IRC e SCUOLA - Diocesi di Verona · scuola dell’infanzia di Fumane, dove tutt’ ora insegno, che...

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IRC e SCUOLA A cura di Don Domenico Consolini Quaderni della Consulta - 5 Consulta Diocesana di Pastorale Scolastica Verona 2012

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IRC eSCUOLA

A cura di Don Domenico Consolini

Quaderni della Consulta - 5

Consulta Diocesana di Pastorale Scolastica

Verona 2012

3Quaderno della Consulta

Presentazione

La figura dell’insegnante di Re-ligione Cattolica a scuola, la sua interazione con gli studenti, geni-tori e colleghi, il suo modo di porsi davanti a questa disciplina affasci-nante da un lato ed estremamente delicata dall’altro i rapporti con la Chiesa e con l’ Amministrazione dello Stato. Questo è stato l’argomento scelto quest’anno dalla Consulta della Pastorale Scolastica della nostra diocesi ed attorno a questo tema abbiamo ascoltato, riflettuto e dibattuto al fine di poter offrire il nostro contributo a tutti quelli che hanno a cuore i nostri ragazzi, il mondo della scuola.E sempre su questa linea abbiamo scelto di presentare il nostro lavoro in un incontro pubblico ed offren-do, per la quinta volta, il Quaderno della Consulta, una pubblicazione che sinteticamente racchiude gli interventi che si sono sussegui-ti all’interno dei nostri incontri mensili.Abbiamo voluto partire dai prota-gonisti, da chi opera quotidiana-mente nelle sezioni e nelle classi, sentire la voce e la testimonianza all’interno di tutti gli ordini di scuola, da quella dell’infanzia fino alla secondaria di secondo grado.Il secondo passaggio è stato quello di approfondire sul piano conte-

nutistico e metodologico quelle che in definitiva debbono essere le competenze che i docenti dovreb-bero mirare a coltivare e sviluppare per essere in grado di elaborare un progetto responsabile integrando conoscenze ed abilità con le risorse interne e specifiche di ogni ordine di studio. Abbiamo visto come sia molto importante far emergere la capacità della persona ad identificare, com-prendere, interpretare e valutare il significato dei segni e dei docu-menti religiosi cogliendone il meto-do, i modelli e gli schemi linguistici per poter esprimere con compiu-tezza la propria e l’altrui esperienza del mondo trascendente.Siamo quindi passati a chiederci il perché, il cosa ed il come dell’IRC a scuola oggi in Italia, in rapporto alla situazione culturale, sociolo-gica e normativa del nostro paese; in questo momento sono anche stati evidenziati momenti opera-tivi, ipotesi di obiettivi specifici di apprendimento con esemplificazio-ni chiare. Anche il rapporto con la Chiesa, con la Chiesa locale, nello specifico, è stato oggetto di analisi ed approfondimenti.Tutto questo lavoro, tutti questi contributi sono stati oggetto di riflessione all’interno stesso della Consulta con un’apertura all’ester-

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Don Domenico ConsoliniPresidente della Consulta e Direttore dell’Ufficio

Diocesano di Pastorale Scolastica

no verso le quattro componenti fondamentali della nostra scuola: gli studenti, i genitori, i docenti ed i dirigenti. Anche in questo caso aspettative, difficoltà e risorse sono state frutto di confronto e relazione che abbiamo cercato di formaliz-zare in una relazione scritta. Ha chiuso, come era giusto, il nostro lavoro, un incontro , con una con-versazione tutta incentrata su come l’ ordinario vede l’insegnamento della religione cattolica ed i docen-

ti di religione nei rapporti con la scuola e la diocesi.Noi presentiamo così il nostro im-pegno, con questo contributo che ormai è diventato una tradizione essendo questo il quinto quaderno della Consulta, con la speranza che possa essere di qualche utilità a quanti hanno a cuore il mondo del-la scuola : per questo volentieri lo offriamo con lo spirito di servizio e confronto aperto.

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Insegno religione nella scuola dell’infanzia dal 1999, quindi da cir-ca 12 anni, dopo aver conseguito il Diploma in Scienze Religiose presso I’Istituto Superiore di Scienze Reli-giose di Urbino e il Magistero qui a Verona.Per mia scelta ho iniziato da subito a lavorare nella scuola con i più pic-coli e vi sono rimasta fin ad ora. Ero la prima in graduatoria e avrei po-tuto scegliere anche di lavorare nelle scuole elementari, ma presi questa direzione suscitando lo stupore del-la segretaria dell’ufficio scuola, la quale mi disse che la maggior parte degli insegnanti preferiva svolgere il proprio insegnamento nelle classi di età più avanzate, ritenendo troppo difficile parlare di Dio e delle tema-tiche inerenti all’I.R.C a bambini così piccoli.Ho avuto la fortuna, fin dall’inizio, di poter programmare il mio lavoro con un’ insegnante di classe della scuola dell’infanzia di Fumane, dove tutt’ ora insegno, che aveva scelto di continuare ad avvalersi della possi-bilità di insegnare religione ai suoi bambini.Fu lei ad aiutarmi a comprendere sempre di più quanto fosse impor-tante proporre il nostro insegna-mento partendo sempre da quella

che è l’ esperienza concreta di vita dei bambini così come essa si svolge all’interno delle reti relazionali fa-migliari, e di quelle più allargate del contesto scuola e della comunità in cui il bambino si trova a vivere. In sintonia con i nuovi programmi di religione cattolica e delle indicazio-ni didattiche ricevute dall’ ispettrice Zuccari nell’ultimo anno di studio per il conseguimento del magistero in scienze religiose a Verona; abbiamo sempre cercato di porre il bambino con le sue domande e le sue esperienze relazionali affettive al centro della nostra offerta forma-tiva. Etimologicamente la parola re-ligione deriva da “religare”, termine che esprime la capacità di cogliere il legame che sussiste tra tutte le cose, in particolare tra il sé, gli altri, la na-tura e Dio.L’insegnamento della religione cat-tolica ai bambini si pone, a mio avvi-so, come un’ offerta di senso capace di rispondere agli innumerevoli per-ché che sgorgano spontaneamente dalle loro labbra riguardo anche ad esempio il problema della sofferen-za, della morte, i perché relativi alle curiosità inerenti al rapporto con il mondo della natura, o alle difficoltà che i bambini stessi possono incon-trare nei loro primi approcci con gli

L’insegnamento della religione nella scuola dell’infanzia

Agnese Gabrielli

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altri bambini o adulti che incontra-no nel loro percorso di vita. Per una crescita omogenea ed ar-monica il bambino non ha infatti solo bisogno di confrontarsi con il mondo dei significati o di essere in grado di decodificare particolari linguaggi, ma ha anche necessità di incontrarsi con dei valori che diano alla sua esperienza solidità e certez-za nel fluire dell’esistenza e che gli permettano di attingere un senti-mento di legame universale con le cose e le persone, che lo sottraggano ai sensi di insicurezza e di angoscia e gli diano gratificazione e sicurezza nell’agire e nello scegliere.Sono valori che all’interno del nostro insegnamento si incarnano sostan-zialmente in una persona, quella di Gesù, alla quale si dedica una gran-de parte della programmazione.Praticamente questa si articola fon-damentalmente intorno a cinque o sei nuclei tematici: I’ Accoglienza, la Creaturalità, il Natale, La vita di Gesù, Segni e simboli cristiani e non ultima la tappa sull’ Intercultura. Ognuno di questi nuclei tematici ha come finalità quella di proporre ai bambini offerte di senso e quindi di orientamento nel suo rappor-tarsi con altri (Accoglienza); con il mondo (Creaturalità), con Dio (at-traverso la persona di Gesù e della comunità ecclesiale) e con diversi mondi culturali che incontra nella sua stessa scuola attraverso la tappa relativa all’ Intercultura. Gli stru-

menti didattici usati sono moltepli-ci, dalle attività di brainstorming, a quella del racconto, della visione di immagini, di esperienze dirette con il mondo della natura, la dramma-tizzazione, le attività creative e pit-toriche, il gioco; tutti strumenti di mediazione didattica che permetto-no di creare un ponte tra quella che è I’ esperienza stessa del bambino e I ’ o f f e r t a d i s e n s o p r o p o s t a dall’ insegnante di I.R.C.Non è stato facile far comprendere ai genitori e anche ai colleghi I’ im-portanza di questo insegnamento e anche dello sguardo e della pro-spettiva particolare con cui un inse-gnante di religione guarda al mondo del bambino. Nel nostro insegnamento viene data spiccata importanza al momento del dialogo e dell’ascolto reciproco nel cerchio dei bambini. Momenti preziosissimi nei quali i bambini svelano il loro mondo, il loro sguardo sulle cose, facendo-ne dono a noi adulti e chiedendoci spesso indirettamente o velatamen-te aiuto nei loro momenti di soffe-renza e di insicurezza.Mi è capitato spesso che i bambini mi comunicassero cose che non erano riusciti a dire alle altre insegnanti ri-guardo a turbamenti, magari relativi alla perdita di figure delicate e signifi-cative come quelle dei nonni, o a sof-ferenze affettive dovute a esperienze di separazione avvenute in famiglia.Il bambino si abbandona fiducio-

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so a noi nella misura in cui si sente amato e accolto ed ha fiducia nella nostra capacità di offrire una rispo-sta alle sue domande.Ed è qui che entra in campo, a mio avviso, la figura dell’insegnante che si fa testimone di una fede professata e vissuta, nella sua capacità non solo di presentarla come offerta di senso ma anche di farla percepire come credibile attraverso il suo compor-tamento ed una sempre maggiore capacità di profondo ascolto della persona che ha di fronte.In questa capacità di accoglienza e di ascolto sta, secondo me, la pos-sibilità di considerare I’insegnante di religione come una figura pasto-rale all’interno della scuola e non solo nel rapporto con i bambini ma anche con gli altri colleghi e con i genitori stessi che spesso giungono, se maturano un profondo rapporto di fiducia e stima, ad aprire scorci sui loro vissuti esistenziali carichi a volte di domande in attesa di rispo-ste o di aiuto.E’ chiaro che il fattore continuità esercita un ruolo importante. Se sono riuscita a raggiungere un dialogo costruttivo e sempre più collaborativo con i colleghi e i geni-tori, questo è dovuto al fatto che per tutti questi anni ho scelto di rima-nere sempre nelle stesse sedi.Non è possibile credo dare vita a relazioni significative se non attra-verso il tempo che ci permette di portarle a maturazione.

Molti genitori e anche colleghi ini-zialmente guardavano all’ ora di re-ligione come a un’ ora di catechismo e ho dovuto più e più volte spiega-re in che cosa consista veramente questo insegnamento negli stessi termini con cui sopra ho cercato di rappresentarlo. Ho cercato an-che di coinvolgere il più possibile i genitori che provengono da diversi orizzonti religiosi, offrendo la pos-sibilità di far partecipare i loro bam-bini a nuclei tematici come quelli dell’accoglienza, della creaturalità e dell’ intercultura che possono essere condivisi anche da chi proviene da ambiti religiosi diversi. Sono anche queste, secondo me, scelte importanti per contribuire all’ interno della scuola, a creare spazi di apertura e di dialogo tra mondi e culture diverse attraverso un lavo-ro attento sull’educazione al dialogo e al confronto con chi è diverso da noi o che professa una fede diversa dalla nostra. E’ importante aiutare i nostri bambini a comprendere che esistono modi diversi di vivere, di cogliere le relazioni tra le cose. Un bambino in Africa non si siede per terra perché è povero e non ha una sedia, ma perché per la sua cultura, per le sue tradizioni si può sceglie-re anche di mangiare seduti su una stuoia, attingendo magari il cibo da un medesimo piatto.Sono semplici esempi che aiutano il bambino a crescere nel rispetto e nella capacità di esplorare il mon-

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do anche con gli occhi degli altri, aprendosi a nuove possibilità di visione delle cose e di risoluzione anche dei problemi del vivere quo-tidiano. Educare a questa duttilità e apertura di pensiero è fondamen-tale per la concreta costruzione di un mondo di pace e di fratellanza fatto di rispetto, fiducia e apertura nei confronti di interlocutori che provengono da mondi culturali di-versi e che sempre più entrano a far arte del nostro mondo occidentale, quello che noi continuiamo a chia-mare civilizzato.Vorrei concludere dicendo che il contatto continuo con i bambini mi ha cambiata soprattutto nella mo-dalità stessa di pormi in relazione

con Dio. Dai bambini ho appreso che il con-tatto con Dio passa soprattutto attra-verso la capacità di vivere totalmente nel momento presente; immergen-dosi nella vita e accogliendola con un atteggiamento di profonda fidu-cia, speranza e apertura. Il bambi-no è tutto questo: apertura verso il nuovo, il non conosciuto; fiducia in chi la vita gli ha messo accanto per guidarlo e capacità di vivere total-mente nel presente con un senso di stupore e meraviglia per ciò che la vita man mano di sé gli svela.E’ proprio vero . . .. “Se non ritor-nerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli. ...”

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Lavoro nella scuola secondaria di primo grado da quasi vent’ anni; durante questo periodo c’ è stata si-curamente un’ evoluzione della mia materia, che per sua natura è solle-citata dai cambiamenti socio-cultu-rali, a declinare i propri contenuti in modi sempre nuovi e significativi per i ragazzi. La complessità e la ve-locità di cambiamento che contrad-distingue i tempi che viviamo, esige anche da noi un aggiornamento co-stante e diversificato, come testimo-niato dalle varie offerte di formazio-ne in servizio proposte dall’Ufficio scuola della diocesi, che nel corso degli anni hanno spaziato in diverse direzioni: dall’arte sacra alla mul-timedialità, dai laboratori didattici agli approfondimenti in campo bi-blico e teologico e via dicendo.Se da sempre si è chiesta all’IdR una buona competenza teologico-peda-gogica, ora la nostra professionali-tà sul campo si misura anche dalla competenza comunicativa e dalla capacità di instaurare relazioni si-gnificative a 360°.Questa possibilità però passa neces-sariamente attraverso la situazione concreta in cui si trova ad opera-re l’IdR e dunque si può realizzare appieno solamente nelle istituzioni scolastiche dove l’IdR presta il suo

servizio per un numero di ore setti-manale sufficientemente consisten-te e con una certa continuità negli anni. Nel mio caso, io insegno già da molti anni in una scuola media alla periferia della nostra città, tut-tavia non riesco a completare l’ora-rio cattedra, per cui per qualche ora (1 o 2 ore dipende dagli anni), sono assegnato anche ad un’ altra scuola.Questa situazione di completamento d’ orario è frequente fra gli IdR della scuola secondaria di primo grado, per le dimensioni stesse dei plessi, e porta con sé ovvie conseguenze. In positivo: nella mia scuola dicia-mo di “titolarità”, essendo stabiliz-zato, posso essere un insegnante che funge da “trait d’union” tra i vari consigli di classe e ho potuto rico-prire anche incarichi aggiuntivi a livello d’Istituto. Chiaramente ciò non è possibile in una scuola dove insegno per sole 2 ore. D’ altra parte essendo l’uni-co insegnante titolare nella suola secondaria di primo grado di San Massimo, non ho colleghi della mia disciplina con cui confrontarmi o programmare, anche se, essendo in-serito in un IC, ho dei contatti con le insegnanti specialiste di IRC delle scuole primarie.Un altro dato rilevante dell’esperien-

“L’IdR nella scuola” Scuola Secondaria di primo grado

Cristiano Costanzi

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za di ogni IdR nella scuola seconda-ria è certamente l’elevato numero di alunni: nel mio caso sono 386 gli avvalentesi (32 non avv.). Anche questo ovviamente porta con sé aspetti positivi e negativi.Come IdR ho certamente uno sguar-do d’insieme privilegiato sia sulla si-tuazione attuale, sia sull’ evoluzione storica della scuola in cui opero.Sono a contatto con un elevatissimo numero di genitori, che affollano i miei orari di ricevimento e che devo dire a volte si meravigliano quando li riconosco, mi ricordo del loro fi-glio o addirittura dei fratelli, ora ex alunni: devo dire che ciò richiede impegno, ma come dico sempre a un collega di lettere che si stupisce di come io riesca a farlo, ciò fa parte della “professionalità dell’IdR”. L’ esigenza di essere di essere “ri-conosciuti” nella propria unicità è fondamentale in ambito educativo.D’ altro canto però non mi è pos-sibile avere una conoscenza ap-profondita degli alunni, delle loro problematiche individuali, o avere tempo per approfondire i colloqui individuali con i genitori.La situazione appena descritta si ri-verbera sulla percezione che i vari interlocutori del mondo della scuo-la hanno dell’ IdR.In questi anni l’insegnamento del-la religione cattolica si è affermato sempre più come pienamente inse-rito nei curricola della scuola, sot-tolineando l’aspetto culturale che

le è proprio. Certamente è sempre necessario, o ciò è quantomeno ciò che si cerca di fare, coniugare la di-mensione culturale con quella squi-sitamente umana e relazionale, così come si addice a qualsiasi materia si proponga in un ambito educativo. Da questo punto di vista devo dire che non mi sono mai pervenute ri-chieste diverse rispetto a ciò che ci si aspetta da ogni altro insegnante.Ho consolidato nel tempo la con-sapevolezza di quale sia la natura della materia che insegno, grazie agli studi compiuti e alla costante formazione in servizio; ho chiaro l’ambito e le finalità dell’IRC nella scuola e questo a mio avviso costi-tuisce una premessa importante, un punto di forza, da cui partire per un sempre maggiore arricchimento.Alcune difficoltà sul campo per-mangono e sono legate ad una certa ambiguità ancora insita nell’IRC, la quale, anche se pienamente inserita nelle scuole di ogni ordine e gra-do, presenta ancora alcuni aspetti diversi rispetto alle altre discipline: è una disciplina facoltativa, ha una sua valutazione espressa sottoforma di giudizio e non con voto nume-rico in decimi, non viene portata all’esame di licenza … Questi aspetti possono incidere sulla corretta percezione dell’IRC soprat-tutto nelle persone (e possono essere alunni, genitori, colleghi o dirigenti) che non ne abbiano ancora chiara-mente presente la valenza e la finalità.

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Ciò rappresenta una “sfida” per ogni IdR alla quale io ho sempre cercato di rispondere attraverso un atteg-giamento concreto di puntualità e responsabilità nell’ assolvimento dei miei doveri professionali.Per quel che riguarda il rapporto con la pastorale la scuola seconda-ria di primo grado insiste su un ter-ritorio ed è necessario che sia legata ad esso. Una delle agenzie educa-tive presenti in modo significativo nel nostro contesto è certamente la parrocchia.E’ importante che a livello locale si instauri una rete di confronto e di collaborazione proficua soprattutto quando lo scopo a cui si tende èl’ educazione in senso pieno e il be-nessere dei ragazzi.Tuttavia a mio parere affinché la si-nergia possa essere davvero profi-cua non è necessario o sufficiente che si coinvolga in questo dialogo solo l’ IdR: egli, se da una lato è chiaramente un credente, dall’ altro ha un suo ruolo specifico e distin-

to nel momento in cui entra come figura professionale nel mondo del-la scuola. Se eventuali iniziative di collaborazione con le parrocchie passassero anche attraverso docenti di altre materie o altri “attori” pre-senti nel mondo della scuola, que-ste, a mio avviso, potrebbero essere percepite in modo più significativo e potrebbero favorire un maggiore coinvolgimento.Colgo talvolta, da parte degli alun-ni, o di alcuni genitori, ancora una certa confusione tra quello che è la catechesi vissuta in parrocchia e l’ ora di IRC a scuola. A questa età non è sempre facile comprendere la differenza tra i due approcci: uno esperienziale legato alla crescita del-la fede, l’ altro culturale e conosciti-vo. Credo che per dare risalto e in-cisività ad entrambe sia importante mantenere distinti i due ambiti, per favorire nei ragazzi stessi la possi-bilità di cogliere i possibili punti di contatto.

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Personalmente porto l’ esperienza di un decennio di insegnamento della scuola secondaria di secondo grado e devo dire che l’ evoluzione della disciplina IRC è sotto gli occhi di tutti. Basta dare un’ occhiata alla normativa scolastica che dal 1986 cerca di adeguarsi ai vari tentativi di riforma degli ordini scolastici. Cambiamenti quotidiani ci sono poi sul versante culturale e del costume che mettono alla prova la discipli-na IRC e la preparazione dell’IdR. Nonostante questi mutamenti una sola cosa è rimasta costante: la per-centuale abbastanza rilevante di av-valentesi (la media mi pare che sia dell’80% o oltre, anche se varia da regione a regione e varia da ordini e gradi scolastici).A mio avviso anche la presenza dell’IdR è parecchio cambiata: dalla figura quasi esclusivamente cleri-cale (preti, frati e suore) alla figura laica (specialmente femminile).Oggi è un professionista di “cose religiose” che sa dare delle chia-vi di lettura per un aspetto della personalità umana, appunto quel-la religiosa, che spesso oggi viene considerata irrilevante ai fini dello sviluppo individuale. Devo dire che attualmente la sensibilità, il grado di attenzione delle famiglie verso la

disciplina stessa e verso l’insegnan-te, la sua figura, si sta stabilizzando: spesso l’Idr è visto come compagno di viaggio degli studenti e sostegno nella loro crescita. È percepito come uno che sa ma che sa anche come fare. In ambito strettamente scolastico, per la mia esperienza e per le co-noscenze che ho, è ben inserito nei consigli di classe, è in buoni rapporti con i colleghi, e la sua preparazione e serietà professionale ne fanno un valido riferimento tanto che spes-so riveste ruoli importanti all’inter-no dell’organizzazione dell’istituto dove insegna.Nelle nostre scuole, nei nostri istituti l’insegnamento della RC avviene tenendo conto sia della dimensione culturale che di quella valoriale. Secondo me sono presenti entrambe, anche perché è molto difficile scinderle in maniera netta: l’uomo e i suoi valori forma-no la cultura e la cultura a sua volta plasma l’uomo e i suoi valori.Bisogna anche dire che le attese dei fruitori offrono uno scenario molto variegato e difficile da sistematizza-re: tipo di studio, età, dislocazione stessa sul territorio, tutto assume una valenza particolare e spesso incisiva, non credo che si possa ri-assumere facilmente, bisognerebbe

Albi Claudio

IRC secondaria di secondo grado

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andare a controllare i sondaggi delle varie scuole.Mi sembra che a Verona attualmen-te le attese siano più spostate verso un insegnamento multiculturale, multi religioso e poco catechistico, una sorta di “storia delle religioni”. Gli studenti , d’altro canto, sentono l’ ora di religione come un momen-to e uno spazio dove si formano persone libere e pensanti e poi in seconda istanza dei cristiani; cerca-no completezza interiore e consape-volezza di sé; indagano le nozioni fondamentali per la vita; chiedono gli strumenti per sapersi guardare dentro; vogliono cogliere gli aspetti della religiosità nella quotidianità. Questo, mi sembra di capire dalla mia esperienza, è quanto chiedono i nostri studenti.Per quanto riguarda i Dirigenti, mi sembra di poter dire che quelli con i quali ho lavorato hanno sempre considerato l’IRC come una disci-plina al pari delle altre, con lo stes-so peso scolastico e lo stesso valore formativo, non mi sono mai sentito discriminato o “sottovalutato”. Rifacendomi alla mia esperienza personale riconosco che una delle motivazioni più forti che mi han-no portato alla scelta di dedicarmi all’insegnamento della RC è stata la convinzione dell’importanza in-sostituibile di un apporto culturale religioso nella fase adolescenziale degli studenti i quali difficilmente sono raggiungibili dalle iniziative

parrocchiali dopo la Cresima…Sono convinto che la coscienza di poter essere al loro fianco nella cre-scita umana, culturale e spirituale in un ambiente “laico” sproni quoti-dianamente l’IdR a crescere sempre di più per essere al loro servizio con competenza e amore…Fondamentale inoltre è stato il Con-corso del 2004 per entrare in ruolo. Insegnare RC a fianco di tutti gli al-tri docenti con pari dignità, inclusi i diritti e i doveri, è stato un passag-gio necessario per sancire non solo un punto di arrivo di tante “batta-glie” sindacali, ma anche un punto di partenza altamente gratificante.Tutt’ oggi permangono a mio av-viso alcuni nodi ancora insoluti o comunque poco chiari che cerco di sintetizzare per punti:L’IRC non è del tutto dotata di una griglia di valutazione nazionale uni-forme e attualmente non rientra nella media dei voti che lo studente calcola per i propri crediti scolasti-ci, per cui quasi tutto è demandato all’ autonomia delle scuole creando poca chiarezza.Inoltre non si ancora fatto tutto il possibile per offrire allo studente che non si avvale una vera e qualifi-cante Ora Alternativa all’IRC. Per diminuire lo strappo tra chi si avvale e chi sceglie l’alternativa di uscire dalla scuola (per niente edu-cativa e per niente qualificante) op-pure per fornire una motivazione appropriata per lasciare lo studente

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allo studio individuale, occorrereb-be, io credo, una seria proposta cul-turale (da sensibilizzare in sede di Collegio Docenti) che alla fine, ne sono sicuro, rafforzerebbe le moti-vazioni per chi si avvale dell’IRC….Ora come ora non saprei dire se aumenteranno le criticità o le op-portunità per il nostro insegnamen-to; non saprei fare una previsione motivata e credibile. Per carattere propendo per la seconda ipotesi però mi rendo conto che dipende da molti fattori che spesso superano anche le possibilità e previsioni del singolo docente, andrebbero collo-cati in un orizzonte più ampio.Concludo affermando che a mio av-

viso è importante che nella scuola pubblica sia la disciplina che l’in-segnante non vengano fraintesi e scambiati con la solita “targa” di “longa manus” della Chiesa nello Stato. A mio parere l’ IdR può essere vi-sto come figura della pastorale del-la Chiesa solo nelle scuole paritarie cattoliche.Non è opportuno che sia figura pa-storale della Chiesa locale all’inter-no della scuola statale. Credo che sia necessaria una distinzione di ruoli e di compiti. Mi pare giusto che realtà parrocchiale e IRC rimangano di-stinte, abbiano ruoli, riferimenti e personale distinti.

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1. VERSO UNA DEFINIZIONE DELLA COMPETENZA RELI-GIOSAUn primo necessario chiarimento riguarda alcuni costrutti sul con-cetto di competenza a cui intendia-mo far riferimento. Per competenza, in questa sede, si può intendere quella: “capacità di far fronte ad un compito, o a un in-sieme di compiti, riuscendo a mette-re in moto e a orchestrare le proprie risorse interne, cognitive, affettive e volitive, e a utilizzare quelle ester-ne disponibili, in modo coerente e fecondo”.1 Possiamo anche definire la com-petenza come “una caratteristica intrinseca di un individuo, causal-mente collegata ad una performance eccellente in una mansione” che “si compone di motivazioni, tratti di im-magine di sé, ruoli sociali, conoscen-ze e abilità”.2 Un ultimo autorevole riferimento è contenuto nella Raccomandazio-ne del Parlamento Europeo e del Consiglio sul Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli per l’apprendi-

mento permanente del 5 settembre 2006: le competenze ”indicano la comprovata capacità di usare cono-scenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situa-zioni di lavoro o di studio e nello svi-luppo professionale e/o personale”. 3

COMPETENZA:è una prerogativa – dote del sog-getto di elaborare un progetto re-sponsabile circa un problema reale e complesso da risolvere integran-do conoscenze, abilità, risorse in-terne di cui dispone e valorizzando tutti gli apporti del proprio conte-sto per cercarne ed effettuarne la soluzione.

Un secondo chiarimento si colloca sul versante tassonomico, sul modo cioè in cui le competenze vengono suddivise e classificate con riferi-mento a modelli diversi. Facciamo qui riferimento alle diverse e suc-cessive classificazioni proposte da organismi internazionali ed anche nazionali dalla fine degli anni ‘90 fino ad oggi.⁴ Rispetto a questo complesso quadro

LA MATURAZIONE DELLE COMPETENZE RELIGIOSE NELL’ORIZZONTE DELLA

PEDAGOGIA ERMENEUTICA

Prof. Roberto Romio

1 M. PELLEREY: Le competenze individuali e il portfolio, Nuova Italia, Milano, 2004, p.122 W.LEVATI – M. V.SARAO, Il modello delle competenze, FrancoAngeli, Milano, 2003, pp.22-253 M.CASTOLDI Il modello delle competenze, Valutare le competenze. Percorsi e strumenti, Carocci editore, Roma 2009, pp. 18-19.

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ra non è oggi più procrastinabile se si vogliono attrezzare le nuove generazio-ni alla complessità dell’attuale “società della conoscenza” e ai contesti della vita reale per un inserimento attivo e consapevole nella vita sociale.⁷Sempre sulla scorta del Progetto PISA e anche della cornice programmatica di quello DeSeCo⁸ , sarebbe molto produttivo analizzare il dominio cono-scitivo religioso (la literacy religiosa), interessato nel contesto scolastico a specifici apprendimenti formali, apren-dolo a quelle conoscenze e abilità fun-zionali che permettono di partecipare attivamente alla vita sociale. Si potreb-be applicare cioè alle competenze reli-giose il processo di analisi sperimenta-to nel Progetto PISA per le competenze di lettura, quelle matematiche, quelle scientifiche e quelle di problem sol-ving. Ciascuna di queste literacy⁹ viene esplorata individuando quegli aspetti emersi come qualificanti la specifica nozione di competenza. Questo nostro tentativo si giustifi-

la nostra classificazione delle compe-tenze religiose nell’IRC si colloca sul versante delle competenze disciplinari non quindi quelle trasversali o chiave o di base o delle qualifiche, ecc. Rifa-cendoci al Progetto PISA⁵ ci pare inte-ressante il concetto di literacy⁶ intesa come “padronanza del soggetto di un determinato dominio culturale a un livello adeguato da consentire una par-tecipazione attiva alla vita sociale”. Nel nostro caso si tratta di literacy religio-sa cioè partendo dalla cultura religiosa scolastica tendenzialmente formale ci si sposta alle situazioni reali di vita nel-le quali si esprime e si può verificare il possesso delle competenze religiose. Dalla disciplina curricolare dell’IRC, intesa come settore chiuso e separato a cui ricondurre gli apprendimenti re-ligiosi, ci si sposta ad abilità religiose che attraversano il curricolo fino alle esperienze extrascolastiche in un con-cetto di educazione religiosa più ampio che travalica i traguardi enunciati nei programmi scolastici. Questa apertu-⁴ Cfr. la documentazione Isfol del 1998 (competenze di base, competenze tecnico professionali, competenze trasversali), il Progettro OCSE-PISA avviato nel 1997 e svolto nel 2000 (lettura) - 2003 (matematica) – 2006 (scienze) – 2009 (lettura)- 2012(matematica e problem solving), il Progetto DeSeCo sulle competenze chiave, la Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa alle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente, ecc. Per una sintesi vedi: S. CICATELLI, La scuola delle competenze, Elledici Capitello, Torino, 2011, pp. 11-61.⁵ PISA 2012 è la quinta edizione di PISA (Programme for International Student Assessment) un’indagine promossa dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) con l’obiettivo di misurare le competenze degli studenti in matematica, scienze, lettura e problem solving.⁶ Il termine literacy è stato tradotto nella nostra lingua con competenza perché più vicino al significato di insieme di conoscenze e abilità spendibili nella vita reale.⁷ M.CASTOLDI, Valutare le competenze…, pp.36-39⁸ Il progetto DeSeCo (Definizione e Selezione delle Competenze Chiave), sviluppato nell’ambito dell’OCSE mira ad identificare un insieme di competenze ritenute indispensabili per condurre un’esistenza in modo consapevole e responsabile in un tipo di società complessa come lo sono le società contemporanee basate su un’ economia di mercato globalizzante e su un tipo di sviluppo competitivo, liberista, neo-capitalista.⁹ Il termine literacy che sul piano letterale si può tradurre con “alfabetizzazione” e fa riferimento a un insieme di conoscenze e abilità di base per l’INVALSI andrebbe tradotto all’interno dell’accertamento del progetto PISA con il neologismo “letteratismo” o più precisamente con “competenza” facendo riferimento alle capacità di cercare, identificare, elaborare e comunicare informazioni. Anche la maggior parte degli altri paesi europei non anglofoni si sono allineati a questa definizione. Cfr.V.GALLINA Le competenze alfabetiche funzionali (letteralismo) e la ricerca Ials-Sials, in V.GALLINA (a cura), La competenza alfabetica in Italia. Una ricerca sulla cultura della popolazione, Frranco Angeli –CEDE, Roma, 2000, pp. 29-56 , e Ibid. B.VERTECCHI, Letterratismo e democrazia, pp.15-28.

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ca per il fatto che il Progetto PISA costituisce in Europa un punto di riferimento essenziale per la messa a fuoco concettuale e la declinazio-ne operativa di alcune competenze chiave dei curricoli.10Tentiamo quindi una prima applica-zione utilizzando le categorie PISA per la definizione della literacy re-ligiosa, e poi per definire gli aspetti più significativi, nel nostro contesto, della competenza religiosa.

LA COMPETENZA RELIGIOSA (RELIGIOUS LITERACY) può essere intesa come:“ la capacità della persona di iden-tificare, comprendere, interpreta-re e valutare il significato dei segni e dei documenti religiosi, coglien-done il metodo, i modelli e gli schemi linguistici per poter espri-mere la propria e altrui esperienza del mondo trascendente, e saper rispondere alle problematiche del proprio contesto di vita svolgendo un ruolo attivo nella società”.11

I significati dei segni e documenti religiosi, a cui si fa cenno, vengo-no esplorati ponendo attenzione a cinque aspetti della competenza re-ligiosa:– La capacità euristica di riconosce-re situazioni di vita che coinvolgono la dimensione religiosa facendone emergere i significati profondi,– La comprensione e interpretazio-

ne delle conoscenze religiose che illustrano il mondo trascendente e le esperienze religiose delle diverse culture e tradizioni,– Il saper utilizzare strategie, cate-gorie e modelli per la soluzione di specifiche problematiche religiose,– Il saper rispondere alle problema-tiche religiose, utilizzando corret-tamente il linguaggio specifico, le fonti, i modelli e le strategie mag-giormente efficaci,– Il saper apprezzare le manifestazioni religiose sapendone valutare le conse-guenze in ambito individuale e sociale.Trasponendo poi quanto il Progetto PISA 201212 afferma delle compe-tenza matematica possiamo dedur-ne questa ulteriore definizione:Per competenza religiosa si può intendere la capacità di un indivi-duo di utilizzare e interpretare le categorie religiose e di darne rap-presentazione mediante modelli descrittivi, in una varietà di con-testi. Tale competenza comprende la ca-pacità di ragionare in modo reli-gioso e di utilizzare concetti, pro-cedure, dati e strumenti propri dell’ambito religioso (delle scienze della religione e della teologia) per descrivere, spiegare e prevedere fe-nomeni. Essa aiuta gli individui a riconoscere il ruolo che la religione gioca nel mondo, a operare valuta-zioni e a prendere decisioni fondate

10 Ibid., pp.40-4111 Z.TRENTI, Competenze e linguaggio religioso nell’orizzonte ermeneutico, Giornata di Studio, Roma, UPS 2011.12 Vedi: http://www.invalsi.it/invalsi/ri/pisa2012.php?page=pisa2012_it_01

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che consentano loro di essere citta-dini impegnati, rifl essivi e con un ruolo costruttivo.

2. LE COMPETENZE RELIGIO-SE NELLA PEDAGOGIA ERME-NEUTICA

L’ermeneutica di cui qui parliamo si caratterizza per il passaggio dal testo all’esistenza. È un’ermeneutica che possiamo defi nire esistenziale.Nella tradizione l’ermeneutica è sta-ta intesa come Ermeneutica del te-sto13 (Gadamer, Ricoeur, ecc.) Nella ricerca attuale invece essa si caratterizza come Ermeneutica dell'esistenza14 cioè si propone di decifrare e orientare l’esistenza del soggetto valorizzando i modelli in-terpretativi della tradizione.

L’Esperienza e la sua interpreta-zioneIl termine dalla radice semantica greca 'peiro' indica un passare attra-verso; dunque fondamentalmente un vivere e un prendere coscienza del vissuto.Si potrebbe dire che un'esperienza si dà ogni qualvolta c'è partecipa-zione vissuta e signifi cativa ad una qualunque provocazione. Il caratte-re umano e umanizzante dell'espe-rienza è dato quindi dal rapporto obbligato con un dato oggettivo, ma anche dalla consapevolezza con

cui lo si assume e lo si interpreta. L'esperienza assume oggi una sin-golare rilevanza; viene esplorata da scienze diverse, sotto aspetti com-plementari. Schematicamente pos-siamo indicare nel grafi co seguente i livelli della sua esplorazione a par-tire dalla sensazione che ne costitui-sce il primo stadio di consapevolez-za fi no alla piena legittimazione di quanto avvertito grazie all’apertura alla dimensione trascendente su cui può trovare solido fondamento.

Dalla sensazione alla costatazione di quanto esperito e poi alla compren-sione e quindi all’interpretazione e alla risonanza che può avere nell’esi-stenza e dunque al significato che può assumere e alla piena fondazio-ne del signifi cato nella dimensione trascendente si sviluppa il processo di piena legittimazione di quanto andiamo sperimentando.

Le dimensioni interpretative dell'esperienzaSchematizzando si possono rilevare le connotazioni irrinunciabili:

13 GADAMER G., Verità e metodo, Milano, Bompiani, 1995. P. RICOEUR, Il conflitto delle interpretazioni, Jaca Book, Milano, 199514 Z TRENTI – R.ROMIO, Pedagogia dell’apprendimento nell’orizzonte ermeneutic, Elledici, Torino-Leu-mann, 2006, in particolare i cap. 7 - 8.

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• anzitutto è indispensabile trasfe-rirsi dal vissuto alla consapevolezza del vissuto dimensione cognitiva;• per lo più sollecitare una presa di coscienza in grado di prender le di-stanze dal vissuto, per misurarlo sulla base di criteri autentici di valutazione dimensione critica;• soprattutto perché l'esperienza dice necessario riferimento a dati oggettivi con cui è costitutivamen-te in rapporto, pure da analizzare ed accogliere nella loro intrinseca verità dimensione veritativa;• per quanto sia importante avver-tire che il dato oggettivo è sempre assunto dal soggetto, secondo una propria irrinunciabile prospettiva: un punto di vista parziale e inter-pretativo dimensione ermeneutica;• naturalmente l'analisi di questi di-versi aspetti non trascura la lezione di Hegel che ne rileva la dimensione dialettica;• né sottovaluta l'aspetto irriducibil-mente parziale e finito dimensione trascendente. • l' esperienza è dunque un proces-so che rielabora in un superamen-to mai concluso i singoli momenti che attraversa e che la sostanziano; costituisce la risorsa qualificante dell'esistenza.

L'esperienza nell'IRC attualeLe ricerche sull’IRC15 concordano sostanzialmente su alcune constata-zioni, che richiamiamo in sintesi.

L’IRC e l’IdR- accetta di portare l'attenzione sull'esperienza concreta degli allie-vi, accoglie o sollecita il dialogo con loro;- è comunque impegnato a non per-dere di vista il contenuto dottrinale; in particolare a mantenere un co-stante riferimento al dato cattolico;- per lo più accostato sulle fonti, bi-bliche soprattutto, magisteriali in piccola parte....Nella ricerca più recente16 sembra invece trovare documentazione impreveduta una controtendenza dell'IRC rispetto e alla propria pre-cedente consuetudine e alle pro-spettive privilegiate dalla attuale Ri-forma della scuola.

La novità della prospettiva erme-neutica esistenzialeL’ esistenza si definisce per la corsa al compimento in cui la circolarità fra progetto e mondo è costitutiva. La presenza della realtà è data; il senso della realtà risulta autentico o meno a seconda che la persona la assume per realizzare le proprie possibilità o evaderle. L’ esistenza risulta autenti-

15 OSSERVATORIO SOCIORELIGIOSO TRIVENETO, Apprendere la religione, EDB, Bologna, 2009G.MALIZIA – S.CICATELLI – Z.TRENTI, Una disciplina in evoluzione, Elledici Leumann (TO), 2005IPRASE TRENTINO, Al passo coi tempi. Esiti della ricerca sull’insegnamento della religione cattolica nella scuola dell’autonomia in Trentino, Provincia autonoma di Trento, Trento 2005G.MALIZIA – Z.TRENTI, Una disciplina al bivio, SEI, Torino, 1996G.MALIZIA – Z.TRENTI, Una disciplina in cammino, SEI, Torino, 199016 G.MALIZIA – S.CICATELLI – Z.TRENTI, Una disciplina in evoluzione,o.c.

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ca o inautentica precisamente sullo sfondo di quelle scelte. Cosicché anche la preoccupazione per l’oggettività assume tutt’altro in-teresse. Non è il dato oggettivo per se stesso che conta; è la risposta che offre al progetto della persona. Nel rapporto persona-realtà i due poli vanno rigorosamente rispettati per-ché la conoscenza risulti autentica: - il progetto va verificato nelle sue possibilità proprie;- la realtà va verificata nella sua ve-rità oggettiva. Dove i due riferimenti vengono di fatto rigorosamente rispettati, il processo ermeneutico confluisce in un’esperienza autentica.17

Esigenze pedagogiche della ricer-ca ermeneutica attuale - Rispettare il primato della domanda della situazione educativa - Abilitare all'uso corretto delle fonti Cambia il rapporto con la tradizione.L'impatto con la tradizione, i suoi principi, le sue certezze, i suoi obiet-tivi è ineludibile. Ed è importante segnalare i nodi di una dialettica che, dove venga assunta con lun-gimiranza risulta certo innovativa, ma anche decisamente rispettosa del patrimonio incomparabile ac-cumulato nella tradizione. In una semplificazione schematica possia-mo sintetizzare il ricorso al 'testo' come riferimento obbligato, per rispondere agli interrogativi della

persona. A sua volta il testo viene esplorato nel significato che offre - esegesi -, tenendo anche conto del contesto in cui è stato elaborato - ermeneutica tradizionale -.A questo punto si intende evidenzia-re che sia l'esegesi come l'ermeneu-tica del testo sono principalmente 'mirati' non al testo, ma agli interro-gativi della persona che, analizzan-do il testo, vuole fare chiarezza sulla propria vita, interpretarne il senso: vuole operare appunto un'ermeneu-tica esistenziale.

Le fasi del processo di maturazio-ne di una competenzaSinteticamente si possono richia-mare i momenti salienti:- Il contesto solleva interrogativi complessi dentro cui si tratta di ela-borare la domanda autentica: quella che di fatto porta al cuore dei pro-blemi ed è in grado di dipanare il groviglio delle provocazioni. Ricor-rere alla tradizione significa andarvi a rintracciare situazioni simili che hanno avuto risposta.- La risposta è stata tuttavia elabora-ta sulla base di specifiche domande - problematiche del tempo ed è sta-ta espressa in linguaggio proprio dell'epoca e della cultura.- Nella risposta della tradizione si possono identificare stimoli e indica-zioni per elaborare ponderatamente la risposta alle provocazioni attuali: in un processo di interpretazioni e

17 GADAMER G., Verità e metodo, Milano, Bompiani, 1995. HEIDEGGER M., Essere e tempo, Milano, Longanesi, 1970.

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di ipotesi che possono anche trovar adeguata formulazione per succes-sive approssimazioni e conseguenti verifi che. L'ipotesi è suscitata dalla domanda insita nell'odierna situa-zione storico esistenziale ed è orien-tata dalla risposta indagata nella tradizione.

Nell'educazione religiosaAnche nel rapporto con la rivelazio-ne nella considerazione del rappor-to con una presenza trascendente la logica del processo educativo non cambia.Innanzitutto va risvegliata la do-manda su Dio: sul presupposto che tale domanda sia almeno implicita nell'esperienza dell'uomo. L'incontro con le scienze antropologiche esplo-ra anche le condizioni in cui la do-manda sulla trascendenza si aff accia all'orizzonte dell'esistenza.Si delinea un itinerario educativo da mettere in atto perché nella consue-tudine, magari dispersa ed evasiva del vivere quotidiano, l'interpretazio-ne religiosa non sia soff ocata od eva-sa; né venga stemperata in prospetti-ve pseudo-religiose, quali l'attribuire valore defi nitivo a dati contingenti - l'ideologia, il sesso, il denaro...-

Il processo di maturazione delle competenze religiose nella pro-spettiva ermeneuticaLa ricerca ermeneutica ha offerto stimoli singolari al processo educa-

tivo. Quando l'accento dalla nozione si sposta sull'assimilazione e sull'in-terpretazione non è più la chiarezza dell'esposizione che risolve, ma la curiosità, l'interesse per il problema, in qualche modo presagito ed affi o-rante. La meraviglia nella prima ri-fl essione greca è avvertita come fon-te del sapere. Socrate all'origine del fi losofare ha fatto della domanda la risorsa risolutiva nel confronto con l' "opinione", magari pacifi camente e ovviamente accettata.18

Nel grafi co rileviamo gli aspetti im-portanti:a. Il soggetto è all'inizio e alla fi ne del processo di apprendimento;b. I processi avvengono sulla base di contenuti proporzionati - al mo-mento evolutivo- e alla situazione culturale (la capacità reale dell'allie-vo in situazione)c. Nell'ambito specifi co dell'IRC - i contenuti fanno riferimento pri-vilegiato all'antropologia- la dottrina fa riferimento privile-giato alla teologiaI momenti qualificanti del pro-

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18 (Gadamer, 1994, 312 e ss)

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cesso di maturazione di una com-petenza- Il soggetto va analizzato alla situa-zione di partenza: progetto.Va individuata la situazione cono-scitiva e le capacità interpretative dei singoli studenti e del gruppo di classe come tale. Gli strumenti di analisi possono essere i più diversi: è importante che il gruppo venga identifi cato nelle possibilità eff ettive di apprendimento.- L'ipotesi progettuale va elaborata in funzione e su misura della classe, identifi cando il profi lo di studente che si ritiene possibile conseguire, nell'orizzonte del profi lo nazionale.- L'elaborazione eff ettiva della pro-posta considera una gamma di con-tenuti - conoscenze, acquisizioni, concetti - che si ritiene opportuno proporre per stimolare processi di progressivo apprendimento, pro-porzionati alla capacità reali degli studenti.- Indispensabili strumenti di analisi si rendono necessari per verifi care i cambiamenti avvenuti, la capacità nuove acquisite: insomma l'appren-dimento eff ettivo conseguito: valu-tazione.- A questo punto lo studente e la sua nuova situazione interpretativa tor-na in prima considerazione:paragonata alla situazione di partenza dovrebbe poter rivelare i cambiamen-ti avvenuti e il cammino culturalmen-te signifi cativo percorso: valutazione.

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Il Progetto di maturazione nella prospettiva ermeneuticaIl procedimento ermeneutico parte dal soggetto, dalla domanda che la situazione gli impone, dalla situa-zione complessa cui è chiamato a rispondere da identifi care con chia-rezza. È a partire dalla provocazio-ne - dalla situazione problematica - che si giustifi ca e si defi nisce l’intero processo che porta progressivamen-te il soggetto a far ricorso alle pro-prie risorse, agli apporti della situa-zione reale, alle indicazioni che gli vengono dalle molteplici fonti, da integrare per darvi risposta - anche attraverso tentativi molteplici che lo affi nano e ne qualifi cano progressi-vamente la competenza.

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3. LE COMPETENZE RELIGIOSE E IL LINGUAGGIO CHE LE PUÒ ESPRIMERE

Il linguaggio della tradizione reli-giosaChi guardasse solo alla persona, ai suoi dinamismi psicologici, alle sue istanze esistenziali mancherebbe radicalmente il processo educativo che la riflessione ermeneutica com-porta.La persona ha risorse interiori, potenzialità pressoché illimitate di sviluppo: ma la persona è strut-turalmente relazione. La legge del suo sviluppo è anche relazionalità obbligata con l'orizzonte di vita che le è proprio da cui attinge stimoli e orientamenti risolutivi per la sua maturazione. La persona cresce si sviluppa e si orienta a confronto con...Nell'ambito che andiamo analiz-zando sarà quel vasto complesso di tradizioni religiose che la storia ci ha tramandato a costituire i riferi-mento privilegiato e qualificante: il fenomeno religioso in tutta la sua molteplice e differenziata elabora-zione, che le scienze della religio-ne ci hanno tramandato costituisce l'orizzonte di studio e la sorgente del linguaggio che darà voce alla domanda e alla risposta.È sulla domanda che si giustifica e si definisce il ricorso alla tradizione, prende avvio la ricerca anche attua-le: le conoscenze elaborate nella tra-

dizione non vengono rivisitate per se stesse, ma in vista della risposta: cosicché nel ritorno sulla persona, nella novità che la ricerca le ha con-sentito, si chiude 'il circolo erme-neutico’.

Il linguaggio religioso trascende ogni realtà finitaAppunto perché l’atto di fede di sua natura è orientato alla trascenden-za, ogni realtà iscritta nell’orizzonte storico, vi risulta sproporzionata. Per quanto suggestiva, in quanto finita, appare insufficiente a dare risposta all’attesa interiore e a sod-disfarne l’esigenza di definitività e di pienezza.La riflessione può riferirsi a qualun-que esperienza concreta che si vive, di cui misura il limite e la precarietà. Tuttavia l’atto religioso non si limi-ta a questa constatazione e alle sue continue conferme: fa un passo più in là: denuncia ogni possibile espe-rienza finita e ogni sua descrizione come sproporzionata alla propria aspirazione. Dunque è il mondo nel suo insieme e nella sua totalità di proposta che viene verificato e trasceso. La religione comincia pro-prio da questa lucida consapevo-lezza che la propria meta è altrove, oltre il mondo della finitudine oltre ogni possibile il linguaggio. Questo non toglie che un’ esperienza finita possa suscitare il presagio religioso: anzi proprio qui sta la forza del ri-chiamo interiore, che può prender

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le mosse da qualunque situazione parziale e insoddisfacente per misu-rare tutto lo spazio che la separa dal proprio oggetto.19

Il linguaggio religioso presagisce una presenza trascendenteIl giudizio di inadeguatezza circa una e tutte insieme le realtà mon-dane si radica sull’intuizione di una presenza arcana, con cui la persona è in rapporto misterioso ma vero.Affiora tacita e tenace in ogni con-fronto: per quanto alta e appassio-nante sia l’esperienza che si vive, l’oggetto che la alimenta non con-vince mai del tutto.Qualcosa di diverso, di ulteriore, s’afferma d’intuito in una dimen-sione che coinvolge l’esistenza; la ragione lo avverte, ma non lo sa de-cifrare. Si potrebbe anche dire che la religione non si fida della realtà storica. Si fida e si affida ad una real-tà trascendente, di cui tuttavia non conosce i contorni, che non può possedere e descrivere… Il credente insegue un bene di cui non entrerà mai in possesso, egli lo sa; che lo sollecita, che non gli dà pace. Con il geniale intuito che lo caratterizza, Agostino ha identifi-cato un archetipo che appartiene in proprio all’esperienza umana e la rende sacra.20

19 Altra e conseguente domanda che si impone in questa perentoria valutazione sulla realtà finita è quale valore e significato il credente possa darvi e di fatto vi dia. E anche più provocatoriamente se una religione autentica lasci spazio all’impegno, all’intrapresa e all’entusiasmo nell’orizzonte storico.Domanda che andrà tenuta in attenta considerazione.… 20 In questo senso l’inquietum cor nostrum donec requiescat in Te di Sant’ Agostino rappresenta una formula basilare del’atto religioso ( Scheler, 1968, p.370)

La religione rivendica il diritto a questa singolare intuizione che fa dell’uomo un itinerante inappaga-to. Al punto che anche le esperienze consuete, da quelle più semplici a quelle più profonde, ne portano la traccia. L’uomo si trova immerso in un mondo che lo sovrasta smisura-tamente, da ogni lato; l’esperienza lo avverte. Tuttavia la cosa più singo-lare è che egli lo guarda da una di-stanza inaccessibile, presidiata dalla trascendenza e dal rapporto che è chiamato ad intessere con questa.La sua meta non sono dunque le re-altà finite: cosicché anche quando ne vive, ne partecipa ne parla e ma-gari ne gode, aspira tenacemente a qualcosa d’altro, non definibile ma neppure tacitabile. L’esperienza reli-giosa non persegue solo un oggetto diverso; vive diversamente la stessa ricerca e il confronto che instaura con tutte le cose. Si impone come un modo singolare ed unico di con-durre l’intera esistenza.La sua meta risulta trascendente non solo rispetto alle cose, ma trascen-dente anche rispetto all’interiore e personale pienezza con cui aspira a viverle. La realtà cui attinge è altra e colora di alterità l’intera gamma delle sue percezioni ed emozioni.Neppure il modo di percepirsi ha riscontro nella consuetudine stori-

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21 M. SCHELER, L'eterno nell'uomo, Milano, Fratelli Fabbri , 1972, p. 373.

co-esistenziale. Il credente vive le esperienze umane, consuete o signi-ficative, sullo sfondo di un richiamo, di una traccia che la trascendenza vi ha impresso; per lui le stesse real-tà recano uno spessore che attinge il mistero: più esattamente reca-no il richiamo della trascendenza; insomma l’atto di fede ne porta il presagio: da quel versante guarda la vita, la riempie di nuova intensità. La pienezza di amore, di comunio-ne, di disponibilità, che il rapporto con la Trascendenza dischiude, sol-lecita ad una intensità sempre nuova il gesto effettivo che la vita propone nei rapporti quotidiani.

Il linguaggio religioso si esprime nel dialogo interioreIl credente si rivolge a qualcuno che possiede la risposta. Potrà non ot-tenerla immediatamente o chiara-mente; sa tuttavia che ce l’ha e non mancherà di dargliela, per quanto in tempi e in modi non prevedibili né obbligati.Anzi l’esperienza stessa interiore lo rassicura: sa di essere accolto, ascol-tato e capito; che il dialogo con Dio è ragione di ulteriore trasparenza anche con se stesso. Si fida:la Sua presenza si erge sulla vita quale grande testimone che custo-disce il segreto di ciascuno e lo va man mano svelando nell’intreccio complesso della vicenda storica e personale.

Il credente mette cioè in atto un rapporto di dialogo e di trasparenza interiore che è l’abc dell’esperienza religiosa; ne è l’alfa e l’omega, come ribadisce Scheler.21 Anzi si può dire che proprio l’in-tensità e la trasparenza del rapporto a tu per tu caratterizza specifica-mente la ricerca religiosa rispetto ad ogni altro processo interpretati-vo dell’esistenza. La stessa filosofia è su un altro piano. Ad affermare la necessità di un rapporto interperso-nale con Dio può pure arrivarci; per lo più le grandi sintesi filosofiche hanno riconosciuto la legittimità del rapporto religioso. Ma la loro è conclusione di argomentazione, magari esigenza intrinseca al loro argomentare, non è terreno obbli-gante del loro procedere.L’atto religioso invece muove da questa precisa percezione di vivere un rapporto personale; non la di-scute, piuttosto ne esplora le con-dizioni di affinamento e di definiva trasparenza.Tanto che proprio questo risulta un aspetto qualificante della ricerca re-ligiosa: dove avverte una presenza e si riconosce in rapporto costitutivo con questa, instaura una relazione di amore. E nell’amore l’intensità e la trasparenza non sono questione di argomentazione o di logica; sono impegno di vita. Appunto perciò l’atto religioso non è solo, né tan-to argomentazione. E’ disponibilità

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piena che coinvolge integralmen-te la vita: è tutt’altra cosa rispetto a qualunque ricerca instaurata dalle scienze umane.22 L’atto religioso è frainteso se disat-tende l’analisi e la comprensione del dialogo interiore con Dio. Fin dalla prima consapevolezza di un indefinito presagio che attraversa l’esperienza non è tanto in gioco un procedimento razionale che si pre-cisa; è in gioco piuttosto un dialogo interiore che si affina…

Competenza religiosa e linguag-gio religiosoL’esistenza nel soggetto di una com-petenza religiosa è osservabile solo attraverso le sue manifestazioni. Ogni competenza infatti non è os-servabile in sé stessa poiché è una qualità della personalità. Il linguag-gio religioso è dunque l’unico modo per riscontare esistenza di una com-petenza religiosa. Naturalmente per linguaggio si intende ogni modalità espressiva non solo quella linguisti-ca o figurativa. Non essendo però un linguaggio tecnico-scientifico e quindi ben definibile nelle sue re-gole e modalità espressive quello religioso non è facilmente quanti-ficabile e misurabile. Resta anco-ra tutto da esplorare e declinare il linguaggio con cui identificare la 22 È l’aspetto che Max Scheler ha ribadito con efficacia, per quanto avvalendosi di categorie interpretative che non ci sembrano decisive. Anche se queste, pure secondo Scheler, non significa che le scienze umane non possano e non debbano dare un apporto prezioso. È il caso della filosofia; in molti dei suoi grandi sistemi interpretativi l’affermazione di Dio e del rapporto costitutivo che instaura con l’uomo è la conclusione di un argomentare severo e conseguente.23 VYGOTSKIJ L.S., Pensiero e linguaggio, Roma.Bari, Laterza, 200124 Z .TRENTI, Dire Dio. Dal rifugio all'invocazione, Armando Editore, Roma 2011, p. 197

competenza, soprattutto in ambito religioso.23 In questo possono aiu-tarci la ricerca teologica e le scienze umane, soprattutto: antropologia e psicologia. In definitiva una domanda rigorosa ed esigente circa la propria identità coinvolge così radicalmente l'uomo da sottrargli ogni garanzia. Cosic-ché insensibilmente la sua ricerca si tramuta in appello. Un appello che sgorga dalle profondità dell’esi-stenza, non fa riferimento a nessu-na delle realtà sensibili; si porta di sua natura nell’orizzonte della tra-scendenza. Non intende alcunché di esteriore, estraneo alla mia esi-stenza; esige piuttosto una presen-za in grado di costituirne la risorsa e la legittimazione definitive. 24 La Trascendenza è affermata quale ri-ferimento indispensabile e obbliga-to per rendere ragione dell’esistenza stessa, proprio la dove questa esige un senso ultimo e appagante. Una presenza, avvertita nella concretez-za delle annotazioni e delle analisi; indispensabile per consentire digni-tà alla persona, nella molteplicità frammentata e precaria delle situa-zioni che attraversa.Cosi, per rifarci all’esperienza uma-na sopra analizzata, la fedeltà, “que-sta non può mancare di apparirci, a buon diritto, precaria, dal mo-

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mento in cui mi comprometto verso un altro che non conosco; appare al contrario irremovibile là dove si costituisce, non già propriamente a partire da una comprensione distin-ta di Dio, considerato come qual-cun altro, ma a partire da un non so quale appello lanciato dal fondo della mia indigenza 'ad summam al-titudinem'; è ciò che ho talora chia-mato appello assoluto. Quest'appel-lo suppone un'umiltà radicale del soggetto: umiltà polarizzata alla

25 G. MARCEL, Du refus à l’invocation, Gallimard, Paris 1940, p. 217

trascendenza stessa di colui che invoca. Siamo, a questo punto, alla congiunzione dell'impegno più stretto e dell'attesa più appassiona-ta. Non è più il caso di contare su di sé, sulle proprio forze per far fronte a quest'impegno smisurato; ma nel gesto che mi compromette s'apre contemporaneamente un credito infinito nei confronti di Colui per il quale mi impegno: La speranza, non è nient'altro che questo."25

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Alcune ulteriori indicazioni bibliografiche

BERGER P.L., Una gloria remota. Avere fede nell'epoca del pluralismo, Bologa, il Mulino, 1994BORDIGNON B., Certificazione delle competenze, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006COULIANO I.P. - ELIADE M. (Edd.), Religioni, Milano, Jaca Book, 1992 CICATELLI S., La scuola delle competenze, Cascine Vica (To), Elle Di Ci, 2011FRABONI E - F. PINTO MINERVA, Manuale di pedagogia generale, Bari, Laterza, 2001. 44 e ssGADAMER G., Verità e metodo, Milano, Bompiani, 1995. HEIDEGGER M., Essere e tempo, Milano, Longanesi, 1970.MALIZIA G – Z. TRENTI (edd.) (1996), Una disciplina al bivio. Ricerca sull'insegnamento della religione cattolica in Italia a dieci anni dal Con-cordato, Torino, SEI, 1996 MALIZIA G. NANNI C., Il sistema educativo italiano di istruzione e for-mazione, Roma, LAS, 2010.MALIZIA G. CICATELLI S., Verso la scuola delle competenze, Roma, Armando 2009LUCKMANN T., La religione invisibile, Bologna, Il Mulino, 1969.PELLEREY M., Competenze. Conoscenze – abilità- atteggiamenti, Napoli, Tecnodid, 2010

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TRENTI Z., La religione come disciplina scolastica, Leumann, Elle Di Ci, 1990,

TRENTI Z., La fede dei giovani, Leumann (Torino), Elle Di Ci, 2003

TRENTI Z., Opzione religiosa e dignità umana, Roma, Armando, 2001

VYGOTSKIJ L.S., Pensiero e linguaggio, Roma.Bari, Laterza, 2001.

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IRC: risorsa per tutti Roberto Giuliani

Affrontare il tema dell’IRC in Italia significa addentrarsi in un territorio ricco, complesso ed articolato che apre ad una pluralità di approcci e possibili percorsi di riflessione. Ten-to anzitutto di rappresentare l’area tematica in questione secondo al-cune coordinate che potremmo ri-assumere schematicamente come PERCHE’, COSA E COME l’IRC A SCUOLA? E aggiungerei poi l’aspet-to sostanziale del rapporto tra IRC e Chiesa.In questo contesto trascuro l’ambito delle motivazioni che sostengono e legittimano l’IRC nella scuola italia-na (il PERCHE’), aspetto che richie-derebbe molto tempo e soprattutto approfondimenti e comparazioni anche a livello europeo.Irc a Scuola, dunque, partiremo da qui, parleremo allora della sua identità e della sua natura, sinte-tizzando al massimo parleremo del “COSA”. Cercheremo poi di affron-tare il tema specifico della didattica dell’IRC, che chiameremo “COME”. Concluderemo la nostra carrellata affrontando il rapporto, la valenza e l’interazione tra IRC e Chiesa.Partiamo quindi dal “COSA”. Trat-teggio perciò alcune linee che carat-terizzano l’IRC in Italia e ne segna-no il suo sviluppo nel tempo.La via italiana all’IRC nasce con l'Accordo del 1984.

Con questo mantiene la sua speci-ficità confessionale, ma abbandona improprie intenzioni catechetiche e posizioni di primato nell'ordina-mento scolastico.In buona sostanza l’IRC si inserisce «nel quadro delle finalità della scuo-la»; dall'altro, trova fondamento in un duplice ordine di motivazioni cul-turali e storiche: la Repubblica ita-liana dichiara, infatti, di riconoscere «il valore della cultura religiosa» e di tener conto del fatto che «i principi del cattolicesimo fanno parte del pa-trimonio storico del popolo italiano» (art. 9.2).Studiare la cultura cristiana a scuola quindi non significa imporre una verità né normare le coscienze, ma, in uno spazio pubblico e plurale, permettere a ciascuno di meglio esercitare la propria libertà di citta-dino di fronte a ciò che il cristiane-simo propone per appropriarsene o no, per ispirarsi o no, per il proprio avvenire come per il proprio agire nella società.Detto così tutto sembrerebbe chiaro ma se guardiamo con attenzione a quello che è avvenuto in seguito ci rendiamo conto della costante ri-messa in discussione della questio-ne nel tempo. A titolo esemplifica-tivo basta scorrere alcuni titoli della pubblicistica che in questi anni si è occupata di IRC per scoprire che le

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costanti sono: … COMPLESSITA’, MOVIMENTO, CAMBIAMENTO, TRANSIZIONE …Semplificando molto, ed in termini forse un po’ grossolani, rappresen-terei il movimento che ha caratte-rizzato e caratterizza l’IRC in Italia con una linea progressiva che par-tendo da un profilo prevalentemen-te ecclesiale passa attraverso quello attuale e prosegue verso un ancora indefinito profilo futuro.Tra gli elementi che a mio parere hanno inciso e continuano ad inci-dere su questo processo evolutivo mi sembra importante segnalarne almeno quattro:• Il dato del pluralismo• I cambiamenti in atto nella scuola• Il dibattito sulla laicità• Il modo di pensare e di vivere la la religione in Italia

L’IRC è quindi una realtà dinamica, sotto osservazione, in cambiamento. Ogni tentativo di scattare un’istanta-nea dell’IRC porta inevitabilmente ad un’immagine mossa, non piena-mente definita e precisata.Sostanzialmente l’ IRC può essere visto come un laboratorio perma-nente, che, come viene ribadito an-che della Ricerca sull’insegnamento della religione curata dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Euro-pa, ha però sempre bisogno di:- garanzie istituzionali e giuridi- che stabili,

- pieno riconoscimento scolastico,- inserimento nei curricoli,- essere offerta a tutti,- alternative coerenti e credibili,- valutazione riconosciuta ed effi- cace

Pur nella fluidità del momento a sottolineare la funzione e il valo-re dell’IRC ricordo volentieri che “L’importante è che sia atei che cre-denti possano trovare di che chia-rire il loro modo di giudicare” (R. Debray).Chiarita ora la fisionomia e la na-tura di questa disciplina passiamo ora al “COME” essa può esprimer-si adeguatamente dentro la scuola. Cercheremo di individuare alcune tracce per una didattica dell’IRC, tenteremo di trovare un’ angolazio-ne tecnica e professionale al nostro discorso. Mettiamoci per un attimo dalla parte degli insegnanti e faccia-mo questo percorso: si comincia dal 1997-2000 con la "Legge Quadro in materia di Riordi-no dei Cicli dell'Istruzione”, meglio nota come Riforma Berlinguer. Si passa poi al 2003, a quella che vie-ne conosciuta come Riforma Morat-ti che abolisce la riforma Berlinguer varata nel 2000.Giungiamo al 2006 , al Governo Prodi, con Ministro dell'Istruzione Giuseppe Fioroni.Viene bloccata l'attuazione dei prov-vedimenti riguardanti il secondo ci-clo di studi della Legge 53/2003.

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Andiamo ancora avanti : il 29 otto-bre 2008 il Parlamento ha convertito in legge il decreto proposto dal nuo-vo Ministro: è la cosiddetta Riforma Gelmini. Arriviamo al 2011 con il governo Monti. Ministro dell’Istru-zione, Università e Ricerca è Fran-cesco Profumo, ha già annunciato con non verranno fatte riforme… In questa girandola di novità ri-correnti è indispensabile aiutare gli insegnanti a passare dal: “bisogna ricominciare da capo un’altra vol-ta” al “vediamo che c’è di nuovo e di utile per migliorare il nostro fare” accostando le innovazioni propo-ste a partire e valorizzando la pras-si abituale. E’ bene quindi sempre partire dalla prassi e dalla profes-sionalità acquisite per considerare le categorie pedagogiche e didatti-che introdotte dalle varie riforme e arrivare eventualmente e per gradi ad aggiustamenti e revisioni. Parle-remo quindi di innovazione si, ma senza rivoluzioni e a partire dalla prassi. Avete presente un timonie-re? Continui, piccoli cambiamenti e aggiustamenti per mantenere la rotta. Gli insegnanti hanno sempre meno tempo. Perciò è importante impegnarli sull’essenziale.In ogni caso e di fronte a ciascun modello di didattica a mio parere le coordinate che dovrebbero guidare il docente si possono sinteticamen-te esprimere con la sequenza sog-getto-oggetto-azione. Partendo dal soggetto in apprendimento, consi-

derandone esperienze, problemi, dinamiche di relazione, si giunge al “conoscere” tramite l’azione propria dell’insegnante caratterizzata da una programmazione, da una par-ticolare attenzione alla metodologia e al contesto scolastico. L’attenzione all’oggetto culturale chiede sempre un approfondimento, un criterio di scelta dei temi e degli argomenti che faccia riferimento a fonti e program-mi, mantenendo costantemente la stretta correlazione e sinergia tra il soggetto in apprendimento, l’ogget-to culturale e l’azione dell’insegnan-te. E’ utile immaginare la scrivania di un insegnante di religione che programma la sua attività e indivi-duare le categorie organizzative del suo lavoro e quali le possibili ipotesi di domande a guida dell’azione.Partiamo dalle finalità generali del processo educativo e dal profilo globale dello studente, cercando di mantenere una stretta interconnes-sione tra i due elementi.Da un lato ci si deve chiedere quali siano o possano essere le competen-ze ed i traguardi di sviluppo delle conoscenze e/o delle abilità di IRC .Dall’altro va tenuto ben presente il soggetto in apprendimento; chi è lo studente che si iscrive a questa scuola? quali sono le sue esperienze, i suoi bisogni, i suoi sogni e deside-ri? e, in ultima analisi che cosa può avere da dire di significativo per lui la disciplina RC in questa scuola.E’ dalla sintesi di questi due aspetti

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che verranno fuori temi e argomen-ti per l’IRC adeguati per quella re-altà. E’ sulla scorta di tutto ciò che sarà possibile operare una opportu-na scelta dei contenuti e realizzare una programmazione adeguata ed efficace, supportata, o meglio arti-colata, in una sequenza ragionata di unità di lavoro per la classe.Anzitutto ci si chiederà: di che cosa si parla? Quali sono gli argomenti oggetto del percorso didattico? In tutto questo naturalmente ci vuole coerenza con le indicazioni norma-tive, pertinenza con l’ IRC, rilevan-za contenutistica ed essenzialità, adeguatezza e possibilità di nessi interdisciplinari. Ci si dovrà anche chiedere quali siano o quali potreb-bero essere le esperienze antropo-logiche di riferimento, quale corre-lazione sia possibile individuare e quale significatività sia possibile far emergere all’interno del lavoro in classe. Penso che a questo punto sia interessante ipotizzare come strut-turare un’ unità di lavoro.Partiamo dalla scelta del tema e qui se vogliamo che la scelta sia ade-guata, così come è già stato detto, bisognerà tener conto della sua si-gnificatività per il soggetto in ap-prendimento. Per i nostri studenti: direi che questa è una “conditio sine qua non” dalle quale non è possibile derogare. Naturalmente si deve far riferimento non all’estro o all’estem-poraneità di varie situazioni ma tener in debito conto di quelli che

sono i documenti nazionali e la pro-grammazione d’Istituto. Si dovran-no tener presenti quelle che sono le finalità generali, le competenze funzionali di base che devono essere non solo sottese ma anche imple-mentate, le specifiche competenze di area, l’ interdisciplinarietà in sen-so orizzontale o verticale e via di-cendo. Sempre in fase progettuale è importante a questo punto chiedersi che cosa ci si aspetta che gli alunni sappiano e sappiano fare rispetto al tema dell’Unità di Lavoro al termine del percorso che verrà proposto ed attuato. La risposta a questa doman-da aiuterà a formalizzare un vero e proprio obiettivo formativo, pun-to di riferimento per tutta l’Unità e parametro principale per verificare l’acquisizione di conoscenze/abilità come anche il contributo al progres-sivo conseguimento di competenze.Saranno poi le fasi di lavoro a trac-ciare il percorso per giungere a de-stinazione. Nelle fasi è importante porre attenzione all’esperienza uma-na di riferimento, alla specificità del punto di vista Religioso Cattolica, alla dimensione interreligiosa, a quelle che sono le risorse locali e alle possibili connessioni con le al-tre discipline. Un discorso più spe-cifico mi pare vada fatto sulle com-petenze. Il tema è attuale ma anche controverso. Anzitutto, trattandosi dell’area Religione Cattolica appare utile precisare che non si tratta di accostare e perseguire l’acquisizione

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di competenze attinenti alla “pratica religiosa” e richiamare l’attenzione sul fatto che, in questo caso, il “con-fine” della espressione scolastica delle competenze di RC assume un rilievo del tutto particolare. A mio parere rimane comunque garantita la possibilità di accertare l’acquisi-zione di competenze anche nell’area RC, in quanto il sapere religioso, al di là di appartenenze e personali scelte di fede, attiene alla vita, alla conoscenza e alla comprensione di un dato religioso che si esprime nell’ambiente e nella esperienza del-le persone, riguarda la maturazione di maggiore consapevolezza delle proprie scelte e l’apertura ad un dia-logo costruttivo con chi fa scelte e vive esperienze diverse, religiose e non religiose.A questo punto potrebbe essere in-teressante chiedersi perché “pensare per competenze” nella scuola, per-chè procedere con questa modalità? Quali sono i vantaggi? Quali i pos-sibili guadagni?Mi pare che si possa rispondere con quattro riflessioni:

• Indicano un punto di arrivo finale• Immaginano una SCUOLA che pensa alla VITA• Esigono una azione più coordi- nata tra docenti di diversi gradi scolastici• Tendono ad evidenziare ciò che è essenziale e rilevante

Ricordando comunque in ogni caso che è importante fare il possi-bile perché l’ora di religione risulti un’esperienza positiva, utile e che viene voglia di scegliere ancora.

Veniamo ora al rapporto tra IRC e Chiesa. Ovviamente bisogna fare riferimento all’ accordo concordata-rio del 1984, ad un accordo in cuivolontà distinte e separate si incon-trano e collaborano per uno scopo comune:- la volontà dello Stato che, una volta riconosciuto il “valore della cultura religiosa” e partendo dal presupposto che ogni grande fatto culturale trova nella scuola la sede propria di analisi e di studio, è giunto alla conclusione che la religione cattolica - presenza rilevante culturalmente, socialmen-te ed eticamente nella storia secolare del Paese e dell’Occidente - può e deve essere studiata nell’ambito del-le finalità della scuola;- la volontà della Chiesa che consi-dera l’insegnamento della religione cattolica come una forma di servizio necessario in una scuola moderna, realmente pluralistica e democrati-ca, rispettosa della dimensione esi-stenziale dell’uomo e delle tradizioni culturali dell’Italia. Con la consape-volezza della specificità dell’insegna-mento della religione cattolica nella scuola come occasione preziosa per la Chiesa di dispiegare il proprio in-teresse verso l’uomo nella scuola, e presenza riconosciuta e pubblica al servizio di famiglie e alunni, rivolta

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al pieno sviluppo della personalità dell’allievo, nelle dinamiche tipiche dei processi scolastici e nel rispetto della libertà di ciascuno.

Sullo sfondo di questo, mi sento di proporre tre riflessioni:

1. L’IRC VERSO LA CHIESAChiediamoci: l’ IRC come considera il suo rapporto o il suo legame con la Chiesa? Una risorsa o un problema?Credo che per alcuni si possa dire che l’IRC vive di lei, la Chiesa per l’IRC è riferimento, fonte prima-ria, esperienza viva da analizzare e studiare, anche criticamente; altri la ritengono radice e sostegno…al-tri ancora fanno prevalentemente riferimento a quella che potremmo chiamare la “tutela” concordataria…Onestamente dobbiamo riconosce-re che non mancano le ambiguità e che questo legame con la Chiesa a volte è mal sopportato. La Chiesa può essere vista come “madre” per l’IRC, ma anche in da alcuni perce-pita come “matrigna”…Da parte della Chiesa penso che sia importante perciò tener vive le mo-tivazioni di un servizio, rispettare i confini, essere chiari e trasparenti nella gestione delle proprie respon-sabilità. Tutto ciò serve a dimostrare consapevolezza, riconoscimento e ad offrire sostegno.

2. LA CHIESA VERSO L’IRCE qui ci si chiede: la Chiesa come considera l’IRC? Che aspettative nutre? Lo pensa utile o pensa che sia inutile?Bisogna riconoscere che non man-cano le dichiarazioni di interesse, non manca l’impegno di risorse, è sotto gli occhi di tutti che non man-ca l’impegno di elaborazione cultu-rale del tema. Infine non manca la presenza nella gestione delle pro-prie responsabilità ed in ogni dioce-si questo è facilmente rilevabile.Ma si manifestano anche perplessi-tà riguardo alla sua utilità, a volte il rilievo dell’IRC pare percepito solo dagli “addetti ai lavori”. Si lamenta una certa, magari non meglio definita, “distanza” dell’IRC dalla vita della Chiesa. Il “secondo le finalità della scuola” è vissuto come limite, una chiusura, una volontà di non collaborazione.Personalmente sono convinto che da parte dell’IRC sia necessario continuamente farsi conoscere nelle proprie potenzialità, farsi vicino e rendersi consapevoli di partecipa-re ad un compito. Cercare collabo-razione e occasioni di integrazione con l’azione della Chiesa nel rispetto dei rispettivi ambiti, quello cultura-le e quello catechistico.

3. MANTENERE VIVO IL RAP-PORTOScontato il fatto che il rapporto si debba mantenere è importante

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chiedersi come si possa mantene-re tale rapporto vivo e significativo. A livello pratico suggerisco quattro piccole modalità quattro, quattro momenti il cui ordine può anche essere mutato ma che hanno nella scansione proposta una logica se-quenzialità:Conoscersi (trovare occasioni e modalità per una reciproca cono-scenza personale tra parroci e inse-gnanti)Incontrarsi (in particolare è utile l’incontro tra IdR e catechisti per conoscere e armonizzare i rispetti-vi percorsi educativi, naturalmente nella distinzione delle finalità e del-le metodologie)Invitarsi (si presentano situazioni e occasioni nelle quali la presenza e la collaborazione reciproca, del parroco o dell’animatore pastorale o del rappresentante di un gruppo parrocchiale nell’attività di IRC, e viceversa dell’IdR nella comunità, può essere di valido aiuto e arric-chimento)Valorizzare (ci sono competenze specifiche, del sacerdote (teologi-che/bibliche) e dell’insegnante (pe-dagogiche/didattiche), che posso-no essere messe in gioco e servire alla precisazione di tematiche e alla chiarificazione di problemi).

La vita della Chiesa come oppor-tunità didattica per l’IRCBisogna anche tener presente che nella vita della Chiesa ci sono espe-

rienze, eventi, momenti particolari, iniziative, documenti … che, con le opportune attenzioni, possono es-sere utilizzate nell’IRC e diventare vere e proprie opportunità didatti-che legate a temi propri della scuola e dell’insegnamento della religione.Puramente a titolo esemplificativo ecco come un evento di chiesa può essere accostato dal punto di vista dell’IRC:diocesi di Trento - il “Pellegrinaggio diocesano dei giovani al Santuario della Comparsa sull’altopiano di Pinè”.Il tipo di lavoro riguarda la lettura e la comprensione di una esperienza funzionale a temi e argomenti che si affrontano nell’ IRC.Prima di tutto è opportuno far co-noscere l’esperienza e chiedersi: di che cosa si tratta? Da chi e perché viene promossa questa iniziativa?Una volta messa a fuoco l’esperienza ecco alcuni temi correlati che è pos-sibile approfondire:• Il Pellegrinaggio, la preghiera e gli atti devozionali• Essere Testimoni, l’aspetto dell’ annuncio e della missionari età• Giovani e fede rapporto ed impli- cazioni• Luoghi e spazi sacri

E’ possibile prevedere anche una se-rie di altre piste di lavoro:– confronto con altre esperienze simili (motivazioni-caratteristiche-effetti …);

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– analisi dello strumento utilizzato per presentare l’iniziativa (linguag-gio, contenuto …)– analisi del contesto (la diocesi di TN – la Pastorale giovanile www.diocesitn.it/giovani …).Un altro esempio è collegato alla “Lettera del vescovo ai giovani” di mons. Luigi Bressan, anche in que-sto caso accostata come opportuni-tà didattica nell’IRC.L’ambito è quello dell’utilizzo di “fonti e documenti”. Non è diffici-le reperire nella programmazione educativa o nel Progetto di Istituto e poi nella specifica programmazione disciplinare RC, temi e argomenti attinenti a questo ambito e svilup-parli utilizzando il caso concreto della lettera che il vescovo di Trento volle pubblicare nel 2009 in occasio-ne della Giornata della Gioventù.Temi facilmente evidenziabili sono ad esempio:• La ricerca di identità• Verso un progetto di vita• I valori che motivano e orientano le scelte e le azioni• La consapevolezza del bisogno di relazioni significative• La ricerca di figure ideali signifi- cative• L’immagine di Dio• Gesù Cristo in rapporto ai bisogni gni e alle attese dell’uomo

• La Chiesa oggi, il suo credo e la sua missione.

Ecco che allora la “Lettera del ve-scovo ai giovani” può legittimamen-te essere intesa come opportunità didattica nell’IRC e il lavoro si svi-lupperà di conseguenza attraverso le modalità di analizzare/interroga-re un testo per suscitare domande e riflessioni e offrire elementi di co-noscenza su temi-argomenti tipici dell’ora di religione.La lettura del testo e l’uso di doman-de guida del tipo: “Qual è l’afferma-zione centrale del testo? Come pos-so riassumere il messaggio centrale del testo? Che cosa non capisco? In-dividuo nessi con altri testi? Qua-li?” rappresentano modalità note ed efficaci per il lavoro in classe. Come anche lavori di gruppo nei quali analizzare il testo attraverso la gri-glia: “Autore -cosa traspare riguardo a chi parla o scrive? Chi è? Cosa dice di se stesso? Quale è il suo ruolo? Destinatari -chi sono? Che cosa im-pariamo di loro? Che cosa dice di loro l’autore dello scritto in termini diretti e/o indiretti?” consentono di intercettare esperienze di vita del-la chiesa e farne terreno di lavoro nell’IRC.

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In conclusione cito un testo tratto dalla Nota pastorale sull'Insegna-mento della Religione Cattolica nelle scuole pubbliche della Conferenza Episcopale Italiana INSEGNARE RE-LIGIONE CATTOLICA OGGI del 1991 che mi sembra rappresenti bene lo spirito che deve animare, ciascuno per le proprie responsabilità, chi si occupa di IRC in vista di un servizio autentico all’uomo nella scuola.“Un IRC rivolto a tutti gli alunni.Poiché l'IRC è un servizio alla crescita globale della persona, mediante una cultura attenta anche alla dimensione religiosa della vita, si può immedia-tamente comprendere come questa disciplina non debba essere proposta solo a quegli alunni che esplicitamen-

te si dichiarano cattolici. Essa è un servizio educativo e culturale offerto a tutti quanti sono disposti a consi-derare i grandi problemi dell'uomo e della cultura, a riconoscere il ruolo insopprimibile e costruttivo che, in questi problemi, ha la realtà religiosa e a confrontarsi con il messaggio e con i valori della religione cattolica espressi nella storia e nel vissuto del nostro popolo. Considerando poi che l'età giovanile è un momento pri-vilegiato di ricerca e di verifica, è più facile comprendere come l'IRC ri-sponda ai compiti propri della scuola pubblica, che è chiamata a favorire negli alunni l'attitudine al confronto, alla tolleranza, al dialogo e alla convi-venza democratica”.

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IRC a scuola : LA VOCE DEGLI STUDENTI

Ettore BenedettiDa parte degli studenti il dibattito si è svolto su tre temi fondamentali, per prima cosa è stato chiesto che cosa uno studente apprezzi mag-giormente nell'insegnamento della religione cattolica all’interno della propria scuola. Questa domanda ha creato due filoni di pensiero, i ra-gazzi che frequentano scuole pub-bliche ritengono, per la maggior parte, molto interessanti queste ore perché, a differenza delle altre disci-pline, sostanzialmente non c'è nul-la da perdere in termini di “registro”, vi è invece molto per cui mettersi in gioco, senza appunto le remore delle interrogazioni, delle verifiche e della valutazione decimologica. Al-cuni di questi studenti partecipano infatti a lezioni in un certo senso au-togestite, con argomenti cioè scelti dalla classe e mediati dal professore; altri discutono su temi di attualità in maniera del tutto libera e “neutra-le”, con il professore che interviene mettendo l’accento sull’ etica morale comune, sui diritti e doveri fonda-mentali del cittadino, inserendo in modo ragionevole valori cattolici.Gli studenti di scuole paritarie ri-tengono le lezioni a volte troppo pe-santi, quasi catechistiche, nutrendo dubbi su un tale metodo di insegna-mento.

Apprezzano tuttavia lo sforzo e il carisma che questi insegnanti met-tono nelle loro lezioni per tenere al-meno composta la classe. E' stato poi avanzato un invito da rivolgersi agli insegnanti delle pub-bliche: si è discusso di obbiettivi, di passaggi intermedi, di gradualità e rispetto per gli altri; non bisogna però perdere di vista la Verità, che è Dio. Viene sottolineato come spesso non si abbia il coraggio di parlar-ne direttamente ed apertamente, si preferisce fare un discorso “neutro” richiamando valori universali, si preferiscono discorsi etici ometten-do o sottintendendo spesso la di-mensione spirituale.E' vero però, che per la realtà scola-stica odierna, popolata di digital na-tives, abituata a notizie veloci e con-cise, collegamenti ipertestuali, video e informazioni in grande quantità, che richiedono pochi secondi di attenzione,non sia ricettiva ad un discorso di questo tipo. Ovviamente serve un vocabolario adatto, e un sistema di relazioni non catechisti-co, più efficiente e diretto , che sap-pia cogliere dal lontano e avvicinare sempre di più alla verità.Descritte le due “correnti di pensie-ro”, è invece comunemente apprez-zata la disponibilità del professore

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di religione di parlare di vita, di cose del tutto personali (rispettando fe-delmente una indagine studentesca regionale, da cui si evince che la maggior parte dei giovani studenti, preferiscono un professore votato all'ascolto più che una persona ge-niale nella materia di competenza). Il secondo tema è stato trattato ap-profondendo il primo. Nello spe-cifico è stato chiesto che cosa uno studente vorrebbe cambiare nell'in-segnamento della religione a scuola. Viste le parole spese in preceden-za, di comune accordo s'è pensato ad un insegnamento coinvolgente, dove la classe viene messa in gioco con entusiasmo, con un linguaggio confidenziale, su temi anche attuali, con la raccomandazione importan-tissima di non perdere per nessun motivo di vista l'obbiettivo di par-lare agli studenti di Dio, altrimenti si rischia di “chiacchierare” senza la possibilità che rimanga qualcosa.

Come terzo tema è stato chiesto agli studenti delle scuole pubbliche come motiverebbero un loro com-pagno che non si avvale dell'ora di religione a partecipare alla lezione. Tutti i presenti di tale categoria hanno affermato che punterebbero sul fatto che non vi è niente da per-dere e sulla curiosità, smascheran-do i pregiudizi che spesso vi sono su quest'ora, vista ad esempio come indottrinamento della Chiesa Cat-tolica, come “lavaggio del cervello” o altro ancora..Sotto quest'ultima tematica, si è ri-tenuto quantomeno deplorevole la malafede di alcuni presidi che col-locano l'ora di religione alle prime o alle ultime ore del lunedì o del sa-bato, screditando in questo modo l'insegnamento, dimostrando poco rispetto, e rendendo quindi ancora più difficile la risposta a quest'ulti-ma domanda.

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IRC a scuola : LA VOCE DEI DIRIGENTI

Mario BoniniL’ insegnamento di religione catto-lica nella scuola italiana ha attra-versato un lungo periodo segnato da cambiamenti e riflessioni. Sul piano normativo si è infatti defini-to un percorso epistemologico della disciplina che la separa da intenti ad essa estranei, e che tali devo-no rimanere, quali l’ evangeliz-zazione o la conversione alla fede cattolica degli alunni a cui essa si rivolge. Si è consolidata l’idea che essa mira ad un approccio culturale del “sacro”, aperta al confronto con altre esperienze e realtà religiose, contribuendo alla conoscenza della radici culturali del nostro occidente e della realtà attuale. E’ chiaro che l’approccio scientifico e culturale dell’insegnamento della reli-gione cattolica parte dall’ ermeneutica del testo biblico e della tradizione cristiana, ma i temi e gli argomenti sviluppati nei diversi gradi di scola-rizzazione puntano precipuamente alla scoperta della dimensione spiri-tuale e religiosa della persona uma-na, intesa come portatrice di un va-lore trascendente e di un’ etica che abbia il prossimo come centro del proprio interesse e agire. Il senso del sacro e della persona a più dimensioni, spinge il docente di religione cattolica ad un approc-

cio e un percorso innovativo e signi-ficativo . L’insegnamento della religione cat-tolica porta infatti l’allievo a fer-marsi e a riflettere su se stesso e sulle proprie dimensioni interiori, cogliendo che ci sono logiche di ap-proccio all’altro e al sacro che rifug-gono l’ egoismo infantile da cui può liberarsi , alla luce di una proposta di amore e tollerante inclusione del prossimo con le sue diversità per-ché tale è e deve essere la cultura della promessa cristiano-evangelica. Il dilemma che spesso nasce in chi insegna il tema del sacro e del re-ligioso in Italia è quanto peso dare alla dimensione “cattolica” dell’inse-gnamento della religione. E’ questo probabilmente il punto più delicato e a volte controverso per chi ritiene che l’insegnamento della religione cattolica non debba essere confes-sionale e chi invece rivendica la pe-culiarità del messaggio evangelico. Riteniamo che le due cose non siano inconciliabili e che l’insegnamento della religione debba essere cattoli-co nel senso più ampio del termine e cioè universale, proponendosi pro-prio come messaggio cristiano. Se il nucleo del messaggio evangelico infatti si sintetizza nell’ “ama Dio e il tuo prossimo come te stesso” da

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questo si dovrebbe partire e arrivare ad un tempo stesso. Tutto si può ap-profondire, dalla storia biblica, alla tradizione cristiana, al pensiero del magistero ecclesiale cattolico ma te-nendo sempre a mente che dobbia-mo aprire ai nostri ragazzi la mente e il cuore in chiave universalistica ed ecumenica.Perché ciò si sviluppi e maturi sem-pre più nelle nostre scuole, un ruolo decisivo l’hanno i docenti di reli-gione cattolica. Non proponendosi infatti come dei catechisti ma come esperti in umanità, possono e devo-no diventare per gli studenti e per la loro scuola, il sale che dà un sa-pore diverso alle cose e alle vicen-de scolastiche. Sono infatti loro dei

veri punti di riferimento per gli stu-denti che trovano anche nei docen-ti direligione cattolica degli adulti disposti all’ascolto e al confronto leale e sincero. I ragazzi esprimo-no, a volte non sempre in maniera diretta ma in modo chiaro per chi sa leggere “oltre” le apparenze, una forte domanda di senso sulla vita, sull’ amore e sulle dinamiche delle relazioni tra le persone, i genitori , i loro pari; sono disposti a conoscere e ad approfondire le tematiche del sacro e del messaggio evangelico, purchè sia dato loro modo di sco-prirlo come messaggio d’amore e di apertura alla comprensione di Dio e dell’ altro, qualunque altro.

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IRC a scuola : LA VOCE DEI DOCENTI

Maurizio Compagni1. Percezione dell’insegnante di Religione cattolica all’interno del-la scuola: aspetti positiviL’insegnante di Religione cattolica, come del resto l’insegnante di qual-siasi altra materia, gioca la sua pre-senza a scuola innanzitutto attra-verso la professionalità. A questa, in genere, egli sa unire altre caratteri-stiche importanti, come l’attenzione alla persona e la capacità di tessere relazioni, che lo rendono una sorta di punto di riferimento, sia per gli studenti che per i docenti. In genere gode della stima dei col-leghi e, grazie anche alla sua dispo-nibilità, spesso riveste incarichi di responsabilità, nonostante le diffi-coltà organizzative legate al numero notevole di classi in cui opera. Al verificarsi di queste condizioni la percezione dell’insegnante di Re-ligione cattolica da parte dell’inte-ra istituzione scolastica è senz’altro positiva, al di là di qualsiasi forma di conflittualità o di contrapposizio-ne ideologica.L’insegnamento della Religione cat-tolica è bene accolto dagli studenti, che avvertono in esso una attenzio-ne particolare alla persona e alla crescita umana e culturale, e questo tanto nelle scuole paritarie che negli istituti statali.

Il fatto che il voto non faccia me-dia può costituire una maggiore opportunità di apertura, di libertà e di coinvolgimento nell’azione di-dattica.Per quanto riguarda la scuola pri-maria, la Religione cattolica in mol-te scuole ha ormai raggiunto una precisa strutturazione come disci-plina scolastica, con programmi e verifiche oggettive e fornisce il suo contributo specifico alla formazione dei bambini alla pari delle altre ma-terie. Ed è quindi molto apprezzata dai genitori.La facoltatività della materia, la con-seguente scelta di avvalersi o meno dell’insegnamento, la libertà dall’an-sia delle prestazioni e del voto ren-dono particolare l’ ora di Religione. Anche per questo l’insegnante ha un rapporto diverso con le classi e rie-sce a dare un giudizio nuovo sugli studenti, che può non basarsi solo sulla conoscenza dei contenuti. In tale prospettiva la figura del docente prete potrebbe essere vista come un valore aggiunto. Per ovviare alla dif-ficoltà data dall’unica ora settima-nale, in qualche scuola è stata spe-rimentata una scansione modulare con lo svolgimento della materia in una parte dell’anno scolastico per due ore settimanali. Questa soluzio-

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ne, in linea con la normativa vigente in materia di autonomia organizza-tiva e didattica, ha presentato alcuni vantaggi: l’insegnamento della Re-ligione cattolica è stato messo sullo stesso piano delle altre materie, sono stati facilitati il contatto e la relazio-ne con le studentesse e gli studenti e, di conseguenza, la loro frequenza è risultata più assidua. Si sottolinea però anche il fatto che una tale modularità, che è stata mes-sa in atto sperimentalmente anche per altre materie, può creare proble-mi di organizzazione per i docenti e per la scuola.

2. Percezione dell’insegnante di Religione cattolica all’interno del-la scuola: elementi di criticitàAccanto alle caratteristiche positive, fin qui enunciate, ci sono anche ele-menti di criticità, alcuni legati alla natura stessa della materia, altri in-vece specifici di questo particolare momento storico. Eccoli di seguito indicati. La Religione cattolica non è bene inserita tra le discipline ed è considerata talvolta come “a par-te”, quasi una sorta di aggiunta al curricolo scolastico. La stessa fa-coltatività e la conseguente scelta di avvalersi o meno dell’insegnamento contribuiscono a questa percezione poco positiva, tanto più che talvolta la scelta è operata più dai genitori che dagli studenti. Si avverte una certa difficoltà nell’azione didattica: non si riesce a

conciliare l’insegnamento dei con-tenuti e la conseguente valutazione con l’attenzione alla persona, alle sue esigenze e alla sua partecipazio-ne attiva alle proposte didattiche. Ci si chiede quale incidenza possa avere un intervento in classe per una sola ora settimanale. Inoltre l’ ora di Religione cattolica vede tal-volta una frequenza poco assidua da parte degli studenti e corre il ri-schio di essere vissuta come un mo-mento di riposo più che come una opportunità formativa e culturale. Viene proposta anche una revisio-ne del Concordato sia per dare alla materia la dignità oraria di qualsiasi altra disciplina, sia per estendere l’ insegnamento e permettere quindi a tutti di riflettere sul senso della vita. Ci sono molti studenti stranieri che non si avvalgono e pare che ci sia un aumento di non avvalentisi anche da parte degli studenti italiani. Con l’aumentare dell’ età, diminuisce l’interesse per la materia. Si fatica ad intercettare le esigenze degli studen-ti più grandi per cui entra sempre più in gioco la figura e la professio-nalità dell’insegnante. Rimane ancora una certa ambiguità della disciplina in riferimento alla sua appartenenza alla sfera didattica e alla sfera religiosa.L’insegnante di Religione cattolica è per certi versi una figura anoma-la, cercata da alcuni e contestata da altri. Senza dubbio la sua presenza a scuola solleva domande.

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Si tratta di una figura ancora in di-venire, che richiede tempo e rifles-sione per essere meglio definita.È particolarmente delicato il proble-ma della valutazione. Da una parte gli studenti paiono mal sopportare di essere verificati e valutati, dall’al-tra la mancanza di una valutazione “seria” e oggettiva sembra togliere importanza alla materia. Va con-siderato poi che una sola ora setti-manale rende difficile la verifica e la valutazione stessa, il cui oggetto sembra oscillare fra la conoscenza dei contenuti e le caratteristiche e i comportamenti della persona. L’unica ora settimanale di insegna-mento crea anche altre difficoltà: pone la Religione su un piano diver-so e meno importante rispetto alle altre materie, determina cattedre con molte classi e quindi con nume-rosissimi studenti, rende difficile da parte del docente la reale conoscen-za delle studentesse degli studenti e quindi inficia quel rapporto di rela-zione che è stato più volte sottoline-ato come peculiare e importante.Talvolta sembra di assistere a una sorta di “difesa” delle prerogative della materia da parte del docente, in riferimento ad esempio alla col-locazione oraria o alla mancanza del sostegno.La professionalità, l’attenzione alla persona, la relazione con studenti e colleghi sono o dovrebbero es-sere propri di tutti i docenti nella quotidianità dell’attività didattica e

del rapporto educativo. Per quanto riguarda l’insegnamento specifico della Religione cattolica andrebbero invece approfonditi in questo parti-colare momento storico alcuni ar-gomenti di rilevante attualità, quali ad esempio il significato sul piano culturale della Religione cattolica in un mondo dove aumenta sempre più il numero di studenti stranieri e il senso della religiosità nella vita delle persone.

3. Possibilità di interdisciplinarie-tà, di collaborazione tra insegna-te di Religione cattolica e colleghi delle altre disciplineLa possibilità di percorsi interdisci-plinari o, più in generale, di collabo-razione è molto vasta, stante la de-cisa trasversalità della materia, che ben si presta ai contatti con tutte le discipline. L’insegnante di Religio-ne, oltre all’apporto dei suoi specifi-ci contenuti, aggiunge in genere un valore ulteriore, dato dall’attenzione alla persona e dalle conseguenti re-lazioni interpersonali. Il discorso è tanto più evidente per gli insegnati di scuola primaria che sono abilitati anche all’insegnamen-to della Religione cattolica.Nella realizzazione di questi pro-getti c’ è sintonia fra l’insegnante di Religione e i docenti delle altre discipline. Talvolta si attuano anche forme di compresenza. Le possibilità offerte dai programmi permettono gli interventi pluri/interdisciplinari.

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Qualche esempio: la Divina Provvidenza nei Promessi Sposi, la nascita del cristianesimo, affettività e sessualità…Come elemento negativo viene ri-portato il fatto che di tali program-mi spesso c’è poca o nessuna cono-scenza da parte dei docenti di altre discipline e questo in parte limita le possibilità di collaborazione e di interdisciplinarietà. Da parte sua anche l’insegnante di Religione do-vrebbe meglio informarsi sui pro-grammi delle altre materie per ren-dere più fattiva la collaborazione.

4. Una “criticità” specifica: la pre-senza dell’insegnante di Religione cattolica all’interno dei consigli di classeAll’interno del Consiglio di classe in genere la presenza del docente di Religione cattolica è senz’ altro significativa. Se si tratta di una per-sona competente e preparata, il suo giudizio diventa una sorta di punto di riferimento nella discussione.Generalmente si riconosce al do-cente di Religione una capacità di relazione se non privilegiata, cer-tamente diversa e più approfondi-ta con gli studenti e spesso anche con i colleghi. È stato anche nota-to che i contatti avvengono spesso

al di fuori delle riunioni formali. Nel Consiglio di classe infatti pre-vale l’attenzione alla valutazione e al voto, caratteristica più legata alle varie discipline, mentre nei contat-ti informali prevale l’attenzione alla persona, caratteristica meglio rico-nosciuta al docente di Religione cat-tolica. La cattedra comporta molte classi (fino a 18) e spesso impedisce la presenza del docente di Religione cattolica a tutti i Consigli a causa della sovrapposizione delle riunioni. Di conseguenza viene a mancare la sua voce e il suo apporto nel luo-go deputato all’incontro, alla rela-zione, alla programmazione e alla impostazione dell’attività didattica. Forse anche questo contribuisce alla mancata conoscenza dei programmi della materia, alla quale quindi non si riesce a dare la giusta collocazione e il giusto peso.D’ altro canto la presenza in nume-rosi Consigli di classe permette al docente di Religione di avere una visione complessiva se non della scuola, almeno di una parte con-sistente di essa. In qualche misura quindi può contribuire a rendere uniforme il modo di procedere e di valutare dei diversi Consigli in cui è inserito.

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Ancor oggi in Italia la maggior par-te delle famiglie chiede per i propri figli di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica (IRC).Le motivazioni sono sicuramen-te le più diverse, si va da ragioni di condivisione di un comune proget-to educativo umano e cristiano, a un semplice fatto di condivisione culturale, fino ad arrivare ad una semplice accettazione per “non es-sere diversi”. In complesso, il 50% dei genitori sostiene che la scelta dell’IRC è compiuta per coerenza con la propria fede religiosa, perché convinti della sua valenza educati-va e culturale, nonché del contribu-to alla formazione religiosa dei figli, con sensibili variazioni per quanto riguarda i diversi ordini di scuola e di tipo di scuola, statale o pari-ficata. In definitiva si può ritenere che l’alta percentuale di avvalentisi non è una circostanza rituale, ma è motivata da un riconoscimento forte della potenzialità educativa e culturale dell’IRC, così come anche del contributo che essa può dare alla formazione religiosa dei figli. Quin-di vi è un alto credito, da parte delle famiglie, riposto nel delicato lavoro dell’Insegante di Religione (IDR). Questa situazione carica di respon-sabilità l’IDR, ha la possibilità di en-

IRC a scuola : LA VOCE DELLE FAMIGLIE

Roberta e Piero Dalle Vedovetrare in relazione con la molte fami-glie di un territorio, una relazione che rappresenta, altresì, una grande opportunità per agire sulla crescita umana e cristiana dei nostri bambi-ni, ragazzi e giovani, nell’immediato (cioè nel corso dell’iter scolastico), ma anche per il futuro delle nuove generazioni.

Famiglia e corresponsabilità edu-cativaGli Orientamenti pastorali per il de-cennio 2010-2020 affermano che: «Spetta ai genitori assicurare loro (ai figli) la cura e l’affetto, l’orizzonte di senso e l’ orientamento nel mondo». Certamente è compito primario della famiglia l’ educazione e con essa l’orientamento dei figli ma que-sto è uno dei compiti educativi più importanti e delicati che richiede si-nergia e collaborazione tra le diverse istituzioni che si prendono a cuore la crescita dei giovani e non può essere assolto dalle famiglie da sole, se non altro per il fatto che ciascun adulto che abbia un rapporto con i nostri figli può influenzare le loro scelte. È allora necessario, come genitori, cercare di conoscere i propri figli anche fuori dal contesto domestico, familiare o amicale, per scoprire le loro attitudini e capacità cognitive,

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relazionali, affettive, sociali, anche in contesti non monitorati diretta-mente da noi, anche in relazione con coetanei o con adulti diversi. In questo quadro diventa fondamenta-le la scuola sia per la sua funzione specifica, sia per il lungo tempo che i ragazzi trascorrono in questa co-munità. La risposta ampiamente positiva che l'IRC ha ricevuto in questi anni è un chiaro segno di fiducia da parte della famiglia verso il servizio edu-cativo che questa disciplina offre, servizio «volto a formare persona-lità giovanili ricche di interiorità, dotate di forza morale e aperte ai valori della giustizia, della solidarie-tà e della pace, capaci di usare bene la propria libertà» La Familiaris Consortio, citando il documento Gravissimum Educatio-nis, affermava che «I genitori, poi-ché hanno trasmesso la vita ai figli, hanno l'obbligo gravissimo di edu-care la prole: vanno pertanto consi-derati come i primi e principali edu-catori di essa. Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può appena essere sup-plita. Tocca infatti ai genitori creare in seno alla famiglia quell' atmosfe-ra vivificata dall'amore e dalla pietà verso Dio e verso gli uomini, che favorisce l'educazione completa dei figli in senso personale e sociale. La famiglia è dunque la prima scuola di virtù sociali di cui appunto hanno bisogno tutte le società».

La famiglia, allora, è luogo “edu-cativo” primario, ma non unico ed esclusivo; ne è convinto lo stesso Giovanni Paolo II tanto che sempre nella Familiaris consortio afferma che «La famiglia è la prima, ma non l'unica ed esclusiva comunità edu-cante: la stessa dimensione comuni-taria, civile ed ecclesiale, dell'uomo esige e conduce ad un' opera più ampia ed articolata, che sia il frutto della collaborazione ordinata delle diverse forze educative. Queste for-ze sono tutte necessarie, anche se ciascuna può e deve intervenire con una sua competenza e con un suo contributo proprio.Nello stesso documento il Papa ri-chiama i genitori all’impegno di un rapporto “cordiale e fattivo con gli insegnanti ed i dirigenti delle scuo-le”.

Le aspettative delle famiglie nei confronti dell’IRC e dell’IDRMolti genitori avvalendosi della scelta dell’IRC esprimono un desi-derio di “continuità educativa” con l’ educazione che i figli ricevono in casa e in parrocchia. Sarà, magari, un desiderio di “convenienza”, quasi di tranquillità, ma c’è comunque un’ esplicita scelta.Un’ altra aspettativa dei genitori è che i figli attraverso l’ IRC possono vivere un’ esperienza di valore in un ambiente laico, come è la scuola, e per questo molto importante per la formazione del ragazzo.

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Non è insolito sentirsi dire quando si affrontano certi argomenti “l’ha detto anche il nostro IDR”.Il messaggio viene percepito con un valore diverso rispetto alla solita ra-manzina dei genitori o la solita pre-dica del parroco o del curato.L’ IRC, poi, per molti genitori è anche l’ occasione perché il proprio figlio possa fare un’ esperienza di ascolto e di dialogo con altri coetanei, magari di estrazione culturale diversa, pro-venienti da luoghi diversi del terri-torio. L’IRC, come disciplina sco-lastica, si pone nel curricolo degli studi con due finalità principali: far conoscere le radici cattoliche del pa-trimonio storico-culturale del po-polo non solo italiano ma europeo e suscitare domande e risposte di sen-so. Se queste sono le finalità di tale insegnamento è evidente che l’IRC, più di altre discipline, può aiutare il ragazzo a conoscere e comprendere il contesto nel quale vive, a riscopri-re le proprie radici e, contempora-neamente, il senso e la prospettiva del proprio futuro.Ancora, i genitori sono sensibili e attenti a due altri aspetti dell’IRC: la metodologia e la coerenza dell’IDR.Sul primo aspetto i genitori si aspet-tano che l’IDR abbia un preciso pro g r am m a e c h e at t r ave r s o un’ adeguata metodologia porti a degli obiettivi. Cioè vedono nell’IDR “un insegnante vero”, competente nella sua disciplina, in grado di tra-smettere i contenuti con un’ adegua-

ta metodologia. In più, però i genitori nei riguardi dell’IDR chiedono anche uno stile di vita coerente tra quanto insegna-to e quanto praticato. Questo non per dare giudizi morali sulla vita e sulle scelte dell’IDR ma perché con-vinti che questo aspetto abbia una grande rilevanza sul processo for-mativo dei ragazzi, specie di quelli più grandi, molto critici e attenti nel rilevare incongruenze (i genitori ne sanno qualcosa). Infine, per i genitori la figura dell’IDR “laico” non rappresenta un ostacolo. Del resto, per certi versi il fatto che oggi ci siano molti IDR laici, uomini e donne, che svolgono con motivazione e passione il loro ruolo di insegnanti, rappresenta un valore aggiunto.

ConclusioniI genitori, in definitiva, sono con-sapevoli che nell’ attuale contesto culturale fortemente laicizzato, dove alcuni valori considerati da tem-po “immutabili” sono invece sem-pre più spesso messi in discussione (la famiglia, il ruolo della Chiesa, il senso di autorità, il sacrificio, la capacità di aspettare l’ evolversi del tempo) essere IDR non è facile.Ma proprio per questo i genitori, al-meno quelli più motivati, sentono la necessità di costruire una rela-zione positiva con l’IDR, consape-voli entrambi che l’IRC va al di là del puro sapere, ma che costituisce

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un qualcosa che li aiuta a crescere, a formarsi, a confrontarsi, a fare delle scelte.L'IDR con il suo lavoro stimola l'ap-profondimento dei grandi interro-gativi relativi al senso della vita, al significato del mondo che ci cir-conda e agli impegni concreti che rendono ogni uomo veramente tale, ogni ragazzo “unico e irrepetibile”. Si può quindi concludere afferman-do che l’ obiettivo di tutti gli educa-tori è quello di arrivare a un “noi” ge-nitoriale per una comunità educante, in cui vanno coinvolte tutte le figure

adulte, genitori, docenti, sacerdoti, catechisti, animatori ed educatori in senso ampio, in modo da esercitare una genitorialità condivisa, consa-pevoli che ognuno è responsabile non di un pezzetto di ragazzo, ma della sua totalità, della sua integra-lità, anche se a ciascuno spetta un ruolo ben preciso e da non confon-dere. Ancor di più, forte deve essere l’intesa e la capacità di dialogo, con una particolare attenzione alle si-tuazioni di ragazzi e di famiglie più fragili fisicamente e socialmente.

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IRC a scuola : LA VOCE DEL VESCOVO

“Come il vescovo vede l’insegnamento della religione cattolica ed i docenti di religione cattolica nei rapporti con la scuola e la diocesi”Conversazione di mons. Giuseppe Zenticon i membri della Consulta della Pastorale Scolastica

In questo nostro incontro vorrei davvero esprimere quello che io come vescovo mi attendo dagli in-segnanti di religione cattolica.Parto da quello che sento dentro di me, da una convinzione profonda che ho realizzato da tempo: ritengo gli insegnanti i docenti di religio-ne cattolica un grosso patrimonio a disposizione della diocesi, un patri-monio di cui non si può fare a meno se si vuole affrontare la nuova evan-gelizzazione.Per tutta una serie di ragioni che andremo in seguito ad esaminare penso agli insegnanti di religione, che sono più di 400, come ad una falange sulle frontiere della educa-zione della mente e delle relazioni interpersonali. Come insegnanti di religione siete proprio sulle frontiere di quella real-tà che è decisiva se sviluppata e rea-lizzata al meglio delle sue potenzia-lità e che diventa catastrofica se non fatta, cioè quella dell’educazione.La scuola come ambito di educazio-ne ha in sé tutta una realtà valoriale profonda e complessa con tutte le

sue valenze e in modo particolare quella relazionale: un insegnante di religione è in grado di attivare tra sè e la propria scolaresca delle relazio-ni che sono diverse da quelle che si possono instaurare tra l’insegnan-te di matematica e di fisica; esiste quindi un rapporto, una relazione singolare e unica. Nello stesso tempo sono convinto che l’insegnante di religione per la sua specificità è maggiormente in grado di influire sulla scolaresca per stabilire al suo interno delle belle relazioni, dei rapporti umani ricchi e fecondi e io auspico che ciò possa avvenire anche nei confronti dei col-leghi, con tutto il corpo docente.Personalmente sono convinto che l’insegnante di religione, se ben pre-parato, se figura significativa, sia in grado di dare un apporto davvero interessante all’interno del mondo degli insegnanti. Fatta questa premessa con la quale ritengo dunque che gli insegnanti di religione nel loro insieme possano essere un patrimonio enorme agli effetti dell’evangelizzazione e una fa-lange sulle frontiere dell’educazione della mente e delle relazioni , pas-serei ad analizzare il rapporto che esiste tra questa figura e il proprio vescovo, chiunque lui sia.

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In primis il vescovo non è soltanto un datore di lavoro; certo occorre il suo mandato, la certificazione di idoneità, e senza la ratifica di un ve-scovo non si può accedere all’inse-gnamento della religione cattolica.Io purtroppo non conosco personal-mente ad uno ad uno tutti i docenti di religione, del resto mi sarebbe impossibile a fronte di una dioce-si che non è lontana da un milione di persone con 672 sacerdoti… al-lora lo faccio attraverso il mio rap-presentante, il direttore dell’ufficio della pastorale scolastica, in questo caso don Domenico.Devo anche dire che un rapporto di tipo esclusivamente sindacale non mi piace per niente, non mi sento a mio agio e trovo che ci si colloca su piani diversi. Il vescovo è pastore e deve preoccu-parsi di fornire tutti gli elementi ne-cessari perché un docente di religio-ne possa fruire delle risorse che sono a disposizione di una diocesi per rendere se stesso sempre migliore, come uomo, come donna, come per-sona umana, come credente e come docente sotto tutti questi profili.Vorrei che si desse sempre di più ri-salto a questi aspetti e che gli inse-gnanti di religione cattolica in tutti gli ordini di scuola fossero aiutati a capire sempre più in profondità chi sono come persone, come credenti e come docenti; se poi hanno la vo-cazione alla vita familiare, cosa vuol dire per loro anche essere mamme,

papà , sposi e spose in questo conte-sto generale evolutivo della società attuale. A me compete assicurare l’aggiorna-mento adeguato, dare degli stimoli per riflettere ulteriormente su tutte le problematiche che sono connes-se nel rapporto tra una cultura in evoluzione rapidissima e la docenza di un insegnamento che è particola-re com’ è quello dell’insegnamento della religione cattolica: dare degli stimoli ed aiutare, attraverso il mio rappresentante, a portare avanti tutte problematiche che sono connesse. Ogni insegnante quando si trova ad espletare il suo lavoro, porta avanti un programma, dei contenuti e si rapporta con suoi alunni cercando di coniugare i vari curricola con il vivere dei ragazzi, li adatta in un certo senso al rapporto che la sua disciplina ha, o dovrebbe avere, con il vivere. Credo che in questo ci sia-no delle differenze, delle valenze di rapporti legati proprio alla discipli-na specifica; se pensate ad esempio alla matematica , alla fisica, ecco qui la professionalità, le competenze di-dattiche hanno evidentemente un certo peso, ma la modalità espres-siva, la ricaduta sul vivere profondo degli studenti credo che tutto som-mato non abbia una grande rilevan-za. Due più due fa quattro e non ti cambia la vita dal punto di vista va-loriale, dei riferimenti profondi.La religione no.Qui sta la sua peculiarità.

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L’insegnamento della religione ha una ricaduta enorme sul vivere. Sen-za che questo insegnamento, come chiariremo meglio tra poco, debba diventare catechesi o apostolato, ha certamente la capacità di veicolare e raccogliere gli stimoli che proven-gono da un’ area vasta e profonda che può davvero incidere sul vive-re, sugli atteggiamenti del vivere, sull’ essenza profonda della perso-na, dalle sue origini, ai suoi sviluppi fino ai suoi esiti.Ed a me personalmente compete la verifica e l’ accertamento dell’idonei-tà di insegnanti in grado di portare avanti un così arduo dovere, compe-te a me anche ricaricare di passione ed entusiasmo queste persone: tutti sappiamo cos’ è, cosa deve essere questo entusiasmo, quanto sia pre-zioso ed essenziale per far trasmet-tere a degli adulti quella passione che Dio ha per l’uomo, far vedere tutto con i suoi occhi, amare tutto e tutti, anche quelli che non se lo meritano ma che ne hanno bisogno, che ne hanno più bisogno.Essere entusiasti non vuol dire esse-re euforici, è un atteggiamento mol-to più sostanziale e serio.Che gli insegnanti di religione cer-chino di essere entusiasti lo racco-mando sempre e mi impegno af-finchè gli sforzi di quanti hanno a cuore questo settore siano proprio rivolti ad una continua ricarica in questo senso.Ma andiamo ancora più avanti: mi

aspetto che i docenti di religione sia-no alleati tra loro, e questa alleanza è decisiva, anche all’interno della stessa scuola, dello stesso istituto: è importante che si incontrino tra loro, che si vedano, che si stimino e si apprezzino tra di loro. Non solo, che siano alleati con tutto il corpo docente; se ci sono delle persone che devono voler bene a tutti i docenti, di qualunque estrazione essi siano, che abbiano un senso religioso o meno, questi devono essere proprio gli insegnanti di religione. Chiamati ad amare, questo desidero che siano.Allo stesso tempo ritengo importan-te che l’IRC si leghi, abbia momenti di comunione e condivisione con le catechiste e gli animatori della zona in cui opera. Mi rendo conto delle oggettive difficoltà logistiche, degli impegni che ognuno ha, ma vi con-fido che tengo molto a questo aspet-to e come pastore mi sentirei molto rinfrancato nel sapere che magari nello stesso paese, nella stessa zona, questi momenti ci sono davvero. Ho già fatto notare la differenza tra i due momenti e la valenza culturale dell’ insegnamento della religione a scuola e su questo non vi è discus-sione, ma che uno sia la brutta copia dell’ altro, anche questo non va. Contenuti e modalità trovano all’in-terno dell’istituzione scolastica un clima ed una metodologia più adatte, anche certe intemperanze comportamentali, che tra l’altro non

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andrebbero sottovalutate, possono essere motivo di reciproco arricchi-mento sulla sensibilità, sui modi di porsi del mondo preadolescienzia-le, sul come interpretarli, valutarli e capirli. Gli insegnanti di religione vivendo ogni giorno con i ragazzi meglio sanno interpretare e capire cam-biamenti o resistenze ed utilmente possono aiutare chi li incontra inve-ce con cadenza settimanale e in un contesto molto diverso.Se c’ è questo continuo e veloce cambiamento sono loro che lo mo-nitorano e lo conoscono meglio di tutti, anche dei preti, ed essendo poi meno vincolati al voto, sono vera-mente antenne d’ ascolto privilegia-te ed è un peccato che questo pa-trimonio potenziale di conoscenze e strategie operative non trovi un utilizzo valido e prezioso.Andando poi più avanti nello speci-fico è poi importante che dal punto di vista professionale i docenti di re-ligione siano all’altezza del compito loro affidato.Già nei precedenti incontri della Consulta in quest’anno scolastico sono stati toccati da esperti relatori approfondimenti relativi al conte-nuti, alla pedagogia ed alla didattica ed anche qui, consentitemelo, dirò quelle che sono le mie attese. Dal punto di vista dei contenuti l’ ora di religione a scuola deve pre-sentare gli elementi specifici del-la religione cattolica desunti dalla

Parola di Dio e dal Magistero della Chiesa.E’ materia dei libri di testo che ap-punto devono essere fondati su dati oggettivi e veri non devono essere il risultato o la cassa di risonanza di opinioni che possono trovare spa-zio nell’ espressione personale, nella dialettica, ma non nella funzione strettamente legata alla docenza.Per capirci, un insegnante di italia-no, pur nella soggettività della sua pronuncia, pur nel rispetto delle sue predilezioni poetiche, quando pre-senta il contenuto della sua discipli-na, della grammatica, non può esi-mersi dal presentarlo come un dato oggettivo ed universale: città è una parola tronca e va scritta con due t. Punto e basta.Alla stessa maniera, nel nostro caso, sotto il profilo morale e teologico, i contenuti vanno presentati nella loro oggettività. Il docente, per essere concreti, deve essere espertissimo nel tema della Trinità perchè senza Trinità la re-ligione cattolica non è nulla, è pa-ganesimo puro. Ecco allora l’im-portanza di spiegare bene cosa sia, spiegare che non è una sorta di Trimurti presente in tante altre re-ligioni, che è l’ essenza stessa della famiglia e di tutto.Dal punto di vista pratico occorre dire con chiarezza cosa dice la Chie-sa e cosa dice la Trimurti . Occor-re rispetto per tutte le opinioni ma non ci deve essere confusione.

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Facciamo un altro esempio: prendia-mo un tema che implichi la morale, nello specifico la morale sessuale. Un insegnante potrebbe dire che per lui i rapporti prematrimoniali non sono un problema; personalmente non ho nulla da dire, rispetto la sua opinione e la libertà personale, ma come docente di religione cattolica deve dire che cosa pensa la Chiesa a riguardo e soprattutto perché.Deve far notare che la Chiesa è at-tenta al significato e al senso che hanno i gesti, per cui il rapporto coniugale non è un atto che entra nella natura animale dell’uomo, non è un accostamento corporeo, ha un significato profondissimo: vuol dire che io sono in te e tu sei in me e per-ciò io vivo per te e tu per me. E’ una consegna, il significato più profon-do è quello di una consegna, di una persona all’ altra nella reciprocità, e proprio per rispettare questo valore supremo di due persone che si con-segnano, la Chiesa dice che i rap-porti prematrimoniali, non avendo questo significato di io che sono in te e tu che sei in me nella stabilità, dice che non sono umanamente va-lorizzabili perché in questo momen-to contraddicono l’ essere stesso.Ho fatto solo un paio di esempi, l’ho fatto in maniera sintetica, forse troppo brevemente, ma mi preme far notare quanto sia importante che un insegnante di religione riporti quanto la Chiesa dice. Uno può an-che pensare che si tratti di un pen-

siero retrogrado, non al passo con i tempi…si può anche pensarlo, ma io sono qui a spiegarti il motivo per cui la religione cattolica lo sostiene.Adesso devi pensarci tu, il mio com-pito –questo deve dire l’IRC- è quel-lo di presentare con chiarezza, di dare un supporto culturale fondato e vasto, non di fare proseliti.Tutto questo per quanto riguarda i contenuti.Passiamo ora al punto di vista di-dattico.L’ ora di religione, come è noto, ha una valenza culturale, interculturale ed interdisciplinare.La valenza culturale deve dare i contenuti e spiegare i perché ed è caratterizzata da un’ ermeneutica che la porta a spiegarli in modo ap-profondito: l’ho già fatto notare, non si deve premere per un’ adesione ma semplicemente presentare i fatti.Prendiamo un altro esempio: il cro-cefisso. Cosa vuol dire, perché lo vedia-mo in tanti posti…ecco, penso che quando un insegnante avrà cercato di spiegare questo con competen-za e chiarezza, magari avrà anche ottenuto il risultato di far innamo-rare qualcuno del crocefisso, non so, forse lo spero: è la presentazione del contenuto che è importante, del modo e della competenza con cui viene fatta.Vorrei ora prendere in considera-zione l’aspetto o meglio la valenza interculturale.

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Accennavo precedentemente al fat-to che i contenuti devono esplicita-mente essere quelli della religione cattolica, però va anche detto che la religione cattolica ha come sua pe-culiare caratteristica quella di con-frontarsi con tutto il resto. Credo sia opportuno sottolineare il fatto che parlare dell’insegnamen-to della religione come un insegna-mento delle religioni sia sbagliato e non abbia senso: non si può mettere tutto sullo stesso piano.Prima ho imparato quella religione, poi imparo quella e poi quell’ altra…No. A partire dalla religione cattolica mi confronto con tutte le altre espres-sioni religiose, perché il confronto dialogico è appunto una delle carat-teristiche di quella cattolica che per sua natura, direi, non teme di farlo e piuttosto ama farlo.Per essere concreti in un confronto interculturale si prenda il tema di Dio, lo si analizzi dal punto di vista cattolico, del cristianesimo in generale, del musulmanesimo, dell’ ebraismo, dell’induismo, del buddismo, dell’ateismo. Con chiarezza, senza problemi: il cristianesimo dice così, in modo motivato e preciso, l’ altro dice così, con la stessa metodologia e con lo stesso rigore; non si vuole squalifi-care nulla né minimizzare alcuno. Alla fine ognuno farà i suoi confronti personali, vedrà per esempio il con-cetto della misericordia di Dio così

come è presentata nell’antico testa-mento e potrà lo potrà confrontare con lo stesso concetto presentato, ad esempio, nel Corano. Nelle Scritture è facile scoprire chi è davvero Dio, il Dio Padre miseri-cordioso che si china sull’uomo così proprio come farebbe un padre, il Dio citato alla conclusione del capi-tolo settimo di Michea “Quale Dio è come il nostro Dio?”, che ama usare la misericordia, che calpesta i nostri peccati e che li sprofonda nel mare della sua misericordia.Quale mente onesta rimane insen-sibile a questa descrizione? Dove è possibile trovarne un’ altra che abbia la stessa pienezza, lo stesso fascino?Allora si confronti, lo si faccia seria-mente e con professionalità. Si potrà vedere che ci sono dei modi di dire che comunemente vengo-no attribuiti al cristianesimo come “Non si muove foglia che Dio non voglia” che di cristianesimo non hanno nulla.Andiamo a cercare nell’ Antico Te-stamento, non la troveremo, la po-tremo trovare in una sura del Cora-no..questa ricerca in sé non ha nulla di fazioso, di precostituito, è appun-to un confronto semplicemente cul-turale. Non diamo giudizi di merito, non prefiguriamo categorie, dicia-mo solo le cose come stanno al ter-mine di una ricerca e l’ insegnante di religione non può dire io cono-sco solo l’interpretazione cattolica e formulo e richiamo solo quella,

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quella che conosco. Deve conoscere l’una e l’ altra e dare l’opportunità di confronto, deve dare prova di cul-tura vasta ed aperta, non chiusa e confessionale.Ritengo poi che sussista un’ altra va-lenza di tipo interdisciplinare: l’in-segnante di religione cattolica che riesce a guadagnarsi la stima degli altri suoi colleghi vedrà amplificata enormemente la sua posizione e la sua collocazione all’ interno del pia-no di studi, dell’ offerta formativa della scuola in cui egli opera. Riuscirà a far risuonare nel suo in-tervento l’eco ed il contributo di tan-te discipline, dalle scienze, all’ arte, alla filosofia, alla letteratura…saprà inquadrare per esempio il big bang semplicemente ponendo la domanda di chi o cosa ci stia dietro, non inva-derà campi che non sono di sua per-tinenza ma saprà come muoversi in modo professionale ed interessante.Saprà anche contestualizzare nella giusta dimensione storica e cultu-rale del tempo il sacrificio di Isacco: nella terra dei Caldei i re quando fondavano una nuova città sacrifi-cavano al Dio il loro primogenito, era il fondamento protettivo richie-sto. Ma Dio non chiede l’assassinio, chiede solo l’obbedienza, come può ordinare una cosa del genere se ave-va promesso una progenie stermi-nata?E’ lui con la sua competenza e la sua preparazione che sa “far leggere” la Scrittura in modo autentico, si com-

porta come un docente motivato degno di stima e considerazione.Ritengo che la Religione possa di-ventare una grossa opportunità per lavori progettati a livello interdisci-plinare, può far scoprire percorsi profondi ed interessantissimi, ricchi di fascino per chi li propone e per chi li riceve.Pensate, per esempio, alla presenta-zione dell’ultimo canto del Paradiso di Dante fatto dal docente di lette-ratura italiana insieme con quello di religione: sono sicuro che gli stu-denti rimarrebbero incantati, sareb-be un vero spettacolo per la mente e per il cuore.“Vergine madre figlia di tuo figlio”…l’insegnante di lettere lavorerà sotto il profilo critico letterario, ma a chi spetterà spiegarne la profondità e la meraviglia teologica?Se lo faranno insieme il risultato, a parer mio, darà dei risultati meravi-gliosi e gli studenti, i nostri ragazzi lo capiranno con gratitudine.L’ ora di religione si presta ottima-mente a mettere i sintonia tra loro diverse discipline ed a creare una sorta di positivo dinamismo ed in-teresse all’interno della classe; dal punto di vista pedagogico e quindi dei contenuti didattici delle varie unità di apprendimento il docente di religione deve essere molto atten-to all’ animo per così dire magmati-co degli alunni e diventare autore-vole punto di riferimento per la sua apertura, per la sua disponibilità e

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per la sua competenza:La sua professionalità per essere incisiva esige serietà e preparazio-ne unita ad una carica umana che faccia trasparire con evidenza com-prensione, lungimiranza e pazienza lungimirante.Ecco allora delineata la figura di un insegnante che si fa voler bene, che è simpatico non perché è largo di manica ma perché è capace di uma-nità, è capace di intercettare quello che sta succedendo e tutti sappiamo quanto sia importante a scuola l’at-tenzione verso qualcuno che atten-de un aiuto.Desidero rimarcare che una condi-zione indispensabile, una qualifica fondamentale è che egli abbia un profondo senso di fede vissuta: non è vero che qualunque persona può essere in grado di essere IRC.Se un insegnante insegna matema-tica e fisica e non ne è appassionato, non la vive, è meglio che non insegni. E’ parte essenziale della docenza il coinvolgimento personale: solo chi è davvero convinto è davvero docente. Gli altri sono solo informatori e col-gono poco dei ragazzi.Allora è davvero fondamentale che gli studenti percepiscano che in mez-zo a loro c’ è un adulto significativo, un educatore credibile, un testimone della fede che si pone nei loro con-fronti senza proclamarla acritica-mente, senza integralismi o pregiudi-zi ma dimostrando in pratica di stare bene in mezzo a loro, in mezzo ai loro

dubbi ed ai loro problemi, disposto a fare un pezzo di strada insieme.Infine vorrei dire una parola su quel-la che volentieri chiamo spiritualità dell’insegnante di religione cattolica che non può che essere un vero ap-passionato della sua disciplina, uno che sul serio si fa carico dei giovani e del loro mondo, che sa interpretare i loro umori e le loro aspirazioni e che per il loro bene è esigente, non lascia correre per un malinteso sen-so di buonismo. Sa essere flessibile, flessibile ma non accondiscendente, è esigente, chiede che ognuno dia il meglio di sé e prega ogni giorno per i suoi alunni, quelli che gli sono affida-ti nel presente e quelli che ha incon-trato nel passato.Sono convinto che tutti i docenti, tutti, contraggano con gli alunni una sorta di paternità e maternità permanente. Una volta che si sono incontrati nella scuola entrano nella loro vita, ci si farà sempre carico di loro, non potranno essere dimenticati, spontaneamente e naturalmente ci si farà carico di loro dal punto di vista spirituale, saranno presenti nella preghiera.Non si potranno sempre sapere le situazioni che staranno vivendo, ma Dio sì, le conosce.Come docente partecipo in un cer-to senso della gestazione dello Spirito nei loro confronti e li accompagno in tutta la loro vita.Non vi sembri retorica, sono cose che si sentono, si sentono davvero e so-prattutto si fanno sentire.

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Indice don Domenico Consolini

Presentazione 3

Agnese Gabrielli

L'insegnamento della religione nella scuola dell'infanzia 5

Cristiano Costanzi

"L'Idr nella scuola" Scuola Secondaria di primo grado 9

Albi Claudio

IRC secondaria di secondo grado 12

Prof. Roberto Romio

La maturazione delle competenze religiose nell'orizzonte della pedagogia ermeneutica 15

Roberto Giuliani

IRC: risorsa per tutti 29

Ettore Benedetti

IRC a scuola: LA VOCE DEI STUDENTI 38

Mario Bonini

IRC a scuola: LA VOCE DEI DIRIGENTI 41 Maurizio Compagni

IRC a scuola:LA VOCE DEI DOCENTI 43

Roberta e Piero Dalle Vedove

IRC a scuola: LA VOCE DELLE FAMIGLIE 46

IRC a scuola: LA VOCE DEL VESCOVO 50

60 Quaderno della Consulta

QUADERNI DELLA CONSULTA - 1I Edizione, settembre 2008II Edizione, gennaio 2009

QUADERNI DELLA CONSULTA - 2I Edizione, settembre 2009

QUADERNI DELLA CONSULTA - 3I Edizione, settembre 2010

QUADERNI DELLA CONSULTA - 4I Edizione, settembre 2011

QUADERNI DELLA CONSULTA - 5I Edizione, settembre 2012

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Grafica e stampa: EdithZeta3 - Zevio (Verona)