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IL NICODEMO Anno VII - Numero 72 pro-manuscripto 11/98 Dicembre v Fogli della Comunità Ø IL NATALE DEL DIO-CON-NOI di fr. Egidio Palumbo, carmelitano I l Vangelo che quest’anno ascolteremo nella Liturgia della domenica, sarà il Van- gelo secondo Matteo. Il no- stro evangelista, che è un testimone oculare di Gesù, scrive negli anni tra il 70 e l’80 dopo Cristo per le comunità giudeo-cristiane (cioè giudei conver- titi al cristianesimo) della Siria. Il suo Vangelo è un testo adatto per appro- fondire l'identità della Chiesa, così come l’ha voluta Gesù: cioè una co- munità sempre generata dalla Parola di Dio che ci rende figli del Padre e fra- telli tra di noi. Dedicheremo in un prossimo articolo le nostre riflessioni alle parti che compongono il testo di Matteo e alle tematiche che lui ama evidenziare. Qui vogliamo soltanto soffermarci a considerare come il no- stro evangelista ci parla del Natale del Signore e attraverso quali prospettive ce lo annuncia. Attendere il Signore che viene. Prima di entrare nel vivo della rifles- sione, è bene tenere presente che nel Vangelo (sia di Matteo che di Luca) si annuncia il Natale con parole ed eventi che hanno più il sapore della comuni- cazione di fede dal tono semplice e fa- miliare, che non di un semplice resoconto di un fatto di cronaca avve- nuto 2000 anni fa. Ciò che interessa al Vangelo non è il fatto di cronaca in se stesso (che pure c’è), ma il significato del Natale del Signore per la nostra vita, per il nostro oggi. E se la voglia- mo dire tutta: quando noi ogni anno celebriamo il Natale del Signore non stiamo celebrando il “Compleanno di Gesù”. No! Non era necessario scrive- re i Vangeli per questo. Invece, quando celebriamo il Natale del Signore, vo- gliamo ricordare a noi stessi che Colui che è già venuto ed è morto e risorto, è il Veniente, è il Signore che viene anco- ra oggi — come ha promesso — a fare del nostro mondo una nuova creazio- ne, a rendere più vere le nostre relazio- ni con gli altri, con Dio Padre e con le realtà di questo mondo. Non a caso il Natale è preceduto dall’Avvento, ap- punto: dall’annuncio della Venuta del Signore e dall’esortazione all’attesa vigilante e operosa, affinché noi siamo pronti ad assumere “senza sconti” le logiche divine che guidano la nuova creazione. Fatta questa premessa, ac- costiamoci ora ai capitoli 1 e 2 di Mat- teo. Il Dio-con-noi entra nella storia. Il Capitolo Primo annuncia che Dio viene ed entra nella storia degli uomi- ni. “Abramo generò Isacco, Isacco ge- nerò Giacobbe...”, così inizia la cosiddetta genealogia di Gesù (Mt 1,1-17). Una storia fatta di persone, di volti unici e irripetibili, di volti a noi noti e sconosciuti, una storia attraver- sata da eventi gioiosi e tragici. Ed è proprio in questa storia, non in un’al- tra, che Dio viene e instaura con l’uo- mo un dialogo libero e nuovo, un dialogo d’amore sponsale, dove dalla parola scambiata tra i due nasce un I GIRASOLI Scendono sulla terra con occhi splendenti di Lori D’Amico “L ’ho fatto per mia figlia. Chi mi critica non sa nemmeno che cosa vo- glia dire avere un bim- bo Down. Viviamo in una società che giudica la gente dalla sua apparen- za…”. Così parla la mamma di una bambina inglese di 5 anni, sottoposta a tre interventi per attenuare i tratti so- matici della sindrome di Down. Tre in- terventi di chirurgia estetica per ridurre lo spessore della lingua che li- mita la capacità di articolare i suoni, per modificare il taglio degli occhi tipi- camente a mandorla e per correggere le orecchie troppo grandi. La madre e il padre difendono questa scelta detta- ta dall’amore. Ma è giusto nascondere questa di- versità o mimetizzarla per renderla meno dolorosa? E’ difficile condanna- re i genitori della bimba inglese, co- munque si tratta di un atto di amore. Ma sottoporre bambini Down a inter- Gentile da Fabriano: “La Natività”, particolare della predella della Adorazione dei Magi, (1422) Firenze, Uffizi.

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  • Parrocchia

    S. Maria

    della Visitazione

    Pace del MelaIL NICODEMO

    Anno VII - Numero 72 pro-manuscripto 11/98 Dicembre

    v

    Fogli della Comunità

    Ø

    IL NATALEDELDIO-CON-NOI

    di fr. Egidio Palumbo, carmelitano

    Il Vangelo che quest’annoascolteremo nella Liturgiadella domenica, sarà il Van-gelo secondo Matteo. Il no-

    stro evangelista, che è un testimoneoculare di Gesù, scrive negli anni tra il70 e l’80 dopo Cristo per le comunitàgiudeo-cristiane (cioè giudei conver-titi al cristianesimo) della Siria. Il suoVangelo è un testo adatto per appro-fondire l'identità della Chiesa, cosìcome l’ha voluta Gesù: cioè una co-munità sempre generata dalla Paroladi Dio che ci rende figli del Padre e fra-telli tra di noi. Dedicheremo in unprossimo articolo le nostre riflessionialle parti che compongono il testo diMatteo e alle tematiche che lui amaevidenziare. Qui vogliamo soltantosoffermarci a considerare come il no-stro evangelista ci parla del Natale delSignore e attraverso quali prospettivece lo annuncia.

    Attendere il Signore che viene.Prima di entrare nel vivo della rifles-sione, è bene tenere presente che nelVangelo (sia di Matteo che di Luca) siannuncia il Natale con parole ed eventiche hanno più il sapore della comuni-cazione di fede dal tono semplice e fa-miliare, che non di un sempliceresoconto di un fatto di cronaca avve-nuto 2000 anni fa. Ciò che interessa alVangelo non è il fatto di cronaca in sestesso (che pure c’è), ma il significatodel Natale del Signore per la nostravita, per il nostro oggi. E se la voglia-mo dire tutta: quando noi ogni annocelebriamo il Natale del Signore nonstiamo celebrando il “Compleanno diGesù”. No! Non era necessario scrive-

    re i Vangeli per questo. Invece, quandocelebriamo il Natale del Signore, vo-gliamo ricordare a noi stessi che Coluiche è già venuto ed è morto e risorto, èil Veniente, è il Signore che viene anco-ra oggi — come ha promesso — a faredel nostro mondo una nuova creazio-ne, a rendere più vere le nostre relazio-ni con gli altri, con Dio Padre e con lerealtà di questo mondo. Non a caso ilNatale è preceduto dall’Avvento, ap-punto: dall’annuncio della Venuta delSignore e dall’esortazione all’attesavigilante e operosa, affinché noi siamopronti ad assumere “senza sconti” lelogiche divine che guidano la nuovacreazione. Fatta questa premessa, ac-costiamoci ora ai capitoli 1 e 2 di Mat-teo.

    Il Dio-con-noi entra nella storia.Il Capitolo Primo annuncia che Dioviene ed entra nella storia degli uomi-ni. “Abramo generò Isacco, Isacco ge-nerò Giacobbe...”, così inizia lacosiddetta genealogia di Gesù (Mt1,1-17). Una storia fatta di persone, divolti unici e irripetibili, di volti a noinoti e sconosciuti, una storia attraver-sata da eventi gioiosi e tragici. Ed èproprio in questa storia, non in un’al-tra, che Dio viene e instaura con l’uo-mo un dialogo libero e nuovo, undialogo d’amore sponsale, dove dallaparola scambiata tra i due nasce un

    I GIRASOLI

    Scendono sulla terracon occhi splendenti

    di Lori D’Amico

    “L’ho fatto per mia figlia.Chi mi critica non sanemmeno che cosa vo-glia dire avere un bim-

    bo Down. Viviamo in una società chegiudica la gente dalla sua apparen-za…”. Così parla la mamma di unabambina inglese di 5 anni, sottoposta atre interventi per attenuare i tratti so-matici della sindrome di Down. Tre in-terventi di chirurgia estetica perridurre lo spessore della lingua che li-mita la capacità di articolare i suoni,per modificare il taglio degli occhi tipi-camente a mandorla e per correggerele orecchie troppo grandi. La madre eil padre difendono questa scelta detta-ta dall’amore.

    Ma è giusto nascondere questa di-versità o mimetizzarla per renderlameno dolorosa? E’ difficile condanna-re i genitori della bimba inglese, co-munque si tratta di un atto di amore.Ma sottoporre bambini Down a inter-

    Gentile da Fabriano: “La Natività”, particolare della predella della Adorazione deiMagi, (1422) Firenze, Uffizi.

  • Il Nicodemo - Dicembre 1998 - n. 72

    2rapporto fondato sul dono reciprocotra Dio e l’uomo, dono che, in fondo,costituisce il senso che mantiene inpiedi la storia. A questa storia, non adun’altra, appartiene “Gesù Cristo, fi-glio di Davide, figlio di Abramo... Gia-cobbe generò Giuseppe, lo sposo diMaria, attraverso la quale fu generatoGesù, chiamato Cristo”. Attraversol'umanità di Gesù, Dio rinnova il suosposalizio con la nostra umanità, con-tinua a rimanere legato indissolubil-mente ad essa, assumendola cosìcom’è e rinnovandola dal di dentro.Certo, questo è uno sposalizio tuttoparticolare che solo Dio può fare e dicui Lui solo ne ha l’iniziativa. All’uo-mo, e in particolare a colui che è aper-to al dialogo, non resta altro cheentrare liberamente e assimilare le lo-giche che muovono a tale sposalizio.Giuseppe, lo sposo di Maria, è que-st’uomo. Egli ci rappresenta. Giusep-pe è qualificato come giusto (Mt1,19), vale a dire — secondo la Bibbia— aperto all’ascolto di Dio e degli al-tri, in particolare dei poveri, al fine divivere con loro rapporti di vera frater-nità. Inoltre lo si descrive come sogna-tore (Mt 1,20-24). Sì il suo sognocoincide con il suo essere uomo giu-sto: desiderio di vivere in un mondo difraternità. Questo è anche il sogno diDio per l’uomo, quando lo ha creato asua immagine e somiglianza. Dentro ilsogno di Giuseppe, l’uomo giusto, al-lora, si realizza il sogno di Dio: saràGesù, il Figlio di Dio e il primo tramolti fratelli, che ci educherà a viverecome figli del Padre e come fratelli tradi noi. La realizzazione di questo so-gno è innanzitutto dono di Dio e poiimpegno quotidiano dell’uomo giu-sto. Per questo Giuseppe è chiamatoad accogliere Gesù, Figlio e Fratello,non come frutto delle sue capacità, macome dono assoluto di Dio (Mt 1,20).L’accoglienza cui è chiamato Giusep-pe non è accoglienza passiva, bensì at-tiva: Giuseppe deve chiamare il Figliocon il nome Gesù (che significa “Dio-salva”), cioè deve entrare in relazionecon Lui, dialogare con Lui da amico adamico, da fratello a fratello. Così Giu-seppe sarà educato a realizzare il so-gno della fraternità.

    L’uomo entra nella storia di Dio. IlCapitolo Secondo di Matteo nei vv. 1-12 ci parla di come gli uomini sonochiamati a cercare Gesù il Messia-Re e

    dove trovarlo. è una scena a noi moltofamiliare perché la rappresentiamo nelpresepe. I personaggi che cercano ilRe dei giudei e lo trovano in una casa aBethlem sono chiamati Magi (non ma-ghi!!). Questi sono uomini sapientiche seguono l’indicazione di una stel-la, la quale non ha nulla a che vederecon l’astrologia e con l’esoterismo. Lastella qui evoca qualcosa di più serio:la sapienza di Dio che ci conduce nelcammino della vita come “luce di stellanella notte” (Sap 10,17), indica la ca-pacità contemplativa di vedere in pro-fondità il senso degli eventi, come sinarra del pagano Baalam (Nm 24,1-25). Il cammino e la ricerca dei Maginon sono mossi semplicemente dalloro alto grado di conoscenze sui dina-mismi interiori, biologici e psicologicidella natura umana, ma da questa stel-la; come dire: da Dio stesso. Anche iMagi, allora, ci rappresentano, noi chesiamo di cultura pagana come loro! IlDio-con-noi ci attira a sé e ci fa per-correre cammini spesso inediti, nonprevisti, non programmati. Potevano iMagi, possiamo noi, comprendere conle nostre sole risorse che il Messia-Resi trova in una casa a Bethlem, cioè inuna località che è la più piccola tra tut-te quelle della Giudea (Mt 2,6)? No.Perché se fosse per noi, al Messia-Re

    gli daremmo un luogo gerarchicamen-te più degno ed elevato, più vistoso enobile. Invece, ci annuncia la paginabiblica, la stella si ferma in manierastabile su una casa a Bethlem. E inquesta casa i Magi devono entrare pervedere “il bambino con Maria sua Ma-dre”. Dove lo trovi il Figlio Messia-Reche tanto hai cercato? Lo trovi piccolonella casa della piccola Bethlem (chesignifica = “casa del pane”), cioènell’ascolto assiduo delle S. Scritture,nel popolo di Israele e nelle sue tradi-zioni più vive e autentiche, nello stiledi vita di Maria, nella Chiesa del Si-gnore fatta di uomini e donne che siamano come fratelli, nei piccoli dellastoria. Entrati nella casa, i Magi ado-rano il Figlio e offrono a Lui oro, in-censo e mirra (Mt 2,11). L’evangelistaMatteo scriverà in seguito: “Là dov’è iltuo tesoro, sarà anche il tuo cuore”(Mt 6,21). I Magi aprono al Figlio iloro cuori, quello che loro sono (oro =ciò che uno ha; incenso = ciò che unodesidera; mirra = ciò che uno è, debo-le e fragile), e ricevono dal Figlio la suasomiglianza: essere figli e fratelli,come Lui. Così i Magi compiono ilcammino di ricerca ed entrano nell'ap-passionante storia del Dio-con-noi:Dio nasce in loro, e loro in Dio. È ilNatale del Dio-con-noi.q

    venti puramente estetici è una soluzio-ne? Forse si tratta di un inutiletentativo di nascondere la realtà; ven-gono rimossi i caratteri somatici, ma lasindrome di Down resta, con tutte lerelative problematiche. Più che diqualcuno che cambi i loro occhi amandorla, i bambini hanno bisogno diqualcuno che riesca a guardarli negli

    occhi. Modificare l’aspetto purtropponon significa far guarire questi bambi-ni, ma solo omologarli alla vista deglialtri. Dobbiamo aprire una finestra sulmondo dell’handicap, quel mondo cheviene alla luce offrendo l’immediatez-za del suo amore, cercando di avvici-nare i bambini “normali” ai bambini“speciali”, perché, al di là di tanti di-scorsi, l’handicap molte volte resta unproblema che viene vissuto in solitudi-ne dalle famiglie, fra le pareti domesti-che. Essi hanno bisogno di un aiutoconcreto, di assistenza, di strumenti,ma soprattutto di sentirsi soli. Mostra-re agli altri quell’amore che sgretola imuri, dove possono nascere pensierinuovi, parole nuove, un nuovo mododi vedere le cose. Non siamo noi chediamo qualcosa a questi bambini e ra-gazzi, ma sono loro che danno a noi.Scendono sulla terra con occhi splen-denti per rompere la corazza dei nostricuori e aprirli al dono più grande, lagratuità dell’amore.q

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    Senza Cristo siamo schiavi,

    con Cristo siamo uomini liberi

    “NUNC DIMITTIS”OVVERO IL DONODELLA LIBERTA'

    Brevi riflessioni sul “Cantico di Simeone”

    (Lc. 2, 29-32)

    di Franco Biviano

    All'amico Peppino Pellegrino, mae-stro di spiritualità

    Quaranta giorni dopo la na-scita, trascorso il tempodella purificazione, Gesùvenne condotto, secondo il

    racconto di Luca, al tempio di Gerusa-

    lemme per essere offerto a Iahvè e ri-scattato, come era prescritto per tutti imaschi primogeniti del popolod'Israele. Nel tempio, guidato dalloSpirito Santo, era andato anche Si-meone, un uomo giusto che attendevail Messia. Visto il bambino, lo prese trale braccia e sciolse a Dio un canto dibenedizione:

    “Adesso, o Padrone, tu fai del tuoschiavo un uomo libero,

    secondo la tua parola, in pace;perché i miei occhi hanno visto la

    tua salvezza,colui che tu hai preparato per tutti i

    popoli,luce per illuminare le nazioni e glo-

    ria per il tuo popolo, Israele".

    Il “cantico” del pio Simeone, delquale l’evangelista non ci fornisce l’e-tà, è stato sempre interpretato come lapreghiera di un anziano che, avendovisto con i propri occhi e toccato con leproprie mani il Salvatore, ritiene sod-disfatto ogni suo desiderio e chiede alSignore di lasciarlo morire. Questa in-

    P. Cavallini: Presentazione al tempio - Mosaico (Roma, S. Maria in Trastevere)

    UNA

    TESTIMONIANZAdi Angela Musumeci in Bianchetti

    Sono la mamma di LaraBianchetti, una ragazza di-sabile, che grazie alla miaforza, alla mia costanza,

    alla mia tenacia, insieme all’aiuto dimio marito e dei miei figli, ha potutoottenere e fare quello che le altre ra-gazze della sua età hanno e fanno sen-za alcuna difficoltà.

    La mia fede e il mio ottimismo han-no facilitato il compito.

    Io voglio dirvi, come mamma, chenon basta costruire scivoli o mettereringhiere per facilitare l’accesso agliedifici, per abbattere le barriere archi-tettoniche: questo contributo lo Statoe le Amministrazioni lo danno.

    Ma io dico che questo non basta,che queste cose devono essere asso-ciate alla nostra ed alla vostra disponi-bilità umanitaria, cominciandoproprio con il favorire e l’aiutare queipochi casi che si trovano nel nostropaese, collaborando un po’ di più per-ché la parola “sociale” mantenga l’im-portanza che ha.

    Noi, genitori di ragazzi e bambinicon difficoltà, tante volte – per nondire sempre – ci troviamo soli e lamaggior parte delle volte troviamo leporte chiuse.

    Ma, come se non bastasse, non tro-viamo risposte alle nostre domande edalle nostre richieste che non sono altroche un diritto, anzi, il diritto di chi,ogni minuto del giorno, ci dà lezioni divita.

    E questo per tanti dovrebbe esseredi esempio.

    Mi ricordo una vecchietta che midiceva sempre: “è inutile parlare con isordi, tanto non sentono e così anchecon i muti, tanto non rispondono”.

    Ma io non riesco a seguire questoconsiglio: seguiterò a lottare anchecontro i mulini a vento.

    Qualcuno, prima o poi, si stuferà eincomincerà ad interessarsi di chi nonparla, di chi non combatte perché èsenza voce. q

    Ø

  • Il Nicodemo - Dicembre 1998 - n. 72

    4terpretazione, derivante da una erratatraduzione (“ora lascia, o Signore, cheil tuo servo vada in pace secondo la tuaparola”), per nulla aderente al testogreco, è entrata a far parte della stessaliturgia della Chiesa, che la propone,per esempio, nella preghiera di “Com-pieta”, al termine della giornata. Sitratta di uno dei tanti “luoghi comuni”che occorre rimuovere, se veramentevogliamo leggere la Parola di Dio nelsuo vero e genuino messaggio.

    Una prima osservazione di caratte-re grammaticale. “Dimittis” e, in gre-co, “πολßειH” appartengono al modoindicativo e non all'imperativo, comeavrebbe dovuto essere, se realmente sifosse trattato di una preghiera.

    Due osservazioni di carattere se-mantico. Il termine reso in italiano con“Signore” nell’originale non è il solito“Kyrie”. Luca adopera la parola“δ©σποτα”, cioè il termine che glischiavi usavano quando si rivolgevanoal proprio padrone. Il verbo “πο−λßω”, poi, veniva usato per indicare ilprovvedimento del giudice che dichia-ra libero un imputato o, come nel no-stro caso, il gesto gratuito di unpadrone che concede la libertà al pro-prio schiavo. Simeone, dunque, parlacome un servo che, affrancato dal rap-porto di schiavitù e reso libero cittadi-no, sente il dovere e l’esigenza disciogliere un canto di ringraziamentoal proprio Padrone. Secondo l’espres-sione di Luca, infatti, Simeone “bene-disse Dio”, cioè gli rivolse un inno digrazie e non una preghiera di richie-sta. Il motivo del ringraziamento stanell’aver visto realizzata la reiteratapromessa del Salvatore («secondo latua parola»), che adesso Simeone puòfinalmente “toccare con mano”.

    Egli non chiede, dunque, al Signoredi lasciarlo morire, ma lo benedice e glirende grazie perché, mandando Cristonel mondo, ha trasformato l’umanitàschiava del peccato in comunità di uo-mini liberi, secondo la promessa piùvolte fatta al popolo di Israele. E laprova di ciò è sotto i suoi occhi: è quelbambino di quaranta giorni che eglitiene tra le braccia e nel quale lo Spiri-to gli fa riconoscere il Liberatore pro-messo.

    Questo cantico chiarisce e comple-ta il cantico di Zaccaria, riportato dal-lo stesso evangelista (Lc. 1, 68-79).Anche Zaccaria, infatti, benedice Dio

    perché, secondo la promessa fatta “perbocca dei suoi santi profeti d'un tem-po”, ha “redento il suo popolo”, cheadesso può servirlo “senza timore”,non più cioè con l'atteggiamento delloschiavo costretto a prestare un servi-zio, ma compiendo una libera scelta diadesione a un progetto di amore.

    Riportato al suo significato origina-rio, il cantico di Simeone acquista unapregnanza teologica inattesa. Vi tro-viamo definito, infatti, il significatodella venuta di Cristo nel mondo: sen-za Cristo siamo schiavi, con Cristosiamo uomini liberi. Cristo è il Libera-tore, colui che scioglie le catene che cilegano a questa terra. Parola di Diofatta carne, egli è l’unica vera “lampa-da ai nostri passi”. Egli ci porta la“buona notizia” che la nostra esisten-za ha uno sbocco nell’infinito. La mor-te adesso non è più uno spauracchio,né il ladro che ci ruba l’esistenza, madiventa la porta di accesso al regnosenza tempo, dove godremo la libertàdei figli di Dio (Rom. 8, 21). La soffe-renza non è più un sadico supplizio in-flitto alle creature, ma il gradinonecessario per salire la scala della pu-rificazione.

    Tutto adesso si rinnova e acquistanuova luce: la povertà e la ricchezza, illavoro e lo svago, il potere e la suddi-tanza, il sesso e la castità. La nascita diGesù ci trasforma da schiavi in figli.Colui che prima chiamavano “padro-ne” (dèspota) ora possiamo chiamarlo“papà” (abbà). E, in qualità di figli,siamo messi a conoscenza dei progettidel Padre e siamo chiamati a dare lanostra collaborazione, libera e volon-taria. Non siamo più semplici esecuto-ri di ordini e di precettiincomprensibili.

    Senza Cristo l'umanità rimane pri-va di prospettive, non sa da dove vienee dove è diretta. Unico sbocco all’esi-stenza è la tomba, baratro senza fon-do, dove tutto finisce per sempre.Cristo col suo messaggio illumina lanostra esistenza. Ci libera dalla soffe-renza e dalla morte, fenomeni contin-genti e passeggeri preordinati apuntellare il nostro cammino verso ilnostro fine ultimo: essere felici persempre in Dio.

    Senza Gesù Cristo è veramentedura: siamo e restiamo schiavi, automisubordinati a un destino oscuro e sen-za senso, come muli bendati che si af-

    faticano a far girare la pesante macinadella vita senza sapere perché lo fan-no, sommersi dal buio da ogni lato.

    Il “natale” di Gesù ci apre gli occhi.Il disegno di Dio, nascosto per secoli,adesso diventa palese. Dandoci la co-noscenza del piano di salvezza prepa-rato per noi dall’eternità, Cristo ci dàla possibilità di aderirvi. E in questomodo ci rende liberi. La libertà derivadalla conoscenza. Nessuno, infatti,può scegliere ciò che non conosce.Nessuno può compiere una libera op-zione, se non ha piena scienza di tuttele alternative possibili.

    Chi, poi, è veramente libero, nonpuò scegliere che il bene. Scegliere ilmale per se stessi è una negazione im-plicita della libertà. Nessuno sceglie ilpeggio, se ha la possibilità e la “liber-tà” di scegliere il meglio. Chi opta perla soluzione peggiore, lo fa solo perchécostretto, perché schiavo di qualchecondizionamento, il più grave dei qua-li è appunto la non conoscenza.

    Il Vangelo di Cristo è la “buona no-tizia” che ci fa uscire dal tunnel del-l'ignoranza e quindi ci rende liberi diesercitare la nostra opzione di adesio-ne. Per questo il comando finale diGesù di predicare il suo messaggio atutti gli uomini è un comando di libe-razione. Gesù ci ordina, cioè, di libe-rare dalle catene tutti coloro chesconoscono il fine ultimo della propriaesistenza. Solo la diffusione capillaredi questo messaggio darà ad ogniuomo la possibilità di scoprirsi “fratel-lo” dei suoi simili, non più in eternacompetizione con loro, e di trascorre-re la sua vita “in pace”, secondo le pa-role di Simeone.

    Questa “buona notizia”, insomma,non possiamo tenercela per noi. Dob-biamo diffonderla da mattina a sera,tutti i giorni dell’anno, per partecipareagli altri la sua forza liberatrice. A noinon è concesso di avere pace finché unnostro vicino sarà “lontano” da Dioperché ignora il significato e la metadella propria esistenza. Natale, dun-que, non è una festa privata, persona-le, da trascorrere nell’intimità. Alcontrario, siamo chiamati ad uscirefuori per fare “nascere” Gesù in tutti icuori. Ognuno potrà poi scegliere, inpiena libertà, di credere o non crederealla “buona notizia” venuta dal cielo. Anoi spetta, comunque, di farla cono-scere a tutti.q

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    Un’opinione

    Difendo la libertà di scelta di ognuno di noi

    LA SCUOLA? MEGLIO LIBERAdi Paolo Orifici

    “Le mie critiche nonsono rivolte contro lascuola di Stato; bensìcontro il monopolio

    della scuola di Stato; che è critica bendiversa. Genitori ed allievi pongonotutti la domanda: a che serve il diplo-ma rilasciato dalla scuola? A quali car-riere dà accesso? In un Paese dimandarini, di caudatari di mandarini,

    la domanda consacra l’uniformitànell’insegnare e nell’imparare”.

    Così scriveva Luigi Einaudi nel1956 nel saggio “Contro il monopolioe non contro la scuola di Stato” trattodalla dispensa terza delle “PredicheInutili”.

    Frasi scritte più di quarant’anni fama incredibilmente attuali: la scuolanon sarà mai un argomento affrontatoa sufficienza.

    L’avvicinarsi delle vacanze natali-zie, poi, ripropone puntualmente inprimo piano la questione, sull’ondadelle numerose manifestazioni, degliscioperi, delle occupazioni di istitutiche gli studenti pongono in essere.

    Sarei tentato di sospettare della ri-correnza ormai annuale di tali episodi(quasi sempre concentrati in questoparticolare periodo dell'anno, comeche si trattasse di una sorte di pre-va-canza natalizia), al di là delle motiva-

    zioni che muovono la protestastudentesca.

    Tuttavia non voglio inimicarmi nes-suno, men che meno i ragazzi e per-tanto proverò (per quanto mi èpossibile) ad esporre il mio pensiero inmerito al mondo della scuola, pubblicain particolare.

    Per fugare il campo subito, vi dicocome la penso: preferisco la scuolaprivata.

    La preferisco perché ritengo (con-fortato dalle parole di Einaudi che hosopra gelosamente riportato) che iprivati siano in grado di fare tutto ciòche fa il pubblico meglio ed a minorcosto.

    Mi si obietterà subito che la scuola,l’istruzione non può essere un campooggetto di battaglia fra liberisti e cen-tralisti, né fra pubblico e privato: l’i-struzione è di tutti, si dirà.

    Giusto. Certo che è di tutti il dirittoad avere una istruzione, una forma-zione adeguata.

    Ma, è altrettanto vero che ciascunodi noi ha il diritto di scegliere dove an-dare a studiare: perché la mia scelta distudiare in una scuola cattolica, peresempio, deve essere discriminata?

    Perché, vedete, discriminare unascelta è quella di imporne un’altra.

    Oggi, la mia scelta, libera non è, népuò esserlo perché scegliere un mo-dello di scuola diversa da quella pub-blica mi impone di pagare per interouna retta.

    Cosa che, ovviamente, non avvienescegliendo una scuola pubblica.

    Questo mi direte.Vai in una scuola pubblica, ricevi

    una istruzione normale (chissà, poi,quale è la normalità), non paghi nulla.

    Ma siete proprio sicuri che la scuolapubblica sia gratuita?

    Ma chi finanzia la scuola pubblica?Ed i nostri soldi della dichiarazione deiredditi dove vanno a finire? Ve lo dicoio: in un calderone che paga anche glistipendi degli insegnanti, di quelli bra-vi, preparati e coscienziosi (perché cisono), di quelli incapaci (che resteran-

    no sempre al loro posto, a godersi lostipendio pubblico); un calderone chepaga tutte le disfunzioni, le manche-volezze della scuola pubblica. Conbuona pace del finanziamento pubbli-co ai privati.

    Perché il problema non è quello del-la parità scolastica. Quella sarebberopronti tutti a riconoscerla, purché nonsi tocchi il tasto del finanziamento.

    Io non voglio sembrarvi uno chespara nel mucchio e per questo vi vo-glio segnalare come la scuola pubblicabutta via i soldi (che sono, ricordiamo-lo, i nostri).

    Sapete quanto costa un allievo chefrequenta un istituto statale alla collet-tività in un anno? Nel migliore deicasi, 7 milioni 580 mila lire.

    Se avrete la voglia di chiedere ai piùprestigiosi istituti privati, con mense,palestre, prescuola, doposcuola, pisci-ne, campi di calcio ed una miriade diservizi (che la scuola di Stato neppuresi sogna) vedrete che le rette non supe-reranno mai gli otto milioni annui.

    Ed allora perché la scuola statale èridotta in condizioni tanto pietose conun analoga spesa per alunno?

    Sprechi e cattiva gestione, la rispo-sta.

    Sprechi e cattiva gestione di cui glistessi insegnanti statali sono vittime,badiamo bene.

    Ed il denaro lo si spreca tenendo invita, attraverso gli esoneri dall’inse-gnamento, strutture assolutamentedeficitarie, sindacalisti esoneratidall’obbligo dell’insegnamento, per-sonale assegnato ai ministeri, agli IR-SAE (Istituti regionali di ricerca e disperimentazione), ai provveditorati,alle sovrintendenze scolastiche regio-nali, ai distretti scolastici, alle univer-sità, alle istituzioni culturali.

    Insomma, l’universo tutto e qualco-sa di più.

    Dimenticavo quasi: queste frasisono mutuate da un intervista conces-sa da Daniele Straniero che altro non èche il Preside del Liceo Classico Stata-le G. Parini di Milano. Ø

  • Il Nicodemo - Dicembre 1998 - n. 72

    6Un altro esempio. In questi giorni il

    Provveditorato agli Studi di Milano hadistaccato oltre 500 insegnanti (peruna spesa media di circa 366 milioni almese) per adibirli ad un progetto am-bizioso: “Prevenzione del disagio,promozione del successo formativo ecostituzione di nuove figure professio-nali”. Bah!

    Il bello è che questo personale diruolo (che non è dato sapere cosa an-drà a fare in concreto) sarà sostituitoda personale supplente. Alla faccia delprecariato e della confusione. Chi cicapisce….

    Non chiedetemi allora perché pre-ferisco le private.

    La collettività (cioè noi tutti) pa-ghiamo questi “progetti”, così come lipaga la scuola militante, quegli inse-gnanti, cioè, che ogni giorno fannosino in fondo il loro dovere, vanno inclasse a scontrarsi, loro sì, con le inef-ficienze di un sistema e, sempre, con illoro “magrissimo” stipendio. Tale per-ché bisogna finanziare lo spreco.

    E se invece di finanziare la scuola,pubblica o privata, finanziassimo le fa-miglie?

    I miei genitori si troverebbero an-nualmente in mano un assegno di ottomilioni da investire dove preferiscono.

    E qui affrontiamo altri due nodicruciali.

    Il primo attiene quella libertà discelta che la nostra Costituzione san-cisce e che, viceversa, nessuno si fa ca-rico di garantire.

    Perché, lo ribadisco ancora, il miodiritto di scegliere liberamente dovestudiare nessuno può pregiudicarlo.Senza libertà la scuola cade nel con-formismo più becero.

    E che nessuno venga a dirmi chenon esiste un monopolio della scuoladi Stato.

    Fino a quando altri tipi di scuola sa-ranno costretti a seguire – se non altroper il rischio di perdere scolari – gli or-dinamenti della scuola di Stato, allorail monopolio della cultura esisterà,così come esiste nei fatti.

    Ed in più la libertà di scelta, la con-correnza – perché no – fra scuole por-terebbe ad una rincorsa costante fraistituti al fine di accaparrarsi gli alun-ni.

    Dite che non è così? Ma perché nondovrebbe essere così? Perché, cosacredete che pretenderebbe mio padre

    da una scuola a cui comprende di por-tar dei soldi? Sarà un discorso venale,forse anche banale, ma sono profon-damente convinto che si avrebbe unamaggiore presenza della famiglia.

    In più, e veniamo al secondo nodocruciale di cui parlavo prima, cosa di-stingue la nostra scuola pubblica dauna privata?

    Un amico, insegnante di chimica inuna scuola di Stato, mi dice: “non di-spongo di un laboratorio che sia taleda consentirmi di svolgere appieno ilmio lavoro. Perché lo Stato dovrebbetogliersi dei soldi per darli ai privati?

    Se non capisco male è anche questoil succo della protesta degli studenti diquesti giorni.

    Sarebbe anche troppo facile conve-nire con queste osservazioni.

    Se non lo faccio, però, è perché ri-tengo che il problema vada posto su diun piano diverso: ma di queste man-canze chi è responsabile? Se mancanole aule, se si fanno i doppi turni, se dicomputer non se ne vede neanchel’ombra, la colpa di chi è? Dei privati?

    Ve lo dico io di chi è la colpa di tuttociò: di nessuno.

    Nel pubblico non c’è mai un re-sponsabile. Non lo è e non può esserlol’insegnante; non lo è e non può esser-lo il Preside; non lo è e non può esserloil Provveditore; non lo è e non può es-serlo il Ministro (saltando tutti i gradiintermedi).

    La triste verità è questa.Ragazzi, dove andate a recrimina-

    re? Con chi recriminate? Ve lo sietechiesti questo?

    Non limitatevi a protestare. Pren-dersela con i mulini a vento o con nes-suno, che è più o meno la stessa cosa,non serve proprio a nulla, se non aprenderci tutti in giro.

    Voi, per primi, che vi private diquelle già poche lezioni, noi perché vivediamo in cerca di un nemico chenon c’è.

    Miopi contro ciechi, insomma.Non limitatevi, ragazzi, alla prote-

    sta. Non scegliete la piazza solo permostrare di esistere, per farvi ricono-scere o soltanto per riconoscervi.

    Discutete, invece, della scuola chestate già frequentando, del perché nonfunziona, cominciando proprio dal ri-conoscere che non funziona.

    Meglio la privata, dunque.Meglio la privata, ma non sarò cer-

    to io, tuttavia, a nascondermi ed a na-scondere a voi che esistono – anche –delle realtà “private” assolutamentenegative.

    Il nostro comprensorio da questopunto di vista è in grado di capire benea cosa ci stiamo riferendo.

    Esistono, certo che esistono, scuoleprivate che sono ridotte – alla streguadi quelle pubbliche, anzi, in manieramolto più accentuata – ad una sorta didiplomificio a pagamento. Lì si trova-no degli insegnanti che altro non sonoche dei bravi ragazzi, appena laureati,che accettano di insegnare per poche,pochissime lire solo per maturare unpo’ di punteggio, quando non accetta-no di lavorare gratis, pagandosi anchele spese del viaggio.

    Certo che sono scuole private que-ste. Certo che gli insegnanti vengonoprescelti in maniera quasi “clientela-re”, tralasciando (a volte) la loro realepreparazione.

    Ma non è questa la scuola privata acui ci riferiamo. Ne rappresenta solouna degenerazione, buona a confer-mare la regola.

    Andate a Messina in qualche istitu-to religioso. Vedrete ragazzi che di-spongono di aule moderne edattrezzate, di computer, di laboratorilinguistici, di palestre. Hanno tuttol’anno garantito lo studio pomeridia-no assistito.

    Cose che i privati non possono farea meno di offrire, in quanto ne andreb-be della loro stessa esistenza.

    E poi, quanti sanno che il Comunedi Messina sta assistendo i propri ra-gazzi meno abbienti?

    E sapete dove li “manda” a studia-re? Nelle scuole cattoliche, nelle scuo-le private, accollandosi lui – EntePubblico a tutti gli effetti – la spesa.

    Alla faccia del finanziamento allescuole private.

    E se lo fa il Comune di Messina, unmotivo (diverso da quello politico) cisarà: sono migliori!

    Offrono una attenzione alla educa-zione del ragazzo, una cura nella suaformazione che la scuola pubblica,chiusa a riccio con i suoi problemi(che nessuno, badate, le disconosce)non è in grado di offrire.

    Questa la realtà. Triste. E ve lo diceuno che ha frequentato la scuola pub-blica e che, nonostante tutto, le è an-cora affezionato.q

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    L’ EROISMO DI UNA

    MAMMAIl toccante ricordo di una tragedia accaduta 80 anni

    fa al casello ferroviario di Giammoro

    di Franco Biviano

    Chi ha la fortuna di fare la co-noscenza di padre FilippoGenovese, l'arzillo sacerdo-te che a 81 anni suonati gui-

    da ancora la parrocchia di S. Biagionel Comune di Terme Vigliatore,non può non rimanere affascina-to dalla sua verve e dalla sua gio-vialità. Entrando nella suacanonica si viene subito aggreditidai mille odori che fuoriesconodai contenitori nei quali padreFilippo conserva gli aromi e lespezie preparati con le sue stessemani: peperoncino, tiglio, zaffe-rano, finocchio selvatico ed al-tro. Conosciuto in gioventù colnomignolo di “padre cannaroz-zu” per la sua possente voce, pa-dre Filippo è ancora un abileorganista, malgrado abbia subitodue operazioni alle gambe (portadue protesi al femore sinistro etre a quello destro). E' stato sem-pre un prete-factotum (da picco-lo è stato apprendistafalegname). Molte delle coserealizzate nella chiesa e nella ca-nonica sono uscite dalle suemani. Ma padre Filippo non di-sdegna di eseguire riparazionianche nelle case dei suoi parroc-chiani.

    Di due cose è orgogliosissimo: dellasua chiesa, dove di recente ha fatto in-stallare un organo elettronico Vi-scount “Grand Opera”, e del suopesce stocco “a ghiotta” che bisognaassolutamente assaggiare. Della suavita ricorda tutto con nomi, cognomi,anno, giorno, mese ed ora. A 10 anni,il 16 ottobre 1927, è entrato nel Semi-nario Arcivescovile di Messina. Ordi-nato sacerdote il 19 maggio 1940,venne subito inviato come curato aFantina, dove arrivò il 1° agosto. Il ri-cordo di quegli anni, vissuti “come un

    missionario in Africa”, sono impressiindelebilmente nella sua memoria. Ri-corda tutto: le traversate invernali suitrampoli per raggiungere le varie con-trade isolate dai torrenti in piena; ilmedico condotto dott. Giuseppe LoTorto, che si recava a Fantina solo il

    giovedì; l'incisione a carne viva da luipraticata a Barbara Giardina di Fra-scianida, colpita da avvelenamentoper essersi punta con una spina di oli-vastro; la casa affittata a Ruzzolino.Dopo sette anni di “missione” a Fanti-na, il 29 maggio 1947, padre Filippovenne trasferito a S. Biagio, ma laCommissione Parrocchiale, gli fecetrovare sbarrate sia la porta della chie-sa che quella della sacrestia e mandòad accoglierlo una banda di ragazziniarmati di pentolacce e di vasi da notte.Dovettero passare quattro mesi primache padre Filippo potesse prendere

    possesso della nuova parrocchia. Masubito i fedeli impararono ad apprez-zarne la bontà e la simpatia eoggi...guai a chi glielo tocca!

    Pochissimi sanno che questo perso-naggio appartiene alla nostra comuni-tà. Padre Filippo Genovese è nato,infatti, in un casello ferroviario diGiammoro, “nella borgata dellaPace”, alle ore 8 del 24 marzo 1917,quando la stazione si chiamava ancora“S. Lucia”. Il battesimo lo ha ricevutonella parrocchia “S. Maria della Visi-tazione” (la parrocchia S. Maria delRosario verrà istituita solo nel 1939).Il padre, Antonino, casellante delleferrovie, era finito a Giammoro dopo

    vari trasferimenti. Il suo compi-to era quello di mettere le cateneal passaggio a livello (ancoranon esistevano le barriere) econtrollare il buono stato del suotratto di linea. Lo coadiuvava lamoglie Emanuela Giambò, unacugina che egli aveva sposato il21 luglio 1906 nella chiesa di S.Antonio Abate di Barcellona.

    Quando ricorda questo pe-riodo, padre Filippo si fa subitoserio e gli occhi gli diventano lu-cidi. Questo sacerdote, chesprizza allegria e vivacità da tuttii pori, si porta nel cuore, infatti,un tragico ricordo che, quandoriaffiora, lo commuove fino allelacrime. Quello che sa lo ha sen-tito dal racconto della nonna pa-terna, eppure lui, piccolobimbetto di due anni, ne è statoprotagonista. Era il 3 maggio1919, un normale sabato prima-verile. La giornata per la fami-glia Genovese trascorrevatranquilla. Il piccolo Filipposonnecchiava in cucina. Il fratel-

    lo maggiore, Biagio, di 5 anni, giocavaall'esterno del casello. Dal lato oppo-sto, alcune donne erano intente a cuci-re e ricamare all’ombra, sottol’alberato. Mamma Emanuela, 34anni, al nono mese di gravidanza, ave-va appena chiuso le catene del passag-gio a livello. All'improvviso un dubbiol'assale: dov'è Filippo? Lo chiede aBiagio che va a cercarlo e lo trova incucina. Ma Filippo scappa e i duebambini si rincorrono andando versola mamma che si trova dall'altro latodei binari per attendere il passaggiodel treno. Il convoglio sta per soprag-

    Padre Filippo Genovese

    Ø

  • Il Nicodemo - Dicembre 1998 - n. 72

    8

    giungere, sferragliante e sbuffante,avvolto in una densa nube di fumo,mentre i bambini attraversano i binari.Mamma Emanuela non ha un attimodi esitazione. Incurante del suo stato edel rischio mortale a cui va incontro, sislancia per spingere Filippo e Biagiofuori dai binari e ci riesce, ma non fa intempo ad evitare l'urto della locomoti-va. Uno stantuffo la colpisce di striscioal fianco, il predellino la ferisce allegambe. Tutti intuiscono la tragedia.L’improvviso stridio dei freni, l’ansi-mare degli stantuffi, le alte grida delledonne rendono la scena ancora piùagghiacciante. La poverina viene tra-scinata per una diecina di metri e poiscaraventata lungo la scarpata. Imme-diatamente soccorsa e caricata sul ba-gagliaio del treno, viene portataall'ospedale di Milazzo. La notizia sidiffonde in un baleno. La mamma e lasuocera accorrono al suo capezzale. Siprega e si spera mentre i dottori fannodi tutto per salvare quella mamma co-raggiosa. Dopo due giorni, Emanueladà alla luce una bellissima bambina,purtroppo nata morta. Il giorno se-guente, 6 maggio 1919, la sua bellaanima lascia questa terra. “Si sono sal-vati due maschi e sono morte due don-ne”, commenta laconico padreFilippo. Per il suo eroico sacrificio lafondazione Carnegie assegnerà adEmanuela Giambò una medaglia d'ar-gento al valore civile alla memoria. Iparenti ricorderanno poi che Ema-nuela, al momento di fidanzarsi conNino, accondiscendendo alla volontà

    dei genitori, aveva manifestato unbrutto presentimento per il fatto che ilfuturo marito lavorava in ferrovia.“Sia fattu comu vuliti vui - aveva detto

    - però, chi sacciu, cacchi disgrazia misuccedi!”.

    A quattro anni il piccolo Filippo, ri-masto privo delle cure materne, lasce-rà per sempre Giammoro e andrà avivere con uno zio che lo alleverà comeun figlio. La storia di padre Filippo èstata anche messa in poesia. Nel 1990,infatti, per il 50° anniversario di sacer-dozio, un suo confratello, oggi defun-to, padre Carmelo De Pasquale, gli hadedicato una lunga lirica in dialetto,alla maniera dei cantastorie, che iniziacon questi versi:

    Don Filippu GinuisiNon nascìu ‘nta stu paisiMa a Paci ‘i Santa Lucia‘Nto casellu ‘i firruvia,E fu ‘ddà chi succidìuChi la mamma ci murìu …

    (Ha collaborato l’ing. Martino Ge-novese)q

    Anziani, sofferenzae... INCARNAZIONE

    “Tu ora non sei che un nostro fratello, hai sofferto in

    te ogni nostro dolore. Noi ti sentiamo vicino nel tuo

    lamento e nel tuo pianto sulla fossa di Lazzaro.”

    (Da I miei giorni di P. David Maria Turoldo)

    di Anna Cavallaro

    C’era il temporale ed era sta-ta tolta la corrente elettrica.La fioca luce della lampadadi emergenza rischiarava il

    volto di mia madre, mentre, l’ombraavvolgeva me che sedevo di fronte alei. Ebbi così modo di osservarla concalma. I dolori della vita, le preoccu-pazioni e gli acciacchi dell’età hannoprofondamente segnato tutto il suo es-sere. All’improvviso il mio pensiero èandato agli ammalati ed agli anzianiche vivono nel nostro paese. Tutti han-no in comune la serena accettazionedel loro stato. Alcuni, da diversi anni,sono costretti a stare coricati a letto,altri, a rimanere seduti in poltrona di-pendendo, in tutto e per tutto, dai fa-

    miliari. E’ bello e significativo vederecon quanta tenerezza ed affetto la mo-glie, la sorella, il marito o la figlia li ac-cudiscono e come prevengono ogniloro piccolo desiderio. C’è pure chi,non avendo parenti stretti, ha accetta-to l’ospitalità e l’assistenza offerte dauna giovane famiglia.

    In molti casi la sofferenza fisica ècongiunta a quella dello spirito vuoiper una ferita mai rimarginata, qualela morte in giovane età dell’unica fi-glia, vuoi per il ricordo delle ingiusti-zie e dei soprusi subiti (salari di fameche a stento bastavano per dar damangiare ai figli, lavoro in nero, priva-zioni di ogni genere ... ), vuoi perché sipensa di essere di peso agli altri, oppu-re. a causa del rimorso per qualche di-spiacere arrecato ad una persona cara

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    9che, adesso, non c’è più.

    Parecchi anziani sono afflitti daproblemi economici, infatti, la pensio-ne sociale o quella d’invalidità non ga-rantiscono la copertura delle spese dasostenere per il soddisfacimento deibisogni primari dell’esistenza. Il servi-zio di assistenza domiciliare agli an-ziani, gestito dal Comune in regime diconvenzione, allevia i disagi di questicittadini, consente loro di ricevere levisite, molto apprezzate, dell’infer-miera e dell’assistente sociale e di usu-fruire del servizio di pulizia dellapersona e della casa.

    Gli anziani amano parlare del pas-sato e ripetono volentieri le preghiere,le poesie e le filastrocche che hannoappreso dalla viva voce dei nonni, deigenitori, dei vicini di casa quando, nel-le lunghe sere invernali, si riunivanoattorno al “braciere” per ascoltare lenovità della giornata appena trascor-sa, per narrare storie inverosimili di“truvature”, di lupi mannari, di folletti... e per pregare. Sono anche felici diraccontare dei progressi compiuti dainipoti e/o pronipoti, delle “birbante-rie” dei giovani discendenti e ricorda-no, con un misto di compiacimento edi rimpianto, le monellerie commessedurante l’infanzia che, in buona so-stanza, erano dei sotterfugi per entra-re in possesso di un pezzo di pane, unfrutto, un dolcino che la mamma con-servava gelosamente nella credenza.Qualche volta chiedono di potere reci-tare insieme il Rosario e qualche brevegiaculatoria.

    Quella sera mi tornarono in mentepure i vecchietti ospiti di un Istitutonella vicina Santa Lucia del Mela. Puressendo ben curati ed affettuosamenteassistiti, molti di loro soffrono per l’in-differenza e l’abbandono dei parentipiù prossimi, per la mancanza di ungesto d’amore da parte dei nipoti, perla vicinanza forzata con altre personeammalate, con caratteri difficili ...

    Frequentando gli anziani si rilevanopiù facilmente gli aspetti contradditto-ri del nostro tempo (vengono costruitiospedali attrezzatissimi per debellarele malattie, per prolungare la vitadell’uomo e, poi, vengono avallatescelte come quella dell’aborto edell’eutanasia); si ha modo di riflette-re che tutte le cose, gli esseri viventi edogni uomo sono in cammino versol’ultimo tramonto; che l’inevitabilità

    della morte è la povertà più grandedell’essere umano; che potersi alzareed incominciare la giornata è meravi-glioso perché nella notte possonocambiare tante situazioni: nascite,malattie, terremoti, disastri. Soprat-tutto si impara a cogliere il messaggiodi Dio nell’esperienza degli altri, siscopre che la Sua luce scaturisce dalletenebre della prova e dalle lacrime e siresta sorpresi nel vedere come questaporzione di umanità piagata nel corpo

    e nell’anima riesca a fare della propria“debolezza” uno strumento per la cre-scita di tutti.

    In verità non c’è motivo di stupirsiperché è la stessa strada scelta da Dioper redimerci. Il Signore, infatti, havoluto unire la natura divina a quellaumana nell’unica Persona di GesùCristo. Il Creatore si è fatto piccolo,fragile, indifeso. Ecco il misterodell’Incarnazione, Gesù: “il quale, es-sendo per natura Dio, non stimò unbene irrinunciabile l’essere uguale aDio, ma annientò se stesso prenden-do natura di servo, diventando simileagli uomini; ed essendo quale uomo,si umiliò facendosi obbediente finoalla morte e alla morte di croce“ (Fl2,6-8).

    “Il Figlio di Dio ... ha lavorato conmani d’uomo, ha pensato con mented’uomo, ha agito con volontà d’uo-mo, ha amato con cuore d’uomo. Na-scendo da Maria Vergine, egli si èfatto veramente uno di noi, in tuttosimile a noi fuorché nel peccato“(Gaudium et spes, 22,2).

    Il Vangelo insegna che Gesù fin da

    piccolo ha appreso ciò che come uomodoveva sapere attraverso l’esperienza:“E Gesù cresceva in sapienza, in etàe in grazia, davanti a Dio e davantiagli uomini“ (Lc 2,52), mentre, comeDio aveva il potere di liberare dal pec-cato e dal male, di guarire le infermità,il dominio sugli elementi della natura,la facoltà di discernimento dei cuori ...

    Cristo è il dono che viene dall’alto;Colui che “da ricco che era, si è fattopovero per voi, perché voi diventastericchi della sua povertà“ (2 Cor 8,9);il fratello più grande che si è addossa-to le nostre miserie: “Egli ha preso lenostre infermità e si è caricato dellenostre malattie“ (Mt 8,17). Il Magi-stero della Chiesa ci rivela che tutta laricchezza di Gesù “è destinata adogni uomo e costituisce il bene di cia-scuno“ (Redemptor hominis, n. 11).

    Il mistero del Natale si realizza innoi quando accogliamo Cristo nell’e-marginato, nel povero, nell’anziano,nell’ammalato e nel sofferente; quan-do comprendiamo che la mitezza nonè sinonimo di estrema ingenuità esemplicità di mente, ma, l’origine dellapace, del perdono, della non violenza;quando riconosciamo di essere “pocacosa“, ma “grandi“ nel Signore “cheopera cose sorprendenti in chi è umi-le“, quando acquisiamo la consapevo-lezza di essere “servi inutili“ che dopoavere dato tutto quello che possono,sperano che Dio valorizzi la loro po-chezza.q

    Tavola rotonda su

    SILVIO CUCINOTTA

    Sabato 19 dicembre, nell’aulamagna della nostra Scuola Media,

    si è svolta una tavola rotonda fina-

    lizzata “alla scoperta di don Silvio

    Cucinotta”. Hanno relazionato

    don Santino Colosi, il prof. Angelo

    Sindoni, il prof. Andrea Romano, il

    dott. Giovanni Di Vona e il prof.

    Franco Biviano.

    Il numeroso pubblico presente

    ha potuto “scoprire” la grande sta-

    tura del poliedrico sacerdote pace-

    se e il ruolo determinante da lui

    svolto nel contesto del movimento

    cattolico italiano.

    Ne daremo un dettagliato reso-

    conto nel prossimo numero.

  • Il Nicodemo - Dicembre 1998 - n. 72

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    LA CROCEDEIGIOVANI AMILAZZO

    di Carmelo Russo

    Durante una gita scolastica,mentre mi stavo facendobello per la cena, entra nellamia camera un simpaticis-

    simo compagno di classe e, visibil-mente contento, si affretta a farmivedere ciò che aveva acquistato nel po-meriggio: dalla sua busta tirafuori una raccolta di lavori rea-lizzati da un famoso disegna-tore contemporaneo, per meassolutamente sconosciuto.E così iniziava a mostrarmi ea spiegarmi l’espressività, laforza e la violenza di quelle im-magini che egli definiva vereopere d’arte. Certamente ionon me ne intendo, né sono unappassionato di disegni o fu-metti, ma, se devo essere sin-cero, quelle illustrazioni, inquella occasione, mi sono sembratiscarabocchi bruttissimi e anche bla-sfemi. Il mio senso estetico, anche seormai plasmato dalle opere sacre incui Cristi, Madonne e Santi sono ri-tratti o scolpiti nel rispetto della tradi-zione, non si scandalizza di fronte aquelle immagini poco ortodosse. Mafra le tante ce n’era una talmente dicattivo gusto che ho provato un sensodi fastidio. Forse vi starete chiedendocosa c’era disegnato in quel foglio. Lodirò più avanti. Infatti prima vorreiparlarvi dell’esperienza che, non soper quale oscura associazione di idee,mi ha riportato alla mente l’episodioche vi ho appena raccontato.

    La croce del Giubileo, dopo essersifermata in mezzo ai giovani di Siciliaradunati ad Acireale, ha nuovamenteripreso il suo pellegrinare fra le genti,passando per le diciotto Chiese dellanostra isola. Il sei dicembre u.s. è stataaccolta nella nostra diocesi, a Milazzo.Poter continuare a scrivere ancora un

    altro frammento della storia di quellacroce, mi riempie di gioia. I tendonidel Paladiana davano ospitalità a tan-tissimi giovani provenienti dai vicariatidella zona tirrenica. Non appena arri-vo, vado in cerca del mio vicariato, mami accorgo presto di essere stato trop-po ottimista: S. Lucia del Mela era ilpiù numeroso…di assenze. Ora sareb-be troppo semplice un’invettiva control’antica prelatura che non ha mai presosul serio la pastorale giovanile, ma nonmi conviene, perché in questa “navesenza nocchiero in gran tempesta” cisono anch’io.

    Intanto canti, recitals e drammatiz-zazioni creavano un clima di festa eallo stesso tempo di preghiera e racco-glimento. Ma sul palcoscenico la veranovità era quella Croce che, illuminatadai riflettori, proiettava una suggestivaombra sullo sfondo.

    Alla fine di questo primo momento,senza interrompere la festa, tutti cisiamo caricati della Croce, chi real-mente e chi idealmente, e ci siamo di-

    retti verso il Duomo,dove si sarebbe svolta laveglia fino a mezzanot-

    te. Il vescovo Giovanni,che era con noi sin dall’ini-

    zio, prendendo la parola haripercorso le tappe più si-gnificative di quella Cro-

    ce. Ricordava ancora, conl’entusiasmo e la sicurezza che con-traddistingue un testimone autentico,il lontano 1984, quando egli assiste, inpiazza S. Pietro, alla consegna dellaCroce ai giovani di tutti e cinque i con-tinenti; ricordava le chiare parole diGiovanni Paolo, in quattro lingue dif-ferenti, incise su una tavoletta di me-tallo posta alla base della Croce;ricordava anche le varie giornate mon-diali della gioventù alle quali egli hapartecipato e nelle quali ha puntual-mente rivisto quella Croce.

    Anch’io a Milazzo ho ri-incon-trato la Croce del Giubileo e an-cora una volta sono rimastoaffascinato dalla suaeloquenza.

    Io non sono una personache si lascia andare facilmente aquei vuoti atti di devozione da-vanti a statue ed oggettisacri. Eppure sentivo ildesiderio di toccarequella Croce. Vado vi-

    cino, la guardo, appoggio la mia manosul legno, non mi inginocchio perchéfrenato dal mio orgoglio e dalla mia ra-gione, ma lo avrei voluto fare. Mi al-lontano un poco e mi metto di lato perdare spazio alle altre persone. Intantoquella Croce, pur non avendo gli occhidi un Cristo appeso, mi fissava e miamava, io invece pensavo…

    Solo ora posso dire cosa c’era dise-gnato in quel foglio. Ciò che mi provo-cava disgusto era il fatto che unacroce, segno che dovrebbe godere diun grande rispetto, assumeva la formadi una fionda. Io non so quale fossel’intento dell’autore, ma personal-mente non oserei definire mai più bla-sfema quella immagine. La follia di unDio ucciso brutalmente non è unoscandalo. Egli ci ha amato così tantoda morire per noi nella maniera piùmeschina; ma quella Croce ha rappre-sentato per noi la fionda che ci ha toltidalla nostra miseria e ci ha liberati,lanciandoci verso l’Assoluto. Se cipensate bene la croce può anche essereparagonata ad un arco rivolto verso ilcielo: il filo teso è Cristo, noi siamo lafreccia. La Croce è Parola di Dio. Ilbraccio orizzontale ci dice che noi sia-

    mo nel mondo, il braccio vertica-le cui ricorda che però nonsiamo del mondo, indicando-ci la vera patria e anche la

    strada per raggiungerla. Ildifficile problema di mettereinsieme trascendenza e im-

    manenza, fede e ragione, Dioe uomo, è risolto dai tanti si-

    gnificati della Croce.Con la Croce del Giu-

    bileo ci rivedremo a Romadal 15 al 20 agosto del 2000 per

    la 15a giornata mondiale dellagioventù.

    Buon Natale a tutti.q

  • Il Nicodemo - Dicembre 1998 - n. 72

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    L’ULTIMO LAMPIONAIOdi Mimmo Parisi

    “Chi era costui?” si chiesegiustamente don Ab-bondio interrogandosisu Carneade. Analoga

    domanda si porranno, con altrettantostupore, gli appartenenti alle nuovegenerazioni quando sentiranno parla-re dell’ultimo lampionaio. La doman-da nasce spontanea, come direbbe unnoto presentatore televisivo ed io vor-rei aggiungere che è anche legittimaper tutti quelli che sono venuti al mon-do, nel nostro piccolo paese, dal 1932in poi. Tale anno segna, infatti, l’arrivodell’energia elettrica nel territorio diPace del Mela, avvenimento che, oltrea segnare una svolta qualitativa nel mi-glioramento della nostra vita, ci haconsentito pure di mettere da parte ilumi e i lampioni a petrolio che fino aquel momento ci erano serviti per l’il-luminazione delle nostre case e dellenostre strade. Nonostante ciò sia av-venuto quasi alla fine della prima metàdel nostro secolo, è quasi certo che lamaggior parte di coloro che ha benefi-ciato da sempre dell'energia elettrica,quando sente parlare di lampioni, sispinga con la mente talmente indietroda far affiorare ricordi di vecchi filmd'epoca e di romanzi ambientati tra lafine dell'ottocento e l'inizio del nove-cento. I lettori di gialli pensano subitoal commissario Maigret che, semprealla ricerca di nuovi indizi, girava perla sua Parigi illuminata ancora dailampioni a gas. La realtà, invece, è tal-mente vicina da sentircela appena die-tro le nostre spalle e qui a Pace l'ultimolampionaio è ancora vivo e vegeto inmezzo a noi.. Si chiama Giovanni Pa-risi ed abita in Via Roma, al n. 72,. difronte all’edicola della Madonnina(intesa come “Santa Cruci”). La suabreve carriera di aiuto-lampionaio sisvolse nel giro di quattro anni, dal1928 al 1932. In effetti titolare del ser-vizio era il padre e lui, ancora ragazzi-no, lo aiutava in tutte quelle mansioniche comprendevano, oltre all’accen-sione serale dei lampioni, anche la ma-nutenzione dei medesimi. Il padre, perquesto lavoro, veniva mensilmente re-tribuito dal Comune, che provvedeva

    anche a fornirgli tutto il materiale ne-cessario. Bisognava anzitutto esseremuniti di scala, in quanto i lampioni,appesi ai muri delle case per mezzo didue sbarre in ferro (una orizzontale,alla quale era appeso il lampione, eun’altra obliqua di sostegno), eranosituati ad un’altezza che superava idue metri.

    Per effettuare il rifornimento, lamanutenzione e l’accensione dei lam-pioni occorreva portarsiappresso, oltre alle sca-le, anche una lattina dipetrolio con relativo im-buto e misurino, unaprovvista di stoppini diriserva (nel caso fossenecessario sostituirnequalcuno per sopravve-nuta usura), uno strac-cio per pulire i vetriquando risultavano an-neriti dal fumo, ed infi-ne le scatole di zolfanellinecessari all’accensio-ne.

    La forma dei lampio-ni a petrolio era press’apoco identica a quellache hanno oggi alcunilampioni elettrici collo-cati alcuni anni fa nellazona storica del nostropaese. Alla base esistevaun piccolo serbatoio percontenere il petrolio,dentro il quale stava im-merso uno stoppino,che veniva spinto verso l’alto o verso ilbasso a mezzo di una vite zigrinata, inmaniera da regolare l’intensità dellaluce. Per evitare che il vento potessespegnerlo, il lampione era dotato,sull’estremità superiore, di una picco-la copertura che permetteva l’entratadell’aria e attutiva l’effetto del vento.Per questo motivo, nelle serate vento-se, il lampionaio effettuava un altrogiro d’ispezione per accertarsi che tut-te le fiammelle fossero accese. Il si-gnor Parisi non ricorda esattamentequanti fossero i lampioni installati intutto il paese, ma, secondo i suoi cal-coli dovevano aggirarsi attorno ai cin-quanta.

    Occorre pure ricordare che le stra-de di pace era allora molto limitate epraticamente il paese si snodava su trevie principali che collegavano in prati-ca la frazione di Giammoro a S. Filip-po del Mela. Salendo da Giammoro,allora come adesso, si incontrava perprima la Via Roma, si continuava sullaVia Regina Margherita per girare poisulla Via Vittorio Emanuele (oggi ViaPietro Bonfiglio). C’erano poi la Via

    Stretto, con accanto il Ba-glio, la Via Marconi e ledue Finate. I lampioni era-no posti alla distanza di 80-100 metri l’uno dall’altro,alternativamente a destra oa sinistra della strada. Ini-ziavano dalle prime casedel paese, venendo daGiammoro, per finire alledue Finate, che disponeva-no ognuna di un solo lam-pione. Occorrevano inmedia due ore di lavoro percompletare l’accensione intutto il paese e l’orario d’i-nizio cambiava a secondadella stagione. D’estate sicominciava il giro verso leotto di sera, mentre d’in-verno il servizio veniva an-ticipato alle quattro delpomeriggio.

    Più che per un’illumina-zione vera e propria, questilampioni servivano comepunti di riferimento, perindicare la strada a quei

    pochi che di sera si avventuravano aduscire per sbrigare qualche incomben-za o per andare a trovare amici e pa-renti. La maggior parte della gente,stanca dal lavoro dei campi e non at-tratta da nessuna forma di divertimen-to, preferiva rimanere in casa, fedelesempre a quel motto, secondo il qualeper gabbare il vicino bastava andare aletto presto e alzarsi di buon mattino.

    Per il lampionaio il lavoro si svolge-va soltanto di sera. Al mattino si dedi-cava ad altri lavori, perché i lampioni,durante la notte, si erano spenti da soliuno dopo l’altro per esaurimento delcarburante.

    In questa atmosfera piena di luci Ø

    Un vecchiolampione delnostro paese.

  • Il Nicodemo - Dicembre 1998 - n. 72

    12tremolanti e di ombre furtive s’inqua-dra perfettamente una piccola avven-tura che vede come protagonistiPeppino Campagna, già noto ai nostrilettori (vedi “Il Nicodemo” n. 66), al-lora ancora adolescente, e il di lui pa-dre, Francesco.

    Fu per via di quella botticella di vinoche lo stesso Francesco aveva prodot-to nel suo piccolo appezzamento diterra, che da tempo ormai aveva mo-strato il fondo sia per il consumo per-sonale dei componenti la famiglia, siaperché in parte era stato venduto perpoter pagare la fondiaria e il censo. Daqui la necessità di rifornirsi periodica-mente del prezioso liquido acquistan-dolo o presso proprietari terrieri, cheavevano ancora le botti piene, o pressoqualche altro che il vino lo commercia-va. Fra questi ultimi c’era anche unmio zio, Eugenio Vaccarino, che abi-tava all’inizio della Via Camastrà, qua-si all’imbocco della Via Finata I, e cheera tra l’altro il fornitore preferito delCampagna.

    Purtroppo a quei tempi non bastavapagare il vino al legittimo proprietario,ma la prezzo del vino bisognava ag-giungere un piccolo balzello che il Co-mune esigeva da chiunque, sottoforma di dazio o imposta di consumo,su tutte le merci che circolavano nelsuo territorio, compreso il vino. Ancheil produttore che voleva portarne acasa un quantitativo superiore al litrodoveva passare dal dazio e pagare larelativa imposta. Ognuno cercava disottrarsi, come meglio poteva, a que-sta specie di tangente e si dice addirit-tura che vi sia stato qualcuno che,dopo avere acquistato due sedie a Mi-lazzo, se ne sia tornato a casa attraver-so i campi per non incappare nellemaglie del “daziario”. Anche France-sco Campagna, uomo di sani principimorali, timorato di Dio e ligio a tutte leregole del vivere civile, non digeriva ilfatto di dover pagare qualcosa in piùoltre il prezzo del vino e quindi, al paridegli altri, studiò la maniera miglioreper aggirare l’ostacolo. Stabilì anzi-tutto che il trasporto di quella piccolaquantità di vino (circa dieci litri) dallacasa del fornitore, in Via Camastrà,alla sua abitazione in Via Cap. Amen-dolia (allora “Santa Cruci”), dovevaeffettuarsi di sera, sotto la fioca lucedei lampioni, sfruttando al massimo ledue “vinelle”, “a vinedd’ a Ficara” e “a

    vinedda S. Maria”, che lo avrebberopreservato da incontri poco graditi. Alpiccolo Peppino aveva già assegnatol’incarico di “pattugliatore esploran-te”, con il preciso compito di spingersiin avanti e segnalare per tempo l’even-tuale presenza del daziario.

    L’operazione ebbe inizio qualcheora dopo il calar delle tenebre. Quan-do Peppino, scendendo verso casa,sbucò fuori dalla vinella Ficara (attua-le Via Nicolò Cirino), dando un'oc-chiata verso giù sulla Via ReginaMargherita, vide avanzare sotto lascarsa luce di un lampione un uomopiuttosto corpulento che aveva tutte lesembianze del daziario. Con il cuore ingola tornò sui suoi passi per avvertire ilpadre che nel frattempo era rimasto inattesa, seminascosto con la classica“barilotta” sulle spalle, sistemata den-tro una bisaccia (“’a bèttula”). Il padresi nascose ancora meglio in un ulivetoe rimase lì in attesa degli eventi. Peppi-no intanto, facendosi coraggio, inpunta di piedi, si affacciò nuovamentesulla strada e fu allora che si accorseche quell’uomo, che in quel momentostava passando sotto il lampione, nonera il daziario ma un certo GiovanniZodda (al quale oggi è intitolata la vec-chia “Via Stretto”). Rinfrancati per ilcessato allarme, i due si mossero velo-cemente sul breve tratto della Via Re-gina Margherita e, dopo aver percorsola Via Marconi, s'infilarono di corsanella “vinella S. Maria”, sentendosiormai al sicuro in quanto quella scor-ciatoia sbucava proprio in prossimitàdella loro casa. Il breve tratto di ViaRoma li vide letteralmente volare equando finalmente varcarono la sogliadi casa il buon Francesco non ebbenemmeno la pazienza di prendere unbicchiere, ma brindò allo scampatopericolo attaccandosi direttamentealla “barilotta”.

    Per tornare ai nostri vecchi e carilampioni, possiamo benissimo affer-mare che, tutto sommato, l’energiaelettrica non impiegò molto tempo asoppiantarli. Non possiamo certa-mente partire dalla lampadina cheThomas Edison inventò nel 1879, mache aveva il non trascurabile difetto didurare soltanto 40 ore. Anche il bulbo,parte integrante della lampadina, an-cora agli inizi del ‘900 veniva soffiatoartigianalmente e quindi era molto co-stoso. Solo nel 1920 una società ame-

    ricana, la USA CORNING, trovò ilmodo di produrre la lampadina indu-strialmente. Dodici anni, in effetti,non sono stati molti, se pensiamo altempo che il gas metano, pur scorren-do da anni sotto i nostri piedi, impie-gherà per raggiungere le nostrecase.q

    Siamo in grado di fornire alcuniragguagli storici sull’illuminazionepubblica del nostro Comune. Nel1921 il Comune di Santa Lucia delMela appaltò per un biennio il ser-vizio con lumi a petrolio nei “vil-laggi” di Pace del Mela, Camastrà eGiammoro alla ditta VINCI COSI-MO per il prezzo annuo di £.3.580,20. Negli anni dal 1929 al1932 il Comune di Pace del Mela,nato nel frattempo (1926), pagavail “lumaio” Antonino Schepis. Sindal 1922 si facevano pressioni perl’introduzione a S. Lucia della luceelettrica, perché, come faceva rile-vare un consigliere luciese, “questonuovo sistema di illuminazione ri-sponde alle esigenze dei nuovi tem-pi ed è stato introdotto nel maggiornumero dei Comuni del Regno, fracui molti di minore importanza delnostro, come S. Filippo, S. Pier Ni-ceto, Torregrotta, Merì”. L’introdu-zione dell’illuminazione pubblica acorrente elettrica nelle varie zonedel territorio pacese fu graduale.Nel 1932 essa fu introdotta solonel “centro”. L’inaugurazione uffi-ciale ebbe luogo il 28 ottobre 1933.Nel 1934 veniva ancora installataper la prima volta l’illuminazione apetrolio nelle contrade Torrecam-pagna, Mandravecchia e Finata,dove la luce elettrica arriverà solonel 1949. Le ultime ad essere servi-te, fra il 1950 e il 1957, furono laVia Stretto, la Via Ficarelle, la ViaPace-Giammoro e le contrade Ge-sita, Finata Prima, Fontana, Archi,Malapezza e Ponte Muto.

    I“vecchi fanali in ferro” elimina-ti nel 1932 vennero venduti, in uni-co blocco di 115 pezzi, nel 1935per il prezzo di £. 150. Lo stessoanno, altri vecchi fanali, insieme adaltro materiale ferroso, vennero“offerti per la Patria al Segretariodel Fascio”.q

  • Il Nicodemo - Dicembre 1998 - n. 72

    13

    Ø

    IL SALUTO DEL SINDACO ALNUOVO PARROCO

    Pubblichiamo il discorso pro-nunciato dal sindaco CarmeloPagano il 6 dicembre scorso inoccasione dell’insediamento delnostro nuovo parroco.

    Sua Eccellenza, Mons. Gio-vanni Marra, nostro Arcive-scovo, Padre TRIFIRO’,nostro nuovo pastore , por-

    go a Voi a nome della cittadinanza tut-ta, che ho l’onore di rappresentare, ipiù affettuosi auguri di benvenuto.

    Ringrazio Mons. MARRA per lasua presenza, ma anche per la sceltadella nostra guida spirituale.

    Oggi è un giorno di festa per tuttinoi, non soltanto perché ci viene pre-sentato da Sua Eccellenza il nuovoparroco, ma anche perché abbiamoavuto già modo di apprezzare le suegrandi qualità, sia perché egli è stato alungo docente di religione nella scuolamedia di Pace del Mela, sia per la suaalta coscienza civile e sociale, testimo-niata da mille battaglie combattute indifesa dei più deboli, di chi non havoce, di chi non ha da mettere sul piat-to della bilancia contropartite di qual-sivoglia genere.

    Padre TRIFIRO’, conosciamo ilsuo impegno per i giovani nella loropreparazione alla vita, ma conosciamoanche il suo credere nel servizio ed inquei valori che stanno alla basedell’uomo figlio di Dio.

    Vorrei, in questa sede, ricordare an-che colui che fu il maestro sia di PadreGIUSEPPE TRIFIRO’, nostro nuo-vo parroco, sia di Padre SANTINOCOLOSI; vorrei ricordare qui Mons.ANTONIO BUCCA, parroco di Pacedel Mela per trenta anni.

    Come mi è capitato di ripetere spes-so con parole non mie: “GUTTA CA-VAT LAPIDEM”. Mons. ANTONIOBUCCA ha ben seminato ed è riuscitoa scavare la roccia, tanto da contribui-re a darci due sacerdoti, i suoi succes-sori, di così grande spessore. Duesacerdoti, due pastori, mi permetto didire impegnati a tutto tondo nel socia-le e pronti ad essere da stimolo e dapungolo per chi opera al servizio dellacomunità.

    Padre TRIFIRO’, non nascondo enon Le nascondo che la nostra non èuna comunità semplice; siamo ricchidi tante potenzialità, di tante capacità,di tante iniziative, ma abbiamo un bi-sogno continuo e costante di operareper amalgamare, tenere unito, indiriz-zare tutte queste risorse verso l’obiet-tivo del bene comune. Anche in questosiamo convinti che Lei saprà essereper noi sacerdote e pastore per accre-scere giorno dopo giorno tali risorse,ma soprattutto per accrescere lo spiri-to di servizio e di missione già presentinella comunità.

    Il gregge ha un nuovo pastore; ab-biamo percorso un tratto di strada as-sieme a Padre SANTINO, ora ilSignore, tramite Sua Eccellenza, ci dà

    una nuova guida con la quale conti-nuare il nostro percorso terreno erendere più sicuri i nostri spesso in-certi passi nel duro cammino dellavita, sorretti dalla fede e dalla speranzadella salvezza eterna.

    Oltre che un nuovo pastore, la no-stra comunità, mi permetta PadreTRIFIRO’, ha anche un nuovo “AMI-CO" con il quale condividere gioie edolori in un periodo così difficile e cosìincerto per i molteplici problemi cheattanagliano e preoccupano le nostrefamiglie.

    L’esortazione ad avere un altro pa-store dal polso deciso è stata esaudita;non La lasceremo solo: abbiamo biso-gno della Sua guida.

    Grazie ancora a Sua Eccellenza eaffettuosi auguri di buon lavoro a Lei,Padre TRIFIRO’, dalla comunità diPace del Mela.q

    Carmelo Pagano

    I mestieri dell'artigianatoLe botteghe dell'arte

    Una mostra fotografica e un volume riassumono in

    maniera significativa la ricerca svolta dagli alunni

    delle scuole del DISTRETTO SCOLASTICO 37

    di Antonio Catalfamo

    Anche quest’anno, comeormai è consuetudine, ilDistretto Scolastico di Mi-lazzo ha proposto agli

    alunni delle scolaresche del compren-sorio un’attività di Educazione Per-manente e anche quest’anno, con lasolita solerzia, le scuole hanno rispo-sto positivamente permettendo la rea-lizzazione di una Mostra fotografica ela stampa di un volume sul tema pro-posto “I mestieri dell’artigianato, lebotteghe dell’arte”.

    Negli anni scorsi, come molti ricor-deranno, gli alunni avevano approfon-dito tematiche importanti, quali quelladei Castelli Peloritani del comprenso-rio tirrenico, dell’Ambiente naturale,dei Musei, delle Piazze e dei Centri Sto-rici, delle Biblioteche e degli Archivistorici. Come si vede tutte queste atti-

    vità hanno un solo tema conduttore:quello della conoscenza, salvaguardiae valorizzazione dei beni ambientali.

    Grazie a queste attività abbiamopotuto scoprire che il nostro compren-sorio, nonostante l’opera distruttricesvolta dall’uomo negli anni passati, èun grande contenitore naturale delleopere umane realizzate nel passato,opere che rappresentano una testimo-nianza diretta e immediata dei fattistorici, del modo di vivere, delle abitu-dini, delle tradizioni, dei costumi, del-le condizioni socio-economiche dellegenti che hanno popolato la nostraterra in passato. I ragazzi ci hannoaiutato a scoprire che purtroppo inmolti casi il livello di degrado delle in-frastrutture è tale che un eventuale ri-paro dentro un museo degli oggettisuperstiti può rappresentare già unsuccesso.

    Il Volume e la Mostra sono stati

  • Il Nicodemo - Dicembre 1998 - n. 72

    14presentati recentemente a Milazzo inun Convegno pubblico che si è tenutonell’Aula Magna dell’Istituto TecnicoCommerciale e Geometri. Alle relazio-ni dell’arch. Serena Pascutti (delGruppo di lavoro del Distretto), deldott. Todesco (direttore della Sezioneetno-antropologia della Soprinten-denza) del dott. Alfio Seminara (fun-zionario del Ministero BB.CC.) e deldott. Franco Cassata (Museo etno-an-tropologico di Barcellona) è seguitoun vivace ed interessante dibattito cheha permesso di approfondire ulterior-mente i contenuti proposti. La mostra,dopo una prima esposizione presso laSala Rotonda del complesso Diana diMilazzo, è attualmente ospitata dallanostra Biblioteca Comunale dove ri-marrà fino al 6 gennaio a disposizionedelle scuole locali e di tutti i cittadiniinteressati.

    Mostra e volume ci illustrano unarealtà davvero interessante e ci aiutanoa scoprire ed analizzare un patrimonioetno-antropologico di grande valenzastorica. Sono soprattutto le “botte-ghe” che testimoniano il tramandarsidi padre in figlio di attività lavorativeche oltre ad uno scopo primario di so-stentamento avevano la peculiarità diimpegnare il singolo artigiano in pro-duzioni fortemente creative, che evi-denziavano notevole “gusto” ed“estro” negli oggetti realizzati.

    Il volume rappresenta in qualchemodo una guida in un mondo che si éfortemente trasformato e ci aiuta a ca-pire come l’attività dell’artigiano, la-voratore manuale, ma anche artista,ha segnato per tanto tempo la formadecorativa e funzionale degli oggetti,sia che essi venissero realizzati sucommissione per persone apparte-nenti a categorie più agiate, sia chefossero destinati a utenti più umili oall’uso personale.

    Le immagini, le ricerche dei ragaz-zi, le loro interviste, le loro riflessionici dimostrano che oggi molti dei me-stieri del passato sono definitivamentescomparsi per via di una produzioneindustrializzata destinata al largo con-sumo, altri per lo stesso motivo si sonoevoluti, altri sopravvivono ancora mahanno sicuramente perso quelle pecu-liarità conservate per tanti secoli.

    A osservare le immagini della mo-stra e del libro e a leggere i dati riporta-ti nel volume si rimane stupefatti per la

    grande varietà di Arti e Mestieri prati-cati fino a poco tempo fa nel nostrocomprensorio; le tracce di queste Artie Mestieri si riscontrano negli oggettidi uso comune, negli arredi, negli ele-menti architettonici, nei racconti deglianziani che ricordano tanti usi e co-stumi che a poco a poco vanno scom-parendo, ma anche in alcunetradizioni che ancora oggi si conser-vano. Ce n’è abbastanza per riscopriree conoscere tanta “storia” che riguar-da da vicino i nostri antenati ma anchegran parte della nostra comunità loca-le attuale.

    Il volume, organizzato seguendo ilpercorso degli “habitat” naturali (“co-

    stiero”, “campestre”, “montano” e del“costruito”), ricostruisce i vari me-stieri praticati nei diversi settori di at-tività produttive non trascurando dirintracciare quel filo di continuità pre-sente in una organizzazione economi-ca e sociale che le giovani generazioninon conoscono e che ai più grandi ap-pare ormai lontana.

    Chissà che agli elementi conoscitiviche arricchiscono sicuramente la cul-tura di tutti, soprattutto dei più giova-ni, non possa aggiungersi qualchestimolo alla fantasia produttiva e com-merciale di giovani e meno giovani perrilanciare alcune attività artigianali lo-cali e che, sfruttando anche le nuovetecnologie, non si possa dare nuovoimpulso all’artigianato e all’occupa-zione dei giovani. Ci sentiamo in ognicaso di dire grazie a tutti i protagonistidi questa attività di ricerca.q

    AGRICOLTURA

    BIOLOGICA(Non solo Una Moda)

    a cura della SOAT di Spadafora

    Il settore del biologico rap-presenta una delle prospet-tive di elevato interesse perl’agricoltura del compren-

    sorio.Le motivazioni che stanno alla base

    della scelta di fare coltivazioni biologi-che possono riassumersi in: una cre-scente domanda di prodotto biologicoanche da parte della grande distribu-zione organizzata e ai relativi marginidi guadagno che ancora possono esse-re spuntati sul mercato. Accanto aqueste esistono delle motivazioni dicarattere ambientale ed in ultimo laspinta contributiva che l’Unione Eu-ropea sta apportando per l’utilizzodelle tecniche di coltivazione compati-bili con la protezione dell’ambiente e lasalute dei consumatori (RegolamentoCEE2078/92). Per cogliere megliocosa si intende per agricoltura biologi-ca è necessario differenziarla dalla de-finizioni di agricoltura convenzionale.

    L’agricoltura convenzionale èquella in cui si fa normale uso, quandooccorre e secondo precise metodolo-gie, di mezzi chimici di sintesi (conci-mi, antiparassitari, diserbanti,fitoregolatori, farmaci veterinariecc.).

    L’agricoltura biologica è quellache per diverse motivazioni (rispettodell’ambiente, ricerca di prodotti in-contaminati, motivazioni etico - filo-sofiche) cerca di evitare il ricorso aimezzi chimici di sintesi.

    La distinzione di cui sopra nonesclude che nell’agricoltura conven-zionale si possa far ricorso anche adalcune tecniche biologiche, e viceversache nell’agricoltura biologica sia con-sentito il ricorso a molte tecniche con-venzionali.

    Tra le metodologie convenzionali didifesa antiparassitaria, per esempio,sta incontrando sempre maggiori con-sensi la cosiddetta “lotta integrata”una pratica che accosta alcune tecni-che di lotta biologica, come il lancio di

    Artistica ringhiera di sca-la per interni a Pace delMela.

  • Il Nicodemo - Dicembre 1998 - n. 72

    15entomofagi utili, a certe tecniche dilotta chimica. Oltre alla lotta integrata,l’uso di varietà resistenti agli attacchidei parassiti, la fertilizzazione organi-ca, presenti all’interno di un sistemaagronomico come quello che abbiamochiamato “agricoltura convenziona-le”, possono trovare posto tecnicheproprie dell’altro sistema (come le tec-niche “biologiche”).

    Alla dizione generale di agricolturabiologica possono far riferimento di-versi sistemi agronomici. Tra le tante,una possibile classificazione di questisistemi è quella fondata sui:

    1) sistemi con presupposti ideolo-gico - fisiologici,

    2) sistemi con presupposti scienti-fici.

    Uno dei capisaldi dell’agricolturabiologica è il regolamento CEE2092/91 che racchiude le normedell’agricoltura biologica europea,emanato da sei anni e applicato da ol-tre quattro, esso è stato seguito da altriregolamenti che lo integrano e lo mo-dificano, regola il metodo di produzio-ne biologico dei prodotti agricoli ecodifica l’indicazione di tale metodosui prodotti e sulle derrate alimentari.Negli anni questo regolamento è statopiù volte modificato ed integrato da al-tri regolamenti (Reg. CEE n°1535/92, 2083/92, 207/93,2608/93, 468/94, 2381/94,1201/95, 1202/95, 1935/95,418/96).

    I regolamenti Comunitari deleganoagli Stati membri il compito di: orga-nizzare il sistema di controllo, stabiliregli adempimenti amministrativi relati-vi alla modulistica.

    Uno dei concetti fondamentali ap-plicativi della pratica di agricolturabiologica è la lotta biologica, brancadell’ecologia applicata che preleva isuoi strumenti dalle comunità natura-li, dagli ecosistemi, li saggia opportu-namente e li impiega in agricoltura. Letecniche con cui si attua comprendo-no soprattutto l’uso dei nemici natura-li (predatori e parassitoidi), di altrianimali (pesci, uccelli ecc.), di organi-smi patogeni (lotta microbiologicacon virus, batteri, funghi ecc.), diestratti naturali di piante e di alghe, acui può essere aggiunto l’uso dellepiante resistenti. La lotta biologica,quindi, cerca di conservare e di utiliz-zare gli antagonisti esistenti nell’am-

    biente naturale, con la finalità dicontrollare la densità delle popolazio-ni fitofaghe e mantenerle entro limiticonsiderati al di sotto delle soglie eco-nomiche di danno.

    Il mercato dei prodotti biologicirappresenta ancora, in Italia, una par-te assai modesta dei consumi alimen-tari, nonostante i motivi che spingonoverso un loro utilizzo siano da tutticonsiderati di primaria importanza.Negli ultimi anni le organizzazioni delsettore hanno lavorato duramente percreare le condizioni legislative, tecni-che, organizzative per affrontare condecisione le sfide del mercato e coin-volgere un numero sempre più vasto diconsumatori.

    Infatti, negli ultimi anni l’interesseverso questo tipo di prodotti è andatovia via crescendo permettendo a questiprodotti di occupare fette di mercatosempre più grandi. Allo stato attuale iprodotti biologici non interessano lagrande distribuzione, ma solo negozispecializzati alla vendita di questi pro-dotti. Questo perché il consumatorepotenziale di biologico sembra prefe-risca acquistarlo nei negozi specializ-zati o direttamente dai produttori,dove ottiene anche informazioni, con-sigli, proposte. Il biologico è ancoraun micro mercato in buona parte com-

    posto da piccoli produttori, sparsi oframmentati, che offrono quantitatividi prodotto molto piccoli che poco in-teressano le grosse catene di distribu-zione, ciò equivale ad un consumo dinicchia. La produzione di prodottibiologici per essere remunerativa pergli agricoltori deve essere commercia-lizzata a prezzi più alti rispetto alleproduzioni agricole convenzionali.Per tale motivo la realizzazione di unprodotto biologico che abbia tutte lecaratteristiche per imporsi sul merca-to, non può che nascere da una colla-borazione che si sviluppa lungo lafiliera di produzione (agricoltori, tra-sformatori, commercializzatori) e dal-la definizione di accordi preventivi checonsentano la giusta remunerazionedi tutti coloro che partecipano al cicloproduttivo.

    Attualmente, comunque, anche lagrande distribuzione inizia ad interes-sarsi dei prodotti ottenuti da produ-zioni biologiche.

    Solo i prodotti ottenuti conforme-mente alle norme dettate dal Regola-mento CEE, in possesso dell’idoneadocumentazione possono riportaresull’etichetta “Prodotto alimentare diagricoltura biologica Regime di con-trollo CEE”.q(SOAT Spadafora tel. 090-9941703)

    IL REGOLAMENTO CHE PERMETTE DI AVERE DEI CONTRIBUTI PER CONVERTI-

    RELEAZIENDEDAAGRICOLTURACONVENZIONALE INAGRICOLTURABIOLOGICA

    O COMUNQUE ADOTTARE DELLE TECNICHE CHE SIANO RISPETTOSE DELLAM-

    BIENTE È IL REG. CEE 2078/92 CHE È SUDDIVISO IN MISURE:

    A1 Sensibile riduzione dei fitofarmaci

    A2 Introduzione o mantenimento dellagricoltura biologica

    B1 Introduzione - mantenimento delle produzioni vegetali

    estensive e conversione dei seminativi in pascoli estensivi

    B2 Mantenimento della produzione estensiva

    C Riduzione della densità del patrimonio bovino

    od ovino per unità di superficie foraggiera

    D1 Impiego di altri metodi di produzione compatibili con le esigenze

    dellambiente e la cura del paesaggio (colture perenni e seminativi)

    D2 Allevamento di specie animali locali in pericolo di estinzione

    E Cura dei terreni agricoli e forestali abbandonati

    F Ritiro dei seminativi dalla produzione per 20 anni

    G Gestione dei terreni per laccesso al pubblico e le attività ricreative.

    LE MISURE DI PARTICOLARE INTERESSE PER IL NOSTRO

    TERRITORIO SOTTO IL PROFILO AMBIENTALE SONO:

    A1 Sensibile riduzione dei fitofarmaci

    A2 Introduzione o mantenimento dell’agricoltura biologica

    CONTRIBUTI PER Ha. PER COLTURA MISURA A1 MISURA A2

    OLIVETI SPECIALIZZATI £. 700.000 £. 917.700

    AGRUMETI £. 1.150.000 £. 2.295.200

    FRUTTETI E VIGNETI £. 940.000 £. 1.605.500

    N.B. I valori dei contributi sono riferiti al cambio ECU /£.

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    I FATTI

    NOSTRIa cura di Franco Biviano

    In seguito ad apposito in-contro, tenutosi il 28 no-vembre scorso, il nostroComune ha deciso di aderi-

    re al patto territoriale “Gallo-Niceto”che comprende Monforte S. Giorgio,Roccavaldina, Rometta, S. Pier Nice-to, Saponara, Spadafora, Torregrotta,Valdina, Venetico e Villafranca. Il co-mitato di Presidenza ha sede presso ilComune di Venetico.

    * * *Con apposita ordinanza sindacale è

    stato prorogato fino al 31.12.98 l’affi-damento alla ditta Siculcoop di Ro-metta del servizio di raccolta dei rifiutisolidi urbani, con propri mezzi ed au-tisti e con personale comunale, e con-ferimento degli stessi alla discarica diValdina nelle giornate di lunedì e gio-vedì di ogni settimana

    * * *Con decorrenza dal 1° gennaio

    1999 sono state innalzate le quotemensili di compartecipazione alla ge-stione degli asili nido comunali. I nu-clei familiari con un reddito inferiore a10 milioni annui, pagheranno mensil-mente £. 80.000. Chi ha un redditocompreso fra 10 e 15 milioni dovràsborsare £. 100.000. Per i redditi su-

    periori a 15 milioni è prevista, inoltre,un’ìntegrazione di 4.000 lire per ognimilione guadagnato in più, con un li-mite massimo di £. 350.000 per bam-bino.

    * * *Sarà completamente rinnovato

    l’impianto telefonico del palazzo mu-nicipale. Si procederà alla trasforma-zione delle linee telefoniche dalsistema tradizionale alla nuova tecno-logia ISDN che consente di accederea tutti i servizi di telecomunicazionicon un unico collegamento. Oltre allaqualità dei collegamenti, ne guada-gnerà anche la velocità di trasmissio-ne.

    * * *Sono stati aggiudicati alla ditta Pa-

    gano Pietro i lavori di ristrutturazionedell’impianto di produzione di acquacalda del campo sportivo di Giammo-ro per £. 6.286.220, oltre IVA. Saràinstallato, tra l’altro, un bollitore da1000 litri.

    Il mancato funzionamento dell’im-pianto aveva provocato il mese scorsola revoca dell’omologazione del cam-po da parte della FIGC

    * * *Dal 13 dicembre e fino al 6 gennaio

    p.v., presso la biblioteca comunale èpossibile visitare una Mostra fotogra-fica dedicata ai Mestieri dell’Artigia-nato e le Botteghe dell’Arte.

    La Mostra sarà aperta da lunedì avenerdì dalle ore 9 alle 13 e dalle 16alle 18. Sabato, domenica e festivi,solo dalle 16 alle 18.q

    LA

    POPOLAZIONE

    DI S. LUCIA DEL

    MELA DAL 1600

    AL 1900F R A N C E S C O G I U S E P P E

    D I PA O L A , Ricostruzione degli

    eventi demografici in alcune parroc-

    chie del Comune di S. Lucia del Mela

    (XVII-XIX secolo), tesi di laurea, Uni-

    versità di Messina-Facoltà di Econo-

    mia, a.a. 1997-98.

    Continua la serie delle tesi dilaurea dedicate allo studiostorico-demografico delnostro territorio. Dopo le

    ricerche compiute sulla popolazionedi Pace del Mela da Giuseppe Tutto-cuore e su quella di S. Filippo del Melada Antonella Campanella, è toccato auno studente filippese, Giuseppe Di-paola, di indagare sui fenomeni demo-grafici del Comune di S. Lucia delMela. Il giovane studioso ha compiutouna ricerca certosina negli archivi del-le tre parrocchie di S. Lucia (Catte-drale, Annunziata, S. Nicola),esaminando tutti i registri esistenti(battesimi, decessi e matrimoni). Es-sendosi trovato in presenza di serie in-complete, ha integrato i dati mancantifacendo ricorso ai registri dello StatoCivile conservati nell'Archivio StoricoComunale. La ricerca è stata voluta-mente limitata al territorio dell'anticocapoluogo comunale, con esclusionedelle frazioni di Pace e S. Filippo, di-ventate nel tempo Comuni autonomi.Il risultato dell'indagine costituisceuna vera e propria miniera, dove i fe-nomeni demografici dei tre secoli pre-si in esame vengono sviscerati, concorredo di tabelle e grafici, in ogni loroaspetto: religioso, economico, fiscale,igienico-sanitario, folcloristico, urba-nistico, politico, storico. Le epidemie(peste, colera, vaiolo, tifo) e i disastrinaturali (terremoti, carestie) trovanopreciso riscontro nelle annotazionidegli antichi curati.

    Sarebbe un vero peccato se il lavorodi Giuseppe Dipaola rimanesse dentroi confini del mondo accademico. Si

    tratta, infatti, di una raccolta di datipreziosissima per la conoscenza delnostro passato e di un valido supportoper chi in futuro volesse scrivere la sto-ria di S. Lucia con criteri scientifici(basandosi, cioè, sui documenti e nonsulle fantasiose elucubrazioni di que-sto e di quello).

    Unico neo di tutto il lavoro sono i“Cenni storici”, per i quali l'autore nonha effettuato una ricerca personale,ma ha fatto affidamento sugli studiesistenti (Amico, Cambria, Parisi),purtroppo inattendibili e fuorviantiper il periodo anteriore al 1322.

    Ci auguriamo che la comunità lu-ciese sappia valorizzare questo onestoe serio apporto alla scoperta delle pro-prie radici.q

    AuguriIl parroco, i redattori del

    Nicodemo e gli animatoriparrocchiali augurano a tuttala comunità e alla cittadi-nanza un sereno Natale eun felice 1999.

    Voglia il Padre di Gesù Cri-sto e Padre nostro, in questonuovo anno, farci riscopriresempre più fratelli.