brera, quasi per cancellare ogni ricordodegli anni più dolorosi della sua vita.

Un’arte fusoria eccezionale

Probabilmente la Collezione dello Sperati ebbe inizioda questo timido dono; divenne una raccolta semprepiù ampia e ricca, completata via via in circa quaran-t’anni, con opere di pittori e scultori dell’ambientelombardo e torinese, che l’artista fonditore ricambia-va con i suoi bronzetti.Vi compaiono - al di là dei pezzi di valore solo docu-mentario - le opere degli artisti più significativi comeLongoni e Delleani, Bistolfi, Leonardo ed ErnestoBazzaro l’amico più caro,Tabacchi, Biscarra, Calandrae Troubetzkoy e molti altri. È perciò una collezioneche esprime una storia del gusto di quegli ambienticulturali nell’importante periodo di transizione rap-presentato dal primo affermarsi del Liberty e checonsente di colmare qualche lacuna.Emilio Sperati aveva cominciato giovanissimo a lavo-rare già durante gli studi accademici con il patrigno,lo scultore Francesco Barzaghi, (pure formatosi aBrera con Vela) e si era dedicato con lui a perfeziona-re il processo di fusione a cera persa, sostituendol’antico sistema di fusione con forme a tasselli. Si trat-tava di ottenere una lega di bronzo (variando le pro-porzioni del rame e dello stagno) che avesse una flui-dità sufficiente a penetrare in tutte le cavità, ancheminime, lasciate libere dal modello in cera, che il fon-

G. Segantini,Viole.

Circa 1875.È firmato colcognome di

nascitaSegatini.

Acquerello,cm. 21x32.

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ditore aveva plasmato a mano sull’“anima” di argillaricoprendola poi di terra. Cuocendo, la cera si scio-glieva lasciando un’intercapedine in cui si introduce-va il metallo fuso, che solidificandosi riproducevaperfettamente la forma. Con questo sistema perciò siottenevano pezzi unici essendosi “perso” il modelloiniziale in cera.Inoltre lo Sperati, invece della legna per la fusioneusava il carbone: così la cera si scioglieva senza rovi-nare le forme - come aggiunge la signora Luisa in unasua annotazione.In una memoria autografa,“Brevi cenni sullo sviluppodella propria industria”, redatta in occasione dellaprima mostra dei suoi bronzi artistici presentatiall’Esposizione Nazionale della Promotrice di Torino,nel 1898, Emilio Sperati racconta con malcelato orgo-glio che il nuovo procedimento fu finalmente corona-to da successo nel 1877,dopo aver superato tanti osta-coli ed affrontato anche notevoli sacrifici pecuniari.A quell’epoca le fonderie “artistiche” di statue colos-sali erano pochissime:chiusa ormai quella Manfredinidi Milano, che fondeva ancora in forme a tassello, lapiù importante era quella di Papi (poi Galli) a Firenze,mentre era solo agli inizi la fonderia Nelli di Roma.Dopo aver fuso varie statue del Barzaghi, fra cui quel-la del Manzoni collocata in piazza S. Fedele, il monu-mento a Francesco Hayez, nella piazzetta di Brera e ilfamoso Michelangelo di Tabacchi, lo Sperati lasciòMilano per andare a perfezionarsi in altre fonderie,con l’intenzione di recarsi poi anche all’estero.Ma poco più che ventenne, nel 1884 egli dovette tra-sferirsi a Torino, chiamato dal famoso scultoreOdoardo Tabacchi, milanese come lui, a cui era stataaffidata la cattedra di scultura all’AccademiaAlbertina, in sostituzione di Vincenzo Vela.Indignato perché gli era stato preferito il Dupré nelconcorso per il monumento a Cavour di piazzaCarlina, il Vela aveva dato le dimissioni, indicando ilTabacchi come il più adatto a succedergli.

Proprio con la fusione di alcuni bozzetti delTabacchi,ebbe inizio la fortunata attività torinese dello Sperati.Riceverà presto l’incarico di fondere tutta la vastaproduzione del maestro e collaborerà anche conmolti altri scultori attratti dalla sua particolare abilitàe sensibilità artistica nel tradurre nel bronzo le lorocreazioni “senza tradirne gli intenti come fa unbuon traduttore per l’opera letteraria”. Il lungo pro-cesso della fusione è un cammino di vera e propriaricreatività - diceva Erwin Panofsky (cfr. Il significatodelle arti visive,Torino, 1962) - che richiede ingegnoe capacità operativa.A Torino per le fusioni di opere di grandi dimensioni

si doveva ricorrere alla fonderia del Regio Arsenale,che era l’unica ben attrezzata e dove si attuava nonsolo la fabbricazione dei cannoni e di tutte le armi dafuoco, ma si predisponevano anche prodotti indu-striali e di uso civile.Anche lo Sperati - come scrive nella sua Memoria -per fondere la grande statua equestre del La Marmora

di piazza Bodoni, ideata da Grimaldi, si era rivolto allafonderia dell’arsenale che aveva messo a sua disposi-zione il personale.Emilio Sperati creava già nel 1884 la prima“FonderiaArtistica di Monumenti Equestri e StatueColossali”, in strada Regio Parco N. 36 e vi praticavafusioni con il rinnovato sistema a cera persa.Era questa una delle pochissime imprese del generein Italia e rappresentava soprattutto una industrianuovissima per Torino, dove si andava sempre piùdiffondendo la monumentomania postrisorgimen-tale, che riempiva piazze e giardini di statue raffigu-ranti personalità politiche e uomini di cultura.All’epoca la statuaria in bronzo prevaleva ormai suquella marmorea.Tra le prime commissioni Sperati realizzò la fusionedi quattro statue colossali del Tabacchi. Una dichiara-zione del dicembre 1889, a firma dello stesso mae-stro, attesta l’abilità e capacità dello Sperati nell’ar-te fusoria, e loda la perizia con cui egli aveva saputofondere per sua ordinazione, il Monumento aGaribaldi, collocato in corso Cairoli a Torino, quellodel “generale Alfonso La Marmora” per Biella (in piaz-za Vittorio) e le due statue colossali con bassorilievi efregi del Monumento a Giovanni Lanza, eretto aCasale Monferrato. Colpito dalla perfezione dell’ope-ra il Sindaco di Biella inviava una lettera allo Speratiper attestargli la sua ammirazione per la fusione dellastatua del La Marmora.Per le non poche difficoltà che l’artista fonditoredovette affrontare e risolvere con la sua grande abili-tà, viene spontaneo ricordare la celeberrima descri-zione della drammatica fusione del “Perseo”, narratanella“Vita”dall’autore Benvenuto Cellini, il quale anzi-ché valersi degli esperti Mastri Calderai, a cui ricor-revano di solito per le fusioni gli scultori delRinascimento, volle realizzare da solo il getto dellastatua. Il brano della “Vita” che lo racconta, è famosis-simo, inserito in molte antologie per la scuola.Anche

Apparato per la fusionedi una statua colossale in bronzo.

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allora per le statue di notevole grandezza si usava ilsistema della cera persa, tecnica usata nell’antichitàdai Greci, a cominciare dal V secolo a.C. Nella realiz-zazione del Perseo, un errore nella composizionedella lega, povera di stagno e troppo ricca di rame,impediva ch’essa si sciogliesse,mantenendola “pasto-sa”. Quando ormai sembrava che la fusione stesse perfallire, passando dallo sconforto ad un accesso di col-lera rabbiosa il Cellini cominciò a gettare nella forna-ce nuova tutto quello che trovava: persino i suoi piat-ti e le scodelle di stagno, tanto che la volta del fornocrollò per il calore. Finalmente la lega divenne fluidaed il Perseo fu realizzato. Per completarlo poi ci volleun lungo e complesso lavoro di anni per le rifiniture,saldature e ritocchi con lime e ceselli. Questo pro-cesso, rimasto immutato nei tempi, avrà proprio daifonditori francesi dell’Ottocento i suoi perfeziona-menti. Per bravura tecnica lo Sperati si allinea conquesti, essendo riconosciuto - come si dirà più avanti- il Barbédienne d’Italie.

I monumenti da camera

Per la richiesta sempre crescente dei suoi bronzettida arredamento - veri e propri ‘monumenti da came-ra’ - anche da parte di numerose ditte importanti, loSperati pensò allora di aggiungere alla sua industriaun impianto per lavori artistici commerciali. I risul-tati furono così soddisfacenti ch’egli non esitava ascrivere nella sua “memoria” che i suoi bronzi eranopari e forse in qualche cosa superiori ai famosibronzi di Parigi. Spiegava infatti di essere riuscito adottenere fusioni artistiche di puro getto, così perfetteche non avevano più bisogno di saldature né ritocchidi cesello.Li presentò per la prima volta all’“EsposizioneNazionale” organizzata nel 1898 dalla SocietàPromotrice delle BelleArti al parco delValentino perla celebrazione del Cinquantenario dello Statuto:

un’iniziativa che diede luogo a solenni manifestazio-ni. In quell’occasione Lorenzo Delleani dipingevaquattro grandi tele con le visioni più caratteristiched’Italia, dal Monviso a Taormina, per ornare l’atriodell’edificio di contrada della Zecca (attuale viaVerdi), un palazzo che la Società aveva costruito conlo scopo di aiutare gli artisti e far conoscere le loroopere per mezzo delle mostre annuali alle quali tuttiambivano partecipare.Durante la grande esposizione, ad attirare un pubbli-co sempre crescente da tutta Italia furono soprattut-to i numerosi concerti sinfonici diretti da ArturoToscanini, che aveva un rapporto particolare conTorino, perché proprio qui non ancora ventenne nel1886 aveva fatto il suo primo debutto come direttored’orchestra, ottenendo un successo straordinarioripetutosi anche nelle stagioni musicali degli annisuccessivi. La sua fama fece aumentare notevolmentegli introiti dell’esposizione, ma segnò anche perTorino la perdita del grande maestro, che fu attratto alasciare la città per la Scala di Milano.Nell’anno della celebrazione del cinquantenariodello Statuto, la grande mostra mercato affascinava ilpubblico con la ricchezza di suppellettili di diversaqualità e valore. Ma nella pubblicazione “L’Arteall’Esposizione del 1898”, si deplora che troppopochi fossero gli espositori di bronzi artistici italia-ni, il che favoriva non solo la vendita di quelli degliartisti di Parigi e di Vienna, come il Barbédienne edi Klein, considerati fra i maggiori, ma anche di pro-dotti che di artistico avevano ben poco. Eppurel’Italia era la patria del bronzetto d’arte ed uno spa-zio particolare veniva perciò riservato alla riccamostra dello Sperati che aveva il merito della novità,essendo consacrata esclusivamente all’arte moder-na, con opere di artisti contemporanei viventi, comeTabacchi, Davide Calandra, Biscarra e Rubino, men-tre gli altri pochi espositori presentavano solo ripro-duzioni di bronzi classici ampiamente noti. Alla

mostra torinese non si era neppure presentato ilFumagalli, l’altro valente orafo e bronzista dellacittà, fonditore soprattutto delle opere di Bistolfi,con fonderia sita in via Garibaldi.Così i bronzi fusi da Emilio Sperati, monumenti dacamera di gusto moderno, ebbero tanto successoall’Esposizione e gran parte di essi appartengono oraalla Collezione donata a Palazzo Lascaris.

Sculture in scala ridotta

Fra i bronzetti che riproducono in misure ridotte legrandi sculture di Odoardo Tabacchi, ecco personag-gi storici come il generale Alfonso La Marmora,Michelangelo e Arnaldo da Brescia, il frate rivoluzio-nario arso vivo a Roma a metà del XII secolo,per averavversato il potere temporale dei Papi:una figura sim-bolica ancora attuale nell’epoca risorgimentale.Il grande monumento che sorge a Brescia nel vastopiazzale Arnaldo è certo l’opera più lodata dello scul-tore milanese e quella a cui egli deve la sua maggiorepopolarità. Anche il bozzetto, realizzato e fuso dalloSperati, riesce a rendere nel gesto ampio del fratel’impeto della lotta contro il clero simoniaco el’intento polemico dello scultore, il quale per far usci-re da Roma la statua di quel personaggio messo albando dalla Chiesa, ricorse ad un gustoso espediente,che ci dà un esempio della sua sagacia. Il Tabacchiinfatti lo ribattezzò come S. Bernardo - scrive lo Stella(cfr.Pittura e scultura in Piemonte,Torino,1893) - ecosì l’Arnaldo potè arrivare a Brescia, dove il monu-mento fu inaugurato nell’agosto 1882, alla presenzadi una grande folla plaudente.Anche il famoso artistanapoletano Palizzi fu entusiasta quando lo vide e logiudicò un’opera innovatrice.Fa parte della Collezione Sperati anche la base delmonumento con il bassorilievo di Arnaldo che scac-cia i monaci, opera di Antonio Tagliaferri (cfr. M. DeMicheli Scultura dell’Ottocento,Torino, 1982).

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Il Tabacchi aveva studiato a Brera, perfezionandosipoi a Roma e a Firenze, dove aveva frequentato ilCaffé Michelangelo e partecipato alle fervide disputedi quell’ambiente ricco di presenze italiane e stranie-re. Era quindi ritornato a Milano e chiamato poi aTorino. Alla sua lunga esperienza accademica, egliuniva aneliti scapigliati: ciò contribuisce a farne lafigura più importante di quell’epoca, perché quasitutti gli scultori, sia milanesi che torinesi, si formaro-no alla sua scuola. Persino Giuseppe Grandi, figuradominante a Milano, era stato suo allievo ed aiuto. IlTabacchi insomma aveva trasformato il mondo artisti-co locale: generazioni di allievi apprezzavano in luil’artista, ma soprattutto il “maestro” semplice e cor-diale che con affabilità e il tipico buon umore ambro-siano raccontava le difficoltà incontrate agli inizi delsuo lavoro e spiegava le novità e rifletteva su ciò cheaveva imparato a contatto della vita artistica dellealtre città.La fama di scultore di Odoardo Tabacchi è legataanche ad una ricca produzione “di genere” e soprat-tutto ad una serie di statuette di donne belle e sen-suali, dai corpi seducenti in cui risaltano la morbi-

da elasticità e l’armonia delle curve, nelle figurepiene di grazia, animate da un uso intelligente delchiaroscuro. Fra tutte la più nota è Tuffolina (nonpresente in mostra), splendida silhouette di una gio-vane che sta per tuffarsi, riprodotta in centinaia diesemplari e la Bagnante, flessuosa figura che statogliendosi la spina dal piede. Sui mobili dei salottidi inizio Novecento, queste immagini erano ammi-rate per le raffinate patine che offrivano loro undelicato cromatismo.Non sorprende perciò il successo di questo tipo disculture, espressione di un’arte spregiudicata e vera-mente“nuova”, prodotte con accurata attenzione tec-nica, assai richieste per rallegrare con la grazia spon-tanea dei loro gesti e la vitalità i salotti borghesi acavallo fra i due secoli.Attratto soprattutto dai soggetti femminili appareanche il giovane valsesiano Giacomo Ginotti - allievodel Tabacchi all’Accademia Albertina - che prende amodello le belle popolane dai corpi vigorosi, ricchi ditensione e forza dinamica e dall’espressione fieranella durezza dei volti. Ne è un esempio la Schiava,opera molto replicata, di un verismo un po’ sensuale,di gusto orientaleggiante, premiata in diverse esposi-zioni anche straniere.Anche il torinese Davide Calandra - uno tra gli allievidi maggior spicco del Tabacchi - nel suo periodo gio-vanile era stato spinto ad emulare il maestro, model-lando figurette di gusto erotico venato di malizie edi seducenti ambiguità - scrive il De Micheli - impli-cita sensualità che ben si coglie nel “Fiore di chio-stro”, busto di giovane monaca, una delle sue operepiù ammirate all’Esposizione del 1898, in origine scol-pita in marmo e poi riprodotta in infinite copie inbronzo. Essa colpì anche il De Amicis, tanto da indur-lo a dedicarle un sonetto. Più tardi, dopo l’esperienzanei reggimenti di cavalleria, Calandra si orienteràverso sculture di tema storico - militare (il GuerrieroGallo, il Dragone del Re), opere di piccole dimensio-

ni e di vivace pittoricismo, finché nel 1892 acquiste-rà una più grande fama vincendo con il suo bozzettoil concorso per il monumento al Duca d’Aosta.

La crescita di una impresa d’arte

La mostra di Sperati riscosse gli elogi di tutta la stam-pa anche straniera ed è proprio la“Revue UniverselleInternationale Illustrée de Genève” (nov.1898) checi fornisce il maggior numero di notizie, dedicando alui e alla sua fonderia artistica due intere pagine entu-siastiche e paragonandolo al “Barbèdienne” (cfr. Lafonderie artistique et les remarquables travaux deM. le Chevalier Emilio Sperati, à Turin.).Sorpreso perché la giuria dell’Esposizione aveva pre-miato lo Sperati con la medaglia d’oro - era la più altaricompensa accordata al merito artistico industriale -nonostante fosse la prima volta ch’egli si presentava aduna mostra, l’anonimo autore dell’articolo volle visita-re anche la sua fonderia e ne rimase meravigliato.Lo Sperati era già stimato anche dal re Umberto I, che

Odoardo Tabacchi,Cagnolino levrerio.Bronzo, cm. 9,5.

Giacomo Ginotti, La schiava.Bronzo, altezza cm. 28.

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nel 1891 gli aveva conferito la nomina a Cavalieredella Corona d’Italia (con lettera del Ministro Rattazzidel 20 ottobre), ammirato per la fusione e la perfe-zione con cui aveva saputo rendere il mantello delcavallo della grandiosa statua equestre del generale LaMarmora - opera dello scultore Stanislao Grimaldi -collocata a Torino, in piazza Bodoni. Il re incaricò loSperati di realizzare un trionfo da tavola in argento,con il motto sabaudo FERT,da regalare al tredicesimoReggimento degli Ussari di Germania,di cui egli era ilcomandante. Ne risultò un vero capolavoro e la rivi-sta ne pubblica la fotografia, sottolineando che erastato “ideato, eseguito e fuso” dal “valente artista”Emilio Sperati.Intanto questi stava già occupandosi anche dei lavo-ri preparatori per la fusione del monumento al prin-cipe Amedeo di Savoia duca d’Aosta, affidatagli dalCalandra e quando la Principessa Letizia Bonaparte,vedova del Duca, si recò alla fonderia per vedere ache punto era l’opera, colpita dalla perfetta somi-glianza del volto con quello del consorte, ordinòalcune statuette di dimensioni ridotte, da regalarecome ricordo ai membri della sua famiglia ed agliintimi amici.Fra i giornali di varie città italiane che parlarono della“splendida” mostra del Cavalier Sperati, va segnalato“La Lombardia”del 15 ottobre 1898, in cui il cronista,mentre si unisce alle lodi generali, si rammarica chelo scultore - fonditore tanto ammirato sia ripetuta-mente chiamato “torinese” e ne rivendica l’origine di“ambrosiano puro sangue”, divenuto torinese soloper adozione. Concordemente ammirato e apprezza-to come artista, lo Sperati era anche stimato per la suamodestia e la sua onestà, tanto che in quello stessoanno 1898 venne eletto nel primo Collegio diProbiviri per le Industrie metallurgiche e meccanichedi Torino, come rappresentante della classe degliIndustriali, istituzione da poco creata per risolvere lecontroversie di lavoro nel settore delle industrie.

Erano i tempi in cui Torino si andava trasformando incittà industriale e cominciavano i primi scontri traimprenditori ed operai.A conclusione della sua “memoria”, Sperati informache la fonderia da lui creata contava ormai “un com-plessivo di forni ad ultimo modello che potevanosopportare ben quindici tonnellate di bronzo”, percui era in grado di assumersi qualunque impegno difusione artistica, come quella del grandioso monu-mento del Calandra dedicato al principe Amedeo diSavoia, ch’egli stava affrontando.L’iter per giungere al completamento dell’opera fulungo e complicato. Solo per la scelta del bozzetto civolle tutto il 1892: si fecero due concorsi, a cui ave-vano partecipato anche Bistolfi e Troubetzkoy. Allafine vinse il Calandra e nel 1893 si potè cominciare il

monumento. Finalmente sulla “Gazzetta del Popolodella Domenica”del novembre 1897,apparve la noti-zia che il Cavalier Sperati ne aveva cominciato lafusione in bronzo.L’artefice si trovò di fronte a notevoli difficoltà tecni-che, dovette praticare lunghi calcoli e studio di legheadatte per la statica di quel cavallo colossale che siimpenna, trattenuto dal Principe.Nel 1900 il monumento è terminato e se ne deveorganizzare il trasporto dal laboratorio dello Speratial Valentino. Il cammino, attentamente sorvegliato ediretto dallo Sperati e da una squadra di suoi operai,è rallentato dal peso della statua colossale - m.4.80 dialtezza e 55 quintali di peso - specialmente in piazzaVittorio per l’intralcio dei fili aerei della trazione elet-trica tranviaria, che dovevano essere via via rialzatidai carri - ponte. Mancava ancora il decoro del basa-mento, che lo scultore stava scolpendo con il gigan-tesco altorilievo dell’allegorica cavalcata delle piùinsigni figure dei duchi e dei re sabaudi, che verrà poifuso da Pietro Lippi di Pistoia.

L’Esposizione internazionale del 1902

Si giunge così al 1902: a gennaio esce il primo numerodella rivista “L’arte decorativa moderna”, premessaalla mostra che si inaugurerà pochi mesi dopo.ATorinosi fa sempre più spasmodica l’attesa per la prima“Esposizione internazionale d’arte decorativamoderna”, ispirata all’Art Nouveau, che aveval’intento di produrre oggetti artigianali di buon valore,rilanciando l’artigianato artistico in opposizione allascadente produzione in serie. In Italia si chiamò stileLiberty, dal nome dei magazzini londinesi che vende-vano i prodotti artigianali dell’Estremo Oriente, carat-terizzati dal tipico linearismo orientale. È lo stile dellaborghesia in ascesa economica e sociale, a cominciaredalle province dell’Italia settentrionale, che sono leprime in cui si sviluppa un’economia industriale.

Leonardo Bistolfi,Bambino sul cavallo a dondolo(il figlio Giovanni). Bronzo, altezza cm. 43.

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Nei pubblici ritrovi, nei caffè, nei circoli, per le stradetutti ne parlavano: era l’argomento di tutte le discus-sioni e si sentivano i giudizi più disparati.L’avvenimento attirò anche l’interesse di molti stra-nieri e per un momento Torino divenne la “capitaledell’Art Nouveau” (R.Bossaglia), determinando iltrionfo del Liberty in Italia.Preludio all’Esposizione fu, il 7 maggio,l’inaugurazione del famoso monumento al principeAmedeo duca d’Aosta, che tutti erano curiosi divedere, sapendo che era costato tanti anni di lavoro econoscendo la fama dello scultore. Alla manifestazio-ne presenziarono i Sovrani, la nobiltà, tutte le perso-nalità dello Stato e una sfilata di eleganti signore.Quando cadde il telone che lo ricopriva, il monu-mento stupì per la sua audacia. Il Principe era raffi-gurato in arcione sul suo cavallo, nell’atto di sfodera-re la sciabola con giovanile entusiasmo, per dare ini-zio alla battaglia e il plauso per lo scultore fu unani-me; tale fu anche l’ammirazione per chi aveva saputofondere quel cavallo arditamente impennato sullegambe posteriori, che il re promosse “motu proprio”lo Sperati Ufficiale nell’Ordine della Corona d’Italia(comunicazione inviatagli dal Ministro) in data 10maggio 1902.Ne scrissero tutti i giornali e Caronte (Arturo Calleri),il caricaturista del “Fischietto”, così commentò ironi-camente il 6 maggio 1902 sotto lo schizzo del monu-mento: “Non sappiamo quel che ne pensa il buonPrincipe dell’uragano dell’arte nuova e della gra-gnuola di stile moderno che da qualche tempo vasfuriando su ogni cosa nella prediletta Torino”. Nelmonumento del Calandra è evidente, infatti, il contra-sto tra l’intenso realismo della figura del duca a caval-lo ed il rilievo così mosso dell’ampio basamento.Nell’alternarsi del tutto tondo con l’alto ed il bassori-lievo nei gruppi dei personaggi di casa Savoia, inmovimento con cavalli, cannoni e bandiere, daUmberto Biancamano a Vittorio Emanuele II, lo scul-

tore appare chiaramente “suggestionato” dalla nuovatendenza del Liberty.E finalmente avviene la grande cerimonia inauguraledell’Esposizione, a cui assistono di nuovo i Sovrani edi Principi di casa Savoia.Fra le feste per l’Esposizione, la più importante fu ilCarosello storico al teatro Regio, magnificamentearredato con arazzi, tappeti e fiori. Membro delcomitato di redazione della nuova rivista e fra i pro-motori dell’Esposizione era Leonardo Bistolfi, unodegli scultori più importanti e discussi dell’ultimoOttocento, anche buon pittore e disegnatore. IlBistolfi aveva disegnato il manifesto da porre all’in-gresso del Padiglione italiano, con quattro languidefanciulle dalle linee sinuose, eleganti figure che dan-zano, legandosi fra loro con un nastro a formare laparola ARS. A questa raffinata calligrafia facevariscontro anche la sua sensibile vocazione plastica,che ne farà uno dei protagonisti della scultura deiprimi decenni del novecento.Nella Collezione Sperati è presente un vivace“Bambino sul cavallo a dondolo”, che appartienecerto al suo primo periodo di attività,che rileva le suequalità di modellatore ancora influenzato dalle novità“grandiane”. Era infatti stato la scultore GiuseppeGrandi a suggerire quei particolari valori plastici.

Un’esperienza nella Russia degli Zar

La fama di Emilio Sperati come fonditore di monu-menti equestri aveva ormai valicato i confini d’Italia epoco dopo la chiusura dell’Esposizione Torinese, eglivenne scelto da una commissione russa, inviata inoccidente, come il più esperto per fondere il monu-mento allo Czar Alessandro III, per il quale avevavinto il concorso lo scultore Paolo Troubetzkoy.Nel 1903 lo Sperati cominciò la sua sfortunataavventura russa trasferendosi a San Pietroburgo,dove impiantò una fonderia, tra enormi difficoltà

dovute alla natura paludosa del terreno, che non eraabbastanza solido da permettere la fusione in terra-pieno. Essendo giunto in Russia proprio mentre sistavano facendo più aspre le agitazioni e le lottesociali già in corso da anni contro l’assolutismoimperiale, nel gennaio 1905 si trovò nel bel mezzodel primo tentativo rivoluzionario: la sua officinavenne incendiata e distrutto il modello del monu-mento, mentre Troubetzkoy, che faceva parte dellanobiltà, dovette fuggire.Solo l’anno dopo lo Sperati potè ricostruire un’altraofficina e portare a termine la fusione del monumen-to, che gli procurò molti elogi e l’onorificenzadell’Ordine di S.Anna.Allo scultore invece, non ven-nero risparmiate critiche e polemiche,di cui fece eco“Il Marzocco”di Firenze (18 luglio 1919), che giudical’opera rozza e mal riuscita, ben inferiore ai piccolibronzi ed ai ritratti per cui lo scultore era particolar-mente celebrato.Figlio di un principe russo, Paolo Troubetzkoy eranato in Italia e si era formato a Milano attratto daGrandi, che ne apprezzò il talento precoce, e fre-quentando gli scapigliati; ma svolse un’intensa attivi-tà anche fuori d’Italia. Dimostrò presto un grandeamore per il mondo animale,divenendo un animalistadi rara vivacità (nella Collezione Sperati troviamo uncavallo, un cane e la “slitta” con le due figure affatica-te del cavallo e del vetturino,modellate con efficaciaimpressionistica). Ma capolavori insuperabili sonosoprattutto i ritratti, che gli venivano richiesti da ogniparte per la capacità di intuire il personaggio e per lanaturalezza nel saper cogliere l’espressione del sog-getto (uno dei più famosi è il ritratto di Segantini,colto in una delle sue pose più consuete).Il monumento allo Czar (salvato dalla Rivoluzioned’Ottobre e ora collocato a San Pietroburgo) è statoingiustamente criticato - afferma il De Micheli - per-ché non si è capito cheTroubetzkoy, nella figura mas-siccia dello Czar seduto sul tozzo cavallo ha voluto

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darne un’immagine che esprimesse il senso dioppressione che la Russia del tempo stava vivendo.Dopo la triste parentesi russa, ritornato a Torino, loSperati abbandonò i grandi lavori di fonderia dedi-candosi ai suoi piccoli bronzi, trovando svagoanche nella pittura e nel collezionare le opere degliartisti suoi amici fra cui il più caro rimaneva lo scul-tore Ernesto Bazzaro, che gli dedicò alcune prege-voli incisioni.L’ultima opera dello Sperati di cui si ha notizia è ilbusto, scolpito nel 1913, di Carlo Alfonso Bonafous,fondatore a Lucento dell’omonimo Istituto Agrario, direcente trasferito nella nuova sede di Chieri.Il nome di Emilio Sperati riapparirà sui giornali soloper il suo necrologio. Morì il 30 agosto 1931.

“Silenziosamente come aveva vissuto, un artistavaloroso, singolare quanto modesto, scultore, fondi-tore e pittore, animo di artista di buon gusto. Pochihanno avuto la fortuna di conoscerlo come artistacreatore perché l’arte era la sua gioia intima, unagioia di cui era geloso e che non divideva che conpochi amici devoti. Le sue statuette ed i suoi studipittorici erano destinati esclusivamente al suo pic-colo museo d’arte, accanto ad opere eccelse del suoamico Bazzaro ed ai quadri dei migliori nostriartisti piemontesi.Chiuso in se stesso e nella sua semplicità, èandato all’ultima dimora, per suo desideriosenza l’accompagnamento degli amici e degliammiratori”. Così scrive il giornale “Il Nazionale”del 5 settembre 1931.

Un archivio prezioso

Dalla documentazione conservata dalla figlia e dalletestimonianze dei giornali, non solo italiani, è riemer-sa la figura di Emilio Sperati, uomo onesto e schivo,tutto dedito alla sua attività e alla famiglia, il qualegodette al suo tempo di molta notorietà, amicoapprezzato degli artisti più famosi suoi coetanei, furicercato anche dai Sovrani, non solo come abile fon-ditore, ma anche come sensibile scultore.Fra le carte da lui lasciate, oggi raccolte presso ilConsiglio Regionale del Piemonte sono copie di lettere,memoriali,conferimenti di onorificenze, ritagli di gior-nale che ne illustrano lo straordinario percorso di vita.Una esistenza ricca di esperienze singolarissime rea-lizzate in dialogo con i più importanti artisti del suotempo e tutte coronate da successo.Stupisce perciò che dopo la sua morte egli sia statocompletamente ignorato dai critici e dagli stessi scul-tori ed il suo nome dimenticato, tanto che le fusionida lui compiute vengono troppo spesso concorde-mente attribuite ad altri.

PaoloTroubetzkoy, Monumento allo zarAlessandro III.Palazzo di Marmo San Pietroburgo, 1906.

Sperati Cav. Emilio,Brevi cenni sullo sviluppodella propria industria. 1998.

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IL BRONZETTO,UN’OCCASIONE PER GLI ANIMALISTI

Nella raffinatissima produzione francese di bronzetti,la rappresentazione di animali appare un elementodominante, capace di rendere spettacolari e variatiquei piccoli o medi oggetti ( dai 20 ai 50 centimetridi altezza) che venivano particolarmente apprezzatidagli amatori di un genere per il quale si predispone-vano ricchi cataloghi.Nel Catalogue des Bronzes éditées par AntoineLouis Barye verso il 1880, a fronte di una quindici-na di figure (generali, cavalieri oppure allegoriemitologiche) più di cento erano le statuette di ani-mali che venivano offerte al compratore a prezzianche molto elevati.In quella sfilata di realistiche rappresentazioni realiz-zate dal più noto fonditore parigino del tempo, ilBarbédienne, le fiere prevalevano, recando nelle bor-ghesi stanze dei compratori, un ripetuto souvenir diforeste esotiche, di steppe asiatiche, di deserti evo-cati. L’osservazione delle abitudini delle belve appa-riva all’epoca assai progredita e ciò che oggi noivediamo nelle trasmissioni televisive che presentanostupefacenti filmati sui particolari più segreti dellavita di rare specie zoologiche.- da conoscere per sal-varle- già compariva con sufficiente chiarezza e conattenta osservazione del particolare nelle rappresen-tazioni plastiche così care ai collezionisti dopo lametà dell’ottocento.Se la pittura ci fa conoscere, attraverso la ricerca diDelacroix ad esempio,brani notevoli di ambiente ani-malistico, certo il piccolo bronzo fa enormemente dipiù, scavando nella vita delle fiere brani assolutamen-te sconosciuti di abitudini e di azioni.Il giaguaro che divora un coccodrillo, o una lepre; ilgiaguaro che cammina o che dorme; la tigre che sor-

prende un’antilope o un cervo; tutta la serie dei leoniaccucciati, in piedi, in marcia, in atto di divorare lapreda; l’indiano montato su un elefante che schiacciauna tigre; l’alce sorpreso da una lince; le diverse aqui-le ad ali distese, una portante un serpente, un’altrasorprendente un airone; il pitone che inghiotte unacerbiatta o stringe una gazzella sono immagini elo-quenti e particolareggiate di un’osservazione natura-listica eccezionale.Nella seconda metà dell’Ottocento una ventata diesotismo anima la scultura da camera parigina che sidestreggia in modo estremamente variato nel rap-presentare gli animali che le nuove terre d’Algeria, diTunisia, di Marocco e le province del centro Africa -come la Côte d’Ivoire - permettono di conoscere con

particolari sorprendenti. Un raffinato giardino zoolo-gico ambientato nel Jardin des Plantes parigino con-sente agli artisti di osservare da vicino forme edatteggiamenti, caratteri ed abitudini degli animali ditutto il mondo.Rembrandt Bugatti è uno dei più significativi inter-preti di questa passione zoologica che dimostra conun assiduo lavoro di plasticatore.Consigliato dal prin-cipe russo Pavel Troubetzkoy, espone le sue primeopere al Salone della Società Nazionale di Belle Artinel 1904. La passione per gli animali lo spinge a rag-giungere, nel 1907,Anversa ed a lavorare con assidui-tà nel celebre zoo del grande porto delle Fiandre. Èallora la parte più significativa della sua produzioneanimalistica: osserva gli animali e i loro comporta-

Paolo Troubetzkoy, Izvozcik (cocchiere) La slitta. Bronzo, altezza cm. 42

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menti ‘sur le motif’’ come dicevano i pittori impres-sionisti. Analizza e rappresenta le attitudini nervose,tese, tragiche delle belve e i gesti tenerissimi e le dol-cezze timorose delle cerve o la potenza cieca deibufali, con una spontaneità che fa pensare a deglischizzi. Nobilissime diventano allora le qualità dellafusione e le patine che il fonditore Hébard - altrograndissimo artigiano - artista conferisce loro.L’inventario delle opere di Bugatti precisa i titoli deisuoi bronzetti e anche la tiratura. Molti di essi nonhanno superato una decina di prove, alcuni solo cin-que e si possono trovare molte copie uniche.Fagiani, leoni, pantere, leopardi, tigri, babbuini sacri,sono ritratti in diversi atteggiamenti.Bugatti sarà sconvolto dal dramma del primo conflit-to mondiale e si darà la morte l’8 gennaio 1916. Sulla“Tigre con serpente” il figlio Ettore ha vergato questeparole“Ultima opera di mio padre.Parigi 8 gennaio1916 Ettore Bugatti”. Ricordano lo scultore ancheinfiniti bronzetti di grandi animali: bisonti d’Africa,buoi, dromedari, elefanti, rinoceronti, yacks, zebre. Leopere sono oggi al Musée D’Orsay insieme ad alcunigessi che testimoniano l’immediatezza creativa delloscultore.

A Torino ‘les animaliers’ da scoprire

Spetta sicuramente al principe Troubetzkoy, nato evissuto in Italia e spentosi sul Lago Maggiore, unadelle principali presenze animalistiche nell’artedel bronzetto in Italia. Nella Collezione Sperati suuna dozzina di bronzetti di animali, due rivelano ladinamica plasticità del suo porre la creta e la ceradel modello.In attesa del padrone,rassegnato ma scattante, il Canedel Ministro Wuitté mostra la sua raffinatissima pati-na. Il Cavallo della slitta dalla posa rassegnata e dallabardatura trascurata, è lo specchio di un momento difatica e di attesa. Nella sequenza, piccola ma ben

esemplificata di bronzetti rappresentanti animali, aPalazzo Lascaris il cane è protagonista: ecco il picco-lo levriero di Giordani e quello, altrettanto curato, diTabacchi. Ci sono un Cavallino che si abbevera diCrespi, un Camoscio in vedetta di Giordani, unpotente Elefante di Michelangelo Monti e, quasi iro-nico, un cavallo che scaccia un tafano di TancrediPozzi. Con due animaletti piccoli e vivacissimi, unleprotto e un cervo, è presente in collezione anche ilfamosissimo Mène.Con Pierre Jules Mène ritorniamo nell’alto livellodella produzione francese. Appassionato, comeBugatti, delle soste contemplative al Jardin desPlantes dove eseguiva tanti schizzi e forse anchemodellini di animali, aveva debuttato presto nel 1838

al Salon della pittura. Suoi nella collezione Speratisono gli animali più piccoli: rimangono preziosi docu-menti di un’arte a cui la fonderia in proprio - che inun certo momento ebbe anche Barye - affina unaattenzione artigianale precisa e curata. Da parte diMène, l’aver affidato al fonditore torinese due sueopere, conferma il valore e la stima di cui EmilioSperati godeva anche in Francia.

Pierre Jules Mène,Piccolo Cervo.Bronzo, altezza cm. 12.

Pierre Jules Mène, Leprotto.Bronzo, altezza cm. 7,5.

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MONUMENTI DA STUDIO

I BRONZETTI D’ARTEDI TRE CULTORI DELLA MEDICINA

Il 6 ottobre 1903 moriva improvvisamente in unalbergo di Roma il professor Domenico Tibone. Nellacapitale era venuto per presentare al CongressoNazionale di Ginecologia e Ostetricia la sua ennesimamemoria. È sepolto nel cimitero di Rocca Canavese ela lapide che lo ricorda, appoggiata alla parete del-l’antica chiesa della Madonna di sant’Alessio dalromanico campanile, fu fusa in bronzo dallo scultoreFumagalli. Un artista importante, per un personaggioche nella Torino di fine ottocento aveva avuto unposto di rilievo. Studioso, sperimentatore, esperto ecaritatevole assistente di cittadine ed agresti parto-rienti era stato a lungo Rettore della torineseUniversità. Nella casa avita di Rocca, dove amava rifu-giarsi lungi dagli impegni accademici,di pubblica rap-presentanza (era consigliere provinciale) ed assisten-ziali, aveva uno studio sempre aperto nel quale rice-veva le donne del contado per un consulto sapiente.Fra i mobili sobri, connotati da ampi classificatori perle schede delle pazienti, spiccava l’orologio. Era unvero monumento da camera. Una elegante figurafemminile assisa, la Sapienza lo sovrastava. Un bron-zetto dalla patina scura, acquisita dalla lunga sostaall’interno di un ambiente in penombra, perfezionatoed elegante, si ergeva a protettore della scienza medi-ca che Domenico Tibone considerava una missione,oltre che un rispettabile approccio professionale.Egli era stato tra i fondatori della Clinica Ostetricadell’Università: il suo ritratto spicca ancora sul corri-doio di attesa dell’edificio attuale di via Ventimiglia.Una strada aTorino gli è stata dedicata: è la terza via adestra di via Cortemilia. In un volume offerto dal

Lions Club Torino Castello per la Fondazione per laRicerca e la Cura del Cancro, così il nipote avvocatoAngelo Tibone ha voluto ritrarlo fra gli Illustri e sco-nosciuti delle vie di Torino (di Autori Vari, pubbli-cato a Torino nel Novembre 1983): “Nella tardanotte di una primavera del 1880, nella zona delvecchio ‘San Giovanni’ un robusto signore, digni-tosamente vestito, professore di ostetricia, ritornaa piedi verso casa. Aveva assistito ad un parto.Svoltato l’angolo, viene urtato da un passante unpo’ vecchiotto e di piccola statura. Poco dopo, toc-candosi il panciotto si accorge che mancal’orologio. Torna indietro e con voce possenteriprende il suo antagonista e gli intima perento-riamente di dargli l’oggetto mancante. L’altro pas-sante agitatissimo obbedisce. Quando, mezz’oradopo, Domenico Tibone, rientrato a casa, sta perandare a letto, vede il suo orologio sul comodinoda notte. In Questura, dove si reca d’urgenza,viene chiarita, presente lo spaurito derubato, lavicenda della rapina di Domenico Tibone,Magnifico Rettore dell’Università di Torino, aidanni di un pacifico viandante. Il carattere dimo-strato in quell’episodio fu la caratteristica di unmedico dell’Ottocento che, con altrettanto, corag-gio, affrontò problemi, oggi risolti, ma allora assaigravi. Nato nella zona occidentale del Canavese, aRocca, nel 1833, conseguita la laurea in medici-na, ebbe dapprima ad esercitare la medicinagenerale, anche come medico condotto nell’asti-giano. Approdò ben presto alla Facoltà diOstetricia dell’Università di Torino, occupandosisubito del problema della febbre puerperale, sucui scrisse un saggio, percependo che l’origine ditante morti delle partorienti stava nell’ambientein cui avveniva il parto. Trentenne divenne inca-ricato e poco dopo titolare dell’insegnamento diostetricia, dedicandosi poi ad esso tutta la vita,con frange però di riserbo. In un’attività vivacissi-

ma, che contemplava frequenti spostamenti coilenti mezzi di allora per convegni, congressi, inter-venti fuori sede, coltivava l’amore delle altrescienze, glossando volumi e volumi a luce di can-dela nelle ore notturne. Si rendeva conto della ina-deguatezza dei mezzi di allora nei parti difficili,ove troppo spesso morivano madre e figlio e diedel’idea di un nuovo tipo di forcipe che consentissela salvezza dell’una e dell’altro (...). Costellava lacasa di Rocca di strani apparecchi con cui rileva-re, facendone un curioso diario, la costante umi-dità del Canavese, verde sì, ma insalubre per isuoi abitanti. Era alto un metro e ottantacinque,robusto: i suoi eredi conservano il suo portauovadella prima colazione, fatto con sei cavità!Mai potè disporre del famoso cavallo del medico, ani-male tranquillo e mansueto, data la sua notevolemole e le carrozze furono i suoi mezzi di trasporto(...). Nell’ottobre del 1903, settantenne, ma sempreattento alle novità della medicina ostetrica, ebbe, sof-ferente di cuore, certezza dai suoi colleghi curanti chepoteva affrontare l’andata a Roma per un congressomedico. Così non fu e, nel corso di una cena convi-viale in Roma, reclinò il capo, morendo. Proprio inquei giorni era stato proposto a senatore del Regno.”Di un altro“monumento da studio”serbo ricordo pre-zioso. Era un bronzetto dello scultore Rubino e rap-presentava una testina di bimbo ridente. Stava sullascrivania del“dottore”.Ricordo che ero autorizzata adaccarezzarlo quando la mamma mi portava nello stu-dio del nostro carissimo pediatra, il dottor AdolfoVerdone. Insieme alle caramelline di Baratti che sem-pre egli offriva ai piccoli pazienti, quella presenzainfantile felice contribuiva a togliermi ogni timoreper le vaccinazioni o per le visite alla gola per le qualiero condotta, nei miei primi anni, dal “dottore”. Lostudio medico era in via Sacchi ventiquattro, al terzopiano. Noi abitavamo sullo stesso pianerottolo. Alquarto piano era il salotto raffinato ed elegante della

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signorina Maria Alovisio. Era una collezionista appassio-nata, cultrice dell’arte del primo novecento.La figura diBistolfi era evocata,nelle conversazioni sapienti dei suoiospiti, anche come autore delle più importanti “autenti-che” dei quadri di Delleani, di cui la Signorina avevasplendidi esempi. Intorno ai dipinti, anche in casaAlovisio spiccavano i bronzetti. Erano languide ed ele-ganti figure femminili,spesso ignude,quelle che io,bam-bina beneducata ammessa nel sacrario del salotto, pre-diligevo, figurandomi un giorno di assomigliare ad esse.Il terzo episodio che ricorda un “monumento da stu-dio” si riferisce alla grande amicizia e stima intercorsetra un altro medico e la sua famiglia e il grande sculto-re Davide Calandra. È rappresentato da una piccolapreziosa scultura, la “Cavallerizza” (Torino,Collezioneprivata),donata dalla figlia di Davide Calandra,Elena,aldottor Mario Dal Bianco negli anni cinquanta. Medicoed amico, il dottor Dal Bianco,noto e stimatissimo pro-fessionista torinese,visse per alcuni anni con la moglieAntonietta e le figlie Maria Pia ed Ambra, figlioccia diElena Calandra, nella Casa di Caccia dei Calandra aMurello, uno dei luoghi descritti dallo scrittoreEdoardo Calandra nel suo libro“La bufera”.Qui c’eranodue stanze che non potevano essere aperte: una erastata allestita per Cavour e l’altra per il Re. Chissà se idue fautori del risorgimento vi erano mai stati ospitati?Durante gli anni della seconda guerra mondiale, strettifurono i rapporti sia professionali che di amicizia conVirginia Calandra che viveva nella casa avita diVillanova Solaro - e parlava solo francese e piemontese- e poi a Torino con Elena Calandra Cravero ed il figlioDavide.Tutte le sculture e i bozzetti di Davide Calandrache erano nella casa di Elena Calandra Cravero in corsoVittorio Emanuele a Torino furono donate, alla mortedel figlio Davide, all’Ordine Mauriziano.La “Cavallerizza” insieme alla “Spagnola”- anch’essadono di Elena a Mario Dal Bianco - medico di fiduciae grande amico del figlio- ebbero un posto d’onoresulla sua scrivania di dottore.

Le opere

IgnotoOrologio da studio con statua rappresentante laSapienza(?)(Torino, coll.privata)Bronzo, altezza statua cm.35. Altezza con orologiocm.65.Sull’orologio di marmo nero, decorato di piccoli fioriintorno al bianco quadrante bordato d’ottone con lecifre romane, poggia una figura assisa, con copricapoe velo, abbigliata all’antica con un peplo. Il volto clas-sico è atteggiato a riflessione pensosa, il bracciodestro poggia su un’anfora sostenuta da una parte delseggio, decorata con un serto di fiori di gusto già

liberty. Il carattere allegorico può far pensare a unautore francese.

Davide CalandraLa cavallerizza(Torino, collezione privata)Bronzo, altezza cm.32Sotto il copricapo tipico delle amazzoni ottocente-sche, un profilo elegante e malizioso rivela unasignora ben compresa del suo fascino. Tiene con ladestra l’ampia gonna che poggerà, con un rigonfiarsidinamico, sulla cavalcatura. La figurina proviene dallafamiglia dell’autore del Monumento al PrincipeAmedeo e rappresenta un suo momento di adesionegarbata alle eleganze del movimento liberty.

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NELLA MEDAGLIA,UN “MONUMENTO DA TASCA”

Caratteristica per la possibilità di essere emessaanche da privati, la medaglia è un prodotto dellafusione che nella storia ha acquisito un grande pre-stigio. Ne consegue che essa alimenta una passionecollezionistica ben connotata ed attiva.L’evoluzione della tecnica della fusione vi consenteun nuovo modo di sentire il rilievo,l’approfondimento del tratti psicologici nei ritratti, larappresentazione prospettica e anche una riccaambientazione spaziale. Fin dal Rinascimento grandis-simi artisti hanno modellato e fuso medaglie.La medaglia è uno strumento di comunicazione capa-ce di documentare in modo piacevole e permanentele occasioni per le quali viene realizzata e che, nelcaso di eventi importanti come l’inaugurazione deimonumenti, è stata sempre fortemente celebrativa.Nell’ottocento sotto l’influsso francese in Italia l’artedella medaglia ha una particolare fioritura che con-sente a questo ‘monumento da tasca’di comparire, fir-mato da grandi artisti, come un oggetto ricercatoanche in occasione delle grandi esposizioni.Nella collezione Sperati è presente un medaglionededicato al monumento al Padre della Patria, reVittorio Emanuele II. È un omaggio all’attualità stori-ca di quel grande evento che fu, nel 1899,l’inaugurazione - all’incrocio del viale del Re con lanuova arteria dedicata a Galileo Ferraris - di un monu-mento dalla precisa funzione urbanistica, tra duecorsi alberati, sullo sfondo delle Alpi, nell’area untempo occupata dalla piazza d’armi. Celebrava, pervolere di Umberto I, in Torino, la figura del padre,primo sovrano dell’Italia unita, tumulato a Roma nelPantheon.

Edoardo Rubino (attr.)Medaglione raffigurante re Vittorio Emanuele IIBronzo, diametro cm. 20.L’analogia con alcune medaglie in collezioni private-in particolare quella esaminata nella collezione diMarco Albera a Torino- suggerisce l’attribuzione adEdoardo Rubino che là vi è indicato nel giro a sini-stra con le lettere RUBINO MOD mentre a destra com-pare la scritta CANTU DIS. È verosimile che anche ilmedaglione Sperati - sul quale nel recto le scrittenon sono tracciate - sia stato fuso per

l’inaugurazione del Monumento a Vittorio EmanueleII di Pietro Costa, il 9 settembre 1899. Rubino avevadisegnato anche la cartolina commemorativa dellamanifestazione. La medaglia citata reca sul verso lostemma di Torino col cartiglio RICOR-DO/INAUGURAZIONE/DEL MONUMENTO/AL PADRE/DELLAPATRIA/MDCCCCIC. Nel medaglione la figura massicciae sanguigna del sovrano che diede l’unità alla patriasi delinea con evidenza. Lo sguardo fiero, la barbafluente e i famosi mustacchi rialzati ne sottolineanol’aspetto fisico che manifesta il carattere fermo edeciso, quello che gli permise di mettere in atto la

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C. Ferro,La signorina

Luisa Sperati,donatrice al

Consiglioregionale,nel 1980,

della collezioneraccolta

dal padre 1903.Olio, cm. 62x78.

MONUMENTI DA CAMERA

I BRONZETTI SPERATI

I bronzetti Sperati si mostrano spesso leggeri, di fusio-ne sottile; hanno patine diverse, di sfumature moltepli-ci; contengono scritte, date, firme talora di grande inte-resse. Infine sono quasi tutti in ottimo stato di conser-vazione. In un panorama tematico che cerca di guarda-re al collezionismo e agli aspetti sociali, abbiamo sceltoun percorso che va dal pubblico al privato, dal mondodella strada, della piazza, del giardino, all’intimità dellacasa. Ci auguriamo che l’immagine che desideriamooffrire susciti poi quelle indagini specialistiche e quellericerche che il nostro volonteroso ma sintetico approc-cio qui non è in grado di produrre.

IL MESSAGGIO EROICO

Il complesso eclettismo di forma e di contenuto che sisviluppa nella seconda metà dell’ottocento è ravvisabi-le nei bronzetti Sperati che mostrano i grandi scultoritentati dalle molteplicità dei temi allora in voga.Diversità e ricchezza di generi, soggetti e stili paionoalternarsi: vanno dallo storicismo di ascendenzaromantica all’animalistica passando per la rappresenta-zione equestre molto spesso presente nei monumentis t o r i c i .Anche l’attualità suggerisce toni oratori, mentre ilnaturalismo del nudo, condotto fino all’ironia e svoltoin diversi modi d’arte si accosta ad immagini danzanti,a figurine popolari d’oriente e di occidente e allescene di genere che toccano l’infanzia, l’adolescenzain presenze alla moda. L’eco della monumentomaniaottocentesca si coglie, quando il messaggio chel’artista pose nel percorso della città compare indimensioni ridotte adattato allo spazio domestico nelquale ora esprimerà il suo sogno di gloria.

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Davide CalandraGuerriero galloBronzo, altezza cm. 21.Armato di una lunga asta che reca al sommo un trofeoguerresco, le braccia aperte e le gambe riccamentecalzate, il personaggio leva il volto barbato ben con-notato sotto il cimiero quasi a segnalare la consonan-za divina della sua prossima azione. Sul petto ha unaforma attorta, forse un serpente augurale. Sulla base dimarmo rosato la figuretta appare preziosa e ricorda davicino quella che orna, a Superga, il monumento aUmberto I di Tancredi Pozzi.

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Gian Battista ForchinoOrologio a pendolo con scultura:Sardanapalo rapisce una vergineBronzo, altezza cm. 57. Firmato: G.B.Forchino. Orolo-gio di Leroi.Secondo Diodoro Siculo, Sardanapalo, ultimo di trentasovrani e il più effeminato di tutti, visse fra i piaceri ela lussuria.DanteAlighieri dice“non era giunto ancorSardanapalo a mostrar ciò che in camera si puote”.I canti che “il lombardo pungean Sardanapalo” rife-riti da Ugo Foscolo all’opera del Parini che rappresen-ta il “giovin Signore” “d’ozi beato e di vivande”mostrano la persistenza della tradizione su questo per-sonaggio, descritto in una tragedia da Byron e in unquadro da Delacroix che ne rappresentò la morte.Ber-lioz gli dedicò una cantata, altri dei melodrammi eW.Mayer un’ouverture.Nel bronzetto, sopra la mostra d’orologio a cifre roma-ne di un design che allude alle opere di Mackintosh, ilsovrano, assiso su un divano-trono con figure leonine,sostiene il corpo esanime di una donna dal peplo pie-ghettato, i lunghi capelli sparsi, il braccio abbandona-to. Levando al cielo il volto barbato, Sardanapalo sem-bra auspicare perdono per la violenza perpetuata. Èun’opera dalla patina dorata, piena di pathos; si con-creta in un oggetto tipicamente da camera, adatto atrionfare su una consolle o un buffet.

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Andrea VerrocchioMonumento equestre a Bartolomeo ColleoniBronzo, altezza cm. 57.L’opera riduce a monumento da camera i famosissimicavallo e cavaliere modellati dal maestro di Leonardo,Andrea di Cione detto Verrocchio. L’originale si trovanel campo di San Zanipolo (dei Santi Giovanni ePaolo) a Venezia e fu ripetutamente ritratto nellevedute veneziane.Tra le altre quella che recentemen-te è approdata a Torino nello Scrigno della Fondazio-ne Gianni e Marella Agnelli al Lingotto è ascritta adAntonio Canal detto il Canaletto.Il bronzetto rende bene l’anatomia nervosa del caval-lo e le famose fiere fattezze del condottiero bergama-sco la cui cappella funeraria a Bergamo alta è unafamosa meta di turismo d’arte. L’opera fu presentatadal Micheli di Venezia e dal Pandiani di Milano nell’E-sposizione del 1898.

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Odoardo TabacchiMichelangeloBronzo, altezza cm. 56. Firmato: O.TabacchiLa figura del famoso artista si impone perl’atteggiamento pensoso, l’ampia zimarra ricamata, icalzari curati. Ha in mano una pergamena appena sro-tolata.Forse sta per porgere ad un importante committente(il Pontefice) un progetto impegnato.Pur nella dimen-sione contenuta, l’opera esprime una nobiltà di trattoed una monumentalità degne del nome delBuonarroti.

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Odoardo TabacchiArnaldo da BresciaBronzo, altezza cm.57. Firmato O.Tabacchi.TimbratoFonderia E. Sperati.La figura del monaco riformatore, che ha ispirato nel-l’ottocento opere letterarie come la tragedia di G. B.Niccolini (1843), è analizzata con un modellato sensi-bile e fratto. Il volto severo, la capigliatura mossa, lebellissime mani protese sottolineano una figura dram-matica che propone, in un medioevo ancora travaglia-to dalle lotte religiose, un messaggio aperto di fratel-lanza.La statuetta è la riduzione del famoso monumento chesorge a Brescia in Piazza Arnaldo, un’opera fusa dalloSperati che rese il Tabacchi giustamente famoso.Recentemente un esemplare di questo bronzetto ècomparso in private aste per le quali è stato valutatoda 4 a 6 milioni di vecchie lire.

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Davide Calandra CatamantaledesTesta di guerriero galloBronzo, altezza cm. 30.L’opera datata 1881 e firmata D. Calandra è una repli-ca di quella esposta al Circolo degli Artisti nel 1880,allora di proprietà del Museo Civico di Torino.(cfr.Corrado Ricci D.Calandra scultore, Milano, 1916).Ritrae una testa vigorosamente plastica, in atto di gri-dare. Il cimiero è quello ritrovato negli scavi archeo-logici dal padre dello scultore, il Cav. Avv. ClaudioCalandra, inventore, fra l’altro, di un apparecchio perl’estrazione di acque sotterranee e noto archeologo.

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Gili (?)Piccolo NapoleoneBronzo, altezza cm. 11.“Loreto impagliato, il busto d’Alfieri, di Napoleo-ne…”. Nei salotti fin de siècle ancora permangono trale “buone cose di pessimo gusto” di memoria gozza-niana, le immagini dei personaggi storici di spicco:qui, sulla base decorata con piccole sfere, la piccolastatua dell’empereur si erge nella sua tipica posa,mor-bidamente avvolta nella luce.

IgnotoPiccola testa di GaribaldiBronzo, altezza cm. 15.Su un appoggio di marmo variegato, la piccola scul-tura, trattata con valori plastici sintetici, offre unaespressività che la luce sottolinea appena. Sotto ilmassiccio copricapo, il volto barbato sembra accen-nare ad un sorriso. La tecnica sommaria e la riccaespressività fanno pensare all’opera di MedardoRosso.

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L’ATTUALITÀ STORICA

Agostino Marazzani Visconti, conte (?)Monumento equestre di Amedeo di Savoia, ducad’AostaBronzo, altezza cm. 47,5. Firmato Marazzani e datato1892.Il gesto forte, lo sguardo fiero, lo scalpitare impazien-te del cavallo con la testa inarcata, la coda levata,carat-terizzano questa piccola scultura dedicata al perso-naggio eroico più famoso nel 1902. Forse è la ripresadi un bozzetto per il concorso che ebbe luogo più didieci anni prima.

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Odoardo TabacchiAlfonso LamarmoraBronzo, altezza cm. 70.Tipico monumento da camera,questa statuetta esprimenella figura alta e slanciata dell’eroico militare,più volteministro della guerra e già capo del governo - qui ritrat-to in riposo, con la feluca in mano e la sciabola abban-donata sul fianco - tutto il rigore di un Piemonte“mezzocaserma”.Nel bel volto espressivo s’addensano pensie-ri che la ruga verticale sulla fronte sottolinea: spettaro-no a lui le decisioni importanti e la guida della guerradi Crimea che,vittoriosa,gli procurò le numerose deco-razioni che la sua statua reca sul petto.

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Davide CalandraDragone del ReBronzo, altezza cm. 64.È un’opera famosa del vincitore del Premio degliArtisti alla Quadriennale del 1902. Più volte esposta,rappresenta un dragone in sosta con stendardo e tri-corno. La figura del cavallo,molto curata è massiccia,i finimenti descritti con minuzia sottolineano la ricer-ca costante dei particolari che animò anche l’audaceimpressionismo del basamento del monumento alprincipe Amedeo al Valentino, l’opera vincitrice delPremio più volte citato.

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Emilio Sperati (fusore)Cavalleggero in ricognizioneBronzo, altezza cm. 48.L’esercito a cavallo offre spesso occasione di spettaco-lari monumenti da camera. Ben equipaggiato, - concoperta, moschetto, sciabola, copricapo - questo caval-leggero è in attesa di scoprire qualcosa. Lo sottolinea laposa erta in avanti su un cavallo i cui muscoli, tesi nel-l’attenzione di scoprire posizioni nemiche,confermanoil momento dell’attesa ricognizione.

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Zeffirino CarestiaS.M.Umberto I a caccia in ValsavarancheBronzo, altezza cm. 66.Ritratta in abito borghese di cacciatore, il feltro calca-to sul capo, l’alta figura del secondo sovrano dell’Italiaunita ricorda qui la passione che egli ebbe in comunecon il padre, di cui restano a testimonianza le rotte ele case di caccia nei Parchi del Piemonte in cui i duesovrani amarono sostare per le lunghe e mirate battu-te a cui presiedette una organizzazione di assistenzache nelle valli d’Aosta, in quelle di Lanzo, nel Cuneeseancora oggi le popolazioni ricordano, aggiungendospesso qualche aneddoto rimasto altrettanto famoso.L’opera fu presentata dallo Sperati nell’Esposizionedel 1898.

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Leonardo BistolfiTarga tombale dedicata a Cesare LombrosoBronzo, altezza cm. 11,5.Nell’opera del famoso artista casalese la scultura cimi-teriale ebbe parte determinante. Egli sviluppò leimmagini della memoria creando un nuovo stile checondusse avanti negli anni.Bistolfi frequentò aTorino il salotto della casa di CesareLombroso - professore di medicina legale e igiene pub-blica (dal 1876) di psichiatria (dal 1896) e di antropo-logia criminale ( dal 1905) - e fu incaricato nel 1921 direalizzarne a Verona il monumento nella città che aLombroso diede i natali. Nella Gipsoteca di CasaleMonferrato vi sono il bozzetto ed un curioso particola-re del modello con la figura del‘Pensatore’dal volto cor-rucciato sotto gli occhialini da ricercatore.La placchetta della collezione Sperati procede da unclassicismo di base, leggibile ancora nella pensosafigura centrale che indica l’equilibrio della scienza:esso si attenua e si anima di forme espressionistichenelle figure ai due lati che ricordano l’opera impor-tante del Lombroso: a destra sembra prevalere unamalinconia maniacale mentre a sinistra le figure, acca-vallate e discinte, esprimono tutta la violenza e la tra-gedia di una mente sconvolta.

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Giuseppe GrandiCesare BeccariaBronzo, altezza cm. 50.L’immagine di uno dei massimi rappresentanti dell’illu-minismo italiano, è presente nelle aste londinesi deglianni novanta nel novecento (3900-5400 sterline pressoPhillips,London il 30-6-92;6 milioni di vecchie lire pres-so Christies il 21-6-92). Fu il pensatore che contribuìcon efficacia all’annullamento della pena di morte -inuna lucida critica ai metodi giudiziari del tempo- conl’opera “Dei delitti e delle pene” pubblicata anonima aLivorno nel 1764. Da sua figlia Giulia e dal gentiluomoPietro nacque Alessandro Manzoni. Nel bronzettoSperati un Cesare Beccaria (Milano 1738-ivi 1794) dallafigura pensosa,dall’acconciatura ancora vagamente set-tecentesca, china il capo. Una zimarra floscia coprel’abito sdrucito, i piedi calzati all’antica. Lo scultoreGrandi appose, sul basamento, il nome del personag-gio. L’opera fu presentata nella Esposizione del 1898.

Francesco ConfalonieriAlessandro ManzoniBronzo, altezza cm.29.L’autore, insegnante di scultura nella Accademia diBrera,scolpì l’immagine di AlessandroManzoni a Lecco,nel 1891.Il bronzetto ricorda i tratti dello scrittore anzia-no, affaticato dal lungo studio e dalla meditazione “inappoggio e perfezionamento alla poesia romantica”.Il naso affilato, il volto pensoso, assiso su un modestoscranno, il romanziere più celebre dell’ottocento italia-no è rappresentato con una immagine familiare e casa-linga che ricorda le soste in alcune famose dimore, inparticolare a Brusuglio. L’aspetto pensoso richiama allamente un famoso aneddoto.Quando gli scrittori di bellesperanze inviavano a Manzoni i loro romanzi per averneun giudizio, egli dopo averli accuratamente letti, avevaper tutti una unica risposta che era anche un consiglio:“Pensarci su!”.

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Emilio SperatiTarga del 1901 Spedizione al Polo Nord(su disegno di Celestino Fumagalli?)Bronzo, altezza cm. 23,5.La spedizione al polo Nord,diretta da Luigi Amedeo diSavoia duca degli Abruzzi,prevedeva la partenza di tregruppi con slitte. Fu scelta la nave baleniera norvege-se che, battezzata Stella polare, divenne parte dellamarina italiana. Partì il 12 giugno 1899 da Cristiania(Oslo) diretta ad Arcangelo dove attendevano i canisiberiani che avrebbero trainato le slitte. Il 30 giugnola nave ormeggiava nel porto. Così Luigi Amedeo diSavoia ricordava - in una conferenza tenuta a Roma il14 gennaio 1901 sotto gli auspici della SocietàGeografica Italiana che conferì al Duca ed a UmbertoCagni la medaglia d’oro - la partenza per il lungo per-corso sui ghiacci e l’incontro con quei generosi ani-mali. (cfr.Dal Polo al K2 Sulle orme del Duca degliAbruzzi 1899-1954, Torino Museo Nazionale dellaMontagna 22 febbraio - 6 maggio 1984). ”In unrecinto lungo una ventina di metri e largo diecigiacevano i cani attaccati uno per uno, con cate-ne, a tavole fissate sul suolo. Il nostro arrivo fusalutato da un abbaiare furioso(…)Ve ne erano ditutti i mantelli: neri bianchi, giallognoli, con pelocorto e lungo, orecchie piccole e dritte, larghe ecascanti. (…) Lo stato di magrezza (…) mi fecescrollare le spalle per il doloroso pensiero chegiammai quegli animali avrebbero potuto com-piere 1200 miglia trainando tutto il necessario perla spedizione(…) Resistenti alle fatiche, non aven-do bisogno d’acqua per bere, chè un po’ di nevespegne la loro sete, vivendo di una piccola tavolet-ta di pemmicam, quando questa c’è, e quando nonc’è facendone anche a meno per alcuni giorni,mangiando il loro simile senza difficoltà, non sof-frendo il freddo, sempre disposte al lavoro, quellebestie (…) hanno mostrato quanto valevano e

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d’essere il solo e vero elemento di aiuto all’uomoin una spedizione sui ghiacci”.Al termine della vittoriosa spedizione - era il gennaio1901 - si organizzavano “onoranze popolari piemon-tesi ai valorosi esploratori”,come dice la scritta dellaplacchetta dedicata da Fumagalli a Sperati. Sotto lostemma sabaudo affiancato da panoplie con gli stru-menti della spedizione, si svolge, circondata da unacorona di ghiaccio, su più piani, una descrizione deimomenti salienti dell’impresa, con le navi rompi-ghiaccio, l’attrezzatura delle slitte coi cani, la sistema-zione delle tende, inframmezzate da cime a nodo diSavoia, fronde di alloro e bindelli che, in pieno stile‘nouille’, anticipano le eleganze nastriformi del 1902.

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L’ELEGANZA DEL NUDO

Con l’esaurirsi del classicismo, la tradizione accademicadel nudo nella scultura venne progressivamente a dimi-nuire di importanza pur rimanendo come fondamentaleesercizio nelle scuole libere delle Accademie.Tuttavia unaspetto rilevante della Scapigliatura ripropose l’analisi arti-stica del corpo maschile, femminile, infantile.Essa confluì,con rappresentazioni particolarmente garbate,nelle figuredel realismo,impreziosì le immagini simboliste e,con par-ticolari ironie si fece avanti nelle forme plastiche più vici-ne al gusto liberty. Il ‘monumento da camera’ per la suastessa natura favorì la prestanza di questi nudi che la col-lezione Sperati offre in diverse e provocanti edizioni.

Odoardo TabacchiLa svegliaBronzo, altezza cm. 70.L’orologio è mancante, ma il trofeo che lo circondavaresta sospeso a ricordarne la presenza con la classicafigura di Pan con la siringa nella sinistra ed un ramo-scello, forse d’ulivo, nella destra.A lui s’appoggia appe-na la figura dolce di una ninfa addormentata, semi-sdraiata sulle pieghe di un peplo. L’insieme è di quasistucchevole bellezza e la morbida patina gli conferisceparticolare affinata sensualità. È un paradigma di scultu-ra da camera, denso di valori formali da apprezzare.

Ignoto (o L.Bistolfi ?)Nudo reclinatoBronzo, altezza cm. 35. (foto a pag. 7)Raccolto in se stesso il giovine nudo appare delineato inuna falcata che lo rende affascinante.Oltre ad una patinascura,presenta molte incrostazioni verdastre che rendonoancora più suggestiva la sua piccola presenza statuaria.Appartiene verosimilmente all’opera giovanile di un mae-stro sensibile,creata quando gli insegnamenti accademicicostituivano ancora un forte motivo di ispirazione.

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Gian Battista Forchino ed Emilio SperatiIl varo della naveBronzo, altezza cm. 56.Un piccolo raffinato guscio ornato di serti di fiori,dalla ricca polena, è trattenuto da una figura ignudadi donna che, nello sforzo di sollevare il naviglio,lascia cadere un manto. Lungo le pareti del guscio èdescritta a bassissimo rilievo, la forza remigante diuna ciurma.Due diverse tonalità di bronzo, più dora-ta quella del corpo ignudo, conferiscono all’operaparticolare fascino.Il bronzetto dello scultore torinese Giovanni BattistaForchino, - di chiaro carattere simbolista - costituì nel1933 ilTrofeo della Società dei Canottieri Armida chene conserva una redazione più completa, con laVittoria ritta a prua. Essa è stata presentata con il n.47 nella mostra Trofei 1882-1963 Premi delleSocietà Sportive Torinesi presentata a cura diAlfonso Panzetta al Circolo degli Artisti dal 19 dicem-bre 1999 al 30 gennaio 2000. Con questa splendidarassegna, voluta fortemente dal Circolo, venne pre-sentato un patrimonio storico artistico quasi scono-sciuto: quello dei trofei ideati da grandi artisti, pre-ziose testimonianze di vita sportiva, prodotte da unartigianato di eccezione.

Odoardo TabacchiBagnante La spina nel piedeBronzo, altezza cm. 37. (foto a pag. 3)La celeberrima figurina che presenta un nudo appe-na velato da un costume da bagno della BelleEpoque, si volge ad estrarre una spina di riccio da unpiede. Poggia con posa estremamente aggraziata suuno scoglio di cui si intravvede la natura scagliosa edirta. L’alta crocchia che la donna porta sul capo allu-de ad una ricca capigliatura, raccolta nel momentodel bagno.

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Cesare BiscarraIn mutandeBronzo, altezza cm. 28.La moda esige ancora vesti lunghe alla caviglia, bustocapace di costringere il torace al vitino di vespa,camicie e gonne ricche di ricami e piegature. Ma lemutande coprono dalla vita al ginocchio il déshabil-lé e la signora, pronta quasi ad uno sbadiglio, nonpensa certo che così l’artista l’ha voluta sorprende-re. Proprio come accadeva a Parigi negli atéliers diDegas, Renoir, e nelle garçonnières della Belle Epo-que. Secondo il gusto di un’epoca appena aperta aduna misurata trasgressione, questa opera si pone alcentro della mostra come ossimoro di una realtàsingolare e preziosa.

Giacomo GinottiLa schiavaBronzo, altezza cm. 28. (foto a pag. 33)Molto riprodotta è questa celebre figura di donna ignu-da in catene.Si appoggia ad un sostegno drappeggiato,abbassa il volto pudico sotto un grande turbante chene racchiude la ricca capigliatura.La patina, calda elucida, conferisce particolare sensibilità all’opera.

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Cesare BiscarraCalamaio figurinaBronzo, altezza cm. 22. Datata 1911.Anche il più modesto oggetto quotidiano può assu-mere, per opera di uno scultore capace, un valore dimonumento significativo. È il caso di questo calamaiorotondo che, come una vera da pozzo, reca sulle pare-ti esterne dei rilievi dinamici.Accanto ad un vaso,utilea reggere il pennino, la figuretta modellata morbida-mente si slancia in un gesto di danza, mentre con lasinistra solleva uno specchio.

Giovanni Battista ForchinoTimbro macabroBronzo, altezza cm. 20.Preda di un viscido piccolo mostro, il nudo riversomostra un volto quasi esanime, dopo l’assalto di cui èstato vittima.Alla base, tre scimmiette mimano i ritua-li: “non vedo, non sento, non parlo”. Fare un timbrocon questo soggetto è un operazione molto ardua eprovocatoria e nella collezione Sperati costituisce uninteressante unicum.

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Leonardo BistolfiSouvenir di VeneziaBronzo, altezza cm. 33.La elegante figuretta ignuda si circonda di nastri svo-lazzanti, proprio come le allegorie delle arti applicatenel famoso manifesto per l’Esposizione del 1902 (apag. 23). Tiene fra le mani un leone di San Marco chegiustifica il titolo dell’opera. L’acconciatura à ban-deaux è tipica degli anni intorno al 1902.

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Antonio CarminatiTentazione Busto di donnaBronzo, altezza cm. 41.Anche questo busto femminile si avvia sui percorsi diuna sensualità trasgressiva. In un’epoca in cui ladonna abbigliata non si presentava mai senza coprica-po ed abito alla caviglia, il gesto ritroso ed insiemeavvincente di questa modella mostra tutta la sottilepartecipazione del suo autore alle nuove istanze di ungestire provocante.

IgnotoDonna nuda con asciugamanoBronzo, altezza cm. 16,5.Il tema del bagno, così caro agli impressionisti e aipostimpressionisti, qui si impone con un gesto appe-na velato di ritroso pudore, quando la figurina stringeal collo la salvietta che ne cela le nudità.

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Arturo StaglianoTesta di donnaBronzo, altezza cm. 35. Inciso a stampatello E.Sperati.Un analogo bronzetto è stato messo all’asta a Romanel maggio 1989 presso Christies.Qui l’opera è animata da un naturalismo che la distin-gue da altre.Abbandonato con le palpebre quasi soc-chiuse, le labbra sensuali appena serrate, questo voltodi donna mostra una capigliatura nuova, quasi ‘allamaschietta’, tipica degli anni venti.Anche la luminosasuperficie del collo e delle spalle allude ad un diversopiù naturale e libero modo di intendere il nudo.

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Schuss (?) (o Susse Albert, fonditore?)Baiadera Scultura svestibileBronzo, altezza cm. 30.Il personaggio potrebbe far ascrivere l’opera tra lesculture di gusto esotico se l’accorgimento messo inatto dallo scultore non conducesse subito a svelare lastatuetta che all’interno di un abito ricco e pesante,ma apribile, permette di vedere il corpo nudo delladanzatrice. Chi mai fossero queste baiadere ci è svela-to da un testo della fine dell’ottocento.Le baiadere delSudan“appaiono nude in tutta la bellezza delle loroforme scultorie che spiccano ancor più artistica-mente pel colore di bronzo o di lucido ebano dellaloro pelle. Solo le copre, o per meglio dire fluttuaintorno ai loro svelti e ben torniti fianchi, il tradi-zionale rahad sudanese. (…) Le baiadere sudanesinon intrecciano danze per gruppi, eseguiscono leloro danze (…) una per una (…) assumono posegraziose, provocanti, sempre artistiche e di tratto intratto accompagnano le movenze della danzatricecon cadenzate percussioni di mani, con cantilene, ocon esclamazioni”. (G.Godio Vita africana Ricordidi un viaggio nel Sudan Orientale,Milano,1883 cita-to in Argenti Beduini Costumi e tradizioni arabe neldeserto d’Africa a cura di M. L. Moncassoli Tibone,Torino, s.d.).Resta nella Collezione Sperati la malizia piacevole delbronzetto svestibile, una assoluta novità per l’epoca.

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Gian Battista ForchinoTiratore d’arco Colpo fallitoBronzo, altezza cm. 50. Timbrato: Fonderia SperatiEmilio Torino.Il giovinetto non è riuscito nella gara: la fanciulla sivolge a consolarlo con un semplice gesto di conforto.Il bronzetto presenta le due figure adolescenti, i dueesili corpi accostati con la semplice pudica eleganzadi un segno plastico magistrale.

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COSTUMI ESOTICI E TRADIZIONI POPOLARI

L’orientalismo è un fenomeno che serpeggia nelle artie conferisce alle opere il fascino del raro, dell’esotico,ricuperabile una sorta di viaggio dello spirito, ogniqualvolta ci si presentano forme e ambienti inconsue-ti. Accanto al colore d’Oriente, nei bronzetti Speratiecco altri usi e costumi vicini e lontani: offrono a chisi accosta a queste sculture la variegata presenza diimmagini garbate alle quali anche grandissimi scultori- si pensi a Troubetzkoy, a Biscarra, a Rubino - hannodato corpo.

Ernesto BazzaroCammello nel desertoBronzo, altezza cm. 58.Un vecchio animale - in realtà pare un dromedario -reca in groppa una sella a gualdrappa molto decorata.Sopra una donna, un po’ velata, con un bambino inbraccio, che sta allattando, s’accuccia, disponendosiad un lungo percorso. Nel “modellato pittorico diascendenza scapigliata” (Panzetta) i valori plasticifratti, i decori svolazzanti richiamano il vento deldeserto, croce e delizia di tutti i viaggiatori.

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Ernesto BazzaroBeduina, portatrice d’acquaBronzo, altezza cm. 42.L’amico più caro a Sperati mostra una rara capacitàinterpretativa del mondo delle tribù. Ampiamentericoperta di pesanti tessuti, la donna reca sul capo unaconca riversa, tipica dei prodotti di rame in uso neldeserto. Si ritrova qui il fare plastico già notato, riccodi ombre e di pieghe,che conferisce all’opera un tonoespressionistico.

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Eugenio Alexandronovic LancerayL’addio del cosaccoBronzo, altezza cm.42.Alla base il nome dell’artista incirillico e la data 1878.Del noto artista francese di origine russa quest’ope-ra mostra il garbato naturalismo e il valore affettivoistantaneo che si coglie nell’abbraccio del cosaccoalla piccola donna che appare per un attimo quasiappesa al suo collo possente. Anche il muso delcavallo sembra partecipare con le froge levate all’e-mozione del commiato.Inserita nella cultura internazionale di fine ’800l’opera di Eugenio Alexandronovic Lanceray inauguraun momento significativo dell’orientalismo che pene-tra il mondo della Santa Russia e lo propone con unaparticolare attenzione anche alla ricerca animalistica.In questa condizione d’arte, espressa con efficaciadalle fusioni in bronzo, Lanceray si accosta all’attivitàdel connazionale Paolo Troubetzkoy.

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Davide CalandraTestina spagnolaBronzo, altezza cm 33.Timbro della fonderia sul pettine.Un volto pensoso dalle labbra sensuali sotto il casco diuna ricca capigliatura arricchita dal caratteristico pet-tine. In raffinata posa di tre quarti questa immaginecompletata dai pendenti alle orecchie e sostenuta daun solo perno sulla base di marmo variegato, ben rap-presenta un ricco momento espressivo del suo autore.L’opera fu presentata nella Esposizione del 1898.

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Edoardo RubinoLa GressonaraBronzo,altezza cm.52.Firmato e datato Rubino 1897 (?).Tra i costumi delle Valli d’Aosta, quello di Gressoney èparticolarmente decorato come mostra il copricapodi questa giovinetta, ritratta sospesa e quasi esitantecome in un attimo di attesa.Anche questo bronzettofu presentato nella Esposizione del 1898. Fu tra leopere di maggior successo dello Sperati che, note peressere già state esposte al Circolo degli Artisti, in quel-la sede si sono maggiormente affermate come “squi-site e felici” creazioni.

Edoardo RubinoLa PragelatinaBronzo, altezza cm. 21.Molto più severo e chiuso, il volto di questa donnadella montagna sembra serbare, sotto la coiffe ampia edecorativa, il rigore e l’indipendenza degli Escartons,le repubbliche montane che rivendicarono nei secoli,l’autonomia delle genti.

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IgnotoLa BrianzolaBronzo, altezza cm. 23,5.Il lungo collo e il décolleté ampio e quadrato impre-ziosiscono un volto ridente di naturale presenzasotto la semplice capigliatura ornata da un decororicco e pieghettato, fissato con grandi spilloni. UnaLucia Mondella ancora felice che s’avvia all’eleganzadel Liberty, ravvisabile nel costume vivacemente pla-stico sul basamento in marmo variegato.

Francesco ConfalonieriLuciaBronzo, altezza cm. 17.Chino il volto pensoso, avvolta nella sciarpa, un soloaccenno al costume secentesco nelle maniche daltaglio elaborato, questa Lucia sembra proprio in pro-cinto di dare l’Addio ai monti sorgenti dall’acque edelevati al cielo... Il bronzetto esibisce una splendidapatina ed un modellato fortemente espressivo.

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Giulio BrancaBarcarolaBronzo, altezza cm. 39.Una figura di giovinetta, la frangetta sulla fronte, sottoil fazzoletto. Puntando il piede, sta remando con foga.Il frammento della barca su cui poggia è investito daun’onda la cui plastica vivace fa riscontro al movi-mento delle vesti.Un’opera nel complesso molto inte-ressante per la rappresentazione dinamica e perl’immediatezza psicologica.

Cesare Biscarra“Dumie na cupa” Cacciatore con caneBronzo, altezza cm. 49.Una sosta prima e durante la battuta: una buonabevanda corroborante ed anche incoraggiante, unmodo di resistere ai rigori delle prime ore mattutine.Al cacciatore riverso nell’atto di dissetarsi, fa riscontroil cane a sua volta alla ricerca di qualcosa di cui cibar-si. Una scenetta di genere molto istintiva e calata nellarealtà che testimonia quella corrente di garbato reali-smo e di rappresentazione naturalistica che percorrei primi decenni del secolo ventesimo.

PaoloTroubetzkoyIzvozcik (Cocchiere) La slittaBronzo, altezza cm. 42. (foto a pag. 37)All’elegante curva dell’antica slitta da città fa riscontrola sagoma appesantita e rassegnata del cavallo, barda-to con cura e trattato con un modellato impressioni-stico. La figura del vetturino in attesa del cliente, recli-nato come in preghiera, le mani chiuse in un mani-cotto protettivo, è testimonianza popolare della vec-chia Russia cittadina e modesta.

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UNO SGUARDO ALL’INFANZIA

L’immagine dei bambini nelle arti, tra ottocento enovecento ha recentemente avuto una interessanteesegesi nella mostra “Infanzie” aperta nel 2001, auspi-ce la Regione Piemonte, a Palazzo Cavour.Nella plastica dei bronzetti Sperati le figure infantilioscillano tra il perbenismo delle bambine - inginoc-chiate in preghiera o portatrici d’acqua col secchiello- e la trasgressione impertinente dei maschietti pron-ti a far pipì davanti a tutti,ad esibire trionfanti la meda-glia o la cavalcatura.

Edoardo RubinoLa preghieraBronzo, altezza cm. 39.Il tema dell’infanzia esordisce con questa ragazzinainginocchiata sulla sedia a rocchetto impagliata: unarredo tipico degli ambienti di servizio delle caseborghesi a cavallo del secolo. Nota anche con il tito-lo Le orazioni, la piccola scultura mostra un model-lato semplice e schietto che crea un insieme raccol-to e silenzioso.

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Medardo RossoScugnizzo (Gavroche)Bronzo, altezza cm.23. Impronta del cartiglio fonderiaSperati.Una redazione dell’opera di dimensioni maggiori (cm.41) è stata venduta nel 1987 dalla Finarte di Milanoper quattro milioni di vecchie lire. Quando l’autore èimportante anche la più piccola immagine diventaestremamente significativa.Come questo volto ridente che mostra una dentaturaprecocemente rovinata sotto il floscio berretto, tratta-to con segno forte ed immediato. Un pezzo moltosignificativo nel ritrarre la gioia e la miseria, delineateda una delle firme di spicco nei primi decenni delsecolo XX.

IgnotoTestina di bimboBronzo, altezza cm. 9. Traccia di un piccolo timbroSperati.L’opera rappresenta con tratti appena rilevati un pic-colo protagonista. Ricorda vivamente quelle scultureda studio che alcuni medici esponevano sulle scriva-nie dei loro ambulatori pediatrici.Per la sensibilità pla-stica questa opera potrebbe essere attribuita adEdoardo Rubino.

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Emilio Sperati (fusore)Orsolina con il secchielloBronzo, altezza cm.34. Firmato e datato E. Sperati1920.Non è per gioco che la bambina regge il suo reci-piente d’acqua ma, come rivela il piccolo corpo tesonello sforzo, sta portando un secchio utile alla fami-glia. L’abito dimesso, il volto rassegnato,connotano unambiente di vita povero,ma dignitoso.

Emilio SperatiGina bimba allo studioBronzo, altezza cm.52.Timbrato: Fonderia E. Sperati(foto a pag. 4)Una bambina ancora,ma già attenta e consapevole dellavoro del padre. La compostezza della figura presen-te ma in attesa, esprime l’affettuoso sguardo delloscultore che vuole ritrarla davvero in modo reale.

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Giuseppe GrandiPutto fontanaBronzo, altezza cm. 24. In corsivo firma dello scultoree timbro Sperati.A Bruxelles trionfa, curiosità per i turisti, il MannekenPis.Una figuretta trasgressiva di cui questa sembra esse-re l’antenata. L’opera è ascritta ad un grande scultorelombardo che conferisce alla posa del piccolo unaspontaneità ricca di apporti psicologici.

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Cesare Biscarra“Prima midaia”. La prima medagliaBronzo, altezza cm.29.Con questa opera l’autore esordì nel 1891 alla SocietàPromotrice delle Belle Arti: il bronzetto fu lodato daBistolfi.Fu presentata nella Esposizione del 1898.Per lungo tempo ai ragazzini che comparivano con lamedaglia scolastica sul petto, era concesso l’ingressogratuito al Teatro Gianduja, il “D’Angennes’ di viaPrincipe Amedeo. Ciò contribuiva alla fierezza delbambini decorati, ogni settimana, con questo segno dimerito. Così la piccola scultura descrive un protago-nista di questo momento di bravura.

Antonio Bezzola (?) Emilio Sperati (fusore)Vocazione. Bambino che fa pipìBronzo, altezza cm. 20. Timbro fonderia artisticaSperati Emilio.Un altro bambino ha inventato un bel gioco: far pipìmirando un piccolo recipiente. Perduta l’innocenzadel corpo ignudo, il piccolo scugnizzo si concentranel gioco senza togliersi neppure il cappello.È questoil significato della parola Vocazione che compare sulbasamento? L’opera ha una bella patina dorata.

Leonardo BistolfiBambino sul cavallo a dondoloBronzo, altezza cm. 43. (foto a pag. 34)L’immagine celeberrima del giocattolo cavalcato festo-samente dal ragazzino - Il figlio dello scultore,Giovanni- costituisce un brano indimenticabile di raccontod’infanzia. Il volto finissimo, atteggiato a sorriso soddi-sfatto, il copricapo di carta piegata, il gesto di spronerivolto al cavallino, il dondolo finemente graffito, sonotrattati con una plastica vitale, tipica del periodo cen-trale di questo importante scultore. La luce, frangendo-si sulla superficie fortemente solcata,conferisce fascinoall’opera, rivelando la raffinatezza della patina.

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IgnotoDue sigilli con sigla L. S.Bronzi, altezze cm.11.La giovinetta dal corpo in boccio e dall’acconciaturagià elaborata si volge in attesa; la bimba dalla lungacamicia si racchiude in un gesto di infantile pudore.Segnati dalle iniziali di Luisa Sperati i due sigilli alludo-no ancora una volta alla presenza affettuosa della figliadel fonditore artista che egli amò sopra ogni cosa e allagenerosità della quale si deve questa collezione.

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IgnotoMaria 1901Targa bronzea, cm. 14x17.Un piccolo profilo infantile dai grandi boccoli si sta-glia sulla placchetta accanto a un delicato stelo difiore liberty. Il piccolo profilo è delineato in un gestotipico della prima infanzia, della quale si intravvedeanche il grembiulino a ricche pieghe.Chi sia questa Maria non è detto, certo una bimbaamata, descritta con delicata mano di incisore.

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IL RACCONTO ANIMALISTICO

Fortemente sviluppato dalla bronzistica francese, dovesi ebbero dei veri indimenticabili maestri - da Barye aBugatti, da Cartier a Mène - il racconto animalistico sisvolge come s’è detto anche in Italia e gli autori, diver-si e variamente operosi, fanno a gara a rendere le imma-gini di un mondo sempre appassionante.

Giuseppe GiordaniCane FidoBronzo, altezza cm. 68,5.Una bella immagine dell’animale in attesa, le lungheorecchie pendenti e gli occhi intenti nello sguardofiducioso apre la sfilata degli animaliers a Torino.

Paolo TroubetzkoyIl cane del ministro WuittéBronzo, altezza cm. 18. Firma in italiano. CartiglioSperati.Un riferimento al personaggio politico connota labella immagine in attesa. Rivela la bravura e la passio-ne dello scultore russo per la rappresentazione ani-malistica, che fu proprio lui ad introdurre e favorirepresso i colleghi scultori.

Odoardo TabacchiCagnolino levrieroBronzo, altezza cm.9,5. (foto a pag. 33)Pronto a scattare, questo cane appiattisce le zampeanteriori ponendo in forte risalto le eleganti curve deldorso e delle zampe. La patina quasi dorata rivela lacura dell’opera di un artista importante.

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Gatti (?)Cane a riposoBronzo, altezza cm.16. Piccolo cartiglio della Fonderiaartistica Emilio Sperati.Accucciato in paziente attesa, questo fedele animalesembra attendere un segnale del padrone. Una caldapatina pone in risalto i valori plastici della figurettapreziosa.

Ferruccio CrespiCavallino all’abbeveraggioBronzo, altezza cm 19. Firmato e datato Crespi 1890.Timbrato D. Barzaghi FUSE.L’animale giovane dalla criniera ricercata si disseta inun momento di sosta che tutto il suo corpo esprime,offrendosi liscio e morbido alla carezza della luce.

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Paolo TroubetzkoyCavallo della slittaBronzo, altezza cm. 20.Il principe russo riprende qui il tema già svolto, iso-lando in riposo un cavallo appesantito dal freddo edalle fatiche espressione di un approccio sociale eambientale significativo nell’opera dello scultore.

Tancredi PozziTafani molestiBronzo, altezza cm. 48.Timbro della Fonderia Sperati.Un cavallo dalle forme possenti,certo da tiro,si volge inuna sosta a scacciare col muso e con la zampa poste-riore destra un insetto insistente.È un bronzetto di resaed effetto immediato sulle forme del quale la luce sifrange con effetti particolarmente vivaci.

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Michelangelo MontiElefanteBronzo, altezza cm. 25. Piccolo timbro della FonderiaSperati.In Piemonte l’elefante fu noto e presente nelle ména-géries reali. Ciò sa lo scultore che rappresenta quiforse quel famoso Fritz che ebbe una vicenda quasicommovente a Stupinigi. Le lunghe zanne rivelano unpossente giovane animale; le pesanti zampe mostranouna cattività rassegnata.

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Giuseppe GiordaniCamoscioBronzo, altezza cm. 23.Timbro con il nome di EmilioSperati.Su una base in marmo rosso d‘Africa una roccia conun camoscio in vedetta. Immagine classica di monta-gna in uno dei parchi del Piemonte, sorto dall’abban-dono delle rotte delle cacce reali.

Pierre Jules MènePiccolo CervoLeprottoBronzi, altezze cm.12 e cm.7,5. (foto a pag. 38)Firmati: Mène e con traccia di cartiglio di fonderia.Sono esempi dell’arte celebratissima di Pierre JulesMène che in Francia e in tutta Europa fu artefice con-teso per le sue opere, soprattutto per i bronzetti piùminuti in cui s’addensa l’osservazione naturalistica e incui si esprime una ricerca tecnica di altissima qualità.

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NEL RICORDO DI GOZZANO

I BRONZETTI DEL MELETO

“Andai vagando nel silenzio anticotriste perduto come un mendicanteMezzanotte scoccò, lenta, rombantesu quel dolce paese che non dico.La luna sopra il campanile anticopareva un punto sopra un i gigante”

G.Gozzano La via del rifugio Torino 1907

“Il Meleto non va visitato come un museo di anti-chi arredi e polverosi ricordi ma letto come unapoesia e le sue stanze le si devono sfogliare unadopo l’altra come altrettante pagine di un libro diversi: i versi di Guido Gozzano”. (Lilita ConrieriGuido Gozzano Il Dolce Paese che non dico, II ediz.,Torino,1996).Fa eco la voce dei ragazzi di una classe secondamedia di Agliè; “Dalla strada comunale un vialemolto curato punta diritto verso la villa, in mezzoun tappetino di verde erba, ai fianchi le rose, le gli-cini e i vecchi meli che diedero il nome alla tenu-ta. Il cortile della villa è dominato da un’ampiaaiuola con magnolie secolari che fecero ombra aGuido e che testimoniano l’immortalità della suaviva voce” (Guida ai luoghi gozzaniani di Agliè acura della Scuola Media Olivetti di Agliè, Classe IIB,Anno scolastico 1977-78).È un invito a varcare il can-celletto del giardino, a guardare la semplice facciataa capanna affrescata - secondo la moda proprio natanel 1902- con esili e raffinati racemi liberty che rica-mano una immaginaria grande glicine arabescata.Masentiamo ancora i ragazzi: “Entrando nella sala dapranzo e nelle sale successive sembra di essere tra-sportati leggeri e invisibili in una festosa sera diun secolo felice, in una signorile dimora tra sfarzie preziosismi…”.

Qui Guido venne a scrivere, a studiare. La biciclettagli consentiva di muoversi fino al paese, al castellosabaudo di Agliè… Si fermava a lungo a vedere i colo-ri del Canavese, quando iniziava la lunga stagioneinvernale.Qualche volta questo spazio gli pesava. Il 12 novem-bre 1907 - è l’anno in cui viene pubblicata la suaprima raccolta di versi, la Via del Rifugio,ma è anchel’anno in cui i medici fanno per i suoi malanni unadiagnosi severa, tubercolosi - Guido scriveva dalMeleto ad Amalia Guglielminetti: “Sono solo, unicosuperstite del Meleto; mio fratello è in collegio, miamadre è via da più settimane e io sono qui conl’ultime foglie. Le voglio vedere cadere tutte, primad’‘inurbarmi’: ce ne sono ancora tante! Sul frutteto,

sul pergolato, a zone di porpora e d’oro…D’innanzi a me, nel quadrato della finestra c’è untiglio che quest’anno non vuole ingiallire: è ancoravitale, tutto verde, come la Speranza; credo che laprima neve lo troverà con tutte le sue foglie… Io equel tiglio ci somigliamo un poco…”.Intorno a lui, nel salotto di gusto Napoléon III, nel-l’angolo su due mensole ecco, festosi nella gestualitàdanzante, due bronzetti: un omaggio alla moda deltempo.Di là, nello studio altri bronzetti s’appoggianosulle étagères, sostengono fiori di lampade.. propriodove s’apre il libro più caro allo scrittore. Rimessocon cura, come si pensa fosse al tempo di Guido,l’arredo del Meleto riprende tutti i motivi così benritratti dal poeta:“Penso l’arredo che malinconia!penso l’arredo squallido e severoantico e nuovo: la pirografiasui divani corinzi dell’Impero,le cartoline delle Bella Oteroalle specchiere..che malinconia!”.Diciassette anni dopo la morte di Guido un busto inbronzo, opera di Leonardo Bistolfi fu innalzato alAgliè, proprio davanti alle scuole.“Nel ricordo degliammiratori, amici, concittadini vive” dicel’iscrizione sul semplice lastrone marmoreo.

Nel “salotto di nonna Speranza” dietro “il granlampadario vetusto” due bronzetti gesticolanti.

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LA DOCUMENTAZIONE

GLI SCULTORI

Schede biografiche a curadi Giuliana Brugnelli Biraghi

BAZZARO ERNESTO (Milano 1859-1937), fratello delpittore Leonardo. Era l’amico più caro di Sperati. È unodei protagonisti più rappresentativi della scultura lom-barda allo scorcio del XIX secolo. Formatosi a Brera elegato al movimento della Scapigliatura, fu influenzatosoprattutto dal pittoricismo di Giuseppe Grandi,attrattoanche dalle ricerche luministiche del pittore TranquilloCremona e dagli esiti impressionistici nell’uso delmodellato di Medardo Rosso,formatosi con lui a Milano.Apprezzato come ritrattista, tratta anche soggetti dellavita quotidiana ed esotici,tipici del gusto orientalista cheincontrava il favore del pubblico nell’Europa del tempo(Beduina portatrice d’acqua, Donna che allatta sulcammello in Collezione Sperati) ed è autore di numero-si monumenti per il Cimitero Monumentale di Milano.Fu anche incisore all’acquaforte.

BEZZOLA ANTONIO (Campione d’Italia (Co)1846-Milano1929). Frequenta l’Accademia di Brera sotto laguida di Hayez, Strazza,Magni.Di quest’ultimo è allie-vo accanto a Barzaghi con cui realizza il bassorilievodel monumento a Napoleone III a Milano.Dopo un’attività nella Fabbrica del Duomo, si trasferi-sce a Londra dove esegue alcuni busti. Risente neimonumenti sepolcrali, nei ritratti e nelle opere digenere, del gusto impressionista scapigliato diG.Grandi. Espone a Vienna, Londra,Milano dove nellaGalleria di Arte Moderna si conservano sue opere.

BISCARRA CESARE (Torino, 1866-1943), figlio del pit-tore Carlo Felice. Studia all’Accademia Albertina conOdoardo Tabacchi e poi passa nello studio di Bistolfi

(tra il 1899 ed il 1901). È autore di monumenti pub-blici, ma soprattutto si specializza in vivaci figurine ein piccoli bronzi di animali che espone al Circolodegli Artisti (1885) e alla Promotrice (1891). Tra ibronzetti Sperati emergono per intensità: Cacciatorecon cane, Prima Midaia, In mutande, Calamaiofigurina. Con una modellazione pronta e vibratal’artista riesce a trasfondere nella creta e da questa albronzo, l’espressiva vivacità dei soggetti ch’egli osser-va e riproduce dal vero. Nel 1905 presenta a Venezia“Medina”, ora alla GAM si Torino. Nel 1926 va inSomalia per alcuni anni e nel 1931 espone a Roma:Cammello, Elefante, Donna somala.

BISTOLFI LEONARDO (Casale Monferrato, 1859-1939). È uno degli scultori più importanti e discussitra otto e novecento.Fu anche pittore e disegnatore.Frequenta all’Accademia di Brera il corso di sculturaattratto dai modi impressionistici di Grandi e dagliartisti della Scapigliatura. Dal 1879 si stabilisce aTorino - deluso da Giuseppe Grandi che non accetta-va allievi - e studia all’Accademia Albertina con ilTabacchi. Nel 1882 apre uno studio per conto suo ecomincia ad eseguire piccoli bronzi di carattere aned-dotico (Bambino sul cavallo a dondolo) e si dedicaalla pittura di paesaggio. Nel 1902 con Thovez eCalandra è tra i fondatori della rivista “L’Arte decora-tiva moderna” ed è tra i principali promotori dellafamosa Esposizione internazionale - che diffonderàlo stile Liberty a Torino - per la quale egli disegna ilmanifesto. Partito dal verismo lombardo dagli anniNovanta egli si avvicina sempre più al simbolismointernazionale, facendo un uso particolare dell’allego-ria e accentuando il senso lineare e decorativo. Scrived’arte, intrattiene corrispondenza con letterati epoeti - famoso il carteggio con Pascoli - e si dedicasempre più alla scultura funeraria.Dal 1890 partecipaattivamente alla vita artistica torinese e frequenta lacerchia di intellettuali di casa Lombroso entrando in

contatto con la scienza positivista (a Palazzo LascarisTarga tombale dedicata a Cesare Lombroso). Tra il1892 e il 1895 stringe rapporti con i pittori del grup-po divisionista: Previati, Pellizza, Segantini. I numerosiallievi formatisi alla sua scuola divulgheranno il cosid-detto“bistolfismo”, che degenerò nell’imitazione degliaspetti più superficiali del decorativismo del maestro.Una ricca documentazione della sua scultura è conser-vata nella Gipsoteca di Casale Monferrato.

BORELLI STEFANO (Mondovì ?-?).Autore in collezio-ne Sperati del bronzetto che ritrae il fonditore, èricordato come presentatore di opere alla mostradella Società Promotrice delle Belle Arti nel 1915 enel 1918.

CALANDRA DAVIDE (Torino 1856-1915). Allievo diTabacchi all’Accademia Albertina. La successiva espe-rienza da lui svolta nei Reggimenti di cavalleria gli sug-gerirà gran parte della sua produzione artistica. Dallefigurette seducenti del periodo giovanile (Fiore di chio-stro, Testina spagnola) si volgerà prevalentemente versola scultura a carattere storico, in cui si notal’osservazione attenta per tutti i soggetti inerenti alla vitamilitare:Dragone del Re, Guerriero della Gallia con tro-feo bellico, una bellissima testina di Saraceno (1881).Nel 1892 con il bozzetto vince il concorso per il monu-mento al principe Amedeo d’Aosta (al quale aveva par-tecipato anche Bistolfi), che lo terrà occupato per 10anni e gli procurerà grande fama, onorificenze e incari-chi pubblici. In quest’opera, che fu inaugurata nel 1902in occasione dell’“Esposizione internazionale d’Artedecorativa moderna”,il verismo della statua equestre delDuca contrasta con il pittoricismo dei rilievi del basa-mento esaltante l’epopea sabauda, di evidente influssoLiberty. È autore di altri numerosi monumenti di perso-naggi illustri per varie città italiane, a volte portati a ter-mine con la collaborazione di Edoardo Rubino, comequello del re Umberto I a cavallo,collocato a Roma aVilla

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Borghese.CARESTIA ZEFFIRINO, vercellese (1854-1908). Si per-feziona all’Albertina sotto la guida del Tabacchi e poiva a Roma. Rappresentante del romanticismo scapi-gliato di gusto lombardo, è autore di busti, bassorilie-vi e monumenti.Comincia la sua attività scolpendo lestatue dei Giganti per il monumento del Traforo delFréjus a Torino. Molte sue opere sono conservate almuseo civico di Novara, fra cui “Umberto I a cacciainValsavaranche”, presente in bronzetto anche nellaCollezione Sperati.

CARMINATIANTONIO (Brembate di Sotto (Bg) 1859-Milano 1908).Studia prima a Brera poi all’Albertina diTorino con Odoardo Tabacchi, infine a Roma conGiulio Monteverde. Partecipa al concorso per ilmonumento di Dante a Trento (1894) e vince quelloper Giuseppe Verdi a Milano. (1906) Realizza semprea Milano diverse opere, lavora nella Fabbrica delDuomo. Nei suoi ritratti e bronzetti si ravvisano inte-ressi sociali. Del busto di donna “Tentazione”, pre-sente in Collezione Sperati, l’originale fu esposto aMilano nel 1899.

CONFALONIERI FRANCESCO (Costa Masnaga (Co)1850- Milano1925). Studia con lo Strazza a Brera, poi èaiuto di Vincenzo Vela. Dal 1887 è docente di sculturanell’accademia milanese. Le sue numerose opere pub-bliche, molte di soggetto religioso, gli diedero notevo-le fama. “Mirra”, un’opera tra verismo e sentimentali-smo romantico, fu premiata a Milano nel 1879.Oggi èivi, nella Galleria di Arte Moderna. Con “Saffo”(1876,riproposta anche aTorino nel 1884) Confalonieri vinseil Premio triennale di scultura. L’opera fu acquistata dare Umberto I che la donò alla sorella, Maria Pia delPortogallo. Nella Collezione Sperati è suo il bronzettoche ritrae Alessandro Manzoni.

CRESPI FERRUCCIO (Busto Arsizio (VA), 1861-1891).

Autore soprattutto di opere a soggetto militare eritratti di gusto verista. Espone alla Promotrice nel1884 e in altre città. Nella Collezione Sperati è pre-sente con un “cavallino all’abbeveraggio”.

FORCHINO GIOVANNI BATTISTA (Torino ?-?).Artista di buon livello, esprime notevoli capacità pla-stiche ed un’inventiva variegata: doti rilevabili neibronzetti Sperati che con il suo nome sono traman-dati: l’orologio liberty con la figura di Sardanapaloche ruba le vergini; lo splendido Trofeo per il canot-taggio con il Varo della nave; l’inquietante Timbromacabro. Dal 1904 espone alla Società Promotricedelle Belle Arti.

FUMAGALLI CELESTINO (Torino 1864 (1867) –Milano 1941). Fu orafo, argentiere. Compì gli studiall’Accademia Albertina con Leonardo Bistolfi.Divenne scultore richiesto: sua opera fu l’angelo inrame posto sulla guglia della Mole Antonelliana.Espose alla Promotrice delle Belle Arti dal 1890 e alCircolo degli Artisti dal 1893. Ebbe una fonderia inproprio in cui realizzò diversi bronzi di intonazionescapigliata, oggi alla Galleria di Arte Moderna diMilano. Del 1906 è “Libellula” alla Galleria di ArteModerna di Torino.

GINOTTI GIACOMO (1837-1897) valsesiano, allievodi Vela e di Tabacchi all’Accademia Albertina diTorino, dal 1865 al 1869. Da questi maestri deriva ilverismo sensuale e a tratti pittorico della sua produ-zione di figurette di giovani donne dalle forme esu-beranti. Il tema del nudo e dell’eros andava semprepiù diffondendosi. A Roma, dove si trasferisce perquindici anni, modella fra l’altro la Schiava dal belcorpo vigoroso e ricco di tensione dinamica, operamolto replicata nel marmo e nel bronzo, che ebbelargo consenso e sarà ripetutamente premiata otte-nendo la medaglia d’oro all’Esposizione di Parigi del

1878. Fu presentata alla Mostra del Centenario dellaSocietà Promotrice delle Belle Arti (1942) dallaGalleria di Arte Moderna di Torino. Molti suoi gessisono conservati nella pinacoteca diVarallo Sesia e allaGAM diTorino si trovano anche la Petroliera, un altrodei suoi successi che raffigura una fiera popolana el’Agricoltore, realistica testa bronzea fortementeespressiva esposta alla PromotriceTorinese nel 1894.

GIORDANI GIUSEPPE (1860-1888), valsesiano. Studiaall’Accademia Albertina ed è autore di monumentifunerari, busti, bassorilievi, opere di genere e di ani-mali. Dal 1884 espone alla Promotrice (“FioreAlpino”) e nel 1887 al Circolo degli Artisti. NellaCollezione Sperati è presente con il “cane Fido” econ un “camoscio”.

GRANDI GIUSEPPE (Ganna (VA), 1843-1894). Natonel varesotto come Tabacchi è tra i più significativiscultori della seconda metà dell’Ottocento. Studiaall’Accademia di Brera come allievo del ticineseVela, poi diviene assistente di Tabacchi all’Albertina.Tornato a Milano, partecipa al movimento anticon-formista della Scapigliatura con i pittori Cremona eRanzoni - che avevano studiato con lui a Brera - cer-cando di ottenere nella scultura i risultati da essi rag-giunti nella pittura.Tutta la sua produzione è carat-terizzata dalla ricerca di un marcato pittoricismoclassico, che compare già nel monumento milanesea Cesare Beccaria (1871), una delle sue primeopere, scolpito prima nel marmo e poi sostituito daquello in bronzo. Più tardi eseguirà il monumentoalle Cinque Giornate di Milano, che lo renderàfamoso. Fra i molti ritratti va ricordato il MarescialloNey, in cui lo scultore si era ormai liberato da ogniaccademismo.Grandi ha avuto una notevole influenza su quasi tuttigli artisti del suo tempo. In particolare Bistolfi,Medardo Rosso e Troubetzkoy impareranno da lui la

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lezione di una “scultura vibrante nello spazio enella luce”.Alla GAM di Torino è presente con il belbronzo di Beethoven giovinetto (1874) e numerosesue opere si conservano nella Galleria d’ArteModerna di Milano. In Collezione Sperati notevole è ilsuo bronzetto raffigurante Cesare Beccaria e il tra-sgressivo “Putto fontana”.

GRIMALDI STANISLAO (Chambéry 1825-1903).Pittore e scultore. Allievo alla R.Accademia Militare diTorino, studia pittura con Gonin. Partecipa alla primaGuerra per l’Indipendenza del 1848/49, realizzandoun album di fotografie delle campagne militari perincarico del ministro Alfonso La Marmora, per cuivenne nominato professore all’Albertina. Diventadisegnatore di cavalli per il Re e ne esegue modellibronzei, realizzando infine il monumento equestre alLa Marmora, di piazza Bodoni a Torino, che vennefuso da Emilio Sperati nel R.Arsenale (1889) e inau-gurato nel 1891.

LANCERAY EUGENIO ALEXANDRONOVIC (SanPietroburgo 1848 - 1886). Artista russo vissuto alungo a Parigi dove produsse centinaia di statuette edi piccoli gruppi in bronzo.Sono cavalli, cavalieri,arabi, spesso ambientati nel deserto africano e per-sonaggi del suo paese. L’edizione completa fu realiz-zata dalla fonderia Susse. Altre sue opere venneroedite e San Pietroburgo dal fonditore Chopin e inPolonia. Sono spesso firmati in caratteri cirillici. Incollezione Sperati “L’addio del cosacco”.

MARAZZANI VISCONTI conte AGOSTINO (Piacen-za?-?). Buon animalista, partecipa con alcune operealla rassegne della Società Promotrice delle Belle Artidel 1892 e del 1893, apprezzato da re Umberto I cheacquista una sua opera. In Collezione Sperati compa-re un piccolo monumento equestre di Amedeo diSavoia, forse tratto da una prova per il concorso del

monumento.MAROCHETTI CARLO (Torino 1805-1867). Si forma aParigi ed opera prevalentemente in Francia e aLondra, ma lascia in patria la sua opera migliore:ilmonumento equestre di Emanuele Filiberto (1838),che rinfodera la spada dopo la battaglia di SanQuintino. La grande scultura gli fu ordinata da CarloAlberto: è opera di accento romantico, felice per laspontaneità del movimento e l’effetto luministico.Nel 1861 si inaugurerà a Torino anche il monumentoa Carlo Alberto. Del relativo bronzetto nellaCollezione Sperati rimane solo il basamento bronzeocon fregi di misure ridotte. Altre opere del Marochettisono a Torino alla GAM, al museo del Risorgimento eall’Accademia Albertina.

MÈNE PIERRE JULES (Parigi 1810-1879). È il piùimportante animalista francese del XIX secolo. Esegueopere bronzee di piccolo formato, molto riprodotte,caratterizzate da un’attenta cura dei minimi particolarie delle pose tipiche degli animali ritratti. Nel 1838costruisce la fonderia e comincia ad esporre le sueopere ottenendo premi ai Salons parigini. In collezioneSperati “Piccolo cervo”e“Leprotto”.

MONTI MICHELANGELO (Milano 1875-Torino 1946).Allievo a Brera sotto la guida di Barzaghi e Bazzaro, sitrasferisce a Torino nel 1895, dove seguiràl’insegnamento diTabacchi.Vicino al pittoricismo lom-bardo, realizza monumenti, busti, ritratti, eleganti sta-tuette di donne. Si accosta a Bistolfi e acquista formeplastiche più decorative. Nel 1911 concorre per ilmonumento della Regina Margherita a Bordighera.NelCanavese realizza alcuni monumenti ai Caduti (Corio,San Maurizio, San Francesco al Campo). Alla Gam diTorino è il suo “Ritmo di danza antica”. In CollezioneSperati compare come animalista con un realistico“Elefante”.

POZZI TANCREDI (Milano 1864-1924). Studia all’Ac-cademia Albertina di Torino ed è autore del Monu-mento in memoria di re Umberto I, colonna comme-morativa eretta sul colle di Superga e inaugurata inoccasione dell’inaugurazione della Esposizione diArte Decorativa Moderna del 1902.Nella Collezione Sperati si trova il bronzetto di uncavallo (“Tafani molesti”), uno dei suoi soggetti prefe-riti,che era stato esposto in gesso a Bologna nel1888.L’opera comparve anche nel citato Catalogo delCentenario della Promotrice del 1942 con il nomedel collezionista, Rag Benedetto Fiore. Alla GAM diTorino è conservato il bronzo“L’odio”del 1915.

ROSSO MEDARDO (Torino 1858-1928). Pur essendotorinese, si formò a Milano,dove si era trasferito con lafamiglia, negli stessi anni di Bazzaro, aderendo al climaantiaccademico della Scapigliatura lombarda i cuiriflessi si rivelano fin dalle sue prime opere,plasmate aMilano negli anni ottanta con soggetti di genere: testi-ne di donne e bambini di cui fa parte probabilmenteanche lo “Scugnizzo”, testa di ragazzo dallo sguardobirichino, della Collezione Sperati. Nel 1889 andò arisiedere a Parigi dove maturò, a contatto conl’esperienza impressionista, il suo linguaggio.Rifiutando ogni schema, deformando la realtà, egliriuscì a ottenere figure quasi evanescenti nella luce,plasmandole nella cera, nel gesso e nel bronzo, trasfe-rendo alla plastica alcuni effetti tipici della tecnica pit-torica. Sue opere sono nel Museo Rosso di Barzio(Lecco).

RUBINO EDOARDO (Torino 1871-1954). Si formaall’Accademia Albertina, sotto la guida di Tabacchi.Compie il tirocinio nello studio di Bistolfi, accostan-dosi al gusto Liberty allora dominante. Dal 1891comincia ad esporre regolarmente a tutte le mostredella Promotrice.È autore di ritratti, busti, bronzetti simbolisti e di

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monumenti funerari.Dotato di talento naturale che lofaceva apprezzare per la sua abilità, in occasione dellaEsposizione Nazionale del 1898 ebbe l’incarico dimodellare la statua allegorica della Dora per laFontana dei Mesi ideata dal Ceppi. Per il successoottenuto gli fu affidata anche l’esecuzione di altrigruppi di statue e di nuovo per l’Esposizione del1902 gli fu commissionato il gruppo delle fanciulledanzanti (allegoria delle Arti decorative?) per il padi-glione centrale della mostra. Comincia anche a lavo-rare con Davide Calandra, che lo vuole come suo col-laboratore e per il quale terminerà alcune operedopo la sua morte.Vince diversi concorsi fra cui quel-lo per la facciata del nuovo palazzo della Promotriceal Valentino (1919).Nell’età matura,divenuto una figura di rilievo nella vitaartistica torinese, si orienterà verso forme più austere,rinunciando ai ritmi decorativi dell’arte floreale. NellaCollezione Sperati si trovano alcuni dei suoi bronzettipiù noti come la Gressonara e la Pragelatina, doveappare ancora legato a moduli veristi.Varie sue operesono conservate alla GAM diTorino.

SASSI FRANCESCO (Vercelli 1870-1943). Studiaall’Accademia Albertina con Tabacchi ed è autoresoprattutto di opere pubbliche e monumenti funebri.Poi si accosta ai modelli liberty e nel 1899 modellaalcune statue per la Fontana dei Mesi ideata dal Ceppial Valentino. È opera sua, in Collezione Sperati, unatarga del 1902 raffigurante Maria Cristina Gribaudi.

STAGLIANO ARTURO (Cuglionesi (Cb) 1867 - Torino1936). Studia a Napoli con Domenico Morelli fino al1894. Ad Anacapri, dove vive alcun tempo, conosceBistolfi. Lo segue a Torino dedicandosi alla scultura.Esegue la medaglia che la città di Casale offre aBistolfi per il successo all’Esposizione di Venezia. Èautore di monumenti ad Aosta,Treviso, Alba, Cuneo,Novara.Partecipa concorso per il monumento al prin-

cipe Amedeo.Nella attività svolta in età più matura segue l’evoluzionestilistica di Bistolfi con opere più classicheggianti e sin-tetiche. Espone ripetutamente alla Società Promotricedelle Belle Arti a Torino e alle mostre del Circolo degliArtisti. Realizza bronzetti e monumenti funerari. InCollezione Sperati ha una interessanteTesta di donna.

TABACCHI ODOARDO (Valganna (Va) 1831-1905).Studia scultura all’Accademia di Brera, poi va a perfe-zionarsi a Firenze, attratto particolarmente dalBartolini, quindi a Roma. Nel 1868 ritorna a Milanodove lavora per committenze private e monumentifunebri.Nel 1868 è chiamato aTorino per succedere aVincenzo Vela alla cattedra di scultura all’AccademiaAlbertina, ove insegnerà fino alla morte, formando allasua scuola quasi tutti gli scultori dell’epoca. Cominciaper lui un periodo di grande operosità che va dalla pro-duzione di monumenti storici a quelli funebri,dalle sta-tue di personaggi famosi alle sculture ‘di genere’ conbronzetti di giovani donne sensuali e seducenti comel’amatissima‘Tuffolina’ (ragazza che si tuffa da uno sco-glio) di cui gli furono richieste centinaia di copie. Nel1884 egli aveva fatto venire da Milano Emilio Speratiper affidargli la fusione di tutte le sue opere, a comin-ciare dal Monumento a Garibaldi (collocato in corsoCairoli), a cui seguono quello del generale Alfonso LaMarmora per Biella e quello a Giovanni Lanza, perCasale Monferrato. Il Tabacchi segna il passaggio dallavisione veristica descrittiva del Vela alla visione sim-bolista; all’esperienza accademica milanese unisceaneliti scapigliati, arrivando alle soglie del Liberty,senza parteciparvi pienamente. In collezione Sperati“Michelangelo”, “Arnaldo da Brescia”, “Alfonso laMarmora”, la “Bagnante”,“Cagnolino levrerio”.

TROUBETZKOY PAOLO (Intra 1866-1938). Di nobilefamiglia russa, riceve i primi insegnamenti dalRanzoni e da Bazzaro e studia le opere del Grandi,

risentendo l’influsso del suo pittoricismo plastico.Compie frequenti viaggi anche all’estero. Nutre unprofondo amore per il mondo animale ed è un ani-malista di rara vivacità. Diventa un grande ritrattista,molto richiesto dalle signore della borghesia e dellavecchia aristocrazia, per la capacità di intuire il per-sonaggio e per la naturalezza con cui sa coglierel’espressione del soggetto.Tra i più felici è il ritrattodi Segantini, colto in una delle sue pose più consue-te. Dal 1886 al 1896 abitò a Milano, frequentando gliScapigliati insieme al fratello Pietro, pittore. Esegueanche opere di carattere monumentale, fra cui l’assaidiscussa statua equestre dello Zar Alessandro III, fusaa San Pietroburgo da Emilio Sperati. Nella Collezionedi Palazzo Lascaris è il bronzo della Slitta (Izsvozcik),modellato con vivacità e pittoricismo di ascendenzascapigliata. Nel Museo del Paesaggio di VerbaniaPallanza è conservata la sua gispoteca, rappresentati-va di tutta la sua attività.

VELA VINCENZO (Ligornetto (Canton Ticino) 1820-91). Dopo aver lavorato da bambino nella cave comescalpellino, a dodici anni si stabilisce a Milano a lavo-rare con i marmisti del Duomo mentre frequental’Accademia di Brera e lo studio del Cacciatori; madopo aver conosciuto Bartolini, si sente attrattosoprattutto da lui per lo studio dal vero: diverrà unodei più importanti esponenti del realismo.Dopo avervinto diversi premi ai concorsi di scultura, lascial’Accademia e va a Roma, dove lo studio di Michelan-gelo e Bernini sarà decisivo per la sua arte. Qui ese-gue lo Spartaco, uno dei suoi capolavori, che presen-ta dopo aver combattuto come volontario nelleCinque Giornate del 1848. Nel 1852 è invitato a Tori-no dai patrioti piemontesi dove gli verrà offerta la cat-tedra di scultura all’Accademia Albertina, che terràper un decennio, influenzando tutta la cultura figura-tiva italiana.Ma nel 1867,deluso e amareggiato per l’esito del con-

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DALL’ARCHIVIO SPERATI

di Giuliana Brugnelli Biraghi

L’Archivio Sperati, conservato dal Consiglio Regio-nale del Piemonte in Palazzo Lascaris, è costituito dacopie di una serie di documenti che la figlia Luisaconsegnò al tempo della Donazione dei bronzetti.Ne riportiamo un breve elenco:

1. Carta d’Ammissione di Emilio Sperati alla “Scuo-la di Ornato” dell’Accademia di Brera (28 novem-bre 1874).

2. Carta d’Ammissione di Emilio Sperati alla “Scuoladi elementi di figura” (21 febbraio 1877).

3. Carta d’Ammissione di Emilio Sperati alla “Scuoladi Architettura” (23 novembre 1883).

4. Dichiarazione del Sindaco di Biella che attestache il monumento al generale La Marmora, delTabacchi, è stato fuso “con maestria” dallo Sperati(24 settembre 1889).

5. Dichiarazione di Odoardo Tabacchi che attesta laperizia con cui Emilio Sperati ha fuso, per suo ordi-ne, le statue colossali: Garibaldi per Torino, La Mar-mora per Biella e il monumento Lanza per Casale (6dicembre 1889).

6. Lettera del Ministro Rattazzi, che comunica alloSperati la nomina da parte del Re a Cavaliere dellaCorona d’Italia, per la fusione del Monumento alGenerale La Marmora, inaugurato in quel giorno aTorino (20 ottobre 1891).

7.Altra lettera del Rattazzi al “Cavalier Emilio Spera-ti” per l’invio del Diploma Magistrale relativo all’o-

norificenza conferitagli “motu proprio” dal Re (14dicembre 1891).

8. Il Comitato Esecutivo dell’Esposizione Generaledel 1898 nomina lo Sperati a far parte della Com-missione per l’organizzazione della sezione “Mobili,lavori ed utensili in metallo” della Divisione indu-strie e manifatture” (19 febbraio 1896).

9. Comunicazione della nomina a rappresentantedella classe degli Industriali nel 1° Collegio deiProbi-Viri di Torino, per le Industrie metallurgiche emeccaniche (19 aprile 1898).

10.Articolo del giornale “La Lombardia” del 15ottobre 1898 che rivendica l’origine milanese diEmilio Sperati, erroneamente definito “torinese”.

11. In “Revue universelle Internationale illustréede Genève”, articolo “La fonderie artistique et lesremarquables travaux de M.le chevalier Emile Spe-rati à Turin” (Novembre 1898).

12. Sperati cav Emilio “Brevi cenni sullo sviluppodella propria industria” (senza data ma Torino,1898).

13. Sperati è rieletto membro dell’Ufficio di Conci-liazione dei Probi-Viri. Comunicazione del Presi-dente dei Probi-Viri che gli rinnova la nomina (15maggio 1900).

14. Contratto di lavoro per gli operai: proposte diEmilio Sperati (12 giugno 1900).

15. “Il Fischietto” annuncia che il 7 maggio saràinaugurato il monumento al Principe Amedeo, fusodal Cav. Sperati e il giorno successivo si inaugureràsul colle di Superga la colonna votiva in memoria

di Re Umberto, dello scultore Rubino (6 maggio1902).

16 .Lettera del Ministro della Real Casa che annun-cia allo Sperati la promozione da parte del Re a Uffi-ciale nell’ordine della Corona d’Italia, per la fusionedel monumento al principe Amedeo duca d’Aosta(10 maggio 1902).

17. Lettera del Ministro della Real Casa per trasmet-tergli il Diploma dell’onorificenza concessa dal Re(25 maggio 1902).

18. Telegramma del Comitato per il monumento aGaribaldi a Porto Maurizio che esprime entusiasti-che congratulazioni per la fusione compiuta dalloSperati (4 maggio 1904).

19.A Sperati è offerta la carica di Ispettore scolasti-co delle Scuole Officine Serali di via Ormea 63,angolo via Bidone, a Torino (26 gennaio 1909).

20. Nomina a membro del Comitato Esecutivo perl’importante Gara Nazionale e Internazionale dellaprimavera 1911, per il 5° anniversario del Regnod’Italia (1° marzo 1910).

21. Lettera di accompagnamento della Relazione(mancante) sulla festa di inaugurazione del monu-mento a Carlo Alfonso Bonafous, modellato e fusodallo Sperati (31 dicembre 1913).

22. Lettera di ringraziamento del Bistolfi agli amici(tra cui lo Sperati) per la partecipazione per il pre-mio da lui ricevuto e la nomina a Senatore delGoverno Nazionale (marzo 1923).

23. Necrologio per la morte di Emilio Sperati(“Il Nazionale” del 5 settembre 1931).

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L’AVVENTURA DELLA COLLEZIONE

Sono otto fogli battuti a macchina.Conservati nel picco-loArchivio della Collezione Sperati contengono il primooriginale elenco della donazione fatta dalla Signora Luisa.Cento bronzi, ottantacinque dipinti e quarantacinquepezzi fra ceramiche,porcellane,gessi, terrecotte, tappeti,oggetti vari… perfino otto pipe e quattro cuscini dicuoio.Consunti, specifica una annotazione fra parentesi.Il giorno ventotto aprile 1980 in Magliano Alfieri lasignora Luisa Sperati vedova Mezzalama, in presenzadi due testimoni, stilava di fronte a Ferrero Italo diAndrea, notaio in Alba, l’atto di donazione all’EnteRegione Piemonte del complesso di oggetti e diopere d’arte ereditato dal padre.La donazione è fatta “a condizione che detti benivengano custoditi e ambientati nelle sale di Palaz-zo Lascaris in Torino via Alfieri”. Si precisava che“quelli di detti beni che dall’Ente donatario fosseroritenuti non adatti allo scopo avrebbero dovutoessere consegnati alla Suore Minime del Suffragiodi via San Donato 31 a Torino”.Nell’atto non era attribuito un valore ai beni donati: siauspicava che l’Ente, in sede di accettazione delladonazione, si sarebbe avvalso delle perizie di esperti.Il 15 giugno 1982 sulla Gazzetta Ufficiale compariva“in sunto” il decreto del Presidente della Repubblicadel 19 marzo di quell’anno, segnato con il numero356. L’onorevole Clelio Darida, in veste di guardasigil-li, siglava l’autorizzazione alla Regione Piemonte adaccettare quella donazione che, si precisava, all’epocaera “del valore stimato di lire 108.800.000”.Si compiva così, con atti ufficiali, una volontà stimolata ecaldeggiata dal medico curante della Signora, il dottorEnrico Gastaldi, consigliere regionale, membro del grup-po consiliare del partito repubblicano,residente in Prioc-ca d’Alba dove la signora,malata,si era da tempo stabilita.

Il Palazzo Lascaris, la “casa di tutti i Piemontesi”, appe-na restaurato, accoglieva così il complesso di valorid’arte che giungeva ad arricchire i già prestigiosiambienti.Quante erano le opere? Rispetto all’elenco,cidice Michelangelo Fessia - che dopo Mario Pugno econ Claudio Minnicelli è curatore di questo patrimo-nio - le opere di fatto sono cresciute al momento incui, con la presenza di esperti sono state valutate a finiassicurativi. Importante a questo punto è tener pre-sente che tutte le informazioni sulle opere sono statetratte da quei ricordi che la Signora Luisa, malata e a

letto, cercava di ricordare. Tutto è stato fatto sullamemoria e noi in questa presentazione al pubblico deibronzetti della Collezione Sperati, a quelle definizioniabbiamo dato fede, limitandoci a correggere qualchenome vistosamente errato (Lanséré= Lanceray) e qual-che evidente confusione di autore o di titolo.Al momento della consegna delle opere alla RegionePiemonte si è presentato, immediato, il problemadella loro valorizzazione. Si sono fatte predisporrevetrine in cui sistemare i bronzetti più significativi esi è dato incarico a Giuliana Biraghi, storico dell’arte,di stilare un primo approccio per la storia della Col-lezione Sperati. È uscito così, nella seconda edizionedel volume “Palazzo Lascaris, tre secoli di vita tori-nese” un capitolo che rivelava l’esistenza della dona-zione. Poi il Consiglio Regionale, intendendo presen-tare al pubblico, in visite guidate, il patrimonio d’artedel Palazzo,ha fatto predisporre una piccola,preziosabrochure. Una signora anziana ha giocato con la suamemoria - dice ancora Michelangelo Fessia - ora sideve predisporre una sistemazione, museale idonea,una ‘grande vetrina’ per far conoscere tutta la colle-zione al grande pubblico.Nelle bacheche volute per l’allestimento permanente

dal Consiglio regionale del Piemonte a sinistrale statuette esprimono l’eleganza del nudo

mentre a destra compaionosignificativi bronzetti animalistici.

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BIBLIOGRAFIA

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INDICE DEI LUOGHI E DEI NOMI

Africa, 37Agliè, 5, 6, 87Agnello, vescovo, 26Aitelli Efisio, giornalista, 19Albera Marco, collezionista, 41Albertina Accademia di B.B.A,A., 31, 33Albertoni, scultore, 16Alessandro III, zar di Russia, 35, 36Alfieri Vittorio, poeta, 3Algeria, 37Alovisio Maria, collezionista, 40Amedeo di Savoia, principe, duca d’Aosta, 5, 12, 15, 18,

19, 20, 33, 34, 50Amedeo V di Savoia, 9Amedeo VI di Savoia, 19Amedeo VII di Savoia, 19Aosta, valli di, 54, 72Arcangelo, 57Arnaldo da Brescia, 1, 15, 32, 47Ashbee, 10Avogadro Amedeo, 16Avondo Vittorio, pittore, 20Baglioni, scultore, 16Barbo Cesare,monumento a, 16Balzìco Alfonso, scultore, 15, 16Banfi Achille, orologiaio, 17Baratti e Milano, confetteria, 17Barbédienne, bronzista, 32, 33, 37Barye, scultore, 37, 38Barzaghi Francesco, scultore, 30, 31, 88Bava Eusebio, generale,monumento a, 16Bazzaro Ernesto, scultore, 30, 36, 68, 69, 88Bazzaro Leonardo, pittore, 30, 88Behrens Peter, 12Belli G.scultore, 15Beccaria Cesare,monumento a, 56Beltrami G, 9Berlepsch, 10Bertarelli, guida, 13, 16Bezzola Antonio, scultore, 88Biancamano Umberto, 19Biella, 2, 31Bianchi Mosè, pittore, 20Biscarra Cesare, 16, 30, 32, 61, 74, 79, 88Bistolfi Giovanni, 79Bistolfi Leonardo, scultore, 7, 9, 11, 16, 19, 30, 32, 34, 35,

40, 55, 63, 79, 87, 88

Boffrand, scultore, 27Bonafous Carlo Alfonso, 36Bonaparte Letizia, principessa, 34Bonardi E., 11Borello, 16Bottero G.B., 10, 16Bourdelle, scultore, 27Bozzetti Cino, pittore, 20Branca Giulio, 74Brera, Accademia di B.B.A.A., 29, 30Bresci, anarchico, 20Brescia, 32, 47Bruxelles, 14, 78Bugatti Rembrandt, scultore, 9, 37, 38Buonarroti Michelangelo, statua, 31, 32, 46Cagni Umberto, esploratore, 57Calandra Claudio avvocato, 48Calandra Cravero Elena, 40Calandra Davide, scultore, 5, 6, 11, 12, 15, 18, 19, 20, 33,

34, 35, 40, 43, 48, 52, 71, 88Calandra Virginia, 40Calcaprino, bar, 17Calderini Marco, pittore, 20Calleri Arturo ( Caronte), caricaturista, 35Canal Antonio detto il Canaletto, 45Canonica Pietro, scultore, 16, 19Carena Felice, 20Carestia Zeffirino,scultore, 54, 89Carignano, palazzo, 14Carlo I duca di Savoia, 19Carlo III, duca di Savoia, 19Carlo Alberto, re di Sardegna, 7, 15, 19Carlo Emanuele I ,duca di Savoia, 19Carlo Emanuele II, duca di Savoia, 19Carlo Emanuele III di Savoia, re di Sardegna, 19Carminati Antonio, scultore, 64Carpanetto G.B., pittore, 9Carrera Pietro, architetto, 14, 16, 17Casale Monferrato, 31, 55Catamantaledes, guerriero, 48Cavalleri Vittorio, pittore, 19, 20Cavalli, generale,monumento a, 16Cavour,monumento a, 15, 31Cellini Benvenuto, scultore, 27, 31, 32Cena Giovanni, poeta, 20Ceppi Carlo, architetto, 14, 16Ceragioli Giorgio, 11, 16Ceruti, 9

Chicago, 28Chieri, 36Chini Galileo, 9Christies, casa d’aste, 56, 65Ciardi Giacomo, 20Cina, 25Circolo degli Artisti, 9, 19, 72Collas Achille, 28Colleoni Bartolomeo,monumento a, 45Cometti, 9Confalonieri Francesco, scultore, 56, 73, 89Contratti, scultore, 15, 20Costa Pietro, scultore, 14, 41Côte d’Ivoire, 37CraneWalter, 10, 12Cravero Davide, 40Cremona Tranquillo, pittore, 29, 88Crespi Giuseppe, scultore, 38, 83, 89Creta, 25Crimea,monumento a, 15Cristiania (Oslo), 57Cuneese, 54D’Aronco Raimondo, architetto, 8, 12, 17D’Azeglio Massimo,monumento a, 16Dal Bianco Mario,Antonietta, Ambra, Maria Pia, 40Darida Clelio, onorevole, 93Darmstadt, 10Daumier, 28De Amicis Edmondo,monumento a, 16De Amicis Edmondo, scrittore, 33De Coubertin, fonderia, 27Degas Edgard, 28Delacroix Eugenio, pittore, 44Delleani Lorenzo, pittore, 2, 19, 30, 32, 40De Sonnaz,monumento a, 16Dini Giuseoppe, scultore, 16Diodoro Siculo, 44Dragone Angelo, critico d’arte, 20Duprè Giovanni, scultore, 15Egeo,mare, 26Egitto, 25Emanuele Filiberto, duca di Savoia, 15, 19Faldella Giovanni, scrittore, 19Fattori Giovanni, pittore, 20Fenoglio Pietro, architetto, 16Fessia Michelangelo, 93Ferdinando di Savoia, duca di Genova,monumento a, 19Ferraris Galileo,monumento a, 20

Ferrero Italo, notaio, 93Ferro Cesare, pittore, 2, 4, 20, 42Finarte,Milano, 76Follini Carlo, pittore, 20Fondazione Gianni e Marella Agnelli, 45Fondazione per la Ricerca e la Cura del Cancro, 39Fontanesi Antonio, pittore, 20Forchino Giovanni Battista, scultore, 60, 62, 67, 89Fradeletto,organizzatore della Biennale di Venezia, 25Fréjus,monumento al, 14, 15Frola Secondo, sindaco, onorevole, 12Fuchs Georg, 10Fumagalli Celestino,scultore, incisore e fonditore,32,39,

57, 58Gaillard, 11Garibaldi Giuseppe,monumento a, 15, 31, 49Gastaldi Enrico,medico, 29Gatti, scultore, 83Gavroche, 76Gili, scultore, 49Gilodi, architetto, 16Ginotti Giacomo, scultore, 3, 16, 33, 61, 89Giolitti, onorevole, 5Giordani Giuseppe, scultore, 38, 82, 86, 89Glasgow, 10Govean Felice,monumento a, 16Gozzano Diodata, 6Gozzano Guido, scrittore, 3, 5, 6, 87Grandi Giuseppe, scultore, 29, 33, 35, 56, 78, 88, 89Grimaldi Stanislao, scultore, 31, 34, 90Grosso Giacomo, pittore, 2, 19Grubicy, pittore, 20Guglielminetti Amalia, 87Guild, 10Hayez Francesco,monumento a, 31Hébard, 38Horta Victor, 12Klein, bronzista, 32Koch Alexander, 10Kûnzli, stampatori, 12La Farina,monumento a, 16La Marmora Alfonso,monumento a, 15, 31, 34, 51La Marmora Alessandro,monumento a, 16Lalique, 10Lanceray Eugenio Alexandronovic, 70, 90Lanzo, valli di, 54Lascaris, palazzo, 29, 30, 32, 38, 93Leonardo da Vinci, 26

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Leva Pistoi Mila, storico dell’arte, 16, 17Lions Club Torino Castello, 39Lippi di Pistoia, fonditore, 19, 20, 34Lombroso Cesare, psichiatra, 55Longoni Emilio, pittore, 30Luigi Amedeo di Savoia, principe, duca degli Abruzzi, esploratore, 57Mackintosh, 12, 44Magliano Alfieri, 93Magne Lucien, 26Manfredini di Milano, fonderia, 31Manzoni Alessandro, statua di, 31, 56Marazzani Visconti Agostino, scultore, 50, 90Marchiondi Istituto correzionale, 30Margherita di Savoia, regina, 12Marochetti, scultore, 7, 15, 90Marocco, 37Mazzucotelli, 9Melani, 11Mène Pierre Jules, scultore, 38, 86, 90Mesopotamia, 25Micca Pietro, 16Micheli,Venezia, 45Milano, 13, 15, 29, 30, 31, 32Minnicelli Claudio, 93Modena, Gustavo, attore,monumento a, 16Monaco, 10Mondella Lucia, 73Monte Croce, 12Monti Augusto, 10Monti Michelangelo, scultore, 38, 85, 90Monviso, 32Morbelli, pittore, 20Morris, 12, 10Mucchi Anton Maria, pittore, 20Mulassano, caffè, 17Murello, 40Musy, 9, 10Napoleone Bonaparte, 1, 49Napoli, 32Natta, galleria, 14Nelli di Firenze, fonderia, 31Newberry F.H., 10Nomellini Plinio, pittore, 20Olbricht, 12Palagi Pelagio, scultore, decoratore, 27Palizzi Filippo, pittore, 32Pandiani, Milano, 45Panissera, conte, 15Panofski Erwin, storico dell’arte, 31

Paoletti, 11Papi di Firenze, fonderia, 31, 32Parigi, 10, 32, 61Pastonchi Francesco, 6Pavia, 26Pellizza da Volpedo Giuseppe, pittore, 20Perseo, scultura, 31, 32Pes di Villamarina,monumento a, 16Pescatore Matteo, giureconsulto, 16Petitti, architetto, 16Phillips, casa d’aste, 56Pica Agnol Domenico, 11, 20Piemonte, Consiglio Regionale, 4Pietro I di Savoia, 19Pozzi Tancredi, scultore, 12, 20, 43, 84, 90Previati Gaetano, pittore, 20Priocca d’Alba, 95Promis Carlo, urbanista, 13Rama Jean Pierre, 25Ranzoni Daniele, pittore, 29Rattazzi, ministro, 34Ravenna, 26Reduzzi, scultore, 15, 16Reycend G.A., architetto, 16Riberi medico,monumento a, 16Ricaldone, Istituto, 5Rigotti Annibale, architetto, 17Rizzetti Angelo, 25Robilant, generale, 16Rocca Canavese, 39Rodin, scultore, 27Roma, 17, 32,Rosso Medardo, 3, 29, 76, 88, 90Rubino Edoardo, scultore, 10, 15, 16, 17, 19, 20, 32, 40, 41, 72, 75, 76, 90San Pietroburgo, 36Sardanapalo, 44Sassi Francesco, 9Schuss (?), scultore, 66Sclopis Federico,monumento a, 16Segantini Giovanni, 20, 30Sella Quintino,monumento a, 16Signorini Telemaco, pittore, 20Simeom, collezione, 12Sinai, monte, 26Sobrero Ascanio,monumento a, 16Società Promotrice delle Belle Arti, 9, 19, 32, 79Sperati cav. uff. Emilio, 1, 2, 19, 29, 30, 31, 32, 34, 35, 36, 53, 57, 60, 64, 67, 77,

79, 83, 84, 88Sperati Luisa ved.Mezzalama, 2, 4, 29, 42, 80, 93

Stagliano Arturo, scultore, 65, 91Strasburgo, 12Stratta Carlo, 19Superga, 12, 43Susse Albert,fonditore, 28Tabacchi Odoardo, scultore, 3, 10, 15, 16, 31, 32, 33, 38, 46, 47, 51, 59, 82, 91Tagliaferri Antonio, scultore, 32Taormina, 32Teatro D’Angennes (Gianduja), 79Teja Casimiro,monumento a, 15Teodorico, 26Testona, 19Thovez Enrico, 10, 11Tibone Angelo, 39Tibone Domenico, Rettore dell’Università, 39Tiffany Louis Comfort, 10, 12Torino, 5, 6, 10, 12, 13, 31, 34, 36Toscanini Arturo, 32Townsend, 10Trentino, 30Troubetzkoy Paolo (o Pavel), scultore, 30, 34, 35, 36, 37, 38, 70, 74, 82, 84, 91Tunisia, 37Umberto I di Savoia, re d’Italia, 12, 19, 33, 40, 43, 54Umberto I, ponte, 15Umberto I, galleria, 14Valabrega, 9Valentino, parco, 5, 12, 34Valsugana, 30Van de Velde, 12Vandone, ingegnere, 17Vannuccio Biringuccio Sanese, 26Vayes, cave, 20Vela Vincenzo, scultore, 15, 16, 30, 31, 91Venezia, 45Verdone Adolfo, pediatra, 40Verrocchio, Andrea di Cione detto il, 45Vienna, 14, 32Villanova Solaro, 40Viterbo, 26Vittorio Amedeo I, duca di Savoia, 19Vittorio Emanuele II, re d’Italia, 5, 14, 19, 41Vittorio Emanuele III, re d’Italia, 16, 12Vacchetta ingegnere, 8Van der Stappen Charles, 9Volpedo, 21Wuitté,ministro, 31Webb, 10Zanardelli, onorevole, 5Zenodoro, scultore, 26

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CENNI SU PALAZZO LASCARIS

Palazzo Lascaris è un esempio significativo di dimorasignorile della Torino barocca. Pur rimaneggiato neisecoli ha, infatti, mantenuto le sue caratteristiche diedificio padronale sia nelle sue strutture esterne cheinterne: dallo scenografico atrio a quattro campatecon antiche colonne marmoree (per il costume del-l’epoca doveva assolvere alle funzioni rappresentati-ve nelle cerimonie di ricevimento), allo scaloned’onore; dagli aerei loggiati, alle raffinate sale aulichedel primo piano.Il palazzo voluto dai Beggiami di Sant’Albano, vienecostruito tra il 1663 e il 1665 nell’isola di Santa Fran-cesca Romana della Contrada di San Carlo su un pro-getto, come evidenziato da molteplici critici, di Ame-deo di Castellamonte.Nel 1674 il palazzo passa a Gabriella di Marolles, favo-rita di Carlo Emanuele II, che, maritata a Carlo delleLanze, conte di Sales, abbellisce il complesso graziead artisti quali il pittore milanese Stefano MariaLegnani, che aTorino opera anche per la decorazionedella Cappella dei Mercanti e di alcune sale di palaz-zo Carignano e di palazzo Barolo.Nel 1720 Gabriella dì Marolles vende il palazzo aimarchesi Carron di San Tommaso che qui risiedonosino al 1803. In questo periodo lo stabile subisce leprime trasformazioni. Tra queste il prolungamentodella manica occidentale. Nel febbraio 1803 Giusep-pina Maria Anna, ultima discendente della linea pri-mogenita dei Carron di San Tommaso, sposa il mar-chese Agostino Lascaris di Ventimiglia. Da allora ilpalazzo assume il nome che porta tuttora.La storia dei Lascaris è complessa. Basti però ricorda-re che nel 1263 il suo capostipite, Guglielmo Pietrodei Conti di Ventimiglia sposa Eudossia Lascaris, figliadi Teodoro II, imperatore di Nicea.

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Da allora all’originario nome ligure della famiglia siunisce quello greco. Dal matrimonio tra AgostinoLascaris e Giuseppina Carron di San Tommaso nasceun’unica figlia, Adele o Adelaide Susanna, che va insposa al marchese Gustavo Benso di Cavour, fratellodi Camillo.Oggi, a palazzo Lascaris,del grande statistarimane un ritratto, eseguito a metà ottocento da LuigiFognola.Nel 1833 Adele Lascaris muore di parto appena ven-tiseienne. Il marito Gustavo si trasferisce con i figli,sempre a Torino, nell’avito palazzo di casa Cavour. IBenso mantengono tuttavia la proprietà di palazzoLascaris sino al 1883 concedendolo in affitto, dal1861,al Ministero dell’Interno,ad uso del Consiglio diStato e, dal 1865, alla Corte di Cassazione.Il palazzo cessa così di essere dimora privata per dive-nire sede istituzionale. Alla scadenza del contrattocon la Corte di Cassazione, Giuseppina Benso diCavour Alfieri di Sostegno vende il palazzo per480.000 lire al Banco di Sconto e Sete.Il complesso, che aveva mantenuto pressoché integrala proprietà originale, compresi giardini e rustici,viene lottizzato dal Banco: la parte su via dell’Arsena-le passa così alla Banca Tiberina che, demolite le vec-chie costruzioni, edifica una palazzina a tre piani. Lostesso Banco modifica alcune parti del palazzo edaggiunge due gallerie sui lati dei cortile.Nel 1899, l’11 luglio nel palazzo viene tenuta laprima “Adunanza” del Consiglio di Amministrazionedella FIAT.Nel 1904 il Banco di Sconto vende l’immobile allacontessa Tiretta Lovadina.La contessa, nel 1917, lo rivende a Riccardo Gualinoche,dal 1920,ne fa la sede della SNIA (poi SNIAVisco-sa). Il bombardamento di Torino del 13 luglio 1943colpisce anche palazzo Lascaris. I danni più gravi siregistrano nel salone centrale dove va distrutta partedegli affreschi secenteschi del Legnani.Nel 1948 la SNIA-Viscosa vende l’immobile alla

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Camera di Commercio Industria ed Artigianato diTorino che, restaurato lo stabile,vi si insedia nel 1954.Il 16 gennaio 1975 la Regione Piemonte acquista ilpalazzo dalla Camera di Commercio. Dal 1979, dopoquattro anni, di restauri Palazzo Lascaris diventa lasede dell’Assemblea regionale del Piemonte. Nelcorso delle opere di restauro sono, tra l’altro, scoper-ti - in due ambienti, già facenti parte dell’apparta-mento di Gabriella di Marolles - soffitti lignei a cas-settoni decorati e, sulle pareti, stucchi e due cicli diaffreschi denominati, rispettivamente, “delle allego-rie” e “delle gesta di Sansone”.L’Aula consiliare, ricavata al di sotto del cortile, senzacompromettere le strutture esterne, è stata rinnovatanel gennaio1997.Le vetrate della galleria al piano nobile, sono statesostituite - riportando le intelaiature alle originariedimensioni e materiali - nel 2000.Nell’anno 2002 sono state recuperate tre sale al pianoterra (già utilizzate come sede per la Biblioteca dellaRegione Piemonte). Riportate al primitivo splendore,le tre sale denominate “dei Presidenti”,“della Bandie-ra” e “dei Consiglieri”, sono ora fruibili per manifesta-zioni, conferenze stampa e mostre.

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IL CONSIGLIO REGIONALEDEL PIEMONTE

È l’Assemblea che rappresenta direttamente i cittadi-ni del Piemonte.Eletto dal popolo, come il presidente della Giunta, ilConsiglio è l’organo che discute, elabora ed approvale leggi regionali.Con la riforma del Titolo V della Costituzione, il Con-siglio regionale ha ampliato le sue competenze legis-lative e le caratteristiche di “Parlamento regionale”.Il Consiglio regionale, che ha autonomia funzionale,contabile ed organizzativa, esercita funzioni di indiriz-zo e di controllo nei confronti della Giunta regionale.Compongono il Consiglio piemontese sessanta consi-glieri, riuniti in gruppi consiliari secondo le diverseappartenenze politiche.I lavori del Consiglio sono guidati dall’Ufficio di Pre-sidenza, eletto dall’Assemblea in modo da assicurarela rappresentanza delle minoranze.Lo compongono il presidente, due vicepresidenti etre consiglieri segretari.

La sede del Consiglio regionale del Piemonte è aPalazzo Lascaris, in Via Alfieri, 15, a Torino.Il sito Internet per conoscere il Consiglio regionaleè http://www.consiglioregionale.piemonte.itL’Ufficio Relazioni con il Pubblico del Consiglio regio-nale del Piemonte ha sede in Via Arsenale, 14/g –10121 Torino.Telefono 011. 57.57.444 - Fax: 011.57.57.445.E-mail: [email protected]

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IL MONUMENTO DA CAMERAI bronzetti della Collezione Speratiin Palazzo Lascaris a Torinoa cura di Maria Luisa Moncassoli Tibone

PERSONAGGI D’ALTRI TEMPILUISA racconto di Pierluigi Berbotto pag. 1GUIDO racconto di Pier Massimo Prosio pag. 5

AL TEMPO DELL’“ARTE NOVA”L’ESPOSIZIONE AL VALENTINO pag. 9

UNA RIVISTA PER PROPORREL’ARTE DECORATIVA pag. 10

1902: I MENU DELL’ESPOSIZIONE pag. 12

NELLA PIAZZA, NELLA VIAL’EVOLUZIONE DELLA CITTÀ pag. 13di Clara Palmas

AL MONUMENTO DI CALANDRAIL PREMIO DEGLI ARTISTI pag. 19

BRONZI E BRONZETTILA RICCHEZZA DI UNA TECNICA pag. 25

UN ARTIGIANO METROPOLITANOIL FONDITORE EMILIO SPERATI pag. 29di Giuliana Brugnelli Biraghi

IL BRONZETTO,UN’OCCASIONE PER GLI ANIMALISTI pag. 37

MONUMENTI DA STUDIOI BRONZETTI D’ARTEDI TRE CULTORI DELLA MEDICINA pag. 39

NELLA MEDAGLIA,UN MONUMENTO DA TASCA pag. 41

MONUMENTI DA CAMERAI BRONZETTI SPERATI pag. 42

IL MESSAGGIO EROICOL’ATTUALITÀ STORICAL’ELEGANZA DEL NUDOCOSTUMI ESOTICI E TRADIZIONI POPOLARIUNO SGUARDO ALL’INFANZIAIL RACCONTO ANIMALISTICO

NEL RICORDO DI GOZZANOI BRONZETTI DEL MELETO pag. 87

LA DOCUMENTAZIONEGLI SCULTORI pag. 88Schede biografichedi Giuliana Brugnelli Biraghi

DALL’ARCHIVIO SPERATI pag. 92di Giuliana Brugnelli Biraghi

L’AVVENTURA DELLA COLLEZIONE pag. 93

BIBLIOGRAFIA pag. 94

INDICE DEI LUOGHI E DEI NOMI pag. 96

CENNI SU PALAZZO LASCARIS pag. 98

IL CONSIGLIO REGIONALEDEL PIEMONTE pag.102

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In un revival del clima culturale che a Torino animò la grande EsposizioneInternazionale d'Arte decorativa e moderna si presenta per la prima volta inmodo organico la collezione Sperati.Dal panorama urbano, animato dalla monumentomania ottocentesca- di cui sipresentano gli eccezionali successi- i modelli realizzati per la via e per la piaz-za, ridotti in bronzetti per un arredo di qualità, aprono la sfilata delle opereche trovano in diverse tematiche una loro provocante presentazione. Prodottida una tecnica raffinata e rara, spaziano dalle immagini della gloria patria allaraffinata malizia dei nudi, dalle figure esotiche ai costumi popolari, dai ritrattidell’infanzia alla sapiente ricerca degli artisti animaliers. Recanti molto spes-so la firma di noti scultori, sono opere d’arte edite in riproduzioni d’autoree rivelano il valore di multipli di qualità. Così la Collezione Sperati si inseriscenell’importante azione di rilancio delle arti decorative che mosse da Torino ecoinvolse tutti gli aspetti della vita che trionfarono nell’EsposizioneInternazionale del 1902.

Gli autori

Pier Luigi BerbottoScrittore. Ha ambientato a Torino due romanzi di successo: "Concerto rosso" e"L’ombra della cattedrale" e la raccolta di brevi racconti "Malvino nella cittàdei suoni".Ha pure pubblicato "Luciano Pavarotti canto e controcanto".Scriveper la rivista "Bell'Italia" e per altri periodici.

Giuliana Brugnelli BiraghiStorico dell’arte. Docente. Ricercatore.Ha partecipato alla realizzazione di opere storico-artistiche su palazzi e chie-se torinesi, sulle Residenze sabaude, sulle Madame Reali. È stata la prima adoccuparsi della Collezione Sperati al momento della donazione.

Maria Luisa Moncassoli TiboneStorico dell’arte. Docente. Giornalista collaboratore di quotidiani e periodici.Autore di molti studi sul patrimonio artistico e di volumi su temi museografi-ci, iconografici, ambientali e sulle arti applicate. Dirige collane di storia e artein Piemonte.

Clara PalmasSoprintendente ed Ispettore Centrale del Ministero per i Beni Culturali, è autoredi saggi su restauri, cataloghi di mostre e studi sulla storia dei monumenti, dellestrutture urbane e del paesaggio.

Pier Massimo ProsioScrittore.Ha dedicato diversi volumi alla storia della cultura e della letteraturain Piemonte tra i quali la "Guida letteraria di Torino". Collabora a riviste let-terarie italiane e straniere. È autore anche di opere di narrativa.Direzione Comunicazione Istituzionale

IL MONUMENTO DA CAMERAPalazzo Lascaris,Via Alfieri 15,Torino5 dicembre 2002 – 1 febbraio 2003

A cura di Maria Luisa Moncassoli TiboneAllestimento a cura di Maria Pia Dal BiancoMain Sponsor: Consiglio Regionale del Piemonte

Questo libro presenta per la prima volta in modo organico la collezione dibronzetti d’arte di proprietà del Consiglio Regionale del Piemonte e conserva-ta nel Palazzo Lascaris. Si tratta del lascito della figlia del grande fonditore Cava-lier Ufficial Emilio Sperati, composto da circa un centinaio di fusioni firmate dascultori attivi tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Lacuriosità di questa presentazione consiste nella frequente riduzione di model-li monumentali, nati per la via e la piazza, alla scala domestica - di qui il titolo Ilmonumento da camera - alla misura del bibelot. Per un revival di quel décorborghese ambiguamente cantato da Gozzano, vi sono due racconti degli scrit-tori Pier Luigi Berbotto e Pier Massimo Prosio.Ma al di là degli aspetti intrigantidi questi oggetti affettivi (e sono le beduine e le contadinelle, gli scugnizzi e iputti, i bersaglieri e i dragoni, i busti patriottici e gli animaletti) e in qualchecaso più decisamente maliziosi (la statuetta In mutande del Biscarra o ilTimbromacabro del Forchino) si pone una questione assolutamente cruciale per ilNovecento:quella della riproducibilità dell’opera d’arte.O,comunque,quella diuna arte “minore” come strumento di diffusione e propagazione di una “mag-giore” (con il sospetto, benefico, che maggiore e minore siano in qualche casovalutazioni quantitative piuttosto che qualitative…).I bronzetti, presentati nello scalone monumentale e nell’atrio del piano nobi-le del palazzo, sono stati quasi tutti fotografati da Pino Dell’Aquila e sono ordi-nati nell’allestimento “accattivante” e originale di Maria Pia Dal Bianco.

in copertina: Odoardo Tabacchi (1831-1905) La sveglia.Bronzo, altezza cm. 70.