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Questo testo riprende quasi integralmente la mia tesi finale del
Master in Educazione Ambientale che ho frequentato durante
l’anno accademico 2005-2006 presso la facoltà di Scienze
dell’Educazione dell’Università di Bologna.
Un’esperienza strutturata e istituzionale quindi che però, al
contrario di molte altre, mi ha lasciato molti spazi liberi
d’azione, soprattutto nella scelta del tirocinio da svolgere, le cui
vicende riguardano la maggior parte delle storie qui narrate e
degli argomenti trattati.
Questo lavoro è dedicato al prof. Paolo Bagni, indimenticabile
maestro di filosofia e di vita.
Febbraio 2008
Gianluca Ricciato
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Introduzione……………………………………………….pag. 4Inquinamento, ecologia, ribellione: le parole e le cose………………pag. 4
1. A che serve l’educazione ambientale?…………………pag. 61.1 Cambiare il mondo……………………………………………………pag. 6
1.2 L’altro modo……………………………………………………………pag. 9
1.3 Ciò che è necessario…………………………………………………pag. 10
1.4 Educarsi alla decrescita………………………………………………pag. 13
2. Mobil: un’esperienza che si rinnova…………………pag. 172.1 Storia e relazioni………………………………………………………pag. 17
2.2 La Mobil - Casa ecologica……………………………………………pag.
20
2.2.1 Orientamento: lato Nord……………………………………………pag. 20
2.2.2 Dentro casa…………………………………………………………pag. 25
2.2.3 Orientamento: lato Sud……………………………………………pag. 26
2.2.4 Banchetto e pannelli informativi…………………………………pag. 27
3. Energie per educare all’energia……………………pag. 313.1 Didattiche on the road………………………………………………pag. 31
3.2 Primo giorno di lezione - quarto giorno di Mobil…………………pag. 33
3.3 Secondo giorno di lezione - quinto giorno di Mobil………………pag.
37
3.4 Emozioni, energia, ambiente: le connessioni possibili……………pag.
42
3
Appendice-intervista………...………………………...…pag. 49CasaClima: un pezzo di Germania in Italia……………………………pag, 49
Bibliografia……………………………………………….pag. 54
Introduzione
Inquinamento, ecologia, ribellione: le parole e le cose.
Quante volte si nomina l’inquinamento, quante volte se ne parla a scuola,
nella scatola magica della TV, in mille altri posti? Sempre di più. Ma la
parola “inquinamento” sembra aver perso il filo, la trama che la connette
alla realtà: ogni volta che lo si nomina non si sa se si fa un bene o un male,
se lo si combatte o lo si alimenta. Forse più lo nominiamo più cresce
l’inquinamento, forse ogni volta che cerchiamo di parlarne lo aiutiamo a
diventare più forte! Perché se parliamo di inquinamento e poi non
sappiamo che fare per fermarlo non serve a niente. Se le parole perdono il
filo che le attacca alle cose, alle azioni, ai fatti, se la teoria va da una parte e
la pratica dall’altra le parole si svuotano di senso e muoiono, e le parole
sono parte di noi, dei nostri pensieri, anche delle nostre emozioni, quindi se
muoiono le parole muore anche una parte di noi. E iniziamo a vivere senza
senso, senza sapere cosa vogliamo, cosa ci fa stare bene e cosa no. Se non
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ci interessa salvare la natura, rispettare il nostro corpo e quello degli altri,
di tutti gli esseri animati e non animati, è inutile che nominiamo la parola
“inquinamento”, è meglio che ci facciamo i fatti nostri e pensiamo ad altro.
Almeno non facciamo altri danni. Invece se ci interessa veramente
dovremmo iniziare a capire come stanno le cose, e per farlo dobbiamo
iniziare a ritessere quel filo che lega le parole alle cose, dobbiamo risalire
con i pensieri e con le emozioni quelle parole che sentiamo sempre, in
questo caso inquinamento, ecologia, natura, ambiente e capire dove ci
portano, a quali fatti, a quali pratiche buone o cattive che noi facciamo e a
quello che possiamo fare, adesso domani e ogni giorno, per salvare davvero
la natura e per salvarci, anche dal diventare stupidi ripetendo sempre le
stesse parole vuote - inquinamento, natura, etc.
Allora forse se inizieremo a fare ogni giorno questo gioco del filo tra le
parole e le cose - se inizieremo a far parlare i nostri corpi e le loro esigenze,
ad ascoltare le nostre emozioni, a lasciare liberi i pensieri di “annusare” la
realtà senza pregiudizi né tabù - forse allora inizieremo a capire che cosa è
vero e che cosa è frottola. E le parole ricominceranno a prendere senso, a
riempirsi di nuovo delle cose.
Facciamo un esempio, la parola “ecologia”. Cosa significa ecologia? E’
una scienza per specializzati o una pratica quotidiana? Significa pulizia,
igiene? Significa che qualcuno ti viene a fare la morale col ditino alzato
verso l’alto e ti ordina di non buttare le carte e di chiudere i rubinetti?
Secondo me questi esempi sono delle versioni ridotte dell’idea di ecologia
svuotata di senso, in cui rimane solo l’etichetta senza la sostanza. Per me
l’ecologia è sporca, non è “pulita”, ma è sporca di qualcosa che non fa
male, che non inquina, che non uccide, è sporca della terra delle campagne,
dei colori per disegnare, degli arnesi che usiamo per vivere. E’ sporca dei
conflitti con chi vuole fare i soldi, e li fa, inquinando, distruggendo contesti
sociali e ambientali, facendo le guerre per le energie e per le risorse
5
primarie, le guerre con o senza le armi, le guerre contro le persone.
L’ecologia è sporca ma di uno sporco pulito, creativo, di uno sporco ribelle
ma non violento. Perché questa è un’altra delle cose che stanno imbrigliate
tra le etichette, un’altra delle parole svuotate del suo senso profondo: la
ribellione...
1. A che serve l’educazione ambientale?
“Subordinate il futuro al presente, non il presente al futuro
perché è l’unico modo che abbiamo di rendere il presente diverso.
Altrimenti, il presente non sarà null’altro che l’esistente proiettato sul
futuro, che torna indietro come gabbia su quello che possiamo fare adesso.”
John Holloway1
1.1 Cambiare il mondo
Seguendo il filo che interconnette idee, pensieri e azioni di cui parlavo
prima, mi sono imbattuto da un po’ di tempo a questa parte in una serie di
situazioni e persone che valorizzano l’esperienza concreta come portatrice
di idee e come pratica politica di cambiamento, esperienza legata a teorie e
a valori ideali, ma non sottomessa ad essi. Proprio per evitare che le parole
e le idee rimangano senza applicazione e senza conseguenze. Non sono
cose facili da fare e spesso hanno presentato in passato e presentano ancora
oggi difficoltà, fallimenti e insuccessi.
Un esempio di cui qui faccio solo un accenno ma che mi ha insegnato
molte cose, è la comune agricola anarchica Urupia, che si trova nell’Alto 1 John Holloway, “Un atto di ribellione contro la società che uccide”, in Carta Etc, febbraio 2006, pag. 63
6
Salento (vedi foto a pag. 6): è un’esperienza nata nel ’95 a cui partecipano
dall’inizio donne e uomini italiani e tedeschi, in cui tra le altre cose si
mettono in pratica le idee ecologiste attraverso le energie rinnovabili,
l’agricoltura biodinamica e una serie di altre forme di lavoro, di vita e di
produzione; in cui si cerca di mettere al centro la relazione tra le persone
sia nei loro bisogni individuali sia come collettività; in cui le decisioni
vengono prese secondo il principio del consenso e non della maggioranza;
in cui si lavora per autoprodursi e per produrre beni che saranno messi in
vendita attraverso circuiti sostenibili; in cui ci sono tanti problemi e per
affrontarli si usa la parola; in cui si sta attenti alla pulizia senza essere
sottomessi all’ideologia dell’igiene; in cui molti luoghi comuni sulle
‘comuni’ cadono miseramente al confronto con la realtà dei fatti.
Una delle cose fondamentali che ho capito stando ospite ad Urupia è che
tante volte gli stili di vita insostenibili, diffusi nella nostra civiltà, nascono
dal non vedere alternative ai modelli dominanti imposti o indotti, per
sfortuna di non aver incontrato nessuno che te li fa vedere o per incapacità
di andare oltre il proprio naso. Forse è allora che mi sono convinto del tutto
che mostrare alternative ad una persona, soprattutto quando è in tenera età,
mostrare il mondo da angoli diversi da quelli più conformisti, può essere
una fonte di salvezza, per le sorti del pianeta ma forse soprattutto per
quella persona, salvezza dalle nevrosi e dai farmaci per curarle, dalle
dipendenze da cose inutili e dalla superficialità. E forse è allora che ho
pensato che fare educazione ambientale potesse avere un senso profondo, al
di là della possibilità o meno di cambiare il mondo...
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Figura 2
Due immagini della Comune Urupia (Francavilla Fontana – Br). Nella prima (figura 1, foto mia) si vede il lato principale della masseria che ospita la comune, nell'altra (figura 2, foto mia) il pannello esplicativo del funzionamento dell'impianto di fitodepurazione per il recupero delle acque reflue, realizzato all'interno dei terreni di Urupia.
1.2 L’altro modo
Nel 2004 sono venuto a conoscenza dell’associazione PAEA - Progetti
alternativi per l’Energia e l’Ambiente. L’anno successivo, dovendo
scegliere dove svolgere il tirocinio del Master in Educazione Ambientale,
ho chiesto e ottenuto di farlo con loro. L’associazione PAEA è nata nel ’95
all’interno della Mag6 di Reggio Emilia, con l’obbiettivo di mettere in
pratica le forme migliori di risparmio ed efficienza energetica e nello stesso
tempo di fare opera di comunicazione, informazione e didattica in Italia su
questi temi. PAEA ha scelto dall’inizio di essere indipendente rispetto alle
istituzioni e alle società private, cioè di non essere da esse finanziate pur
coltivando costantemente rapporti di collaborazione con esse. Questa scelta
9
comporta varie vicissitudini economiche ma allo stesso tempo garantisce
una certa libertà d’azione, cosa molto importante soprattutto quando si
affrontano i temi delle energie rinnovabili, che sono ormai entrate nel
grande mercato e questo comporta aspetti sia positivi che negativi. Da un
po’ di tempo la sede principale si trova sulle colline di Reggio Emilia, dove
lavora una piccola equipe di persone che costituiscono la segreteria
organizzativa e che coordinano un lavoro che si svolge su tutto il territorio
nazionale.
L’idea fondante di PAEA, che proviene soprattutto dai movimenti
ecologisti tedeschi degli anni ’70-’80, è quella che “c’è anche un altro
modo”2 di utilizzare le risorse ambientali, favorevole sia dal punto di vista
ecologico che da quello economico, e che solo conoscendo ed educandosi a
quest’altro modo ci si possa gradualmente affrancare dalla dipendenza dalle
fonti fossili e dal nucleare, ma anche dallo sperpero continuo di risorse, non
ultima quella idrica.
Questa è una tesi che ovviamente si scontra con varie posizioni, per motivi
soprattutto politici. Alla base di questo scontro c’è la difficoltà generale,
anche a livello scientifico, di accettare che ecologia ed economia possano
andare di pari passo, abituato com’è il nostro sistema a pensare e agire lo
sviluppo in modo inevitabilmente distruttivo per l’ambiente. È anche la
difficoltà di pensare l’esistente come una rete di relazioni in cui ciò che
accade in un determinato contesto (sociale, biologico) spesso si ripercuote
sugli altri contesti, specialmente quelli più prossimi, anche se
nell’immediato non si possono osservare tali ripercussioni3. È per questo
motivo, ad esempio, che spesso tardiamo a renderci conto degli effetti del
nostro stile di vita, fin quando questi effetti non ritornano a noi in forma
2 cfr. pag. 103 La concezione del mondo come rete di relazioni interconnesse rimanda ad una vasta bibliografia che è presente in minima parte nella bibliografia di questo testo, in particolare per quanto riguarda le opere di Bateson e Capra
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tanto violenta e destabilizzante da non poterli più ignorare (disastri
nucleari, terremoti e maremoti, migrazioni di massa, malattie, etc).
Per affrontare questa serie di insormontabili eventi causati per lo più dal
genio umano non bastano le parole e le teorie, gli slogan e l’opposizione,
occorre praticare nel quotidiano delle forme di esistenza culturalmente
slegate, per quanto possibile, dall’economia della distruzione. È qui infatti,
nella vita di tutti i giorni più che nei grandi episodi della storia, che si
consuma letteralmente tanta vita. Occorre, come diceva Italo Calvino,
“riconoscere nell’inferno quotidiano ciò che non è inferno” e aiutarlo a
proliferare. Anche e soprattutto quando la maggioranza dice che è
impossibile farlo.
1.3 Ciò che è necessario
Nell’attività quotidiana di PAEA, per quello che ho visto in questi mesi di
collaborazione, la principale obiezione che viene posta da molte persone è
che sia impossibile passare dalle fonti fossili a quelle rinnovabili
mantenendo le nostre necessità di vita, cioè sostanzialmente i servizi di
luce, riscaldamento e acqua potabile di cui abbiamo bisogno per vivere
dignitosamente. Le fonti rinnovabili sarebbero, tutt’al più, un elemento
accessorio che può migliorare la nostra vita, magari fornendoci senza
troppe spese qualche lusso che altrimenti ci costerebbe caro. Dietro a questi
discorsi ho sempre notato quell’elemento inespresso, ma che emerge
chiaramente tra le righe, per cui “non si può negoziare il nostro stile di
vita”, perché significherebbe ostacolare il progresso, lo sviluppo, il futuro
dell’umanità. Del resto, non a caso, lo dice apertamente anche qualche
politico più che influente. Ma vediamo nel dettaglio alcuni aspetti di questo
11
progresso, in particolare quelli che interessano da vicino l’azione di PAEA
e il discorso sulle energie. E vediamo da vicino quali sono dunque queste
“necessità”.
Iniziamo ponendoci una semplice domanda che nessuno si pone mai:
quanto consuma la nostra casa?4 In Italia, tale consumo si aggira
mediamente tra i 150 e i 220 kW/h (kilowatt ore) per mq annui. Dal 2002,
in Germania - e anche in Alto Adige - le case private di nuova costruzione
non possono superare i 70 kW/h per metro quadro di energia consumata
all’anno, cioè meno della metà rispetto agli standard italiani. Esistono
anche delle case chiamate case passive, che non possono consumare per
legge più di 15 kW/h per mq. Hanno pareti coibentate, che danno la
possibilità di essere riempite totalmente di materiale isolante ecologico,
come l’isofloc (fibra di cellulosa), la canapa, la lana di pecora, il lino, il
cotone, la fibra di legno, etc. Una casa del genere costa poco di più nella
realizzazione (il 5/10% in più), ma necessita di un riscaldamento inferiore
del 70% rispetto alle case normali. In Italia c’è uno spreco di energia che si
potrebbe evitare perché le modalità di costruzione delle case sono
ecologicamente sbagliate5 non tengono conto nemmeno di leggi italiane che
già esistono a favore del risparmio energetico, in particolare la legge 9
gennaio 1991, n. 10, dove ad esempio leggiamo, all’art. 26, comma 3: “Gli
edifici pubblici e privati, qualunque ne sia la destinazione d'uso, e gli
impianti non di processo ad essi associati devono essere progettati e messi
4 Le considerazioni riguardanti il risparmio energetico presenti in questo paragrafo sono tratte in particolare dal testo di Maurizio Pallante Un futuro senza luce (vedi bibliografia), dal seminario tenuto da Paolo Ermani al circolo Alex Langer di Bologna nell’aprile del 2004 e dall’intervento di Pallante alla conferenza dei Verdi sull’energia tenuta a Bologna nel marzo 2006
5 In realtà il problema, sebbene presente da noi in modo accentuato, riflette una tendenza generale di tutta l’edilizia europea nel secolo scorso: “tra i fattori che possiamo ritenere responsabili di una decisa accelerazione del processo evolutivo nell’edilizia moderna in Europa, vi è senz’altro il tragico evento della Seconda Guerra Mondiale, che, in alcune aree, portò alla totale distruzione di una consistente parte di antichi e pregevoli edifici residenziali, costringendo nel dopoguerra ad una rapida ricostruzione, in economia di mezzi, di nuovi alloggi. […] La messa al bando del legno assunse, talvolta, addirittura il sapore di una vera e propria ‘crociata xilofoba’”, K. E. Lotz, La Casa Bioecologica, p. 55 (vedi bibliografia)
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in opera in modo tale da contenere al massimo, in relazione al progresso
della tecnica, i consumi di energia termica ed elettrica.” In Germania è più
forte la sensibilità verso il consumo di energia anche grazie all’attività del
Centro energia-ambiente (EUZ) di Hannover, nato nel 1981 da un gruppo
di militanti che si opponevano all’energia nuclerare, all’inizio guardato con
diffidenza, mentre ora molte loro proposte sono diventate legge (ad
esempio il tetto massimo per il consumo di kW/h per abitazione). Il loro
slogan dalle origini è es geht auch anders, cioè “c’è anche un altro modo”.
Un gruppo di persone acquistò allora un casa vicina ad un bosco a 25 km
da Hannover, che ora è uno dei più importanti centri europei di studio e
ricerca sulle energie da fonti rinnovabili. La prima casa acquistata dal
Centro energia-ambiente di Hannover era costruita nel modo tradizionale,
ma grazie alle ristrutturazioni fatte dopo si è raggiunto lo standard di una
casa passiva. Le case passive si stanno diffondendo in Germania, ora che
alcune idee del centro di Hannover sono diventate legge. In Italia la
situazione sembrerebbe più facile dal punto di vista climatico, ma quello
che manca è in realtà la coscienza collettiva di quanto sia importante
diminuire l’impatto energetico della nostra vita quotidiana.
Siamo di fronte a quello che Maurizio Pallante chiama il “secchio bucato”6:
la maggior parte di energia che consumiamo in Italia non alimenta i servizi
necessari, ma gli sprechi causati da utilizzi scellerati, a cui va aggiunta la
grande dissipazione durante la produzione e il trasporto di energia dalle
grandi centrali termoelettriche7. Il problema di fondo da cui partire è
dunque: come ridurre la richiesta di energia senza ridurre la disponibilità
per i servizi necessari? In questo modo il problema posto dal senso comune
italiano - come facciamo a produrre più energia? - viene totalmente
ribaltato, e questo è il presupposto ineludibile per ogni discorso sull’energia 6 M. Pallante, cit., pagg. 21-267 Una centrale a fonti fossili in media riesce a trasformare in energia solo un terzo del materiale usato, mentre due terzi vanno dispersi nell’aria contribuendo per il 30/35% all’inquinamento atmosferico totale italiano
13
che abbia un fondamento nella realtà, a meno che non si voglia fare
propaganda - che sia per il nucleare, per il carbone ma anche per le fonti
rinnovabili.
1.4 Educarsi alla decrescita
C’è un filo che lega il risparmio energetico ad altre attività umane praticate
in vari ambiti di tutte le epoche e di ogni parte del mondo. Possiamo citare
alcune di queste attività senza addentrarci per motivi di spazio:
l’autoproduzione di beni alimentari trasformati e non (prodotti dell’orto,
pane); la vendita diretta di questi beni che elimina la distribuzione (esiste
da sempre ma ora nelle città occidentali si chiamano gruppi d’acquisto); lo
scambio di prestazioni8 in cui non c’è il denaro come forma di mediazione
(anch’esso esiste da sempre ma ora si chiama banca del tempo); etc. Queste
attività hanno in comune una cosa: non fanno crescere il PIL, cioè il
Prodotto Interno Lordo di una nazione, pur essendo delle attività
produttive, anzi forse le principali attività produttive almeno da quando
esiste l’agricoltura. Perché il PIL cresca occorre che accanto alla
produzione reale ci sia un surplus di attività intermediaria, solitamente
legata al denaro, che sostenga una rete più complessa di relazioni lavorative
(la distribuzione è una di queste reti). Solo in questo caso, cioè quando il
bene acquista il valore di merce, il PIL lievita.
Un impianto di fitodepurazione che recupera le acque reflue, un sistema di
isolamento che recupera calore, mia mamma che compra le verdure dal
contadino che le produce a 2 km di distanza e ogni mattina passa con l’ape
8 Tra queste che ho chiamato “prestazioni” sicuramente c’è il lavoro di cura, che storicamente la cultura patriarcale ha considerato un lavoro inferiore, ma che in realtà rappresenta uno degli aspetti più belli ed utili delle relazioni umane, che non a caso le donne hanno saputo praticare e la storia delle donne ha saputo valorizzare. Su queste tematiche cfr tutti i volumi di Diotima, in particolare Diotima, La sapienza di partire da sé, Liguori, Na 1996; e anche L. Irigaray, Questo sesso che non è un sesso. Sulla condizione sessuale, sociale e culturale delle donne, Feltrinelli, Mi 1978 e tutto il filone storico, filosofico e politico che si rifà al pensiero della differenza sessuale
14
alle 7, i bambini che imparano da piccoli a fare il pane nelle fattorie
didattiche: tutto questo genera benessere, occupazione, guadagno, ma non
fa crescere il PIL. O meglio lo fa decrescere rispetto a tante attività diffuse
capillarmente nelle società capitaliste che hanno sostituito queste forme di
scambio (come ad esempio comprare frutta e verdura nei supermercati) in
quanto i consumi e le mediazioni, anche se non si eliminano totalmente, si
riducono notevolmente.
C’è allora un altro grande luogo comune da sfatare, cioè che la crescita di
occupazione sia legata alla crescita del PIL: basta prendere qualsiasi dato
ufficiale della disoccupazione italiana dal dopoguerra ad oggi, e
confrontarla con i dati di crescita del PIL, per capire quanto sia falso questo
luogo comune. Ma questi che ho citato sono solo alcuni degli esempi
possibili, altri sono appena nati, altri ancora saranno si spera la vera
innovazione tecnologica del futuro, quella che serve realmente alle persone,
altri invece aspettano solo di essere recuperati da un passato troppo presto
accantonato: la decrescita felice è solo agli albori!9
9 Il termine decrescita è la traduzione italiana della parola francese decroissance, coniata per definire un movimento politico e culturale che mette in discussione il concetto di sviluppo per come lo si è inteso fino ad ora nelle nostre società, soprattutto dal punto di vista economico. Il movimento della decroissance ruota intorno ad alcuni intellettuali che scrivono sul periodico francese Le Monde Diplomatique, tra cui in particolare Serge Latouche. In Italia, il testo più noto riguardante la decrescita è quello di Maurizio Pallante, La decrescita felice (vedi bibliografia)
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Figura 4
La sede centrale del Centro Energia-Ambiente (EUZ) di Springe, a pochi kilometri da Hannover, in Germania (foto paea)
2. Mobil: un’esperienza che si rinnova.
2.1 Storia e relazioni
La “Mobil”, o Casa Mobile, è una casa ecologica itinerante montata su un
Tir. Gira l’Italia dal 1995 e si ferma nelle piazze dove viene invitata. È
gestita dall’associazione Paea per conto dell’EUZ - Energie und
Umweltzentrum, Centro per l’Energia e l’Ambiente - di Springe, vicino
Hannover, che ne è proprietario (vedi foto a pag. 16). La funzione della
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Mobil, interna alle attività di Paea, è quella di mostrare e dimostrare come
ci sia un altro modo nella produzione, nella gestione e nel consumo di
energie e in generale nello stile di vita rispetto ai problemi delle risorse
ambientali. La Mobil lavora di solito da marzo ad ottobre, viaggia per
mezzo di una motrice e una volta arrivata a destinazione ha bisogno di due
giorni di montaggio (più uno di smontaggio alla fine delle attività). In
genere la gestione delle attività della Mobil, una volta aperta al pubblico,
necessita di almeno 4 operatori, che oltre a lavorare vivono, mangiano e
dormono all’interno della casa. I posti letto a disposizione sono 6, quindi
capita che spesso la Mobil ospiti, oltre agli operatori, volontari che
vogliano vivere questa esperienza.
L’obbiettivo della Mobil è comunicare, informare e sensibilizzare i
visitatori sul risparmio energetico, sull’efficienza energetica e sulle energie
rinnovabili, in modo indipendente e corretto, così che essi possano
riproporre nel loro quotidiano le soluzioni ecologiche presentate.
Una delle esperienze più importanti della Mobil è quella legata alle scuole
e all’educazione ambientale: durante la mattina infatti gli operatori sono
per lo più occupati ad accogliere i ragazzi che arrivano dalle scuole
circostanti, dalle elementari alle superiori, e questa è una grande possibilità
e allo stesso tempo un grande impegno per gli operatori e per
l’associazione tutta.
Ho avuto la fortuna, durante i giorni in cui ho “soggiornato” nella Mobil, di
condividerne alcuni con Paolo Ermani, il presidente e fondatore
dell’associazione che è anche uno dei maggiori conoscitori in Italia di
queste tematiche, e con Silvia Lacertosa, la responsabile della didattica che
è diventata per me un punto di riferimento costante durante tutto il mio
tirocinio con Paea. Delle attività didattiche di Silvia parlerò più avanti. Ora
farò un breve riassunto “tecnico” di quella che è nel dettaglio la Mobil –
Casa Ecologica: in questo modo avrò l’occasione di affrontare nello
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specifico alcune delle soluzioni pratiche sperimentate da Paea, che sono gli
strumenti concreti con cui agire l’altro modo (e l’altro mondo) possibile.
Prima di questo però mi preme sottolineare una cosa, cioè che l’esperienza
della Mobil, vissuta dall’interno, non è e non potrebbe essere solo
un’attività lavorativa (sebbene il lavoro da fare sia molto impegnativo),
perché è anche un’esperienza di condivisione e di confronto, di amicizia e
di relazioni umane che si instaurano in breve tempo grazie allo stretto
contatto in cui ci si trova. Per questo la Mobil è anche una “palestra” per
l’ecologia delle relazioni tra le persone, condizione necessaria perché tutto
il resto funzioni. Non è un fatto trascurabile, e non sempre è facile
affrontare questo aspetto, considerata anche l’abitudine sempre più
individualista e atomizzante a cui ci sta portando questa fase dello sviluppo
capitalista.
E ora, i dati tecnici.
Figura 5
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La Mobil vista da fuori durante la tappa di Viterbo del 2005 (foto mia)
Figura 6
La Mobil vista da dentro da un suo giovane visitatore. In primo piano sulla sinistra, accanto al televisore si possono notare le centraline di controllo e l’inverter (foto paea)
2.2 La Mobil - Casa ecologica
“so’ ecologico, c’ho cinque bambini, vi capisco in senso reale”
Uomo col casco,
26 sett 2005, h 23
“io dipendente cosa ti posso insegnare figlio?”
Uomo dell’agriturismo,
1 ottobre 2005, h 17
20
Sono arrivato nella piazza di Viterbo, dove si trovava la Mobil, nel
pomeriggio del 25 settembre 2005. La mattina successiva, Paolo ci ha fatto
una lezione dettagliata su tutti i singoli particolari della casa. Quello che
riporto qui proviene per buona parte dalla sua lezione, con alcune
integrazioni per lo più provenienti dalla lezione dell’arch. Alberto Nadiani
interna alla didattica del Master (tuttavia la responsabilità delle
interpretazioni e delle considerazioni generali sono mie).
La Mobil è stata a Viterbo dal 23 settembre al 9 ottobre 2005, invitata
dall’Università della Tuscia all’interno della manifestazione “Obiettivo
Uomo-Ambiente” per festeggiare il ventennale della sua esistenza.
I tempi di allestimento della Mobil come detto richiedono due giorni di
montaggio e uno di smontaggio, quindi i giorni di apertura effettiva al
pubblico in questo caso sono stati 14.
2.2.1 Orientamento: lato Nord
Iniziamo il viaggio attraverso la Mobil dalla parte Nord. La parte Nord è
quella parte della casa dove vengono esposti i materiali e gli esempi
dell’isolamento termico. Il motivo dovrebbe essere chiaro, ma Paolo ci ha
consigliato, soprattutto quando si ha a che fare con i ragazzi, di chiedere
loro il motivo di questa disposizione. Il motivo è ovviamente che la parte
Nord di una casa è quella dove batte di meno il sole, quindi nella logica di
un’edilizia sostenibile dovrebbe essere quella con meno finestre, quella
dove si dimora di meno nelle ore diurne e quella in cui assume la massima
importanza l’isolamento termico.
Iniziare la lezione da Nord significa quindi porre subito l’attenzione su
quella che dovrebbe essere la prima cosa da fare per risparmiare energia:
ridurre gli sprechi facendo delle scelte oculate soprattutto nella fase di
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costruzione delle case, dato che soluzioni errate di orientamento o di
materiali usati sono il primo motivo, almeno in Italia, di inquinamento
derivato dagli edifici residenziali, e nello stesso tempo causa di inutili
sprechi economici per le persone che andranno ad abitare queste case. Se
una casa è costruita quanto più possibile secondo i criteri della bioedilizia,
dopo si avrà sempre meno bisogno di grandi consumi per riscaldarla
d’inverno o di condizionatori per raffreddarla d’estate.
Accanto alla porta d’entrata del lato Nord della Mobil, si trova
l’esposizione dei materiali isolanti e tre esempi di isolamento esterno delle
pareti, perché prima delle energie rinnovabili è importante costruire la casa
usando la testa: esporre verso sud gli ambienti più frequentati di giorno per
avere il massimo di luce e di calore, isolare i muri nel modo migliore
possibile, se si può coibentarli con materiali naturali (sughero, fibra di
legno, cellulosa, canapa, etc) che sono molto più salubri ed ecologici, sia
durante l’abitazione dell’edifico sia nel ciclo produttivo, rispetto ai
materiali sintetici (polistirolo, poliuretano, polistirene, che guarda caso in
Italia sono i più usati). Se i muri sono già stati fatti si possono fare i
cosiddetti “cappotti”. L’esposizione della Mobil presenta molti di questi
materiali, ecologici e non, evidenziando le differenze anche attraverso i
pannelli esplicativi: la cellulosa, ad esempio, che è tra i materiali più
economici ed ecologici, è molto usata in Germania, mentre in Italia, tra i
materiali naturali, la scelta preferita è la fibra di legno. In ogni caso, nella
scelta dei materiali dovrebbe contare anche la reperibilità per evitare i
grandi spostamenti di merci, per cui...ogni zona ha i suoi materiali migliori.
Tra i materiali più vantaggiosi in assoluto da tutti i punti di vista c’è la
canapa, che tuttavia è poco utilizzata per oscuri motivi. In generale, i
materiali naturali hanno bisogno di uno spessore un po’ maggiore per avere
la stessa efficienza dei derivati del petrolio, ma il danno derivante dal
22
rilascio di sostanze tossiche durante la lavorazione e lo smaltimento dei
materiali sintetici dovrebbe indurre ad abbandonare questa soluzione10.
La parte Nord della Mobil presenta inoltre le dimostrazioni di altri due
sistemi fondamentali per la bioedilizia: la ventilazione e i tripli vetri. Tra i
sistemi di ventilazione, la maggiore efficienza si ottiene attraverso la
ventilazione forzata, che sfrutta il calore degli ambienti interni: l’aria calda
che proviene dall’interno della casa viene fatta uscire dalla casa all’interno
di tubature che lambiscono altre dove l’aria si sposta in direzione inversa
(dall’esterno verso l’interno), cedendogli in questo modo il calore. In una
casa già isolata la ventilazione forzata può dare un risparmio fino al 70%, e
in ogni caso è necessaria per le case passive. I tripli vetri sono i mezzi
necessari per avere la finestra ad alto isolamento termico, e nella Mobil
sono esposti sempre sul lato Nord attraverso un piccolo modello
dimostrativo, mentre all’interno della casa le finestre vere hanno i doppi
vetri con l’aggiunta di uno schermo chiamato “acetato” (che è un buon
sostituto del terzo vetro dal punto di vista economico e della facilità di
applicazione, anche se il rendimento ovviamente non è lo stesso). Ma il
clima italiano, nelle zone più calde, permette di avere un alto rendimento
anche con i doppi vetri. Da evitare è il vetro singolo, che è praticamente
inutile, e anche il posizionamento delle finestre vicino alle fonti di calore.
In alcune finestre, tra un vetro e l’altro si usano dei gas nobili che sono
trasparenti e aumentano l’efficienza termica.
10 In realtà sono tante e complesse le motivazioni per cui occorrerebbe scegliere accuratamente i materiali di costruzione degli edifici, e tali motivi sono il fondamento degli studi di bioarchitettura e bioedilizia. “Gli elementi dell’involucro e i materiali edilizi che lo costituiscono dovrebbero favorire la vita, partecipando e mantenendo attivi i processi biologici, come ad esempio la degradazione biochimica delle sostanze tossiche che si accumulano nell’abitazione. […] Tra i fattori negativi che agiscono negli ambienti edificati sui processi vitali, vi è senza alcun dubbio la riduzione della radiazione di fondo. Tale riduzione, unitamente agli effetti cosmico-atmosferici e biometereologici (influenze atmosferiche che si riflettono sull’organismo), può costituire un pericolo per la salute degli abitanti”, Lotz, cit., pagg. 45-47
23
Figura 7
Pannello dimostrativo dei materiali isolanti, posto sul lato Nord della Mobil (foto mia)
24
Figura 8
Modello di isolamento delle pareti (foto paea)
2.2.2 Dentro casa
L’interno della casa mobile è non solo il luogo dove si mostra l’ambiente
domestico di una casa ecologica, ma è quello dove vivono realmente gli
operatori durante i giorni di lavoro, per cui assume un’importanza centrale
durante le visite. Il privato, gli stili di vita della Mobil, si aprono qui ai
visitatori: le tecniche per la raccolta differenziata, i detersivi ecologici, gli
alimenti biologici e vegetariani, le vernici naturali delle pareti, etc. Accanto
a questo si possono osservare le tecnologie più propriamente legate al
risparmio energetico che fanno parte dell’ambiente interno di una casa: le
lampade a basso consumo energetico, le “ciabatte” con pulsante per
eliminare lo spreco degli stand-by, la lavatrice di classe A, il serbatoio
interno dei pannelli solari termici (che trattiene meglio il calore dell’acqua
in quanto è meno esposto ad intemperie).
25
L’intero fabbisogno di energia elettrica della Mobil viene ricoperto dai
pannelli fotovoltaici e dalle pale eoliche, il cui utilizzo combinato rifornisce
la casa della potenza di un kilowatt. Nell’interno della casa si possono
osservare gli strumenti alimentati direttamente da sole e vento, cioè lo
stereo, la tv, le lampadine e la pompa di circolazione del solare termico:
tutti questi strumenti possono essere alimentati a corrente continua, quindi
ricevono direttamente l’energia dei pannelli e delle pale eoliche in quanto
hanno bisogno di un basso voltaggio. Il resto invece, in particolare i grossi
elettrodomestici in cui la circolazione di energia elettrica funziona ad un
voltaggio più alto, per sfruttare l’energia solare ed eolica necessitano di un
trasformatore (inverter) che aumenta il voltaggio. Accanto ad esso si trova
una centralina di controllo che segnala quando la produzione o il consumo
sono troppo alti, attraverso le vibrazioni o il suono dei dispersori (vedi
figura 6). Sotto il pavimento, infine, è collocato l’accumulatore di energia
elettrica, necessario in questo caso perché la Mobil per ovvi motivi è
staccata totalmente dalla rete elettrica nazionale.
Un discorso molto importante che si affronta dentro casa sia nelle
spiegazioni sia attraverso i pannelli informativi, è quello sull’importanza di
limitare consumi inutili di elettricità per cattivo utilizzo o per inefficienza
degli elettrodomestici. Rientra in questo discorso la scelta di frigoriferi,
lavatrici e lavastoviglie a basso consumo, ma in generale l’uso ragionato
dei mezzi tecnologici per limitarne i consumi inutili. Per fare un esempio
dei più usati, il congelatore consuma circa il 60/70% di elettricità di un
frigorifero totale, sarebbe meglio quindi comprarlo a parte per staccarlo
quando non lo si usa, considerato che di solito è meno necessario
quotidianamente rispetto al frigorifero. Allo stesso modo, si può riscaldare
l’acqua per la lavatrice senza utilizzare l’energia elettrica (ad esempio col
solare termico), se la lavatrice ha un attacco esterno per l’acqua calda, visto
26
che uno dei consumi maggiori di energia elettrica in una casa è quello
legato al riscaldamento dell’acqua.
2.2.3 Orientamento: lato Sud
Se il lato Nord viene considerato di massima importanza per il discorso del
risparmio energetico, tuttavia il lato Sud è quello più spettacolare e da cui
tutti sono fatalmente attratti: per questo motivo, lasciarlo come parte finale
della visita didattica è un piccolo stratagemma per tenere alta l’attenzione!
Il lato Sud, essendo quello maggiormente esposto al sole, presenta alcune
forme possibili di utilizzo del calore e della luce solari. Un tempo la Mobil
aveva in dotazione anche una serra per il solare passivo, cioè per favorire la
crescita del giardino che dovrebbe fungere da schermatura termica naturale,
ma la complessità del trasporto di questo sistema nella Mobil ha portato a
rinunciarvi. Ci sono ancora invece i collettori solari per l’acqua calda, una
parte ad alta efficienza, quelli cioè col serbatoio interno alla casa (come
abbiamo visto), più un altro di 2 metri quadri con il serbatoio esterno, che
si utilizza soprattutto per mostrare da vicino ai visitatori il suo
funzionamento, in particolare l’alta temperatura che può raggiungere
l’acqua riscaldata dai collettori e depositata nel serbatoio (boyler). Quindi
ci sono le celle dei pannelli fotovoltaici, circa 8 metri quadri divisi
anch’essi in due parti, una a terra quindi più vicina ai visitatori per mostrare
da vicino come sono fatti; un’altra parte sul tetto, quella che attiva la
pompa del solare termico, in combinazione alle pale eoliche della
lunghezza di un metro ciascuno che campeggiano alla sommità della
Mobil11. Il forno (figura 11) e la cucina solari, spesso utilizzati per i pasti 11 L’utilizzo dell’energia eolica è uno dei temi più controversi e dibattuti tra quelli legati alle fonti rinnovabili di energia. Senza entrare troppo nel merito dell’argomento, possiamo dire qui che le palette
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dei “mobiliani”, concludono il set di tecnologie legate all’utilizzo delle
fonti solari.
Sempre su questo lato, sotto una piccola tettoia adiacente ai pannelli solari,
c’è la zona dedicata al risparmio idrico (figura 14), con un serbatoio per la
raccolta di acqua piovana e i rubinetti per le dimostrazioni didattiche.
2.2.4 Banchetto e pannelli informativi
Un lavoro molto importante è quello del banchetto, che viene di solito
posizionato sul lato Est, in uno spazio aperto sotto un grande tendone che
funge da copertura contro le intemperie. Si trova qui tutta la
documentazione cartacea di PAEA, dalla bibliografia sui temi ecologici ai
depliant informativi, e anche vari tipi di giochi solari, i rompigetto areati
per il risparmio idrico e altri oggetti per il risparmio energetico. Ma
soprattutto spesso è questo il punto del primo contatto umano tra i visitatori
e gli operatori, nonché luogo di grandi discussioni sui massimi sistemi con
gli abitanti delle città dove viene ospitata di volta in volta la Mobil. Del
resto, causa il continuo aumento di bollette ma anche il formarsi di una
coscienza condivisa sulle problematiche ecologiche, le persone sono
sempre più interessate da quello che presenta e rappresenta la Mobil. Per
questo motivo l’impegno relazionale durante i giorni della Mobil è forse la
cosa più faticosa e più delicata.
Accanto al banchetto vengono di solito posizionati i modelli dimostrativi
dei tripli vetri e dell’isolamento a fibra di legno e il motorino elettrico
caricabile con batteria solare (che viene ricaricato e fatto partire quando c’è
un surplus di energia elettrica in casa). Ma soprattutto, su tutti i lati del eoliche della Mobil mostrano come l’utilizzo ‘micro’ di energia eolica sia sostanzialmente neutro dal punto di vista dell’impatto ambientale.
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banchetto ma non solo qui, ci sono i pannelli informativi, che assumono un
grande valore formativo anche per gli operatori della Mobil, dato che
contengono informazioni preziose su tanti argomenti diversi, che è difficile
conoscere tutti a fondo, e sostituiscono quelle soluzioni ecologiche che per
impossibilità di spazio non ci sono o non ci sono più all’interno della
Mobil. Su questi pannelli si trovano informazioni chiare e dettagliate sulla
cogenerazione, le biomasse, le case passive, la ventilazione, la
fitodepurazione, l’inquinamento elettromagnetico, il ciclo dei rifiuti, le
microturbìne idroelettriche e altri argomenti ecologici più generali.
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Figura 9
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Figura 9. Le pale eoliche che alimentano Borgo Cardigliano nel comune di Specchia (Le). L’impianto fa parte di un progetto più ampio di recupero di un vecchio villaggio costruito durante il ventennio fascista e lasciato abbandonato per anni. Ora è un centro turistico- residenziale interamente alimentato attraverso fonti rinnovabili. Queste pale, lunghe 15 metri, sono poste in cima ad una collina e lontane dal centro abitato in modo da non arrecare disturbi visivi né sonori (foto mia)
Figura 10
Figura 12
La Mobil, vita e opere. Nella prima immagine (figura 10, foto mia) un momento di pausa in cui alcuni mobiliani si preparano da mangiare. Accanto (figura 11, foto paea) il forno solare in funzione e sotto (figura 12, foto paea) un’immagine d'insieme dei pannelli o collettori solari termici per il riscaldamento dell'acqua - sono quelli più scuri e più in alto - e dei pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica, che sono quelli in basso a sinistra nella foto e di cui si può notare la tinta azzurrina variegata delle celle in silicio.
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Figura 11
3. Energie per educare all’energia.
Confuso ed eccitato dai primi giorni di Mobil e soprattutto dalle prime
“lezioni” che mi sono trovato a fare, ho tentato di fare ordine nella mente
tenendo un diario didattico abbastanza preciso di quello che mi è capitato,
redatto mentre mi trovavo ancora in Mobil. Lo riporto quasi fedelmente
perché mi sembra che molte cose che vorrei dire o raccontare sono già
racchiuse in quelle pagine e perché mi sembra la cosa migliore riportare qui
la freschezza di quei momenti. Emergono infatti tra le altre cose i lati
problematici legati alla didattica, molti dei quali li sto ancora affrontando
nella pratica di educatore. Tutti questi problemi inoltre hanno trovato in un
certo modo terreno fertile durante il Master, durante le lezioni, i seminari e
nei discorsi tra noi compagni e compagne, e quello che ho fatto con PAEA
non può prescindere dalle tantissime cose che ci sono passate durante
quell’anno. Per questo motivo, prima dei diari, dedico una piccola
riflessione su alcuni momenti per me salienti della didattica del Master.
3.1 Didattiche on the road
La cosa che ha collegato strettamente il mio tirocinio a PAEA con il resto
dell’esperienza di Master è stato il viaggio. Con PAEA abbiamo avuto
laboratori in Lazio, Abruzzo, Emilia, col Master ci siamo spinti a seguire
seminari da un capo all’altro dell’Italia centrosettentrionale, dall’Umbria al
Trentino fino alle alpi piemontesi al confine con la Francia. Tutto questo, al
di là della grande fatica fisica che in alcuni momenti mi ha portato quasi al
collasso, mi ha permesso di conoscere seppur limitatamente problematiche
territoriali e contesti sociali diversissimi. Credo che sia stata questa la carta
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vincente, almeno dal mio punto di vista, del corso che ho frequentato, cioè
la possibilità della conoscenza diretta. Soprattutto perché ci troviamo in un
momento storico in cui troppo spesso prevale il sapere mediato dai mezzi
informatici, a scapito del contatto immediato con la realtà. Senza voler
santificare il Master in Educazione Ambientale, che come tutti gli altri ha
dei grossi problemi legati in primo luogo alla burocrazia, tuttavia la
formula dei seminari residenziali ci ha permesso a mio avviso tutto questo,
e accanto a questo la partecipazione emotiva alla vita dei luoghi e delle
persone che ci lavorano, e non ultima la condivisione tra noi studenti di
queste esperienze.
I seminari residenziali, molto diversi tra loro, hanno avuto infatti un
constante trait d’union che è stato quello del doversi mettere in gioco da
parte nostra, del provare a scalvalcare i limiti interiori di ciascuno
attraverso i diversi approci proposti, da quelli emozionali a quelli più legati
al dialogo, da quelli teatrali e artistici a quelli in cui doveva emergere
maggiormente l’attività psicofisica. È stata credo una grande occasione per
“imparare ad imparare” (come dice una canzone) cioè per educare se stessi
in modo da riproporre come modello educativo qualcosa che abbiamo
sperimentato in prima persona e non solo imparato sui libri o con le lezioni
frontali. E oltre a questo, poter capire quali sono gli ambiti d’azione e le
modalità che ciascuno trova più consone al proprio essere, senza per questo
ignorare gli altri approcci. Del resto si sono affacciate subito le resistenze a
questi tipi di esperienze, le difficoltà di mettersi in gioco sempre, di
lasciarsi andare, specialmente quando si toccavano corde delicate o
problematiche per qualcuno, perché anche i momenti conflittuali e negativi
fanno parte dell’educazione e delle esperienze di vita in generale.
Tutto questo poi ha messo in luce i limiti degli approcci unidisciplinari alla
complessità dell’esistente anche quando si ha a che fare con quello che
chiamiamo “ambiente naturale”, la complessità delle relazioni nei territori e
33
la necessità di saper ascoltare i diversi linguaggi che essi parlano. Per
questo per me ha assunto ancora più importanza poter agire sui temi
ecologici dall’interno del contesto sociale, anche quando questo presenta
veramente poco di “ecologico”. Ma proprio per questo la partita necessita
di essere giocata, pur nel rischio di essere assorbiti dalla negatività, dallo
stress e dalla cattiva qualità delle relazioni.
Ma al di là delle concezioni nostalgiche negative di nature incontaminate,
al di là della necessità di parlare di ecologia all’interno di città frenetiche e
puzzolenti, al di là della rarefazione dei rapporti sociali e naturali…al di là
e nonostante tutto questo, quello che mi rimarrà soprattutto delle esperienze
educative dei seminari sono le tracce nella memoria dei momenti condivisi,
la gioia dello stare insieme e i sensi aperti alle cose fantastiche che abbiamo
vissuto e che dimentichiamo troppo spesso di avere a disposizione: il
silenzio della campagna di notte dopo una giornata di lavoro, il colore delle
nostre estati sulle alpi, il volo planare di un’aquila che ci viene a salutare
sulle nostre teste…e tutto il resto, quello che è difficile descrivere con le
parole.
3.2 Primo giorno di lezione - quarto giorno di Mobil (29/9/2005)
In mattinata arriva a sorpresa un gruppo del liceo artistico di Viterbo. Non
ha prenotato ma ci chiede se possiamo fare uno strappo alla regola. Silvia e
Marta [le operatrici ufficiali] sono già impegnate con le classi prenotate e
stanno per iniziare, quindi dovrebbero strafare per accogliere anche la loro
richiesta. Quando i professori delle classi non prenotate arrivano al
banchetto a fare la loro richiesta ci siamo Marta ed io seduti, e Francesco [il
giovane ingegnere volontario] poco più in là. Mi viene in mente che
potremmo fare la lezione io [lo stagista] e Francesco insieme, penso che è
34
un buon modo per cominciare per noi, e mi sento anche meno
responsabilizzato per il fatto che è una classe che non ha prenotato (quindi
si devono accontentare di un servizio di qualità più bassa!). Ho un po’ di
ansia ma anche di eccitazione, alla fine dopo un po’ di trambusto ci
accordiamo e aspettiamo che le altre classi finiscano il giro. Nel frattempo
rifletto un po’ tra me e me e alla fine giungo alla conclusione che non c’è
niente da ripassare, in quanto ci sarebbe troppo da sapere e sono troppo
poche le cose che so...
Poco prima di iniziare, con Francesco prendiamo qualche piccolo accordo e
aspettiamo che i ragazzi siano pronti. Nel frattempo mi viene in mente il
discorso delle pelli. È il concetto metaforico di Lotz12, secondo cui noi tutti
abbiamo tre pelli: la prima, quella reale della nostra epidermide; la seconda,
che sono i vestiti che ci mettiamo addosso; la terza, che è la casa in cui
abitiamo. Se ognuna di queste pelli noi la maltrattiamo, se le impediamo di
svolgere le sue funzioni, che sono quella di farci sentire il mondo esterno,
di metterci in contatto con esso, e quella di respirare, i nostri “ambienti”,
interno ed esterno, diventano malsani. E noi stessi, che siamo parte di
questo ambiente, ci ammaliamo di varie malattie. In realtà mi viene in
mente adesso che di “pelli” ce ne sarebbero molte di più: i nostri quartieri, i
nostri paesi o città, e via dicendo, il contesto sociale, quello biologico, il
mondo, etc. Il punto fondamentale di questo discorso è che noi siamo parte
di questi contesti, non ne siamo fuori: NOI SIAMO QUESTE PELLI!
Credo che sia così semplice come concetto quanto al contrario sia difficile
capirlo per chi nel frattempo sta interiorizzando involontariamente
messaggi del tutto opposti, quelli soliti dell’individuo “autonomo” che deve
essere sufficiente a sé stesso e combattere contro il mondo esterno per
12 Lotz, op. cit., pagg. 25-30
35
sopravvivere, frutto della propaganda scientista quotidiana e di una
distorsione ideologica delle teorie positiviste.13
Di tutto questo ho un po’ paura e me ne rendo conto dalle prime reazioni
dei ragazzi. Infatti inizio io la lezione, ci presentiamo sia io che Francesco,
e parto subito dicendo che noi due siamo due abitanti di questa “astronave”
venuta qui per attirare l’attenzione su quello che succede ogni giorno nelle
nostre case e per far vedere come si possa vivere senza inquinare e
distruggere. Dopo questa premessa introduco subito la metafora delle pelli
in forma di domanda: “quante pelli abbiamo?” Mi si presentano di fronte
subito le facce tipiche di chi dice più o meno così: “e che cavolo ne so io?”
“mannaggia, come si risponde a questa domanda?” “qual è la risposta
giusta?” “che devo dire?”
Non mi sembra di notare nessuno che stia liberando l’immaginazione per
vedere dove può andare a finire. A parte un paio di ragazzi dietro che
sfottono e si sfottono e qualcuno che pensa ad altro, per il resto la
situazione è questa, e mi campeggiano di fronte gli occhi delle tante
ragazzine adolescenti di questa classe che guardano diffidenti i miei. Dopo
aver spiegato la metafora, mi parte l’omelìa ambientalista, da lezione
frontale e moderatamente estremista, che va giusto a salvarsi in calcio
d’angolo nell’angolo alla mia destra dove ci sono i materiali
dell’isolamento termico, a cui in realtà accenno soltanto perché sono troppo
preso dalle mie divagazioni teoriche per riuscire a puntare l’attenzione su di
essi e accorgermi che sarebbe bello fargli osservare da vicino i materiali,
spiegandone vizi, virtù e differenze. Mi sarebbe anche stato comodo questo
approfondimento, perché dopo un po’ la mia pretesa autosufficienza teorica
13 Cito a mia discolpa un concetto tratto dalla lezione di Michaela Mayer durante il Master e da me rielaborato negli appunti: “al di là dei falsi dibattiti sul darwinismo, occorre riconoscere e comprendere il senso dell’evoluzione nelle sue differenze in base ai contesti, e la concezione evolutiva dei processi naturali e sociali nella differenza tra legge e vincolo: solo in questo modo si potrà passare da una pedagogia che si fonda su processi pavloviani e comportamentisti di condizionamento ad un approccio sociocritico, attraverso cui innescare dinamiche generali e consistenti di cambiamento, in cui rientrano le emozioni come la riflessione sulla società e sulla cultura”
36
inizia a svanire, ma per fortuna mi viene in aiuto Francesco che ha una
formazione scientifica e una impostazione molto più rigorosa della mia, e
inoltre sa dire le cose con calma. Viriamo verso l’interno della casa - ci
trovavamo allora sul lato Nord - e aspettiamo che i ragazzi si dispongano
nel modo più comodo. Continua a parlare Francesco e inizia a spiegare la
produzione dell’energia e il funzionamento degli elettrodomestici. Alcuni
ragazzi sembrano incuriositi da certi particolari, mentre la maggior parte
vagabonda con gli occhi e con i pensieri. Francesco fa secondo me una
corretta lezione frontale. Quando esaurisce gli argomenti, intervengo
sfruttando la mia vicinanza alla finestra facendo notare il sistema dei tripli
vetri. I ragazzi sembrano un po’ più incuriositi del solito, forse il passaggio
da un relatore a un altro ha ravvivato qualche neurone. Ho la tensione
abbastanza alta, non so se nel momento me ne rendevo conto totalmente,
Francesco ha la prontezza di andare a prendere il kit portatile
esemplificativo dei tripli vetri e io mi addentro nel discorso. Mi trovo
fisicamente tra di loro, non più di fronte, e la cosa facilita l’interazione14.
Chiudo il discorso in modo scoordinato, dicendo che se noi mettiamo un
termosifone sotto una finestra a vetro unico, facciamo una cosa inutile
perché regaliamo il calore all’aria, quindi consumiamo inutilmente e
contribuiamo allo spreco di risorse che sta distruggendo il mondo!
Quest’ultima affermazione in realtà mi scappa, ma è indicativa della mia
scarsa padronanza degli strumenti comunicativi. Un ragazzo che si trova a
non più di un metro da me borbotta qualcosa, mi sembra di afferrare la
parola “terrorista”. Finalmente qualcosa che non passa indifferente!
L’emozione che ho trasmesso è negativa, ma viene fuori seppure molto
trattenuta da parte sua e in modo quasi involontario da parte mia, però ho la
prontezza di non lasciare cadere questa reazione timida e cerco di ritornare 14 Sempre dalle lezioni del Master, questa volta gli appunti delle lezioni di Giovanni Borgarello nella splendida cornice di Pracatinat: “La disposizione dei banchi e delle sedie nelle aule durante le lezioni è di fondamentale importanza. Non deve essere la nuca del compagno il ricordo principale che il ragazzo porterà a casa. Invito implicito al dialogo orizzontale, per intenderci…”
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su quello che volevo dire. E’ l’unico momento in cui riesco veramente a
fare i collegamenti, portando il discorso del risparmio energetico verso
quello più generale della produzione di energia e della situazione politica
legata ad essa. Dico testualmente: “le guerre non si fanno per i terroristi,
ma perché c’è il petrolio da controllare”. È la cosa principale, seppur
pericolosa, che volevo dire, e alla fine in qualche modo sono riuscito a
farlo, ma non volevo dirla così. Una ragazzina, che si trovava tra me e il
ragazzo di prima, mi guarda illuminata anzi come se le avessi acceso una
lampadina già presente ma spenta, mi guarda annuendo con una faccia
diversa da tutte le altre e dalla sua stessa di prima, come se avesse
compreso tutta la faccenda di cui si sta parlando...è in fondo, ma questo è
un mio parere, la faccia più intelligente che abbia notato durante questa
lezione.
Chiuso questo teatrino, ci spostiamo dalla parte Sud e concludiamo con le
dimostrazioni dei pannelli, dell’eolico e del risparmio idrico. Soprattutto in
quest’ultimo l’interesse cresce un po’, e tutto sommato la lezione finisce in
modo abbastanza sereno e positivo, considerato che è la prima lezione sia
per me che per Francesco.
3.3 Secondo giorno di lezione - quinto giorno di Mobil (30-9-2005)
C’è un’invasione di scolaresche stamattina alla Mobil. I primi ad arrivare
sono dei ragazzi della scuola media che hanno prenotato, e la situazione è
così incasinata che non mi posso tirare indietro, anche se per un po’
tentenno dato che ho molta paura di affrontare i ragazzi di questa età. Alla
fine accetto e mi ritrovo a dover fare lezione ad una trentina di studenti, da
solo e per un’ora intera. Mi posiziono sulle scale del lato Nord e inizio
subito chiedendo secondo loro cosa ci stiamo a fare qui, in una piazza della
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loro città. Nessuno mi risponde ovviamente, allora continuo io
introducendo la metafora delle pelli. Mi sento abbastanza di buon umore e
questo credo che un po’ traspare anche se la reazione alla domanda sulle
pelli è più o meno la stessa del giorno prima. Questa volta però mi richiama
subito alla sua attenzione una delle insegnanti, la più vicina a me,
preoccupata del fatto di rispondere nel modo giusto, e inizia a pensare (da
insegnante) a quanti strati di epidermide ricoprano la nostra carne. Non la
tiro troppo per le lunghe e concedo la risposta illuminante, al che la prof si
tranquillizza una volta capito lo scarto metaforico. Anche i ragazzi lo
capiscono ma le loro facce non mi sembrano né più sveglie né più
interessate di prima.
Sostiamo pochissimo a Nord, ignoro quasi totalmente i materiali isolanti e
li invito ad entrare in casa. Avevo accennato poco prima ad una cosa che
mi era venuta in mente il giorno prima mentre riflettevo tra me, cioè avevo
esplicitato la difficoltà del fatto che spesso avrei detto cose che li potevano
lasciare interdetti, o comunque che di solito non sentivano, e per questo li
avevo invitati a loro volta ad esplicitare i loro eventuali dubbi. Forse questo
ha motivato un po’ di più qualcuno di loro ad intervenire, in generale
comunque, specie dentro la casa, sono stati molto più partecipi rispetto alla
classe di ieri (magari in questo contava anche la differenza di età).
Soprattutto sono state partecipi le insegnanti, anche in modo troppo
invadente secondo me dato che spesso anticipavano le risposte e i
ragionamenti dei ragazzi. Un ragazzo, il più sveglio e interessato, ha
parlato dei suoi pannelli solari e mi ha messo in difficoltà chiedendomi
delle minuzie tecniche sulla centralina della pompa del solare termico che
si trovava lì nell’interno della casa (e che io avevo praticamente ignorato
fino ad allora). C’è stata qualche domanda soprattutto mentre parlavamo
della malsanità delle temperature nei condomini e delle scelte sbagliate che
le causano.
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Il tempo è passato abbastanza in fretta e ne abbiamo avuto poco per la parte
a Sud, a cui in generale sono sembrati interessati a parte quando, molto
spesso, si distraevano e pensavano ad altro, un po’ per la mia incapacità di
attirare la loro attenzione, un po’ per la distrazione delle insegnanti che mi
stavano alle calcagna, mi riempivano di domande di interesse personale e
dimenticavano di far partecipare i loro studenti. Ma in generale credo che ci
siamo stati simpatici, sia con le insegnanti che con i ragazzi (credo).
*************************
A metà mattinata la situazione è peggiorata con l’arrivo di due pulmann di
scuole romane che non avevano prenotato15. Ho visto Silvia stanchissima e
le ho proposto di sostituirla per metà giro. Avevo notato una delle
professoresse che aspettavano, era una ragazza (all’inizio non ero
nemmeno sicuro che non fosse un’alunna) e a un certo punto sono andato a
chiederle se stavano aspettando, e mi ha risposto scocciata che avevano la
prenotazione per le 11. Dopo un po’ siamo riusciti a fatica e un po’ alla
volta ad iniziare i giri, sia per le classi prenotate che per le altre, e quando
ho sostituito Silvia per la seconda metà del giro c’era la prof giovane e
un’altra insegnante più anziana che partecipavano alla lezione.
L’insegnante più anziana era molto cordiale e stimolava i ragazzi a
partecipare, lei era chiusa in un mutismo irritante ed evidentemente
infastidito. Ho assistito all’ultima parte della lezione di Silvia, stavamo
dentro e faceva molto caldo, i ragazzi erano attenti ma mi sono sembrati
subito molto problematici. Il clima che respiravo in mezzo a quel contesto
era di un conformismo asfissiante, ma non saprei nemmeno dire da cosa mi
proveniva quella sensazione. Ho colto al volo il discorso del calore interno
15 A scanso di equivoci, la Mobil accetta solo scuole prenotate, ma a Viterbo c’è stato un fraintendimento con la segreteria dell’università che raccoglieva le prenotazioni e ci siamo ritrovati con una mole imprevista di lavoro da fare.
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al luogo dove ci trovavamo, e subito dopo che Silvia si è congedata da loro,
ho introdotto il discorso dell’effetto-serra. Siamo usciti e ci siamo diretti
verso Sud, ci siamo fermati davanti al pannello solare termico. Ho invitato i
ragazzi a disporsi a semicerchio di fronte al pannello e ho fatto un parallelo
tra due tipi di fenomeni simili ed opposti: l’effetto serra stupido, quello che
creiamo noi con l’eccessiva emissione di anidride carbonica nell’atmosfera
e che ci sta facendo sempre più rosolare dal caldo; e quello intelligente, che
è quello attraverso cui agisce il sistema dei collettori solari. I ragazzi erano
interessati ma non stimolati a partecipare, si sono un po’ ravvivati quando
ho fatto loro vedere l’acqua bollente che usciva dal serbatoio del boyler,
dimostrazione dell’efficacia dell’impianto solare termico. Ero molto più
“clownesco” del solito, anche se o forse proprio perché la situazione mi
sembrava più difficile. Il massimo l’ho raggiunto quando siamo passati dai
sistemi solari al risparmio idrico (vedi figura 14). Qui il nostro compito era
di dimostrare l’efficacia dei riduttori di flusso, attraverso un esperimento in
cui si riempivano d’acqua due bacinelle contemporaneamente sotto due
rubinetti disposti in parallelo, uno con riduttore di flusso e l’altro senza. Il
risultato è che nella bacinella riempita col rubinetto provvisto di riduttore di
flusso arriva, a parità di tempo e di forza di getto, la metà dell’acqua
rispetto all’altra bacinella. Questo dimostra che il riduttore di flusso
montato, grazie ad un sistema di filtraggio areato interno che frange il getto
dell’acqua, consente di risparmiare circa il 50% di acqua a parità di
prestazione.
Tutto questo, che avevo capito molto bene dal punto di vista teorico, si è
scontrato con la mia scarsa dimestichezza pratica con i rubinetti, per cui
non sono riuscito a fare la dimostrazione perché una volta estratto il
riduttore dal rubinetto non riuscivo più a rimetterlo dentro. Mi sono reso
conto in quel momento però che i ragazzi si stavano divertendo molto (alle
mie spalle) così li ho sfidati a risolvere loro il problema (visto che alcuni
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facevano i saputelli). È stato un episodio che ha avuto quindi un suo
risvolto positivo, e che ha strappato un sorriso perfino alla prof giovane
sotto lo specchio degli occhiali da sole. Ho pensato che potrei riproporlo in
forma di commedia per far partecipare i ragazzi e sperimentare la loro
manualità. Alla fine il riduttore non siamo riusciti a metterlo, quindi si sono
dovuti fidare della mia parola, però siamo riusciti a discutere un po’ sul
problema dell’acqua nel mondo e della diversa disponibilità, diversa anche
in base alle abitudini familiari e alle classi sociali a cui appartenevano i
ragazzi. Nel dialogo con loro uscivano molte questioni controverse e
conflittuali anche per me, c’era ad esempio una ragazzina che aveva la
piscina in casa e dopo questo discorso sull’acqua forse ha iniziato a sentirsi
un po’ in colpa, e non so se questo sia stato un bene o un male. In generale
c’erano dei dati che facevano molto scalpore, come ad esempio quello sulla
disponibilità media di acqua per un africano, che è di 10 litri al giorno, pari
a quella che noi tiriamo giù mediamente con uno sciacquone (che tra l’altro
va ad acqua potabile). Ho riflettuto e continuo a riflettere su quali sono i
modi migliori per comunicare in modo propositivo questi elementi
conflittuali, senza generare sensi di colpa ma nello stesso tempo
evidenziando la vera natura del problema e la necessità di agire in prima
persona.
[nota successiva] Sicuramente c’è una difficoltà intrinseca, legata alla
grandezza del problema e ai suoi vari risvolti. In un’altra occasione un
mese dopo, durante un laboratorio alla fiera Ecomondo, affrontando
sempre il discorso del risparmio idrico, sempre con dei ragazzi di scuola
media, mi è capitato un fatto emblematico. Ho fatto anche lì il paragone
tra il consumo di acqua di un occidentale e quello di un africano, e mentre
la facevo mi sono accorto, grazie agli sguardi dei ragazzi, che c’era una
ragazzina di colore accanto a me, che non avevo notato prima e che era
una loro compagna di classe. Mi è passato un brivido sulla schiena. Ho
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pensato che stavo usando anch’io in modo sommario e generalizzante la
parola “africano” per significare chiunque non viva nel mondo
“sviluppato” o non corrisponda alle caratteristiche etniche occidentali, la
stavo usando anch’io insomma...da occidentale. Mi sono riproposto da
quella volta in poi di non usarla più e di essere meno superficiale nel dare
dati e nel fare esempi.
Tornando alla mia terza lezione alla Mobil, alla fine il clima un po’
confusionario e un po’ ilare è rimasto tra i ragazzi e mi è rimasto dentro,
insieme ad una generale perplessità legata all’andamento di questa terza
lezione.
3.4 Emozioni, energia, ambiente: le connessioni possibili
Come è emerso credo dai report delle mie prime lezioni alla Mobil,
insegnare i temi legati alle energie presenta varie problematiche, non solo
legate alla mia inesperienza e ai miei errori. Ma allo stesso tempo credo che
sia di fondamentale utilità e che accanto ai problemi questo campo offra
una grande possibilità d’azione, proprio perché sono temi legati agli stili di
vita e alle abitudini quotidiane delle persone. Su questo c’è stato e c’è un
continuo dialogo tra i vari operatori di PAEA e in particolare sulle modalità
didattiche da esperire. L’offerta didattica dell’associazione si può
riassumere grosso modo in due approcci, quello ludico-creativo, soprattutto
con i bambini, e quello tecnico-pratico per i più grandi. Ma sullo sfondo di
entrambi i modelli c’è la necessità di collegare le attività a ciò che succede
nella loro quotidianità, e comunque si cerca di modellare gli approcci in
base alla situazione in cui ci si trova ad operare. In questo senso non sono
soltanto le tematiche prettamente ambientali che entrano in gioco (impronta
ecologica, sfruttamento delle risorse naturali) ma un po’ tutto quello che si
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potrebbe definire il contesto sociale. Per questo occorre stare molto attenti
a quello che si dice, soprattutto quando si cammina sul sottile filo dei
conflitti politici, e allo stesso tempo è necessaria una partecipazione sia
cognitiva che emotiva da parte dei ragazzi perché colgano nel profondo il
senso delle attività educative che fanno. Questo credo che sia attinente in
generale ad ogni forma di educazione ambientale, ma fare “educazione
energetica” è molto diverso ad esempio dal fare attività educative a contatto
con la natura (nel senso comune di quello che intendiamo con ‘natura’). Per
questo è molto importante tessere i fili, capire ad esempio che l’impronta
ecologica di una casa può essere molto pesante o molto leggera sia che la
casa si trovi in città o in cima ad una montagna.
Nella Casa Mobile l’approccio emozionale è stato sicuramente facilitato dal
forte impatto scenico che essa presenta a tutti i visitatori, ma in particolare
ai più piccoli. Le reazioni come si è visto erano le più diverse, anche se
all’inizio prevaleva uno sorta di disorientamento e diffidenza, forse anche
di paura, credo causati dalla sua peculiarità e diversità rispetto ai normali
modelli. Ma superato il primo impatto di solito l’interesse cresceva,
soprattutto quando gli educatori riuscivano a creare scenari divertenti o
problematici legati alla casa. In tal caso il coinvolgimento cresceva molto, i
ragazzi iniziavano a porsi e porre domande, volevano sperimentare il
funzionamento di molti degli “arnesi” presenti. Tra i vari approcci, legati
alle inclinazioni e alle competenze dei diversi educatori, è stato molto
interessante e istruttivo per me seguire l’approccio fiabesco-teatrale di
Silvia, la responsabile della didattica, con i ragazzi più piccoli, soprattutto
alunni delle elementari (ma non solo). Silvia ha studiato molto la letteratura
fiabesca e scrive fiabe legate alla Mobil e in generale ai temi dell’energia,
dell’inquinamento e dell’impronta ecologica, che propone spesso ai
bambini in visita alla Mobil o ai vari laboratori che PAEA fa in giro per
l’Italia. Accanto a queste, spesso costruisce scenari teatrali dove ambienta
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le fiabe o dove fa interagire i ragazzi riuscendo secondo me a smuoverli
molto, toccando anche alcune parti più interiori, legate all’inconscio e ai
sogni (non a caso uno dei laboratori più famosi si chiama
“L’acchiappasogni”). Occorre per questo ovviamente una grande
partecipazione interiore degli educatori che non sempre è facile mettere in
gioco, essendo questo molto legato a come si è fatti e alla proprie capacità
relazionali. Come nella recitazione teatrale, bisogna saper tirare fuori la
voce, le emozioni, bisogna saper fingere, saper modulare diversi registri
interiori a seconda della situazione, essere delicati e intensi oppure
grotteschi, calmi e lenti oppure veloci e frenetici. Bisogna soprattutto
abbandonarsi al presente, al qui ed ora di quello che si sta facendo, in
qualche modo occorre spezzare il fluire normale del tempo e dei pensieri in
quanto quello che si sperimenta è diverso dalla normale temporalità pur
partendo da essa, da quello che ci succede normalmente anche nel nostro
ambiente più intimo, la casa: solo spezzando la normale temporalità, le
abitudini quotidiane spesso alienanti, si riesce a capire la portata di questi
discorsi. Ad esempio, una delle cose che ho spesso notato facendo i
laboratori, è che la parola “energia” denota per i ragazzi spesso solo
qualcosa di tecnico, di ingegneristico. Mi spiego: quando chiedo loro che
cos’è l’energia, cosa fa loro venire in mente, mi rispondono riferendosi
all’energia solare, al vento, alle lampadine, insomma per intenderci
all’energia elettrica per come glie l’hanno propinata gli insegnati di
scienze. Nessuno mi ha mai risposto qualcosa che riguardi altre concezioni
di energia, pur presenti nella nostra cultura, come ad esempio l’energia
“interiore” o quella che agisce nelle relazioni tra le persone (quando mi
sento particolarmente scemo tiro fuori il famoso slogan pubblicitario che
tutti conoscono: “la carica del caffè più l’energia del cioccolato!”).
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Insomma, al fondo di queste performance, c’è la necessità di decostruire
alcuni concetti e modelli mentali precostituiti e spesso già ampiamente
assorbiti dai ragazzi (cosa questa che noto soprattutto quando ho a che fare
con gli adolescenti) e saperne affrontare in modo positivo le conseguenze
pedagogiche. La presenza, nel caso dei laboratori di PAEA, di
strumentazioni tecnologiche e di argomenti legati all’ingegneria, alla fisica,
all’architettura, è forse il motivo principale di quello che all’inizio di
questo paragrafo ho definito come un problema e una possibilità. Ci sono
ragazzi affascinati dalla tecnica, ce ne sono altri molto annoiati, ma in
generale l’approccio è molto settario (mi permetto di dire) cioè molto
settorializzato, molto tendente a definire competenze e specializzazioni, e
questo non aiuta a comprendere quanto queste tematiche riguardino in
realtà tutti noi, anzi diventa quasi ridicolo quando si pensa che un
ingegnere medio in pratica sa poco e niente di energie rinnovabili e di
risparmio energetico visto che l’università italiana non si prende certo la
briga di approfondirne le problematiche, quando non ne è apertamente
ostile - escludendo ovviamente i casi eccezionali che pur nella loro
importanza non fanno altro che confermare la regola. In questo credo che la
mia formazione umanistica, se da un lato mi crea problemi quando ho a che
fare con watt, volt e ampere, dall’altro mi ha aiutato a notare questi
fenomeni - una volta sono rimasto abbastanza sconvolto da una bambina di
Parma di non più di 6 anni, molto dolce e intelligente, con cui stavamo
disegnando e costruendo un modellino di città ecologica con materiali
riciclati, che a un certo punto mi ha chiesto: ma tu sei architetto o
ingegnere?
Per tutti questi motivi spesso si sceglie, nell’ambito educativo della
Mobil, di non eccedere nell’uso di mediazioni tecnologiche, pur essendo
una facile scorciatoia quando si è in difficoltà, e invece di far emergere
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come valore non la quantità e l’eccezionalità, ma la qualità e il beneficio
degli strumenti e dei saperi tecnologici quando essi possono essere
utilizzati appunto in modo positivo per l’ambiente e per la vita degli esseri
umani. Puntare cioè all’effetto strabiliante, accattivante della tecnologia
così come delegare totalmente agli specialisti la competenza dei propri
impianti (entrambe cose strettamente connesse al modello mentale
simbolico-scientista che ogni giorno noi uomini-massa interiorizziamo e
riproduciamo) spesso è stato funzionale alla perdita collettiva di
conoscenze tecniche e di contatto con le cose. Imparare che l’energia oltre
che risparmiarla la si può anche produrre in casa, informare sui materiali di
riciclo che provengono dalla natura o dalla lavorazione umana, trasmettere
la passione per la conoscenza dei processi produttivi e non solo dei prodotti
che facilmente troviamo sugli scaffali dei negozi o degli ipermercati: tutto
questo è una delle tante forme di educazione alla decrescita se vogliamo
chiamarla così, ma io credo di educazione tout court che oggi possiamo
praticare. Per ritessere il filo, troppe volte spezzato, tra le attività umane e il
mondo che ci ospita.
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Figura 13
Figura 14
Giochi didattici. La fiaba, il sogno, la commistione tra magia e scienza sono alla base della didattica ludico-creativa di PAEA. Nella foto in alto (figura 13, foto mia) un momento dei laboratori della Mobil con le scuole elementari, in quella sotto (figura 14, foto mia) la prima fase di allestimento dell’Acchiappasogni durante il laboratorio sulla mobilità a Teramo con i ragazzi di una scuola media.
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Figura 15
Figura 16
Acqua e sole. Nella foto in alto (figura 15, foto mia), la tettoia dove si svolgono le dimostrazioni del risparmio idrico: il serbatoio per la raccolta di acqua piovana, lo scarico regolabile del water, i doppi rubinetti del lavandino e della doccia per verificare il risparmio dei riduttori di flusso. Nella foto in basso (figura 16, foto paea), un momento di didattica legato ai pannelli solari.
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Appendice-intervista.
CasaClima: un pezzo di Germania in Italia
Avevo accennato nella prima parte all’esperienza dell’Alto Adige, che dal
punto di vista ambientale sempre più negli ultimi anni si è avvicinato alla
sua anima tedesca più che a quella italiana. Come in Germania infatti,
anche in Alto Adige è stata emessa una normativa per cui le case di nuova
costruzione non possono superare i 70 kW/h per metro quadro annui, o i
sette litri di gasolio per il riscaldamento (ricordo che questo corrisponde ad
un terzo circa dei consumi standard italiani). Ci sono molte ragioni sociali,
culturali e antropologiche per cui in Alto Adige si è andati sempre più nella
direzione della sostenibilità, e ci sono stati vari progetti che sono sfociati in
molte iniziative a partecipazione popolare. Una di queste, quella che qui ci
riguarda da vicino, è Casaclima, una sorta di marchio che la Provincia
assegna alle case che restano al di sotto di determinate soglie di consumo.
Per avere qualche informazione diretta su quest’esperienza che mi affascina
molto ho raggiunto la sede dell’Agenzia dell’Ambiente della Provincia di
Bolzano, dove ho scambiato un po’ di chiacchiere con Ulrich
Klammsteiner, dell’Ufficio Aria e Rumore e uno degli ideatori di
CasaClima.
Riporto di seguito i punti salienti di questa chiacchierata-intervista.
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Non si hanno molte informazioni nel resto d’Italia sull’esperienza
CasaClima di Bolzano. Spesso se ne parla come qualcosa legata al
sistema delle case passive [le case al di sotto di 15 kW/h per mq annui].
È così?
Non esattamene. Una “casa clima” non deve essere per forza una casa
passiva: la soglia che un’abitazione non deve superare per essere
considerata una casa clima è più alta, cioè 50 kW/h per metro quadro annui.
Ma oltre a questo limite è stato adottato un criterio di valutazione simile a
quello in uso per gli elettrodomestici, cioè la divisione in classi di
rendimento - classe A, B, C, etc. La classe migliore è la classe ORO
(GOLD), in cui rientrano le case il cui fabbisogno termico annuo è inferiore
a 10 kW/h per mq, subito sotto c’è la classe A (al di sotto di 30 kW/h) e la
classe B (al di sotto di 50 kW/h). Al di sotto di questi standard, la legge
accetta come abitabili solo le case di classe C, quelle che restano sotto il
limite minimo di rendimento che corrisponde a 70 kW/h per mq o 7 litri di
gasolio annui. Accanto a questa, c’è un’ulteriore classificazione,
denominata CasaClima+, assegnata agli edifici che utilizzano tecniche
ecologiche di costruzione e di riscaldamento e almeno una fonte
rinnovabile tra fotovoltaico, solare termico, recupero di acqua piovana e
tetto verde.
Le certificazioni vengono prodotte dall’Ufficio Aria e Rumore della
provincia di Bolzano e si basano su un programma di calcolo dei consumi
nei giorni massimali e su una successiva verifica dopo due mesi delle
emissioni effettive di CO2. Da un anno la provincia ha recepito anche la
direttiva europea 91/2002 per la certificazione energetica degli edifici
pubblici.
Com’è stata la risposta degli altoatesini a questo progetto?
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In generale abbastanza positiva. Anche perché si è scelto di non fare scelte
troppo drastiche che alterassero le abitudini edilizie della zona, e compierne
invece altre che fossero quanto più condivise. La casa passiva, ad esempio,
è una cosa molto positiva, ma ha dei limiti di fattibilità, uno dei quali è
l’eliminazione delle forme tradizionali di riscaldamento. In una regione
come l’Alto Adige, dove c’è una lunga tradizione di stufe a legna, metterle
fuori legge sarebbe stato fonte di conflitti e di scarsa adesione sociale. Si è
scelto invece di monitorarne l’utilizzo e di studiare e informare la
popolazione sui metodi per avere un’alta efficienza e un basso impatto di
emissioni: in questo modo si sono raggiunti standard molto positivi
rispettando gli equilibri sociali e culturali della zona.
Si può dire quindi che Casa Clima è motivo d’orgoglio per l’Alto
Adige?
Sicuramente il marchio Casa Clima è garanzia di qualità e di alto valore
economico. Non dimentichiamo infatti che i rendimenti di una casa clima
apportano anche un grande risparmio economico per il privato. Per
incentivare e sponsorizzare questo progetto è stata creata una targhetta da
applicare su ogni edificio che rientra negli standard CasaClima e sulla
quale viene segnalata anche la classe di appartenenza. Inoltre, è stato
istituito il premio annuale “Miglior CasaClima”, assegnato secondo criteri
non solo di risparmio energetico, ma anche di sostenibilità ambientale in
generale e tutela della salute.
Quali costi comporta questo tipo di certificazione?
La certificazione è gratuita per il privato, mentre alla provincia costa 2/3
euro per metro quadrato (per un massimo di 2000 euro all’anno per
abitazione). Ma entro quest’anno dovrebbe nascere l’Agenzia Casa Clima,
che tra gli obbiettivi ha anche quello di espandersi fuori regione.
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Sembra una necessità ormai quella di espandersi...
Sì, anche se ci vogliono molte forze e stiamo già lavorando tantissimo. È
impossibile in questo momento pensare ad un vero e proprio marketing da
parte nostra su tutto il territorio nazionale, occorrerebbe invece che ognuno,
a livello di istituzioni locali, si muovesse per creare ad esempio una rete di
certificatori che si ispirino al modello CasaClima e aderiscano alle diverse
esigenze dei territori.
Diamo un po’ di numeri sulla diffusione di Casa Clima sul vostro
territorio.
Sono interessate più di 200 abitazioni in tutta la provincia, per 150000
metri quadrati certificati. Per fare un esempio facile: su un normale
condominio il cui consumo era, in ogni singolo appartamento, di 200 kW/h
per metro quadro, ora si riesce a risparmiare due terzi ammortizzando così
la spesa aggiuntiva per l’isolamento in 3 anni se si usano materiali meno
costosi o in 5/8 anni se si usano quelli più costosi (in questa zona tra i
materiali isolanti il rapporto qualità ecologica / prezzo è a favore della
cellulosa).
Una curiosità. Da dove nasce CasaClima? Qual è la sua storia?
Nasce da un progetto di alcuni anni fa a Bolzano che si chiamava “Alleanza
per il clima”, che ha avuto molto successo nella popolazione e si è
occupato di varie forme di inquinamento, da quello della mobilità urbana al
problema dell’incentivo della bicicletta, fino ad arrivare alla nascita del
progetto CasaClima. Da allora la sensibilità generale è cresciuta molto, di
solito ormai si costruisce in classe B, ma anche la GOLD, che poi è una
casa passiva a tutti gli effetti, si sta diffondendo abbastanza e riesce a
mantenere i 20° interni tutto l’anno grazie ai sistemi di ventilazione. Da un
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po’ di tempo abbiamo i corsi di formazione rivolti soprattutto ai progettisti
locali, perché ci serve molto la partecipazione dei tecnici in quanto noi ci
occupiamo solo dei consumi di energia, mentre importante è anche la
potenza del calore che deve essere dimensionata. Di questo devono
occuparsi soprattutto i progettisti, e questo è un punto fondamentale perché
si abbia finalmente una diffusione capillare dei metodi di costruzione
sostenibili.
54
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