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135 ISCRIZIONI FUNERARIE CRISTIANE DELL’APULIA FRA TARDOANTICO ED ALTO MEDIOEVO di ANNA CAMPESE SIMONE L’esiguo numero di testimonianze epigrafiche rinve- nute in 39 siti indagati, che alla luce di una ricognizione sugli spazi funerari fra IV e IX secolo, non sembra essere sempre giustificabile con lo stato di distruzione dei monu- menti, non consente di redigere per la Puglia settentrionale un inventario finalizzato alla ricerca demografica o biome- trica e ancor meno alla storia delle strutture familiari (CAMPESE SIMONE 2003). Gran parte dei rinvenimenti epigrafici tardoantichi pro- viene da Canosa, sede diocesana dal 343 (PL X, 643) e ca- poluogo della provincia Apulia et Calabria (PANCIERA 1979, pp. 255-267; CARLETTI 1984, pp. 123-137; CHELOTTI et al. 1985; CHELOTTI, MORIZIO, SILVESTRINI 1990; CAMPESE SI- MONE 1993, pp. 91-124; VOLPE et al. 2002, pp. 133-190). Seguono con epigrafi databili all’ Alto Medioevo altre quat- tro sedi diocesane pugliesi: Sipontum (D’ANGELA 1983, pp. 449-454; SERRICCHIO 1999, pp. 275-279), Luceria (CARLET- TI 1979, pp. 93-104), Aecae (D’ANGELA 1988, pp. 653-659; ID. 1983, 453; CHELOTTI 1994, p. 18) e Turenum, vicus, ma sede diocesana già dalla fine del V secolo (MGH,AA,12, 434, 444-445; CASSANO, CARLETTI 1992, pp. 901-906). Dal- l’area funeraria subdiale di Monte Sant’Angelo provengo- no altre due iscrizioni databili alla fase altomedievale più matura (D’ANGELA 1980, p. 358). Fra intere e frammentarie 10 sono le iscrizioni note da trascrizioni, 7 sono certamente pertinenti ad aree funerarie subdiali e 6 a cimiteri sotterranei; dubbia rimane la localiz- zazione degli altri rinvenimenti occasionali, spesso fuori contesto e accompagnati da scarne notizie sul ritrovamen- to. Appena due si collocano nell’ambito del IV secolo avan- zato, la gran parte occupa lo spazio del V e VI secolo, per attardarsi al più fino agli inizi del VII. Dopo una fase di transizione, caratterizzata soltanto da scarni, ma significa- tivi documenti di scrittura graffita, la prassi di segnalare la tomba con l’epitaffio si riafferma, con modi diversi, nell’VIII e IX secolo, quando le aree funerarie si dispongono intorno o entro gli edifici di culto. Ciò premesso, la maggior parte delle considerazioni ri- guardanti il periodo tardoantico è estrapolata dal solo con- testo culturale omogeneo che offra esempi significativi: Canosa, le cui epigrafi contengono elementi di novità nel panorama cronologico dell’epigrafia funeraria paleocristia- na, che meglio conosciamo attraverso la produzione cimi- teriale romana (FIOCCHI NICOLAI 1997, pp. 121-141; CAR- LETTI 1998, pp. 39-67). Mentre quest’ultima aveva visto una parabola discendente quanto a logicità grafica e ricchezza di formulari proprio durante i secoli V e VI, in controten- denza per esempio rispetto alla ricca produzione epigrafica africana (PETRUCCI 1995, p. 42), le iscrizioni canosine con datazione consolare, sono assegnabili in un solo caso alla fine del IV secolo, le rimanenti sono comprese invece fra il 519 e il 549, nella prima metà dunque del VI secolo. Se le poche lapidi rinvenute non hanno peculiarità de- gne di nota, più originale è la tecnica di esecuzione del materiale epigrafico dei cimiteri sotterranei. Sulla scorta delle iscrizioni trovate in loco o descritte da archeologi del passato (CAMPESE SIMONE 1993, pp. 91-124; VALENTINI 1888, pp. 531-532) e di quelle ancora leggibili nelle vicine cata- combe ebraiche di Venosa (COLAFEMMINA 1975, p. 42; SAL- VATORE 1984, pp. 88-89) la maggior parte dei testi nei cimi- teri ipogei fu dipinta in rosso a fresco sulla malta scialbata di bianco all’interno dei nicchioni, al lato delle tombe o sui muretti di chiusura dei nicchioni ad inumazioni sovrappo- ste. Pressoché sconosciuta alle catacombe romane, la rapi- dità dell’esecuzione ed il basso costo del supporto fanno sì che questa tecnica sia soprattutto appannaggio delle aree periferiche e rurali. Peculiare delle aree ipogee geografica- mente contigue di Castelvecchio Subequo in Abruzzo e di Venosa in Lucania, risulta particolarmente diffusa nelle ca- tacombe dell’Etruria meridionale, e in quelle laziali e sira- cusane (GIUNTELLA et al. 1992, pp. 249-321; SALVATORE 1984; pp. 88-89; FIOCCHI NICOLAI 1988, p. 37). Nell’unico caso recentemente rinvenuto in situ, una tabula ansata delimita lo specchio epigrafico, che quasi sempre è corredato dagli elementi tipici e distintivi dell’epigrafia funeraria del pe- riodo posteriore alla metà del IV secolo, espressi da segni cristologici: pesce, croci, Chrismon o figurine di oranti (CAMPESE SIMONE 1993, pp. 91-124; VALENTINI 1888, pp. 531- 532) (Fig. 1). La struttura prevalente, piuttosto semplice, è quella ca- ratterizzante l’epigrafia romana posteriore alla seconda metà del IV secolo (CARLETTI 1998, p. 47), in cui compaiono dati biometrici, il ruolo svolto nella sfera familiare o civile ed ecclesiale, la menzione della depositio e la data consolare. Il consueto formulario canosino di esordio: hic requiescit in pace, ripetitivamente proposto per esprimere la pace col Signore al momento della morte, con significato escatolo- gico (COLAFRANCESCO, CARLETTI 1995, pp. 269-292), denun- cia come già avvenuto «il passaggio dalla struttura dedica- toria a quella segnaletica», che si ritrova nelle catacombe romane più tarde e che si cristallizza definitivamente nella seconda metà del V secolo nel modulo hic requiescit in pace spesso preceduto da una croce (CARLETTI 1998, p. 64). Un formulario dipinto in rosso lungo l’estradosso di un arcosolio ad edicola, affrescato, che fissa dipinta sul tufo l’acquisizione del sepolcro in vita, sottolineandone il pos- sesso, utilizza l’espressione A. Spanus fecit (CAMPESE SIMO- NE 1993, pp. 99-100), accompagnato da un grande cristo- gramma dipinto sulla chiave dell’arco (Fig. 2). La sua data- zione al pieno V secolo è possibile grazie al complesso pro- gramma decorativo interno all’arcosolio, che imita il cielo stellato con clipeo centrale delle cupole o delle absidi degli edifici di culto (CAMPESE SIMONE 2001, pp. 69-82). Il sistema onomastico, nella norma tendenzialmente uninominale per l’età tardoromana (FERRUA 1966, pp. 496- 497; CORDA 1999, pp. 233-235), non sfugge alla prassi “pro- vinciale” e delle aree rurali nell’uso dei duo nomina, atte- stato anche con una certa frequenza nella non lontana Aeclanum in Irpinia (FELLE 1993, p. 83). Il gentilizio A, che precede Spanus risulta ripetuto ancora in iscrizioni latine e greche della stessa catacomba nel gruppo binominale A. S seguito da tabula ansata, il cui nomen, compreso in una lacuna, non si lascia completare. L’abbreviazione che nelle iscrizioni canosine di età classica era riferibile al praenomen Aulus (CHELOTTI, MORIZIO, SILVESTRINI 1990, p. 385), in età tardoantica, se espressa potrebbe riferirsi ad Aurelianus (CALDERINI 1974, p. 216), ove la reiterazione dell’abbrevia- zione all’interno dello stesso ipogeo presuppone la sua dif- fusione e quindi la immediata interpretazione da parte del lettore. Le epigrafi canosine tuttavia, mostrano una partico- lare predilezione per i nomi provenienti dal santorale orien- tale: Paolo, Eusebio, Acacio, ed uguale fortuna sembrano incontrare quei nomi legati alla provenienza straniera che hanno probabilmente perso le implicazioni geografiche: Spanus, Brizynus (abitante di Bryzos, città della Frigia) e un Grecus che fa la dedica al domino meo Alexander fidelis, ove fidelis sta per cristiano battezzato (CAMPESE SIMONE 1993, p. 114). L’indicazione di ben tre provenienze diverse degli inumati, percentualmente alta, in relazione al numero delle epigrafi recuperate offre il quadro di una situazione composita e mobile che doveva esser tale già alla fine del IV secolo. Una società nella quale con esponenti di catego- rie rilevanti quali i consulares Apuliae et Calabriae, desti- nati a far parte del rango senatorio (DE BONFILS 1992, pp. 837-839) e con gli ultimi rappresentanti delle famiglie

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ISCRIZIONI FUNERARIE CRISTIANEDELL’APULIA FRA TARDOANTICO

ED ALTO MEDIOEVO

diANNA CAMPESE SIMONE

L’esiguo numero di testimonianze epigrafiche rinve-nute in 39 siti indagati, che alla luce di una ricognizionesugli spazi funerari fra IV e IX secolo, non sembra esseresempre giustificabile con lo stato di distruzione dei monu-menti, non consente di redigere per la Puglia settentrionaleun inventario finalizzato alla ricerca demografica o biome-trica e ancor meno alla storia delle strutture familiari(CAMPESE SIMONE 2003).

Gran parte dei rinvenimenti epigrafici tardoantichi pro-viene da Canosa, sede diocesana dal 343 (PL X, 643) e ca-poluogo della provincia Apulia et Calabria (PANCIERA 1979,pp. 255-267; CARLETTI 1984, pp. 123-137; CHELOTTI etal. 1985; CHELOTTI, MORIZIO, SILVESTRINI 1990; CAMPESE SI-MONE 1993, pp. 91-124; VOLPE et al. 2002, pp. 133-190).Seguono con epigrafi databili all’ Alto Medioevo altre quat-tro sedi diocesane pugliesi: Sipontum (D’ANGELA 1983, pp.449-454; SERRICCHIO 1999, pp. 275-279), Luceria (CARLET-TI 1979, pp. 93-104), Aecae (D’ANGELA 1988, pp. 653-659;ID. 1983, 453; CHELOTTI 1994, p. 18) e Turenum, vicus, masede diocesana già dalla fine del V secolo (MGH,AA,12,434, 444-445; CASSANO, CARLETTI 1992, pp. 901-906). Dal-l’area funeraria subdiale di Monte Sant’Angelo provengo-no altre due iscrizioni databili alla fase altomedievale piùmatura (D’ANGELA 1980, p. 358).

Fra intere e frammentarie 10 sono le iscrizioni note datrascrizioni, 7 sono certamente pertinenti ad aree funerariesubdiali e 6 a cimiteri sotterranei; dubbia rimane la localiz-zazione degli altri rinvenimenti occasionali, spesso fuoricontesto e accompagnati da scarne notizie sul ritrovamen-to. Appena due si collocano nell’ambito del IV secolo avan-zato, la gran parte occupa lo spazio del V e VI secolo, perattardarsi al più fino agli inizi del VII. Dopo una fase ditransizione, caratterizzata soltanto da scarni, ma significa-tivi documenti di scrittura graffita, la prassi di segnalare latomba con l’epitaffio si riafferma, con modi diversi, nell’VIIIe IX secolo, quando le aree funerarie si dispongono intornoo entro gli edifici di culto.

Ciò premesso, la maggior parte delle considerazioni ri-guardanti il periodo tardoantico è estrapolata dal solo con-testo culturale omogeneo che offra esempi significativi:Canosa, le cui epigrafi contengono elementi di novità nelpanorama cronologico dell’epigrafia funeraria paleocristia-na, che meglio conosciamo attraverso la produzione cimi-teriale romana (FIOCCHI NICOLAI 1997, pp. 121-141; CAR-LETTI 1998, pp. 39-67). Mentre quest’ultima aveva visto unaparabola discendente quanto a logicità grafica e ricchezzadi formulari proprio durante i secoli V e VI, in controten-denza per esempio rispetto alla ricca produzione epigraficaafricana (PETRUCCI 1995, p. 42), le iscrizioni canosine condatazione consolare, sono assegnabili in un solo caso allafine del IV secolo, le rimanenti sono comprese invece fra il519 e il 549, nella prima metà dunque del VI secolo.

Se le poche lapidi rinvenute non hanno peculiarità de-gne di nota, più originale è la tecnica di esecuzione delmateriale epigrafico dei cimiteri sotterranei. Sulla scortadelle iscrizioni trovate in loco o descritte da archeologi delpassato (CAMPESE SIMONE 1993, pp. 91-124; VALENTINI 1888,pp. 531-532) e di quelle ancora leggibili nelle vicine cata-combe ebraiche di Venosa (COLAFEMMINA 1975, p. 42; SAL-VATORE 1984, pp. 88-89) la maggior parte dei testi nei cimi-teri ipogei fu dipinta in rosso a fresco sulla malta scialbatadi bianco all’interno dei nicchioni, al lato delle tombe o suimuretti di chiusura dei nicchioni ad inumazioni sovrappo-

ste. Pressoché sconosciuta alle catacombe romane, la rapi-dità dell’esecuzione ed il basso costo del supporto fanno sìche questa tecnica sia soprattutto appannaggio delle areeperiferiche e rurali. Peculiare delle aree ipogee geografica-mente contigue di Castelvecchio Subequo in Abruzzo e diVenosa in Lucania, risulta particolarmente diffusa nelle ca-tacombe dell’Etruria meridionale, e in quelle laziali e sira-cusane (GIUNTELLA et al. 1992, pp. 249-321; SALVATORE 1984;pp. 88-89; FIOCCHI NICOLAI 1988, p. 37). Nell’unico casorecentemente rinvenuto in situ, una tabula ansata delimitalo specchio epigrafico, che quasi sempre è corredato daglielementi tipici e distintivi dell’epigrafia funeraria del pe-riodo posteriore alla metà del IV secolo, espressi da segnicristologici: pesce, croci, Chrismon o figurine di oranti(CAMPESE SIMONE 1993, pp. 91-124; VALENTINI 1888, pp. 531-532) (Fig. 1).

La struttura prevalente, piuttosto semplice, è quella ca-ratterizzante l’epigrafia romana posteriore alla seconda metàdel IV secolo (CARLETTI 1998, p. 47), in cui compaiono datibiometrici, il ruolo svolto nella sfera familiare o civile edecclesiale, la menzione della depositio e la data consolare.Il consueto formulario canosino di esordio: hic requiescitin pace, ripetitivamente proposto per esprimere la pace colSignore al momento della morte, con significato escatolo-gico (COLAFRANCESCO, CARLETTI 1995, pp. 269-292), denun-cia come già avvenuto «il passaggio dalla struttura dedica-toria a quella segnaletica», che si ritrova nelle catacomberomane più tarde e che si cristallizza definitivamente nellaseconda metà del V secolo nel modulo hic requiescit in pacespesso preceduto da una croce (CARLETTI 1998, p. 64).

Un formulario dipinto in rosso lungo l’estradosso di unarcosolio ad edicola, affrescato, che fissa dipinta sul tufol’acquisizione del sepolcro in vita, sottolineandone il pos-sesso, utilizza l’espressione A. Spanus fecit (CAMPESE SIMO-NE 1993, pp. 99-100), accompagnato da un grande cristo-gramma dipinto sulla chiave dell’arco (Fig. 2). La sua data-zione al pieno V secolo è possibile grazie al complesso pro-gramma decorativo interno all’arcosolio, che imita il cielostellato con clipeo centrale delle cupole o delle absidi degliedifici di culto (CAMPESE SIMONE 2001, pp. 69-82).

Il sistema onomastico, nella norma tendenzialmenteuninominale per l’età tardoromana (FERRUA 1966, pp. 496-497; CORDA 1999, pp. 233-235), non sfugge alla prassi “pro-vinciale” e delle aree rurali nell’uso dei duo nomina, atte-stato anche con una certa frequenza nella non lontanaAeclanum in Irpinia (FELLE 1993, p. 83). Il gentilizio A, cheprecede Spanus risulta ripetuto ancora in iscrizioni latine egreche della stessa catacomba nel gruppo binominale A. Sseguito da tabula ansata, il cui nomen, compreso in unalacuna, non si lascia completare. L’abbreviazione che nelleiscrizioni canosine di età classica era riferibile al praenomenAulus (CHELOTTI, MORIZIO, SILVESTRINI 1990, p. 385), in etàtardoantica, se espressa potrebbe riferirsi ad Aurelianus(CALDERINI 1974, p. 216), ove la reiterazione dell’abbrevia-zione all’interno dello stesso ipogeo presuppone la sua dif-fusione e quindi la immediata interpretazione da parte dellettore. Le epigrafi canosine tuttavia, mostrano una partico-lare predilezione per i nomi provenienti dal santorale orien-tale: Paolo, Eusebio, Acacio, ed uguale fortuna sembranoincontrare quei nomi legati alla provenienza straniera chehanno probabilmente perso le implicazioni geografiche:Spanus, Brizynus (abitante di Bryzos, città della Frigia) eun Grecus che fa la dedica al domino meo Alexander fidelis,ove fidelis sta per cristiano battezzato (CAMPESE SIMONE1993, p. 114). L’indicazione di ben tre provenienze diversedegli inumati, percentualmente alta, in relazione al numerodelle epigrafi recuperate offre il quadro di una situazionecomposita e mobile che doveva esser tale già alla fine delIV secolo. Una società nella quale con esponenti di catego-rie rilevanti quali i consulares Apuliae et Calabriae, desti-nati a far parte del rango senatorio (DE BONFILS 1992,pp. 837-839) e con gli ultimi rappresentanti delle famiglie

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Fig. 1 – Canosa, epigrafe latina e greca proveniente dal cimitero tar-doantico di Lamapopoli, CAMPESE SIMONE 1993.

Fig. 2 – Canosa, Lamapopoli, Epigrafe di A. Spanus, CAMPESE SIMONE 1993.

Fig. 3 – Fibule con protomi animali dall’Italia meridionale, SALVA-TORE 1977.

locali, coesistono gli immigrati di data più recente. Quantoal ruolo svolto nella sfera civile o ecclesiale, Canosa regi-stra la sepoltura di un procurator, equivalente genericamentead un amministratore e di un primicerius, carica militare(JONES 1964, p. 599) o di un semplice ufficio capitolare,istituito per ammaestrare diaconi e chierici (PALAZZINI 1953,pp. 20-21).

La sepoltura è segnalata talora come arca, talora comesepulcrum.

I fenomeni grafo-fonetici ricorrenti sono quelli comu-nemente individuati nelle iscrizioni della tarda antichità.Quanto alla tecnica scrittoria, l’inserimento delle onciali,la traversa obliqua della A, l’ occhiello triangolare della B,

che avrebbero potuto far pensare ad una équipe di arteficispecializzati canosini, trovano puntuale riscontro anche incentri del Tavoliere e dell’Irpinia (CARLETTI 1979, pp. 93-104; CHELOTTI 1994, pp. 17-35; FELLE 1993, p. 83). Dal chenon sembra azzardato desumere che l’équipe servisse l’in-tera subregione, con spostamenti continui e possibili grazieal raro impiego della loro mano d’opera.

Complesso, ed unico nella regione, il carme funerariodi contenuto cristiano di Ilarianus, morto a soli otto mesi,originariamente dipinto col minio sulla fronte di un sarco-fago in muratura (CARLETTI 1984, pp. 123-137). Interessan-ti i versi che seguono i dati biometrici, intesi a sviluppare lacontrapposizione corpo-terra, anima-cielo tipica delle iscri-zioni più tarde. Non è un caso che l’iscrizione metricaafferisca ad un piccolo mausoleo familiare subdiale, restau-rato e riadattato con l’aggiunta di due nuove sepolture eduna diversa decorazione pittorica. Agli inizi del V secolo,data cui è stato assegnato il carme, ma forse già alla metàdel IV (CAMPESE SIMONE 1996, pp. 375-401), è riaffiorato ilconcetto e quindi la ricerca di una memoria, simbolo di unostatus, che ad imitazione del costume funerario romano siaffidi alla morfologia privilegiata della tomba associata alcolto epitaffio metrico.

Un monumento canosino significativo quanto origina-le per lo studio della prassi epigrafica di V secolo in Puglia,rinvenuto in una catacomba di recente scoperta, si articolain quattro iscrizioni latine e greche, dipinte in rosso sulmuretto di chiusura di un nicchione a deposizioni sovrap-poste, pertinenti a tre inumati (CAMPESE SIMONE 1993,pp. 113-119) (Fig. 1). Se si eccettua parte del formulariogreco iniziale, lacunoso e di modulo difforme, che esprimela pace col Signore e che fa pensare ad una formula accla-matoria finale di un’epigrafe soprastante perduta, le evi-denti affinità nel segno, nella grafia e nell’organizzazionedello specchio epigrafico, in presenza almeno di due nomidi defunti lasciano perplessità sulla contemporaneità delledeposizioni. Come si è talora riscontrato nelle catacomberomane, è possibile che quando l’imbocco del nicchione èstato definitivamente sigillato dopo l’ultima deposizione,sia stata reintonacata buona parte del prospetto sottostantee siano stati scritti nuovamente da mano diversa i nomi de-gli inumati precedenti. Queste epigrafi, pur nella fissità deimoduli formulari, lasciano segnalare una formulacomminatoria con ammenda finale contro i violatori delsepolcro. L’originalità dell’epitaffio risiede nella somma-toria di formule comminatorie che ne fa una sorta di florile-gio di maledizioni funerarie cristiane (CAMPESE SIMONE 1993,pp. 111-119). L’ammenda finale da pagare al fisco o all’era-rio, parzialmente asportata, il cui ammontare è dubbio secontempli argenti pondo quinque o quinquaginta, non dàlumi sull’eventuale costo di una sepoltura, designata in modidiversi a Concordia e a Salona, ove si rileva una grande

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Fig. 4 – Trani, lastra graffita dal cimitero sotto la cattedrale, CAS-SANO, CARLETTI 1992.

varietà di tariffe, ma che a Roma sappiamo oscillare da 1 a17 solidi proporzionalmente alla struttura ed alla posizionerispetto alla tomba del martire (LETTICH 1983, p. 51; EGGER1926, pp. 64-109; DIGGVE, EGGER 1939, pp. 149-157; CAR-LETTI 1998, p. 58).

Luceria, che nel IV secolo aveva preso l’appellativo diCostantiniana (CIL IX, 801) ed era conosciuta come “cittàd’Italia” da Stefano di Bisanzio, ha restituito soltanto quat-tro epigrafi parte pervenute in copia, parte incise su lapidiriutilizzate nel castello federiciano della città. Due sono ri-feribili alla fine del V-VI secolo e le altre alla fine del VIinizi VII secolo, forse provenienti dall’eventuale necropolidi Piano dei Puledri (CARLETTI 1979, pp. 93-104; D’ANGELA1982, pp. 587-600). Nelle più tarde epigrafi lucerine com-pare ancora l’intitolatura di carattere funerario Dis Manibus,da considerare ormai svuotata del suo significato originale,mentre il sistema nominale comincia ad includere gli antro-ponimi di origine longobarda Lupus e VVinelaupo, in con-sonanza con quanto attestato dalle fonti, che descrivono lacittà sede gastaldale già nel 570 (Hist. Lang. 5, 7, 147; CO-NIGLIO 1974, p. 45). L’elemento paleografico più caratteri-stico è la lettera Q, costituita da O con un trattino verticaleinscritto, che generalmente compare nel V secolo.

Per quanto riguarda la prima fase di età longobarda, si èrinvenuta un’altra sola epigrafe appartenente alla sfera fu-neraria cristiana presso il casale di S. Lorenzo in Carmi-gnano, in territorio di Troia, incisa sul retro di una lastrariutilizzata. L’antroponimo Pauludiriu, preceduto da unacroce sembrerebbe derivare dal latino Paulus col suffissodir, considerato variante di deor ricorrente in nomi longo-bardi (CHELOTTI 1994, p. 18). La paleografia presenta affi-nità con l’epigrafe bilingue di Canosa: la A col tratto obli-quo, la D e la R con gli occhielli triangolari.

L’acclamazione biba in Deo, contenuta in questa epi-grafe, con la variante biba in pace, che ha valenza escatolo-gica, ricorre ormai con lo scambio della labiale con la vela-re in un formulario frequente in ambito meridionale, in Pu-glia, in Basilicata e nel Beneventano, non più nelle epigrafisepolcrali di tipo canonico, che sembrano del tutto scom-parse, ma nella scrittura graffita delle iscrizioni murali delSantuario di Monte Sant’Angelo come biba in Deo, di unlastrone sepolcrale di Trani, di una tomba adiacente allachiesa di S. Pietro a Crepacore, (CARLETTI 1980, pp. 7-180;CASSANO, CARLETTI 1992, pp. 901-906; FELLE 1999, pp. 65-69) e soprattutto di fibule ad anello aperto con protomi ani-mali (Fig. 3). Queste ultime, contraddistinte spesso dall’iscri-zione Lupus biba, si sono rinvenute numerose in contestifunerari indigeni di Puglia e Basilicata e sono state attribu-ite al VI-VII secolo, nonostante l’onomastica e la paleogra-fia rimandino anche ad un momento più tardo. L’alto nu-mero di questi manufatti, attestato nel Beneventano, ha fat-to recentemente dedurre che la loro produzione sia circo-scrivibile fra Benevento e Capua (D’ANGELA 1991, p. 138;GASPERINI 1993, pp. 9-14).

La lastra graffita reimpiegata a copertura di una tombasotto la cattedrale di Trani, sembra riassumere le variazionidei rituali della morte, strettamente connesse all’ideologiae agli strumenti di trasmissione del potere nell’Alto Medio-evo, in particolare nel VII secolo, data cui è stata assegnatala lastra (CASSANO, CARLETTI 1992, pp. 901-906) (Fig. 4).Tra gli 83 graffiti che la ricoprono, disposti senza ordineapparente, ricorrono motivi figurati quale la croce equilate-ra, ornata nei bracci da losanghe, cui seguono pavoni, aqui-le, grifi, protomi equine, pesci e teste barbate di cavalieridalla tipica forma a pera. La resa con motivi iconograficielementari, si inserisce in quella produzione minore che in-teressò elementi di corredo funerario quali: fibule, fermaglie piccole croci e, che conobbe una certa diffusione duranteil VII secolo nell’Italia meridionale. Tra i graffiti si sonoindividuate 20 brevi iscrizioni ispirate alla formula accla-matoria biba in Deo. Quanto all’onomastica si trovano ri-petuti antroponimi longobardi ed altri di sostrato latino:Forte, Raddelchisi, Boiando, Bonesso e Petrus.

La terza coeva testimonianza di questa espressione epi-grafica funeraria popolare riguarda il bordo di appoggio dellastrone di chiusura di una tomba, rimasta ancora intatta, pres-so la chiesa di S. Pietro a Crepacore. Qui si ripropongonomolti di quei motivi iconografici elementari, tra cui la stellaa cinque punte, nota per la sua valenza apotropaica(COLAFEMMINA 1980, pp. 339-352) e brevi formulari ispiratialla stessa formula acclamatoria biba in Deo. In definitiva,queste forme epigrafiche legate ad un periodo di transizionerispetto alla costituzione dello spazio funerario cristiano de-finito e comunitario delle installazioni parrocchiali (CAMPESESIMONE 2003; CAMPESE SIMONE 2002, c.s.) sembrano riassu-mere quelle forme di continuità e trasformazioni poste comeproblema dalla diversa impostazione degli studi degli ultimidecenni, basata su una lettura integrata dei processi. La lorodatazione coincide con il momento in cui i cimiteri lascianoda parte le iscrizioni e le tombe monumentali che caratteriz-zavano il periodo precedente per ricorrere a variazioni nellecomponenti del corredo rappresentate da oggetti di abbiglia-mento più o meno sontuosi in stile “germanico”, “romano” o“bizantino” per ostentare il prestigio sociale raggiunto local-mente (LA ROCCA 2000, pp. 50-53).

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Fig. 8 – Monte Sant’Angelo, epigrafe su stele crucifor-me, D’ANGELA 1980.

Fig. 5 – Siponto, epigrafe dall’area circostante la cattedrale diS. Maria, SERRICCHIO 1999.

Fig. 6 – Siponto, apografo del chierico Giovanni, D’ANGELA 1983.

Fig. 7 – Troia, epigrafe di Gaidefreda, Soprintendenza archeologica della Puglia.

Per il periodo altomedievale più maturo, ad eccezione diAecae (odierna Troia), ove la tomba di Gaidefreda attestanell’VIII secolo la continuità d’uso del cimitero tardoanticosuburbano, le epigrafi costringono a rivolgersi ai cimiteri cir-costanti gli edifici di culto, divenuti ormai luogo alternativodi sepolture privilegiate appartenenti alla gerarchia ecclesia-stica e monastica e all’aristocrazia longobarda (SERRICCHIO1999, pp. 275-279; CAMPESE SIMONE 1996, pp. 107-114). Letre iscrizioni provenienti dal cimitero circostante la cattedra-le intramuranea di S. Maria di Siponto: due lapidee ed unapografo (Fig. 5), quella incisa su stele cruciforme di MonteSant’Angelo e le due con croci dipinte all’interno diGaidefreda e Rainus, provenienti da Troia e Monte Sant’An-gelo, sono infatti databili all’VIII-IX secolo. Le epigrafi, pri-ve di simboli tranne la croce, hanno un formulario e partico-larità linguistiche che non trovano riscontri prima del VIIsecolo. Elemento di continuità con la prassi epigrafica tardo-

antica è il consueto formulario di esordio hic requiescit inpace, che talora si completa con in somno pacis, usato nel-l’epigrafia cristiana funeraria dal VI all’VIII-IX secolo. Loritroviamo nelle testimonianze della vicina Eclano, su unastele cruciforme di Monte Sant’Angelo, a Lucera, a Brindisi(DIEHL 1970, pp. 3185, 3186; CARLETTI 1979, pp. 137-148;SERRICCHIO 1999, pp. 275-279; DIEHL 1970, p. 1026; D’AN-GELA 1980, p. 360). La variante hic…recubat, tuttavia richia-ma un’iscrizione precedente al secolo VIII (CIL V, 6227) e

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altre formule simili come hic recubo felix (DIEHL p. 3463, 2)e recubent…membra sepulcro (DIEHL 1700, 1) in uso in iscri-zioni di poco anteriori all’inizio dell’VIII secolo. Elementodi novità rispetto al periodo precedente sono gli epitetipeccator e miser che precedono il nome del defuntoCadelaitus monachus. Spesso usati negli epitaffi altomedie-vali (DIEHL, 79a, 2364 a,b), quali formule di umiltà, se riferi-te alla più alta carica della gerarchia ecclesiastica diventanoaddirittura servus servorum Dei (CAILLET 1993, p. 411). Sin-golare è la formula finale hic fuit comes (v)ere, che sta adindicare il buon ricordo lasciato dal defunto per la sua vitaesemplare (SERRICCHIO 1999, p. 276). Reiterata infine è laprofessione di fede del defunto nella resurrezione, che si espli-cita nel formulario credo resurrectionem, reso anche in for-ma abbreviata (Fig 6). Si tratta in realtà di veri e propri ste-reotipi resi a grandi lettere e forti contrazioni per favorire ilprocesso di ricezione del messaggio e la stessa memoria visi-va dei singoli grafi legati al concetto di attestazione di fedeche il pubblico fruitore comprende secondo certi moduli fis-sati forse dai centri del potere culturale (SUSINI 1989, pp. 271-305). L’espressione non è insolita su epitaffi sia paleocristia-ni sia altomedievali (ILCV 259, 1304,3458-3480; GROSSIGONDI 1920, pp. 238-239) e trova riscontri nella stessa Sipontoe nelle tombe dipinte di Rainus a Monte Sant’Angelo e diGaidefreda ad Aecae. Le preghiere invece, rivolte dal defun-to ai viventi, che in epoca tardoantica non hanno molti esem-pi (DIEHL 2392b, 1291, 2016), qui sembrano attestare meglioe più frequentemente il legame che unisce il defunto ai vivimediante la tomba con la formula orate pro eo. Ciò sottin-tende un ulteriore profondo cambiamento di mentalità, checonferisce un nuovo valore alla tomba, quando la presenzadei defunti presso i vivi, non solo è accettata, ma caldeggiataper sollecitare le preghiere di salvezza. Frutto del pensieroagostiniano, il concetto, ripreso nei Dialoghi di GregorioMagno, diventa nel IX secolo fondamento ideologico del clerocarolingio, quando si compie definitivamente quel processodi avvicinamento del mondo dei vivi e dei defunti, culminatonella nascita dei cimiteri parrocchiali (Augustinus, De curagerenda pro mortuis, Oeuvre de St. Augustin, I-II, ed. G.Combes, Bibliothèque Augustinienne, Paris 1937, pp. 384-452 ; Gregorio Magno, Dialoghi, IV-LVII, 14; TREFFORT 1996,pp. 55-63; CAMPESE SIMONE 2002, c.s.).

Da inserire nel quadro di questo diverso significato attri-buito alla tomba sono le sepolture decorate all’interno concroci dipinte in rosso e talora con iscrizioni recanti nomi diorigine longobarda: tomba di Rainus e di Gaidefreda (D’AN-GELA 1988, pp. 635-659; ID. 1980, p. 362; CAMPESE SIMONE2002, p. 134) (Fig. 7). Esteriormente poco visibili, i simbolitratti dal repertorio paleocristiano si sono spostati all’internoquale trasposizione iconografica della preghiera (CANTINOWATAGHIN, LAMBERT 1998, p. 108), e potrebbero trovare lacorretta lettura nella significativa epigrafe dipinta all’internodi una coeva tomba di S. Vincenzo al Volturno: Crux Christiconfusio diaboli (HODGES, MITCHELL 1982, pp. 373-374).

Influenze dell’epigrafia funeraria provenienti da S. Vin-cenzo al Volturno compaiono nella particolare impagina-zione della scrittura che prevede una croce all’interno dellospecchio con il testo ripartito nei quadranti. Il modello cheè attestato in centri italo settentrionali (DE RUBEIS 2000, pp.135-137), viene utilizzato nelle tombe affrescate di Rainuse Gaidefreda, così come la scrittura apicata e piuttosto svi-luppata verticalmente che si accompagna a queste croci. Damenzionare per la particolarità del supporto è l’epigrafeincisa sulla stele cruciforme del cimitero di Monte Sant’An-gelo collocabile nell’VIII-IX secolo per la paleografia ed imoduli formulai esaminati (D’ANGELA 1980, p. 358) (Fig.8). La stele cruciforme di origine costantinopolitana, ovecompare nel VI secolo, si diffonde nelle provincie orientalied occidentali, dove spesso l’iconema della croce apparepotenziato da una base scalare. Lo si rinviene in Sardegna aSuelli Casa Ruda o massivamente introdotto nei tipi mone-tali bizantini e longobardi, iconema che non compare nella

plasica dell’arredo liturgico e di apparato, ma in quella par-ticolare classe di field monuments la cui produzione «assol-se nel sistema della cultura mediterranea e occidentale frala fine dell’Antichità e l’Alto Medioevo funzioni d’uso ditipo liturgico, memoriale, votivo o funerario» (CASARTELLINOVELLI 1990, pp. 257-329). Compare nella plastica fune-raria anche all’interno di una tomba a logette scavata pres-so l’abside di S. Maria di Siponto databile al VII-VIII seco-lo e probabilmente appartenente proprio in forza diquell’iconema così diffuso sui tipi monetali ad un dignita-rio di corte piuttosto che ad un esponente della gerarchiaecclesiastica (CAMPESE SIMONE 1996, pp. 107-114).

La sfera di appartenenza attestata epigraficamente èquella ecclesiale: sono citati un monachus, un presbyter, unsubdiaconus, ed i nomi leggibili Cadelaitus e Iohannes de-nunciano la presenza di antroponimi longobardi. È possibi-le che il monaco Cadelaitus fosse un benedettino. L’ordinemonastico erano presente nel Gargano già nell’VIII secolo,quando Grimoaldo III concede i diritti di pesca nel lago diLesina alla fine di quel secolo al monastero di Tremiti (CO-NIGLIO 1974, pp. 39-72), allora sottoposto ai benedettini diMontecassino (CONIGLIO 1974, pp. 39-72).

Quanto alla paleografia, va osservata la commistionedi lettere capitali e onciali tipica delle iscrizioni altomedie-vali (GRAY 1948, pp. 38-171; SUPINO MARTINI, PETRUCCI 1978,pp. 45-101): la A è resa con parentesi angolata, in alcunicasi la O è romboidale, come nelle iscrizioni di Monte San-t’Angelo, secondo una tipologia sviluppatasi fra VI e VIIsecolo (FAVREAU 1997, pp. 60-62), le contrazioni e le abbre-viazioni sono soprallineate e la punteggiatura è resa talvol-ta con un triangolino con un punto al centro, eventuale sti-lizzazione della tradizionale foglia d’edera.

Se le stime pervenuteci dai coevi cimiteri romani, la-ziali e siciliani denunciano un più alto impiego della prassiepigrafica in presenza di un’utenza culturalmente più qua-lificata e più abbiente rispetto alle masse anonime deposte(FIOCCHI NICOLAI 1988; CARLETTI 1998, pp. 45-46), possia-mo dedurre che in area pugliese, tale prassi doveva essereancora più limitata e circoscritta alle sole aree urbane, sepersino gli scavi del non modesto complesso rurale di S.Giusto, identificato forse con un Praetorium e le descrizio-ni di ipogei rurali, visitati prima ancora che fossero mano-messi, non riescono a segnalarne la presenza.

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