ISAIA2canto
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Don Fabio Rosini domenica 4 marzo 2012
2° canto del servo di Jahvè
È il canto più lungo tra i primi tre, il più articolato ma anche il più coerente.
dal libro del profeta Isaia 1 Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane; il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome. 2 Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all’ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra. 3 Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria». 4 Io ho risposto: «Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze. Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa presso il mio Dio». 5 Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele – poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza – 6 e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra». 7 Così dice il Signore, il redentore d’Israele, il suo Santo, a colui che è disprezzato, rifiutato dalle nazioni, schiavo dei potenti: «I re vedranno e si alzeranno in piedi, i principi si prostreranno, a causa del Signore che è fedele, del Santo d’Israele che ti ha scelto». 8 Così dice il Signore: «Al tempo della benevolenza ti ho risposto, nel giorno della salvezza ti ho aiutato. Ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo, per far risorgere la terra, per farti rioccupare l’eredità devastata, 9 per dire ai prigionieri: “Uscite”, e a quelli che sono nelle tenebre: “Venite fuori”. Essi pascoleranno lungo tutte le strade, e su ogni altura troveranno pascoli.
10 Non avranno né fame né sete e non li colpirà né l’arsura né il sole, perché colui che ha misericordia di loro li guiderà, li condurrà alle sorgenti d’acqua. 11 Io trasformerò i miei monti in strade e le mie vie saranno elevate. 12 Ecco, questi vengono da lontano, ed ecco, quelli vengono da settentrione e da occidente e altri dalla regione di Sinìm». 13 Giubilate, o cieli, rallégrati, o terra, gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo e ha misericordia dei suoi poveri. Parola di Dio ‐ Rendiamo grazie a Dio
Il testo può essere diviso in parti; ha un problema e cioè che non è facile riconoscere il confine secondo il quale il servo a cui ci si rivolge è una persona oppure è un ‘personaggio collettivo’, è un popolo. Il servo è certamente uno, quando si parla di un grembo materno, ma come si fa a non dire che si riferisca ad un popolo, specie nei versetti che vanno dal 7 fino al 13. La prima cosa che vedremo è l’identità di questo servo, cosa gli è successo, come è stato chiamato; poi vedremo che missione ha, cosa produrrà la sua missione e come lo produrrà. L’identità di questo servo sono i versetti da 1 a 4, quale sarà la sua missione i versetti da 5 a 7, nel 7 cosa produrrà e la modalità di produrre tutto questo dal versetto 8 al 12 e quindi un canto di lode finale al 13.
1 Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane;
Chi deve ascoltare? Il destinatario è qualcuno di molto lontano, un orizzonte universale, nessuno è escluso; questo servo, in ultima analisi è per tutti gli uomini. Immaginate cosa potevano apparire le isole per un popolo abituato a vivere sulla terra, sulle montagne, un popolo che non ha mai conquistato un territorio confinante con il mare. Per Israele l’acqua è sempre stato un problema, il sogno è che il popolo cammini sempre all’asciutto, che il mare si apra (la pasqua, il passaggio del mare); “chi è quest’uomo che addirittura i flutti gli obbediscono”, dicono i discepoli di Gesù, l’acqua il mare ha prodotto sempre tantissima paura al popolo di Israele; “Ha posto un argine al mare”, Dio è proprio potente; nella Genesi lì immagine è quella delle acque che si separano e allora che compare la vita. Quindi immaginate come possono apparire le isole per un israelita; è un concetto estraneo a se. Allora dire ‘isole’ significa parlare di terre lontanissime, di un’altra galassia. Questo servo dovrà essere ascoltato proprio da tutti! Pensiamo che tutto questo sta preparando il Nuovo Testamento, la venuta del nostro Signore Gesù Cristo. il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome
La nostra vita è un disegno di Dio; è sbagliato pensare che Dio compare nella nostra vita solo ad un certo momento, a sorpresa. Lui c’è sempre stato, eventualmente tu lo percepisci solo adesso! Vive con te, ha maturato con te, ma uno se ne rende conto solo ad un dato momento. Questo servo sta parlando alle isole, sta spiegando a chi può parlare; ed è chiamato fin dal seno della
mamma! Pensate a chi dice che non ha rilevanza la vita intrauterina, invece la mappatura del tuo DNA è già la chiamata di Dio. In ebraico non si traduce ‘ha pronunciato’, ma usa il verbo ‘ricordare’. Pensate a quanto si rimane male se uno non si ricorda il tuo nome; bene, il Signore ricorda il tuo nome dal grembo di tua madre. La memoria è un fattore affettivo, uno si ricorda le cose che ha a cuore. La memoria è la nostra identità, siamo disegnati dalla nostra memoria; se una cosa ci viene tolta dalla nostra memoria diventa una patologia. Pensate quanto fu importante al tempo del grande giubileo del 2000, per Giovanni Paolo II, il tema della memoria: il Giubileo è una festa di perdono, il cuore del giubileo è la riconciliazione, la ricostituzione del proprio rapporto con Dio, nasce dalle pratiche penitenziali della storia della Chiesa. Purificazione della memoria;cosa è il perdono dei peccati se non toccare la memoria, chi può perdonare i peccati se non Dio solo, chi può sanare la nostra memoria se non lo Spirito Santo: “Egli vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto”. Noi ricordiamo ciò che ci ha detto Gesù. Qui parliamo della memoria di Dio: Dio si ricorda il tuo nome, il nome di questo servo; Dio ha a cuore questo servo! Pensate che il 2 canto sul quale stiamo riflettendo continua con il versetto 14: 14 Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato». 15 Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai.
Il servo sa di essere ricordato, sa che la sua vita sin dal grembo materno è presente a Dio. La memoria di Dio è un tema liturgico: il memoriale della eucaristia. Pensate quante volte nella Santa Messa viene detto ‘ricordati dei nostri fratelli’, ‘ricordati della tua Chiesa’ e non è un modo per ricordare a Dio, perché altrimenti se ne dimentica, ma è un modo per dire che sto andando al cuore di Dio, sto parlando al cuore di Dio; la sua memoria è il suo rapporto con me, io sono lì segnato nel suo cuore. Nella liturgia viene proclamato come l’atto di far presente a Dio (nel linguaggio comune capita di dire “non ho presente quello che mi stai dicendo”; il passato che si fa presente).
Avendo questa radice nel cuore di Dio, sin dal mio codice genetico :
2 Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all’ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra.
C’è un movimento ripetuto due volte; innanzitutto è spada e freccia, la spada per il combattimento vicino, la freccia da lontano. Esistono tecniche diverse di combattimento, il corpo a corpo e il nemico lontano. A seconda delle situazioni il servo deve saper comportarsi. Se parlo ad una assemblea tiro frecce, se parlo personalmente uso la spada, il pugnale. Uno non ha una postura unica ed è il nemico che decide della mia arma. Noi siamo forgiati dal Signore non secondo la nostra personalità, ma a seconda di chi ci è affidato. Questo determina la verifica della propria vocazione, della propria missione. Cosa sono io, una identità a se stante ? o sono una freccia o una spada, uno strumento che ha un compito.
Queste analogie guerresche possono non piacere, ma è il linguaggio biblico, della fede che segue questa logica: c’è una buona battaglia. Nella cultura moderna si è cercato di cancellare questo tipo di linguaggio, distruggendo anche l’identità maschile, l’identità del maschio, del padre, dello sposo; quell’aspetto aggressivo è stato troppo colpevolizzato. [a tal proposito mi permetto di consigliarvi la lettura di un testo: “Quello che gli uomini non dicono. La crisi della virilità”di Roberto Marchesini , uno psicoterapeuta] Questa non vuol essere una epopea della guerra, ma la opposizione al male è una nota importante della nostra fede e della nostra realtà umana. Essere freccia o spada lo si decide secondo l’oggetto e ne stavo parlando nel discernimento vocazionale, sembra che si debba dedurre la vocazione dalla sagomatura della persona; una azione narcisistica. Una persona è una missione, nessuno vive per se stesso, la persona umana richiede relazione. Io non sono mai da me per me stesso, ma per gli altri. Io per me sono solo e la solitudine è l’inferno, il nulla, solo la relazione mi da la vita. In una vocazione è prioritario la finalizzazione, in quanto essere in relazione; non vivo la vocazione perché mi realizza e magari pretendo che il mondo si modelli sulle mie esigenze. Chi mi sagoma non sono i miei bioritmi, le mie necessità, ma la percezione di una urgenza e la coerenza con quella urgenza. La vocazione è come un incendio: di fronte a questa emergenza non ti domandi se sei abbastanza preparato, se sei capace o meno, scopri che hai le mani e c’è un secchio, o quello che trovi da qualche parte, che può farti comodo, che è importante chiamare qualcuno, una comunità che insieme ti aiuti etc… tutto si va configurando attorno alla meta. Si parla spesso di progetti nella Chiesa, invece esistono le mete da raggiungere, c’è una realtà alla quale rispondere e non un progetto pensato aprioristicamente da portare avanti. Spada o freccia, lo statuto del mio essere lo detta l’urgenza della Chiesa; non faccio volontariato per sentirmi bravo, ma come risposta ad una urgenza della Chiesa.
2 Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all’ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra.
Notare che prima mi rende una spada affilata e poi mi nasconde nella sua mano, mi rende freccia appuntita, mi ha limato, mi ha potato, e poi mi ripone nella faretra! La missione richiede il nascondimento, la faretra. I tempi dell’azione non sono i nostri tempi, le modalità non sono le nostre. La pastorale deve tener conto della realtà che ho davanti, devo essere spada o freccia a seconda del caso, debbo imparare a stare fermo ed attendere anche, devo stare all’ombra della sua mano. Sappiamo stare dentro la faretra o siamo sempre fuori, a fare? Si può vivere del proprio ministero, della propria attività, ma è pericolosissimo; si vive solo del rapporto con Dio. Si parte sempre dalla faretra e non dall’aria, si parte dalla sua mano finché Egli decide, finché Dio voglia. Non è essere scoccati che ci fa realizzare la nostra missione, ma l’essere a disposizione in una faretra che ci fa diventare frecce del suo arco. Il fare è solo il risultato, ma la premessa è essere nella mano di Dio, la premessa della preghiera. Non tutti i giorni dovrò essere scoccato, ma tutti i giorni dovrò stare a disposizione nella faretra; non tutti i giorni sarò sul palcoscenico dell’attività, ma tutti i giorni devo essere nelle mani di Dio, a disposizione. Devo essere spada affilata o freccia appuntita per governare, ma sa governare chi è governato, sa comandare chi ha fatto l'esperienza della obbedienza. Agli estremi troviamo la durezza e il
lassismo: il lasso è colui che non ha mai obbedito, che non sa quanto sia efficace obbedire a Dio e pensa che si può fare a meno della obbedienza, “tanto non c'è problema, perchè Dio è buono” ‐ è vero ma Dio è buono quando ti salva!; è l'obbedienza che fa cambiare la natura delle cose, l'obbedienza che cambia l'acqua in vino, “fate quello che vi dirà”. Chi non si fa 'limare' da Dio, non si fa potare, non vuole togliersi dei pezzi e magari sbattere contro una pietra; taglia chi è stato tagliato, comanda chi ha obbedito. Chi obbedisce conosce quanto è dura l'obbedienza, quanto è duro dirsi di no, ma sa quanto fa bene, ne conosce l'efficacia. Se vuoi essere spada affilata, allora obbedisci a Dio: obbedisci allo stare fermi, se Dio vuole, in una inattività frustrante, per approfondire la tua fede. Il rischio è quello di dire “tanto lo so” ed invece rimanete attaccati alla preghiera, come lo era ad esempio un santo come Giovanni Paolo II. Importante è anche nascondersi in Dio, stare sotto la sua mano. È quando puoi agire che devi pregare; quando sei già pronto che devi mettere Dio al primo posto. Tante volte abbiamo una idea meccanica della missione, la missione è secondo il tempo di Dio. Talvolta cose buone, fatte in tempi sbagliati sono inopportune, peggio di una cosa sbagliata. A volte saper star zitti, dare il tempo ad una persona di vivere la sua esasperazione è fondamentale. Anzi corriamo il rischio di bruciare quella cosa buona, poi non potrai più dirla, n on servirà più a niente. Un atteggiamento invasivo che non sa attendere è come un atteggiamento troppo attendista. Io stando all'ombra della sua mano, nella faretra:
3 Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria». 4 Io ho risposto: «Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze.
Sembra un dialogo strano ! Dio che mi dice che io sono suo servo e manifesterà su di me la sua gloria ed io rispondo di aver lavorato invano ed invano aver consumato le mie forze. Chi riesce a rispondere così ? Prima di rispondere così, Mosè ha dovuto faticare 40 anni: all'inizio pensa di aver capito tutto, vede la sofferenza della sua gente, vuole salvarla ma riesce solo ad uccidere un egiziano;
11 In quei giorni, Mosè, cresciuto in età, si recò dai suoi fratelli e notò i lavori pesanti da cui erano oppressi. Vide un Egiziano che colpiva un Ebreo, uno dei suoi fratelli. 12 Voltatosi attorno e visto che non c'era nessuno, colpì a morte l'Egiziano e lo seppellì nella sabbia. 13 Il giorno dopo, uscì di nuovo e, vedendo due Ebrei che stavano rissando, disse a quello che aveva torto: «Perché percuoti il tuo fratello?». 14 Quegli rispose: «Chi ti ha costituito capo e giudice su di noi? Pensi forse di uccidermi, come hai ucciso l'Egiziano?». Allora Mosè ebbe paura e pensò: «Certamente la cosa si è risaputa». 15 Poi il faraone sentì parlare di questo fatto e cercò di mettere a morte Mosè. Allora Mosè si allontanò dal faraone e si stabilì nel paese di Madian e sedette presso un pozzo. (Esodo 2)
scopre le sue opere vane.
Alcuni anni dopo, troviamo Mosè che stava pascolando il gregge del suocero
2 L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. 3 Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». 4 Il Signore vide che
si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». 5 Riprese: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!». 6 E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio. (Esodo 3)
Anche Mosè aveva osservato anni prima la miseria del suo popolo, aveva già fatto questa esperienza
7 Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. 8 Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l'Hittita, l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo, il Gebuseo. 9 Ora dunque il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l'oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. 10 Ora va'! Io ti mando dal faraone. Fa' uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!».
Ora Mosè non è più impulsivo anzi risponde:
11 Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti?».
Mosè è stato nella faretra per essere forgiato per rispondere in questa maniera, è stato lavorato dalla storia. È importante che dica “chi sono io”, prima da solo ha fatto solo errori. Il tempo della attesa è servito a fare una sintesi tra i suoi desideri e i suoi limiti: certamente è un dolore. La verifica, il discernimento però ti fanno capire la tua vocazione. Nel discernimento è importante essere inquieti per la consapevolezza di non essere all'altezza. Dio non ci chiamerà mai a qualcosa di cui siamo all'altezza, ci vuole questo dolore.
4 Io ho risposto: «Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze. racconta di qualcuno che ha fallito, di qualcosa che è successo; è un uomo che si sente come una vite spanata che non va né avanti né indietro.
Questo dialogo si compone di tre parti: 1. si spiega l'identità di questo servo 2. il Signore mi ha reso punta affilata, io per contro ho fallito tante volte 3. la sapienza: Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore,
la mia ricompensa presso il mio Dio».
Le mie vanità le sa giudicare Dio, i miei errori sono nelle Sue mani; devo obbedire a Dio. Sono uno che sa che solo in Dio si spiegano le cose. Se tutto ciò che ho fatto è nelle mie mani, vedo gli effetti di ciò che ho fatto, domino tutto il mio agire, non sono nelle mani di Dio: il mio diritto è presso il Signore! Quanto è importante il tema della ricompensa; pensate al mercoledì delle ceneri “quando pregate entra nella tua stanza e prega in segreto il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà” “gli ipocriti hanno già ricevuto la loro ricompensa ...”. quando hai già la ricompensa, vuol dire che non sei presso Dio, che non ti sei fatto il tesoro nei cieli, ma sulla terra. Questo servo non può agire sulla terra e tutto si spiega qui: sarebbe gravissimo per noi cristiani; per il servo in questione spiegava la sua missione nel ritorno di Babilonia (questo è il periodo di questo brano) e basta e non c'era spazio per noi, per Gesù Cristo.
“Molti profeti e Re hanno desiderato vedere ciò che vedete e non lo videro”: vuol dire che perchè tu abbia ciò che hai, qualcun altro l'ha dovuto desiderare. Se noi abbiamo la Chiesa di adesso, qualcuno altro ha dovuto desiderare il Concilio vaticano II e patirne il bisogno e piangerne il ritardo ed avere il coraggio di dire “c'è bisogno di fare il Concilio”. La sapienza è capire che non tutto si spiega con i suoi risultati; io fatico invano, Dio mi chiama, talvolta non capisco tutto quello che faccio, ma la mia ricompensa è nel Signore. Solo Dio lo sa, io ho un rapporto con Lui. Talvolta nelle tue imprese ti sembra di essere come un palombaro che si muove lentamente ed impacciato nella realtà. 5 Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele – poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza – ci sarà un salto di qualità 6 e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra».
È troppo poco … c'è sempre un 'troppo poco'nella nostra missione. Nelle nostre missioni vorremmo sempre dire 'ok', mettere un segno e fermarci soddisfatti: “mi basta questo”, ma Dio è sempre di più, ha sempre qualcun altro a cui pensare. Una tentazione per noi diaconi potrebbe essere quella di dire, in fondo già ci occupiamo della nostra famiglia potrebbe bastare, che senso ha uscire per occuparci di altri! Possiamo limitare ? Dio risponde: troppo poco, ci chiama a rompere le catene delle nostre sicurezze. I discepoli dicono “il sole è iniziato a declinare, congeda la folla”, ma Gesù risponde “date loro da mangiare” quando chiedono a Gesù di quante volte devono perdonare un fratello, Pietro che pensa di esagerare risponde “7 volte” e subito Gesù aggiunge “non 7, ma 70 volte 7” … è sempre troppo poco! o ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» Solo chi è stato nella faretra capisce che non c'è limite, solo chi ha accettato illimite capisce che non c'è il limite, solo chi è stato dentro la mano, nascosto, metabolizza che bisogna pensare sempre di più in grande.
7 Così dice il Signore, il redentore d’Israele, il suo Santo, a colui che è disprezzato, rifiutato dalle nazioni, schiavo dei potenti: … del Santo d’Israele che ti ha scelto».
Ciò che il servo produrrà nel popolo. Il popolo è in una posizione miserabile, di esproprio, fuori della loro terra, disprezzato dalle nazioni. Colui che è disprezzato, la sua identità, ma di fronte a questo pezzente ci sarà onore e riverenza i principi si prostreranno
a causa del Signore che è fedele, del Santo d’Israele che ti ha scelto».
Talvolta di fronte a situazioni di dolore cerchiamo risposte immanenti, ma invece è a causa del Signore che è fedele
“così splendano le vostre opere buone davanti agli uomini e gli uomini glorifichino il Padre vostro celeste”, vuol dire che la gente capisce che il tuo operato è di Dio. Tu non sei ciò di cui parli, ma parli di qualcosa; non sei ciò che fai, ma fai qualcosa che è opera di Dio. La gente si inchina di fronte al nostro fare, ma sarà importante che sia motivo di lode al Signore. Se dico ad una persona che Dio sarà glorificato per mezzo tuo o che molta gente benedirà Dio a causa tua, questa, se debole, può sentirsi schiacciata ma è la verità; guai alle persone che cercano la lode per se.
8 Così dice il Signore: «Al tempo della benevolenza ti ho risposto, nel giorno della salvezza ti ho aiutato.
(Cfr. 2 lettera ai Corinzi) Questo testo ci ricorda che la salvezza ha un tempo, che la benevolenza ha una zona. “metterete il sangue sulla trave e sugli stipiti e non uscirete dalla porta perché fuori c’è l’angelo sterminatore”, e veramente così è la nostra vita, c’è una zona che è scevra dall’angelo sterminatore ed io debbo stare in questa zona; c’è un tempo ed è il tempo della salvezza, della benevolenza; così la preghiera richiede disciplina, la disciplina cronologica poiché si prega in alcune ore. Nessuno può pensare di pregare senza togliere qualcosa ad altro, se insegni qualcuno a pregare devi dirgli che c’è qualcosa d’altro che deve smettere; non puoi pregare veramente se non tagli qualcosa, c’è il tempo della salvezza e il tempo di fare altre cose. L’opera fondamentale del maligno nella chiesa è quella di farci perdere tempo. La benevolenza, la salvezza richiedono priorità; nel tempo della salvezza qualcosa d’altro deve andare in malora, non deve esser fatto. Le cose non sono giuste e basta, ma giuste al momento giusto!
Ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo,
Essere alleanza del popolo: ancora una volta si sottolinea la finalità del nostro essere; io sono, per qualcuno per far risorgere la terra, per farti rioccupare l’eredità devastata,
cioè per ri‐assegnare i compiti. L’eredità è ciò che i padri mi hanno lasciato, il deposito della fede. “Beati i miti perché erediteranno la terra” vuol dire che son quelli che non combattono perché hanno un altro possesso, ereditano ben altro, un’altra terra. Tu puoi lavorare perché puoi rimettere le persone in possesso di una eredità che è loro, che gli spetta
9 per dire ai prigionieri: “Uscite”, e a quelli che sono nelle tenebre: “Venite fuori”.
Ai prigionieri non li libera, ma dice “uscite”, perché è una Parola che libera l’uomo, è una Parola che scardina le sue catene. La prigione non è tutto, la vera prigione è il peccato, “ci vollero 40 anni per togliere l’Egitto dal cuore degli Israeliti”, la prigione è dentro l’anima. È una Parola che salva: dire una Parola di salvezza vuol dire convincere di bellezza, di importanza, convincere di dignità
Essi pascoleranno lungo tutte le strade, e su ogni altura troveranno pascoli.
Prendere possesso globale
10 Non avranno né fame né sete e non li colpirà né l’arsura né il sole,
è il paradiso; questa è una missione che punta in alto, una missione infinita: arrivare a vincere la sete e la fame dell’uomo. Ai piedi di un albero abbiamo perso questa battaglia, siamo diventati degli schiavi, vincere la fame vuol dire vincere la tentazione; vincere la fame significa non essere più schiavi degli appetiti. L’uomo nuovo è quello che non ha bisogno di assolutizzare la propria esigenza, non ha più fame ne sete
perché colui che ha misericordia di loro li guiderà, li condurrà alle sorgenti d’acqua.
È la misericordia che conduce l’uomo! L’unica maniera per salvare certe persone, è amarle, per vincere le tenebre è volergli bene. Così ha fatto il Signore Gesù Cristo, con tutti noi; ci ha salvato semplicemente, volendoci bene, morendo per noi, tanto non potevamo ascoltarlo, non sapevamo quello che facevamo. Misericordia gratis, senza la pretesa di vedere il risultato
11 Io trasformerò i miei monti in strade e le mie vie saranno elevate.
Qui stiamo parlando ad un popolo che deve tornare dall’esilio; non sarà così difficile allevare una persona nella misericordia, farla uscire dalla tenebra, non sarà terribile uscire dall’inganno, dal peccato.
12 Ecco, questi vengono da lontano, ed ecco, quelli vengono da settentrione e da occidente e altri dalla regione di Sinìm».
Si può tornare dappertutto, da qualsiasi luogo. Finisce con una lode cosmica
13 Giubilate, o cieli, rallégrati, o terra, gridate di gioia, o monti,
perché il Signore consola il suo popolo e ha misericordia dei suoi poveri.
Perché cieli, terra e monti debbono cantare ? perché il fine della missione di questo servo è che il Signore consola il suo popolo, ha misericordia. La vera missione ! Una volta chiesi ad un Vescovo, di come dovevo predicare il Vangelo, ed egli mi rispose: “preoccupati sempre che la gente quando esce, esca consolata, incoraggiata; che la gente abbia sempre la voglia di seguire il Signore Gesù Cristo”. Da ogni luogo si può tornare all’amore di Gesù, a sperimentare la sua misericordia. Il servo ha imparato a diventare una spada, sa quello che deve fare perché ha vissuto l’esperienza del fallimento del suo agire, “io sono uno che lavora a vuoto” ed allora l’opera sarà quella di Dio.