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1
Introduzione
Questa tesi è il mio tentativo di indagare la relazione tra il giornalismo di
carta stampata e il fenomeno dell’immigrazione in Italia. La scelta di tali
tematiche è dovuta, in primo luogo, all’interesse verso il fenomeno
dell’immigrazione, che percepivo importante per il presente e il futuro
della società, ma nello stesso tempo difficile da comprendere nella sua
interezza; in secondo luogo, alla passione per il giornalismo che mi
accompagna da sempre. Questa ricerca è stata vissuta, infatti, come
un’inchiesta che tenta di mettere ordine nella complessità sociale per
spiegarne alcuni aspetti, cogliere i dettagli importanti, collegarli con
quanto già noto, dando anche la parola ai protagonisti. Per trattare a
fondo l’argomento ho integrato l’approccio di teoria e tecniche del
linguaggio giornalistico con nozioni di marketing, sociologia e diritto
della comunicazione.
Nel primo capitolo si descrive il fenomeno dell’immigrazione da un
punto di vista sociologico e storico. È il punto di partenza per l’indagine:
l’immigrazione in Italia è un fenomeno recente, al contrario che in altri
paesi europei, ma già radicato nel tessuto sociale. L’Italia è stata per
secoli punto di partenza di emigranti verso altri paesi e solo verso la fine
degli anni Ottanta del Ventesimo secolo si è scoperta, a fatica, terra
d’immigrazione.
Nel secondo capitolo, dopo una premessa sull’importanza dei mass
media nella costruzione dell’opinione pubblica e degli atteggiamenti
degli individui nei confronti di un fenomeno nuovo, si offre una rassegna
degli studi che riguardano la rappresentazione dei migranti nei mezzi di
informazione, in particolare nella stampa quotidiana. Ciò che emerge da
tutte le ricerche condotte dal 1990 in poi, è una sostanziale
inadeguatezza, da parte della stampa italiana, nel trattare il tema
dell’immigrazione. Inadeguatezza verso i lettori italiani, cui viene offerta
un’informazione parziale e perfino distorta della realtà
dell’immigrazione, presentata in primo luogo come “problema” e
“minaccia”. Inadeguatezza, soprattutto, nei confronti dei cittadini
2
immigrati, i quali sono sistematicamente stigmatizzati; non viene data
loro voce in qualità di fonti neanche nelle notizie che li riguardano
direttamente; non vengono presi in considerazione, infine, nemmeno
come possibili “utenti” dell’informazione con bisogni specifici.
Il terzo è un capitolo di passaggio. L’inadeguatezza dei media e la loro
forte carica discriminatoria nei confronti dei cittadini immigrati in Italia
va contro i principi di non discriminazione e parità di trattamento sanciti
dalla Costituzione e ribaditi da una molteplicità di leggi. L’esclusione
degli immigrati dal dibattito pubblico, inoltre, è in contraddizione con i
valori di inclusione e partecipazione incoraggiati dall’Unione Europea.
Esclusione evidente anche nella normativa relativa all’accesso alla
professione giornalistica; il regolamento dell’Ordine dei giornalisti,
infatti, non si attiene al principio di parità di trattamento sui luoghi di
lavoro: prevede un elenco a parte per i giornalisti non italiani e non
permette che uno straniero possa assumere la carica di direttore
responsabile o editore di una testata giornalistica in Italia. Tutto ciò
rivela una forte miopia nei confronti del gruppo di immigrati in Italia,
costituito da oltre tre milioni di persone, provenienti da più di
centonovanta paesi diversi. Eppure l’informazione potrebbe senz’altro
costituire una prima forma di cittadinanza: per arrivare all’integrazione e
alla partecipazione alla vita della società d’accoglienza, infatti, ogni
persona straniera ha bisogno di “conoscenza”. Conoscenza di quanto
accade nel paese d’accoglienza, di come orientarsi, delle procedure per
mettersi in regola, della normativa attinente. Ecco dunque l’emergere di
un nuovo segmento di possibili “consumatori” dell’informazione:
segmento che può anche essere visto come nuovo mercato per i beni
informativi (e non solo), con attese e bisogni specifici.
Per questo nuovo pubblico sono nate, negli ultimi anni, particolari
pubblicazioni, qui denominate “giornali etnici”, che cercano di venire
incontro ai bisogni informativi degli immigrati fornendo informazione
“targettizzata” secondo le (presunte) esigenze dei lettori. Notizie
dall’Italia e dai paesi d’origine, informazione di servizio e di pubblica
utilità su leggi e servizi: molto spesso nella lingua della comunità di
riferimento. Le linee guida di queste pubblicazioni sono varie: dare ai
3
lettori la possibilità di mantenere un contatto con il paese d’origine –
spiegare la realtà italiana – informare sulla normativa in materia
d’immigrazione. Il valore aggiunto di queste riviste è che nella
maggioranza dei casi esse sono non solo dirette agli immigrati, ma anche
gestite da immigrati: essi cominciano quindi a prendere la parola in un
settore in cui prima non veniva loro data mai. Nel capitolo 4 si descrive
in dettaglio la “stampa d’immigrazione”, se ne forniscono le
caratteristiche principali e si offre un “censimento” delle iniziative più
importanti, sia nell’ambito della stampa etnica sia di quella
multiculturale. La stampa etnica (altrimenti detta “in lingua”) comprende
tutti quei giornali diretti a lettori appartenenti a particolari comunità
etniche o linguistiche o nazionali. Le iniziative esistenti, di cui si offre
una “mappa” indicativa senza pretese di esaustività, ma frutto di
un’accurata ricerca personale, sono numerose. Si tratta, in molti casi, di
pubblicazioni a distribuzione nazionale: la maggior parte dei più noti e
diffusi giornali per immigrati sono editi dal medesimo gruppo editoriale
(Stranieri in Italia). Di questa casa editrice si analizzano le variabili del
“marketing mix” al fine di comprendere come il marchio è costruito,
attraverso le scelte di marketing strategico, per venire incontro ai bisogni
dei lettori ma anche delle aziende che su questi stessi giornali si
pubblicizzano.
Accanto ai giornali etnici si sviluppa un tipo di stampa contigua, qui
denominata “stampa multiculturale”. Si tratta di giornali gestiti da
cittadini sia immigrati sia italiani e rivolti a un pubblico misto, con
l’intento di favorire il dialogo e la conoscenza reciproca. Spesso prodotti
da associazioni di volontariato, trattano di tematiche connesse al mondo
dell’immigrazione e all’intercultura e non hanno ancora acquisito una
personalità distintiva né importanza nazionale. Si prevede, in ogni caso,
un cambiamento a breve nel panorama della stampa multiculturale con
l’entrata in scena di due pubblicazioni prodotte da due grandi gruppi
editoriali: il già citato Stranieri in Italia e il gruppo Repubblica/Kataweb,
che già con il portale on line Il Passaporto prova a realizzare un giornale
interculturale e di servizio.
4
In appendice si offre una scelta delle interviste realizzate sul campo agli
operatori della stampa multiculturale durante questo studio, un campione
delle prime pagine di alcuni dei giornali trattati e una copia del
questionario inviato a tutte le redazioni dei giornali etnici e
multiculturali. Tale questionario è stato formulato al fine di confermare i
dati tecnici relativi alle riviste nominate, ma anche come una forma di
primo “approccio” comunicativo con le persone che le gestiscono.
Prima di procedere, vorrei rivolgere un ringraziamento al mio relatore,
prof. Mauro Sarti, che ha accettato subito la mia proposta di tesi e ai
miei correlatori, dott. Nicola Rabbi, che con infinita pazienza mi ha
seguito lungo tutto il lavoro (eventuali errori o inesattezze sono
comunque di mia esclusiva responsabilità) e prof.ssa Pina Lalli.
Desidero ringraziare di cuore tutti i direttori, segretari di redazione e
collaboratori dei giornali censiti che hanno risposto alle mie domande
per telefono, e-mail o di persona, mi hanno ospitato nelle loro redazioni
e fornito un’enorme quantità di informazioni utili, con gentilezza ed
entusiasmo. Ringrazio inoltre il prof. Roberto Grandi e la prof.ssa Carla
Salvaterra per avermi permesso di svolgere due periodi di studio
all’estero, nell’ambito del progetto Socrates/Erasmus, da cui è nato il
mio interesse per la multiculturalità. Grazie a Felix Rosado e Alvaro
Zuleta Cortés, della ONG spagnola Aculco, che mi hanno dato la
possibilità di realizzare una prima inchiesta sull’immigrazione per il
giornale Tiempo Ibero Americano. Infine, un grazie particolare ai
compagni migliori di questo lungo viaggio: Marco, Cinzia, Giusi,
Marilisa, Laura, Fabrizio, Gigi, Joseba, Delphine.
Questa tesi è dedicata a Teresa e Antonio.
5
Cap. 1 Elementi di scenario
1.1.L’immigrazione come viaggio: definizione e storia
Il viaggio simbolicamente vede sempre l’uscita dal mondo del
“medesimo” verso il mondo dell’altrove, che ancora non si conosce. È
un’esperienza che porta necessariamente alla conoscenza e come tale ha
sempre costituito per l’uomo una fonte d’attrazione1. La narrazione del
viaggio e di ciò che vi accade durante è una tradizione comune a molti
romanzi del Settecento, dai Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift al
Robinson Crusoe di William Defoe, passando per testi poco conosciuti
oggi come I viaggi di Enrico Wanton del veneziano Zaccaria Seriman.
La ragione per cui tali romanzi sono ancora estremamente attuali, al di là
del loro valore letterario, è che dedicano ampio spazio alla descrizione
dell’incontro-scontro tra i protagonisti del viaggio e le società
d’accoglienza delle terre cui approdano – spesso completamente diverse,
almeno all’apparenza2, da quelle di provenienza.
Incontro-scontro, quello tra individui provenienti da società differenti,
che attraversa i secoli e arriva al presente. Secondo le Nazioni Unite,
infatti, al momento sono circa 175 milioni i migranti nel mondo. Di
questi circa 17 milioni sono rifugiati e 900.000 richiedenti asilo. 18
milioni sono invece i migranti verso l’Europa, distribuiti in maniera
differente nei diversi paesi: la presenza in Italia è di 2.600.000 persone
1 Si dice anzi che l’essere umano sia stato nomade molto a lungo e anche dopo essere
divenuto sedentario abbia continuato a spostarsi con grande frequenza. Basti pensare
alla narrazione dell’Esodo presente nella Bibbia, alla storia delle “invasioni barbariche”
o delle colonizzazioni, ai movimenti degli antichi mercanti medievali, agli spostamenti
dei rifugiati in cerca di asilo, ai resti della cultura araba che arricchiscono la Spagna e
la Sicilia ecc. 2 All’apparenza, perché spesso tali resoconti di viaggio – a volte con velati intenti
satirici sulla società europea settecentesca – si concludono con l’idea che gli uomini,
nelle loro caratteristiche fondamentali, sono gli stessi in tutti i luoghi: “ho veduto il
mondo: per tutto i costumi sono simili nell’essenziale, né si varia se non nel modo”
[Seriman, 1988, p. 369]. Avviene cioè un capovolgimento socio-antropologico del tutto
inedito per un’epoca così etnocentrica.
6
secondo l’ultima rilevazione [Caritas, 2004], cui vanno aggiunti circa
700mila cittadini di origine straniera che non hanno ancora ottenuto il
permesso di soggiorno.
Migrante è, secondo la definizione della Nazioni Unite, una persona che
si sposta in un paese differente da quello di residenza abituale e che vive
in quel paese per più di un anno. Questa definizione non tiene conto
delle migrazioni interne, gli spostamenti cioè di chi si è trasferito in una
città diversa all’interno dello stesso paese, né di coloro che, come i
lavoratori stagionali, si trasferiscono in posti diversi per periodi inferiori
ai dodici mesi, ma è utile per definire uno degli attori che entrano in
azione nella dinamiche dei processi migratori. Tali attori sono infatti
almeno tre: i migranti attuali e potenziali; la società d’origine e
provenienza; la società d’accoglienza. Ogni esperienza migratoria quindi
si differenzia dalle altre nella misura in cui si differenziano questi tre
elementi, protagonisti di un’interazione complessa.
Il migrante può inoltre essere definito, a seconda del punto da cui lo si
osserva, emigrante (in riferimento all’uscita dal paese di nascita) o
immigrato (in riferimento all’ingresso nel paese d’accoglienza), anche se
le tre definizioni tendono a essere usate, nel linguaggio comune, in modo
indifferenziato [Ambrosini, 2005, p.17].
I principali motivi per cui le persone si spostano sono molti: studio e
ricerca, semplice turismo, lavoro stagionale o a contratto, ricerca di
lavoro, ricongiungimento familiare, ritorno nel paese d’origine, richiesta
d’asilo politico ecc. La migrazione non è quindi appannaggio di un unico
segmento di popolazione né di un’unica parte del mondo. L’emigrante
moderno può infatti appartenere alle classi basse della scala
socioeconomica così come a quelli alte, aver emigrato una o più volte,
essersi trasferito per motivi di sopravvivenza personale o di qualità della
vita, spostarsi da un continente all’altro e viceversa [Ruiz de
Olabuénaga, 2000, p. 8].
Gli studi sociologici identificano diverse fasi o cicli ricorrenti dei
processi migratori di grandi dimensioni: arrivo dei primi pionieri
(uomini giovani) in cerca di lavoro, loro stabilizzazione e formazione dei
nuclei familiari. Questo ciclo, sebbene molto esemplificativo non è
7
tuttavia valido universalmente, perché non tiene conto delle altre
motivazioni che spingono a trasferirsi né di alcuni processi che, per
esempio, vedono protagoniste in prevalenza donne che si spostano per
brevi periodi. Nuove tendenze stanno infatti emergendo; tra queste, la
globalizzazione delle migrazioni3 (sempre più paesi sono soggetti ai
processi migratori); l’accelerazione delle migrazioni (il fenomeno cresce
infatti di dimensione anno dopo anno)4; la differenziazione delle
migrazioni (anche migranti provenienti dagli stessi paesi hanno spesso
motivazioni, abitudini e aspirazioni completamente diverse) e la
femminilizzazione delle migrazioni che vede le donne aumentare di
numero ed essere spesso pioniere nel mercato del lavoro [Ambrosini, op.
cit., p. 27].
Le cause che portano alla migrazione, come si è visto, possono essere
varie e molteplici e dipendere molto dal singolo individuo, ma si è soliti
ricondurle a due tipi di fattori: push, cioè quei fattori d’espulsione interni
ai paesi d’origine che spingono una persona a scegliere di andare via
(incapacità della società d’appartenenza di offrire benessere, guerre in
corso, crisi economica, catastrofi naturali, disoccupazione diffusa ecc.) e
fattori pull, cioè le condizioni d’attrazione, le caratteristiche proprie del
paese d’arrivo che attraggono favorevolmente il migrante (somiglianza
linguistica, condizione demografica, domanda di forza-lavoro, vicinanza
ad altri paesi, politiche meno restrittive all’ingresso, presenza di una
comunità d’immigrati stabilizzata ecc.).
3 Cfr. cap. 1.5. 4 In Italia all’ultimo censimento [ISTAT, 2001] il numero di immigrati presenti (oltre
un milione) risultava oltre il triplo di quelli presenti nel censimento precedente, nel
1991 (356.000). Inoltre, nel giro di quattro anni (2000-2004) tale numero è
ulteriormente raddoppiato passando a 2 milioni e 600mila presenze regolari [Dossier
Caritas/Migrantes 2004].
8
1.2 L’immigrazione in Europa a cavallo tra due secoli
Negli ultimi due secoli l’Europa è stata il punto di partenza da cui
milioni di persone emigrarono verso il continente americano. Simile
movimento si registrò anche verso alcuni paesi asiatici e l’Australia. La
fine della Seconda Guerra Mondiale mise fine all’Impero Coloniale e
diede inizio allo sviluppo industriale europeo, così come a nuovi
movimenti migratori dall’Asia e dall’Africa verso l’Europa e, al suo
interno, dai paesi dal Sud (Italia, Spagna, Portogallo, Turchia e Grecia)
verso i paesi settentrionali (Germania, Francia, Paesi Bassi ecc.). Negli
ultimi due secoli e mezzo più di 350 milioni di persone, di cui quasi la
metà Europei, hanno abbandonato il proprio paese d’origine per
trasferirsi altrove. Se tra il 1750 e il 1940 in tutto il mondo emigrarono
127 milioni di persone, solo negli anni tra il 1940 e il 1990
abbandonarono i loro paesi circa 220 milioni di persone, di cui più del
30% Europei. Tra il 1870 ed il 1970, circa 27 milioni d’italiani
lasciarono l’Italia per andare a vivere all’estero; le mete più ambite erano
l’America Latina e gli Stati Uniti. Agli inizi del Novecento, più della
metà della popolazione di Buenos Aires era infatti composta da italiani;
questi ultimi sono stati una parte importante anche della forza lavoro di
Francia, Svizzera e Germania.
Per un breve excursus sulla storia dell’immigrazione in Europa
dall’Ottocento a oggi ci si atterrà qui alla periodizzazione proposta da
Corti [2003] e ripresa da Ambrosini [2005] che suddivide la storia
contemporanea in sei macroperiodi.
Il periodo dal 1830 per i paesi nordeuropei e dal 1830 per l’Italia fino
alla fine della Prima Guerra Mondiale è quello della grande emigrazione
di massa verso le Americhe, dove erano in costruzione grandi opere
pubbliche come le ferrovie e molto alta era la richiesta di manodopera.
In questo periodo dall’Italia partirono circa 13 milioni e mezzo di
persone.
Le partenze diminuirono nel periodo tra le due guerre, quando,
nonostante il fabbisogno di manodopera fosse alto a causa di persone in
esilio e deportazioni, cominciò ad affermarsi l’idea della necessità di una
9
regolamentazione dei flussi migratori che limitasse e selezionasse gli
arrivi. Canada, Stati Uniti, Argentina, Brasile, Nuova Zelanda, Sud
Africa, Germania stavano infatti cercando di chiudere le frontiere anche
in seguito a violente campagne xenofobe [Stella, 2002, p. 48]. Il Johnson
Act del 1924, ad esempio, ridusse drasticamente la possibilità di ingresso
negli Stati Uniti e stabilì quote distinte per i diversi gruppi nazionali
[Pugliese, 2002, p. 17].
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel periodo della ricostruzione, si
vide un intenso movimento migratorio in quasi tutte le zone del mondo.
Francia, Svizzera e Belgio richiesero grandi quantità di manodopera
fornita in gran misura anche da italiani. Due milioni e mezzo di europei
scelsero come mete l’America e l’Oceania, mentre quasi mezzo milione
di profughi dall’Istria e dalla Dalmazia raggiunsero l’Italia e un milione
di italiani partì verso l’estero. Contemporaneamente cominciarono le
migrazioni interne dal Meridione verso il Nord Italia e dalle zone rurali
alle città.
Nel periodo del decollo economico (1951-71) sono comunque più di due
milioni gli italiani che cercarono fortuna all’estero. L’Italia sottoscrisse
vari accordi per la fornitura della forza lavoro e per la regolarizzazione
di coloro che immigravano senza regolare permesso; continuavano nel
frattempo anche i movimenti di migrazione interna. Altri paesi (Grecia,
Portogallo, Spagna, Turchia) divennero generatori di emigrazione
[Pugliese, op. cit.] mentre Francia e Inghilterra vedevano aumentata
l’immigrazione proveniente dalle loro ex-colonie.
Aumentava in molti paesi anche la preoccupazione derivante dal
problema della disoccupazione interna. Ma solo dal 1973, in seguito alla
crisi petrolifera, Francia, Germania e Inghilterra provarono a chiudere
ufficialmente le loro frontiere; l’arrivo di migranti continuò attraverso
altri canali (non solo ingressi clandestini ma ricongiungimenti familiari e
richieste d’asilo) ma diminuì sensibilmente.
Il 1973, anno del primo shock petrolifero, viene infatti inquadrato come
il momento in cui cambia anche il tipo di economia: tale data è infatti “lo
spartiacque tra il periodo di sviluppo industriale post-fordista, basato
sulla grande impresa e la produzione di massa, e la fase post-fordista
10
delle società industriali [in cui] alla crescita dell’occupazione
industriale si sostituisce uno sviluppo basato sempre di più
sull’occupazione terziaria, compresa l’area dei servizi alle persone”
[Pugliese, op. cit., p. 74].
Scomparso il forte bisogno di manodopera generica, il modello di
sviluppo basato sulla grande impresa entra in crisi e con ciò si riduce
anche l’area delle garanzie del lavoratore. Con l’Anwerbenstop la
Germania mette fine alle pratiche di reclutamento all’estero e inizia le
politiche di restrizione e regolazione dell’immigrazione;
contemporaneamente i paesi dell’Europa meridionale, tra cui l’Italia,
cominciano a diventare meta e polo d’attrazione d’immigrazione.
1.3 Norme e accordi europei in materia d’immigrazione
Dalla seconda metà degli anni Ottanta la tendenza diventa quella di
cercare una convergenza tra le politiche europee relative
all’immigrazione, prima a livello di Comunità Europea, poi di Unione.
L’enfasi va sempre sull’esigenza di controllo quantitativo e repressione
dell’immigrazione “illegale”.
Nel 1985 vengono firmati gli Accordi di Schengen, in seguito ai quali è
nata l’espressione “Fortezza Europa” a causa delle politiche di chiusura
adottate verso l’esterno. Con questi accordi, infatti, si stabilisce uno
spazio comunitario senza frontiere, all’interno del quale è garantita la
libera circolazione dei cittadini comunitari e dei titolari del visto unico
Schengen. Si introducono criteri omogenei tra i diversi paesi in relazione
alle condizioni d’ingresso; ma viene anche introdotto il SIS (Sistema
Informativo Schengen) che rende accessibili a tutti gli stati le
informazioni sulle persone extra-comunitarie indesiderabili [Pugliese,
op. cit., p. 83].
I successivi accordi e trattati europei, come quello di Maastricht nel
1992 e quello di Amsterdam nel 1997, consolidano e riprendono i
contenuti degli Accordi di Schengen. A Maastricht viene istituita la
cittadinanza europea, cittadinanza di secondo grado che si acquista
11
automaticamente possedendo la cittadinanza di uno degli stati membri
dell’Unione Europea. Ad Amsterdam, invece, si opera per rendere
ancora più omogenee le politiche dei singoli paesi sull’immigrazione; “il
trattato stabilisce le condizioni di ingresso dei cittadini in paesi terzi e le
norme di procedura per il rilascio da parte degli stati membri di visti e
permessi di soggiorno a lungo termine” [Pugliese, op. cit., p. 84]; si
discute sull’importanza delle politiche sociali contro l’esclusione e si
stabiliscono norme minime in materia di accoglienza e di attribuzione
dello status di rifugiato.
Nel 1995 si è invece tenuta a Barcellona una conferenza tra i
rappresentanti dei quindici paesi membri dell’Unione Europea e di
dodici stati mediterranei5, con la stesura finale della Carta di Barcellona.
Questa, sul modello dell’accordo americano Nafta, prevede la creazione
di un’area comune di pace e stabilità, la collaborazione di tutti gli stati
per frenare la pressione migratoria, la creazione di possibilità lavorative
nei paesi terzi a elevata pressione migratoria e la trasformazione
dell’area del Mediterraneo in un’area di libero scambio da rendere
funzionale entro il 2010. Duramente criticata in occasione della Seconda
conferenza interministeriale euro-mediterranea di Malta (1997), l’idea
della costituzione di un’area di libero scambio tra l’Unione Europea e gli
stati mediterranei è stata invece ripresa e confermata dalla Terza
conferenza euro-mediterranea di Stoccarda del 1999 [Bartocci, Cotesta
(a cura di) 1999, p. 228].
Successivamente, con il Summit di Tampere del 1999, vengono meglio
definite le posizioni emerse a Maastricht e Amsterdam, superando
l’ideale dell’”immigrazione zero” con una presa di coscienza
dell’immigrazione come dato di fatto e la proposta di politiche comuni
di repressione e controllo dell’illegalità ma anche di garanzia per gli
immigrati legali, “a partire dalla valutazione dei bisogni economici e
demografici dell’Unione Europea e della situazione dei paesi d’origine
[…] con una ripresa dell’immigrazione della manodopera legale, pur
5 Cioè Algeria, Cipro, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Malta, Marocco, Palestina
Siria, Tunisia, Turchia.
12
riconoscendo sempre la preferenza europea” [Wihtold de Wenden,
2001, p. 10].
L’attribuzione alla Commissione Europea di poteri più forti in materia
d’immigrazione causa ai singoli governi ripensamenti, che si
manifestano durante i vertici di Laecken (2001) e Siviglia (2002). La
priorità ridiventa quella della repressione dell’immigrazione irregolare:
si lavora per una politica comune in materia di visti e procedure
d’espulsione, per la repressione del traffico dei clandestini e il
coordinamento dei controlli alle frontiere [Ambrosini, op. cit., p. 195].
Nel 2003 il Consiglio Europeo di Thessaloniki di giugno ha completato
l’accordo dei singoli stati su una politica comune riguardante la
cooperazione con i paesi di provenienza, il controllo dei confini e il
rimpatrio dei migranti privi di documenti. A novembre dello stesso anno
la Commissione ha istituito un’Agenzia per il controllo delle frontiere, il
rimpatrio degli indesiderati e la cooperazione con i paesi caratterizzati da
maggiore pressione migratoria.
L’11 gennaio 2005, infine, la Commissione Europea ha proposto la
realizzazione del Libro Verde sull’immigrazione: si ribadisce la
necessità di una politica comune in materia, l’imprescindibilità della
regolamentazione dei flussi migratori e la priorità della manodopera
comunitaria nell’occupazione dei posti di lavoro disponibili.
1.4 L’Italia da paese di tradizione emigratoria a terra
d’immigrazione
Il 1973 è anche l’anno in cui l’Italia ufficialmente si trasforma da paese
di emigranti a paese d’immigrazione. Quando, in seguito alla crisi
petrolifera, Francia, Germania e Regno Unito chiudono le frontiere, i
flussi migratori si spostano verso i paesi dell’Europa meridionale, i cui
confini sono meno controllati, tra cui appunto l’Italia [Barrucci, Liberti,
2004, p. 26]; scelta di ripiego almeno fino alla seconda metà degli anni
Ottanta. Le cause dell’arrivo di persone straniere sono, almeno
13
inizialmente, da ricondurre in prevalenza ai cosiddetti fattori push6 (o
d’espulsione) dei paesi d’origine, ma anche alla particolare posizione
geografica italiana e alla relativa facilità iniziale d’accesso alle frontiere.
Mentre infatti si riduce l’emigrazione italiana all’estero, continua quella
interna e cominciano i rientri di coloro che erano emigrati all’estero7,
arrivano anche in Italia i primi gruppi di stranieri. Il primo formato dai
lavoratori tunisini impiegati nella pesca e nell’agricoltura in Sicilia (il
porto di Mazara del Vallo, alcune aree coltivate nei dintorni di Trapani,
Ragusa ecc.). Arrivano inoltre altri gruppi eterogenei fra loro, con
prevalenza di donne impiegate nei lavori domestici [Pugliese, op. cit., p.
67] nelle grandi aree metropolitane sia a Nord che a Sud. Nel Meridione
risaltano alcune aree con una significativa presenza di immigrati come
Villa Literno in provincia di Caserta, diventata uno dei principali poli di
immigrati che lavorano nel settore agricolo. Il reclutamento avviene
generalmente attraverso organizzazioni ecclesiali e gran parte di loro
proviene da paesi cattolici o appartiene a minoranze cattoliche in paesi
con altre religioni dominanti. Cresce anche il flusso migratorio
proveniente dal Marocco, che finisce col diventare la componente a
lungo più numerosa in Italia (e prevalente nelle regioni meridionali),
occupata soprattutto nel commercio ambulante. Sempre negli anni
Ottanta cominciano ad aumentare le nazionalità presenti in Italia: ai
maghrebini si affiancano lavoratori provenienti dall'Africa Subsahariana
e dall'Africa Centro Occidentale, dei quali la maggioranza è d’origine
senegalese.
Con la pubblicazione del XII Censimento Generale della Popolazione
del 1981 (ISTAT) l’Italia si scopre finalmente “paese d’immigrazione”.
Dal censimento emerge che in Italia è entrata più gente di quanta ne sia
6 “Basti ricordare il deterioramento della situazione economica e sociale dei paesi del
Maghreb, dell’Africa a sud del Sahara, della Cina e di molti altri paesi […]; le guerre
nelle ex colonie italiane del Corno d’Africa, con cui il nostro paese mantiene
importanti relazioni; l’implosione di regimi di collettivismo burocratico dei paesi
dell’Europa dell’Est; il tracollo della ex Jugoslavia e dell’Albania ai nostri confini…”
[Bartocci, Cotesta, a cura di, 1999, pp. 224-225]. 7 La cosiddetta immigrazione “di ritorno”.
14
uscita; il “saldo sociale netto”8 ammontava, infatti, a 270.000 unità.
Parallelamente a questa “scoperta” l’interesse di demografi e sociologi,
delle organizzazioni sindacali e del volontariato, si rivolge verso
l’immigrazione; nascono le prime associazioni di immigrati e si arriva
all'emanazione della prima legge significativa in materia, la 943/1986:
“Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori
extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine”. Essa
sancisce l'uguaglianza e la parità di trattamento dei lavoratori
extracomunitari con i lavoratori italiani, formalizza le norme per i
ricongiungimenti familiari e stabilisce le modalità per l'accesso e la
programmazione dell'occupazione dei lavoratori subordinati
extracomunitari. Questa legge prevede anche la regolarizzazione dei
lavoratori stranieri in posizione irregolare, ma ne limita la possibilità ai
soli lavoratori dipendenti.
L’immigrazione italiana fino agli anni Ottanta era dunque costituita da
alcuni macrogruppi (eritrei, capoverdiani, somali, marocchini, tunisini e
filippini). Dalla fine degli anni Ottanta e inizio dei Novanta in poi,
invece, le comunità di immigrati si fanno più varie. Si passa così dalle
27 nazionalità differenti presenti nel nostro paese alla fine degli anni
Ottanta alle oltre 192 cittadinanze del 2004. Infatti, con la caduta del
Muro di Berlino e la fine del Comunismo ma anche con la crescita dei
fattori pull (o d’attrazione) della società italiana verso l’esterno (in primo
luogo la forte domanda di manodopera non specializzata nelle regioni
settentrionali e di lavoratori stagionali per l’agricoltura al Meridione, ma
anche l’esistenza di una diffusa economia “informale” che assicura
quanto meno un lavoro per tutti)9, la componente straniera aumenta. E si
frammenta tanto da far parlare gli studiosi di policentrismo dei flussi
migratori, legato, secondo alcuni, alla mancanza, in Italia – a differenza
di altri paesi europei – “di una tradizione d’accoglienza rispetto a una
particolare comunità nazionale” [Barrucci, Liberti, op. cit., p. 26], ma
8 La differenza cioè tra chi è partito e chi è tornato [Pugliese, 2002, p. 68]. 9 Nonché dell’inasprimento dello squilibrio dei paesi più poveri come effetto collaterale
della globalizzazione dell’economia. Si ricordi che il 60% della ricchezza mondiale è
detenuto dall’America e dall’Europa [Dossier Caritas/Migrantes, 2004].
15
anche alla particolare posizione geografica che la rende destinazione
appetibile per una molteplicità di paesi, tra cui quelli dell’Europa
dell’Est appena usciti dalla Guerra Fredda. Aumenta la pressione
migratoria dai paesi dell'Est, mentre altre nazionalità, come i cinesi,
cominciano ad acquistare rilevanza. Nel 1991 arriva l'immigrazione
albanese con le note “ondate” di profughi sbarcati sulle coste pugliesi,
ondate che si replicheranno nel 1997 in seguito al fallimento di alcune
società finanziarie cui gli albanesi avevano affidato i propri risparmi
[Bellu, 2004, p. 112]. Si ricordi la loro accoglienza in chiave
emergenziale10: chiave che dominerà il dibattito sull’immigrazione dagli
anni Novanta in poi.
Nel 1990 si tiene a Roma la Prima Conferenza Nazionale
sull'Immigrazione in occasione della quale si fornisce un quadro
generale e approfondito del fenomeno migratorio. Il principale interesse
degli osservatori sembra essere sia quello della conoscenza del
fenomeno, sia quello dell'accoglienza dei migranti con l'obiettivo di
superare la condizione di irregolarità. È anche grazie a quest’interesse
che si impone l’esigenza di sanatorie per l’emersione degli immigrati
irregolari già insediati. In Italia le sanatorie hanno avuto quattro
caratteristiche: “il carattere collettivo e di massa, la ricorrenza
periodica, le grandi dimensioni raggiunte, gli elevati livelli di
discrezionalità nel trattamento delle istanze” [Ambrosini, op. cit., p.
206]. Sono state infatti sei, dal 1981 al 2002, tra regolarizzazioni e
sanatorie, quelle attuate nel nostro paese.
Nel 1981 e nel 1986, si è trattato di una regolarizzazione praticamente
generalizzata. Nel 1990 la regolarizzazione viene invece attuata in
concomitanza con la ratificazione della legge n. 39, nota come “legge
Martelli”, che stanzia un fondo destinato agli enti locali per la
realizzazione di strutture d’accoglienza e, soprattutto, regola la
concessione del permesso di soggiorno. Esso viene concesso solo a
quanti siano in grado di dimostrare di disporre beni personali o
10 Cfr. cap. 2.2.
16
un’occupazione retribuita o l’impegno di un ente o di un privato che
garantisca per lui.
Considerata troppo lassista, la legge Martelli viene sostituita nel 1995
dal Decreto Dini, che contiene una serie di misure relative alle politiche
per l’immigrazione e una nuova proposta di sanatoria più restrittiva delle
precedenti [Pugliese, op. cit., p. 108]. Decreto che decade l’anno dopo,
soppiantato dal Regolamento d’attuazione della legge sull’immigrazione
del 6 marzo 1998, noto come legge Turco-Napolitano e accompagnato a
sua volta da un’altra regolarizzazione. Essa prevede, per quanto riguarda
l’ingresso in Italia, la figura dello sponsor: un italiano o un cittadino
straniero può prestare garanzia per far giungere un massimo di due
persone all’anno. Per contrastare il traffico dei “clandestini” è previsto
l’arresto in flagranza di reato degli scafisti e il sequestro dei mezzi
utilizzati per il traffico, che devono poi essere distrutti o messi a
disposizione delle Forze dell’Ordine. Prevede inoltre la necessità di
stabilire quote predeterminate di immigrati da accettare ogni anno, una
carta di soggiorno illimitato per chi risiede in Italia da almeno cinque
anni, la possibilità per i migranti di concorrere all’assegnazione degli
alloggi pubblici, l’obbligo scolastico per i minori e il diritto
all’assistenza sanitaria. La legge Turco-Napolitano riflette chiaramente
gli orientamenti europei in seguito agli Accordi di Schengen (e segg.) e
irrigidisce i controlli di ingresso e frontiera. Istituisce inoltre i centri di
permanenza temporanea e assistenza (CPT) per identificare gli stranieri
maggiorenni in vista di un rimpatrio nel loro paese11.
Controlli irrigiditi dunque, ma evidentemente non abbastanza, visto che,
dopo essere stata duramente criticata, la legge viene sostituita da un
nuovo provvedimento accompagnato da regolarizzazione: la legge
198/2002, cioè la Bossi-Fini. Questa nuova legge lascia sostanzialmente
intatte le politiche sociali ma rende più selettiva la possibilità d’accesso
regolare eliminando per esempio le precedenti norme riguardanti la
possibilità di ingresso per motivi di ricerca di lavoro [Pugliese, op. cit.,
11 Sulla questione dei CPT come effettivi luoghi di detenzione affidati a privati, cfr.
Irregolari e respinti, in Barrucci, Liberti [2002, pp. 47-68] e Rivera [2003, pp. 53-68].
17
p. 110] e più rigide le forme di repressione alla frontiera. Gli immigrati
sono considerati in quanto “lavoratori”, temporaneamente “ospiti” in
Italia per pure esigenze economiche. I vincoli introdotti rendono inoltre
più difficile per gli imprenditori reclutare nuovi lavoratori immigrati
[Ambrosini, op. cit., p. 213] ed eliminano la figura dello sponsor.
Interessanti anche le modalità di accesso alla sanatoria: vengono esclusi
familiari e lavoratori autonomi, in quanto la responsabilità della
presentazione della domanda è demandata ai datori di lavoro e non ai
lavoratori12; la pratica è affidata agli uffici postali e non più alla questura
e prevede il pagamento all’Inps di tre mesi di arretrati.
Il 10 febbraio 2005 è entrato in vigore il decreto di attuazione della legge
Bossi-Fini. È stata confermata l’istituzione del “contratto di soggiorno
per lavoro”: qualora un immigrato venga assunto (o licenziato), il datore
di lavoro deve darne comunicazione allo Sportello Unico per
l’Immigrazione. Nella stipula di tale contratto si prevede inoltre che il
datore di lavoro dichiari che il lavoratore, assunto o confermato, è in
possesso di un’abitazione adeguata ai criteri fissati dai regolamenti di
edilizia regionale.
1.5 In Italia, oggi
Impossibile da cogliere nella sua interezza in poche pagine, il caso
dell’immigrazione in Italia muta significativamente da una anno
all’altro, almeno in termini numerici. I cittadini immigrati hanno
raggiunto quota 2.600.000 [Dossier Caritas, 2004]. I primi tre gruppi
nazionali provengono da Romania, Marocco, Albania, ciascuno con
230/240 mila soggiornanti registrati. Al quarto posto, con 113.000
migranti, si trova l’Ucraina, seguita da Cina (100.000, presenti in tutta
12 Elemento che ha causato numerosi abusi come forme di ricatto e richieste di tangenti
agli immigrati da parte dei datori di lavoro, loro rifiuto a mettersi in regola o nascita di
“finti” datori di lavoro prestanome che hanno regolarizzato anche centinaia di
immigrati in cambio di denaro, come descritto nell’inchiesta di Barrucci, Liberti [2004,
pp. 23-45].
18
Italia ma concentrati soprattutto nel triangolo Firenze-Prato-Empoli),
Filippine, Polonia e Tunisia. Sulle 40.000 presenze un cospicuo gruppi
di paesi tra cui Stati Uniti, Senegal, India, Perù, Ecuador, Serbia, Egitto,
Sri Lanka. Quasi la metà di loro, quindi, proviene da altri paesi europei
(il 47%, di cui solo il 7% da paesi comunitari, percentuale destinata ad
aumentare in vista dell’allargamento dei confini dell’Unione Europea) e
quasi un quarto provengono dall’Africa (23,5%). La differenza di genere
è minima; si assiste ad un sostanziale equilibrio complessivo tra uomini
e donne, con prevalenza dei coniugati su nubili e celibi, un’elevata
presenza di minori (un quinto dei residenti); si prevede che nel 2005
saranno circa 40mila i bambini nati da genitori entrambi non italiani. Di
tutti gli immigrati regolarizzati, inoltre, solo il 15,6% sono minori. La
percentuale di stranieri nati in Italia ammonta invece al 12%.
Gli immigrati “regolari”13 provvisti cioè di permesso di soggiorno,
ammontano al 4,5% circa della popolazione italiana; a questi andrebbero
aggiunti quelli “irregolari” di cui tuttavia non si posseggono stime
precise: dai 200mila stimati dall’ISMU agli 800mila stimati
dall’Eurispes.
La ripartizione geografica degli immigrati è nettamente pronunciata a
favore del Nord (60%, con netta prevalenza della Lombardia), seguito
dal centro (30%, in maggioranza nel Lazio) e nel Sud (10%,
prevalentemente in Campania). Grande potere d’attrazione continua a
esercitare il capoluogo regionale, seguito dalla provincia. In tutte le
province sono stati anzi istituiti i Consigli territoriali per
l’immigrazione, anche se non tutti ancora perfettamente funzionanti.
Alcuni comuni dispongono anche di un ufficio per l’immigrazione ma
nella maggioranza dei casi non vi sono, nei comuni con più di 15mila
abitanti, consulte comunali sull’immigrazione né consiglieri aggiunti.
Stando ai dati del Dossier Caritas/ Migrantes 2004, oltre il 66% dei
cittadini stranieri è venuto in Italia per motivi di lavoro; più del 24%,
13 Si ricorda che la definizione “regolare” è del tutto arbitraria e transitoria in quanto
indica il mero possesso del permesso di soggiorno: un cittadino straniero può essere
stato a lungo “irregolare” e può facilmente ridiventarlo in seguito alla revoca del
permesso di soggiorno.
19
invece, è partito per motivi di famiglia. In tutto, quindi, il 90% delle
presenze mostra una volontà all’insediamento stabile. Il 7% dei permessi
di soggiorno è stato invece rilasciato per inserimenti medio-stabili
(studio, motivi religiosi, richiesta d’asilo politico, protezione sociale
ecc.).
I modelli lavorativi predominanti sono tre. Nelle regioni settentrionali
gran parte dei lavoratori di origine immigrata è impiegata nelle aziende
edili e nel settore manifatturiero; nelle regioni centrali è in prevalenza
impegnata nel terziario e nel lavoro domestico e di cura agli anziani; al
sud continuano a essere predominanti settori come l’agricoltura, la pesca
e la pastorizia [Barrucci, Liberti, op. cit., p. 41]. Suddivisioni
esemplificative e molto indicative, vista la realtà di grande
diversificazione dell’offerta di lavoro con cui quotidianamente si entra in
contatto.
1.6 I processi migratori fuori dell’Europa: breve
excursus geografico
Il fenomeno dell’immigrazione non riguarda solo l’Europa o gli stati
occidentali; interessa invece molti di più dei paesi ritenuti normalmente
mete d’immigrazione. Questo paragrafo vuole semplicemente dare
un’idea della portata di tale fenomeno, e vi si accennerà in seguito
quando si tratterà della rappresentazione allarmistica della “minaccia”
d’invasione straniera da parte dei mass media14: nel mondo sono in atto
processi migratori da sempre e i paesi a cui normalmente si pensa come
zone di immigrazione costituiscono in realtà solo una parte del
fenomeno, e nemmeno la più importante quantitativamente. Si tratta di
una dinamica che interessa le cosiddette “periferie” del mondo, poco
conosciuta proprio perché non passa dal “centro”.
1) Migrazione araba verso i Paesi del Golfo Persico. Durante la
seconda metà degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta, la
14 Dati estrapolati da Ruiz de Olabuénaga [2000].
20
maggioranza dei migranti internazionali verso gli stati del Golfo
erano arabi, soprattutto egiziani, yemeniti, palestinesi, giordani e
libanesi. In seguito le monarchie del Golfo, preoccupate per le
possibili ripercussioni politiche di una massiccia immigrazione
economica islamica, cominciarono a reclutare lavoratori dal Sud e
Sud-Est asiatico, meno impegnati in politica e quindi più facili da
controllare. Al contrario, l’Iraq e la Libia tentarono di ridurre il
numero di immigranti provenienti dall’Asia in favore di quelli arabi.
Alla fine degli anni Settanta, con la crisi e la caduta del prezzo del
petrolio, alcuni osservatori hanno concluso che l’emigrazione di
massa verso questi paesi si doveva dare per conclusa. Questo non
vale nel caso del Kuwait, in cui la forza-lavoro composta da
immigrati costituisce una parte insostituibile della forza lavoro
totale, e dell’Egitto, in cui però i movimenti migratori sono
soprattutto interni e inter-regionali.
2) Migrazione araba verso i paesi non produttori di petrolio.
Quantitativamente meno importante della precedente, è costituita
tanto da lavoratori quanto da rifugiati politici. La Turchia,
nonostante sia anche punto di partenza di milioni di lavoratori
impiegati nell’Unione Europea, soprattutto Germania e Scandinavia,
si è trasformata in paese d’immigrazione dopo la caduta del
Comunismo e la Guerra del Golfo. Sono più di cinquemila gli afgani
residenti in Turchia e altrettanti gli iracheni; diverse centinaia di
migliaia anche i bulgari e numerose persone provenienti dall’ex
Unione Sovietica. Un altro interessante dato d’immigrazione per
motivi lavorativi si riferisce agli arabi palestinesi dei territori
occupati. Nel 1984, circa ottantasettemila lavoratori provenienti da
questi territori erano impiegati in Israele come parte della strategia
per integrare i territori occupati nell’economia israeliana. A partire
dal 1991, però, le opportunità d’impiego per gli arabi in Israele si
sono drasticamente ridotte, anche a causa dell’arrivo di persone
provenienti dall’ex URSS.
3) Migrazioni nell’area dell’Africa Meridionale. Qui si concentra la
metà dei rifugiati politici del mondo. Ma in quest’area le condizioni
21
di vita sono pessime e l’instabilità politica rende da sempre l’area un
affollato punto di partenza di migranti verso l’Europa Occidentale
ma anche verso Stati Uniti, Canada, Medio Oriente.
Tradizionalmente questi flussi si dirigevano soprattutto verso le
antiche potenze coloniali, come i nigeriani verso il Regno Unito o i
senegalesi verso la Francia. Una caratteristica peculiare dei
movimenti migratori di quest’area è l’esistenza di accordi attraverso
cui vengono di volta in volta stabilite zone di libera mobilità per gli
stati firmatari; questo non impedisce una gran quantità di
immigrazione “illegale” in molti paesi, spesso tollerata in periodi di
economia florida e repressa, al contrario, in periodi di decadenza o in
presenza di pressioni internazionali. Chiaro esempio ne è la Nigeria,
che ha espulso tra il 1983 e il 1985 circa due milioni di persone. Sui
generis anche il caso del Sud Africa che è stato al tempo stesso,
soprattutto nel ventennio passato, terra d’accoglienza di lavoratori
stranieri e di partenza di emigranti in fuga dall’apartheid.
4) Migrazioni nelle regioni asiatiche del Pacifico. Le migrazioni da
questi paesi verso Medio Oriente, Nord America e Australia sono
state consistenti a partire dagli anni Sessanta fino agli anni Novanta
del Novecento, quando i movimenti di persone sono diventati
soprattutto interregionali, dagli stati cioè meno industrializzati come
Cina, Filippine, India, Bangladesh, Pakistan, Sri-Lanka e Indonesia
verso i “dragoni” asiatici industriali quali Giappone, Singapore,
Taiwan ecc. Sempre a proposito di migrazioni interne, significativi
sono gli spostamenti di grandi masse di persone dalle campagne
verso le città, fenomeno che assume particolare rilevanza in Cina.
22
Cap. 2. La rappresentazione del migrante
nella stampa italiana
2.1 Gli effetti sociali dei mass media
La presenza di persone di origine straniera è ormai una componente
importante della società contemporanea. Per questo motivo, è
interessante osservare come questo elemento ancora nuovo per l’Italia
sia percepito e giudicato dagli autoctoni, e analizzare come il fenomeno
dell’immigrazione viene rappresentato nei mezzi di comunicazione, in
particolar modo dalla stampa. I mass media svolgono infatti un ruolo
fondamentale nell’influenzare - da veri e propri attori protagonisti - le
modalità di costruzione e negoziazione della realtà sociale.
In questo capitolo si parlerà della rappresentazione dei fatti relativi
all’immigrazione da parte della stampa italiana, e verrà presentata una
cospicua rassegna delle ricerche quantitative e qualitative su tale
rappresentazione. Questa rassegna servirà a dimostrare come i giornali
tradizionali italiani si siano rivelati inadeguati alla trattazione esaustiva e
imparziale del fenomeno, e a mettere in luce la necessità di un approccio
mediatico e giornalistico differente ai fatti relativi all’immigrazione.
Nella nostra società i mezzi di comunicazione di massa rappresentano la
realtà sociale svolgendo tre funzioni:
• Funzione referenziale: danno visibilità agli eventi;
• Funzione cognitiva: forniscono un’immagine di tali eventi;
• Funzione simbolica: costruiscono, per i loro fruitori, un contesto
interpretativo (frame) dotato di senso, razionale o emotivo.
Il ruolo dei media è tanto più importante nella misura in cui sono
chiamati a rappresentare realtà nuove o poco conosciute; quando entra in
gioco un elemento nuovo, diverso e quindi “disturbante”, l’opinione
pubblica dipende maggiormente dai media nel tentativo di ancorare ciò
che è sconosciuto a qualcosa di noto e ridurre la complessità che rende
difficile interpretare la realtà [Grossi, 1995, pp. 29-45].
23
Per essere comunicati i fatti hanno bisogno, in primo luogo, di passare
attraverso l’ulteriore filtro del linguaggio: esso è “epistemicamente
indispensabile” [Searle, 1995, p. 90] per rappresentare una realtà
estremamente complessa. Si può anzi affermare che la realtà stessa, o
quella parte di realtà che viene rappresentata dai media, è costituita dal
linguaggio [ibidem, p. 70]. Ma il linguaggio in sé non è uno strumento
neutro. Come descritto nella linguistica di Saussure [Saussure, 1967]
ogni termine o segno linguistico è costituito da un significante, cioè il
suo aspetto grafico o fonetico, e da un significato, un concetto che oltre a
indicare un oggetto preciso della realtà fisica o simbolica dischiude
intere aree semantiche e richiama alla mente sentimenti e idee date per
scontate secondo riferimenti culturali e personali. Secondo l’ipotesi
Sapir-Whorf [Cheli, 1992, pp. 148-152], d’altro canto, il linguaggio va
visto come un codice che è espressione della società in cui si è formato e
che costituisce inoltre un “filtro” percettivo e interpretativo molto
importante15: “analizziamo la natura, […] la organizziamo in concetti e
le diamo determinati significati secondo linee tracciate dalla nostra
lingua” [Whorf, 1940, p. 169]. La scelta lessicale, quindi, non è mai una
scelta neutra, ma funge da richiamo per determinate “rappresentazioni
sociali” dell’oggetto in questione. Una rappresentazione sociale è,
secondo il sociologo Serge Moscovici, un sistema cognitivo, un insieme
cioè di valori, nozioni e pratiche sedimentati nella società e che serve a
categorizzare la realtà e a rendere familiare ciò che è ignoto o
inconsueto. Il linguaggio, infine, serve a “dividere e categorizzare il
rumore dell’enorme quantità di informazioni che ci investe ogni istante
del giorno” [Pratkanis, Aronson, 1996, p. 60]. Esso etichetta ogni
oggetto in base a una caratteristica particolare, a spese di tutte le altre
possibili: “noi reagiamo a queste caratteristiche, organizzando le nostre
realtà attorno all’etichetta dell’oggetto” [ibidem]. I nomi che separano -
come noi-loro, bianco-nero, maschio-femmina, ecc., dividono il mondo
e suggeriscono le azioni e le reazioni appropriate. Queste teorie
15 Cfr. cap. 3.3: per questo la lotta contro la discriminazione nei media comincia dalla
richiesta di un linguaggio più sorvegliato.
24
dimostrano l’importanza che riveste la scelta dei termini soprattutto nel
caso di temi delicati come quello dell’immigrazione.
Ogni individuo ricava le informazioni per costruire tali rappresentazioni
sia dall’esperienza personale sia da fonti esterne come per esempio, e in
misura molto ampia, i mass media [Cheli, op. cit., p.183]. Secondo la
teoria sociologica dell’agenda setting16 i mass media contribuiscono,
insieme all’esperienza personale diretta, a strutturare le conoscenze
possedute dalle persone in modelli di realtà che ordinano e danno
organizzazione all’insieme delle percezioni. L’arrivo dei mezzi di
comunicazione di massa ha così ampliato gli orizzonti della conoscenza
e ha portato all’attenzione nuovi problemi, nuovi argomenti: il
cosiddetto “potere di agenda” che i media hanno di mettere in risalto
particolari pezzi di realtà, e che varia in rapporto alle differenti
tematiche. I mezzi di comunicazione non si limitano a veicolare e
trasmettere in modo neutrale dati “puri” di realtà, ma assegnano agli
eventi una diversa rilevanza e una diversa valutazione di merito legata ai
fatti particolari: scegliendo quali parti ritagliare dalla realtà, con che
frequenza proporli, quale risonanza attribuire e quanta enfasi porre nella
loro presentazione, i giornali forniscono così, come illustrato dagli studi
sul newsmaking17, una particolare rappresentazione della realtà
presentata come autentica e che può incidere, almeno a lungo termine,
sull’attenzione che il pubblico dedica a un determinato tema [ibidem, pp.
106-123]. Un altro tipo di potere attribuito ai media è quello, descritto
nella teoria sociologica detta della “spirale del silenzio” [Noelle, 1947,
in Wolf, 1992, pp. 65-78], di “fornire rappresentazioni indirette della
risposta del pubblico”. In altri termini, i mezzi di comunicazioni di
massa svolgerebbero un tipo di influenza sociale più sottile,
rappresentando particolari correnti di opinione come quelle dominanti al
momento – di cui l’individuo può servirsi per orientare le sue.
16 Formulata inizialmente nel 1972 da McCombs e Shaw e riferita specificatamente allo
studio della comunicazione giornalistica [Wolf, 1992]. 17 Gli studi cioè sui processi di costruzione delle notizie nelle redazioni giornalistiche.
Ogni giornale infatti è anche un prodotto, che deve essere venduto ed è quindi frutto di
particolari routines aziendali orientate alla produzione.
25
Costruendo un universo simbolico di riferimento molto forte, quindi, e
occupandosi di temi spesso poco conosciuti dagli individui per
esperienza diretta, i media possono, secondo alcuni studiosi [Gillespie-
Robins, 1989; Tichenor et al., 1970, in Wolf, op. cit.] riprodurre e
accentuare le disuguaglianze sociali ed essere strumenti di
prevaricazione sulle minoranze. Rischi, questi, molto concreti nel caso
della trattazione dell’immigrazione nella stampa, come si vedrà nei
prossimi paragrafi.
2.2 Rassegna degli studi precedenti
I mass media svolgono un ruolo importante nella costruzione della
nostra identità e i loro linguaggi e contenuti danno un contributo
fondamentale alla definizione di altro-da-sé, definendo le categorie io-tu,
noi-altri. Lo straniero è l’altro con il quale “si hanno in comune soltanto
certe qualità più generali” [Simmel, 1989, p. 592] e come tale tende a
essere rappresentato nei media. Gli altri oggetto di questo studio sono
ben connotati socioeconomicamente e geograficamente: “appartengono
a quei mondi (Terzo e Quarto) che i paesi ricchi - il Nord del mondo -
hanno prima colonizzato e poi tenuto ai margini dello “sviluppo”
imponendo, anche con l’uso della violenza, modelli di dipendenza neo-
liberista che hanno reso quasi impossibile ai paesi del Sud del mondo di
scegliere una qualche forma di autosviluppo” [Schiavina, 1995, p. 50].
Per questo motivo non basta che sia nato “altrove” perché qualcuno sia
percepito come straniero-altro; bisogna che a questo si aggiungano
connotazioni in varia misura negative stratificate nella memoria
collettiva e riproposte di volta in volta nel linguaggio. Così lo stesso
termine “immigrato” non indica semplicemente una persona non nativa
del luogo, ma porta con sé un significato carico di sfumature, stereotipi e
sentimenti. In un’inchiesta svolta per il periodico spagnolo Tiempo Ibero
Americano18, una giovane insegnante di lingue dichiarava che
18 Romano, “Inmigrantes y la ciudad” in Tiempo IberoAmericano settembre 2004.
26
“immigrante è una persona che vive in condizioni cattive nel suo paese e
va a lavorare in un altrove. Se un europeo viene qui a studiare non è
immigrante, e i calciatori stranieri nemmeno”. Mai gli statunitensi
vengono definiti nel linguaggio comune “extracomunitari”, parola che
invece rinvia subito a un insieme di rappresentazioni sociali [Moscovici,
1989, p. 51] che servono a classificare quegli elementi della realtà che
arrecano disturbo in quanto differenti. Con ciò non si intende dire che i
mass media, e in particolare i giornali, rappresentano sempre e
intenzionalmente gli stranieri sotto una luce discriminante, ma che l’uso
di certe parole per definirli, chiamarli in causa e parlare di loro è già di
per sé una scelta significativa.
E spesso offensiva, come afferma lo scrittore di origine togolese Kossi
Komla-Ebri: “La prima parola ricorrente verso gli immigrati è quella di
“extracomunitario” che a rigore di definizione dovrebbe applicarsi sia
agli svizzeri, australiani che ai nord americani, ma sappiamo tutti che
nella realtà non è così. Provate ad uscire per strada ed a chiedere a
chiunque chi è un “extracomunitario”. Scommetto che non vi
nomineranno né l’americano e tanto meno lo svizzero. La cosa più
irritante in questa “parolaccia” è che ci definisce in forma negativa.
Piuttosto che definirci per quello che siamo cioè “Cittadini”, esso ci
definisce per quello che “non siamo”19.
Da quando la presenza di migranti ha cominciato ad assumere
dimensioni significative in Italia, la stampa ha cominciato a occuparsene
sempre più spesso. Negli studi preparatori di questo lavoro di tesi e
lungo tutto l’arco di tempo della sua stesura si è prestata particolare
attenzione alla lettura di giornali e quotidiani al fine di avere un’idea
precisa, per quanto parziale, dell’oggetto di ricerca. Si intende però
invece presentare qui, in forma divulgativa e integrata da ulteriori
riflessioni teoriche, le principali ricerche sulla rappresentazione dello
straniero nei mass media realizzate da enti e università, dall’inizio degli
anni Novanta fino a quelle tuttora in corso. Vari infatti sono gli studi,
che analizzano, attraverso ricerche sistematiche e monitoraggi dei media
19 http://blog.ilpassaporto.kataweb.it/ppblog/page/Kossi/20050404#20050494044747.
27
su determinati periodi dell’anno, il modo in cui il “fenomeno
migratorio” viene trattato dalla stampa italiana. Si ritiene infatti che i
mezzi di comunicazione contribuiscano a determinare una parte
dell’opinione pubblica, offrendo ad essa particolari rappresentazioni
della realtà sociale, e abbiano quindi una forte valenza formativa -
decisiva nel caso di situazioni nuove e sconosciute.
La metodologia usata prevalentemente nelle ricerche menzionate è
l’analisi del contenuto delle singole unità informative, viste come “anelli
di una catena”[Grandi, 1992, p. 28] che porta alla costruzione di un
discorso sull’immigrazione.
2.2.1 Macchie d’inchiostro
Uno dei primi tentativi di analisi sistematica della costruzione
dell’immagine dello straniero nella stampa è stata una ricerca del 1992
commissionata dall’Arci di Modena e i cui risultati sono stati raccolti da
Nico Caponetto nel volume Macchie d’inchiostro. L’informazione locale
e l’immigrazione extracomunitaria. Il punto di partenza e motivo di
quest’indagine, lungimirante visti gli anni di svolgimento, è, come
spiegano gli autori, il fatto che “la società multietnica non è un
appuntamento del domani: è l’oggi. Un presente che apre mille
problemi e prospettive”, soprattutto per i giornalisti che dovrebbero
impegnarsi affinché, più che alle notizie particolari, venga dato risalto
alle relazioni che vanno instaurandosi sullo sfondo tra mondi diversi che
si incontrano [Caponetto, 1992, p. 51]. In tutta Europa si dibatte su come
frenare, regolare o contenere i “flussi” degli immigrati ed è molto
rischioso, sostengono gli autori, se i media si limitano ad amplificare
l’eventuale disagio di fasce di popolazione e non facilitano invece il
riconoscimento dei diritti comuni. Per questa ragione è fondamentale
fare attenzione e misurare costantemente l’immagine degli immigrati
nella stampa locale, dal momento che è la dimensione locale quella che
più colpisce l’immaginario e sono le pagine di cronaca locale quelle che
spesso vengono lette con più attenzione, in quanto soddisfano i valori
notizia di prossimità e rilevanza sociale. Perciò oggetto della ricerca è
l’influenza che la stampa locale opera sulla rappresentazione
dell’extracomunitario sui cittadini modenesi. Il campo di indagine è
28
costituito dalle pagine locali dei quotidiani Resto del Carlino, Nuova
Gazzetta di Modena, Unità. La prima azione è stata quella di raccogliere
articoli di tali testate nel periodo agosto 1990-gennaio ‘92.
715 è il numero degli articoli monitorati che sono stati inseriti in un
database e analizzati secondo una griglia formata da: tipo di argomenti
trattati (cronaca nera, lavoro e sindacato, sanità, casa, integrazione,
razzismo); frequenza di articoli sugli immigrati; termini usati nei titoli
per indicare la nazionalità o l’etnia dei soggetti coinvolti; taglio
giornalistico scelto (se cronaca, commento, inchiesta o interviste). La
seconda azione è consistita nella rilevazione delle opinioni di un
campione rappresentativo di centottanta modenesi sull’immigrazione in
generale e su alcuni aspetti della vita cittadina in seguito
all’insediamento del gruppo di stranieri. Questo per verificare, per
quanto possibile, il grado di influenza che potrebbe avere avuto la
rappresentazione giornalistica sull’atteggiamento dei cittadini.
Il giornale che ha trattato più frequentemente di temi correlati
all’immigrazione risulta essere la Gazzetta di Modena, seguita da Resto
del Carlino e Unità. Il Resto del Carlino in particolare sembrava
occuparsi molto di mantenere viva l’attenzione sui problemi che
sembravano nascere con il passare del tempo. Nella maggioranza dei
casi, cioè nell’85% la notizia riguardava un fatto di cronaca o un evento
spettacolare. Riguardo ai titoli, nel 75% delle volte è presente il termine
“extracomunitario”. Tra l’altro solo nell’8,7% dei casi la fonte della
notizia è il soggetto coinvolto nel fatto. Gli argomenti trattati con più
frequenza sono stati: il problema della casa, vissuto come un’emergenza;
fatti di cronaca nera (spaccio, incendi, omicidi, rapine, prostituzione,
violenza sessuale, molestie, scippi, furti); il difficile processo di
integrazione (aspetti religiosi e culturali propri delle diverse etnie,
l’istruzione nelle classi miste, lo sport, il tema della solidarietà verso i
migranti); episodi di intolleranza (scritte sui muri, commenti e lettere,
raccolte di firme, atti di teppismo, attività esplicitamente antirazziste); la
questione del lavoro (inchieste sull’occupazione, discriminazione sul
luogo di lavoro, denuncia del lavoro nero, igiene e sicurezza) e infine
29
quella della sanità, nel senso di emergenza sanitaria e i rischi per i nativi,
per allertare l’opinione pubblica “sulla drammaticità e sui pericoli di
una situazione igienico sanitaria esplosiva” [Caponetto, op. cit. p.27].
Sembra un raggio abbastanza ampio di argomenti ma ciò che risalta
subito è la mancanza quasi totale di informazioni utili ai cittadini
stranieri e di servizio come quelle relative ai diritti, ai meccanismi
burocratici e sanitari, al cambiamento dei regolamenti ecc. Non c’è
ancora cioè un tipo di informazione che sia in grado di rappresentare una
realtà sociale nella sua completezza. Inoltre anche quando la stampa in
questione si è occupata di aspetti normativi e legislativi, lo ha fatto
prevalentemente informando sulle diverse posizioni all’interno delle
forze politiche e istituzionali, mai nell’ottica di un’informazione di
servizio.
Le conclusioni di questo primo lavoro d’indagine chiamano in causa
l’influenza che questo modo di rappresentare la nuova realtà sociale può
avere avuto sull’opinione dei cittadini modenesi. Una delle prime riporta
all’ipotesi di partenza secondo cui nella percezione della parola
“extracomunitario” conta il grado di sviluppo del paese d’origine e le
condizioni di vita dell’immigrato in Italia (canadese no, tunisino sì). Di
aspetti come la religione dei migranti, i loro rapporti coi sindacati, le
iniziative culturali e la difficoltà nel trovare lavoro si sa poco e la
descrizione fatta dai giornali sembrerebbe non influenzare l’opinione
pubblica, neanche in quei temi come il problema casa che, sebbene
trattato ampiamente dalla stampa, è conosciuto dai cittadini soprattutto
attraverso il passaparola e l’osservazione diretta. In sintesi, se la
rappresentazione dello straniero è sbilanciata quantitativamente a favore
degli episodi di cronaca, i soggetti coinvolti “non parlano mai” e non
vengono interpellati; estremamente esigue sono le informazioni culturali
sui loro paesi d’origine, e assente del tutto è l’idea della possibile
esistenza di un “giornalismo di servizio”. Anzi, le logiche che regolano
la trattazione dell’immigrazione sembrano anche in questo primo
periodo le stesse che reggono il mondo dell’informazione di massa.
Caponetto cita il concetto di notizia secondo Gianni Faustini, i cui testi
sono consigliati ai giornalisti praticanti per la preparazione all’esame di
30
stato per entrare nell’Ordine nazionale per divenire professionisti, che
citando a sua volta Alessandro Mazzanti sostiene che “per chiunque
voglia conquistarsi uno spazio nei media è praticamente obbligatorio
compiere un atto “eccezionale”, la cui singolarità può esplicarsi spesso
nelle forme negative della violenza e della tragedia piuttosto che in
quelle della sorpresa gradita e pacifica” [ibidem, p. 49]. L’immigrato
quindi, come del resto qualunque attore sociale, fa notizia nel momento
in cui è implicato in un “fatto di rottura”, fuori dalla norma. Pratica
questa che, per quanto criticabile, è conosciuta e accettata di buon grado
anche se tende a produrre “una produzione giornalistica parziale e
quindi non obiettiva” [ibidem, p. 50].
2.2.2 Noi, stranieri d’Italia
Uno studio più volte citato sulla rappresentazione del migrante nei mezzi
di comunicazione è anche quello svolto da Mahmoud Mansoubi,
ricercatore straniero proprio come Ribka Sibhatu, di cui si parlerà in
seguito. Noi, stranieri d’Italia [1991] è probabilmente il primo tentativo
di analisi della stampa quotidiana nazionale, in quanto prende in esame
le pagine del quotidiano La Nazione nel decennio 1978-1987. Emerge
subito, anche in questo caso, il dato quantitativo che è quasi il leit motiv
di ogni indagine: il maggior numero di articoli che parlano di cittadini
stranieri si trova nelle pagine di cronaca. Cronaca nera, in quasi il
settanta per cento dei casi. In questi articoli non si parla mai di straniero
in quanto lavoratore né si tenta in alcun modo di fornire
un’interpretazione critica di quello che sembra essere un fenomeno
nuovo per la realtà italiana [Mansoubi, 1991, p.115-116]
È stato individuato nel 1987 il cosiddetto anno soglia in cui la
trattazione giornalistica di tale fenomeno si intensifica. Come si vedrà, il
tema, uscito dalla fase di potenza, comincia a essere appetibile per la
stampa: assumono rilevanza gli episodi di razzismo che ben si prestano a
essere drammatizzati, a toccare le corde emotive del pubblico e scatenare
dibattiti tra i politici e la gente comune. Nel frattempo l’attenzione si
sposta gradualmente dalle condizioni di vita indigenti degli immigrati
alle difficoltà di convivenza con i nativi e infine ai difficili processi di
31
integrazione. “Detonatori emotivi” di ansie e angosce collettive sono da
un lato fatti di cronaca più sensazionali come l’omicidio di Jerry Masslo
del 1991, dall’altro dalle accese discussioni in merito alle leggi
sull’immigrazione che si succedono e che intendono regolare il numero e
le modalità di accesso degli immigrati [Viglongo, in Grossi, 1995, p.
21].
2.2.3 L’antenna di Babele
Sempre nel 1991 un’altra ricerca, commissionata dall’Associazione
Proteo Emilia Romagna e da Coop Consumatori di Bologna, si
concludeva con un bilancio abbastanza positivo dell’esperienza del
giornalismo regionale. Le testate analizzate, nel periodo aprile-giugno
1991, sono dieci quotidiani locali: Libertà di Piacenza, Gazzetta di
Parma, di Reggio Emilia, di Modena, di Forlì e di Rimini; Nuova
Ferrara; Resto del Carlino e Repubblica. Gli immigrati risultano, anche
in quest’indagine, visibili soprattutto nelle pagine di cronaca o in quelle
riguardanti i dibattiti politici sulle leggi di regolamentazione; di nuovo la
stampa sembra riluttante a qualsiasi forma di approfondimento su questi
temi preferendo occuparsi degli “eventi contingenti” quali appunto quelli
di cronaca nera. Curiosamente però poco spazio viene concesso anche
agli eventi repressivi delle forze dell’ordine. Si coglie d’altro canto “lo
sforzo denotativo di identificare l’origine dei protagonisti dei fatti-
notizia: da extracomunitario a marocchino, albanese, tunisino
pakistano” ecc. Gli autori dello studio ritengono queste definizioni non
nocive all’immagine dell’immigrato, perché quanto meno cercano di
attribuirgli un’identità più circoscritta rispetto a quelle di “nero” o “vu’
cumprà”. Il “modello emiliano” sembra quindi fornire un’immagine
leggermente più realistica della media nazionale perché accanto ai fatti
devianti della cronaca nera si trovano riferimenti a “una società […] che
riesce a coesistere positivamente con questa nuova realtà interetnica”
[ibidem p. 59].
32
2.2.4 La cittadella assediata
“Veniamo a conoscenza di problemi nuovi per noi (rapporti
interculturali, appartenenza etnica) ed esitiamo a ricorrere a un
vocabolario estraneo alla nostra cultura” [Wieviurka, 1996, p. 16]. È
probabilmente questa estraneità o la relativa novità degli incontri
quotidiani, sempre più frequenti, che ha fatto parlare alcuni studiosi di
sindrome da cittadella assediata. Vittorio Cotesta, in un saggio dei primi
anni Novanta, descrive la percezione negativa dell’immigrato come
prodotto di una “semplificazione informativa”. Nei giornali italiani,
infatti, non verrebbe mai messo in evidenza il loro contributo ai sistemi
produttivi locali, ma si enfatizzerebbero solo i problemi generati dalla
loro presenza. Quest’omissione fa sì che il migrante acquisisca
nell’immaginario collettivo lo statuto simbolico di povero, a cui offrire
umana comprensione e solidarietà, oppure di estraneo minaccioso, che
ruba il lavoro e invade il nostro Paese. A tutto ciò il cittadino comune
potrebbe verosimilmente rispondere con la volontà di scacciare gli
immigrati, che sembrano sempre troppi e generatori di problemi; mentre
l’autorità, dando ugualmente per scontata e accettabile tale visione,
proporre di programmare gli accessi, intensificare i controlli, espellere
gli “irregolari”.
I mass media, e quindi la stampa, amano la cronaca: alla quale accedono
gli immigrati non per la loro “normalità”, ma in quanto attori di eventi
“straordinari [Cotesta, 1992, p. 121]. Nelle routines produttive di
qualunque giornale, la selezione dei fatti dal caos del reale è
fondamentale, ed è per facilitare tale selezione che esistono i news
values, ovvero i valori-notizia: quei criteri valutativi convenzionali che
determinano la capacità di un evento di valere come notizia
(newsworthiness) e quindi la sua rilevanza. In questo modo la realtà
viene organizzata e gerarchizzata e si può procedere alla sua trattazione e
comunicazione. I valori notizia sono certamente mutevoli, cambiano a
seconda del periodo, del tipo di giornale, di linea editoriale ecc.
[Papuzzi, 1998, p. 22-27] ma in genere riguardano l’interesse del
pubblico (a cui si riferiscono i valori notizia della vicinanza, della
novità, della drammaticità, della conflittualità, dell’interesse pubblico
33
ecc.) oppure il lavoro della redazione (facilità nella comunicazione,
reperibilità, tempestività, durata). Secondo il sociologo Herbert Gans,
inoltre, esistono alcuni valori durevoli validi per tutte le testate. Tra
questi, l’etnocentrismo e la volontà di restaurare l’ordine, qualora fosse
turbato. Alla luce di tutto ciò, è quasi ovvio quello che emerge da questi
studi, e cioè che i giornali enfatizzano gli episodi di devianza e mettono
in evidenza solo o quasi gli aspetti negativi del fenomeno
dell’immigrazione: bad news is good news. In particolare, queste
caratteristiche sono facilmente riscontrabili nella stampa italiana,
storicamente caratterizzata dalla ricerca del sensazionalismo e della
spettacolarizzazione [Sorrentino, 1995, p. 216-220]. Il problema in
questo caso si riflette nella difficoltà che la stampa ha nel cercare di
trattare il tema dell’immigrazione con obiettività. A cominciare dalla
scelta dei vocaboli nella descrizione delle condizioni di vita e delle
possibilità di conflitto (“ghetti esplosivi”, “bisogna porre un freno
all’invasione”) per continuare con i titoli (spesso veri e propri slogan) in
cui l’extracomunitario è stigmatizzato come nemico solo in base alla
provenienza (“l’albanese”, “il nero”), la rappresentazione complessiva
che i giornali fanno della situazione sembra, secondo Cotesta, volta a
dimostrare che gli italiani sono razzisti e gli stranieri criminali. Immensa
semplificazione, certamente, ma comunque la direzione che sembra
seguire la stampa, almeno all’epoca di tale ricerca, cioè i primi anni
Novanta: in cui era inoltre “difficile valutare la qualità dell’integrazione
[…], di una inclusione non ancora inserita in una qualche struttura di
cittadinanza” [Cotesta, op. cit., p. 123]. Soprattutto nel momento in cui
sembra imminente una “guerra tra poveri” per la riconquista di scarse
risorse materiali (lavoro, casa) e per l’affermazione dell’identità. Spesso
strumentalizzate dai politici, le proteste degli abitanti dei primi quartieri
“invasi” dagli extracomunitari (come quelli di Roma) sono narrate dai
giornali con stile drammatico, non lesinando di riportare fedelmente
slogan e insulti e senza mai chiedere un parere agli altri attori coinvolti
nel conflitto, ossia gli stranieri. La conoscenza dell’altro con cui si entra
in conflitto non è profonda [ibidem, p. 128] e probabilmente non viene
neanche cercata.
34
Straniero, quindi, uguale diverso, invasore, pericolo, allarme sociale. La
maggioranza della gente interpellata dai giornali racconta di droga,
sporcizia, violenza e furti. Scarsi sono i tentativi di contestualizzare
questa minaccia trascendentale, tematizzarne gli aspetti, chiedere il
parere di esperti di posizioni opposte. Cotesta ne parla come di una
possibilità sprecata: “già nel progetto migratorio [ci sarebbe] una
“propensione all’integrazione”, [ibidem, p. 125] ma per il momento “gli
immigrati non sono considerati neanche dai media cittadini a pieno
titolo” [ibidem, p. 127].
Chiaramente necessaria, allora, un’educazione all’ipercomplessità del
reale [Schiavina, 1995, p. 29] realizzabile però solo in accordo con
media e scuola.
Qualche anno più tardi, uno studio intitolato Mass media e società
multietnica [Grossi, 1995], pur analizzando le pecche e i difetti di
un’informazione che comprende i cambiamenti sociali con difficoltà e
lentezza, lascia aperti spiragli di speranza quando arriva ad occuparsi
della stampa locale.
Il ciclo biologico della notiziabilità è farraginoso ma inesorabile. “Chi
cerca dal basso di penetrare i media trova forti resistenze a spingerli a
occuparsi di problemi nuovi e a gettare i fasci di luce dei loro riflettori
su zone inesplorate delle problematiche sociali. Ma una volta forato il
tetto della loro attenzione, […] diluvieranno notizie tutte uguali,
costruite secondo un medesimo schema”. [Grossi, 1995, p. 8]. Notizie
che finiscono poi per esagerare la portata dei fatti, per esempio
drammatizzandoli o deformandoli secondo gli standard acquisiti e resi
routine. È noto infatti che i media si accorgono dei problemi o dei
cambiamenti sociali quando sono ormai già sviluppati: così, quando
all’inizio degli anni Ottanta la presenza di immigrati africani in Italia era
già abbastanza considerevole, tanto da far pensare a una possibile
trasformazione radicale dell’Italia – da paese d’emigranti a terra
d’immigrazione – i giornali ne parlavano in forma occasionale e
privilegiando i fatti “di colore”. Era questa una fase definita “di latenza”
in cui l’attenzione dei media era rivolta altrove. In seguito, quando il
35
fenomeno è divenuto più visibile, è subentrata la fase “dell’emergenza”;
scoperto il tema, i mass media si sono inizialmente concentrati sui
fenomeni di razzismo, svolgendo così la loro tradizionale funzione
pedagogica che è un altro dei “fattori di lunga durata” del giornalismo
italiano [Sorrentino, op. cit., p.38-40], funzione che punta a educare il
lettore prima ancora che a informarlo. In quel periodo hanno infatti
svolto campagne antirazziste e concentrato i riflettori solo su alcuni casi
di cronaca. Un tipo di giornalismo “paladino” [Marletti, in Grossi, op.
cit., p. 10] che ha spesso puntato il dito genericamente e mobilitato in
superficie le coscienze. Confermando la sua natura paternalistica, ha
privilegiato notizie pietistiche senza interpretarne i retroscena. D’altro
canto, ed è un’accusa ricorrente, stampa e giornalismo televisivo hanno
quasi sempre evitato di interpellare fonti di prima mano, testimonianze
di migranti sul territorio, preferendo voci istituzionali e rapporti di
polizia. Ascolto rifiutato alle fonti primarie; approssimazione e fretta nel
riferire i Paesi di provenienza dei soggetti coinvolti nei fatti; rilievo
smisurato dato alle solite, trite connessioni tematiche (legame droga-
immigrazione, sporcizia, eccetera) sono elementi che stridono con
l’intento formale, proclamato a gran voce, di lotta al razzismo. Marletti
trova forti contraddizioni nella trattazione della stampa nei primi anni
Novanta. Ma la contraddizione è inevitabile; nel momento in cui
l’attenzione per un fenomeno tende a diminuire fisiologicamente, il ciclo
di attenzione raggiunge alti e bassi “finché il tema diventa indipendente
dagli eventi” [Viglongo in Grossi, op.cit., p. 18]. Un chiaro esempio è
dato scorrendo i giornali e analizzando il modo in cui è stato comunicato
l’esodo degli albanesi, quando in gran numero attraversarono l’Adriatico
per arrivare in Italia. In una prima fase, nel febbraio 1991, i gruppi di
albanesi che si muovevano sporadicamente verso l’Italia venivano
definiti dalla stampa “fratelli” alla ricerca del “sogno italiano”, appena
usciti - carichi di speranza - dal “crollo del comunismo”; di loro si
parlava benevolmente come di “un’etnia storicamente vicina al popolo
italiano, diversa e distinta dai popoli extracomunitari di colore lontani
dalla nostra cultura” [Grossi, op. cit., p. 63]. Quando però presero a
sbarcare a migliaia, il frame in cui venivano interpretati i fatti cambiò
36
repentinamente: gli albanesi divennero una minaccia, il fenomeno
migratorio un’invasione subita da oggetti disturbanti, spaventosi, di cui
sbarazzarsi o da rinchiudere, nemici. Trasformazione simbolica
culminata e concretizzata poi nella segregazione nello stadio di Bari: in
quel momento da fratelli erano già diventati bestie, o meglio “non-
persone” [Dal Lago 1999], esseri privi anche dei diritti fondamentali
dell’uomo.
Simile contraddizione si riscontra nell’alternanza della trattazione
dell’Islam o di temi di uguale importanza: contraddizione interna che si
risolve in un’euristica contrapposizione. Non stiamo parlando della
relazione di alterità noi-loro che si accennava al principio, ma della
dicotomia buoni-cattivi. “Buoni possono essere, per adesso, i musulmani
della Bosnia o i palestinesi. Cattivi sono gli arabi fondamentalisti.
Mancano completamente tentativi di tematizzare, di cogliere l’immagine
della differenza in una prospettiva che viva il presente come storia…
l’Islam continua così a restare in prevalenza per la stampa […] un
oggetto misterioso, una diversità ignota e quindi minacciosa” [ibidem,
pp. 15 e 75]. Sono infatti assenti nei giornali tentativi di analisi o
inchieste che spieghino le diverse correnti dell’Islam, le posizioni
progressiste rispetto ai fanatismi, il diverso peso politico che esso ha nei
diversi paesi. Il Sud del mondo sembra fare notizia solo quando sono
minacciati gli interessi dei paesi occidentali.
2.2.5 L’immagine del kosovaro in tempo di guerra
In un articolo di Vanessa De Giosa apparso su Problemi
dell’informazione [3/2003, pp. 363-410], sintesi di una ricerca
dell’università di Lecce sull’immagine del profugo kosovaro nelle
cronache di due giornali pugliesi (Gazzetta del Mezzogiorno e
Quotidiano di Puglia) viene analizzata la costruzione di un clima
allarmistico in previsione dell’arrivo in Puglia di una quantità
imprecisata di profughi. L’analisi è stata svolta sugli articoli pubblicati
in trentuno settimane dal primo marzo al trenta settembre 1999. In una
prima fase gli articoli rappresentano l’Italia e in particolare la Puglia
come una terra solidale pronta a dare accoglienza a “una nuova umanità
37
creata dalla guerra”. Addirittura parte una campagna della Gazzetta del
Mezzogiorno per assegnare il premio Nobel per la pace alla popolazione
salentina. Ancora nelle prime fasi della guerra, si parla dei cittadini
kosovari in arrivo sulle coste italiane come semplici “immigrati” e non
come profughi [De Giosa, op. cit., pp. 363 e segg.], e l’uso di termini
biblici come “esodo” ed epici come “odissea” per descrivere il faticoso
viaggio dei migranti impediscono una rappresentazione del movimento
migratorio come progetto razionale ma attivano un’area semantica che fa
appello all’emotività dei lettori. Accanto all’esaltazione del proprio
senso umanitario appaiono posizioni più critiche che attivano il
collegamento tra immigrazione e crimine organizzato, il timore che
questa metta a rischio il turismo dell’ormai prossima stagione estiva, lo
scandalo dei mercenari della disperazione [ibidem, p. 366]. Comincia a
salire la preoccupazione: i due giornali trattano la questione scindendola
nella classica contrapposizione noi-loro: noi, capaci di solidarietà e
sacrificio altruistico, e loro che sono troppi e pericolosi. Il cambiamento
di frame interpretativo rispetto agli inizi è totale e definitivo nella prima
settimana di maggio, e consiste in una “«tipificazione» negativa, tutta
giocata sull’allarme sociale. Il profugo è avvertito come pericolo, in
grado di mettere a rischio le proprie certezze” [ibidem, p. 366].
Vengono pubblicati lettere e commenti di politici che parlano di possibili
conseguenze distruttive per la regione e chiedono aiuto al governo per
fronteggiare l’emergenza. La rappresentazione del kosovaro è ormai
quella del barbaro da allontanare, insidia per le proprie risorse e la
propria identità. Il tono con cui si descrivono i fatti è “sempre di tipo
assertivo e quindi prospettato come autentico” [ibidem, p. 375]. La
necessità primaria diventa quella di rimpatriare i profughi; tra loro e la
comunità sembra essersi ormai frapposta la barriera dell’irreparabile
diversità. Si rappresenta il campo di permanenza temporanea come una
struttura idonea all’accoglienza, che testimonia la buona volontà dei
pugliesi e il loro senso umanitario nonostante l’apparente abbandono da
parte dei politici. Il passaggio dell’immagine dello straniero da “fratello”
da accogliere e “vittima” da aiutare a barbaro ed estraneo è testimoniato
anche dal cambiamento del tipo di foto che accompagnano i testi degli
38
articoli. Dalle immagini bibliche del drammatico “esodo”, dall’odissea
su mare nella fuga dalla guerra si passa a immagini di kosovari colti in
atteggiamenti criminosi [ibidem, p. 372]. Una trasformazione
interpretativa così drastica e rapida che passa attraverso la società senza
essere avvertita.
Le notizie giornalistiche sono veri e propri prodotti, creati a partire da
regole organizzative, in un processo che prevede un’attività di
negoziazione fra diversi attori sociali [Sorrentino, 1995, p. 13]. Queste
regole prevedono la presenza di differenti frames che attribuiscono un
determinato peso a ogni elemento della realtà, in modo da strutturarla in
una gerarchia flessibile di rilevanza che si riflette poi nella percezione
che l’uomo della strada si fa della realtà [De Giosa, op. cit., p. 373]. Ma
tali frames non sono certo criteri oggettivi. Se i valori-notizia aiutano a
scegliere quali parti della realtà “ritagliare” e si sedimentano nel tempo, i
frames sono cornici interpretative che giungono fino al lettore e sono,
come si è visto, particolarmente flessibili: consentono di inquadrare la
realtà in modo differente seguendo il cambiamento di ideologie e
interessi dominanti.
Nel caso dei quotidiani pugliesi la flessibilità dei frames ha consentito
che venissero ribaltati guidando la linea degli articoli (e dell’opinione
pubblica) verso posizioni opposte a quelle di partenza.
2.2.6 Non-persone
Manca invece un approccio ai migranti in quanto portatori di diritti. Essi
sono un “pericolo da contrastare con ogni mezzo”, sostiene Alessandro
dal Lago in Non – persone. L’esclusione dei migranti in una società
globale [1999] saggio sulle pratiche sociali che portano all’esclusione
dei migranti in una società che pure si dichiara favorevole alla libera
circolazione dei beni. Al rifiuto di nuovi migranti si aggiunge
l’esclusione sociale di quelli già presenti sul territorio italiano,
esclusione che si articola in un complesso di pratiche discriminatorie
quotidiane, decreti e provvedimenti di legge volti a “filtrare” gli stranieri
o impedirne l’accesso, rappresentazioni allarmistiche e superficiali dei
mass media. I mezzi di comunicazione di massa sono infatti “il luogo in
39
cui il “senso comune” viene raccolto […] riprodotto e trasformato in
versione oggettiva della realtà” [Dal Lago, op. cit., p.15]. Per questo
motivo essi necessitano di essere costantemente monitorati: le loro
retoriche sono socialmente costruite in particolari contesti di produzione
e significazione e le modalità d’espressione non sono mai dissociate
dall’ambiente e dagli stereotipi locali.
La stampa e i mezzi di comunicazione certamente non costituiscono che
una parte degli attori sociali che hanno le chiavi per definire le cornici
del senso comune. E questo senso comune rigetta la presenza dell’altro
finché non può farne a meno, salvo poi esternare tutta la propria
intolleranza in diverse forme. L’esclusione dei migranti è il risultato di
meccanismi sociali “perversi” sfruttati a proprio vantaggio dai diversi
attori (imprenditori, opinion leaders, politici ecc.).
Dal Lago attinge a un repertorio immenso di articoli di giornali
quotidiani per dimostrare come il razzismo si annidi dappertutto e porti a
conseguenze pericolose per l’intera società. In una scala progressiva,
infatti, si ha un escalation di affermazione degli atteggiamenti razzisti:
dall’autocensura involontaria di giornalisti e politici ad atti concreti di
discriminazione e addirittura all’invenzione di notizie false.
Viene messo in evidenza, in primo luogo, il diverso peso che hanno gli
stessi fatti se a compierli sono cittadini italiani o stranieri. Ad esempio,
un immigrato che muore sul lavoro ha un peso diverso di quello di un
italiano che muoia in condizioni analoghe: “una sorta di autocensura
preventiva e automatica, in base a cui gli omicidi vengono derubricati
come “fatalità” o fatti di cronaca più o meno neutri e privi di
significato” [ibidem, p. 29]. Anche quando gli stranieri sono aggrediti o
subiscono atti di razzismo, in qualche modo l’atteggiamento della
stampa è quello di ancorare il fatto particolare alla generale
esasperazione della gente nei confronti del fenomeno dell’immigrazione
– e quindi a giustificarlo. La sottovalutazione del razzismo e della
xenofobia con un finto “richiamo al contesto […], la citazione di fatti
che non hanno alcun rapporto con l’aggressione, la minimizzazione dei
fatti” [ibidem, p. 37] da parte dell’autorità sminuiscono la gravità degli
episodi di razzismo ma acutizzano il clima da “emergenza-
40
immigrazione” in un climax di allarmismi. Infatti, quando i colpevoli di
un atto di violenza sono cittadini stranieri, proprio questa è la primissima
informazione che viene data.
Ritorna la dicotomia noi-loro: tolleranza e rispetto versus minaccia e
violenza, e, all’interno della categoria “loro” quella della divisione
regolari-clandestini. “Clandestini”, cioè privi di un regolare permesso di
soggiorno, e quindi sconosciuti e privi di diritti. Privi di diritti, alias non-
persone. Soggetti pericolosi, schegge impazzite in giro per l’Italia,
l’esercito di clandestini che gironzola nel nostro paese (Repubblica, 1
novembre 1996) è equiparato a un nemico in quanto fuori dalla legge, e
quindi “fuorilegge, e quindi delinque, è pericoloso oltre che
“inesistente” [ibidem, p. 49].
Ma perché il migrante sia reinventato quotidianamente come nemico o
minaccia, egli è assunto preliminarmente come tale, cioè un nemico
costitutivo [ibidem, p. 46]. È il “gruppo perfetto” di cui si parlava in
precedenza, il capro espiatorio delle angosce collettive, il protagonista
delle cronache locali e nazionali.
I fatti di cronaca nera sono presto generalizzati, i gruppi etnici
stigmatizzati in base all’operato di pochi individui. È l’immigrazione
stessa a essere considerata una vera e propria forma di devianza; per
questo motivo i cittadini stranieri restano a lungo solo degli ospiti
(indesiderati o meno), e “continuano ad essere visti come alieni,
malgrado […] essi condividano la vita quotidiana degli [altri] abitanti”
[Moscovici, 1989, p. 48]. Ciò che è alieno spaventa, in un’inquietudine
di sottofondo perpetuata dalla “tautologia della paura”: paura che si
autoalimenta di retorica e di ipersemplificazione. Così, vengono taciute
nelle cronache le differenze tra microcriminalità e crimine organizzato,
in modo da dare per scontata la presenza del fenomeno come dato
strutturale. La “devianza” di cui è portatore lo straniero viene fatta
vedere pericolosamente vicina all’illegalità – problema crescente. In
questo modo lo straniero viene consacrato “nemico pubblico”,
acquisisce finalmente un “ruolo” nella società [ibidem, p. 118] che lo
rende conoscibile e paradossalmente un po’ meno perturbante.
Perturbante dell’ordine pubblico e dell’universo simbolico e culturale
41
consolidato nell’etnocentrismo. La stampa ad esempio si occupa del
problema della prostituzione di giovani donne straniere con ricchezza di
particolari, ma quasi solo in occasione di proteste per il fastidio che
provoca nella cittadinanza.
Il saggio di Dal Lago rivela quindi come la costruzione delle notizie da
parte dei giornali sia non solo criticabile in quanto ricca di pregiudizi e
quasi del tutto priva di senso critico, ma motiva queste caratteristiche
nella cattiva fede di una società che si serve dei media per i propri fini
particolari, e che cerca di costruire una cornice simbolica e interpretativa
(frame) che porti a non vedere nell’immigrato una persona e quindi a
escluderlo dalla discussione sui diritti civili, e in secondo luogo a
giustificare il bisogno della chiusura delle frontiere, o almeno di una loro
riappropriazione in termine di filtro, come mezzo di protezione. Il tutto
rappreso nell’esteriorità di una retorica verbalmente antirazzista e di
auto-incensazione.
2.2.7 Noi e gli altri. L’immagine dell’immigrazione e degli immigrati
nei mass-media italiani
Imprescindibile in questa rassegna delle ricerche sulla rappresentazione
del migrante nella stampa lo studio compiuto da Maurizio Corte
[2002]20. La ricerca è stata condotta nell’ambito del Centro Studi
Interculturali dell’Università di Verona fra il 1998 e il 1999. Obiettivo
dell’indagine è stata la verifica dell’atteggiamento della stampa nei
confronti dell’immigrazione e dei nuovi arrivi di stranieri, nonché
l’immagine dell’altro che risulterebbe da questo atteggiamento.
La differenza rispetto alle ricerche precedenti è che questa volta il campo
d’indagine non sono stati i giornali quotidiani ma la fonte indiretta
privilegiata di quasi tutti i media informativi italiani, cioè l’agenzia di
stampa Ansa. Essa infatti seleziona, “produce” in vario formato (dal
semplice dispaccio d’agenzia fino a veri e propri articoli) e distribuisce
le notizie che poi sono diffuse dai giornali, fissando di fatto l’agenda
setting degli avvenimenti che devono essere trattati.
20 Consultabile all’indirizzo http://www.cestim.org/08media_corte-articolo-univr.doc.
42
Sono 1498 i dispacci (o “lanci”) d’agenzia etichettati con il titolo
“immigrazione” e analizzati nella prima fase dell’inchiesta, il periodo
luglio-settembre 1998; essa è stata poi ripetuta a pochi mesi di distanza,
per due settimane (dicembre 1998 e gennaio 1999).
La concomitanza della prima fase della ricerca con l’arrivo della calda
estate dei clandestini sulle coste del Salento (cfr. De Giosa, 2004) in
occasione della guerra in Kosovo ha rivelato più facilmente le routines
giornalistiche nei casi di emergenza. L’approfondimento apparente e
pacato che consiste nel giustapporre pareri diversi su un argomento
all’interno della stessa pagina ha lasciato spazio in quei giorni a un
accavallarsi di notizie allarmistiche, in un clima socialmente costruito di
esasperazione informativa e innalzamento della curva di attenzione del
pubblico.
L’analisi quantitativa mostra che l’Ansa si occupa soprattutto
dell’immigrazione clandestina. Il 98% dei dispacci riguarda infatti gli
irregolari.
Per l’analisi qualitativa del contenuto è stata utilizzata una griglia di
lettura che misurava il numero di dispacci giornalieri, li divideva in due
sezioni (relativi a immigrati regolari/clandestini), classificava la
tipologia di documenti trattati (breve di cronaca/reportage/comunicato
ufficiale/inchiesta) e di argomenti trattati. I risultati di queste rilevazioni
possono essere raccolti in quattro punto fondamentali.
1. L’informazione si concentra in stragrande maggioranza sui
migranti “irregolari”, definiti sistematicamente clandestini, e sui
loro comportamenti devianti. Quasi la metà dei dispacci
d’agenzia è composto da brevi di cronaca. Sono altresì presenti
documenti che parlano di eventi di costume, di problemi legati al
lavoro o religiosi; “la figura dell’immigrato però emerge sotto
una luce positiva solo quando si tratta di soggetti che sono
funzionali all’economia italiana”.
2. L’informazione non dà mai la parola ai cittadini immigrati
neanche quando sono coinvolti direttamente nei fatti.
L’immagine che ne viene fornita assume così tratti squalificanti
senza che il diretto interessato possa contestarla: “prevalgono le
43
sub-immagini di povero, diseredato, affamato ecc. per un verso,
di dedito ad attività illecite per l’altro”.
3. L’informazione ignora l’identità culturale del cittadino
immigrato e trascura anche la sua valenza economica. Non
chiarisce mai il suo vero peso nell’economia italiana.
4. L’informazione inserisce nella sua agenda setting il mondo
dell’immigrazione solo quando si fa “emergenza” e costituisce
un paventato problema. Ciò risponde alle logiche di
spettacolarizzazione, drammatizzazione e sensazionalismo. Da
questi dati sembra che il pubblico voglia essere intrattenuto
prima che informato. Ecco allora che l’immigrato viene
personalizzato e umanizzato: deve spaventare ma anche
commuovere, magari una volta morto, magari annegato, con i
suoi bambini. Di fronte all’incalzante concorrenza della
televisione, i giornali si adeguano settimanalizzando la notizia,
arricchendola di particolari curiosi, semplificando la complessità
[Sorrentino, 1995, pp. 204-230], in modo da renderla avvincente
e catturare la risorsa scarsa dell’attenzione del lettore.
2.2.8 Il cittadino che non c’è
Eppure una famosa definizione del giornalismo lo descriveva come una
forma di “storiografia del presente”. E al presente ci si comincia ad
avvicinare, nell’ambito di questa rassegna dei principali studi analitici
sull’immagine dei migranti nella stampa italiana, con l’indagine della
ricercatrice di origine eritrea Ribka Sibhatu, ora consulente per
l’immigrazione del Comune di Roma e mediatrice culturale, pubblicata
nel volume Il cittadino che non c’è. L’immigrazione nei media italiani
[2004]. La documentazione è partita nel giugno 1999 con l’obiettivo
iniziale di analizzare la rappresentazione dell’immigrazione italiana
proveniente dal Corno D’Africa. Ma dopo i primi sei mesi di
osservazione è stato evidente che, contrariamente alla Francia che
mantiene ancora forti legami anche culturali con le sue ex-colonie,
l’Italia sembrava poco interessata a tali paesi – virtualmente assenti dalla
mappa geografica della stampa - nonostante proprio nei mesi di
44
rilevazione fosse laggiù in atto una sanguinosa guerra.
L’oggetto dell’analisi è diventato perciò più ampio e si è passati ad
osservare invece il modo in cui cinque mezzi di informazione trattavano
il fenomeno migratorio nella sua complessità. A questo proposito sono
stati tenuti sotto osservazione due giornali (Corriere della Sera e
Repubblica), il Tg1 delle ore 20:00, il Tg5 delle 24:30 e il giornale di
Radio Vaticana delle ore 21:00, al fine di avere una visione più completa
e distribuita nelle fasce orarie e di utenti. L’osservazione si è svolta dal
marzo 1999 al giugno 2001 e nei mesi di giugno, settembre, dicembre
2000 e marzo 2001 [Sibhatu, 2004, pp. 33 e segg.]. Sono stati selezionati
tutti gli articoli e i servizi riguardanti l’immigrazione, i quali sono poi
stati raggruppati secondo le tematiche trattate, i toni usati, la lunghezza
del pezzo, le scelte lessicali adottate. Il primo dato che viene messo in
evidenza dalle conclusioni di tale monitoraggio è la scarsità di
informazioni sulla situazione dei paesi d’origine degli immigrati. Non ci
si interroga cioè su cosa i migranti hanno alle loro spalle, le motivazioni
profonde che li hanno spinti a partire, quali sono le loro storie di vita e
aspirazioni per il futuro. Allo stesso modo i media si occupano poco dei
processi di inserimento e integrazione nel quotidiano.
Le tematiche affrontate dai media esaminati non riguardano quasi mai la
quotidianità silenziosa degli stranieri: scuole di lingua, eventi culturali o
folcloristici, storie di vita, le manifestazioni contro le guerre dimenticate.
Riguardano invece gli aspetti peggiori ed eccezionali.
Va ricordato che in Italia sono presenti, e lo erano al momento dello
studio, 192 cittadinanze diverse. Centonovantadue cittadinanze diverse
“messe tutte nello stesso sacco e tutti i loro componenti genericamente
definiti “immigrati” [Sibhatu, op. cit., p. 27]. E genericamente e
categorizzati e tipizzati a priori come “problema”: “spesso i media
introducono temi che riguardano il mondo dei migranti dicendo:
“adesso affrontiamo il problema dell’immigrazione”. Ma in fondo
l’immigrato nei media è il vero “grande assente”: commenti, servizi,
lanci d’agenzia, interviste ad operatori del sociale, al limite inchieste ma
quasi mai domande ai diretti interessati.
45
La maggioranza dei mass media quindi non tenta di compiere uno
sforzo per comprendere il fenomeno neanche nel suo insieme ma lo
riduce a nuovo problema piovuto dal cielo. Manca la rappresentazione
della normalità, della quotidianità degli immigrati e delle differenti
tradizioni che si innestano nel tessuto sociale italiano, così che i cittadini
italiani che non hanno contatti diretti e personali con immigrati
sarebbero portati a concepirli solo secondo un’ottica negativa
stabilizzata nello stereotipo di generatori di guai per la nazione. Guai
epici, da cittadella assediata, in pericolo: la fortezza Italia invasa
clandestinamente da milioni di potenziali criminali. Gli articoli raccolti
nei mesi di osservazione ed esaminati nella ricercano parlano di
argomenti differenti ma correlati, a formare un unico discorso. Continui
nuovi arrivi di profughi, spaccio, prostituzione, sequestri di persona a
opera di albanesi (o presunti tali), vicende di bambini contesi da genitori
di paesi differenti, morte tragica di clandestini nel viaggio della
speranza, proposte di sanatorie, gli anatemi del cardinale Biffi, proteste
degli abitanti dei quartieri di recente insediamento di stranieri, incidenti
automobilistici provocati da cittadini non italiani. Una giustapposizione
di eventi angoscianti e catalizzatori di paure collettive (quello degli
stranieri è infatti il “gruppo perfetto” [Cotesta, 1992] da odiare e
considerare causa di tutti i mali) che riflettono l’immagine di un paese in
cui la criminalità aumenta a ritmi vertiginosi. Percezione che porta a
esprimere come priorità per i cittadini e programma politico per i partiti
un generico “bisogno di sicurezza” e quindi, in una sorta di circolo
vizioso, alla presenza massiccia del tema dell’insicurezza nell’agenda
setting dei giornali. Intere comunità poi, pur numerose come quella dei
filippini, permangono invisibili in quanto non incorrono in episodi di
violenza [Sibhatu, op. cit., pp. 328-332].
I giornali usano, soprattutto nei titoli, termini ambigui, carichi di
connotazioni drammatiche ed emozionali e descrivono
indiscriminatamente l’insieme dei migranti come unico gruppo che
viaggia a “ondate” sgradite e troppo spesso incontrollabili, attraversando
confini resi sempre più porosi e che sarebbe bene controllare
militarmente; ondate i cui membri componenti non posseggono nome e
46
cognome ma vengono identificati dalla semplice indicazione della
nazionalità. Gorizia, frontiera bucata; Restituita la patente all’albanese
assassino; Scarcerato l’albanese investitore21; Pulizia nella
clandestinopoli d’Italia; Banda di extracomunitari rapina una villa.
I media parlano di “flusso” che come l’acqua del rubinetto può essere
regolato a piacimento; i movimenti migratori sono paragonati alle
cavallette che invadono i campi d’estate, suggerendo l’idea di una
moltitudine incontrollabile e dedita al saccheggio delle risorse.
Trascurato il contributo che i migranti darebbero all’economia italiana;
si parla di domanda di lavoro, quasi mai di offerta, spesso della
possibilità che gli stranieri bilancino la crescita-zero dell’Italia, mai
delle tasse pagate dagli stranieri regolari e la possibilità che aiutino a
pagare le pensioni degli italiani sempre più vecchi.
Più che a un’informazione non interessata alla nuova realtà sembra che
ci si trovi davanti a un’informazione incompleta; anche se non
necessariamente in modo intenzionale. “La maggior parte dei mezzi di
informazione si è soffermata a lungo sugli arrivi dei profughi […] e non
hanno accennato al fatto che l’Italia è soprattutto terra di passaggio,
non hanno parlato abbastanza della storia dell’immigrazione del popolo
italiano” [ibidem, p. 26] verso altri paesi. Un’occasione mancata di
riappropriazione di una parte importante della storia italiana, di cui non
si parla mai: eppure “non c’è stereotipo rinfacciato agli immigrati di
oggi che non sia stato già rinfacciato, un secolo o solo pochi anni fa, a
noi italiani” [Stella, 2002, p. 11]. La verità è fatta di più facce: eppure
sembra che tutto sia stato rimosso, dimenticato, e l’odio e le fobie che
vengono riversate ogni giorno sugli immigrati – quelle stesse le hanno
subite le prime generazioni di italiani emigrate lontano e considerate “la
feccia del pianeta” [ibidem, p. 7]. Un’occasione sprecata, si diceva,
21 Il riferimento qui è alla vicenda di Bita Panajot, il cittadino albanese che investì un
bambino, scappò senza soccorrerlo e fu per questo condannato. Il caso scoppiò
nuovamente infiammando per dieci giorni di seguito il dibattito nei giornali in quanto,
scontata la pena alla quale era stato condannato, Bita Panajot fu visto nove mesi dopo da
una troupe di giornalisti del Tg4 alla guida di un’autovettura, libero e in possesso di una
regolare patente di guida.
47
perché la conoscenza di questo passato – esperienza, quella
dell’emigrazione italiana, che ha riguardato 27 milioni di italiani nel
corso di un secolo – poteva invece essere utile alla comprensione delle
nuove dinamiche in atto nella società italiana - in trasformazione
continua, mancante di empatia. Il razzismo infatti “colpì tutti e fece degli
italiani, come scrisse nel 1924 il rapporto di Herman Feldman sui
fattori razziali nell’industria, «probabilmente i più maltrattati degli
stranieri». Gli ultimi degli ultimi” [ibidem, p. 44]. Costretti a viaggiare
anch’essi in carrette stracolme sui mari, ad attraversare montagne
innevate a piedi di notte, svolgere i lavori più pesanti e meno remunerati
senza garanzie, gli emigranti italiani all’estero hanno sopportato ogni
sorta di soprusi e rappresaglie; sono stati oggetto di atteggiamenti che
andavano dal dileggio all’aperto razzismo e sfociavano spesso in veri
linciaggi collettivi, sono stati vittime di progrom anti-italiani - il tutto
avvallato dalle autorità locali e da diffusi stereotipi che collegavano i
tratti somatici e i colori tipicamente italiani a quelli tipici dei criminali
[ibidem, pp. 38 e segg.]. Considerati delinquenti e terroristi,
contrabbandieri e anarchici – e una parte di loro lo era davvero – allo
stesso modo e con la stessa frettolosità con cui oggi i mezzi di
informazione si accaniscono sugli immigrati rimanendo sulla superficie
della questione. Si è parlato spesso, nel corso del ciclo di conferenze
Come si dice (novembre 2003) presso il centro interculturale Zonarelli di
Bologna, dei due grandi “rimossi” della memoria storica italiana: quello
relativo alle vicissitudini dei milioni di italiani che partirono nell’arco di
un secolo sprovvisti anche di una lingua unitaria e di un’istruzione
elementare, e quello riguardante la storia del colonialismo italiano, cui
nessuno fa più riferimento neanche quando si parla della storia dei paesi
del Corno D’Africa, come aveva di fatto notato Ribka Sibhatu al
principio della sua inchiesta: ad esempio, nessuno dice mai, quando si
parla del fascismo e della questione della razza, che le leggi razziali
italiane sono state applicate per prime in Eritrea.
Ma c’è un altro grande “rimosso” della storia italiana, che è anche il più
recente e riguarda da vicino i migranti: quello delle grandi tragedie su
mare. Si ricordi quella del naufragio di una nave carica di migranti al
48
largo di Portopalo di Capo Passero (Sicilia) nella notte di Natale del
1996, che fu in un primo momento frettolosamente definita “naufragio
fantasma” o “presunto naufragio” e poi dimenticata dai mezzi di
informazione (e dalle istituzioni) nonostante fossero morti 283 migranti
“clandestini” di origine pakistana, indiana e cingalese; tragedia
sottovalutata al momento e trattata con indifferenza. Le istituzioni
italiane, nonostante le pressioni delle ambasciate dei paesi originari dei
migranti, non ritennero abbastanza credibili infatti le testimonianze, pure
tutte concordanti, dei 107 sopravvissuti, così come nessuno dei giornali,
tranne il Manifesto, si occupò attentamente dell’evento o ritenne
interessante sentire la testimonianza dei sopravvissuti. Solo cinque anni
dopo la notizia venne ripresa dalla stampa, quando apparve su
Repubblica un’inchiesta di Giovanni Maria Bellu che narrava la vicenda
dei pescatori siciliani che continuavano con un sospiro di rassegnazione
a pescare, nelle proprie reti, pezzi dei cadaveri delle vittime della
tragedia (per poi ributtarli in mare). Lo stesso giornalista riuscì poi a
trovare la posizione esatta del naufragio e a filmare il relitto, in un
clamoroso scoop raccontato successivamente nel libro I fantasmi di
Portopalo [2004]22, che narra le difficoltà di un’inchiesta scomoda e
sgradita a molti.
A conclusione della ricerca si sostiene che “i media informano ma
disinformano”: non falsificano la realtà ma ne danno una
rappresentazione parziale. Parziale, nel caso dell’immigrazione, per due
motivi: non riportano tutta la realtà ma solo la parte che meglio si adatta
alle logiche standardizzate di selezione e presentazione delle notizie
(logiche che privilegiano i fatti-rottura) e parziale perché, anche quando
in un articolo non vengono forniti al lettore espliciti giudizi di valore, la
rappresentazione è deformata dall’insieme dei valori culturali dati per
scontati e dai pregiudizi nascosti e sedimentati nel linguaggio in quanto
usato senza particolare sorveglianza.
22 Sull’ipotesi di una responsabilità politica dietro alla sciattezza con cui fu trattata la
notizia dai media cfr. Papanikas, Tonello, “Uno strano naufragio” in Problemi
dell’informazione [2004].
49
Ma negli ultimi anni qualcosa è cambiato. Rimangono i tratti generali
messi in evidenza in questa serie di ricerche, ma l’agenda setting dei
quotidiani si va evolvendo. Tra la maggioranza di articoli di cronaca
riguardanti migranti cominciano ad aprirsi un varco, specialmente in
concomitanza con la discussione in Parlamento delle nuove leggi
sull’immigrazione (ma non solo) notizie e servizi più divulgativi e di
costume, inchieste sul lavoro nero e sulle condizioni di vita nelle carceri,
articoli di commento su religioni diverse e i pericoli dei conflitti
culturali.
2.2.9 Media e immigrazione. Rapporto sulla settimana Europea di
Monitoraggio dei Media in Italia
La ricerca più recente e probabilmente più ampia riguardante la
rappresentazione dell’immigrato nei mezzi di informazione è
sicuramente il monitoraggio annuale effettuato contemporaneamente in
tutta Europa durante la Giornata Europea di Monitoraggio dei Media, ad
opera dei referenti locali della Rete di informazione sul razzismo e la
xenofobia (Raxen)23. Giovedì 13 novembre del 2003 si è svolta la prima
giornata di studio24 di tipo quantitativo sulla produzione mediatica
europea. Parallellamente a questo si è svolta anche la Settimana Europea
di Monitoraggio dei Media, dal 24 al 30 novembre 2003, che ha fornito
23 La rete Raxen è a sua volta uno strumento dell’Osservatorio Europeo su razzismo,
antisemitismo e xenofobia (EUMC), agenzia dell’Unione Europea che ha il compito di
fornire all’Unione Europea dati attendibili e comparabili statisticamente su razzismi,
xenofobia ed antisemitismo (http://www.eumc.eu.int). Ogni anno organizza inoltre,
nell’ambito del progetto On line/More Colour in the media
(http://www.multicultural.net/), la conferenza Tuning in to Diversity destinata a 150
studiosi e operatori dei media, con lo scopo di presentare i dati degli studi, valutare le
diverse situazioni nazionali e avanzare proposte per riportare l’attenzione sulla
centralità della corretta rappresentazione dei migranti da parte dai mezzi di
informazione, i cui atti possono essere consultati al sito
http://www.tuning2004.nl/mcplein/tuning.asp?pagnaam=tuning. 24 “Giornata europea di monitoraggio dei media – media e immigrazione –
dall’esclusione alla partecipazione”
(http://www.cospe.it/news/reminder%20EDMM%20ITA.pdf); cfr. anche “The
european day of media monitoring” (http://www.multicultural.net/edmm/index.htm).
50
dati quantitativi più ampi e ha privilegiato dati qualitativi in modo da
indagare anche le percezioni dei lettori rispetto all’immagine
dell’immigrazione rappresentata nei media.
In Italia il monitoraggio, effettuato da singoli volontari e associazioni, è
stato coordinato dal Cospe25, referente italiano dell’Osservatorio
Europeo, con la collaborazione dell’Università di Firenze e ha coinvolto
sette regioni: Veneto, Trentino Alto Adige, Lombardia, Emilia
Romagna, Toscana, Lazio e Sicilia. Sono state monitorate le pagine
locali di sette quotidiani nazionali, diciannove quotidiani locali o
regionali, tre quotidiani free-press, dodici settimanali, un mensile (più
due emittenti televisive nazionali e sette locali)26. Si tratta quindi di
un’indagine più ampia delle precedenti in quanto ha coinvolto non solo
un numero elevato di ricercatori (quarantaquattro, tra i quali alcuni
cittadini immigrati) e di testate, ma ha considerato anche le riviste
settimanali, sulle quali mancavano al momento studi specifici nonostante
abbiano da sempre una diffusione molto rilevante, soprattutto in Italia.
Sono state scelte le testate nazionali più diffuse e quelle locali più
importanti. La griglia di rilevazione utilizzata è composta da tredici
domande: quesiti quantitativi (distribuzione di frequenza, data, tipologia)
e qualitativi (toni utilizzati, coerenza tra testo e immagine, opinioni dei
rilevatori).
I risultati del monitoraggio della carta stampata confermano quelli delle
ricerche precedenti presentati in questo lavoro. Un totale di 212 unità
testuali riguardanti l’immigrazione per una settimana di osservazione,
uno solo dei quali risulta essere stato scritto da un cittadino non italiano.
La tipologia più diffusa di pezzo giornalistico è ancora una volta
l’articolo, in quasi la metà dei casi, seguito dalla breve e da rari editoriali
25 Associazione nata nel 1983 per contribuire al dialogo tra culture, a uno sviluppo
equo e sostenibile, alla conquista dei diritti umani, ha sede in Italia a Firenze, Bologna
e Genova. Partecipa a progetti di cooperazione e sviluppo economico nei Paesi in via di
sviluppo e di promozione delle pari opportunità per le minoranze in Europa
(http://www.cospe.it). 26 Per l’elenco completo delle testate e delle associazioni coinvolte
http://www.cospe.it/news/media.pdf.
51
e interviste. L’argomento nel 50% dei casi è un fatto di cronaca (atti di
violenza, criminalità, clandestinità), mentre il 21% riguarda temi politici
(le elezioni del Consiglio Provinciale e Comunale degli stranieri a
Firenze che si svolgevano in quel periodo, le politiche di controllo ecc.)
e trascurabile è il numero di pezzi su cultura e sport.
Nella griglia di rilevazione viene chiesto di specificare il tono percepito
dell’articolo. Nella maggior parte dei casi è detto “neutrale”, ma a questo
segue poi l’espressione di malcontento da parte dei rilevatori: il tono
pare essere neutrale non per una capacità dei giornalisti di mantenere
l’obiettività. Sembra piuttosto una scelta per prendere le distanze da una
realtà che non si sa raccontare.
L’analisi della titolazione, infine, è minuziosa e la parte forse più
interessante dello studio: se il tempo è una risorsa scarsa, spesso un
lettore frettoloso legge solo i titoli oppure sceglie un articolo piuttosto
che un altro proprio in base all’“attrattività” di un titolo. La sua funzione
è quindi anche quella di ridurre i tempi di lettura [Papuzzi, op. cit., p.
76]. Esso può essere meramente informativo (o enunciativo, o
referenziale, ma non necessariamente neutrale) o di commento
(paradigmatico, “caldo”, di impatto). I giornali analizzati si dividono tra
le due tipologie; da notare un ricorso molto ampio al virgolettato da
parte delle autorità nei titolo referenziali e (poche volte) di gruppi e
associazioni di immigrati, nei titoli “caldi”, strillati, di forza evocativa. Il
virgolettato contribuisce inoltre ad aumentare la forza d’impatto di una
frase e a rendere maggiore il senso di allarme di un titolo come “Vi
faccio mettere una bomba da Bin Laden”27.
Infine, la terminologia. L’ambito delle scelte lessicali è forse lo spazio
dell’informazione che, veicolando un maggior numero di informazioni
sottintese, dovrebbe essere trattato con maggiore attenzione e
sorveglianza. I termini più ricorrenti per designare i singoli o i gruppi di
immigrati sono principalmente legati alla loro provenienza geografica,
27 Corriere di Firenze. In questo caso le parole sembrano provenire da un cittadino
straniero con intenti terroristici – circostanza che attenua pesantemente la valenza
positiva della voce di un immigrato sulla stampa. Questo tipo di citazioni è spesso
decontestualizzato e quindi attira l’attenzione, ma non informa.
52
ma soprattutto al loro non avere la cittadinanza italiana:
extracomunitario, straniero, immigrato, clandestino, albanese,
marocchino rumeni… sono gli attributi più utilizzati per caratterizzare
degli individui, caricandoli di tutte le connotazioni che tali parole hanno
assunto nel passare degli anni.
Assente quindi, ancora una volta, la voce del diretto interessato, a
conferma che il pluralismo di voci dell’informazione non è stato
raggiunto. Stereotipata la sua presenza nell’informazione, solo in
occasione di fatti riprovevoli, come fonte di disagio e problema sociale,
“rafforzando la tendenza a una lettura prevalentemente securitaria delle
tematiche in esame” [Cospe, 2004, p. 7].
Queste conclusioni sono confermate anche dai dati parziali sul secondo
monitoraggio.
2.2.10 Altre indagini
Anche se non riguarda direttamente l’oggetto di questa tesi, che si
concentra sulla stampa e non su altri mezzi di comunicazione, merita di
essere ricordata anche una ricerca del Censis realizzata nel 2002,
sostenuta dall’iniziativa comunitaria Equal28 e dal Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali. La ricerca, svolta nell’ambito del progetto
L’immagine degli immigrati in Italia tra media, società civile e mondo
del lavoro riguarda infatti l’intera programmazione televisiva delle reti
RAI, Mediaset e della vecchia Telemontecarlo (poi divenuta La7). La
durata del periodo di monitoraggio è stata di sei settimane nell’arco degli
anni 2001 e 2002. Obiettivo dello studio era quello di mettere in
evidenza le caratteristiche principali della rappresentazione dei cittadini
immigrati in televisione. I dati quantitativi raccolti e pubblicati nel
rapporto finale L’immagine degli immigrati nei media: confinati dentro
il ghetto della cronaca29 sono simili in modo sorprendente a quelli delle
28 Uno dei progetti dell’iniziativa comunitaria Equal (promossa dall’Organizzazione
Internazionale per le Migrazioni (OIM)-Missione in Italia, Caritas Diocesana di Roma,
Archivio dell’Immigrazione), che ha infatti l’intento di valorizzare la presenza dei
cittadini immigrati, fornire orientamento interculturale, e svolgere interventi di
sensibilizzazione. 29 http://www.immagineimmigratitalia.it/rapportocensis.html.
53
ricerche analizzate in precedenza, che si focalizzavano invece sui
giornali di carta stampata.
Il programma televisivo in cui più spesso si parla di immigrati è il
telegiornale (95,4% dei casi nel 2001 e 88,3 nel 2002). Siamo quindi
all’interno di un contesto informativo dotato di credibilità e
autorevolezza. Al suo interno il discorso sui migranti è praticamente
confinato (e ghettizzato) nella parte del giornale relativa alla cronaca
(90% nel 2001, 80,9% nel 2002) con qualche occasionale servizio a
proposito di esteri, politica interna o cultura e società. Il ruolo che viene
loro attribuito all’interno del giornale è nella maggioranza dei casi di
tipo negativo; sono infatti rappresentati soprattutto come attori o vittime
di avvenimenti spiacevoli.
I fatti di cui sono protagonisti gli stranieri riguardano in più della metà
dei casi atti di illegalità e criminalità nel 2001 e problemi di clandestinità
nel 2002. Il modo per designare e chiamare in causa gli immigrati è
l’identificazione di tipo etnico, in base al paese o alla zona geografica o
alla comunità di provenienza molto più che le caratteristiche individuali
dei singoli. In questa maniera si attribuiscono caratteristiche devianti a
un’intera comunità di persone, sulla base dell’azione di un singolo.
Il canone descrittivo adottato nella presentazione delle notizie è in
maggioranza descrittivo conoscitivo, il ricorso a stereotipi frequente e
l’opportunità per gli immigrati di potersi esprimere sui fatti che li
coinvolgono in prima persona, molto trascurabile.
Interessante un dato quasi del tutto ignorato dalle ricerche precedenti,
quello sulla distribuzione per genere dei cittadini immigrati di cui si
parla: nell’80% sono uomini. L’immigrazione è tuttora descritta,
immaginata e presentata nel discorso pubblico dal lato essenzialmente
maschile.
La differenza di trattamento secondo il genere viene notata anche da una
breve ricerca svolta dalle volontarie di Trama di Terre, un centro
interculturale di Imola che offre accoglienza e mediazione culturale alle
donne migranti per favorire il processo di integrazione. Nel periodo
ottobre 2004 – febbraio 2005 sono stati monitorati, seguendo le
54
indicazioni della griglia di analisi fornita dal Cospe per la settimana
europea di monitoraggio di novembre 200330, i quotidiani locali Il
Carlino di Imola e Il corriere di Imola.
Da ottobre a febbraio sono stati pubblicati 50 articoli, dei quali la metà
corredata da immagini di tipo fotografico. Anche in questo caso,
l’esposizione della maggioranza delle notizie adotta uno stile almeno
apparentemente neutrale, che non prevede cioè una specifica presa di
posizione. Gli argomenti trattati sono sempre criminalità e devianza,
irregolarità e lavoro nero, violenza di genere, ecc.. Le notizie che
provocano maggiore scalpore vengono riportate a più riprese, corredate
di titoli a effetto, slogan grotteschi formulati per attirare l’attenzione
(come quello che definiva “ammalata di religione” una studentessa cui
era stato proibito di frequentare le lezioni di educazione fisica), con
cadenza quasi seriale.
L’immigrato che emerge da questo monitoraggio è una persona di sesso
maschile, spesso violento e rissoso, definito dal suo essere membro di un
particolare gruppo etnico, irregolare e perciò particolarmente esposto
alla possibilità di delinquere, oppure regolare e quindi accettabile in
quanto forza-lavoro. Manca qualsiasi tipo di prospettiva di genere;
quando compaiono le donne se ne parla come di vittime di violenze
subite, spesso vengono tipizzate come nuovi angeli perché si prendono
cura degli anziani (“Ottocento gli angeli venuti dall’Est”, Il Carlino di
Imola, 14/11/2004) ma altre volte sono stigmatizzate in quanto demoni
tentatori venute in Italia a esercitare la prostituzione.
La logica di riduzione della complessità fa sì che la realtà venga divisa
nelle dicotomie semplificative noi-loro, santi-demoni, vecchi-nuovi.
La logica di riduzione della complessità opera a tutti i livelli del
trattamento della notizia. Nell’ambito del progetto europeo “Etnequal
Social Communication” i ricercatori del dipartimento di Sociologia e
comunicazione della Sapienza di Roma hanno studiato per quindici mesi
un gruppo molto ampio di testate italiane, quotidiani, televisioni e
30 http://www.meltingpot.org/monitor.
55
agenzie stampa a diffusione nazionale e locale, raccogliendo le
conclusioni nel volume Fuori luogo. L’immigrazione e i media italiani
[2005]. Ridurre la complessità del reale significa anche, per gran parte
dell’informazione, ridurre il numero di fonti consultabili a quelle più
facilmente reperibili e autorevoli come le forze dell’ordine: negli articoli
che hanno per argomento gli immigrati, le due parole più usate sono,
infatti, polizia e carabinieri. Ma questo implica un naturale
sbilanciamento a favore delle notizie di cronaca nera, trascurando i fatti
relativi alla vita dei cittadini stranieri integrati, ai problemi della società
civile e alle attività delle istituzioni, così come denunciato anche dallo
studio di Ribka Sibhatu [2004]. Più ascolto a queste esigenze si trova
invece in molte testate locali che spesso hanno tempo e volontà di
approfondire tali tematiche o anche dare ascolto a più fonti diverse.
L’unico correttivo alla distorsione informativa, secondo i ricercatori,
sarebbe la conoscenza personale dei lettori, la loro capacità critica di
controllo e di confronto tra quello che leggono e quello che vedono nelle
città e nei quartieri. Lo studio prende in considerazione, infatti, anche le
conseguenze che la rappresentazione mediatica dell’immigrazione ha sul
pubblico: quest’ultimo riceve sistematicamente dai media una visione
deformata e in negativo della realtà e tende a sopravvalutare il numero
reale degli immigrati residenti in Italia e, tra questi, il numero di
musulmani presenti.
A proposito della rappresentazione in negativo dell’immigrazione di
religione musulmana in Italia, interessanti sono le riflessioni di
Annamaria Rivera, docente di Etnologia presso l’Università di Bari,
raccolte nel libro Estranei e nemici. Discriminazione e violenza razzista
in Italia [2004]. Uno dei fattori che contribuiscono alla
“nemicizzazione” dello straniero è infatti l’accostamento alle retoriche
dell’islamofobia, termine usato per definire un insieme variegato di
pratiche discorsive e pregiudizi radicati nella storia e nell’immaginario
dell’Occidente, parallelamente all’antisemitismo. Quello che è avvenuto
nel linguaggio dei media è uno slittamento semantico che porta a
vendere nei migranti dei musulmani, e nei musulmani dei
56
fondamentalisti, pericolosamente vicini al terrorismo. L’immigrato
diventa così, dai discorsi della Lega Nord fino alle inchieste sui giornali,
un nemico interno. Gli attentati dell’11 settembre 2001 hanno legittimato
e inasprito tale equazione; a cominciare dal pamphlet di Oriana Fallaci
pubblicato sul Corriere della Sera e pubblicamente elogiato dai capi del
Governo. Una campagna anti-musulmana veicolata in larga misura da
istituzioni e media che non tiene conto delle differenti correnti
all’interno dell’Islam, e che porta a vedere in ogni arabo un possibile
terrorista, non considerando neanche che solo un decimo del miliardo e
200 milioni di musulmani presenti nel mondo abita in paesi di lingua e
cultura araba. La qualifica di musulmano sottintende e richiama
immediatamente tutte le altre e “permette di rafforzare la retorica
razzista che afferma l’inammissibilità dei migranti nelle società
occidentali” [Rivera, 2004, p. 72]. I “figli di Allah” come li definisce il
pezzo della Fallaci, con un’espressione analoga a quella utilizzata per
stigmatizzare gli ebrei (“figli di Mosè”), non sarebbero che un’orda
indistinta di individui eterogovernati dalla propria appartenenza
religiosa, portatori insani di una “alterità inassimilabile” capace di
contaminare l’Europa e attentare all’identità nazionale italiana, così
come paventava il cardinale di Bologna Giacomo Biffi in un discorso
ripreso e amplificato da tutti i giornali e pubblicamente apprezzato da
molti politici e opinion leaders anche autorevoli, come Giovanni
Sartori31.
Significativo di questo atteggiamento comune alla maggioranza dei
media il brano riportato nel saggio di Rivera e tratto dal quotidiano free
press Metro: “Ormai, immigrati che vivono e lavorano da noi […] ci
scaraventano addosso pubblicamente islamico disprezzo per la nostra
appartenenza al mondo degli infedeli e ci ricordano […] che dovremo
31 Autore, tra l’altro, di Pluralismo, multiculturalismo ed estranei. Saggio sulla società
multietnica [2000], saggio in cui enunciava la tesi dell’esistenza di un nucleo di alterità
radicale inintegrabile tra europei e immigrati, intendendo per “immigrati” solo gli
arabi provenienti dall’Africa e di religione musulmana.
57
convivere con un incubo”32. L’identificazione tra migrante e pericolo è
completata, la “sindrome da cittadella assediata” sempre più forte.
2.3 L’inadeguatezza della stampa italiana nei confronti
dell’immigrazione
“L’inadeguata lettura della società è peraltro da collegare a una più
generale incapacità della cultura italiana di raccontare l’Italia”
[Sorrentino, 1995, p. 61]
La lunga rassegna degli studi sull’immagine dell’immigrato nella stampa
italiana presentata finora non è fine a se stessa. In primo luogo perché
dimostra come si è evoluto questo tipo di rappresentazione nel corso
degli ultimi quindici anni, da quando cioè il fenomeno dell’immigrazione
è diventato più visibile nella società e ha cominciato a occupare sempre
più spazio nell’agenda setting di politici e opinione pubblica.
Il giornale è ormai un prodotto di consumo, che segue logiche di mercato
e deve generare (anche) profitto; deve insomma essere vendibile, attirare
i gusti e le aspettative dell’audience33. Anche la stessa informazione,
però, è un prodotto, frutto di logiche produttive orientate alla produzione
e al consumo; allora l’informazione sull’immigrazione può essere
considerata un tipo di prodotto che segue un ciclo di vita sui generis. La
teoria di marketing del ciclo di vita di un prodotto [Lambin, 2000, p. 288]
prevede varie fasi: una d’introduzione del nuovo prodotto sul mercato,
un’altra di rapida crescita e popolarità del prodotto, quindi un periodo di
transizione e “turbolenza”, una fase di maturità in cui la domanda globale
si assesta e il prodotto entra in fase di maturità, e infine una di declino, in
cui compaiono nuovi prodotti e i gusti e gli interessi cambiano.
Analogamente si è visto come la copertura mediatica dell’immigrazione
32 Dino Sacchettoni, 13 novembre 2001. 33 È questa la ragione per cui si ritagliano dalla realtà non i fatti oggettivamente più
rilevanti (ammesso che sia possibile) ma quelli che meglio si prestano ad assecondare i
desideri di intrattenimento del pubblico, a essere trattati in modo sensazionalistico o
spettacolare, o rappresentati in forma romanzata e drammatica.
58
abbia attraversato fasi di latenza, in cui il tema virtualmente non esisteva,
quindi una di introduzione – un argomento nuovo per la società italiana
cominciava a entrare nell’agenda setting di giornali e televisione, spesso
sotto le sezioni di costume e società – e poi una fase di crescita
vertiginosa dell’interesse dei media verso l’argomento trattato in termini
di “minaccia” ed “emergenza”; quello che stiamo attraversando al
momento sembrerebbe un periodo di turbolenza, in cui l’attenzione
cambia, si abbassa e si rialza a seconda degli arrivi, delle proposte di
legge, dei fatti criminosi, della propaganda politica ed è inoltre
contraddittoria, dal momento che è spesso basata su rigide dicotomie
(noi-loro, buoni-cattivi, vittime-carnefici, santi-demoni ecc.). Ad ogni
fase di questa macro-ripartizione nell’arco di decenni corrisponde un
susseguirsi ciclico di (micro)momenti di latenza, emergenza e visibilità
che si alternano periodicamente [Naldi, 2000, p. 146].
Il numero di attori che definisce la situazione è cresciuto nel corso degli
anni, anche se, come si vede dall’ultimo monitoraggio effettuato, sono
(quasi) sempre gli stessi (i pochi) ad avere voce nell’informazione
tradizionale. La tendenza auspicata dagli studiosi è quella di avviarsi
verso una fase di maturità in cui l’immigrazione è stabilizzata e trattata
come dato di fatto, opzione necessaria per dirigere e concentrare
l’attenzione verso i temi del multiculturalismo e dell’intercultura. Il
problema però è che, indipendentemente dalle diverse posizioni
ideologiche degli attori che partecipano alla costruzione dei frames
interpretativi, in fondo condividono quasi tutti (mass media, politici,
intellettuali, esponenti della società civile ecc.) l’ottica emergenziale
nell’inquadrare la questione-immigrati come appunto una questione
[Naldi, op. cit., p. 150] o un problema da trattare in termini di possibili
soluzioni. Per questo motivo spesso l’argomento viene tematizzato nello
stesso modo in cui lo era negli anni Novanta: nel denso flusso di
informazioni quotidiano, continuano a essere valorizzate e rese più
visibili quelle notizie e quei dettagli che confermano timori e previsioni.
59
La rassegna degli studi sulla rappresentazione del migrante nella stampa
italiana ha reso l’idea dell’inadeguatezza della stessa stampa davanti a
tali temi.
• Inadeguatezza verso i cittadini italiani, che ricevono
un’informazione distorta e una visione parziale e deformata della
realtà e di alcune dinamiche sociali sempre più importanti.
• Inadeguatezza verso i cittadini stranieri che a) non sono
rappresentati verosimilmente dalla stampa, fattore che rende più
difficile il processo di integrazione e il contatto con la società di
accoglienza; b) non hanno voce, nei media mainstream, neanche
come fonte quando si parla di loro e c) non vedono soddisfatti i
propri bisogni informativi.
Nonostante il dato che l’immigrazione sia ormai un fenomeno
consolidato nella società italiana da quasi due decenni, lo straniero
continua a essere visto, in fondo, come un freudiano perturbante
[Sibhatu, 2004, p. 26]. In questo caso il sistema dei media è paragonabile
alla figura sociologica di vecchio padre che non favorisce nei figli la
ricerca spontanea di valori nuovi, chiuso simbolicamente nel vecchio di
una cultura chiusa a nuovi orientamenti. Che tarda a comprendere la
situazione perché “non ha a disposizione una cornice simbolica
adeguata” [Mantovani, 1995, p. 85]. Il paradosso è che l’eventuale
“uomo della strada” (nel senso della categoria esemplificativa proposta
da Schutz riguardo ai meccanismi d attribuzione di significato) guarda ai
mezzi di informazione di massa come se fossero formati da un gruppo di
“esperti” o di “ben informati”. Da questi attori l’uomo della strada si
aspetta che gli forniscano una guida per interpretare la realtà. Ma che
cosa succede quando tale rappresentazione è falsata? Il problema non è
solo teorico, ma ha dirette ripercussioni sul vissuto quotidiano di tutti.
Parafrasando Austin34 si potrebbe affermare che “informare è agire”. E
informare male è pure agire. E deformare il presente è rovinare il futuro
[Sibhatu, op. cit., p. 27].
34 Cfr. il saggio Come agire con le parole [Austin, 1962].
60
2.3.1 “La signorina notizia è bianca, ha le gambe corte, una
diffusa sordità, una grave miopia”35
.
Ricapitolare sinteticamente le caratteristiche più frequentemente
riscontrate nelle analisi dei giornali italiani, locali e nazionali36 servirà
come base per capire in che modo è possibile andare avanti e in quali
direzioni lavorare per migliorare l’informazione.
1. Livello di approfondimento e contestualizzazione delle notizie
riguardanti i cittadini immigrati: basso.
2. Definizione dell’immigrato come altro, elemento disturbante,
deviante e come problema. Riproposizione quotidiana e ripetitiva
dell’immagine dello straniero associata a episodi di criminalità,
frequente accostamento di tali notizie ad articoli di commento o
tabelle riguardanti l’immigrazione in generale (stigmatizzazione
dell’intera categoria di immigrati).
3. Designazione dell’immigrato in quanto non-nativo, privo di
cittadinanza italiana, non comunitario; costante associazione a
una comunità etnica di appartenenza: “albanesizzazione” o
“marocchinizzazione” dello straniero.
4. Tono: neutrale, allarmistico o pietistico. Titolazione: spesso
tendenziosa e slegata dal contesto.
5. Scelte lessicali: poco sorvegliate, frettolose, generiche,
stigmatizzanti.
6. Formato di notizie più frequenti: articoli e brevi di cronaca.
Immagini: spesso prive di coerenza con il testo.
7. Fonti giornalistiche: istituzioni, politici, polizia, associazioni,
quasi mai migranti.
8. Considerazione del migrante come possibile lettore: assente.
35 Dal titolo del convegno su media e immigrazione tenutosi a Imola il 12 marzo 2005. 36 Si intenda con nazionali anche la tipologia storicamente più diffusa di quotidiano in
Italia, cioè quella dei quotidiani regionali (categoria in cui rientrano, ad esempio,
“Corriere della Sera” e “La Stampa”), che hanno in genere sedi distaccate di redazioni
locali [Sorrentino, op. cit., p.65] e una distribuzione nazionale.
61
9. Livello dell’attenzione verso il problema: discontinuo. Livello di
connivenza e condivisione di obiettivi con altri attori sociali
dotati di potere, specialmente politici: alto.
10. Capacità di memoria e contestualizzazione storica: inesistenti.
Assente ogni riferimento alle grandi tragedie in mare, alle vicende
dell’emigrazione italiana, alla storia del colonialismo.
Tutte queste caratteristiche si ritrovano ancora facilmente nei giornali
nazionali anche progressisti, specialmente nei periodi in cui più forte è
sentita “l’emergenza”, in occasione di sbarchi o di violenze commesse
da immigrati. La Repubblica del 12 maggio 2005, ad esempio, riportava
in prima pagina la notizia di nuovi arrivi titolando a una colonna:
“Invasione di immigrati. La UE condanna l’Italia”37 con la foto di un
barcone strapieno di persone. All’interno, a pagina 20, alla notizia era
dedicata un’intera pagina. Il titolo a quattro colonne: “Clandestini,
nuova emergenza. Mille sbarchi a Lampedusa”; l’occhiello: “Con il bel
tempo riprende l’assalto dei disperati alla piccola isola siciliana”; il
sommario: “Altri barconi in arrivo, centro di accoglienza in crisi”;
rendono l’idea di una situazione di urgenza ma anche di minaccia. Ma
non sono solo i titoli a oscillare tra allarmismo e pietismo. Nell’articolo
si legge: “Il centro di accoglienza di Lampedusa è una bolgia umana.
L’isola, nel giro di dodici ore, è stata presa d’assalto da un migliaio di
extracomunitari”. La situazione descritta dall’articolo è realmente
difficile: mancano posti letto e pasti caldi, nonostante si legga che il
sindaco di Lampedusa tenda a ridimensionare il problema per non avere
conseguenze sul turismo. Alla cronaca di questi avvenimenti si affianca,
come naturale continuazione, la notizia che quel giorno si riuniscono i
ministri dell’Interno di Italia, Germania, Francia, Regno Unito e Spagna
per discutere dei nuovi strumenti contro l’immigrazione illegale e il
terrorismo (“Biometria e documenti UE. Così un’Europa più sicura”).
Viene così confermato il legame logico immigrazione-emergenza-
insicurezza.
37 Corsivo mio.
62
Cap. 3 Stampa e diversità culturale:
dall’esclusione alla partecipazione
3.1 Il diritto alla non discriminazione
Le conclusioni degli studi presentati nel cap. 2 portano alla
consapevolezza di un sostanziale squilibrio presente nella stampa
italiana a sfavore dei cittadini stranieri e all’esistenza, all’interno delle
routines redazionali, di pratiche discriminatorie consolidate (sebbene
non sempre intenzionali). Eppure tutto ciò contrasta con l’obbligo di
tutela dei soggetti deboli e delle minoranze previsto dalle leggi ma, in
primo luogo, dalla Costituzione Italiana. Essa infatti riconosce pari
dignità e uguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini,
indistintamente38; garantisce a tutti il rispetto dei diritti inviolabili
dell’uomo e la piena solidarietà politica, economica e sociale39 e la tutela
delle minoranze linguistiche40. A meno che il termine “cittadino” non sia
inteso nel senso restrittivo di possessore della nazionalità italiana che
viene concessa ancora in base al principio dello jus sanguinis41, per cui
chi non lo è torna di fatto a essere una non-persona42 priva di ogni diritto
e quindi di fatto inesistente43, la Costituzione Italiana prevede lo
sviluppo di una democrazia che tuteli i propri cittadini fuori da ogni tipo
38 Art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge,
senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali. 39 Art. 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede
l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. 40 Art. 6: La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche. 41 I figli di cittadini stranieri nati in Italia devono aspettare il compimento della
maggiore età, mentre l’acquisto della cittadinanza per naturalizzazione avviene dopo
una residenza dimostrata e continuativa di dieci anni. 42 Cfr. cap. 2.2.7. 43 Cui vanno attribuiti comunque i diritto fondamentali della persona umana (art. 2 del
testo unico della legge 286/1998).
63
di discriminazione. Orientamento che viene ripreso più volte dal
legislatore. Se infatti la legge n. 645 del 1952 (legge Scelba) si limitava
a vietare la riorganizzazione del partito fascista44 e quindi ogni
manifestazione che ne richiamasse i principi, tra cui la propaganda
razzista, e a disporre l’eventuale sequestro dei giornali, delle
pubblicazioni o degli stampati nella ipotesi del delitto, con la n. 962 del
1967 si punisce con la reclusione da ventiquattro a trenta anni chiunque
commetta atti diretti a […] distruggere in tutto o in parte un gruppo
nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, comprese la pubblica
istigazione e l’apologia di reato. Nel 1975, in seguito alle indicazioni
della Convenzione internazionale su ogni forma di discriminazione
razziale di New York (7 marzo 1966), con la legge n. 654 (legge Reale)
si stabilisce la reclusione sino a tre anni per chi diffonde in qualsiasi
modo idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero
incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi
razziali, etnici, nazionali o religiosi; ma bisogna aspettare gli anni
Novanta per dei provvedimenti più sistematici, che tengano conto
dell’avvenuto mutamento della realtà sociale italiana dovuto alla
presenza considerevole di cittadini immigrati.
Si arriva così alla legge Mancino (n. 205 del 1993), “Misure urgenti in
materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa” che ha lo scopo di
apprestare più efficaci strumenti di prevenzione e repressione dei
fenomeni di intolleranza e di violenza di matrice xenofoba o antisemita;
prevede per i colpevoli di tali reati, oltre a una pena detentiva, lo
svolgimento di attività di volontariato e assistenza sociale e punisce
anche la pubblica ostentazione di simboli razzisti. Circostanza ripresa
dalla legge n. 45 del 1995, “Misure urgenti per prevenire fenomeni di
violenza in occasione di competizioni agonistiche”.
Ma è con la n. 40 del 1998, “Discriminazione per motivi razziali etnici,
nazionali o religiosi”, confermata sostanzialmente dalla Bossi-Fini del
2002, che il problema del razzismo viene affrontato in maniera più
44 Attuando la XII disposizione transitoria e finale (comma 1) della Costituzione: “È
vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”.
64
ampia e approfondita. Nell’art. 41 si legge che costituisce
discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente,
comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata
sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, le
convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l'effetto di
distruggere o di compromettere il riconoscimento, […] in condizioni di
parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico,
economico sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica.
Chiunque, incaricato di un pubblico servizio o che esercita un servizio di
pubblica necessità, compia od ometta atti nei riguardi di un cittadino
straniero, soltanto a causa della sua condizione di straniero o di
appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità, si
rende colpevole di discriminazione e come tale può essere denunciato –
e il giudice può ordinargli la cessazione del comportamento
pregiudizievole (art. 42 sulla possibilità di una “azione civile contro la
discriminazione”).
Con il decreto legislativo n. 286 del 1998, “Testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero”, vengono riunite in un unico documento tutte
le norme precedenti riguardanti l’immigrazione (accesso, asilo politico,
ricongiungimenti familiari, controllo delle frontiere). Infine, la direttiva
del Consiglio dell’Unione Europea 2000/43/CE, cui lo stato italiano ha
obbligo di conformarsi, attua il principio di parità di trattamento tra le
persone, indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica. Vi si
ribadisce che il diritto all’uguaglianza e alla protezione contro le
discriminazioni costituisce un diritto universale riconosciuto dalla
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo […], dalla Convenzione
internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione
razziale, dai Patti delle Nazioni Unite relativi rispettivamente ai diritti
civili e politici e ai diritti economici, sociali e culturali e dalla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali,di cui tutti gli Stati membri sono firmatari.
L’importanza di tale direttiva risiede, tra l’altro, nell’esplicito
riconoscimento del diritto alla non discriminazione anche nei riguardi di
65
cittadini di paesi terzi; raccomanda inoltre un’adeguata protezione
giuridica per le vittime e la ricerca costante di un dialogo tra le parti.
Viene chiarito anche il concetto di “molestia”: una discriminazione in
caso di comportamento indesiderato adottato per motivi di razza45 o di
origine etnica e avente lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una
persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante
od offensivo. Quest’ultima parte acquisisce grande importanza alla luce
di quanto detto precedentemente, in quanto sembra essere stata violata
sistematicamente dai mezzi di informazione, specialmente nei periodi di
maggiore attenzione nei confronti del “problema” immigrazione:
problema costruito attraverso la creazione (o il contributo dei media alla
creazione di) un clima ostile verso i migranti e una rappresentazione
degradante degli stessi. Lo stato italiano ha comunque attuato tale
direttiva con i Decreti legislativi n. 215 e 216 del 2003, che hanno anche
stabilito l’istituzione di un ufficio contro le discriminazioni all’interno
del Ministero delle Pari Opportunità.
3.2 Deontologia antirazzista nella professione
giornalistica
Il Codice Penale vieta la pubblicazione di notizie false, esagerate o
tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico (art. 656). Punisce anche,
nel caso di reato compiuto a mezzo stampa, il direttore o il vicedirettore
responsabile che non ha esercitato il necessario controllo sulla
pubblicazione (art. 57) e con la reclusione da sei mesi a tre anni o con
una multa chi offende l’altrui reputazione o arreca offesa a mezzo
stampa o con altri mezzi di pubblicità (art. 595).
Anche se non (sempre) intenzionalmente, la stampa italiana si è però
resa più volte responsabile di azioni, come si è visto, che sfiorano il
45 Stupisce in tutte queste norme la presenza della parola “razza” piuttosto che “etnia”
che ha connotazione meno discriminatoria ed è quella preferita dagli studiosi di
migrazioni, almeno negli ultimi anni.
66
reato: la rappresentazione distorta che ha ripetutamente fornito dei
cittadini stranieri, le descrizioni degradanti e la stigmatizzazione
accanita di intere comunità. Una continua violazione delle leggi contro
la discriminazione ma anche delle regole e dei codici di condotta della
professione giornalistica.
La legge n. 69 del 1963 istituisce l’Ordine dei giornalisti e regola
l’esercizio della professione. L’art. 2 dispone l’obbligo inderogabile del
rispetto della veridicità dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla
lealtà e dalla buona fede. In seguito, nel luglio del 1993, l’Ordine e la
Federazione Nazionale Stampa Italiana (d’ora in poi FNSI) stilano la
Carta dei doveri dei giornalisti italiani che ribadisce il principio di
rispetto della verità sostanziale dei fatti, e cerca di promuovere, come
base del lavoro di ogni giornalista, un “rapporto di fiducia tra gli organi
di informazione e i cittadini”. Il giornalista deve quindi difendere il
diritto all’informazione dei cittadini, diffondere ogni notizia che sia di
pubblico interesse e con la maggiore accuratezza possibile. I titoli, i
sommari, le immagini e le didascalie non devono travisare né forzare il
contenuto degli articoli; il giornalista si impegna inoltre a usare il
massimo rispetto nei confronti dei soggetti di cronaca che per ragioni
sociali, economiche o culturali hanno minori strumenti di tutela,
garantisce loro il diritto di rettifica e ha l’obbligo di verificare le
informazioni ottenute attraverso le fonti. Soprattutto, principio ribadito
due volte nello stesso documento, il giornalista non può discriminare
nessuno per la sua razza, religione, sesso, condizioni fisiche o mentali,
opinioni politiche. Il riferimento a queste caratteristiche della sfera
privata è ammesso solo se di rilevante interesse pubblico e deve essere
fatto in modo non discriminatorio. Dovere fissato anche dalla legge
675/96 sulla tutela della privacy nell’esercizio della professione
giornalistica: nel raccogliere e riferire notizie contenenti dati personali
relativi a origine razziale ed etnica, convinzioni religiose […], il
giornalista garantisce il diritto all’informazione rispetto a fatti di
interesse pubblico evitando riferimenti […] ad altri soggetti non
interessati ai fatti, nel rispetto dell’essenzialità dell’informazione (art.
2). Interessante notare come, nella nozione di “soggetti non interessati ai
67
fatti”, possano essere compresi tutti quei cittadini stranieri che non
hanno commesso alcun reato ma vengono associati all’illegalità
dall’opinione pubblica, in quanto appartenenti alla stessa comunità dei
soggetti devianti. La tutela del diritto di non discriminazione, valido per
tutti i cittadini viene ripreso anche in un altro articolo della stessa legge:
nell’esercitare il diritto di cronaca, il giornalista è tenuto a rispettare il
diritto della persona alla non discriminazione per razza, religione,
opinioni politiche etc. (art. 6).
Nel corso degli anni Novanta alle indicazioni legislative descritte sopra –
nei fatti già allora poco rispettate - si sono aggiunte anche quelle
contenute in varie carte dei principi e codici di condotta, i più importanti
dei quali sono tre: la Dichiarazione d’impegno per un’informazione a
colori (1994); la Carta di Ercolano (1995) e le Raccomandazioni per
un’informazione non razzista (1996). È necessario ricordare, infine, due
delle più recenti iniziative per la lotta alla discriminazione nei mezzi di
informazione, la firma della Dichiarazione di Madrid (1998) e la
campagna Le parole lasciano impronte (2005).
3.2.1 Dichiarazione d’impegno per un’informazione a colori
La prima46 nacque in seguito al convegno “Immigrato alza la voce!” del
1994, di cui le redazioni delle trasmissioni televisive Non solo nero e
Abbonato alza la voce! si fecero promotori; vi aderì un gruppo di
giornalisti, tra cui Lilli Gruber, Massimo Ghirelli e Maria de Lourdes
Jesus47, che sottoscrissero la Dichiarazione d’impegno e la presentarono
poi alla RAI e alla FNSI. L’impegno, proposto in otto punti, era quello
di stimolare una conoscenza meno superficiale dell’immigrazione,
denunciare gli atti di razzismo, combattere gli stereotipi sui migranti
nell’informazione e non relegarli solo nei ghetti della cronaca nera,
coniugando la tutela della privacy alla valorizzazione del contributo
46 Le tre carte dei principi sono consultabili in versione integrale nella relazione
“Libertà di stampa e discriminazione razziale” a cura del Cospe [2003]. 47 La stessa giornalista di origine capoverdiana che conduceva all’epoca la trasmissione
televisiva Nonsolonero. Sull’esperienza di questo programma cfr. Grossi [1995].
68
economico e lavorativo degli immigrati e del potenziale di arricchimento
insito nella loro presenza.
3.2.2 Carta di Ercolano
Ma l’iniziativa non ebbe molta eco, così nel novembre del 1995 il
Coordinamento di Iniziative Popolari di Solidarietà Internazionale
(CIPSI) organizzò a Ercolano l’incontro di studio “Quale informazione
per il villaggio globale?”, cui parteciparono associazioni, operatori
culturali e giornalisti di testate nazionali e della RAI. Il seminario portò
alla stesura finale di un appello da rivolgere all’Ordine dei Giornalisti e
alla FNSI, con lo scopo di diventare un codice comportamentale, in cui
si chiedeva anche la costituzione di un Giurì nazionale e di un
osservatorio sui mass media che vigilassero sull’applicazione dei
principi della Carta. Questa stabilisce che, nei testi giornalistici, le fonti
si debbano astenere da giudizi “che non siano attestati da prove”; il
linguaggio e i titoli devono evitare i giudizi sommari e non istigare alla
violenza razziale; la raccolta delle informazioni e delle immagini non
può diventare “una forma di violenza” ma deve educare alla mondialità e
promuovere il dialogo con le diversità a partire dagli interlocutori locali.
3.2.3 Raccomandazioni per un’informazione non razzista
Nel marzo del 1996 invece fu il Dipartimento per gli Affari Sociali a
costituire un gruppo di lavoro di giornalisti, in seguito alle indicazioni
della Campagna europea dei giovani contro il razzismo promossa dal
Consiglio d’Europa, le cui riunioni portarono alla stesura delle
“Raccomandazioni per un’informazione non razzista”. Vi si
raccomanda, a tutela della dignità umana e dell’onore dell’individuo, di
non menzionare (a meno che non siano di pubblico interesse) dati
sensibili quali la nazionalità o la religione dei soggetti coinvolti nei fatti;
di tenere conto della connotazione delle parole, di evitare
generalizzazioni delle differenze e dei comportamenti devianti e di
valorizzare le differenze culturali.
Così come era successo con le precedenti carte dei principi, però,
neanche questa volta all’entusiasmo iniziale fece seguito una piena
69
adesione dell’Ordine e degli stessi giornalisti ai principi esposti. Questo
tipo di documenti ha infatti “valenza etica, ma giuridicamente non [è]
cogente” e non vincola gli operatori [Cospe (a cura di), op. cit., p. 27],
probabilmente perché non esiste, in Italia, una tradizione giornalistica di
solido rispetto dei codici di autoregolamentazione o forse perché le
routines lasciano relativamente poca libertà decisionale al singolo
giornalista a favore di altri elementi prioritari: produttività, velocità, tipo
di linea editoriale e controllo aziendale. Inoltre manca ancora una piena
conoscenza del fenomeno dell’immigrazione, della sua importanza e
della sua problematicità, così che viene interpretato non nella sua
complessità ma a seconda degli umori politici e dei bisogni produttivi
del momento.
3.2.4 La dichiarazione di Madrid
Nel marzo 1998 si sono riuniti a Madrid i rappresentanti delle
organizzazioni professionali e sindacali dei giornalisti di Francia,
Germania, Irlanda, Italia48, Portogallo, Regno Unito e Spagna, in
occasione del seminario europeo “I mezzi della comunicazione, contro
l’intolleranza, il razzismo e la xenofobia” che ha portato alla firma della
Dichiarazione di Madrid: i giornalisti contro il razzismo e la xenofobia.
In questo documento i giornalisti ammettono l’esistenza di fenomeni di
pregiudizio e costruzione di stereotipi a danno di persone o gruppi
etnici, ammettono anche che è impossibile per un giornalista rimanere
neutrale davanti al razzismo, e che quindi è necessaria
un’autoregolazione che riguardi anche l’eventuale diffusione di discorsi
delle personalità pubbliche che incitano o fomentano movimenti razzisti
o xenofobi, diffusione che bisognerebbe evitare. Si rendono consapevoli
del grande peso che hanno i mezzi di comunicazione nei confronti della
società e della necessità pertanto di rispettare gli Accordi internazionali
in materia di razzismo. Dichiarato questo, concordano su una serie di
principi: la volontà di stimolare valori favorevoli al rispetto dei diritti
48 Per l’Italia partecipano Lorenzo del Boca, Antonio Veluto e Gianni Molinari della
FNSI.
70
umani, della pace e della democrazia, di impedire la diffusione acritica
di messaggi razzisti e xenofobi, di promuovere una corretta conoscenza
delle minoranze e mostrare rispetto nei confronti delle vittime di atti di
razzismo e della loro identità culturale; l’impegno, nell’ambito
dell’informazione, a un trattamento in accordo con le norme etiche
quando si tratti della diffusione di messaggi o immagini suscettibili di
pregiudicare la valutazione sociale delle minoranze, evitando le
allusioni ingiustificate verso le etnie in notizia su fatti delittuosi e
sessuali e l’uso scorretto e tendenzioso del linguaggio.
3.2.5 Le parole lasciano impronte
Contro l’uso scorretto del linguaggio e le scelte lessicali tendenziose nei
testi giornalistici si scaglia anche la “campagna di sensibilizzazione al
giusto uso delle parole nell’informazione” Le parole lasciano impronte,
lanciata dalla FNSI in collaborazione con il portale di informazione
multietnica del gruppo Kataweb Il Passaporto49. Questa campagna
prevede la raccolta on line di adesioni da presentare poi alla FNSI50 e un
percorso di “formazione, informazione e denuncia”. “Il nostro lavoro
non si limiterà ad un momento di denuncia: intendiamo entrare nella
costruzione dei circuiti dell’informazione, per problematizzare realtà
che troppo spesso vengono semplificate, sarà un lavoro che durerà nel
49 http://www.ilpassaporto.it 50 Hanno aderito alla campagna, tra gli altri: Agenzia Informazione Immigrati Associati
Migra, Archivio Immigrazione, agenzia Amisnet, Peacelink, Carta-Cantieri sociali, il
Manifesto, Liberazione, Fnsi, Lettera 22, Cospe, Cooperativa Sesamo, Informazione al
futuro, rivista “Altri”, Arci Nuova Associazione, CGIL uff. immigrazione, Novaradio
di Firenze, “Candelaria” Associazione di donne immigrate, Redattore sociale,
Associazione nazionale Beati i costruttori di pace, rivista “Marea”, Transform Italia,
Udi - Unione donne in Italia, DWPress - Il quotidiano delle donne, Coordinamento
lesbiche romane, Associazione Antilope, Cestim - Centro Studi Immigrazione onlus,
Sezione Italiana di Amnesty International, Associazione Stampa Romana (sindacato
dei giornalisti di Roma e Lazio) - Comitato Istituzioni, società civile ed
associazionismo, Associazione “Educazione al benessere” onlus, Associazione di
donne slave “Lipa”, rivista “Altrove” della Cooperativa di giornalisti Corso Bacchilega
di Imola, progetto Etnica.
71
tempo e che richiederà l’apporto di tutte le intelligenze critiche e
democratiche disposte ad impegnarsi. Un sapere plurale e in continua
ricerca a cui chiediamo di aderire per costruire un modo più corretto di
informare”. Se il percorso informativo è destinato in primo luogo a quei
cittadini stranieri che “anche a causa di limitazioni stabilite dalla
legislazione italiana o a interpretazioni restrittive della legge, hanno
molte difficoltà ad accedere alla professione giornalistica (elenchi
speciali annessi agli Ordini) e ad esercitarla in pieno (impossibilità di
fare il direttore responsabile”51, il punto centrale della campagna è però
quello di denuncia della sciattezza nelle scelte lessicali operate dai mezzi
di informazione e l’esplicito invito a un uso più sorvegliato del
linguaggio. Viene fornita anche, come provocazione, una lunga lista di
termini da evitare in quanto saturi di connotazioni razziste, scorretti
eticamente o solo inesatti: un “vocabolario” che chiunque può arricchire.
Non esistono lemmi neutri e in tutti si nasconde un potenziale
d’ambiguità. L’elenco comincia dalla parola “clandestino”, che nel
linguaggio giuridico indica colui che “ha attraversato i confini nazionali
secondo modalità diverse da quelle previste dalle leggi in vigore”
[Menghi (a cura di), 2002, p. 119] ma viene spesso utilizzata per
indicare gli immigrati irregolari, cioè privi in un dato momento del
permesso di soggiorno, criminalizzando entrambe le categorie. Si passa
poi all’espressione “emergenza immigrazione” e si afferma che “le
immigrazioni non sono un’emergenza, ma un fenomeno di livello
planetario. Diventa emergenza quando vogliamo credere che gli altri
sono un pericolo per noi” così il binomio verbale “problema
immigrazione” andrebbe evitato in quanto “si migra per risolvere i
problemi, non per crearli”. Senza contare che quello alla migrazione è
un diritto fondamentale dell’uomo garantito per tutti a cominciare
dall’articolo 13 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1948 e
dagli articoli 12 e 13 del Patto delle Nazioni Unite sui Diritti civili e
politici del 1976 [Sibhatu, 2004, p. 40]. E ancora: “centri d’accoglienza”
è una dicitura non corretta che non descrive bene ciò che tali strutture
51 Sulle modalità di accesso dei cittadini stranieri all’Ordine dei giornalisti cfr. cap. 3.3
72
nel concreto sono, e cioè veri e propri centri di detenzione; “badante” è
un termine che viene riservato solo alle lavoratrici straniere: “perché una
italiana è collaboratrice domestica e una filippina è badante?”;
“sicurezza” richiama paure e fattori emotivi forti e irrazionali: “tutti
vogliono vivere sicuri. Sembrerebbe che chi migra viene in Italia per
delinquere”. Fino ad arrivare al termine forse più abusato e pericoloso,
“extracomunitario”: “una serie di leggi definiscono extracomunitario chi
non è cittadino della Comunità Europea. Ma spesso questa parola viene
usata in modo dequalificante”. Tale attributo infatti fornisce una
caratterizzazione delle persone in quanto esterne alla comunità: diverse,
straniere, aliene e non è mai riferito ai cittadini extra-comunitari
provenienti dai ricchi paesi occidentali come gli Stati Uniti. Dal
successo della campagna e dal positivo riscontro che ha ricevuto ha fatto
seguito la nascita di un sito Internet che si propone come spazio di
dibattito su questo tema e raccoglie notizie, articoli di esperti e dossier
sull’immigrazione52.
3.3 L’accesso alla professione giornalistica per il
cittadino straniero
Con la già menzionata legge n. 69 del 3 febbraio 1963 si fonda l’Ordine
dei giornalisti cui appartengono tutti coloro che svolgono attività
giornalistica non occasionale e retribuita; l’iscrizione all’Ordine
costituisce pertanto la condizione di legittimità dell’esercizio della
professione. Per i giornalisti di nazionalità straniera e non comunitari
(almeno ventunenni) è prevista, dall’art.28, l’iscrizione agli elenchi
speciali annessi all’albo dei giornalisti; a condizione però che, in base al
principio di reciprocità, essi siano cittadini di uno stato con cui il
governo italiano abbia stipulato un accordo speciale che preveda la pari
possibilità per un cittadino italiano di svolgere la professione
52 http://www.leparolelascianoimpronte.org.
73
giornalistica in quel determinato paese, e per il cittadino straniero di
esercitare la professione in Italia.
Il D.P.R. 115/65 “Regolamento per l’esecuzione della l.n. 69/1963”
prevede inoltre che al fine di comprovare il possesso della qualificazione
professionale necessaria, il cittadino straniero debba presentare, al
Consiglio regionale o interregionale di residenza, la documentazione
completa da cui risulti che ha esercitato in precedenza la professione
giornalistica in conformità alle leggi del suo stato. Egli ha anche la
facoltà di sostenere nella sua lingua di origine l’esame di Stato per
diventare giornalista professionista in Italia.
Resta comunque preclusa la possibilità di assumere l’incarico di
direttore responsabile di una qualsivoglia testata53, carica riservata
esclusivamente ai giornalisti di nazionalità italiana. Secondo la legge
sulla stampa n. 47/1948, art. 3, infatti, ogni periodico italiano deve avere
un direttore responsabile; costui deve essere cittadino italiano e
possedere gli altri requisiti per l'iscrizione nelle liste elettorali politiche.
Può essere direttore responsabile anche l'italiano non appartenente alla
Repubblica, se possiede gli altri requisiti per la iscrizione nelle liste
elettorali politiche. Rimane inoltre preclusa - fermo restando il diritto
alla libertà d’espressione garantito a tutti dall’art. 21 della Costituzione
Italiana - la possibilità di accedere all’albo per i giornalisti non
comunitari i cui paesi di provenienza non abbiano siglato accordi con lo
stato italiano in merito alla reciprocità di trattamento.
La disposizione sugli elenchi speciali non si applica ai cittadini
comunitari. L’art. 9 della l. 428/1990 afferma infatti, al comma 2, che
“ai cittadini degli Stati membri delle Comunità europee non si applica la
condizione di reciprocità richiesta dall’art. 36 l. 69/1963”. Tale articolo
equipara quindi i cittadini degli stati membri della Comunità europea ai
cittadini italiani in ordine all’iscrizione nel registro dei praticanti e
all’elenco dei pubblicisti, aggiungendosi così alla normativa che aveva
53 Per quanto riguarda la stampa etnica, i cui redattori sono quasi tutti immigrati, risulta
dalla lettura dei colophon che se il direttore editoriale è spesso un cittadino straniero,
ad assumere la carica di direttore responsabile è sempre un italiano (a volte lo stesso,
per più riviste).
74
accomunato in precedenza i cittadini comunitari e quelli nazionali
quanto all’iscrizione all’albo dei professionisti. Tale equiparazione,
ribadita successivamente con l’art. 9 l. 52/1996, si applica anche con
riferimento alle figure di direttore responsabile e al proprietario di ogni
genere di periodici.
Restano invece esclusi da questa possibilità i giornalisti di origine extra-
comunitaria. Preclusione, questa, in chiara contraddizione con la più
recente Legge 40/98 che, in merito al soggiorno dei cittadini stranieri
non comunitari, stabilisce l’accesso alle libere professioni anche qualora
non sia rispettato dai paesi d’origine il principio di reciprocità, nonché
con la legge n. 286 dello stesso anno che riconosce ai cittadini immigrati
e forniti di permesso di soggiorno gli stessi diritti civili del cittadino
italiano, tra cui l’uguaglianza di diritti sul lavoro. Secondo una sentenza
della Corte di Cassazione (n. 11 del 1968), infatti, non è irragionevole il
principio di reciprocità di trattamento mediante accordi tra gli stati a
meno che l’aspirante giornalista non sia cittadino di un paese che non
garantisce l’effettivo esercizio delle libertà e dei diritti civili (circostanza
per la quale l’art. 10 della Costituzione garantisce il diritto d’asilo).
Esclusione ingiustificata nella realtà di un paese sempre più multietnico
e in contraddizione, infine, anche con il decreto legge n. 216 del 2003
che, attuando la direttiva 2000/78/CE, stabilisce la parità di trattamento
in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
Si tratta di un problema molto sentito soprattutto nelle redazioni dei
giornali “etnici”54, che non possono avere come direttore responsabile un
giornalista straniero: “Siamo costretti a pagare una persona italiana che
faccia da prestanome, senza fare altro; non legge neanche gli articoli
ma prende comunque la sua tariffa”55 afferma Roland Sejko, direttore
editoriale di Bota Shqiptare, il giornale in lingua rivolto alla comunità
albanese. Lo stesso vale per la questione dell’iscrizione all’ordine: “È
anche una questione di principio. A parte che c’è una direttiva europea
che invita ad abolire gli albi professionali. Sarebbe più facile per noi
54 Cfr. cap. 4.1. 55 Comunicazione personale, Firenze 27 maggio 2005.
75
farci accreditare in Italia come giornalisti di testate estere; ma non tutti
avrebbero la possibilità di dimostrare un’attività lavorativa continuativa
per una testata straniera, specialmente coloro che hanno cominciato a
svolgere l’attività giornalistica proprio in Italia”.
È notizia di questi giorni56, comunque, l’emanazione di una circolare del
Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli Affari di Giustizia,
Direzione Generale della Giustizia Civile diretta al Consiglio Nazionale
dell’Ordine Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti che apre uno spiraglio
sulla possibilità per i cittadini extra-comunitari di iscriversi all’Ordine.
Si legge infatti che, alla luce della normativa esistente, non appare
possibile opporre un rifiuto basato sulla cittadinanza all’iscrizione
all’albo professionale, […] a prescindere da eventuali trattati di
reciprocità. E ancora: appare possibile procedere all’iscrizione
nell’elenco dei pubblicisti e dei professionisti di cittadini extra-
comunitari che ne facciano richiesta, se in possesso dei requisiti
richiesti dall’ordinamento italiano. Questa possibilità sarebbe però
riservata a tutti i cittadini extra-comunitari laureati o diplomati e
abilitati in Italia; non è quindi ancora chiarita la situazione dei
giornalisti formatisi all’estero. In ogni caso, si tratta di un passo in avanti
che ammette le contraddizioni legislative di cui si è parlato prima e che
dovrà ora essere recepito dai vari organi regionali.
3.4 L’informazione come prima forma di cittadinanza
Se l’Italia è ormai un paese in cui l’immigrazione ha assunto una
particolare rilevanza, diventa necessaria l’applicazione di serie politiche
di integrazione. L’integrazione passa anche attraverso i mass media, anzi
il rapporto tra questi e le minoranze etniche è importante ai fini
dell’inserimento anche lavorativo dei cittadini stranieri. “Per le scienze
sociali integrarsi significa occupare un posto funzionale all’interno
56 Circolare del 13 maggio 2005.
76
delle comunità d’accoglienza” [Sibhatu, 2004, p. 47]. Perché
l’integrazione sia reale, tale “posto funzionale” deve essere visibile e
rappresentato in modo chiaro all’intera società, non nascosto tra le
pieghe di un’informazione che privilegia la devianza e nasconde la realtà
sociale nella sua interezza.
Ma non basta che i cittadini immigrati siano messi al riparo da ogni
forma di pubblica discriminazione, perché si possa parlare di società
interculturale.
“Interculturale” è (anche) una società che vede nell’immigrato non solo
il “prodotto” di una cultura diversa, ma pure il “produttore” di culture al
pari dei cittadini nativi [Rivera, 2003, p 19] e che non riconduce ogni
difficoltà di integrazione alla mera questione della differenza culturale.
“Intercultura è riconoscere le culture, le appartenenze […], ma sempre
avendo chiaro che esse non sono realtà omogenee bensì spazi di
scambio” [Mantovani, 2004, p. 23].
La concezione di una democrazia multiculturale prevede la “costituzione
di un gruppo di cittadini attivi, con gli stessi diritti e gli stessi doveri,
che condividano lo stesso spazio pubblico” [Martiniello, 2000, pp. 106-
107]. Il decreto legislativo 268/199857 prevede per i cittadini immigrati
regolarmente presenti nel territorio pari diritti civili e la partecipazione
alla vita pubblica locale. Partecipazione che si completa, però, solo se
essi hanno anche la possibilità di conoscere la società che li ospita e farsi
conoscere, senza subire passivamente ciò che i nativi dicono di loro. Una
prima forma di inclusione sociale è quindi quella che è assicurata
dall’informazione, risorsa basilare per affrontare una nuova esperienza
di vita in una nuova società. “Senza informazioni qualsiasi cittadino non
è tale, non ha possibilità e libertà d’azione, che è il requisito minimo di
ogni cittadinanza” [Sorrentino in Cospe (a cura di), 2003, p. 3]. In una
società che presenta al proprio interno membri con background
differenti, è fondamentale che a tutti loro siano assicurati in primo luogo
i diritti basilari, tra i quali rientra quello all’informazione. Solo così essi
possono orientarsi, uscire da una condizione di isolamento, farsi
57 Cfr. cap. 1.4.
77
riconoscere, attivare quelle reti relazionali che sono “l’intelaiatura
necessaria per la creazione di rapporti sociali e per la costruzione di
possibili relazioni con il nuovo territorio e con il contesto politico e
sociale” [ibidem]. L’informazione deve essere quindi garantita a tutti,
così come prevede la Costituzione nella sua interpretazione
“funzionalista”58 che ha ispirato anche i principi dell’istituzione
dell’Ordine dei giornalisti. Un serio e partecipato dibattito
sull’uguaglianza di diritti e doveri, sulla volontà di riconoscimento
reciproco, sui principi del pluralismo informativo e infine sulla parità di
accesso ai media è l’unico che può favorire l’affermazione di “una
cittadinanza culturale che integri le altre dimensioni – civile, politica e
sociale – della cittadinanza” [Martiniello, op. cit. pp. 95-107] e che
contribuisca a risolvere i problemi di inadeguatezza59 della stampa e dei
mezzi di informazione italiana riguardanti l’immigrazione.
Una primissima proposta per superare quest’inadeguatezza, prima
ancora che la stesura di un nuovo codice di autoregolamentazione da
condividere e di cui vigilare attentamente l’applicazione, sarebbe quindi
quella di considerare gli immigrati, ai fini dell’informazione
giornalistica, semplicemente come dei cittadini. Individui dotati di pari
diritti e doveri; persone di cui rispettare la privacy e la dignità personale,
e a cui dare voce come fonte delle notizie che li riguardano. La
Commissione Europea ha introdotto il concetto di cittadinanza attiva
che riconosce ai cittadini immigrati alcuni diritti e obblighi
fondamentali, in modo da garantire loro un uguale trattamento rispetto ai
nativi. Alla base della concezione di cittadinanza attiva ci sono la piena e
uguale partecipazione, così come la comunicazione interculturale, la
comprensione reciproca e il dialogo. La partecipazione riconoscibile dei
migranti e dei gruppi di origine etnica minoritaria al dibattito pubblico è
perciò prioritaria.
58 Interpretazione che propone “una concezione della libertà di informazione come
diritto dei cittadini a essere informati, facendola rientrare nel novero dei diritti sociali,
che hanno il fine di realizzare il diritto all’uguaglianza” [Papuzzi, 1998, p. 198]. 59 Cfr. cap. 2.3.
78
3.5 Un nuovo mercato
Non è quindi sufficiente che i cittadini immigrati siano rappresentati
correttamente nei mass media e che tutte le forme di discriminazione
giornalistica siano evitate, perché si possa parlare di avvenuta
integrazione. L’impegno per un’informazione “il più possibile libera da
stereotipi” e per un libero accesso dei migranti ai media (come fonti
accreditate e come operatori del settore), sebbene rilevante per la
democrazia, non soddisfa però completamente le richieste informative
dei cittadini immigrati.
Tra l’altro, il sistema dei media italiano nel suo complesso presenta
caratteristiche storiche peculiari, quali ad esempio la scarsa rilevanza
dell’informazione di servizio e il debole radicamento nella dimensione
locale a favore di quella nazionale che rendono ancora più lontano il
mondo dei mass media dalla realtà vissuta e dai bisogni quotidiani di un
migrante [Sorrentino, in Cospe (a cura di), p. 4].
Gli stranieri sono infatti portatori di bisogni informativi complessi ma
anche nuovi per la società e il sistema dei media italiani. Garantire agli
immigrati l’accesso all’informazione è un servizio pubblico
“irrinunciabile per motivi etici ma anche per evidenti motivi
d’opportunità politica ed istituzionale” [Sorrentino, op. cit., p. 4].
L’informazione è un bene primario, ma pure una risorsa troppo spesso
scarsa e inaccessibile, nonostante i cittadini stranieri ne abbiano urgente
necessità.
Necessità che porta alla nascita di un nuovo mercato.
Gli immigrati in Italia costituiscono al momento un ampio segmento di
popolazione, composto di più di tre milioni di persone, ossia circa il
4,5% della popolazione italiana [ISMU 2005]; secondo l’ISTAT, oltre
2.500.000 di questi lavorano, pagano le imposte e hanno un certo potere
d’acquisto. Addirittura circa 125mila di loro sono imprenditori. Come
dimostra una ricerca effettuata nel 2004 dalla Carat Geoconsulting,
divisione di geomarketing del gruppo Carat, i cittadini stranieri residenti
stabilmente in Italia costituiscono un nuovo mercato e potrebbero
diventare destinatari importanti della comunicazione pubblicitaria di
79
alcune aziende. Ad esempio, un milione 450mila immigrati possiede la
patente di guida, e le aziende automobilistiche hanno da poco
cominciato a interessarsi di questo settore60. Altri settori in rapida ascesa
sono i servizi di telefonia e le rimesse di denaro all’estero. Secondo la
stessa ricerca anche il consumo dei media tra i migranti sta crescendo
notevolmente e il settore è in piena espansione.
Uno studio del novembre 2003 a cura di Mario Abis, presentato in un
convegno milanese dell’ASSIRM sull’integrazione degli immigrati in
Italia intitolato Immigrati e mercato. Oltre il cono d’ombra, interroga un
campione di 819 cittadini stranieri residenti in Italia sulle loro abitudini
di consumo. Riguardo ai media, risulta che se il 30% non legge mai
quotidiani italiani, un 25% li legge occasionalmente e un altro 25% ne è
un lettore “debole”; si dicono lettori forti il 19,2% e medi 7,7% degli
interpellati. Dei lettori di quotidiani, il 57,4% legge quotidiani venduti in
edicola e il 38,9% giornali gratuiti o free press. Non ci sono invece dati
sulla lettura di quotidiani stranieri. Nonostante questi dati, oltre il 51%
dà un giudizio negativo della stampa italiana e di come essa parla degli
immigrati. Si può facilmente intuire che, anche in ragione
dell’inadeguatezza nella rappresentazione e nella mancanza di
informazione di servizio di cui si è parlato in precedenza, i quotidiani
italiani e stranieri non sono capaci di soddisfare pienamente le esigenze
informative dei cittadini immigrati.
Se si concepisce l’informazione anche come un prodotto, frutto di una
serie di routines aziendali con l’obiettivo finale di essere venduto, si può
concordare anche sul fatto che i cittadini stranieri costituiscano un nuovo
gruppo di consumatori dotato di potere d’acquisto e di propri particolari
bisogni informativi. Un segmento di mercato, cioè, individuato da
precise variabili comportamentali, socio-demografiche, socio-culturali, e
dai vantaggi richiesti [Lambin, 2000, pp. 223-249]. I cittadini immigrati
avrebbero perciò la necessità di trovare prodotti informativi alternativi,
pensati per le loro esigenze e che soddisfino bisogni diversi da quelli
presi in considerazione dai media tradizionali. Non si vuole qui
60 http://www.stranieriinitalia.it/news/auto12gen2005.htm.
80
sostenere che i migranti vadano ghettizzati in spazi informativi riservati
esclusivamente a loro, e che con ciò sia risolto il problema della
scorretta e iniqua rappresentazione degli stessi nei mass media, ma che il
bisogno di un’informazione di tipo differente da quella tradizionale
esiste.
Un’informazione, in primo luogo, che fornisca ai cittadini immigrati
degli strumenti:
• Per orientarsi: cercare di comprendere una società nuova e
potersi muovere autonomamente in essa. Conoscere quindi le
regole base di comportamento della società d’arrivo, gli
avvenimenti di cui si parla, la cultura dominante61.
• Per “autotutelarsi”: mettersi al corrente delle norme che regolano
l’entrata e il soggiorno dei cittadini stranieri, degli ordinamenti
vigenti e delle nuove leggi, dei servizi disponibili nel paese
d’arrivo e delle modalità di fruizione.
• Per preservare o riaffermare la propria identità: assumere notizie
provenienti dai paesi d’origine, mantenere un contatto con la
propria comunità di nascita, valorizzare la cultura d’origine.
• Per incontrarsi: non nel senso di chiudersi nella comunità di
appartenenza ma di conoscere la situazione degli altri immigrati,
confrontarsi, discutere dei problemi comuni e dei propri progetti
migratori, venire a conoscenza di iniziative ed eventi culturali
multiculturali. Per sentirsi meno isolati e spaesati.
Per soddisfare bisogni di questo tipo si è resa necessaria la creazione di
un nuovo genere di prodotti informativi: un “paniere di beni” che
soddisfi le esigenze particolari di un target specifico, in questo caso, i
diversi gruppi di cittadini stranieri presenti in Italia. Una prima prova di
prodotto informativo creato pensando alla nuova realtà
dell’immigrazione è la stampa etnica e la stampa multiculturale, forme
contigue di giornalismo, riunite spesso sotto la categoria di “stampa
interculturale”.
61 Ovviamente questa funzione può essere svolta anche dai giornali tradizionali.
81
3.6 I mezzi di informazione interculturali
Le informazioni di cui un cittadino ha bisogno devono essere
organizzate e rese accessibili e comprensibili. È per questo che sono
nati, negli ultimi dieci anni, e si sono velocemente sviluppati nuovi
prodotti informativi pensati e realizzati appositamente per gli immigrati.
Si tratta di programmi radiofonici, siti web, trasmissioni televisive e
testate giornalistiche che si occupano dell’immigrazione non in quanto
problema o opportunità per la società italiana, ma come un fattore
consustanziale di tale società; e soprattutto, che si occupano
dell’immigrazione dalla parte dei migranti, cercando di venire incontro
alle loro particolari esigenze di informazione. La prima barriera che si
frappone tra un cittadino straniero immigrato e la società d’arrivo è la
lingua; per questo motivo, uno degli elementi caratterizzanti di molti dei
prodotti mediali creati appositamente per i cittadini immigrati è proprio
il fatto di utilizzare la lingua nativa della propria audience, che si tratti di
programmi radiofonici, televisivi o di testate giornalistiche.
In questa sede ci si occuperà solo dell’informazione su carta stampata,
non solo perché costituisce l’oggetto principale della ricerca, ma anche
perché i prodotti informativi presenti sul territorio italiano e
specificatamente rivolti agli stranieri sono una realtà molto eterogenea e
variegata, ad alto tasso di natalità e mortalità, e sarebbe quindi
impossibile fornire un quadro completo di tutto il sistema mediale che si
sta formando. Secondo uno studio condotto nel biennio 2001-2002
nell’ambito del progetto europeo Tuning in to diversity62, sono sedici le
62 Finanziato dalla Commissione europea, per promuovere l’interculturalità nei media e
dare visibilità alle minoranze, ha avuto come partner per l’Italia Censis e Cospe e si è
avvalso della collaborazione della facoltà di Scienze Politiche dell’Università di
Firenze. Cfr. la relazione “L’offerta multiculturale nella stampa, tv e radio in Italia”
[Cospe, 2002].
82
emittenti televisive e quarantaquattro le emittenti radiofoniche italiane63
“in cui la programmazione culturale ha un particolare peso”, ma
nessuna di queste costituisce un canale di informazione esclusivamente
riservato ai cittadini immigrati come invece avviene per i giornali
cartacei censiti (trentuno, al momento della ricerca). Si parla in questo
caso di un tipo di programmazione multiculturale: che cioè ai prodotti
mediali della cultura dominante affianca altri dedicati alle minoranze
presenti nel paese, per rappresentare una società non più monolitica ma
piena di sfaccettature diverse. Dai servizi di informazione e consulenza
giuridica in lingue differenti ai programmi che trasmettono musica di
altri paesi, radio e televisioni locali offrono una visione
dell’interculturalità come, in sintesi, una giustapposizione di culture e
bisogni differenti.
Le iniziative di comunicazione interculturale in Italia sono state
classificate, dalla prima ricerca del Cospe, in base agli enti promotori. Si
parla allora di iniziative militanti quando i programmi sono prodotti da
associazioni di sinistra (per la promozione dei diritti e della cultura dei
migranti e per la fornitura di informazioni di pubblica utilità) o del
mondo cattolico (in cui prevale maggiormente la promozione della
solidarietà); di trasmissioni di servizio, spesso promosse da enti pubblici,
in cui prevale la promozione del diritto all’informazione; di produzioni
di comunità quando si tratta di trasmissioni autogestite legate a singoli
gruppi di immigrati, atte a rafforzare il legame di appartenenza
identitaria con la comunità d’origine e a farne conoscere alcuni aspetti al
paese ospitante; di iniziative della multiculturalità, quando i programmi
sono condotti da cittadini italiani e immigrati insieme, con l’esplicito
obiettivo di promuovere i valori della convivenza tra culture; e infine, le
iniziative di vero e proprio mercato, che considerano cioè gli immigrati
il proprio target economico cui indirizzare informazione mista a
63 Mappatura effettuata nel corso della medesima indagine e già obsoleta: secondo
Barrucci, Liberti [2004], per esempio, i programmi radio destinati agli stranieri
sarebbero già settanta.
83
campagne pubblicitarie, con lo scopo quindi di perseguire un utile
economico [Gabellieri, in Sorrentino (a cura di), 2003, pp. 261-272].
Riguardo invece alla stampa, secondo l’ultima rilevazione fornita da uno
studio del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro64 sarebbero
10965 le testate editoriali esistenti e dedicate al mondo
dell’immigrazione, suddivise ai fini del censimento in tre diversi gruppi:
a) giornali gestiti da immigrati e che si rivolgono esclusivamente alle
comunità etniche; b) testate gestite da italiani, a volte con il
coinvolgimento di cittadini stranieri, e che si rivolgono a italiani e a
immigrati; c) testate gestite da operatori della comunicazione italiani e
che sono destinate esclusivamente agli italiani. Delle prime due ci si
occuperà più approfonditamente nel Cap. 4 di questa ricerca.
Nel gruppo (a), andrebbero collocati i giornali redatti da immigrati e
indirizzati in prevalenza ad immigrati, che costituiscono quindi la
tipologia di testata giornalistica più innovativa per la realtà italiana,
l’unica che tenta di rispondere più o meno adeguatamente ai bisogni
informativi degli immigrati, di prenderli in considerazione come
consumatori di informazione. È la tipologia di riviste che andrà sotto il
nome di “stampa etnica” dal momento che offre “etnoinformazione”:
notizie dal paese d’origine della comunità di riferimento, notizie sulla
vita di tale comunità in Italia e informazione di servizio. Accanto a
esperienze locali di breve durata, bassa visibilità e difficile rilevazione
esistono testate ormai note ai cittadini stranieri e molto lette; l’elenco
presente nella relazione del Cnel [2004] è già obsoleto perché la lista di
testate etniche si allunga di mese in mese.
Il gruppo (b), invece, comprende 47 testate gestite da giornalisti italiani,
a volte con il coinvolgimento di immigrati; esse si rivolgono a un
pubblico misto, con l’obiettivo di fornire informazione di servizio,
raccontare storie di vita, segnalare eventi culturali ma soprattutto
sensibilizzare gli autoctoni alla storia e alla cultura dei migranti. È il tipo
64 CNEL, 2004 (http://www.cnel.it). 65 Nella classificazione del CNEL non si fa però differenza tra stampa e siti Internet e
tra giornali e agenzie d’informazione.
84
di testate che verrà definito “stampa multiculturale”. Questi periodici
sono prodotti da associazioni culturali, religiose, da istituzioni pubbliche
o sindacali, da organizzazioni non governative o di volontariato. E
nonostante (l’esigua) presenza di immigrati nelle loro redazioni, o in
qualità di collaboratori occasionali esterni, il target primario di tali
riviste rimane esplicitamente il cittadino italiano interessato a un certo
genere di tematiche e sostenitore dei valori della solidarietà e
dell’accoglienza.
Del gruppo (c) fanno parte, nella classificazione del CNEL, 33 riviste
gestite da cittadini italiani: da Nigrizia a Redattore Sociale, dal sito del
Cestim a Carta; nella ricerca non si fa differenza tra stampa e siti web e
vengono accomunate esperienze editoriali molto diverse tra loro, spesso
indirizzate a un pubblico colto, accomunate solo dal fatto di occuparsi
(anche) di tematiche sociali o connesse all’immigrazione. Nulla di
nuovo, dunque: si tratta di riviste di approfondimento tematico che non
si propongono di arrivare tra le mani dei cittadini immigrati, di cui
peraltro parlano.
3.6.1 I giornali di strada
La stampa “etnica” non deve essere confusa con la stampa “di strada”,
categoria che comprende tutti quei giornali di informazione “sociale”
venduti a offerta libera, per strada, da persone in maggioranza straniere:
Terre di Mezzo66 (nato nel 1994 e distribuito da più di cinquanta
immigrati) e Scarp de' tenis (mensile nato nel 1993) a Milano, Fuori
Binario a Firenze, Piazza Grande a Bologna. Tali testate si fanno
portavoce di istanze sociali (richiesta di mense, alloggi per i “senza fissa
dimora”, ecc.), contengono spesso interviste e piccole inchieste
sull’immigrazione, danno risonanza a iniziative di pubbliche utilità come
quella dell’”avvocato di strada”, ma non hanno un target preciso: si
pongono nei confronti degli extracomunitari essenzialmente come
possibilità di lavoro (la vendita per strada). Anche le informazioni
relative ai servizi, l’elenco dei numeri e degli indirizzi utili (dove
66 http://www.terre.it.
85
mangiare, lavarsi, dormire, curarsi, vestirsi…) che si trova nell’ultima
pagina del bolognese Piazza Grande67 (mensile di sedici pagine nato nel
1995) sono pensati per un lettore in condizioni di disagio, che non si
identifica necessariamente con l’immigrato.
3.6.2 Un primo manifesto programmatico per i media multiculturali
Alcuni studiosi hanno lamentato il rischio di ghettizzazione insito nello
stesso concetto di informazione per immigrati: essi, confinati negli spazi
loro riservati, non riuscirebbero a trovare ascolto nei media ufficiali.
Altri sostengono che le dinamiche sociali sono molto lente, che
occorrerà del tempo prima che la società accetti e valorizzi la
multiculturalità e che questi appena citati sono dei piccoli ma necessari
passi verso la conquista del pluralismo informativo. Una polifonia
democratica raggiungibile dopo aver migliorato il linguaggio con cui si
parla dei migranti, aumentato il numero dei soggetti notiziabili e trovato
dei mezzi alternativi d’informazione.
Negli stati membri dell’unione Europea sono attive molteplici iniziative
mediatiche multiculturali che coinvolgono un gran numero di persone,
associazioni, istituzioni e aziende che si occupano di comunicazione. In
Francia e nel Regno Unito essi sono una realtà consolidata da molti anni,
mentre in altri paesi come Italia e Spagna, dato il carattere di relativa
novità del fenomeno migratorio, conservano ancora un aspetto
sperimentale. I rappresentanti dei principali media interculturali europei,
riuniti nella conferenza del progetto On Line/More Colour in the media
hanno preso la decisione di lavorare insieme e unire gli sforzi per
richiamare su di sé attenzione e supporto. Questo progetto ha portato alla
stesura del Manifesto Europeo dei media multiculturali68 [2003]. Il
manifesto ricorda, in primo luogo, che l’Unione Europea, avendo
introdotto il principio di cittadinanza attiva, si è proposta come uno
67 http://www.piazzagrande.it. 68http://www.multicultural.net/manifesto/manifesto_it.pdf. L’iniziativa è stata
coordinata per l’Italia dal Cospe nell’ambito della campagna “Millevoci” per il
pluralismo culturale nell’informazione.
86
spazio di libertà; che essa tuttavia ospita un gran numero di cittadini
immigrati, e che per garantire loro pari opportunità di accesso e
partecipazione al dibattito pubblico è necessario a) sensibilizzare la
popolazione autoctona sulle tematiche dell’immigrazione b) trasmettere
un’immagine realistica del fenomeno attraverso i media c) sostenere i
mezzi di informazione multiculturali che soli possono raggiungere,
anche attraverso il linguaggio usato, i nuovi arrivati e fungere da
“mediatori culturali” tra le comunità di origine etnica minoritaria e
quelle maggioritarie. Per questi motivi, i firmatari del manifesto (media
multiculturali, associazioni di migranti, organizzazioni non governative
e privati cittadini) chiedono alla Commissione Europea, al Parlamento
Europeo e ai Governi degli stati membri di assicurare la tutela della
libertà di espressione (anche nel senso passivo di diritto a essere
informati), il riconoscimento dei media multiculturali come servizio di
interesse pubblico fondamentale per la comunità e necessario per
l’inclusione sociale dei migranti, un’attenzione per questi media anche
nei programmi educativi europei, la cooperazione tra media europei e
l’incoraggiamento, attraverso fondi speciali, di programmi di formazione
per i professionisti di origine etnica minoritaria. Il manifesto è stato
presentato il 29 aprile 200469 al Parlamento Europeo. Più di 750 firme
provenienti da 49 paesi diversi sono state presentate a Pat Cox che ha
invitato i partiti a inserire al più presto la questione del sostegno ai
media multiculturali nella loro agenda, e ha assicurato che, trattandosi di
un documento che merita una risposta positiva, sicuramente il
Parlamento vi darà, nei fatti, una risposta positiva.
3.6.3 Una prima associazione di giornalisti multiculturali
Esiste anche un’associazione di giornalisti e fotografi che lavorano nei
mezzi di informazione multiculturali e nella stampa etnica: si chiama
Etno Media70, ha sede a Milano e ha lo scopo di facilitare la
69 Il resoconto dell’evento è consultabile all’indirizzo
http://www.multicultural.net/blog.htm. 70 E-mail: [email protected].
87
pubblicazione di giornali e siti web, promuovere i rapporti tra i propri
associati e le istituzioni, contribuire all’integrazione delle diverse
comunità di origine etnica minoritaria presenti in Italia attraverso la
diffusione dell’informazione, favorire la formazione professionale dei
propri operatori attraverso seminari e corsi di giornalismo, promuovere
campagne di informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica ai
temi della convivenza e del dialogo costruttivo tra culture.
Obiettivi di vasta portata per un’associazione nata per l’evidente
mancanza di adeguata visibilità e rappresentanza nei media della voce
dei migranti e a cui appartengono professionisti provenienti dall’Africa,
dall’America Centrale ma anche italiani. Il suo ufficio stampa offre
servizi informativi come un’agenzia stampa specializzata
sull’immigrazione e consulenza pubblicitaria alle aziende sul nuovo
mercato “etnico” di beni rivolti ai cittadini immigrati. Segretaria
generale di Etno Media è Mercedes Salessi, giornalista professionista di
origine argentina.
88
Cap. 4 La stampa per l’immigrazione in Italia
In questo capitolo si tratterà della stampa interculturale, le cui caratteristiche
principali sono state descritte nel Cap. 3.6. Con questa espressione si sono
raggruppati qui due tipi di pubblicazioni: il giornale “etnico” destinato a
un’unica specifica comunità nazionale, e quello “multiculturale”, spesso
prodotto da un’associazione, rivolto a un pubblico più vasto composto da
lettori immigrati di diversa provenienza e italiani, allo scopo di promuovere
l’integrazione e la conoscenza reciproca. Allo stato attuale questo tipo di
riviste svolgono ancora una funzione di “controinformazione”:
un’informazione cioè diffusa da determinati gruppi di opinione, attraverso
mezzi minori, che si contrappone all’informazione “ufficiale” veicolata
mass media e che raggiunge una nicchia di pubblico particolarmente
interessata.
4.1 I giornali etnici
La novità principale nel panorama informativo italiano è costituita dalla
nascita e diffusione di quel prodotto informativo nuovo che prende il nome
di “stampa etnica”71 o “etnoinformazione”, a menzionare subito la
caratteristica centrale e più importante, il potenziale di innovazione insito
nell’idea stessa di pubblicazione prodotta in Italia ma gestita da cittadini
immigrati e destinata esclusivamente a un’audience straniera. Importa
relativamente poco, ai fini di questo studio, quanto realmente tali prodotti
mediatici riescano, per adesso, a soddisfare i bisogni informativi dei
migranti. La misurazione della soddisfazione non si basa solo sul numero di
esemplari venduti ma è una variabile dipendente da una molteplicità di
fattori [Lambin, 2000], il cui isolamento si complica in questo caso perché il
gruppo di stranieri visto come target non è in realtà un unico segmento
uniforme al suo interno, ma è invece estremamente variegato e
frammentato, formato cioè da tre milioni di persone di più di centonovanta
71 Anche se l’aggettivo “etnico” è ambiguo e molti ne lamentano l’abuso, si è preferito ad
altre espressioni (come “specifico di una determinata comunità” o “in lingua”) perché
utilizzato anche negli studi internazionali e di innegabile chiarezza.
89
nazionalità, che svolgono attività molto differenti tra loro e che vivono tutti
in Italia ma in località diverse. Eterogeneità dovuta alla caratteristica tutta
italiana di avere un tipo di immigrazione policentrica, priva cioè di gruppi
etnici maggioritari e di occupazioni professionali prevalenti72.
Differenziazione che si riflette ovviamente nelle stesse riviste di
etnoinformazione, dal momento che nella maggioranza dei casi ognuna di
queste è dedicata e destinata a una comunità (linguistica, o geografica)
diversa nonostante i gruppi di testate edite dai medesimi editori presentino
lo stesso format grafico e la stessa sequenza di sezioni tematiche.
Secondo il terzo rapporto della Isi Etnocommunication aggiornato al
settembre 200473, in Italia si stampano 21 testate a distribuzione nazionale,
in 15 idiomi diversi: albanese, russo, arabo, filippino, portoghese, spagnolo,
cingalese, polacco, cinese, ecc. La tiratura complessiva è di 250mila copie,
quindici pubblicazioni hanno periodicità mensile, quattro sono quindicinali
e due bisettimanali. Uno degli ultimi nati, significativamente, è The
american, rivolto alla comunità anglosassone residente in Italia.
I contenuti informativi spaziano dalla cronaca di eventi politici e culturali
del paese di provenienza alla cronaca e ai commenti su quanto accade in
Italia, con particolare attenzione alle notizie riguardanti i propri
connazionali, soprattutto quelle che non raggiungono i media ufficiali74; ci
sono sezioni dedicate alla politica internazionale, alle festività religiose, allo
sport e all’intrattenimento, con giochi enigmistici, vignette e ricette, ma ci
sono anche ampi spazi dedicati all’informazione “di servizio”: indirizzi,
guide per destreggiarsi tra la burocrazia e la legislazione italiane. Come si
vede i “vantaggi perseguiti” [Lambin, op cit.] dal “lettore modello”
immaginato e previsto dai prodotti etnoinformativi sono vari: informazione,
intrattenimento, consulenza e soprattutto mantenimento di un legame forte
72 Cfr. cap. 1.3. 73 http://www.stranieriinitalia.it/news/carat10feb03.htm. 74 “Un muratore romeno mette in fuga due rapinatori in un supermercato, a Settimo
Torinese: viene ferito ma riesce a sventare il colpo, le autorità gli promettono una
ricompensa ma dopo sei mesi non ha visto un euro ” [esempio di fatto irrilevante secondi i
valori notizia dei giornali tradizionali ma potenzialmente interessante per alcuni cittadini
immigrati, riportato nell’articolo del Venerdì di Repubblica del 15 aprile 2003].
90
con la propria identità, grazie non solo alla presenza di notizie provenienti
da “casa”, cioè da paesi spesso inesistenti nei media italiani, ma anche dalla
lettura di materiale nella propria lingua materna. Identità che può anzi
rafforzarsi e non rischiare di essere messa in crisi dal solo fatto di trovarsi a
dover vivere in un paese nuovo, diverso, ostile, a volte incomprensibile:
“Per i cinesi che arrivano in Italia, la lingua è l’ostacolo più grande. Molti
soffrono di solitudine, riceviamo decine di lettere e la rubrica della posta è
seguitissima” racconta in un’intervista Hu Lanbo, direttore del mensile Cina
in Italia. “Uomini e donne cercano gruppi di cui possano far parte, in modo
certo ed imperituro”75; avendo a disposizione un giornale che informa sulla
realtà circostante, chiarisce le procedure burocratiche e le leggi italiane,
mette in contatto con le esperienze simili di altri connazionali, i lettori si
fanno comunità in quanto stranieri e in quanto, in questo caso specifico,
cinesi. A volte si creano comunità trans-nazionali di lettori dovute alla
comunanza linguistica: Expreso Latino, per esempio, è scritto in spagnolo
ed è destinato contemporaneamente a tutti i cittadini provenienti dal Latino
America, mentre Africa News, in inglese, si rivolge ai cittadini anglofoni
provenienti dall’Africa Sub-Sahariana e Al Maghrebiya alla comunità
magrebina e araba. Per parlare della cronaca locale nazionale dei diversi
paesi viene assegnata una certa quantità di spazio per ognuno (ad esempio,
una pagina viene dedicata alle notizie dall’Ecuador, una alla Colombia, una
al Perù ecc.), proprio come farebbe un quotidiano locale che ripartisse lo
spazio in proporzione alle diverse città (ad esempio, sei pagine per Bologna,
tre per Budrio, una per Casalecchio di Reno ecc…).
Questo tipo di offerta informativa svolge quindi un’importante funzione di
prima accoglienza e, se non risolve del tutto il problema della presenza dei
migranti nei mass media, può però costituire “un primo passo, timido ma
importante, verso la costruzione di una società polifonica, in cui le diverse
nazionalità abbiano pari diritto di cittadinanza” [Gabellieri in Cospe, 2003,
p. 25].
Il personale impiegato nelle testate editoriali è in maggioranza di origine
straniera; spesso non retribuito (in questo caso accanto a quella di redattore
75 Tratto da Eric Hobsbawm – The cult of Identity Politics.
91
questi operatori svolgono altre attività lavorative e considerano questa forma
di volontariato come un’utile momento di formazione). Altre volte si tratta
di cittadini che lavoravano nell’ambito della comunicazione anche nel paese
d’origine, o che sono comunque in possesso di un titolo di studio molto alto.
Il prezzo di copertina può essere simbolico oppure oscillare tra uno e due
euro; i giornali sono anche distribuiti gratuitamente nelle sedi di
associazioni culturali, sindacali o di volontariato, o presso gli uffici della
Western Union nel caso delle testate affiliate alla concessionaria di
pubblicità ISI Etnocommunication; se ne trovano in vendita anche presso
alcune grandi librerie (Feltrinelli International, a Bologna), presso i negozi
di alimentari gestiti da immigrati, nelle edicole76 delle zone a maggior
concentrazione di immigrati e nei centri di telefonia etnica.
4.2 Il caso Stranieri in Italia
Riprendendo la nozione degli studi di marketing sul “ciclo di vita di un
prodotto” [Lambin, 2000] si può affermare che il bene “prodotto
informativo specifico per cittadini immigrati” si trova ora in fase di crescita:
nuovi concorrenti si affacciano sul mercato, i primi utenti ripetono i loro
“acquisti”, il prodotto acquisisce più visibilità. E soprattutto, i “marchi” più
forti e votati al profitto cercano di creare una forte immagine di sé e
fidelizzare i lettori: non, quindi, le pubblicazioni edite da associazioni di
volontariato o solidaristiche, ma da aziende, come Stranieri in Italia, che
considerano quello degli immigrati anche un segmento di mercato su cui
posizionarsi.
La grande maggioranza dei giornali più noti e destinati a un pubblico
migrante è infatti di proprietà di questa società77, fondata dal manager
76 Questo è quanto assicurano gli editori, ma nei fatti a Bologna non si è riusciti a
rintracciare alcuna edicola che vendesse giornali etnici; alla richiesta di “giornali per
stranieri”, infatti, gli edicolanti propongono solo la stampa estera. 77 La stessa che gestisce il portale di informazione multietnica
http://www.stranieriinitalia.it.
92
Gianluca Luciano e finanziata dal gruppo ISI Angelo Costa (principale
rappresentante per l’Italia dell’agenzia Western Union, colosso mondiale
delle rimesse insieme alla concorrente MoneyGram). La tiratura delle riviste
è in genere non inferiore alle 10mila copie, ma le comunità più grandi,
latino-americane, arabe e africane, arrivano a circa il doppio. I periodici
Gazeta Romaneasca (l’unico a essere diventato settimanale) e Al
Maghrebiya stampano 20 mila copie.
Stranieri in Italia ha cominciato la propria attività con la pubblicazione di
un “vademecum” per gli immigrati, una sorta di guida esplicativa della
legislazione italiana in materia di immigrazione; nel 2000 si è poi arricchita
del sito web, un curatissimo portale molto apprezzato, al momento uno dei
più frequentati dagli immigrati78, che propone informazioni di servizio e una
congerie di notizie e di link utili connessi all’universo immigrazione; vi si
offre inoltre un servizio di consulenza legale via e-mail o (a pagamento)
telefono. Ha creato infine, inventando ex novo riviste o rilevandone altre che
attraversavano situazioni economiche difficili, un solido “network di
testate” [Barrucci, 2004, p. 100] pensate specificatamente per i diversi
pubblici di stranieri presenti sul territorio italiano. Nel complesso i periodici
editi da Stranieri in Italia raggiungono una tiratura non inferiore alle
160.000 copie mensili. Tutte le redazioni del gruppo sono situate sullo
stesso piano nello stesso palazzo nel quartiere Eur di Roma, in Via Virgilio
Maroso 50; ogni giornale ha un caporedattore e un minimo di tre
collaboratori esterni, stranieri e italiani. Le notizie vengono reperite dalle
agenzie di stampa internazionale, dagli esperti legali del portale, ma anche
dagli spunti che emergono da telefonate, lettere e e-mail inviate, interviste,
comunicati. Alcune di queste riviste, per esempio Expreso Latino e Forum,
hanno redazioni anche in altre città (Milano e Genova per la prima, Napoli e
Milano la seconda).
Certamente Stranieri in Italia è un caso di particolare interesse perché è la
prima impresa editoriale che si è posta nei confronti dei cittadini migranti in
78 Circa 120.000 accessi singoli mensili dichiarati a marzo 2005. Dato il grande successo
dell’iniziativa il format di questo portale è stato esportato anche all’estero, ad esempio in
Francia (http://www.etrangersenfrance.fr) e Spagna (http://www.extranjerosenespana.es).
93
un’ottica non (o non solo) solidaristica ma anche di mercato,
standardizzando alcuni aspetti dei prodotti informativi e, soprattutto,
omogeneizzando la comunicazione sul prodotto e le strategie di marketing.
Tutti i giornali del gruppo, nonostante la loro specificità e differenziazione,
presentano caratteristiche simili per formato, impaginazione, sequenza dei
temi e grafica; questo li rende immediatamente riconoscibili.
L’unica forma di finanziamento dichiarata è quella proveniente dalla
pubblicità. Sostiene Federica Gaida, direttore editoriale di Stranieri in Italia:
“Siamo orgogliosi di non aver mai usufruito dei finanziamenti UE. Le
aziende che ci sponsorizzano lo fanno perché credono nella forza dei nostri
media. Il nostro network ha un valore di mercato sempre più forte. E poi
non bisogna poi pensare agli immigrati in termini di fascia povera della
società. La crescita degli immigrati non è soltanto numerica, ma anche
economica. Aumenta infatti in senso esponenziale la capacità degli stranieri
di creare reddito: in cinque anni il contributo alla ricchezza nazionale è
quasi raddoppiato, rappresentando ormai circa il 4% del PIL italiano”79.
La raccolta pubblicitaria è affidata alla ISI Etnocommunication,
concessionaria di pubblicità che si autoproclama “specializzata in media
etnici”, di proprietà della ISI Angelo Costa, cioè dello stesso proprietario di
Stranieri in Italia, che lavora anche con riviste indipendenti o di altri editori.
Come afferma sul sito della concessionaria80 il manager Gianluca Luciano,
“sono sempre più numerose le aziende che scelgono i media etnici per farsi
pubblicità, realizzando spesso campagne ad hoc per i consumatori
immigrati. Sono società di money transfer, di telecomunicazioni, grande
distribuzione, finanziarie, banche e imprese di trasporti. Non mancano però
investitori istituzionali come enti locali e ministeri. Le imprese che vogliono
raggiungere gli stranieri trovano nella stampa etnica la via più breve:
prima di tutto per la lingua, ma non solo; questi giornali sono in buona
parte fatti di consigli e guide pratiche, perciò instaurano un rapporto di
fiducia con i lettori, che rende efficace la pubblicità. Diventano un pezzo
79 http://www.dols.net/default.asp?sessionid=. 80 http://www.etnocommunication.com.
94
della comunità”. In un intervista rilasciata alla rivista Ethnoland News81,
infine, Francesco Costa, amministratore delegato della finanziaria Angelo
Costa spa (proprietaria di Stranieri in Italia ed Etnocommunication)
definisce chiaramente la popolazione immigrata come “target emergenti. Il
ciclo di vita come consumatore di un italiano cambia molto lentamente, in
funzione dell’età. Per un immigrato, invece, in tre anni si evolve totalmente:
dalle prime esigenze di cercare casa e lavoro, regolarizzare la propria
posizione, spedire denaro alla propria famiglia si passa rapidamente
all’uso delle telecomunicazioni –telefono, internet, videoconferenze […].
Infine si passa alla terza fase: richiesta di assicurazioni vita e infortuni,
carte di credito prepagate, prestiti personali, mutui e depositi bancari per
l’acquisto di una casa82” [Ethnoland News, 1/2003, pp. 6-7]. Gli ultimi
servizi nominati da Francesco Costa sono offerti dalle stesse aziende che
pubblicano annunci pubblicitari sulle pagine dei giornali etnici del gruppo
Stranieri in Italia.
4.2.1 Stranieri in Italia monopolista?
Stranieri in Italia è l’editore, al momento, della maggioranza dei giornali
etnici, mentre molti altri giornali esistenti sono finanziati dalla pubblicità
proveniente dalla concessionaria ISI Etnocommunication. Sia Stranieri in
Italia che Etnocommunication appartengono alla stessa società finanziaria.
Per questo motivo qualcuno ha osservato che ci si trova in una condizione di
monopolio; interessante, a questo proposito, il flame dell’aprile 2004 tra la
giornalista free-lance Graziarosa Villani e la responsabile di Stranieri in
Italia Federica Gaida. La giornalista ha pubblicato sul suo sito di
informazione indipendente un articolo (che fa parte di un’inchiesta in
preparazione per il quotidiano Liberazione) che, interrogandosi sul grado di
libertà d’espressione di questa nuova forma di giornalismo, finiva per
81 Bimestrale di riflessione e divulgazione sulle tematiche dell’immigrazione (musica
etnica, media multiculturali, interviste a politici e sportivi ecc.) pubblicata in tre lingue
(italiano, francese, spagnolo) dalla casa editrice Ethnotel srl, realizzata a Milano da una
redazione “mista” e distribuita nei negozi di etnotelefonia Ethnoland Point. 82 Per esempio nel 2004 avrebbero acquistato un immobile circa 110mila immigrati.
95
accusare Stranieri in Italia di volere approfittare della situazione
incontrollata, da “far west” in cui si trova ora la stampa per gli immigrati,
tentando la speculazione:
“… È ancora presto per parlare dell’avvento di una stampa veramente
libera fatta dagli immigrati per gli immigrati. Anzi. Piuttosto emerge il
tentativo di gruppi ben organizzati di realizzare una sorta di monopolio
della stampa etnica in Italia nel tentativo di controllare il mercato
pubblicitario rivolto agli immigrati destinato a crescere in maniera
esponenziale […]. E dove c’è mercato c’è pubblicità. L’hanno capito bene e
da tempo alcuni lungimiranti imprese. Si tratta in particolare della Western
Union/Angelo Costa che non contenta di gestire (assieme alla concorrente
MoneyGram) il florido settore dei trasferimenti di denaro alimentato dalle
rimesse degli immigrati (si parla di 7 miliardi di euro l’anno complessivi)
non è estranea a iniziative parallele che mirano a pilotare le ricchezze in
crescita degli immigrati. Attraverso il proprio direttore di comunicazione e
marketing, il 35enne catanzarese Gianluca Luciano, in qualche modo
controlla il portale stranieriinitalia.it e la Etnocommunication. Luciano è
infatti amministratore unico della Stranieri in Italia srl che edita il portale
sia della Etnocommunication srl concessionaria di pubblicità al quale fanno
capo 17 periodici, per 300mila copie mensili, la maggior parte dei quali
editi dalla stessa Stranieri in Italia. Il direttore responsabile di molte testate
etniche […] è Federica Gaida. Tutte le testate poi vengono vendute presso
edicole localizzate nei punti di maggiore densità di immigrati, come free
press nei punti Western-Union/Angelo Costa, per abbonamento e in
omaggio presso rappresentanze diplomatiche e consolari. Sul portale
inoltre, dove tra l’altro si invitano anche gli immigrati a parlare con gli
esperti telefonando ad una linea 166 al costo di 1,31 euro + iva al minuto,
si pubblicizza anche il nuovo servizio vodafone My country per chiamare il
proprio paese d’origine col cellulare a tariffe particolarmente
convenienti”83.
L’articolo prosegue poi accusando Stranieri in Italia di fagocitare piccole
testate indipendenti e di licenziare che vi lavorava in precedenza:
83 http://www.graziarosavillanipress.it/cgi-bin/print.pl?article=145.
96
“È il caso del Tempo di Roma, mensile in lingua bengalese di informazione
politiche economiche e culturali […]. Il direttore Lutfor Rahman è stato
avvicinato dalla Etnocommunication che gli ha offerto di curarsi per lui dei
contratti pubblicitari. Ma Rahman non ha ceduto preferendo conservare
l’indipendenza della sua testata. Così non hanno fatto direttori di altre
piccole testate etniche che dopo aver ceduto alle offerte sono stati fagocitate
dalla Etnocommunication e dopo qualche mese di lavoro come redattori i
loro ex promotori sono stati licenziati senza retribuzione. Tentativi che
fanno pensare al tentativo di monopolizzare il settore. Del resto la torta è
grossa […]. Da aggredire poi anche il settore televisivo e delle trasmissioni
sportive. Ma The Western Union Football Show è già in grado di compiere
una panoramica sul calcio extraeuropeo coprendo la Coppa America,
Coppa Africa, Coppa Australia”.
Immediata la rettifica in otto punti di Federica Gaida, pubblicata sullo stesso
sito:
“1) Stranieri in Italia non ha mai licenziato nessuno. 2) Stranieri in Italia
non ha mai acquistato, né tantomeno fagocitato, alcuna testata. 3) Stranieri
in Italia non è monopolista. Secondo i nostri dati, le testate etniche in Italia
sono circa 31. Stranieri in Italia ne possiede 13. 4) Stranieri in Italia eroga
servizi di informazione a pagamento, ma ha anche un servizio gratuito via
email di cui si avvalgono circa 10 mila persone all’anno. Il servizio a
pagamento segue un’espressa richiesta da parte degli utenti della sezione
gratuita, disposti a pagare pur di ottenere risposte in tempo reale. NB Tutto
ciò che il servizio dice è già presente sul sito. 5) Etnocommunication non
lavora solo per Stranieri in Italia, ma con almeno altri 50 editori: 19
testate, 40 radio e 10 canali televisivi. 6) Gli unici contatti con la testata
bengalese Il Tempo di Roma da parte di Etnocommunication sono stati la
proposta di intermediazione pubblicitaria. Non si è mai parlato
dell’acquisto della testata né come Etnocommunication, a cui la proprietà
editoriale non compete, né come Stranieri in Italia, che non ha finora mai
acquistato nessuna testata. 7) Gli articoli redatti dai giornalisti di
www.stranieriinitalia.it [...] sono ripresi con regolarità dall’Ansa, a
97
garanzia della loro professionalità e del loro interesse. 8) La stampa etnica
di Stranieri in Italia è fatta da immigrati per immigrati” 84.
In occasione di una visita alla redazione centrale di Stranieri in Italia si è
avuto modo di interrogare Stephen Ogongo, caporedattore di Africa News e
segretario di redazione delle testate di Stranieri in Italia, il quale su tale
questione risponde: “In alcuni casi sì, quando veniamo a sapere che c’è un
giornale importante per la comunità che non riesce ad andare avanti,
interveniamo: abbiamo giornali con cui c’è un rapporto di collaborazione
offrendo loro le pubblicità, così che possano sostenersi, come Echo News;
altri li abbiamo comprati. Ma voglio chiarire che non abbiamo mai
licenziato nessuno, siamo molto orgogliosi di questo: è una nostra politica
interna. Poi noi non cerchiamo di monopolizzare il settore. Questo è un
campo aperto, ognuno può provare […]. In Italia ci sono tantissimi
quotidiani; ci sono quelli che nascono e poi non riescono a sopravvivere e
muoiono, ma questo non vuol dire che quelli che sopravvivono cerchino di
monopolizzare il settore. Devi avere un contenuto: se non hai quello, non
riuscirai mai. Ed è il contenuto la nostra forza”85.
Ma Graziarosa Villani ribadisce: “Quello degli immigrati è un grande
business in crescita. Sui giornali si possono veicolare pubblicità specifiche
per gli immigrati. Ingente è anche il volume di affari delle rimesse,
una percentuale delle quali attraverso il servizio di trasferimento denaro va
alla Western Union. Del resto i giornali in questione sono spesso in vendita
presso i punti Western Union. Stranieri in Italia inoltre ha fatto studi sui
luoghi tipici di aggregazione e sui giorni. Il giovedì ad esempio in piazza
dei Cinquecento a Roma, fuori la stazione Termini, è pieno di stranieri ed è
in quei giorni che l'organizzazione si muove per distribuire volantini. […]
Non penso si possa parlare di vera stampa libera. Quanto alla replica, per
diritto di replica appunto, l'ho pubblicata. Ma mi ha lasciato sorpresa la
solerzia con la quale lo stesso Gianluca Luciano mi ha chiamato appena
84 http://www.graziarosavillanipress.it/ cgi-bin/print.pl?article=181. 85 Cfr. l’intervista completa a Stephen Ogongo, in appendice.
98
due giorni dopo la pubblicazione del pezzo sul mio sito. Mi ha dato in
qualche modo conferma di aver colto nel segno”86.
Stranieri in Italia monopolista? Il termine “monopolio” negli studi di
economia designa un caso limite: è raro che nella realtà esistano casi di
monopolio “puro”87. Perché ciò avvenga, il mercato deve essere “dominato
da un solo produttore, che si trova di fronte a un gran numero di acquirenti:
il prodotto, per un periodo di tempo limitato, non ha concorrenti diretti
nella sua categoria” [Lambin, 2000, p. 335]. Questa situazione è detta
“monopolio dell’innovatore” e si osserva spesso nella fase introduttiva del
ciclo di vita di un prodotto, che è ben presto minacciato dai concorrenti. In
questo caso il potenziale di profitto è elevato: esistono alte barriere
all’ingresso del mercato, gli acquirenti non hanno a disposizione prodotti
alternativi e l’impresa non ha concorrenti o ha concorrenti deboli e poco
numerosi [ibidem, p. 336]. Scorrendo la lista di riviste etniche censite in
questo studio88 si osserva che, effettivamente, la maggioranza di queste è di
proprietà di Stranieri in Italia (senza contare la partecipazione nell’edizione
di altri giornali come The American). Ma bisogna anche osservare che al
momento sono ancora poche le aziende che si sono poste nei confronti degli
immigrati in un’ottica anche di mercato; molte pubblicazioni sono infatti
legate al volontariato o alla dipendenza economica da istituzioni come le
ambasciate, il cui scopo naturalmente non è il profitto. Non è quindi detto
che l’ipotetico arrivo di altre imprese editoriali (con i medesimi obiettivi di
Stranieri in Italia e le stesse risorse da impiegare) sia impedito o bloccato da
alte barriere all’entrata. È vero inoltre che il pubblico non sembra
dimostrare una preferenza esclusiva per i giornali di questo editore, pur
apprezzandoli, e che altre piccole riviste rivolte a specifiche comunità sono
molto lette nonostante abbiano una minore diffusione. In sintesi, è ancora
presto per capire se il settore si trova in condizioni di monopolio a causa
delle politiche aggressive di un solo editore o per pura mancanza di aziende
interessate.
86 Comunicazione personale via e-mail, 23 maggio 2005. 87 Tranne nel caso dei “monopoli di Stato”. 88 Cap. 4.3.
99
Resta l’altra questione sollevata da Graziarosa Villani, sul grado di libertà
d’espressione consentita nei giornali di proprietà dell’ISI Angelo Costa spa.
Alla redazione di Stranieri in Italia tutti affermano di avere piena
indipendenza nella scelta degli argomenti e di come parlarne: “Non ci
autocensuriamo”89, afferma Erika Piacentini Zidko, direttore editoriale di
Agora Noticias. Lo stesso varrebbe per le testate indipendenti finanziate
dalla pubblicità procurata da Etnocommunication: “È solo pubblicità, non
c’entra nulla con noi, ci fa comodo ma non sentiamo nessuna forma di
influenza né pressione. Abbiamo perfino creato l’altro nostro giornale,
“Shqiptari i italise”, proprio come contenitore di ulteriore pubblicità”
afferma Roland Sejko90, direttore di Bota Shqiptare, il più noto giornale per
la comunità albanese che ha vinto nel 2005 il premio Mostafà Souhir91 come
migliore testata multiculturale in lingua.
Certamente Stranieri in Italia fa parte di una “famiglia” di interessi
economici più vasta, ma d’altro canto anche la stampa italiana
“tradizionale” è prodotta storicamente da editori “impuri” che hanno altri
interessi economici importanti e molto differenti dalla produzione di un
giornale. Questo è anzi uno dei “fattori di lunga durata” del giornalismo
italiano [Sorrentino, 1995, p.70].
89 Comunicazione personale, Roma 17 maggio 2005. 90 Comunicazione personale, Firenze 27 maggio 2005. 91 Premio per la multiculturalità nei media, dedicato alla memoria del giornalista
marocchino prematuramente scomparso, promosso da Cospe, Fondazione Fabbrica Europa,
Controradio e Comune di Firenze nell’ambito del progetto europeo “Mediam’Rad. I media
multiculturali nuove voci per il dialogo Nord-Sud”. A Bota Shqiptare, riconosciuta come
migliore testata multiculturale, è andata una borsa di 5.000 euro. Menzioni speciali sono
state attribuite ai periodici “Asylum Post”, “Extra” e “Ristretti Orizzonti”, per il coraggio
dei temi trattati (cfr. cap. 4.4.2). Il premio alla carriera è stato conferito a Farid Adly,
giornalista di Popolare Network da venti anni, fondatore dell’agenzia stampa Anbamed e
collaboratore di diversi quotidiani, tra cui il Corriere della Sera e Il Manifesto. La prima
edizione, nel 2004, era invece dedicata al mezzo radiofonico.
100
4.2.2 Il marketing-mix di Stranieri in Italia
Sul sito della concessionaria di pubblicità ISI Etnocommunication srl. si
legge:
Sappiamo che sono in larga maggioranza diplomati o laureati, che uno su
tre usa il computer e uno su dieci fa acquisti in rete. Spendono molto per il
telefono e sono ottimi clienti delle agenzie viaggi, ma non solo. Nelle città
principali arrivano a rappresentare il 40% dei nuovi allacci, quasi uno
straniero su due ha una polizza assicurativa in famiglia oltre ad un conto
corrente in banca. 950.000 sono i contratti di lavoro e 124.000 le imprese
registrate a nome di stranieri, di cui molte donne.
La popolazione straniera rappresenta dunque, in termini di business, una
nuova frontiera su cui puntare. A questo punto sorge una domanda: come
raggiungerli?92
Ogni bene prodotto da un’impresa che voglia competere sul mercato è
definito da tre fattori: l’insieme dei bisogni che soddisfa, i gruppi di
acquirenti da raggiungere e le tecnologie usate [Lambin, 2000, p. 226-230].
Considerando la stampa etnica un prodotto al pari di tutti gli altri, i fattori
che la definiscono possono essere così semplificati:
Insieme di bisogni da soddisfare: informativi
Gruppi di acquirenti da raggiungere: gruppo di cittadini immigrati in Italia
Tecnologie usate: carta stampata.
Rappresentando la risposta a una serie di bisogni in origine ancora vaga e
inespressa, i giornali etnici considerati sono un tipo di innovazione del tipo
market-pull (tirata dal mercato), nata cioè dall’osservazione diretta dei
bisogni insoddisfatti o mal soddisfatti [Lambin, op. cit., p. 39] dagli altri
media93. Nel caso dei giornali per immigrati il bisogno è sentito, la domanda
è latente e il ruolo dell’azienda consisterà nel realizzare un prodotto
adeguato al mercato potenziale e sviluppare il programma operativo di
marketing adatto.
92 http://www.etnocommunication.com. 93 Cfr. cap. 2.2.
101
Il gruppo di acquirenti potenziali è l’insieme degli immigrati, un nuovo
segmento di consumatori con attese e bisogni specifici94 rimasti a lungo
insoddisfatti. Una volta scelto il target per i propri prodotti, un’azienda deve
decidere anche come posizionarsi nel mercato. Il posizionamento “definisce
il modo in cui la marca o l’impresa vogliono essere percepite dagli
acquirenti potenziali” [ibidem, p. 257]. Esistono sei tipologie di
posizionamento per una marca: a) posizionamento basato su una
caratteristica distintiva del prodotto; b) posizionamento basato sui vantaggi
o sulla soluzione apportata; c) posizionamento basato su una specifica
occasione di utilizzo; d) posizionamento orientato a una categoria di
utilizzatori; e) posizionamento rispetto a una marca concorrente; f)
posizionamento “di rottura” rispetto al tipo di prodotto. Ad ogni tipologia di
posizionamento corrispondono diversi “concetti di marca” che definiscono
cioè i rapporti di una marca o impresa con i consumatori. Nel caso di
Stranieri in Italia, è evidente che è un’impresa editoriale che sceglie un
posizionamento basato sia sulla soluzione apportata (ad esempio perché dà
risalto all’informazione di servizio, utile e necessaria a chi vuole restare in
Italia) sia in base all’orientamento rispetto a una categoria specifica di
utenti, in questo caso i cittadini immigrati, ai quali fornisce, tra l’altro,
informazione dai paesi d’origine, e in lingua. Si tratta quindi di una marca
definita negli studi di marketing “semplificatrice” in quanto cerca di “offrire
di più sui due o tre attributi cui il consumatore tiene maggiormente”
[ibidem, p. 258] (notizie dalla terra d’origine, contatti con i connazionali e
aiuto nelle questioni legali), semplificando la complessità della realtà,
spiegando cosa avviene e perché e tenendo conto che gli immigrati spesso
non posseggono il background culturale necessario per comprendere ciò che
accade in Italia, specialmente se appena arrivati: “È molto difficile seguire le
notizie italiane dai giornali italiani, soprattutto se non sei italiano perché ti
manca quell’informazione che aiuta a capire. [...] Noi cerchiamo ogni volta
di fare un riassunto di tutte le cose importanti che sono successe nel mese,
scrivendole in modo così semplice che anche chi non è mai stato in Italia
prima e prende il giornale riesce a capire di che cosa si sta parlando”. La
94 Cfr. cap. 3.5.
102
vera fonte di differenziazione di tutti i giornali di questo editore, comunque,
rimane la precisione e la chiarezza dell’informazione di servizio: “La parte
più importante delle nostre testate è la guida [legale], che non troverai da
nessuna altra parte, perché è questo il nostro valore aggiunto”95. Le marche
semplificatrici, inoltre, offrono meno sugli attributi meno importanti “fino a
permettere all’acquirente di partecipare all’elaborazione del prodotto”
[Lambin, op. cit., p.259] e infatti la redazione di Stranieri in Italia è sempre
aperta ai contributi dei lettori, che siano e-mail o telefonate, perché proprio
dagli spunti che provengono da queste spesso si deducono quali argomenti è
necessario approfondire, quali temi i lettori hanno bisogno che siano
chiariti. Stranieri in Italia inoltre presenta anche alcune caratteristiche del
concetto di marchio “trasparente” in quanto tende a stabilire un rapporto di
fiducia con i lettori, spiega e informa piuttosto che vendere direttamente, in
modo da fidelizzare il consumatore. Nonostante questo, a Stranieri in Italia,
pur ammettendo di svolgere ricerche esplorative sulle comunità di
immigrati, non le chiamano ricerche di mercato e preferiscono dare
l’immagine di sé come di un’azienda di puro servizio: “I nostri giornali non
hanno l’obiettivo di essere venduti per fare un guadagno, non ci interessa
molto l’aspetto della vendita dei giornali, ci interessa di più il servizio che
riusciamo ad offrire alla comunità”.
Gli studi di economia prevedono che, una volta sviluppato il proprio
“prodotto-mercato” [ibidem, p. 228] e scelto il posizionamento desiderato,
l’azienda selezioni anche le altre variabili del marketing-mix: prezzo,
comunicazione, distribuzione. Nel caso di Stranieri in Italia queste si
rivelano coerenti con il tipo di posizionamento cercato. Il prezzo dei
giornali, infatti, è generalmente tenuto basso che si tratti di mensili o
settimanali, e tiene probabilmente conto delle possibilità di spesa del
segmento target. Africa News e Azad, ad esempio, costano 1,00 euro,
Agora Noticias, Gazeta Romaneasca e Nasz Swiat 1,20 euro mentre il
prezzo di copertina di Al Maghrebiya e Bulgaria Express è 1,40 euro e di
Punjab Express 1,50 euro. Le differenze sono minime, ma è importante
tenere presente che il grosso della diffusione avviene come free press nei
95 Stephen Ogongo, intervista in appendice.
103
negozi della Western Union presenti in tutta Italia, e che è possibile
consultarli in molte associazioni e biblioteche (è recente, a Bologna,
l’acquisizione di tali riviste dall’emeroteca della Biblioteca Sala Borsa)96.
Questo è anche il modo in cui la loro esistenza viene comunicata al
pubblico: i giornali di Stranieri in Italia non si fanno espressamente
pubblicità (se non sul sito omonimo e su quello di Etnocommunication) ma
sono conosciuti attraverso il passaparola o perché facilmente trovabili nelle
sedi diplomatiche, nei punti di vendita Angelo Costa/Western Union e nei
centri di aggregazione e di incontro. Etnocommunication afferma infatti di
aver effettuato una mappatura precisa di cinquemila luoghi di aggregazione
di cittadini stranieri, e di averli scelti come punti di distribuzione per i propri
periodici. La distribuzione, quindi, contribuisce in maniera determinante alla
diffusione capillare e alla notorietà del marchio ed è affidata al gruppo
Messaggerie Internazionali.
96 Sala Borsa ora parla anche urdu. Libri e giornali in tutte le lingue, Repubblica, 26
maggio 2005, p. III cronaca Bologna: “Nel settore giornali, dal 2005 sono stati attivati
anche abbonamenti ai periodici per gli immigrati, come il settimanale albanese «Bota
Shqiptare», «Azad» letto dalla comunità pakistana, il polacco «Nasz Swiat» e il rumeno
«Gazeta Romaneasca»”.
104
4.3 Censimento dei giornali etnici
In questo paragrafo si fornirà un “censimento” delle iniziative di
informazione gestite da cittadini immigrati e rivolte a immigrati, qui
denominate giornali etnici, volto ad aggiornare e approfondire quello già
effettuato dalle ricerche precedenti a cura del Cospe [2001] e del Consiglio
Nazionale del Lavoro [2003] e utile per avere un’idea complessiva del
fenomeno. Tale lista non ha comunque pretese di completezza, in quanto
basata su un’indagine personale che “fotografa” la realtà di un determinato
momento.
Verranno prese in considerazione tutte le pubblicazioni su carta stampata di
cui si è potuto prendere visione diretta; la maggior parte delle quali hanno
diffusione nazionale. Diffusione nazionale ma mai capillare, in ogni caso, in
quanto concentrata nelle città e nei quartieri di maggiore presenza delle
comunità etniche di riferimento di ciascun giornale. Di ogni pubblicazione
si fornisce una descrizione generale e di seguito una griglia con i seguenti
dati, reperiti attraverso visione personale della rivista in questione e
questionari inviati a tutte le redazioni: editore; nome del direttore
responsabile, del direttore editoriale, del caporedattore; anno di nascita della
pubblicazione; periodicità; formato; numero di pagine; prezzo di copertina;
lingua utilizzata; tiratura; temi trattati; sito web; indirizzo della redazione.
In appendice a questa tesi si fornisce il testo del questionario inviato alle
redazioni e una selezione di prime pagine dei giornali analizzati.
Avvertenze. Si è preferito in questa sede tralasciare tutte le iniziative
editoriali di cui si è avuto notizia ma che non si è riusciti in nessun modo a
contattare o di cui non è stato possibile sapere se proseguono tuttora nelle
pubblicazioni, come Ecco Brasil, Tempo di Roma o Sentro Pilipino.
Vengono tralasciate altresì le testate la cui pubblicazione è stata sospesa di
recente, come il fiorentino Zhong Yi Bao edito fino al 2004 dal Cospe. Per i
giornali di proprietà di Stranieri in Italia, che presentano caratteristiche
comuni e di cui si è già trattato al Cap. 4.2, tale editore è specificato accanto
al titolo della rivista. L’ordine della lista è alfabetico.
105
Africa News97, Africa Nouvelles (Stranieri in Italia)
Sono due pubblicazioni fino al 2004 riunite nella stessa rivista, destinate alle
comunità africane residenti in Italia anglofone e francofone. Riprendono
articoli dai principali quotidiani e periodici africani e internazionali e da
agenzie. Notizie da tutto il continente africano (politica, economia, sport,
festività, ricorrenze, cronaca); informazioni di servizio sulle normative in
materia di richiesta del permesso di soggiorno, diritto d’asilo ecc.; una
rubrica è riservata al SOS razzismo - dove si raccontano gli episodi di
razzismo subiti dagli italiani e dagli altri immigrati; suggerimenti per vivere
in Italia (celebrazioni, spettacoli, locali, recensioni, interviste a
connazionali). Una pagina specifica, “African Queens”, viene destinata alle
donne dell'Africa e alle africane in Italia. Una sezione intera è destinata allo
sport e ai risultati dei campionati africani, con interviste ad alcuni dei
giocatori più famosi. L’obiettivo è dare un’informazione di parvenza
globale sul continente e valorizzare le culture africane, rendendo noto ciò
che accade in Italia al riguardo, stabilendo un nesso tra i differenti eventi e
puntando all’integrazione. I numeri del mensile sono distribuiti nelle
edicole, nelle stazioni, nelle metropolitane, nei centri di aggregazione e di
incontro, nelle sedi diplomatiche e nei punti di vendita Angelo
Costa/Western Union su tutto il territorio nazionale98.
• Direttore editoriale: Federica F. Gaida. Direttore responsabile:
Sergio Talamo. Caporedattore Africa News: Stephen Ogongo.
Caporedattore Africa Nouvelles: Milton Kwami. Lingue utilizzate:
inglese per Africa News, francese per Africa Nouvelles. Anno di
nascita della pubblicazione: 2002. Periodicità: mensile. Numero di
pagine: 24. Formato: tabloid 43 x 29 cm. Prezzo di copertina: 1,00
97 Cfr. l’intervista a Stephen Ogongo, caporedattore di Africa News e segretario di
redazione di Stranieri in Italia, in appendice. 98 A Bologna gli unici posti dove si è riusciti a trovare copie di questo e degli altri periodici
editi da Stranieri in Italia sono la libreria Feltrinelli International (in vendita) e le agenzie
della Western Union (dove vengono distribuiti come free press). Sconosciuti risultano
invece a molte edicole di centro e periferia.
106
euro. Tiratura: 20.000 copie. Distribuzione nazionale: Messaggerie
Internazionali. Indirizzo della redazione: Via Virgilio Maroso 50
00142 Roma. Numero di telefono: 06.87410527. E-mail:
107
African Trumpet International
È una rivista in tre lingue, nata nel 1998 dalla rilevazione della mancanza di
iniziative editoriali dedicate agli immigrati africani in Italia, e che informa
su temi di attualità, educazione sociale e di economia, sulla politica africana
e su temi particolari decisi di mese in mese. Non mancano approfondimenti
su turismo, festività religiose o sui costumi di un dato paese. Il giornale è
diviso in tre sezioni: una dedicata all’Africa centrale, una all’Africa
occidentale e una all’Africa meridionale; presenti anche notizie riguardanti
le storie degli immigrati in Italia e in Europa. La redazione è composta da
dieci collaboratori, le fonti delle notizie sono la corrispondenza con i lettori,
agenzie e comunicati stampa.
• Direttore editoriale: Felix Chinedum-Anyaegbunam (di nazionalità
nigeriana), presidente dell’African Trumpet International
Organisation. Anno di nascita della pubblicazione: 1998. Periodicità:
mensile. Sede: Roma. Numero di pagine: ridotto da 40 a 16.
Formato: A4. Prezzo di copertina: gratuito. Lingue utilizzate:
italiano, francese, inglese. Tiratura dichiarata: 20.000 copie,
distribuite presso rappresentanze diplomatiche africane, nelle
principali città italiane, presso le maggiori comunità africane in
Europa e Stati Uniti, e in alcune grandi città africane. Distribuzione:
nazionale, nelle città di Milano, Roma, Firenze, Venezia, Bologna,
Napoli, Perugia, Rimini, Parma, Padova e Trieste. Indirizzo della
redazione: Via Ostiense 152/b, 00154 Roma. Numero di telefono:
06.51530612. Sito Internet:
http://www.africantrumpetinternational.com. E-mail:
108
Africa Web99
Africa Web è una pubblicazione bilingue diretta alle comunità africane in
Italia, in particolare a quella nigeriana. In copertina si presenta come
“Rivista africana di new economy, technology, tourism, investment” e
afferma di essere “La voce dell’Africa in Italia e nel mondo”. Fonti
privilegiate della rivista sono le agenzie di stampa come www.allafrica.com
e l’ambasciata nigeriana a Roma. Gli argomenti spaziano dai problemi degli
immigrati alle notizie di attualità, politica, economia e sport provenienti
dall’Africa ma anche temi connessi alle nuove tecnologie e alla new
economy. Ventotto pagine patinate in inglese, ricche di foto a colori,
interviste e inchieste di politica internazionale, articoli di commento ai temi
più diversi (religione, vita della comunità africana in Italia, medicina,
finanza ecc.), recensioni di film e molta, molta pubblicità. A volte articoli
in italiano sui paesi africani “Magica terra d’Africa” come Mozambico o
Ghana per attirare il turismo. Un intero numero, in italiano, è stato dedicato
alle tecnologie informatiche e Internet. Nel complesso il giornale appare
privo di coesione interna e coerenza tra i vari numeri. Nel colophon si legge:
“rivista africana in attesa di registrazione presso il tribunale di Roma”
nonostante esista da quattro anni. Il direttore, Esan Sylvester Ehrumusele,
lamenta un’eccessiva dipendenza dall’ambasciata nigeriana e racconta del
progetto di staccarsi da questa per essere più indipendenti. Lo stesso
direttore è titolare di un’agenzia che organizza eventi come sfilate di moda
africana e promuove prodotti quali linee di cosmetici e make up: eventi e
prodotti pubblicizzati anche nel giornale. Presenti inoltre pubblicità di
Western Union, agenzie di assicurazione, concessionarie di automobili,
hotel in Mozambico ecc. ma anche, nell’ultimo numero (marzo-aprile
2005), due pagine dedicate al deputato di Forza Italia Nicola Palombi, in
lista per le elezioni regionali in Lazio: “È un’eccezione che abbiamo fatto
per amicizia” dichiara Esan Sylvester. Curiosi gli spazi di auto-promozione
con le immagini di modelle africane in posa con la rivista e l’headline: “I’m
… from …. I read Africa Web to get the right information and I will love to
see you reading Africa Web magazine”.
99 Cfr. intervista al direttore Esan Sylvester Ehrumusele, in appendice.
109
Il giornale viene distribuito in tutti i principali centri di incontro degli
africani in Italia, presso le associazioni africane, negli ambienti diplomatici,
nei negozi etnici.
• Direttore editoriale: Esan Sylvester Ehrumusele. Direttore
Responsabile: Giampiero Baldi. Anno di nascita della pubblicazione:
2001. Periodicità: mensile. Lingue utilizzate: italiano e inglese.
Tiratura dichiarata: 5.000 copie. Numero di pagine: 28. formato: A4.
Prezzo di copertina: 2,00 euro. Indirizzo della redazione: Via Monte
Santo, 25 int. 20 – 00195 Roma. Numero di telefono: 06.97601308.
Sito Internet: http://www.africawebmag.com. E-mail:
110
Afrofootball
È una rivista in tre lingue tutta dedicata al mondo del calcio africano. Offre
quindi un’ampia panoramica sul calcio italiano e africano, le partite e gli
eventi più importanti, interviste e ritratti di calciatori di successo ecc. Viene
distribuito, a quanto affermano i curatori, nelle edicole delle stazioni in
Italia (soprattutto nel Nord-Est), nei centri di aggregazione della comunità
africana ma anche in Germania, Olanda e nella stessa Africa: nelle grandi
città del Ghana, del Senegal, della Nigeria e del Sud Africa.
• Direttore responsabile: Flavio Feltrami. Direttore editoriale:
Agwazia Chris Ifeanyi. Editore: Afro Communications. Periodicità:
mensile. Lingue utilizzate: italiano, inglese, francese. Sede: Novara.
Tiratura dichiarata: 8000 copie. Prezzo di copertina: 2,60 euro.
Indirizzo: Via Chinotto 1/A, 28100 Novara. Affiliata alla
concessionaria di pubblicità Etnocommunication. E-mail:
111
Agora Noticias (Stranieri in Italia)
Giornale in lingua portoghese destinato alle comunità brasiliane o
provenienti da Capo Verde, Mozambico, Guinea Bissau, Angola e residenti
in Italia. Fin dalla copertina è evidente l’attenzione che viene riservata al
mondo dello sport con richiami all’interno: articoli, interviste e commenti
sul calcio e i suoi protagonisti, che si ritiene sia un elemento fondamentale
nella vita di un cittadino brasiliano. Nelle prime pagine dominano i temi
dell’immigrazione nel suo nesso con la politica europea e italiana (quindi
articoli che trattano argomenti molto vari: dalle normative
sull’immigrazione alle prossime sanatorie, dalle elezioni europee ai
problemi di salute di Umberto Bossi). Seguono pagine dedicate alla politica
brasiliana e soprattutto al presidente Lula, articoli sul rispetto dei diritti
umani in Brasile, cronaca locale dalle grandi città del Brasile e degli altri
stati lusofoni. Al centro si trovano in genere quattro pagine intitolate
Estrangeiros na Italia ed è la sezione più propriamente di servizio, in cui si
spiega come ottenere il visto, accedere ai servizi (salute, corsi di
formazione), modalità di rinnovo del permesso di soggiorno e altro.
Seguono rubriche sulla vita dei brasiliani in Italia, pagine di cultura, sport,
eventi comunitari, lettere dei lettori, cruciverba e ricette di cucina.
• Direttore responsabile: Sergio Talamo. Direttore editoriale: Federica
F. Gaida. Caporedattore: Erika Piacentini Zidko. Lingua: portoghese.
Anno di nascita della pubblicazione: 2003. Periodicità: mensile.
Numero di pagine: 24. Formato: tabloid 43 x 29 cm. Prezzo di
copertina: 1,20 euro. Tiratura: 20.000 copie. Distribuzione
nazionale: Messaggerie Internazionali. Indirizzo della redazione: Via
Virgilio Maroso 50 00142 Roma. Sito web:
http://www.brasileirosnaitalia.com. E-mail: [email protected].
112
Ako ay Pilipino (Stranieri in Italia)
È forse l’unica rivista in Italia creata specificamente per i cittadini filippini.
Anzi, cittadine, visto che è una comunità composta in maggioranza da
donne. Il giornale, che vanta numerosi collaboratori da molte città italiane,
riporta ogni mese notizie dal paese d’origine, cronaca dall’Italia, ma
soprattutto informazioni precise e aggiornate sulla normativa
dell'immigrazione; guide sulle principali problematiche della vita quotidiana
degli immigrati in Italia (salute, permessi di soggiorno, scuola e formazione,
patente); notizie sulla comunità e le associazioni religiose e di migranti;
indicazioni sull’accesso ai servizi, ecc. Non mancano, come in tutte le
testate di Stranieri in Italia, pagine di intrattenimento contenenti l’oroscopo,
vignette e cruciverba. Diffusione: nazionale, in vendita presso edicole
specializzate, presso i principali punti di ritrovo della comunità come gli
asian markets, per abbonamento e in omaggio presso le rappresentanze
diplomatiche e consolari.
• Direttore responsabile: Sergio Talamo. Direttore editoriale: Federica
F. Gaida. Caporedattore: Analiza Bueno. Editore: Stranieri in Italia
srl. Lingua utilizzata: inglese e tagalog. Periodicità: mensile.
Formato: tabloid 43 x 29 cm. Numero di pagine: 24. Anno di nascita
della rivista: 2003. Prezzo di copertina: 1,00 euro. Tiratura
dichiarata: 5.000 copie. Distribuzione nazionale: Messaggerie
Internazionali. Indirizzo: Via Virgilio Maroso, 50 - 00142 Roma.
Numero di telefono: 06.87410508. E-mail: [email protected].
113
Alps Probashi
È l’unico periodico specificatamente pensato per gli immigrati dell’Alto
Adige. “Alps Probashi” significa infatti “immigrati delle Alpi” e ha il
sottotitolo “Corriere degli immigrati - Einwanderer Journal”. Offre uno
spazio di confronto fra cittadini immigrati ma anche dettagliate informazioni
sulla normativa italiana riguardante l’immigrazione, la ricerca di alloggio e
di lavoro, la richiesta d’asilo ecc. con lo scopo di favorire l’integrazione e
limitare i tempi necessari all’adattamento. Dopo due numeri la
pubblicazione è stata sospesa nel 2004 ma l’editore afferma100 che
ricomincerà le pubblicazioni non appena arriveranno nuovi fondi dalla
Provincia.
• Editore e direttore editoriale: Mirza Latiful Haque (dell'Associazione
Bangladesh di Bolzano). Direttore responsabile: Leone Siccotti.
Anno di nascita della pubblicazione: 2003. Periodicità: trimestrale.
Numero di pagine: circa 100. Tiratura dichiarata: 500 copie. Lingue
utilizzate: bengalese, tedesco, italiano, inglese. Sede: Bolzano.
Indirizzo: Via Trento 46, 39100 Bolzano Numero di telefono:
0471.883061. E-mail: [email protected].
100 Comunicazione personale, 20 maggio 2005.
114
The American
Nato nel marzo 2004, è la risposta concreta a quanti lamentano l’uso del
termine “etnico” solo per designare ciò che non è occidentale. The American
è infatti un giornale per immigrati e fatto da immigrati rivolto alla comunità
di cittadini americani e comunque occidentali anglofoni residenti in Italia.
Molto dei collaboratori sono americani, compreso il direttore. Il resto sono
cittadini canadesi, britannici, italiani e australiani. Il titolo della testata
riprende quello di The Rome Daily American (1945-1984) noto giornale
oggi scomparso. Si legge sul sito che lo scopo dichiarato della rivista è “to
provide an eloquent, alert monthly magazine that helps to inform the
national community about Italian cultural and political life. We hope to be
useful to English-speakers and Italians alike. Our goal is to provide good
information and provocative insight”101: offrire cioè un giornale che informi
la comunità sulla vita politica e culturale italiana (ed europea), fornendo
informazioni utili in una prospettiva spesso provocatoria. Come
provocatorie sono alcune delle rubriche presenti nel giornale, a cominciare
da “Bella figura” in cui i giornalisti raccontano le loro (dis)avventure alle
prese con costumi, abitudini e mentalità tipicamente italiani; non mancano
articoli riguardanti la gastronomia, i viaggi, la politica. Nel primo numero
sono state pubblicate alcune lettere inedite che Curzio Malaparte che lo
scrittore nel 1949 inviò al giornalista Percy Winner, padre di Christopher
Winner, per chiedergli di dargli una mano a promuovere il suo libro “La
Pelle”. Il giornale non è collegato ad alcuna istituzione, ambasciata o
agenzia governativa e si sostiene solo con la pubblicità. Distribuito per
adesso solo nelle città di Roma, Firenze, Napoli, Venezia, Milano, è
disponibile nelle edicole e per abbonamento.
• Direttore responsabile: Enrico Giacomini. Direttore editoriale:
Christopher P. Winner. Editore: GSW Editore s.r.l/Stranieri in Italia.
Distribuzione: Messaggerie Internazionali. Lingua utilizzata: inglese.
101 “Fornire un mensile eloquente e sveglio, che informi la comunità nazionale sulla vita
culturale e politica italiana. Speriamo di essere utili sia agli anglofoni che agli italiani. il
nostro obiettivo è di fornire buona informazione da un punto di vista provocante”.
115
Prezzo di copertina: 2,50 euro. Anno di nascita della pubblicazione:
2004. Indirizzo: Via Bertoloni 1/E – 00197 Roma. Numero di
telefono: 06.808.5391. Sito Internet: http://www.theamerican.com.
E-mail: [email protected].
116
Assadakah
Testata mensile edita da Assadakah (Centro italo-arabo e del Mediterraneo),
associazione senza fine di lucro che opera nella promozione degli scambi
culturali, politici ed economici. Considerata la prima iniziativa di questo
tipo in Italia, si occupa di politica, economia, cultura e archeologia. È
distribuita solo su abbonamento: ci si può abbonare anche attraverso il sito
web. Realizzata da cinque collaboratori fissi (tutti giornalisti), più 60
corrispondenti esteri e 40 italiani, si mantiene grazie al volontariato e grazie
ai contributi degli stessi lettori. E’ distribuita agli abbonati ed è presente in
alcune librerie romane, nelle ambasciate e compagnie aeree arabe in Italia,
viene inviata a parlamentari, senatori, istituti di cultura arabi in Italia,
ambasciate italiane, sindaci dei comuni italiani, istituti di cultura arabi in
Italia, e a chiunque ne faccia richiesta. Lo scopo dichiarato dai fondatori è
quello di promuovere gli scambi culturali tra civiltà differenti che si trovano
a convivere, favorire il dialogo e la conoscenza reciproca: per questo non si
ritengono una testata strettamente “etnica”.
• Direttore responsabile: Dimitri Deliolanes. Capo redattore: Talal
Khrais (libanese). Coordinamento redazione (caporedattore Italia):
Fausto Biefeni Olevano. Editore: Assadakah - Centro Italo-Arabo e
del Mediterraneo. Anno di nascita della rivista: 1998. Periodicità:
mensile. Formato: A4. Numero di pagine: 64/96. Prezzo di
copertina: 1,55 euro (indicativo in quanto non viene venduta) – solo
abbonamenti. Lingue utilizzate: italiano, a volte c’è una sezione in
arabo. Tiratura dichiarata: 25.000 copie. Indirizzo della redazione:
Via Carlo A. Jemolo 101, 00156 Roma. Numero di telefono:
06.41228195 Sito Internet: http://www.assadakah.it. E-mail:
117
Azad. Il mensile per i pakistani in Italia. (Stranieri in Italia)
Il nome della testata significa “Libero”. È un mensile in lingua araba, che si
legge quindi dalla parte opposta rispetto ai giornali occidentali, indirizzato,
come riporta il sottotitolo, alla comunità dei pakistani residenti in Italia.
Notizie sugli avvenimenti in Pakistan, cronaca italiana, normativa e servizi
sull’immigrazione e annunci di lavoro (tutto in lingua), spettacoli e sport i
temi affrontati. Ricco di foto (ritratti delle persone di cui si parla negli
articoli) molte delle quali a colori. Pubblicità di Western Union, Cepu,
banche, etnotelefonia. Sette i collaboratori fissi, retribuiti, residenti in
diverse città italiane.
• Direttore responsabile: Sergio Talamo. Direttore editoriale: Federica
F. Gaida. Caporedattore: Ejaz Ahmad. Anno di nascita della
pubblicazione: 2003. Periodicità: mensile. Numero di pagine: 24.
Formato: tabloid. Prezzo di copertina: 1,00 euro. Tiratura: 20.000
copie. Distribuzione nazionale: Messaggerie Internazionali. Indirizzo
della redazione: Via Virgilio Maroso 50 00142 Roma. E-mail:
118
Bota Shqiptare
Sottotitolo: Gazeta e shqiptareve ne Itali, “il giornale degli albanesi in
Italia” è un periodico che dedica pagine alle tematiche legate
all'immigrazione, alle notizie dall'Albania ma anche da Kosovo e
Macedonia. Pagine fisse trattano approfondimenti sulla storia dell'Albania e
l'Italia. L’editoriale del primo numero della rivista, scritto dallo scrittore
albanese Ismail Kadare, nel giugno del 1999, recitava: “Spero che
l’albanese che sfoglierà questo giornale in lingua madre, sorseggiando un
caffè la mattina, percepisca il calore del suo paese natio, si senta meno solo
e distaccato dalle origini, e colga meno la lontananza delle coste dalla sua
patria”. È la rivista dedicata ai cittadini albanesi probabilmente più
conosciuta in Italia, dotata di tale autorevolezza da essere talvolta citata
come fonte dai media principali. È pensata per un lettore di origine albanese
abbastanza integrato nella società italiana, che lavora o studia ed è
interessato sia a quello che accade nel suo paese sia alla discussione sui temi
di attualità italiana. Bota Shqiptare (“il mondo albanese”) vanta la
collaborazione di noti giornalisti ed esperti albanesi, ma anche il
coinvolgimento appassionato dei lettori. L’elegante formato tabloid, le
numerose immagini a colori fanno da sfondo a notizie di politica interna
italiana, brevi di cronaca (“kronika shqiptarësh në itali”), pagine intere sulla
vita e gli avvenimenti riguardanti gli albanesi in Italia (“Shqiptari i italisë),
notizie dall’Albania, Macedonia e Kosovo (“dy javë lajme”)102, due pagine
di commenti, il paginone centrale dedicato a un tema particolare (esempio il
confronto tra due sfidanti alle elezioni), cui segue una pagina in italiano
dedicata a un articolo di costume come può essere il racconto di aspetti della
vita e della mentalità albanesi viste dalla prospettiva di un giornalista
italiano: per esempio, a pag. 15 del numero 128, Francesca Niccolai
racconta come nella società albanese gli uomini conducano spesso una vita
indolente e sfaccendata in un articolo intitolato “Maschi al bar” (nel numero
successivo, la prospettiva si ribalta e il racconto si intitola “Femmine al
bar”). Seguono interviste a personaggi della vita pubblica albanese, politici,
economisti o sportivi; infine due pagine dedicate all’intrattenimento con
102 “notizie di due settimane”.
119
l’oroscopo e un cruciverba. Pur essendo il cruciverba in lingua come il resto
del giornale, alcune definizioni richiedono nozioni di cultura italiana: così si
può trovare un “Ciano, e bija e Mussolini” al 40 orizzontale o “Reitano, i
këngës italiane” al 46 verticale.
L’obiettivo è di facilitare l’integrazione del cittadino immigrato
informandolo su quello che accade in Albania (notizie che non troverebbe
nei media tradizionali italiani) e fornendogli una chiave di lettura per quanto
accade in Italia. Facendolo sentire parte della vasta comunità di cittadini
albanesi all’estero.
Bota Shqiptare si avvale della consulenza di Stranieri in Italia per la
legislazione d’immigrazione ed è affiliato alla concessionaria di pubblicità
Etnocommunication: ospita inserzioni pubblicitari di banche albanesi (es.
Banka Credins), film in cartellone nei cinema italiani (Saimir, nei numeri
preso in esame, che narra la storia di un ragazzo di origine albanese), linee
aeree albanesi (Albanian Airlines), televisioni satellitari (Albaniasat),
agenzie funebri e l’immancabile Western Union.
È distribuito nelle edicole di stampa estera e nelle librerie specializzate,
presso consolati, associazioni e biblioteche pubbliche, presso le sede delle
istituzioni in Albania e sui voli dell’Albanian Airlines.
• Direttore editoriale: Roland Sejko. Il primo direttore di Bota
Shqiptare è stato il critico cinematografico del Messaggero
Guglielmo Biraghi. Editore: Edizioni Bota Shqiptare srl. Anno di
nascita della pubblicazione: 1999. Periodicità: quindicinale.
Formato: tabloid. Numero di pagine: 20. Prezzo di copertina: 1,50
euro. Lingua utilizzata: albanese. Tiratura dichiarata: nazionale di
10.000 copie. Affiliato alla concessionaria di pubblicità
Etnocommunication. Indirizzo: Via Tito Livio 8, 00136 Roma.
Numero di telefono: 06.35453074. Sito internet:
http://ww.botashqiptare.net. E-mail: [email protected].
120
Bulgaria Express (Stranieri in Italia)
È il giornale dedicato alla comunità bulgara residente in Italia. All’interno
notizie di politica nazionale ed estera, cronaca, economia, cultura, vita della
comunità, cultura sport e intrattenimento. Non manca la guida alla
normativa italiana in materia di immigrazione e le consuete informazioni di
servizio che caratterizzano le testate edite da Stranieri in Italia.
• Direttore editoriale: Federica F. Gaida. Direttore responsabile:
Sergio Talamo. Caporedattore: Veneta Nenkova. Lingua utilizzata:
bulgaro. Anno di nascita della pubblicazione: 2005. Periodicità:
mensile. Numero di pagine: 24. Formato: tabloid 43 x 29 cm. Prezzo
di copertina: 1,40 euro. Tiratura: 10.000 copie. Distribuzione
nazionale: Messaggerie Internazionali. Indirizzo della redazione: Via
Virgilio Maroso 50 - 00142 Roma. Numero di telefono:
06.87410528. E-mail: [email protected].
121
El carrete de la sera103
È una pubblicazione gratuita realizzata da un gruppo di volontari di origine
cilena. Il significato del titolo è un gioco di parole: “El carrete de la sera” fa
infatti il verso al quotidiano più famoso della città; inoltre la parola
“carrete” significa “gomitolo” in spagnolo, e “festa” nello spagnolo parlato
in Cile. L’obiettivo del giornale, infatti, è di aiutare la comunità cilena a
ritrovarsi, comunicare al suo interno e stabilire legami di interessi comuni
attraverso l’informazione. Nato originariamente a Milano nel 2002, si
avvale al momento di più di venti collaboratori residenti in altre città o
addirittura in altri paesi, tanto forte è la risposta che ha avuto dalla
comunità, o il bisogno, di questa, di ritrovarsi.
Grazie al sostegno del Consolato del Cile a Milano, del Circolo Cileno-
Italiano di Roma, della Associazione Culturale Cilena e dell’agenzia di
traduzioni “Logos”, la rivista dichiara di riuscire ad arrivare gratuitamente
nelle case di tutti i cittadini cileni residenti in Italia. La lingua utilizzata è lo
spagnolo ma “ogni tanto si pubblica qualche testo
in italiano, di giovani figli di genitori cileni però cresciuti qua che
hanno adottato l'italiano come madrelingua” racconta Claudia Sanchez,
psicologa, che ha fondato e dirige la rivista insieme al marito Raimon Tapia.
Quest’ultimo aveva già vissuto un’esperienza giornalistica a Napoli dove
pubblicava un settimanale latinoamericano.
I temi trattati sono vari, decisi mensilmente; nelle riunioni di redazione i
collaboratori sono invitati a esporre le proprie opinioni sull’attualità e
proporre gli argomenti da approfondire: “In generale i temi versano quasi
sempre sulle condizioni nelle quali si vive in Italia come immigrato, la
nostra nostalgia del Cile, la diffusione della nostra cultura nell'Europa, le
cose che stanno succedendo in Cile (tante persone di una certa età non
hanno accesso a internet per cui siamo noi a informarli di quanto accade
nel paese)” afferma il direttore. Ma se il numero 29 di febbraio/marzo 2005
è dedicato ai racconti di ordinaria discriminazione vissuti in prima persona
dai collaboratori della rivista, con giudizi anche duri verso gli italiani (che
103 Cfr. l’intervista a Claudia Sanchez, direttore editoriale, in appendice.
122
“llegan al maximo de la incomprension cultural”104, p. 5) il numero
successivo è caratterizzato da temi molto vicini agli interessi del gruppo
femminile dei lettori. Notizie di salute, storie di vita di donne migranti,
ricordi delle generazioni passate virati alla nostalgia. Nell’editoriale il
direttore parla sovente del passato del paese e richiama ricordi attraverso
storie e immagini ancora vivide nell’immaginario. Gli articoli fanno capo a
rubriche fisse: interviste a immigrati “normali” (cioè non particolarmente
famosi o di successo) che vivono in Italia (el encuentro; entrevista);
rievocazioni del passato (pagina abierta); articoli su personaggi di
popolarità spesso emergente in Cile (voces desde Chile); pezzi di attualità
(actualidad), commento (impresiones), cultura; racconti, vari (experiencias,
viviencias), notizie d’attualità spesso fonte di dibattito, istruzioni per l’uso
della Rete (webian2 en la red), racconti di imprese sportive vignette,
pubblicità di piccole aziende (parrucchieri, calzolai ecc.). Gli articoli sono
spesso rievocativi del passato; il giornale ha un evidente scopo di
mantenimento delle proprie radici, anche grazie all’utilizzo esclusivo della
lingua spagnola, e di valorizzazione del proprio patrimonio storico-sociale e
della tradizione, mediante l’inserimento di immagini in bianco e nero o
comunque riferite al passato.
• Direttore editoriale: Claudia Sánchez e Ramón Tapia. Anno di
nascita della pubblicazione: 2002. Periodicità: mensile (nei mesi
d’estate e all’inizio dell’anno esce un’edizione bimestrale). Formato:
A4. Numero di pagine: 20. Prezzo di copertina: gratuito (distribuito
su abbonamento, si richiede un contributo facoltativo di 15 euro
annui). Lingua utilizzata: spagnolo e italiano. Sede: Milano. Sito
Internet: http://www.carrete.org. E-mail: [email protected].
104 “Raggiungono il massimo dell’incomprensione culturale”.
123
Cina in Italia
È una rivista di informazione e cultura, a distribuzione nazionale, destinata
ai cittadini cinesi residenti in Italia, fondata su iniziativa di un gruppo di
giornalisti cinesi, con la collaborazione di due associazioni italiane: SOS
Razzismo e Chances (Agenzia di orientamento al lavoro). Lo scopo è
informare ma soprattutto approfondire le tematiche relative al
multiculturalismo, all’immigrazione e all’integrazione in Italia. Il giornale
offre infatti una consulenza giuridica e legislativa, cerca di favorire il
dialogo tra cinesi e italiani e l’inserimento dei primi nella comunità
d’accoglienza pur in un’ottica di attenta conservazione delle proprie radici.
A parte la copertina e i risvolti di copertina, tutte le pagine sono opache e in
bianco e nero, ricche di foto a corredo degli articoli e di disegni. Cina in
Italia è redatto da un gruppo di lavoro fisso formato da tre cittadini cinesi e
due italiani, che organizza anche importanti eventi multiculturali come il
Capodanno cinese e iniziative per promuovere la cultura cinese in Italia e
quella italiana in Cina. Ospita inserzioni pubblicitarie della Western Union,
delle Pagine Gialle italo-cinesi, di tariffe della Telecom per chiamare in
Cina (“Welcome Home”), di agenzie di viaggi e piccole aziende italiane e
cinesi. Diffuso nei grandi alimentari cinesi, tramite abbonamento ed è
offerto in omaggio ai passeggeri di Air China.
• Editore: Hu Lambo. Direttore responsabile: Angela Scalzo.
Caporedattore: Shi Wei Ran. Anno di nascita della pubblicazione:
2001. Periodicità: mensile. Lingue utilizzate: cinese. Formato: A4.
Tiratura dichiarata: 3000 copie. Prezzo di copertina: 2,00 euro.
Affiliato a Etnocommunication. Indirizzo della redazione: Via
Alfadena 10 – 00155 Roma. E-mail: [email protected].
124
Echo News
Si tratta di un mensile di dedicato alla comunità africana anglofona in Italia,
delle dimensioni di un quaderno, che tratta di temi di servizio: normativa
sull’immigrazione, salute, educazione scolastica; riporta anche notizie
d’attualità, cronaca, politica e sport provenienti dall’Africa Subsahariana (in
prevalenza dalla Nigeria), ricette di cucina e notizie di spettacolo, indirizzi
di negozi, ristoranti e locali “africani” in Italia, resoconti di eventi che
coinvolgono la comunità in Italia, come i matrimoni, completi di foto.
Frequenti gli articoli religiosi affidati a un ministro della Chiesa Cristiana
Pentecostale. Nell’editoriale del numero di marzo 2005 il direttore Dan
Ekhator dichiara: “Our primary goal is to put the information at your
disposal”105. Viene distribuito nei centri di ritrovo degli immigrati africani
in Italia: call center, centri di cosmesi africana, ambasciate e negozi
specializzati, ma anche in alcune città della Nigeria. Affiliata alla
concessionaria di pubblicità Etnocommunication, ospita inserzioni
pubblicitarie di attività commerciali locali e inoltre della Western Union.
• Direttore editoriale: Daniel Ekhator. Caporedattore: Ikechi Ogbonna.
Editore: Echo Cultural Association. Anno di nascita della
pubblicazione: 1995. Tiratura dichiarata: 10.000 copie (di cui 8000
in Italia e 2000 all’estero). Lingua utilizzata: inglese. Periodicità:
mensile. Prezzo di vendita: 2,00 euro. Numero di pagine: 32.
Affiliato alla concessionaria di pubblicità ISI Etnocommunication.
Indirizzo della redazione: Via Nettunense km 24, 100 – 04011
Aprilia (Latina). Numero di telefono: 06.9202044. E-mail:
105 “Il nostro obiettivo primario è di mettere l’informazione a vostra disposizione”.
125
Eldorado
Il sottotitolo di questo nuovo mensile free-press è “L’america Latina
raccontata agli italiani e ai latinoamericani che vivono in Italia”. Si tratta
di un agile giornale scritto in italiano e spagnolo: “è infatti chiaro”, recita
l’editoriale del secondo numero, “che il superamento della barriera
linguistica è alla base di ogni incontro e confronto tra culture”. Il target
principale sono comunque i cittadini immigrati, la distribuzione avviene nei
call center e nei negozi di immigrati, e l’obiettivo primario è quello di
riportare notizie e immagini “da casa” ai cittadini immigrati. Anche la
pubblicità presente nel giornale è rivolta principalmente a loro: per ora si
pubblicizzano solo phone center internazionali. Nelle quattro pagine con la
testatina “incontri”, si parla di iniziative umanitarie e progetti di volontariato
e scambio. “In viaggio” propone tre pagine di guida turistica ai luoghi più
belli del Latino America, con immagini a colori di paesaggi e monumenti;
“imprese” si occupa di progetti economici e associazioni a favore degli
imprenditori latini. “Mondolatino”, infine, racconta storie di vita positive di
immigrati integrati e di successo, come può essere l’elezione di una miss
latina in un concorso di bellezza. Da giugno 2005 conterrà anche
informazioni riguardanti il Centro America, l’Africa e l’Asia. La linea
editoriale è improntata alla “semplicità ed immediatezza nel trattare temi
che possono aiutare il processo dell’integrazione ed un maggior scambio
interculturale tra italiani e stranieri e viceversa”, secondo quanto afferma il
direttore106. I collaboratori fissi sono tre o quattro, pubblicisti o studenti che
ricevono un “gettone-rimborso” per gli articoli prodotti.
• Direttore responsabile: Roberto Alborghetti (giornalista
professionista). Editore: Euroservizi – Bergamo. Lingue utilizzate:
spagnolo e italiano (da giugno 2005 anche inglese e francese).
Numero di pagine: 16-24. Formato: tabloid. Anno di nascita della
testata: 2005. Tiratura dichiarata: 100.000 copie. Periodicità: quattro
numeri all’anno. Prezzo di copertina: gratuito. Indirizzo della
106 Comunicazione personale via mail, 17 maggio 2005.
126
redazione: Eldorado c/o Euroservizi, Via Bellafino 16, 24126
Bergamo. Numero di Numero di telefono: 035.330019. Sito Internet:
http://www.eldoradomag.it. E-mail:
127
Forum (Stranieri in Italia)
La peculiarità di Forum, quindicinale indirizzato a due comunità contigue
(russi e ucraini residenti in Italia) è di uscire una volta in lingua russa, una
volta in ucraino. Cronaca e attualità dai paesi di provenienza, cronaca e
politica dall’Italia gli aspetti più approfonditi, oltre naturalmente
all’informazione di servizio riguardante l’affermazione o la violazione dei
diritti sociali, la normativa sull’immigrazione e le pratiche burocratiche.
Attenzione viene prestata anche agli eventi culturali di Russia e Ucraina con
interviste agli artisti e reportage. Alcune pagine e rubriche in italiano
riportano brevi di cronaca, notizie dai sindacati, informazioni di servizio sui
centri per l’impiego, articoli di turismo e simili. Affiliato alla concessionaria
di pubblicità Etnocomumunication srl., ospita numerosi annunci
pubblicitari: Western Union, Sindacato Indipendente Lavoratori Stranieri in
Europa, carte telefoniche internazionali, concessionarie di motorini, linee
aeree, una casa editrice che stampa libri a pagamento, il partito italiano di
Alleanza Nazionale ecc. Il giornale è distribuito su gran parte del territorio
nazionale, nei principali luoghi di aggregazione compresi i luoghi di culto e
negozi Western Union, ma anche nelle maggiori città russe e ucraine.
• Direttore responsabile: Gabriele Ratini. Caporedattore: Tetyana
Kuzyk. Editore: East Communication srl. Anno di nascita della
pubblicazione: 1998. Numero di pagine: 24. Tiratura: 20.000 copie.
Periodicità: mensile. Lingue utilizzate: russo, ucraino, italiano.
Prezzo di copertina: 1,50 euro, gratuito in Ucraina. Affiliato alla
concessionaria di pubblicità ISI Etnocommunication. Indirizzo
redazione: Via Vespasiano, 48 - 00182 Roma. Numero di telefono:
06.7800014. Sito Internet: http://www.forumpress.it. E-mail:
128
Gazeta Romaneasca (Stranieri in Italia)
Mensile dedicato ai romeni residenti in Italia, informa sulla politica
internazionale, sulla normativa italiana sull’immigrazione e sui relativi
dibattiti politico-parlamentari. La rubrica “filo diretto con i lettori” offre una
consulenza sui problemi della vita quotidiana. Presenti altre rubriche come
“notizie da casa”, le offerte e richieste di lavoro, articoli di divulgazione e
notizie sul mondo artistico italiano e romeno. Ricca anche la parte dedicata
all’intrattenimento con parole crociate, ricette di cucina, sport, oroscopo
mensile, giochi, notizie di gossip sui cosiddetti vip della cultura rumena ma
anche occidentale (es. Britney Spears). Una parte del mensile scritta in
lingua italiana è dedicata alle notizie economiche e finanziarie riferite alle
attività di import-export da e per la Romania: con l’obiettivo di incentivare i
rapporti con le aziende esportatrici, specialmente del Nord-Est, favorire gli
scambi e creare un canale di domanda e offerta di manodopera. In
successione, quindi, quattro pagine iniziali d’attualità italiana, quattro sui
romeni in Italia, una sulle novità nella legislazione, quattro sulle notizie
d’attualità dalla Romania, una pagina di notizie di “monden” cioè
spettacolo, una di notizie dall’estero. Infine una pagina di sport, una di
opinioni sugli eventi più vari (dai convegni umanistici alla morte del papa),
e l’oroscopo. Immancabile l’editoriale in prima pagina di Sorin Cehan, in
genere riguardante questioni connesse al fenomeno dell’immigrazione in
Italia e come questo viene trattato da politici e media, le leggi, i problemi
concreti rimasti inaffrontati. Presenti numerose pagine di pubblicità della
Western Union.
La Gazeta Romaneasca viene diffusa nei principali centri di incontro e
aggregazione della comunità romena in Italia, nelle librerie internazionali,
nei 1700 punti vendita della Angelo Costa/Western Union, per
abbonamento, in omaggio presso le rappresentanze diplomatiche e
consolari, e nelle maggiori città della Romania.
• Direttore responsabile: Sergio Talamo. Direttore editoriale: Sorin
Cehan. Periodicità: settimanale. Anno di nascita: 2001. Lingua:
rumeno. Prezzo di copertina: 1,20 euro. Formato: tabloid 43 x 29
cm. Numero di pagine: 24. Distribuzione nazionale: Messaggerie
129
Internazionali. Indirizzo redazione: Via Virgilio Maroso 50 – 00142
Roma Numero di telefono: 06.87410507/08. E-mail:
130
La Hora (Stranieri in Italia)
Nato come supplemento di Expreso Latino, è un mensile dedicato
interamente agli immigrati ecuadoregni, come recita il sottotitolo: “El
periodico del Ecuador en Europa”. In prima pagina, notizie dall’Ecuador
riguardanti fatti di politica interna e di cronaca, più lanci di ulteriori notizie
di attualità. Per il resto è strutturato come un normale quotidiano: le prime
tre o quattro pagine sono dedicate all’actualidad politica, seguite da spazi
dedicati alle diverse zone dell’Ecuador: Mi pais – Pichincha, Austro,
Provincias. Si tratta di argomenti relativi alla politica locale, cronaca,
cultura, opere pubbliche. Segue l’economia, una pagina di opinion completa
di vignetta, una di salud con notizie scientifiche e mediche, una di turismo
con notizie anche negative sullo stato del settore in Ecuador. Infine una
pagina intitolata Migrantes si occupa del fenomeno migratorio riguardante
l’Ecuador con dati statistici e di cronaca (come un naufragio al largo delle
coste statunitensi nel numero 1 dell’aprile 2005); due pagine dedicata allo
sport (deportes) con articoli sul campionato di calcio nazionale; “cultura”
ed “espectaculos” trattano ovviamente di arte, danza, cinema e notizie di
spettacolo, musica, interviste ai personaggi famosi riprese dai giornali
nazionali; si chiude con l’entretenimiento: notizie curiose, barzellette,
proverbi riadattati.
• Direttore responsabile: Claudio Jaccatino. Caporedattore: Rolando
Ortega. Anno di nascita della pubblicazione: 2005. Lingua utilizzata:
spagnolo. Formato: tabloid 43 x 29 cm. Numero di pagine: 24.
Prezzo di copertina: 1,40 euro. Distribuzione nazionale: Messaggerie
Internazionali. Indirizzo redazione: Via Virgilio Maroso 50 – 00142
Roma. Numero di telefono: 06.87410527. E-mail:
131
Lakhiru
È la prima rivista in Italia dedicata ai cittadini provenienti dallo Sri Lanka.
La direzione editoriale ha sede direttamente in Sri Lanka, ad opera di Anura
Solaman, uno dei maggiori editori cingalesi, mentre la redazione ha sede sia
in Sri Lanka che in Italia, dove il quotidiano viene stampato. Già da questi
dati logistico-geografici si evince una forte caratterizzazione del giornale
legato al bisogno principale della comunità di non recidere il legame con il
paese di provenienza; presente comunque anche l’informazione di servizio,
necessaria per orientarsi in Italia. Ricchissimo di foto, immagini e vignette,
con una prima pagina coloratissima che reca accanto al titolo un riquadro
con l’immagine di Sant’Antonio da Padova. Distribuito a Roma, Milano,
Padova, Brescia, Verona, Bologna, Firenze, Napoli, Messina e Catania.
• Direttore editoriale: Ajith Hettiarachchige. Direttore responsabile:
Loretta Caponi. Editore: Media Lanka Network/Stranieri in Italia.
Anno di nascita della pubblicazione: 2003. Periodicità: mensile.
Formato: tabloid (b290 x h430 mm). Numero di pagine: 32 di cui 12
a colori. Prezzo di copertina: 1,00 euro. Lingua: cingalese. Tiratura
dichiarata: 10.000 copie. Affiliato alla concessionaria di pubblicità
Etnocommunication. Distribuzione nazionale: Messaggerie
Internazionali. Indirizzo della redazione: Via Proba Petronia, 82 –
00136 Roma. Numero di telefono: 328.1984055. E-mail:
132
Al Maghrebiya (Stranieri in Italia)
Mensile in lingua araba destinato a una delle comunità straniere più
numerose in Italia, quella magrebina (Marocco, Algeria, Tunisia). Le prime
tre pagine sono dedicate alle notizie provenienti dai paesi arabi e dal
Marocco; seguono le informazioni sui diritti, sulle procedure per avere o
rinnovare il permesso di soggiorno, sui moduli per sporgere querele e poi
cultura, spettacoli, sport, giochi, oroscopo, lettere aperte, ricette di cucina.
Spazio anche alle problematiche femminili. Non a caso il titolo della testata
significa provocatoriamente “la magrebina”, termine spregiativo in arabo in
quanto usato per indicare le prostitute. E uno degli intenti della rivista,
anche se certamente non l’unico, è quello di essere strumento di conoscenza
e di emancipazione delle e per le donne. In progetto un’edizione italiana del
giornale, per potere comunicare anche con gli italiani interessati al dialogo
tra culture. Afferma il direttore editoriale Souad Sbai, giornalista
marocchina e ricercatrice di diritto islamico all’Università di Caserta, che la
rete diplomatica non vede di buon occhio l’eccezionale diffusione di questa
rivista. “Consolati e ambasciate sono preoccupati delle informazioni che il
giornale può dare al lettore, le quali sono in contraddizione con quelle
fornite da loro e dalla loro politica. Se al consolato dicono che occorrono
300 euro per ottenere il passaporto e noi invece dichiariamo che ne bastano
50, è chiaro che si creino contrasti”107. Evidente quindi la priorità
dell’informazione di servizio come prima forma di cittadinanza, nel senso
difesa dei propri diritti. Distribuzione nazionale, in vendita presso le edicole
localizzate nei punti a maggiore densità di popolazione marocchina,
algerina e tunisina, come free-press nei punti vendita Western-
Union/Angelo Costa, per abbonamento e omaggio presso le rappresentanze
diplomatiche e consolari.
• Direttore responsabile: Sergio Talamo. Direttore editoriale: Souad
Sbai. Editore: Stranieri in Italia srl. Anno di nascita della rivista:
2002. Prezzo di copertina: 1,40 euro. Formato: tabloid (b290 x
107http://www2.unicatt.it/pls/unicatt/mag_gestion_cattnews.vedinotizia?id_cattnewsT=2642
133
h430mm). Lingua utilizzata: arabo. Numero di pagine: 24. Tiratura
dichiarata: 20.000 copie. Distribuzione nazionale: Messaggerie
Internazionali. Indirizzo della redazione: Via Virgilio Maroso 50,
00142 Roma. Numero di telefono: 06.87410527. Sito Internet:
http://www.acmid-donna.it. E-mail: [email protected].
134
Mundo Brasil
È un mensile rivolto alla comunità brasiliana in Italia, nato dall’iniziativa
della giornalista Marta Helena da Mata Almeyda sulla base alle sue
precedenti esperienze giornalistiche in Brasile e in Italia. La seconda pagina
è dedicata a un suo editoriale, la terza alla cronaca di un evento importante
riguardante il Brasile o l’intero Latino America. Le pagine seguenti si
occupano, nell’ordine, di politica, economia, cultura, turismo e scambi
culturali; notizie internazionali (dalla vicenda Parmalat alla figura del
presidente statunitense George Bush fino a notizie “alternative” quali, per
esempio, la cronaca e i temi del Forum Sociale Mondiale sui diritti umani).
Presente anche una pagina di notizie dal Portogallo (economia, sport,
musica) e una sulla letteratura brasiliana (libri in uscita, brani di un
determinato autore ecc.); seguono varie pagine di inchiesta o di descrizione
turistica (ad esempio sulla città brasiliana di San Paolo), due di cultura e
musica (es. intervista alla cantante dei Madredeus, intervista al fotografo
Sebastiao Salgado) per finire con una pagina di ricette di cucina tipica e
l’agenda delle iniziative culturali rivolte alla comunità brasiliana108.
Interessante notare che alcune pagine (quelle sulle notizie internazionali, la
guida turistica e la ricetta gastronomica) affiancano il testo in italiano a
quello in portoghese. La rivista è redatta da tre collaboratori (non retribuiti)
in Italia, di cui una a Bologna, da un corrispondente dal Portogallo e da un
corrispondente dal Brasile, più altri collaboratori che inviano articoli
sporadicamente.. Viene stampata su un elegante formato A4 di carta
patinata, la copertina illustra spesso paesaggi o città brasiliane, le pagine
sono ricche di foto e tutte a colori. Presente pubblicità di Western Union,
agenzie di viaggi, agenzie d’affari per il Brasile. La rivista si offre come
strumento di dialogo, conoscenza reciproca e arricchimento fra culture ed è
evidentemente destinata a cittadini immigrati ma anche agli italiani. E’
diffusa nei principali punti di incontro e di aggregazione della comunità
brasiliana in Italia, e in alcune capitali europee.
108 Gli esempi di argomenti citati si riferiscono al numero 1 della rivista, anno 5, gennaio
2004.
135
• Direttore responsabile: Francesco Liardi. Direttore editoriale: Marta
Helena da Mata Almeida (brasiliana). Editore: Associazione
Culturale Mundo Brasil. Anno di nascita della pubblicazione: 2000.
Periodicità: mensile. Formato: A4. Numero di pagine: 24. Prezzo di
copertina: gratuito. Lingue utilizzate: portoghese e italiano. Tiratura
dichiarata: 10.000 copie. Sito Internet: http://www.mundobrasil.it.
Indirizzo della redazione: Via Conte Rangone 7, 04100 Latina. E-
mail: [email protected].
136
Nasz Swiat (Stranieri in Italia)
“Il nostro mondo”, questo il significato del nome della testata, è indirizzato
ai cittadini polacchi residenti in Italia. La rivista è nata di recente dalla
constatazione che, a parte dei trimestrali poco conosciuti e che non danno
spazio all’attualità, non esisteva in Italia un mezzo di informazione specifico
per la comunità polacca. Ma sembrava necessario, specialmente in un
momento come quello attuale in cui la Polonia occupa una posizione
internazionale più forte e si prepara ad entrare in Europa. L’offerta
informativa di Nasz Swiat, sempre nella formula attualità più servizio, ha
l’obiettivo, secondo il suo direttore, di “seguire in tempo reale ciò che
accade nel nostro Paese e in Italia, con le spiegazioni in polacco; questo
può fare la differenza per la vita di un immigrato, specialmente quando lo
riguarda direttamente”. Ampio spazio dedicato alle informazioni pratiche
come le procedure per entrare in Italia, i documenti da presentare, gli
obblighi del datore di lavoro, guida all’assistenza sanitaria; ma anche alle
notizie dalla Polonia di politica, economia e cronaca, con in più un’intera
pagina (Polska w Europejskjiej) dedicata al tema dell’entrata in Europa,
prestando particolare attenzione al mondo dei diritti. Spazio anche a temi
leggeri come inchieste di costume e società (es. cosa accade nella
televisione italiana, come le coppie polacche festeggiano San Valentino, la
vita dei bambini negli asili, come i giornali italiani parlano della Polonia
ecc.). Infine pagine di sport, musica e spettacolo, nonché l’immancabile
oroscopo.
• Direttore responsabile: Sergio Talamo. Direttore editoriale: Federica
F. Gaida. Caporedattore: Agnieszka Bladowska. Anno di nascita
della pubblicazione: 2003. Periodicità: mensile. Formato: tabloid.
Numero di pagine: 24. Prezzo di copertina: 1,20 euro. Lingue
utilizzate: polacco. Tiratura dichiarata: 10.000 copie. Distribuzione
nazionale: Messaggerie Internazionali. Indirizzo: Via Virgilio
Maroso, 50 00142 Roma. Numero di telefono: 06.87410527. E-
mail: [email protected]; [email protected].
137
Nuevo Expreso Latino (Stranieri in Italia)
È una rivista indirizzata alle comunità latino americane immigrate in Italia,
nata come “Expreso Latino” nel marzo 2001 su iniziativa di alcuni
giornalisti latino americani e con il supporto dell’Agenzia di Orientamento
al lavoro “Chances”. Successivamente è stata acquisita dal gruppo Stranieri
in Italia. Expreso Latino si avvale della collaborazione di giornalisti
professionisti latino americani, preferibilmente laureati, accreditati dal
Ministero degli Affari esteri e di provata esperienza nel settore della
comunicazione, tutti retribuiti. All’interno, notizie e reportage dall’America
Latina e informazioni utili rivolte alle comunità latino-americane immigrate
in Italia. Come in tutte le testate di Stranieri in Italia, i temi sono molti e
spaziano su politica, società, cronaca, spettacolo, turismo; normativa
sull’immigrazione, attualità italiana, cronaca dai vari paesi del Latino
America; vita degli immigrati in Italia (feste, eventi, sport); guida alle leggi
d’interesse, spiegate nei dettagli; spettacolo, cultura, sport, ricette di cucina,
oroscopo, cruciverba e barzellette. Ad ogni paese viene assegnato un certo
numero di pagine monografiche.
Le fonti da cui vengono riprese le notizie sono agenzie, lettere dei lettori,
comunicati stampa. Il fondatore della rivista è l’ecuadoregno Rolando
Ortega, laureato in giornalismo nel suo paese e giornalista di uno dei canali
più importanti della televisione del suo paese, arrivato in Italia con nella
mente già il progetto; nel 2000 ha cominciato a scrivere, stampare e
distribuire da sé la rivista, fino all’incontro con Gianluca Luciano,
amministratore delegato di Stranieri in Italia, con cui ha constituito una
società. “Avrei voluto fare tutto da solo, ho accettato un compromesso. E’
come se avessi venduto la mia idea per poterla vedere realizzata.
Comunque quello che conta è il risultato: essere diventati la voce del mio
popolo, un popolo, tra l’altro, poco abituato a leggere” afferma in
un’intervista109 e continua: “abbiamo un target di lettori medio. Essi
trovano solo da noi le loro notizie e problematiche, inoltre in lingua”.
109http://www2.unicatt.it/pls/unicatt/mag_gestion_cattnews.vedinotizia?id_cattnewsT=2642
138
• Direttore responsabile: Sergio Talamo. Direttore editoriale: Rolando
Ortega. Caporedattore: Sergio Mora (argentino, giornalista
professionista). Lingua: spagnolo. Periodicità: mensile. Anno di
nascita della pubblicazione: 2000, da maggio 2004 mensile.
Periodicità: mensile. Numero di pagine: 24-36. Formato: tabloid.
Prezzo di copertina: 1,40 euro. Tiratura: 20.000 copie più 10.000 di
Nuevo Expreso Latino Europa. Distribuzione nazionale:
Messaggerie Internazionali. Indirizzo della redazione: Via Virgilio
Maroso 50 00142 Roma (ma c’è una redazione anche a Milano, Via
Santa Tecla 5 – 20122 MI). E-mail: [email protected].
139
El Nuevo Panorama Latino
È un giornale rivolto ai cittadini di origine latino americana residenti a
Milano, Torino, Genova. Si occupa di attualità, economia e politica ma
ospitano anche informazioni di carattere divulgativo-scientifico e culturale;
particolare attenzione viene prestata allo sport e allo spettacolo dei paesi
latino americani, così come all’informazione di servizio riguardante la
normativa italiana in materia d’immigrazione e di accesso ai servizi.
L’obiettivo è quello di informare sugli avvenimenti europei e latino
americani ma anche di dare visibilità alle iniziative della comunità.
Finanziato esclusivamente dalla raccolta pubblicitaria, viene distribuito
nelle sedi delle associazioni delle comunità di riferimento, nei luoghi di
aggregazione come piazze e centri sociali, in occasione di feste ed eventi
folcloristici, presso la rete diplomatica e nei negozi che si fanno pubblicità
attraverso inserzioni pubblicitarie nelle stesse riviste.
• Direttore responsabile: Claudio Jaccarino. Direttore editoriale: Javier
Lazo Garcia. Editore: Riccardo Marinai. Anno di nascita della
pubblicazione: 1998. Lingua utilizzata : spagnolo. Tiratura
dichiarata: 5000 copie. Indirizzo della redazione: Via Casoretto 40,
20131 Milano. Numero di tel/fax: 02.36567717.
Sito Internet: http:// www.elnuevopanoramalatino.com. E-mail:
140
Nur
“Giornale socioculturale in lingua araba pubblicato a Roma e distribuito in
tutta Italia” recita il sottotitolo. È una rivista, il cui nome significa “Luce”,
destinata agli stranieri di lingua araba, che essi siano cittadini immigrati,
studenti, turisti, imprenditori, uomini in viaggio d’affari, con l’esplicito
intento di far conoscere loro la realtà italiana ma anche sostenere e
valorizzare il loro processo di integrazione. È composta da pagine di
cronaca e attualità italiana, ampi spazi sulle informazioni di servizio
(legislazione, procedure burocratiche, tutela dei diritti, istruzione, assistenza
sanitaria ecc.), seguite da pagine di turismo sulla città di Roma e il
circondario, interviste e storie di vita di cittadini di lingua araba in Italia,
pagine dedicate a commenti, opinioni e una alla letteratura. Delle
informazioni di servizio sulla legislazione si occupa un avvocato di origine
siriana; della cronaca politica un giornalista di origine marocchina.
L’obiettivo editoriale è quello di sostenere il processo d'integrazione dei
cittadini immigrati nella società mediante la divulgazione delle informazioni
più adatte e rese comprensibili con un linguaggio chiaro e soprattutto
comprensibile anche a chi non conosce la lingua italiana. Diffuso tramite gli
abbonamenti, nei centri di aggregazione islamici, presso gli enti culturali e
turistici, nei ristoranti e nei negozi arabi, nei centri Angelo Costa/Western
Union.
• Direttore editoriale: Ihab Hashem. Editore: Nur Edizioni. Anno di
nascita della pubblicazione: 2000. Periodicità: mensile. Lingua
utilizzata: arabo. Tiratura dichiarata: 20.000 copie. Formato: tabloid.
Numero di pagine: 16. Affiliato alla concessionaria di pubblicità
Etnocommunication. Indirizzo della redazione: Via del Circo
Massimo, 9 - 00153 Roma. Numero di telefono: 06.5742823.
141
Les Nouvelles du Pays
Una copertina coloratissima e piena di foto per un giornale dedicato
esclusivamente alle notizie provenienti dal Senegal : cronaca, economia,
politica, società e religione. L’iniziativa viene dal giornalista immigrato
Diop Abdoulatif, capo della redazione del giornale "Le Populaire" e
"L'Info7" in Senegal, che insieme a un gruppo di giornalisti professionisti
senegalesi ha avuto l’idea di realizzare un giornale indirizzato alla comunità
senegalese. La distribuzione avviene presso associazioni africane, edicole e
negozi afro su tutta l'Italia, soprattutto a Brescia, Bergamo, Milano, Verona,
Cremona, Roma, Perugia, Rimini, Forlì, Bologna, Venezia, Mantova,
Torino, Firenze, Pisa, Pescara, Bari, Varese, Como, Messina, Napoli e
Caserta, in alcune città in Francia (Parigi, Marsiglia, Nantes, Bordeaux,
Lille e Strasburgo), e Spagna (Madrid e Valencia).
• Direttore: Abdoulatif Diop. Editore: ALFA Editions. Sede: Brescia.
Anno di nascita: 2003. Formato: tabloid (43 x 29 cm). Numero di
pagine: 12. Prezzo di copertina: 1,00 euro. Lingua utilizzata:
francese. Tiratura dichiarata: 8.000 copie. Affiliato alla
concessionaria di pubblicità ISI Etnocommunication.
142
Punjab Express (Stranieri in Italia)
Mensile diretto alla comunità indiana, che conta circa 70000 immigrati in
Italia. Spazio alle notizie dall'India e a quelle dall'Italia; numerose le pagine
riservate alle rubriche di informazione legale, con le guide alla burocrazia
italiana e all’accesso ai servizi; presenti anche molti articoli sulla vita degli
immigrati indiani in Italia, resoconti di ritrovi e feste comunitarie: “abbiamo
molte feste e ogni domenica i legami della comunità si rinsaldano nei nostri
templi”, racconta il direttore. Non mancano le consuete rubriche del tempo
libero, pagine di sport e spettacoli (grande attenzione viene riservata al
cinema indiano). Distribuzione nazionale nelle edicole, nei punti di incontro
della comunità indiana (templi, associazioni, ristoranti), e ovviamente nelle
agenzie di money transfer della Angelo Costa /Western Union.
• Direttore editoriale: Federica F. Gaida. Direttore responsabile:
Sergio Talamo. Caporedattore: Balraj Singh. Lingua utilizzata:
punjabi. Formato: tabloid. Anno di nascita della pubblicazione:
2005. Distribuzione nazionale: Anca Gliz – Stranieri in Italia srl.
Indirizzo: Via Virgilio Maroso, 50 - 00142 Roma. Numero di
telefono: 06.87410533/90. E-mail: [email protected].
143
Shqiptari i italisë. L’albanese d’Italia
Rivista nata di recente da una costola di Bota Shqiptare, si dedica, a
differenza del fratello maggiore, esclusivamente alla vita della comunità
albanese in Italia, tralasciando quindi quello che accade nel paese d’origine.
La copertina è occupata per intero da una foto, spesso di un personaggio
albanese di successo come può essere (nel numero 4/2005) Silvana Brace,
popolare presentatrice televisiva in vacanza a Rimini. Le prime quattro
pagine sono dedicate alle storie di immigrati albanesi che hanno avuto esito
positivo, ad esempio quella del ballerino Kledi protagonista di alcuni
programmi Mediaset (ritratto con i suoi genitori, nello studio di Striscia la
notizia e mentre danza con Maria de Filippi), o dei partecipanti alla
trasmissione Amici di cui si forniscono immagini sorridenti. Presenti inoltre
brevi notizie su eventi culturali che riguardano in qualche modo la cultura
albanese in Italia (spettacoli teatrali, mostre d’arte, concerti, celebrazioni
religiose). Due pagine con la testatina ditar mërgimi110 si occupano di
politica e immigrazione, riprendendo notizie riportate da giornali
mainstream come il Corriere della Sera ma anche dallo stesso Bota
Shqiptare. Seguono due pagine di intervista e foto del personaggio di
copertina, due di cronaca (brevi dalle città su fatti aventi per protagonisti
degli albanesi: arresti, rapine, spaccio, episodi di violenza…). Quattro
pagine sono poi dedicate al “vademecum”, guida alle procedure
burocratiche italiane, curate dagli avvocati di Stranieri in Italia. Infine uno
spazio sulle institucionet con interviste ai responsabili politici locali, notizie
sulla consulte comunali ecc. e due pagine di intrattenimento con cruciverba,
oroscopo, annunci di lavoro.
L’immagine del cittadino albanese che emerge dalla rivista è quella di un
immigrato ben integrato, soddisfatto della posizione sociale acquisita,
curioso dei fatti che coinvolgono la sua comunità, attento al rispetto dei
diritti civili ma consapevole anche delle difficoltà che possono incontrare i
propri connazionali. La grafica è molto curata, l’impaginazione ordinata ed
elegante, la carta lucida e bianca. Concessionaria di pubblicità è ancora una
volta la Etnocommunication, e infatti gli inserzionisti sono gli stessi delle
110 “diario immigrazione”
144
testate di Stranieri in Italia: Western Union, compagnie aeree e telefoniche,
agenzie di viaggio, agenzie di lavoro interinale. In virtù dell’accordo con Le
Messaggerie Internazionali Shqiptari i Italisë viene distribuito in maniera
capillare su tutto il territorio italiano, nelle edicole dei quartieri a maggiore
concentrazione di migranti e nelle librerie internazionali.
• Direttore responsabile: Sergio Talamo. Direttore editoriale: Roland
Sejko. Caporedattore: Arta Bardhi. Editore: Bota Shqiptare. Lingua
utilizzata: albanese. Anno di nascita della pubblicazione: 2004.
Numero di pagine: 20. Formato: tabloid. Affiliato alla
concessionaria di pubblicità ISI Etnocommunication. Distribuzione
nelle edicole di stampa estera: Intercontinental srl., Milano. Indirizzo
della redazione: viale Marco Polo 119, 00154 Roma. Numero di
telefono: 06.35453074. Sito Internet: http://www.botashqipare.net.
E-mail: [email protected].
145
Shqiptaret në Itali (Stranieri in Italia)
È una rivista mensile di recente pubblicazione creata per informare le
comunità albanesi in Italia sulle novità in tema di normativa
dell'immigrazione, al fine di poter meglio tutelare i propri diritti, attraverso
notizie e approfondimenti. Informazione che si allarga poi alle realtà della
vita quotidiana degli albanesi in Italia, comprendendo l’agenda delle attività
delle associazioni di migranti e degli eventi collettivi che li riguardano:
iniziative varie, festività, ritrovi e ricorrenze; tutto ciò con lo scopo di creare
anche dei canali di comunicazione e contrastare la mancanza di dialogo tra i
connazionali. Irrinunciabili infine le notizie provenienti dall’area dei
Balcani e un’intera pagina dedicata alle notizie dal Kosovo.
Diffuso, come tutte le testate di Stranieri in Italia, attraverso le Messaggerie
Internazionali presso le edicole dei quartieri a maggior presenza di
immigrati, nelle librerie specializzate, in omaggio presso le rappresentanze
diplomatiche e consolari e nei punti vendita Western Union-Angelo Costa
spa.
• Direttore editoriale: Ledia Miraka. Lingua utilizzata: albanese. Anno
di nascita della pubblicazione: 2003. Tiratura dichiarata: 10.000
copie. Prezzo di copertina: 1,00 euro. Numero di pagine: 16.
Formato: tabloid 43 x 29 cm. Distribuzione nazionale: Messaggerie
Internazionali.
146
Il Tempo Europa Cina (Ou Hua Shi Bao)
Primo giornale creato appositamente per i cittadini cinesi in Italia, pensato
per un lettore ansioso di avere le notizie dalla “madrepatria” che non trova
nella stampa italiana tradizionale, ma anche di avere conoscenza dei fatti del
mondo letti però in un’ottica culturale cinese: pagine di politica e di
economia, notizie di cronaca e spettacolo; non mancano inoltre informazioni
di servizio sulla normativa amministrativa e sulle procedure burocratiche.
Gli articoli sono redatti e da giornalisti immigrati in Italia e da giornalisti
residenti in Cina che lavorano per la CCTV (una televisione cinese) e per
l’importante quotidiano dello Zhejiang “Wenzhou Doushi Bao”. Molto
conosciuto in Italia, Il Tempo Europa Cina è diffuso anche presso le
comunità cinesi di altri paesi europei e nella stessa Cina. Caratteristica
interessante è la sua periodicità: si tratta infatti di un bisettimanale, che esce
ogni lunedì e giovedì. Affiliata alla concessionaria di pubblicità
Etnocommunication, ospita inserzioni pubblicitarie anche di aziende
italiane, tradotte in cinese dallo stesso giornale. La distribuzione avviene
nelle edicole, nelle stazioni ferroviarie e nei negozi di alimentari cinesi.
• Direttore responsabile: Loretta Caponi. Responsabile operativa: Yan
Jiang. Anno di nascita della pubblicazione: 1996. Periodicità:
bisettimanale. Formato: 40 x 50 cm. Numero di pagine: 24. Lingua
utilizzata: cinese, caratteri semplificati. Prezzo di copertina: 1,50
euro. Tiratura dichiarata: 5.000 copie111. Indirizzo della redazione:
Via S. Croce in Gerusalemme 107, Roma, tel 06.77200525
111 Sul numero di copie c’è discrepanza tra quello riportato sul sito della concessionaria di
pubblicità per i media etnici Etnocommunication (9000 copie) e quello dichiarato dalla
responsabile del giornale nel corso di un’intervista telefonica (5.000 copie, al 10-5-2005).
147
4.4 La stampa multiculturale
Con l’espressione “giornali multiculturali” si intendono qui tutte quelle
testate che si occupano di tematiche collegate all’immigrazione sotto un
duplice punto di vista: quello informativo sul fenomeno e quello
“pedagogico” volto a promuovere l’integrazione dei migranti e il dialogo
con la società. Una società vista non come un’entità divisa rigidamente in
noi e loro, ma come un organismo complesso, al cui interno convive una
molteplicità di esperienze diverse ma non necessariamente in conflitto
[Bolaffi (a cura di), 2004, p. 206]; esperienze che interagiscono tra loro e
che sono fonti di cambiamento per tutta la società.
Queste pubblicazioni sono quindi un “ibrido” tra la stampa tradizionale e i
giornali etnici: un primo tentativo di realizzare una sintesi tra le due forme
di giornalismo, in modo da superare il rischio di “ghettizzazione”
dell’informazione paventato da qualcuno. Si rivolgono infatti a un pubblico
misto, di lettori sia italiani sia stranieri, e sono realizzate con l’obiettivo di
fornire informazione di servizio, raccontare storie di vita, segnalare eventi
culturali e sensibilizzare gli autoctoni alla storia e alla cultura dei migranti.
La mappatura completa è resa più difficile dal fatto che la maggioranza delle
testate esistenti ha una diffusione limitata e legata alle iniziative locali;
inoltre non esiste (ancora) un grande editore che pubblichi riviste di grandi
tirature. Così come è stato fatto per la stampa etnica, si è scelto di tralasciare
nella trattazione tutte le iniziative di cui non si è potuta avere visione diretta.
4.4.1 I supplementi dei giornali tradizionali
Un primo esempio di stampa multiculturale sono i supplementi di alcuni
quotidiani italiani. Si tratta di pagine di informazione pensata per un
pubblico di migranti, realizzate da una redazione di immigrati ma, a
differenza dei giornali etnici, non commercializzati individualmente perché
inseriti in un contesto informativo tradizionale: sono presentati all’interno o
in abbinamento a testate quotidiane locali. Un “effetto collaterale” positivo
ai fini della lotta per la visibilità dei migranti nei media è che queste pagine
potrebbero essere lette, o la loro presenza almeno notata, dai lettori italiani; i
quali si troveranno tra le mani una nuova forma giornalistica, un genere di
148
informazione che parla degli immigrati in termini diversi da quelli
allarmistici o pietistici cui si è abituati.
Il primo giornale a proporre tale formula, del resto non ancora diffusa nei
quotidiani a distribuzione nazionale, è stato Il Giornale di Vicenza che dal
2003 ogni venerdì esce con un’intera pagina dedicata ai cittadini immigrati,
intitolata Incroci. In questo spazio si parla delle comunità straniere presenti
in Veneto e a Vicenza, si offrono informazioni di servizio (ma anche
d’attualità) e si risponde alle domande degli immigrati nelle loro lingue. Gli
obiettivi dichiarati dal direttore Giulio Antonacci sono infatti almeno due:
far conoscere ai lettori del quotidiano l’esistenza di realtà ormai radicate nel
territorio e costruire un dialogo fertile e positivo con queste realtà. Tutto
questo in un giornale di proprietà della Confindustria.
Anche in Emilia Romagna ci sono iniziative di questo tipo. A Bologna per
esempio è uscito nel 2004, per alcuni mesi, un inserto del quotidiano Il
Domani di Bologna intitolato Città in Comune. Quattro pagine interne che
descrivevano, in italiano, il fenomeno dell’immigrazione da punti di vista
diversi: dall’esigenza di rappresentanza politica alle difficoltà incontrate dai
figli di cittadini stranieri nati in Italia, dalle leggi regionali alle reti di
volontariato, dalle riflessioni su come si parla degli immigrati alle inchieste
sulle schede telefoniche prepagate. Alcune informazioni, come quelle sui
servizi o sulle leggi, erano rivolte ai cittadini stranieri, altre invece erano
evidentemente pensate per una migliore comprensione del fenomeno da
parte dei lettori bolognesi.
A Ravenna, allegato al periodico free press “Ravenna e dintorni” viene
distribuito ogni due mesi il giornale Città Meticcia112. Una grafica chiara,
ordinata ed elegante per dodici pagine dedicate ai temi dell’intercultura:
“L’apertura è solitamente su un tema – questo bimestre per esempio è sul
tempo libero - sviluppato in due o tre articoli. Da pagina 3 offriamo
informazione di servizio, aggiornamenti sulla normativa […]. Questa serie
di notizie in italiano viene tradotta prima in inglese, poi francese, albanese,
rumeno (che si alterna al russo). Nel resto del giornale invece cerchiamo di
portare avanti un discorso di un altro tipo, in linea con il lavoro
112 http://www.racine.ra.it/meticcia; e-mail: [email protected].
149
dell’associazione: il dialogo con tutta la cittadinanza, quindi è rivolto molto
anche agli italiani. C’è un articolo di commento, che ha un taglio da
piccolo saggio di approfondimento, per esempio i problemi che toccano i
minori immigrati. Infine la pagina culturale che affronta tematiche legate
alla musica, al teatro, letteratura” come spiega Francesco Bernabini,
coordinatore della redazione113. Quello di Città Meticcia è un progetto
editoriale nato nel 2003 nell’Associazione di Volontariato Città Meticcia, e
ha obiettivi di ampio respiro: “Vogliamo affrontare le tematiche legate
all’immigrazione in maniera articolata, approfondita, cercando di fare
emergere diversi punti di vista […] anche per decostruire gli stereotipi,
andare contro ai luoghi comuni e promuovere un’immagine diversa
dell’immigrazione. E in particolare mettere in primo piano la soggettività
del migrante: quindi gli immigrati non più come categoria stigmatizzata
(“gli albanesi”, “gli extracomunitari”) ma dando loro dignità come
persone, come individui portatori di diritti e problematiche ma anche di
ricchezza culturale ed economico. È la soggettività che ci interessa: poi da
questa naturalmente si affrontano temi di carattere generale, il problema
del lavoro, ad esempio, riguarda anche tanti italiani”. I collaboratori sono
membri dell’associazione ma anche cittadini immigrati interessati: “Fin
dall’inizio abbiamo cercato di coinvolgere persone interessate al progetto,
in particolare immigrati interessati a scrivere, e qui tocchiamo anche il
tema dell’autorappresentazione dei migranti, puntando anche a valorizzare
delle competenze di solito rimaste inespresse in Italia”.
A Forlì il quotidiano Corriere di Forlì pubblica di novembre 2004, ogni
terzo lunedì del mese, un inserto mensile di otto pagine, a cura della
Cooperativa Sesamo, intitolato Segni e Sogni. Periodico migrante114. Gli
articoli, redatti in italiano, francese e arabo o cinese, si occupano di
rappresentanza politica degli immigrati (ad esempio le elezioni per la
consulta dei cittadini stranieri non comunitari di Forlì), di dialogo tra le
religioni, delle mancanze della legge Bossi-Fini ma anche di notizie
d’attualità dall’Africa e di temi più problematici e fonti di dibattito come la
113 Cfr. l’intervista completa a Francesco Bernabini, in appendice. 114 E-mail: [email protected].
150
legittimità della mutilazione genitale femminile. Non mancano informazioni
di servizio a cominciare dagli indirizzi dei servizi sanitari, i concorsi
letterari per migranti, un’agenda sulle iniziative interculturali. La grafica è
curata, bianco il cartoncino e ordinata e chiara la presenza di immagini.
A Reggio Emilia La gazzetta di Reggio pubblica dal 2002 l’inserto mensile
(esce ogni quarta domenica del mese) Speciale Mondinsieme. Per
partecipaRE la città115, a cura dal centro interculturale Mondinsieme di
Reggio Emilia. Coordinata dal giornalista migrante Adil El Marouakhi,
direttore di redazione ed editorialista, la rivista contiene confronti tra
migranti e nativi, storie di vita e inchieste, interviste a immigrati di successo
ma anche ricette di cucina e suggerimenti di shopping “etnico”: il tutto
redatto da una redazione mista che ha realizzato anche il programma
televisivo locale Bianco e nero a colori, nella prospettiva di valorizzare le
varie culture e creare nuovi strumenti e nuovi spazi di informazione e di
espressione.
A Piacenza invece il quotidiano La libertà ha una collaborazione con la
redazione multietnica di Koiné116, una pagina periodica di informazione
multiculturale che si occupa del tema dell’immigrazione e del confronto
interculturale tra migranti e società. La parola “koiné” in greco significa
linguaggio comune. Ideato da un gruppo di cittadini di origine immigrata
con il contributo del comune di Piacenza, in un progetto che coinvolge
anche i comuni di Fiorenzuola, Bobbio e Castel San Giovanni, il giornale si
propone come “uno spazio alternativo, a disposizione di chiunque voglia
opporsi sia all’omologazione culturale sia alle derive etnocentriche,
promuovendo un confronto fra le diverse culture che valorizzi le differenze e
incoraggi un dialogo aperto, capace di superare paure ed incomprensioni”.
Per raccontarsi senza mediazioni e facilitare l’integrazione anche attraverso
notizie di pubblica utilità. Oltre a essere abbinato a La libertà, Koiné è
diventato un programma televisivo trasmesso sulle reti locali “Tele Libertà”
e “Teleducato” e un programma radiofonico in onda ogni domenica alle
13:00, della durata di mezz’ora. Afferma Kastriot Cara, il giornalista di
115 http://www.migrare.it; e-mail: [email protected]. 116 E-mail: [email protected]; [email protected].
151
origine albanese che partecipa al progetto: “È meraviglioso essere riusciti
ad acquisire tanta visibilità, facendo informazione nel quotidiano più
venduto della città. Dimostriamo che non siamo solo fonte di problemi per
la cittadinanza e riceviamo dalle autorità più attenzione al nostro punto di
vista e considerazione dei problemi che dobbiamo affrontare”117.
Volgendo lo sguardo fuori dall’Emilia Romagna, bisogna menzionare
l’iniziativa della Gazzetta del Mezzogiorno intitolata Gazzetta Mondo118,
una pagina settimanale che dal 1999, ogni mercoledì, si occupa dei temi
connessi all’immigrazione considerandola una risorsa da valorizzare e con
l’obiettivo di indagare i rapporti tra immigrati e società italiana e favorire il
dialogo. Sette collaboratori stranieri per undici rubriche diverse, coordinate
da Gianluca De Vito. La pagina ospita spesso anche interventi dei membri
delle associazioni o di esperti (docenti e ricercatori universitari) di
riflessione e approfondimento sui temi relativi all’immigrazione in Italia. Il
box “diario” racchiude l’agenda di eventi e manifestazioni interculturali,
feste e convegni; “accade altrove” invece riporta in breve notizie di cronaca
ed economia dei paesi più trascurati dall’informazione italiana.
4.4.2 Le testate multiculturali
Oltre ai supplementi dei quotidiani esistono giornali meno facilmente
riconducibili a una tipologia precisa, ma ugualmente rappresentativi del
fermento interculturale di alcune parti della società. Sono quelli che si è
scelto di raggruppare nella definizione “giornali multiculturali” nonostante
presentino caratteristiche spesso eterogenee.
A Bologna e provincia viene distribuita la rivista Il Sofà119, periodico
diretto da Simona Artanidi di proprietà del CIDES (Centro internazionale
dell’economia sociale), nato come organo dell’organizzazione non
governativa Progetto Marocco. Si tratta di una pubblicazione rivolta a un
pubblico misto in cui si approfondiscono tematiche riguardanti
l’immigrazione: casa, lavoro, educazione, questione femminile, accoglienza,
117 Comunicazione personale, Firenze 28 maggio 2005. 118 http://www.gazzettamezzogiorno.it. E-mail: [email protected]. 119 http://www.cidesbo.it; e-mail: [email protected].
152
promozione culturale e cooperazione. I redattori sono volontari
dell’associazione, cittadini immigrati e operatori delle istituzioni. Un
elegante grafica incornicia otto pagine in cui voci di esperti e studiosi
dell’immigrazione si alternano alle parole e ai racconti dei migranti. Tabelle
e immagini in bianco e nero e a colori corredano gli articoli – ogni numero
si chiude con il consueto elenco dei numeri e degli indirizzi utili nella
penultima pagina, e con la lista delle associazioni e punti di incontro per
immigrati della provincia di Bologna. Gli articoli sono scritti in lingua
italiana e corredati da riassunti in inglese, francese e arabo; l’intento infatti è
di evitare la ghettizzazione e favorire la “responsabilizzazione” e il
coinvolgimento: “Vogliamo responsabilizzare gli immigrati ma anche gli
italiani, perché si rendano conto che lo straniero non è solo quello che
vende la droga in Piazza Verdi ma è il cittadino che lavora, risparmia ma
non riesce a trovare casa perché nessuno gliela vuole affittare”120 racconta
Pier Luigi Grazia, uno dei collaboratori fissi e anima dell’associazione
Progetto Marocco, che spiega anche la scelta, per la testata, di un nome così
particolare: “Ho visto in questo [termine] un momento di calore,
aggregazione, di incontro alla pari: su sofà e divani ci si ritrova la sera per
parlare, confrontarsi. Inoltre è un nome che deriva dall’arabo, quindi ha
qualcosa di antico che oggi portiamo a diventare moderno e attuale”. Lo
stretto contatto del Sofà con la ONG di cui fa parte si riflette nell’approccio
del giornale alle tematiche dell’immigrazione, approccio più vicino
all’ottica di ”inclusione assistita” dei migranti nella società che a quella di
costruzione di un rapporto paritario tra le parti. La testata comunque è
ancora in fase di progettazione e presenta grandi potenzialità (al momento
risulta l’unica iniziativa bolognese nel campo) e margini di miglioramento:
nell’ultimo numero (1/2005) ad esempio, la testatina “informazioni”,
riunisce in una stessa pagina un articolo di servizio in quattro lingue sul
ricongiungimento familiare (curato dagli avvocati di Melting Pot121) e la
storia di un caso di infortunio sul lavoro capitato a un giovane di origine
120 Cfr. intervista a Pier Luigi Grazia, in appendice. 121Associazione e sito web di informazione legale per migranti, http://www.meltingpot.org).
153
cingalese che è in realtà una pubblicità redazionale dello Studio
Fontana&Fontana, agenzia di infortunistica.
A Modena dal 2004 ogni tre mesi esce Parole Comuni122, giornale in sette
lingue prodotto da una redazione mista, in collaborazione con i Centri degli
stranieri della Provincia. Finanziata dagli enti locali, la pubblicazione
presenta al pubblico cittadino le iniziative per l’integrazione che gli stessi
offrono ma si propone anche come uno spazio di dialogo reciproco e
conoscenza di storie e culture.
Spostandosi verso Padova si incontra la particolare redazione di Ristretti
Orizzonti123, che lotta, oltre che per l’integrazione tra immigrati e italiani,
anche per l’integrazione e il rispetto tra società civile e detenuti del carcere
di Padova e dell’Istituto penale femminile della Giudecca. Sono infatti
questi ultimi, coordinati da volontari, gli autori di un giornale, sobrio e
curato, in bilico tra un “luogo nuovo” a un “non luogo”.
“Una pubblicazione strettamente di servizio” può essere forse la definizione
giusta per Il permesso di soggiorno magazine124, nato nel 2002, prezzo di
copertina 2,5 euro, che in sedici pagine mensili informa approfonditamente
su temi quali modalità di acquisto della cittadinanza, aspetti del diritto
d’asilo, novità contenute nelle nuove leggi, modalità di espulsione dei
cittadini immigrati irregolari, accesso alle professioni e all’educazione ecc.
per poi, nelle ultime pagine, contenere elementi di svago e distrazione come
ricette, notizie di moda, comunicati stampa su eventi interculturali. Edito a
Roma dalla Sinnos coop. sociale a.r.l. Onlus, diretto da Massimo Maggini, il
giornale è rivolto principalmente ai cittadini immigrati (in quanto informa
dettagliatamente sugli aspetto legali dell’immigrazione e offre
un’informazione soprattutto di servizio), ma l’uso della lingua italiana e la
presenza di pagine dedicate alla multiculturalità lo rendono accessibile
anche a un pubblico italiano particolarmente interessato a queste tematiche.
I collaboratori inoltre sono quasi tutti italiani.
122 http://www.porta-aperta.org; e-mail: [email protected]. 123 http://www.ristretti.it; e-mail: [email protected]. 124Prodotto in collaborazione con AGI, Cidis-Onlus, Redattore Sociale, Ucoi, SIMM e il
sito http://www.immigrazione.it.
154
Ha un aspetto giovane e fresco, invece, il bimestrale Altri - Others125, un
giornale che realizza il significato di “intercultura”. Cinquanta pagine in
formato A4 patinate, colorate e ricche di foto raccontano storie di vita di
persone immigrate, percorsi di difficoltà e integrazione, denuncia di
inadempienze e diritti negati, iniziative culturali e artistiche – tutto con
sorprendente leggerezza, che è il contrario di superficialità. Nell’area
“comunità” ogni numero riporta un’inchiesta su uno o più temi,
dall’educazione al tempo libero (ad esempio, nel numero 1/2005 si parla del
mercato dei baby-calciatori africani: Diritti in (fuori) gioco). “Municipio” è
lo spazio dedicato alle storie che riguardano (anche) la burocrazia e la
normativa italiana, “arcobaleno” è lo spazio dedicato alla musica e alle
iniziative multi-culturali in giro per l’Italia; seguono interviste ai
“protagonisti”, pagine dedicate alle “radici” con servizi da terre lontane,
“ponti” tra questi paesi e la realtà italiana, “sapori” con ricette e articoli di
gastronomia ecc. Direttore della rivista, prodotta dalla Cooperativa
Editoriale Altri che ha sede a Roma, è Patrizia Caiffa; il prezzo di copertina
è di 3,5 euro e i collaboratori sono tutti retribuiti. In meno di un anno di vita
hanno collaborato al progetto, più o meno saltuariamente, dalle venti alle
trenta persone. Tutti giovani, in maggioranza sotto i trenta anni. Gli stranieri
coinvolti sono stati almeno la metà: figli di immigrati, rifugiati, e giovani
che son venuti in Italia da soli senza famiglia per lavorare o studiare. “Nel
prossimo numero, inoltre, scriverà su Altri un giovane albanese detenuto
nel carcere di Padova che, in base a un progetto di risocializzazione dei
detenuti, fa parte della redazione di Ristretti Orizzonti (periodico del
carcere Due Palazzi di Padova)”, spiega Francesco Loiacono, coordinatore
di redazione126. Ad Altri non si ritengono assolutamente una testata “etnica”:
“Il giornale non è prodotto di una comunità di riferimento. La metà dei
collaboratori è italiana, i paesi da cui provengono gli stranieri sono:
Camerun, Eritrea, Brasile, Iran, Cile, Perù, Albania, Romania, Congo,
Algeria. Quindi, possiamo forse dire multiculturale. Persone con storie
diverse, origini diverse, si cimentano ad uno stesso progetto e cercano di
125 http://www.altri.it; e-mail: [email protected]. 126 Comunicazione personale via e-mail, 13 maggio 2005.
155
raccontare le evoluzioni della stessa società, quella italiana, nei confronti
degli stranieri”. L’intento non è pedagogico né esclusivamente diretto a
“sensibilizzare” i lettori; l’immigrazione non è letta come problema, ma in
quanto risorsa culturale. La società multietnica è vista come una realtà da
conoscere e con cui dialogare, ma soprattutto in cui vivere ogni giorno.
Il Dialogo Mediterraneo127 è invece una pubblicazione destinata alla
comunità tunisina e nord africana e ai lettori italiani. Diretto da Bruno
Latella, fondato da Habib Mastouri nel 1993, si occupa di informazione
d’attualità, economia, cultura e politica italiana e africana, nell’ottica di
conoscenza reciproca tra le due culture allo scopo di arrivare a un dialogo
aperto e a un arricchimento reciproco costante.
Infine bisogna menzionare Asylum post128, giornale milanese diretto da
Elena Redaelli, nato nel 2004 con il proposito di diventare il punto di
riferimento e collegamento (per l’Italia e l’Europa) per una specifica
categoria di migranti, cioè i rifugiati politici e i richiedenti asilo. Sedici
pagine in bianco, nero, e un colore che cambia a ogni uscita “così chi legge
si ricorda meglio di ciascun numero del giornale, perché non è mai uguale”
(spiega uno dei collaboratori)129 con articoli (scritti ognuno nella lingua del
suo autore) di documentazione sui crimini di tortura, stragi dimenticate dai
media tradizionali, manifestazioni, storie di vita e notizie sulle iniziative
culturali. Gli scopi dichiarati sono tre: riconquistare la propria voce costretta
al silenzio nei paesi d’origine, farsi conoscere dalla società d’accoglienza
italiana ed europea, richiamare l’attenzione sull’inadeguatezza delle attuali
leggi sul diritto d’asilo.
4.4.3 L’arrivo di due grandi gruppi editoriali
Sia Stranieri in Italia sia il gruppo Repubblica/Kataweb si dichiarano sul
punto di lanciare sul mercato un nuovo giornale, in lingua italiana, così da
superare la “ghettizzazione” dei lettori implicita nell’idea stessa di testata
127 http://www.ildialogo.net; e-mail: [email protected]. 128 http://www.inventati.org; e-mail: [email protected]. 129 Comunicazione personale, Firenze 28 maggio 2005.
156
“etnica” e rivolgersi a un pubblico più ampio, che comprende i lettori
italiani e le diverse comunità di immigrati.
Il progetto di Stranieri in Italia è ancora in fase di ideazione: “Lo stiamo
ancora studiando, ma sicuramente lo faremo e sarà uno spazio di scambio e
dialogo tra immigrati e italiani, di confronto fra le due realtà e conoscenza
reciproca. Cominceremo con i redattori stranieri che lavorano già presso di
noi, che scriveranno in italiano, più altri giornalisti italiani. Sarà una
nuova attività che permetterà a noi di capire la realtà italiana ma anche a
voi di capire cosa vediamo e viviamo noi” assicura Stephen Ogongo,
segretario di redazione130 di Stranieri in Italia.
Il progetto del gruppo la Repubblica/Kataweb, che gestisce il portale
multiculturale “Il passaporto”131, appare invece già chiaro e l’uscita è
programmata per settembre 2005. L’obiettivo editoriale è di contribuire a
creare, in Italia, un dibattito serio sulla politica relativa all’immigrazione.
L’esigenza non solo di una corretta rappresentazione e auto-rappresentazione,
ma anche di un mezzo che contribuisca a un dibattito pubblico costruttivo è il
punto di partenza del progetto, come afferma Sandro Acciari132, uno dei
curatori del sito “il Passaporto”: “A differenza di quanto è avvenuto in
Francia, Germania, Inghilterra, per non parlare degli Stati Uniti non esiste
ancora in Italia una politica programmata e coerente nei confronti degli
immigrati. Non mi sembra che la politica della Chiesa e quella della destra
(per non parlare della sinistra) affrontino nel modo più funzionale il
problema nazionale di un profondo mutamento etnico e culturale della
popolazione italiana, di come saranno gli italiani nel futuro anche prossimo”.
Il giornale racconterà l’Italia del presente, con uno sguardo rivolto a quanto
accade nel mondo; dovrà costituire non solo un servizio per gli immigrati,
“ma anche il primo tentativo serio di una “politica italiana
sull’immigrazione”. Le linee guida della rivista, frutto di riunioni di
redazione e ricerche sul campo, sono molto chiare: il giornale dovrà essere
130 Cfr. l’intervista completa a Stephen Ogongo, in appendice. 131 http://www.ilpassaporto.it. 132 Comunicazione personale via e-mail, 1 giugno 2005.
157
“utile e puntuale”, “aperto e disponibile”, “una voce amica”, “popolare” e
“avere un grande editore”.
La rivista sarà articolata in tre macro-aree: generale, locale, di servizio; a cui
corrisponderanno le testatine “dall'Italia”, “attualità”, “pagina aperta”,
“cronaca”, “dal mondo”, “società”, “vivere in Italia” e “trovalavoro”. La
differenza nell’impostazione tra le varie aree sarà data dallo stile: le
“storie” di vita vissuta degli immigrati dovrebbero avere 1'andamento del
racconto d’autore, non solo della cronaca; le “pagine dal mondo” non
possono essere pagine di politica estera come quelle che troviamo
normalmente nei quotidiani e nemmeno esaurirsi in “notizie da casa”.
“La pagina dovrebbe essere impostata su un testo che, partendo da un
fatto, dia il senso preciso di quanto di importante, in quella settimana, è
avvenuto nel mondo. Il testo deve essere coinvolgente, emozionante; per le
pagine di servizio occorre una prosa sintetica, asettica, distaccata; puntano
all'utilità pratica (un giornale che non solo “informa”, ma “serve”) e
dunque devono essere esatte e professionali, le altre devono essere molto
argomentate”. Evidente lo sforzo di coniugare bisogni informativi
differenti: la necessità e l’urgenza di un’informazione utile, di servizio da
parte soprattutto dei lettori di origine straniera; la volontà di tutti i lettori di
informarsi su ciò che avviene nel mondo da una fonte autorevole e
documentata; le storie di vita che sono un’importante fonte di dialogo,
confronto e conoscenza reciproca.
Grande attenzione sarà posta alla scelta della lingua (italiana perché unifica
le varie minoranze ed è necessario impararla per vivere in Italia) come
principale fattore di integrazione, e al linguaggio. Se le parole lasciano
impronte, infatti, è necessario fare attenzione all’uso dei termini: evitare
parole come “extracomunitario”, cautela anche con “immigrato”. Le parole
usate nei testi e nei titoli, inoltre, dovrebbero essere solo quelle di
immediata e facile comprensione: è stato proposto l’uso di un “vocabolario
dei termini permessi” con il correttore automatico che segnali le parole che
non rientrano nella regola (senza che questo costituisca una fonte di
coercizione; l’importante è spiegare i termini più complessi).
Il Passaporto, ovvero “Il settimanale dell’Italia multiculturale” conterrà
inoltre una pagina dedicata alla scuola e ai bambini; sarà prodotto da una
158
redazione formata prevalentemente da collaboratori immigrati; uscirà ogni
domenica e sarà distribuito nelle edicole e nei centri di aggregazione.
159
Conclusioni
Il titolo di questo lavoro ha una connotazione positiva: partendo dalla
constatazione di un dato, quello sulla scorretta rappresentazione dei migranti
nei giornali italiani, che li ha esclusi in passato dalla produzione e dal
consumo di informazione, si arriva alla possibilità di una “partecipazione”.
Partecipazione che spetterebbe ai cittadini stranieri di diritto: per la
molteplicità di leggi anti-discriminatorie e per il principio europeo di
“cittadinanza attiva”, tutti dovrebbero avere la possibilità di essere rispettati
in quanto cittadini, di partecipare alla vita sociale e di poter accedere alla
conoscenza. D’altro canto la conoscenza costituisce uno dei bisogni più
sentiti dagli individui, e quindi anche dagli stranieri in Italia; i quali formano
così un nuovo segmento di potenziali consumatori di informazione.
Consumatori, sì, ma non solo di conoscenza: attualmente sono ancora poco
numerose le aziende che si sono rivolte in modo specifico a tale target e si
concentrano nei settori dell’informazione, della telefonia e delle rimesse di
denaro all’estero. Sarà interessante osservare che cosa accadrà quando le
forze economiche più attente si interesseranno a questo nuovo gruppo di
consumatori e possibili clienti in costante aumento.
Sarà interessante anche vedere come, in futuro, sarà risolta l’evidente
contraddizione presente tra normativa antirazzista e pratiche discriminatorie
consolidate e date per scontate. Si dice che in Italia viga una sorta di
“razzismo di secondo livello” che non si esplicita cioè in azioni violente ed
esplicite aggressioni, nella maggioranza dei casi, ma in un clima di paura o
pregiudizio per tutto ciò che appare “diverso”, come ha ironicamente
descritto il già citato Kossi Komla-Ebri nel suo Imbarazzismi [2002]. Nel
caso dei mass media, si è visto come questo tipo di razzismo passi dall’uso
di una terminologia sciatta e offensiva alla tematizzazione
dell’immigrazione come pericolo e fonte di problemi, soprattutto riguardanti
la sicurezza (nazionale e personale).
Si è visto però anche che, nonostante gli immigrati, come gruppo,
continuino a essere rappresentati in modo scorretto dai giornali, la
situazione sta cambiando rispetto al passato. Nelle redazioni dei giornali
“tradizionali” lavorano anche cittadini di origine straniera, come la
160
giornalista Nacera Benali per il Messaggero o Fouad Khaled Allam per la
Repubblica. Si tratta di casi isolati, per adesso, ma compensati dalla grande
quantità di pubblicazioni etniche e multiculturali, di cui si è parlato nel
quarto capitolo, che impiegano nelle proprie redazioni molti professionisti
immigrati. La stampa “etnica” è una novità nel panorama mediatico italiano
e, sebbene si trovi ancora in una fase iniziale di sperimentazione e
orientamento, esistono già grandi gruppi editoriali che ne hanno colto il
potenziale e che stanno sviluppando dei prodotti sempre più consoni al
target di riferimento. La stampa “multiculturale” appare invece sospesa tra
informazione e intento pedagogico e non ha ancora trovato una sua forte
identità, nonostante le iniziative siano ormai numerose. Due grandi gruppi
editoriali, cioè Stranieri in Italia e Repubblica/Kataweb, stanno entrambi
progettando l’uscita di un giornale multiculturale a diffusione nazionale, in
lingua italiana; sarebbe la prima volta per l’Italia, e sarà interessante vedere
il risultato e la reazione dei lettori. L’eventuale successo, anche
commerciale e a livello nazionale, di pubblicazioni rivolte a un pubblico
misto significherebbe il passaggio dalla pura multiculturalità (termine con
cui si dovrebbe indicare un mero dato di fatto, cioè la presenza in un Paese
di più culture) a una vera interculturalità. Il successo, cioè, di un progetto di
integrazione e scambio di risorse reciproco e paritario tra le parti.
.
161
Appendice documentativa
Questionario inviato a tutte le redazioni delle testate censite
Spettabile redazione di “….”,
sono una laureanda in Scienze della comunicazione presso l’Università di
Bologna e sto preparando una tesi sulla stampa multiculturale. A questo
proposito ho già accennato nel mio studio alla vostra esperienza ma mi
sarebbe utile poter aggiornare alcuni dati. Qui di seguito elenco le
informazioni di cui ho bisogno per completare la scheda sul vostro giornale.
Se vorrete compilare il mio questionario ciò mi sarà
utilissimo ai fini della completezza della mia ricerca, e per dare
visibilità a questo nuovo modo di fare informazione.
• Nome del direttore editoriale:
• Nome del direttore responsabile:
• Nome del caporedattore e sua nazionalità:
• Editore:
• Da quanti collaboratori è composta la redazione? Che formazione
hanno? (facoltativa) sono retribuiti?
• Anno di fondazione:
• Periodicità:
• Formato:
• Numero di pagine:
• Prezzo di copertina:
• Lingua utilizzata:
• Tiratura:
• Diffusione:
• Temi trattati:
• Fonti (ex. agenzie stampa, lettere dei lettori, comunicati stampa....):
• Criteri di rilevanza nella scelta delle notizie:
• Eventuale sito web:
162
• Finanziamenti/pubblicità (è affiliato alla concessionaria
Etnocommunication?):
Vi ringrazio per l’attenzione. Cordiali saluti
Irene Romano
163
Intervista a Stephen Ogongo, caporedattore di Africa News e
segretario di redazione di Stranieri in Italia. Roma, martedì 17
maggio 2005.
La sede del gruppo Stranieri in Italia si trova nel quartiere EUR di Roma,
in mezzo a caseggiati e campi incolti, al primo piano di un palazzo elegante
e quasi blindato, sede anche di altre aziende. Sulle pareti all’entrata
campeggia il logo del marchio ISI Etnocommunication. Ad accogliermi
trovo Stephen Ogongo, giornalista di origine keniota che vi lavora da tre
anni, da quando le riviste realizzate erano solo due. Mi offre una visita
guidata del posto, un ambiente luminoso in cui convivono le redazioni dei
vari giornali editi da Stranieri in Italia, e mi presenta i caporedattori e le
grafiche. Il clima appare rilassato ma mi avvertono che la settimana
prossima non sarà così tranquillo perché avranno la chiusura di tutti i
mensili. In bacheca una copia della pagina del Venerdì di Repubblica
dell’aprile 2003, quella in cui c’è l’articolo sulla stampa etnica con la foto
della loro redazione. Stephen mi offre un caffè e racconta dei suoi studi di
giornalismo in Kenya e della differenza che esiste tra l’ambiente
universitario e quello della redazione di un quotidiano (vi ha lavorato
prima di partire per l’Italia): “È completamente diverso, hai troppe cose da
imparare, e in fretta”. Poi mi regala gli ultimi numeri di tutte le testate di
Stranieri in Italia.
Stephen, quali sono le mancanze dei giornali tradizionali italiani?
Dai giornali italiani mainstream non si riesce a sapere molto di quello che
succede negli altri paesi del mondo; quasi il 90% delle notizie è relativa
all’Italia, il resto agli Stati Uniti o, in questi anni, a quanto accade in Iraq.
Manca l’informazione internazionale. Manca anche l’informazione sugli
immigrati: anzi c’è, ma non è quello che dovrebbe. So che nel giornalismo il
negativo fa la notizia, certo, ma nella realtà esiste anche il positivo. I
giornali dovrebbero aiutare i loro lettori a comprendere che gli immigrati
fanno parte di questa società, la aiutano nella sua crescita economica e
anche culturale. Potrebbero giocare un ruolo importante nel promuovere la
tolleranza, l’integrazione: quando gli italiani riusciranno a capire che gli
immigrati contribuiscono a sostenere, ad esempio, il sistema pensionistico,
allora ci penseranno due volte prima di dire che “gli immigrati vengono qua
164
a rubare il lavoro”. È una sfida necessaria a costruire un’Italia
multiculturale; i media hanno il compito di favorire questo processo.
È mai successo che i giornali italiani vi utilizzassero come fonti?
Sì, il nostro sito e i nostri redattori sono diventati fonti molto importanti per
alcuni giornalisti italiani che coprono il fenomeno dell’immigrazione, a
volte ci chiamano per avere un consiglio su come affrontare certe tematiche;
piano piano, stiamo diventando un punto di riferimento, una realtà
affermata, degli “opinion leaders” di questo settore.
Come scegliete i temi da trattare nelle vostre pubblicazioni?
La parte più importante è quella relativa alla guida sulle leggi italiane
sull’immigrazione; di solito gli immigrati che arrivano qui hanno bisogno di
sapere come fare una domanda per il permesso di soggiorno, quali sono i
documenti richiesti per questo tipo di domanda, ma anche come ottenere la
patente di guida o accedere al mutuo; allora i nostri legali ogni mese
preparano una guida completa su un argomento diverso.
Questa guida viene pubblicata uguale su tutti i giornali?
Sì, la parte della guida viene pubblicata in tutte le nostre testate nelle diverse
lingue. All’inizio di ogni mese facciamo una riunione di redazione con tutti i
nostri caporedattori e in quella riunione stabiliamo quali articoli preparare
per tutte le testate, secondo le lettere che riceviamo dai lettori (io ad
esempio ricevo in media cento e-mail al giorno) e dalle chiamate che fanno
soprattutto al nostro call center, ai nostri legali. L’argomento di ogni
chiamata viene annotato, così vediamo che cosa chiedono di più in quel
determinato mese: cerchiamo di fare una guida proprio su quell’argomento.
La guida la preparano i nostri avvocati, di solito sono due-tre pagine tradotte
poi nelle varie lingue dai nostri collaboratori. Oltre a questo spazio di
consulenza legale abbiamo due pagine di notizie italiane; infatti è molto
difficile seguire le notizie italiane dai giornali italiani, soprattutto se non sei
italiano perché ti manca quello che in inglese si chiama background,
quell’informazione che aiuta a capire di cosa si sta parlando. Di solito i
giornalisti italiani pensano che tutti sappiano già chi è per esempio
Berlusconi; noi cerchiamo ogni volta di fare un riassunto di tutte le cose
importanti che sono successe nel mese, scrivendole in modo così semplice
che anche chi non è mai stato in Italia prima e prende il giornale riesce a
165
capire di che cosa si sta parlando. A volte si parla del “Mezzogiorno” ma
che cosa è il Mezzogiorno? Allora nei nostri giornali cerchiamo di spiegare
anche questi termini così chi li sente ha un’idea di cosa si sta trattando.
Questo lo facciamo anche per aiutare a promuovere l’integrazione, perché
essa avvenga è importante per i migranti sapere che cosa succede in Italia.
Che cos’è per voi l’integrazione? Cosa intendete con questa parola?
Di solito quando si parla di integrazione si pensa a quel processo per cui chi
viene da fuori deve inserirsi nella comunità d’accoglienza e adeguarsi ai
modi di vivere, ma secondo noi è un processo di “incontro” in cui le due
culture diverse in qualche modo si trovano insieme e da lì nasce una nuova
cultura che non è quella che c’era prima ma un tipo di cultura “ibrida”,
meticcia.
Quindi non un’integrazione intesa secondo il modello francese, come
“assimilazione”…
Esattamente, è piuttosto un dialogo che porta alla nascita di culture nuove.
Il fatto che i giornali siano in lingua potrebbe rivelarsi una forma di
ghettizzazione?
Sì, ma bisogna pensare che il nostro è solo un primo passo: prima di tutto
bisogna “conoscere se stessi” prima di conoscere “l’altro”; gli immigrati in
questo momento in Italia hanno ancora bisogno di conoscere molte cose per
potersi integrare nella società italiana. Detto chiaramente, se non hai un
documento, non sei nessuno. Per adesso cerchiamo di aiutare i migranti a
superare queste prime difficoltà, ma abbiamo in progetto di lanciare un
giornale in italiano. Lo stiamo ancora studiando, ma sicuramente lo faremo
e sarà uno spazio di scambio e dialogo tra immigrati e italiani, di confronto
fra le due realtà e conoscenza reciproca.
I redattori saranno italiani o immigrati?
Inizieremo con i redattori stranieri che lavorano già presso di noi, che
scriveranno in italiano, più altri giornalisti italiani. Sarà una nuova attività
che permetterà a noi di capire la realtà italiana ma anche a voi di capire cosa
vediamo e viviamo noi.
Quindi dai giornali etnici a un giornale multiculturale. Ma prima di
realizzare una nuova rivista fate uno studio sulla comunità cui è
destinata?
166
Sicuramente: infatti di solito i nostri giornali nascono dalle esigenze di
quella comunità; arriviamo quando scopriamo che c’è una comunità che non
ha un proprio mezzo di comunicazione, ed è una comunità grande. Ad
esempio il nostro ultimo prodotto, nato quest’anno, è Bulgaria Express,
perché quella dei bulgari è una comunità grande ma fino a qualche mese fa
non aveva un mezzo di informazione specifico. Di solito rispondiamo a
quest’esigenza, quando i lettori o i membri di una comunità ci fanno capire
che ne hanno bisogno, telefonandoci o scrivendo e-mail o attraverso il sito
che è in italiano. Il sito è in italiano perché così riusciamo a condividere con
tutti la nostra esperienza, quello che viviamo nel nostro lavoro.
Non fate ricerche di mercato?
No, perché i nostri giornali non hanno l’obiettivo di essere venduti per fare
un guadagno, non ci interessa molto l’aspetto della vendita dei giornali, ci
interessa di più il servizio che riusciamo ad offrire alla comunità.
Ovviamente facciamo uno studio per sapere in quale città c’è un’alta
popolazione di una certa comunità, quali sono gli argomenti che interessano
maggiormente, perché ogni gruppo ha bisogni informativi differenti. È per
quello che i nostri giornali hanno contenuti abbastanza diversi, ma più o
meno ci sono sempre le pagine comuni come le notizie italiane e le guide.
Ogni giornale ha inoltre un paio di pagine sulle notizie più importanti dai
paesi d’origine. Un’altro aspetto molto importante di tutte le nostre testate è
la presenza di notizie sulla “vita della comunità”, ogni giornale ha infatti tre
o quattro pagine che raccontano la vita della comunità in Italia.
Raccontiamo le cose che di solito non trovi nei giornali importanti: il
matrimonio di qualcuno, il battesimo, una morte, uno scandalo, i problemi
che nascono e i tentativi di risolverli. È uno spazio che dà alla comunità la
possibilità anche di fare autocritica, se serve.
Allora non cercate di dare solo un’immagine positiva della comunità.
No, parliamo anche dei fatti negativi se è il caso, per fare capire che quello
non è il modo giusto di agire; non nascondiamo le cose negative, ma ne
parliamo ma in modo diverso: non diciamo semplicemente “tizio ha fatto
ciò” e basta, ma cerchiamo di capire anche perché l’ha fatto e in che modo si
può evitare di ripeterlo. È uno spazio per riflettere.
167
E poi ci sono le pagine finali di intrattenimento: giochi, cruciverba, a
volte battute. E l’oroscopo, è lo stesso per tutte le riviste?
Assolutamente no. Tutto è diverso a seconda dei giornali. Abbiamo
l’intrattenimento, dall’informazione sulle novità discografiche dei nostri
musicisti ai gossip, allo sport… tutte cose che non si trovano facilmente
nella stampa italiana. E le lettere dei lettori, anche se ce ne sono tanti che
preferiscono chiamarci per telefono.
C’è un’attenzione particolare verso le donne?
Questo dipende dalla comunità di riferimento. Ci sono comunità che hanno
più donne che uomini, come quella filippina, in quei casi cerchiamo di avere
una pagina intera (o più) a loro dedicata.
In base a quali criteri sono stati scelti i collaboratori di Stranieri in
Italia?
L’elemento più importante in questo campo è l’interesse che uno ha per fare
questo tipo di giornali. È importante la preparazione, ma il giornalismo è
uno di quei mestieri in cui non serve neanche studiare, mi sto rendendo
conto che è inutile avere studiato giornalismo! È una professione aperta a
tutti, in teoria.
I vostri redattori sono iscritti all’Ordine dei giornalisti?
Qualcuno sì. Ci sono gli elenchi speciali per gli stranieri. Ci sono anche
giornalisti italiani che lavorano per noi, loro scrivono sul sito ma alcuni
articoli a volte sono ripresi dalle riviste. Il direttore responsabile è sempre
un italiano, ovviamente. Direttrice editoriale delle testate, invece, è quasi
sempre Federica Gaida.
Come rispondete a chi vi accusa di voler costruire un monopolio della
stampa etnica, di aver comprato delle testate indipendenti e di averne
licenziato i collaboratori?
In alcuni casi, quando veniamo a sapere che c’è un giornale importante per
la comunità che non riesce ad andare avanti, interveniamo: abbiamo giornali
con cui c’è un rapporto di collaborazione offrendo loro le pubblicità, così
che possano sostenersi, come Echo News; altri li abbiamo comprati. Ma
voglio chiarire che non abbiamo mai licenziato nessuno, siamo molto
orgogliosi di questo: è una nostra politica interna di non farlo mai. Abbiamo
avuto casi di persone che hanno fatto cose anche gravi ma noi crediamo
168
nelle persone e crediamo che tutti possono sbagliare, che tutti meritano di
avere l’opportunità di crescere. Poi noi non cerchiamo di monopolizzare il
settore. Questo è un campo aperto, ognuno può provare: se riesci, va bene,
se non riesci, mi dispiace per te. In Italia ci sono tantissimi quotidiani; ci
sono quelli che nascono e poi non riescono a sopravvivere e muoiono, ma
questo non vuol dire che quelli che sopravvivono cerchino di monopolizzare
il settore. Devi avere un contenuto: se non hai quello, non riuscirai mai. Ed è
il contenuto la nostra forza. Inoltre ci sono persone che creano giornali solo
per avere il proprio nome stampato da qualche parte, succede anche in
questo settore. Nel giornalismo succedono cose molto strane! Se sei bravo e
sai come muoverti, riesci, altrimenti soccombi. A noi fa anche piacere che ci
siano altre iniziative in questo campo, perché ci spinge a non dormire, è
rischioso non avere nessuno con cui confrontarsi, con cui competere: ti
spinge a migliorare, ad aggiornarti.
In che rapporti finanziari stanno Stranieri in Italia ed
Etnocommunication?
Nessuno possiede l’altro, sono completamente diverse. Etnocommunication
è una concessionaria pubblicitaria, che cerca di trovare pubblicità che
aiutano a sostenere le nostre testate, ma si occupa anche di pubblicità per
altre testate. Direi che sono sorelle. Appartengono alla stessa famiglia.
Avete aperto un altro portale, sulla stessa linea editoriale di
stranieriinitalia.it, in Francia e in Spagna. Avete delle redazioni anche
all’estero?
Ora abbiamo una redazione in Francia, ma all’inizio lo preparavamo a
Roma. Il sito spagnolo lo facciamo ancora qui. Inoltre, a proposito di estero,
dal mese prossimo [giugno 2005, nda] lanceremo altre sei testate che
verranno distribuite in quasi tutti i paesi europei d’immigrazione: Spagna,
Grecia, Svezia, Danimarca, Portogallo, Francia, Germania, Inghilterra...
Giornali che esistono già in Italia come Africa News, ma di cui verrà fatta
una versione specifica per altri paesi europei. La guida alle leggi e le notizie
italiane non ci saranno, sostituite dalle notizie dei vari paesi europei.
Saranno prodotte qui a Roma ma naturalmente avremo dei corrispondenti
negli altri paesi.
Quali sono le maggiori difficoltà che avete incontrato in questi anni?
169
Forse l’incapacità (o l’impossibilità) di coprire tutte le notizie che
vorremmo. Abbiamo la fortuna di collaborare con i capi di molte
associazioni che ci informano spesso su eventi e manifestazioni, ma non
possiamo essere presenti a tutto.
Non avete mai temuto che gli immigrati preferissero informarsi dalla
stampa estera piuttosto che con i vostri giornali?
No, anche perché la parte più importante delle nostre testate è la guida,
come ti dicevo prima, che non troverai da nessuna altra parte, perché è
questo il nostro valore aggiunto. Non puoi immaginare la sofferenza che un
migrante prova quando va in un ufficio italiano, come la questura, a
chiedere: per favore, mi dici cosa mi serve per questo documento? Solo per
arrivare a fare questa domanda deve fare una fila incredibile, che può durare
parecchie ore. E poi il giorno dopo torna con i documenti e un altro
funzionario gli dice che manca ancora qualcosa. Non è malafede, è
mancanza di informazioni anche all’interno della burocrazia italiana. Noi
cerchiamo di risparmiare questo tipo di fatiche alle persone, indicando
chiaramente tutte le procedure necessarie.
170
Intervista a Esan Sylvester Ehrumusele, direttore editoriale di
Africa Web, Roma, 17 maggio 2005.
La sede della rivista Africa Web è la stessa dell’agenzia di comunicazione e
organizzazione di eventi di proprietà di Esan Sylvester Ehrumusele. Il
pomeriggio dell’intervista vi si svolge anche un casting per una
manifestazione che si terrà il sabato successivo a Teramo, per promuovere
un nuovo marchio di cosmetici. Esan Sylvester contemporaneamente
risponde alle mie domande e sceglie le modelle per la sfilata.
Come concilia la sua attività di promozione di eventi con quella
giornalistica legata alla rivista?
Sono utili l’una all’altra. Nella rivista promuoviamo i prodotti e gli eventi
con la pubblicità; nel corso delle serate, nelle feste che organizziamo noi
facciamo conoscere il giornale, attiriamo l’attenzione e magari riusciamo a
ottenere degli abbonamenti, o degli sponsor: dipende da loro, infatti, il
numero di pagine che riusciamo a stampare di volta in volta.
Che cosa pensa del modo in cui i cittadini immigrati sono rappresentati
dalla stampa italiana?
Sabato scorso qui a Roma c’è stato un convegno su immigrazione e
comunicazione organizzato dal Comune di Roma, con la partecipazione di
giornalisti italiani e stranieri. Sul rapporto tra media e immigrazione, io
credo che i media esagerino spesso. I giornali scrivono certe cose per
vendere; se parli ad esempio di un albanese “buono” stai sicuro che non lo
leggerà nessuno. L’informazione cattiva è sempre informazione, certo, ma
rovina la realtà.
E voi cercate di instaurare un rapporto di collaborazione (o altro) con
la stampa italiana?
Sì, stiamo cercando di avere rapporti con il resto della stampa ma siamo
forse un po’ troppo piccoli. Stiamo inoltre sviluppando un sito web anche su
questa questione; è stato già lanciato in flash. Anche perché la carta
stampata è a rischio; se ci sarà Internet potremo continuare a lavorare come
portale.
Chi fa parte del pubblico di “Africa Web”?
171
La rivista ha lettori naturalmente di origine africana, che magari non sono
ancora abituati o non hanno la possibilità di informarsi da Internet. Per
questo spesso le nostre fonti sono agenzie on line come il sito
www.allafrica.com.
172
Intervista a Francesco Bernabini – coordinatore della redazione
di Città Meticcia. Ravenna, Centro Immigrati del Comune, 16
maggio 2005.
Mentre aspetto che arrivi l’ora dell’appuntamento per l’intervista, siedo
sulla scalinata di una chiesa di cui ignoro il nome, prendendo il sole. Di
fronte a me, il Giro d’Italia che proprio oggi fa tappa a Ravenna, biciclette,
radio locali, ambulanti che vendono ogni tipo di gadget, bambini con i
genitori. E un gran numero di persone, tra cui molti stranieri. In maglia
rosa.
Signor Bernabini, come è nata l’idea di Città Meticcia?
Siamo all’undicesimo numero, quindi abbiamo cominciato nel giugno 2003.
È un progetto nato all’interno dell’Associazione di Volontariato Città
Meticcia di cui faccio parte, creata nel 1998 per occuparsi di immigrazione:
favorire l’inserimento dei migranti nel territorio, creare momenti di dialogo,
di scambio e anche lavorare con le fasce più disagiate, dalle ragazze madri
alle prostitute. Poi abbiamo sviluppato anche discorsi di natura culturale.
L’associazione è nata da un gruppo di operatori nel settore e anche di
volontari sia italiani sia stranieri: operatori del Centro Immigrati e dello
Sportello Immigrati del comune, mediatori culturali, operatori dei servizi
sociali più vari volontari; anche perché attraverso l’associazione volevamo
fornire dei volontari per potenziare i servizi pubblici: alcuni hanno
partecipato, soprattutto all’inizio, all’unità di strada di riduzione del danno
rivolto a prostitute. Poi abbiamo lavorato moltissimo con le donne per
creare percorsi di autonomia, di emancipazione, di formazione e
alfabetizzazione. Nel 2001 ci è stata finanziata dalla Regione Emilia
Romagna la possibilità di aprire un’emeroteca, all’interno della Casa delle
Culture (centro di documentazione sull’immigrazione del Comune) con
giornali da tutto il mondo, che è diventato un luogo “meticcio” utilizzato
dalle persone per informarsi ma anche incontrarsi e inserirsi nel tessuto
sociale. Dai membri dell’associazione che lavoravano allo sportello è nata
l’esigenza di produrre anche del cartaceo. Già lavoravamo sul trattamento
dell’informazione come strumento per promuovere i diritti degli immigrati,
partendo dal presupposto che una corretta informazione è anche un modo
perché gli immigrati possano accedere ai diritti. Non ci siamo mai limitati a
173
rispondere alle domande di chi veniva allo sportello ma promuovevamo
l’informazione.
Che cosa intende con l’espressione “promuovere l’informazione”?
Nel senso che se esce una legge nuova, un bando, una procedura nuovi li
pubblicizziamo, magari mandiamo le lettere a casa dei residenti immigrati,
tradotte in più lingue. Abbiamo pensato, a un certo punto, di dare a questa
esperienza una struttura in un giornalino, nel 2001 abbiamo iniziato ad
autoprodurre un piccolo giornale, stampato e fotocopiato in 1000 copie e
quello è stato il primo momento in cui davamo delle notizie in multilingue.
Poi la Regione Emilia Romagna ha fatto uscire dei bandi sulla
comunicazione interculturale…
È stato allora che abbiamo presentato un progetto per vedere di fare un
giornale “vero”: nel 2002 ci è stato approvato e grazie a questo
finanziamento abbiamo iniziato a fare questo giornale in cui continuiamo a
fare il nostro lavoro di promozione dell’informazione in più lingue proprio
per fare avvicinare gli immigrati anche alla pubblica amministrazione.
Quanti immigrati ci sono a Ravenna?
I residenti (che naturalmente sono meno dei presenti effettivi) fino al 2004
erano 8423 con una crescita di 1200 in un anno. È una crescita corposa
considerando che è un comune di 150mila abitanti. La prima nazionalità è di
gran lunga l’albanese, seguita da senegalesi, rumeni e macedoni. Nei
comuni dell’entroterra sono più presenti i marocchini, che lavorano molto
nelle campagne.
Come tratta la stampa locale il tema dell’immigrazione?
Il problema della stampa è molto dibattuto ultimamente. È un problema,
perché negli anni Novanta in particolare è stato il principale strumento che
ha fomentato l’allarmismo rispetto alla sindrome da invasione o rispetto alla
microcriminalità degli immigrati. E quindi è rarissimo che la stampa affronti
la questione dell’immigrazione se non sotto l’aspetto della sicurezza che è
una questione assolutamente, invece, marginale rispetto al panorama che è
fatto di cultura, è fatto di diritti, è fatto di lavoro e di cose quotidiane. La
criminalità riguarda poche persone solo che sono visibili perché son diverse,
etichettabili facilmente. La sindrome da invasione con i barconi che
arrivano: perché non vedere anche le cause? Bisogna dire che le frontiere
174
della “fortezza Europa” sono chiuse e l’unico modo di arrivarvi spesso è con
i barconi e che in mare muoiono centinaia di persone proprio perché è
difficile entrare in Europa. La stampa nazionale ha quindi toccato in
maniera superficiale e distorta la tematica dell’immigrazione, salvo poche
eccezioni. La stampa locale ha fatto danni di altra natura perché è quella che
ha fomentato di più l’allarmismo rispetto alla microcriminalità: i furti negli
appartamenti, la violenza, le risse tra immigrati, lo spaccio ecc. C’è negli
ultimi anni una controtendenza (nella stampa locale, perché quella nazionale
è molto indietro così come la politica nazionale rispetto alla politica locale)
per cui si comincia a parlare dell’immigrazione anche in chiave positiva,
anche perché si sono moltiplicate iniziative multiculturali come questa del
giornale e poi festival, feste, rappresentanza degli immigrati. Ma si continua
a sbattere in prima pagina il marocchino che spaccia, l’extracomunitario che
violenta. Sono parole che pesano come macigni sull’identità delle persone.
Parliamo di Città Meticcia: il giornale è diviso a metà, c’è una sezione
in italiano e un’altra in più lingue.
L’apertura è solitamente su un tema – questo bimestre per esempio è sul
tempo libero - sviluppato in due o tre articoli. Da pagina 3 offriamo
informazione di servizio, aggiornamenti sulla normativa, ad esempio in
questo numero parliamo dei ricongiungimenti familiari, del bando per i
contributi per l’affitto, un bando per l’autocostruzione, varie tematiche.
Questa serie di notizie in italiano viene tradotta prima in inglese, poi
francese, albanese, rumeno (che si alterna al russo). Nel resto del giornale
invece cerchiamo di portare avanti un discorso di un altro tipo, in linea con
il lavoro dell’associazione: il dialogo con tutta la cittadinanza, quindi è
rivolto molto anche agli italiani. C’è un articolo di commento, che ha un
taglio da piccolo saggio di approfondimento su alcune tematiche, per
esempio in questo caso erano i problemi che toccano i minori immigrati.
Infine la pagina culturale che affronta tematiche legate alla musica, al teatro,
letteratura.
Qual è la vostra linea editoriale, quindi?
Un’informazione che cerchi di andare contro l’informazione classica che ti
passano i mass media, e che purtroppo ha creato dei danni rispetto alla
possibilità di creare una convivenza civile nella società tra nuovi arrivati e
175
italiani. Vogliamo affrontare le tematiche legate all’immigrazione in
maniera più articolata possibile, approfondita, cercando di fare emergere
diversi punti di vista. Ci preme fare dell’approfondimento anche per
decostruire gli stereotipi, andare contro ai luoghi comuni e promuovere
un’immagine diversa dell’immigrazione. E in particolare mettere in primo
piano la soggettività del migrante: quindi immigrato non più come categoria
stigmatizzata (“gli albanesi”, “gli extracomunitari”) ma dando loro dignità
come persone, come individui portatori di diritti e problematiche ma anche
di ricchezza culturale ed economico. È la soggettività che ci interessa: poi
da questa naturalmente si affrontano temi di carattere generale, il problema
del lavoro, ad esempio, riguarda anche tanti italiani.
I collaboratori sono tutti volontari dell’associazione?
Chi scrive è anche membro dell’associazione ma abbiamo fatto un lavoro
fin dall’inizio cercando di coinvolgere persone interessate al progetto, in
particolare immigrati interessati a scrivere, e qui tocchiamo anche il tema
dell’autorappresentazione dei migranti, puntando anche a valorizzare delle
competenze di solito rimaste inespresse in Italia. Ad esempio Angelica
Morales, che in questo numero ha scritto l’articolo di prima pagina, è una
donna che fa l’infermiera in Italia mentre in Perù era giornalista, e lei non è
un membro dell’associazione, è venuta dopo: la struttura è aperta a tutti
coloro che vogliano contribuire. I collaboratori sono retribuiti.
Che tipo di finanziamenti avete?
La pubblicità dà un introito in minima parte, che non è neanche il nostro ma
di Ravenna e dintorni, ed è veramente irrisorio: 500/700 euro a numero,
considerando che il progetto ci viene a costare sui 30000 euro l’anno. La
metà lo spendiamo nella fotocomposizione, stampa e distribuzione. I
finanziamenti partono sempre dalla Regione perché i fondi della 286 a
livello nazionale passano dalla Regione; da quest’anno ci viene erogato
principalmente dai piani di zona provinciali per una parte; l’altra parte
direttamente il comune di Ravenna. Il canale diretto della Regione non
esiste più perché non ha più fatto uscire bandi su questo tema a livello locale
ma l’anno scorso è uscito un bando per progetti di questo tipo
interprovinciali. È un giornale gratuito che non chiede contributi ai privati,
ma ne riceviamo come associazione.
176
Che distribuzione ha Città Meticcia?
È distribuito porta a porta e stiamo potenziando la distribuzione in
dispenser, in raccoglitore presso supermercati, agenzie immobiliari,
farmacie e uffici pubblici: anagrafe, informagiovani ecc. Abbiamo scelto di
fare una partnership tecnico-commerciale con un editore per due motivi:
risolvere il problema della distribuzione che è un costo, quindi noi usciamo
ogni due mesi in allegato al settimanale “Ravenna e dintorni”. Siamo
stampati in 5000 copie, di cui 4500 escono nei dispenser appunto con
Ravenna e dintorni e 700 le teniamo per una distribuzione mirata noi;
addetti ai lavori, associazionismo, luoghi tipici come il Centro Immigrati del
Comune, sindacati, questura, negozi di immigrati (call center, alimentari).
Ricevete un feedback di qualche tipo dai lettori? (commenti, lettere,
telefonate…)
L’anno scorso c’era la rubrica della lettere ma erano missive che venivano
da soggetti istituzionali: il presidente della tale associazione, il membro
della rappresentanza degli immigrati… che esprimevano il loro parere su
alcune questioni. I lettori ci scrivono poco, ma mi hanno detto che è
normale: mi sono confrontato anche con i giornalisti locali e mi dicono che
la gente non è abituata a scrivere ai giornali, spesso anche le lettere ai
quotidiani sono fasulle! Altre volte no, ci scrivono ogni tanto, e la cosa
buffa è che ci contattano italiani per chiederci della consulenza legale, su
questioni tecniche: “ho un amico rumeno che…”, “sono sposato con una
cittadina polacca” oppure “il mio ragazzo è marocchino” “voglio far venire
un lavoratore dall’Albania”… via e-mail ci arriva questo tipo di quesiti. Le
risposte in genere le conosciamo perché siamo ormai esperti di questo
settore, ma abbiamo anche uno studio legale a cui ci appoggiamo. Poi alcuni
quesiti ci giungono da immigrati e altri ci hanno scritto per farci i
complimenti o mandarci dei loro pensieri, tracce autobiografiche. Mi
sembra quindi che il giornale sia apprezzato.
177
Intervista a Pier Luigi Grazia, redattore de “Il Sofà”. Bologna, 31
maggio 2005.
Il colloquio si svolge dentro la Sala Icaro di via Santo Stefano 43, presso la
sede dell’agenzia di comunicazione Moneypenny srl che stampa (anche) Il
Sofà. Ho un appuntamento con Simona Artanidi, direttore responsabile
della rivista, che dopo essersi informata sull’andamento della tesi mi
suggerisce di parlare con Piero Grazia, uno dei fondatori del Sofà ed
esperto di immigrazione.
Signor Grazia, mi diceva Simona Artanidi che il giornale nasce come
organo di un’associazione di cui lei è membro.
Sì, faccio parte di varie associazioni di volontariato che fanno capo al
CEFA, il centro europeo di formazione agricola, tra queste c’è la ONG
“Progetto Marocco”. È una ONG che ha dato il via anche al progetto del
giornale. Siamo all’interno dei problemi dell’immigrazione e di quanto ne è
cornice.
Come siete arrivati alla decisione di fondare un giornale?
È stato quando ci siamo resi conto che mancava per Bologna e provincia un
giornale che trattasse tali tematiche; so che c’è Piazza Grande ma è un
giornale di strada che si rivolge però solo ai casi di criticità. La nostra
intenzione era creare un punto di riferimento per gli emigrati presenti in
città, che sono in continuo aumento. La nostra associazione “Progetto
Marocco” non è rivolta solo ai marocchini, ma è per tutte le realtà di
extracomunitari presenti a Bologna, compresi gli americani e i giapponesi!
Abbiamo dato maggiore attenzione al Marocco perché è una delle
nazionalità più presenti in città, ma anche perché stiamo lavorando in
Marocco: stiamo creando delle strutture che possano permettere ai
marocchini di venire a imparare in Italia e poi tornare al loro paese. Questo
modo di aiutarli non è la beneficenza, ma coinvolgimento e
responsabilizzazione. Questi programmi che noi sviluppiamo, e il giornale è
solo una punta di tutto questo, li realizziamo in alcune delle zone più
povere, molto lontane dalle zone ricche del turismo; abbiamo creato delle
strutture per fare dei piccoli laboratori di sarti, per l’impiego delle donne;
abbiamo creato delle piccole fattorie per l’allevamento degli animali da
cortile per poi rivenderli; stiamo lavorando per far lavori di potabilizzazione
178
delle acque, interventi legati sia alle strutture sia alla formazione. In tutto
questo contesto, abbiamo ritenuto di dare vita al giornale.
Il Sofà, come mai la scelta di un nome simile?
Il titolo è partito dal sottoscritto: le altre proposte erano “il ponte”, “la mano
amica” che però facevano pensare troppo all’assistenzialismo. Un altro ha
proposto “l’Ottomana”, cioè un vecchio divano! Allora meglio “il Sofà”
perché ho visto in questo nome un momento di calore, aggregazione, di
incontro alla pari: su sofà e divani ci si ritrova la sera per parlare,
confrontarsi. Inoltre è un nome che deriva dall’arabo, quindi ha qualcosa di
antico che oggi portiamo a diventare moderno e attuale.
Quali sono gli argomenti ricorrenti in ogni numero? Con che criteri
scegliete i temi da trattare?
Nel giornale trovi informazione di servizio e articoli di costume; storie di
vita, spazio per le donne, indicazioni di quello che si sta facendo nel loro
territorio. È una miscellanea di tante cose; non ha un’impronta politica.
Quando è uscito il primo numero?
Nel 2003, usciva con cadenza quadrimestrale.
Chi finanzia la pubblicazione?
Il giornale è una delle tessere del mosaico del Progetto Marocco. Ci sono
finanziamenti della Fondazione della Cassa di Risparmio, del Cefa stesso, e
dagli ultimi numeri abbiamo anche delle inserzioni pubblicitarie. Un
giornale che può portare un messaggio a una serie sempre più ampia di
immigrati e di aziende gestite da immigrati. Al momento ospitiamo la
pubblicità di un’azienda di infortunistica. Con questa azienda abbiamo
avuto un incontro aperto a tutti e sono venuti i marocchini, extracomunitari
in genere, c’erano anche dei pakistani. È un’azienda che tratta un problema
delicato: il rapporto con le assicurazioni quando devono pagare. Certo
l’azienda non lo fa gratis ma almeno dà informazione su come comportarsi.
Si cerca di dare anche tramite il giornale un’informazione diretta, in modo
tale che questa gente possa sapere come agire.
Il giornale è diretto anche a un pubblico italiano?
Certamente, abbiamo voluto che sia aperto a tutti: infatti nel giornale
scrivono immigrati di varie etnie ma anche italiani. La lingua principale è
l’italiano con degli abstract in inglese e arabo. Vogliamo portare
179
nell’abitudine degli stranieri quella di imparare l’italiano. Cominciamo già a
parlare di seconda generazione; nelle scuole aumenta la percentuale di
bambini non italiani, fra dieci anni saranno moltissimi i marocchini, ad
esempio, nati in Italia, che magari sanno qualche parola di dialetto
bolognese. Come associazione e come giornale stiamo cercando di tenere
presente ed evitare quegli errori che noi italiani come emigranti abbiamo
subito quando siamo andati in Francia, in Belgio, in America. Quando si
arrivava a Long Island, ci mettevano tutti in una stanza e ci lavavano con un
idrante. L’abbiamo vissuto fino a poco tempo fa. Gli immigrati presenti al
momento in Italia sembrano snaturati, stanno sempre tra di loro, non sono
stati responsabilizzati ancora dal diritto di voto. Noi cerchiamo di
coinvolgere questa gente contro la ghettizzazione, e nello stesso momento
farne conoscere l’esistenza alla cittadinanza bolognese. Io ho lavorato
cinque anni in Comune all’Assessorato alla Sicurezza per la gestione
Guazzaloca. Quando andavo nei campi degli immigrati cercavo di instaurare
un dialogo ma ho sempre trovato diffidenza, mai coinvolgimento: che è
quello che cerchiamo di realizzare con il giornale e gli incontri informativi.
Prima il giornale era edito dall’associazione mentre ora? Fa parte di
Moneypenny?
No, Moneypenny raccoglie il materiale e fa l’assemblaggio e
l’impaginazione; il direttore può intervenire ma tutto nasce
dall’associazione.
I collaboratori sono sempre gli stessi di prima?
Alcuni sì, altri no, in parte se ne sono aggiunti, abbiamo una base di
tre/quattro persone che si allarga ed è aperta ai contributi che arrivano.
Nessuno è retribuito, essendo il giornale di una ONG non possiamo
permetterci questo! Però vediamo che c’è interesse e attenzione nei nostri
confronti quindi proseguiamo su questa strada.
Dove avviene la distribuzione?
È distribuito in tutti i centri sociali, nei centri di ogni Comune della
Provincia e all’Assessorato Politiche Sociali, e in varie associazioni che
rappresentano gli immigrati a Bologna e (meno) a Modena.
Può parlarmi delle vostre prospettive per il futuro?
180
Avremmo l’intenzione di ampliarci, diventare qualcosa di più importante e
conosciuto; aumentare le pagine, aggiungere rubriche. Stiamo aprendo alla
pubblicità ma non sono molti coloro che hanno scoperto questo nuovo ed
enorme, interessante filone del mercato specifico per gli immigrati.
Conviene prepararsi per tempo perché chi per primo si presenta e dimostra
che vuole dare informazione senza strumentalizzare (ché non siamo più ai
tempi di bingo bongo, dell’Africa Nera sperduta di cinquant’anni fa) avrà
seguito. Bisognerà inoltre tenere conto dell’evoluzione delle attività
economiche. Nella nostra associazione ci sono ingegneri, professionisti
qualificati, mediatori di comunità, imprenditori, personaggi che sicuramente
lasciano delle impronte ma anche operai che stanno imparando a fare un
mestiere che nessuno fa più: l’operaio specializzato, richiestissimo dalle
aziende locali. La nostra piccola associazione lavora nella formazione in
Marocco e qui perché gli immigrati ritornino “uomini”. Vogliamo
responsabilizzare gli immigrati ma anche gli italiani, perché si rendano
conto che lo straniero non è solo quello che vende la droga in Piazza Verdi
ma è il cittadino che lavora, risparmia ma non riesce a trovare casa perché
nessuno gliela vuole affittare.
181
Intervista a Claudia Sanchez, direttore editoriale de “El carrete
de la sera”. Milano, 4 giugno 2005.
Ci incontriamo per la prima volta a Firenze, il 27 maggio 2005, in
occasione del Primo Meeting Italiano dei Media Multiculturali: Claudia
Sanchez è insieme a Ramon Tapia, suo marito e co-direttore della rivista.
Scherzano sul mio spagnolo, mi raccontano dell’accoglienza avuta
dall’Italia e di problemi di ordinaria discriminazione.
Quanti sono i cittadini immigrati di origine cilena in Italia? In quali
città si concentrano? Ritiene che essi si sentano parte della più vasta
comunità di persone emigrate dai paesi del Latino America?
So che nella Lombardia, i cileni saranno circa 5.000, come numero ufficiale,
cioè quelli registrati nel Consolato e con le carte a posto. Si sa anche che c'è
un bel numero di altri connazionali non registrati. Sono concentrati nelle
principali città d'Italia, tipo Roma, Napoli, Rapallo, Genova, Trento. Se si
sentano o meno parte di una comunità latino americana faccio fatica a
confermarlo. Sfortunatamente, come in tutte le situazione della vita, a volte
si viene stereotipati o colpevolizzati per quello che fanno gli altri, e direi
che tante volte siamo messi tutti i latino americani nello stesso sacco: così a
volte gli ecuadoregni non vogliono essere considerati peruviani, o i
peruviani cileni, o viceversa... mi spiego? Direi che ho sentito parecchie
volte che “dobbiamo” creare una organizzazione latino americana, per
essere una comunità più forte, però non ci siamo ancora riusciti.
Che idea avete del modo in cui i giornali italiani trattano l'informazione
relativa ai fatti dell'immigrazione in Italia? Ne siete soddisfatti? Può
essere migliorato?
Senz'altro può essere migliorato, anzi deve esserlo. Direi che il “problema” è
che le notizie vengono raccontate dai giornalisti italiani, soggette sempre a
una particolare interpretazione. Tante volte ci è capitato di esser stati
contattati per raccontare la storia della nostra testata, dell'equipe che la
compone e anche se non lo avevamo mai detto, la storia viene collegata ai
fatti dell’11 settembre del 1973, al fatto politico, anche se noi tentiamo di
evitare questa prospettiva perché crea tanta divisione. Credo che ormai noi
immigrati siamo “di moda”, per due ragioni ben precise: o perché ci
raduniamo in eventi come quelli organizzati dal COSPE, che dà conto di
182
quello che fanno gli stranieri, per loro e per le proprie comunità; o per gli
sbarchi in Sicilia, nelle condizioni più estreme di povertà e disperazione.
Come è nata l'idea del Carrete de la sera? Il titolo è chiaramente un
gioco di parole col nome del quotidiano più importante della città, è
stato scelto in maniera provocatoria?
E infatti è un gioco di parole: “Carrete” in cileno (preciso cileno e non
spagnolo) vuol dire “festa, divertimento”, “irse de carrete” vuol dire “fare
un giro”. Quindi il titolo sarebbe traducibile come “la festa della sera”. Non
cerca di provocare nessuno ma di attirare l'attenzione dei cileni che sono
qua.
Il giornale è nato all'interno dell'attività di un'associazione o è
autonomo? Come si finanzia?
È nato parallelamente alla creazione della Associazione Culturale del Cile,
pero è indipendente nella sua gestione. Lavoriamo assieme alla
Associazione, noi diamo loro uno spazio nella rivista, loro ci danno uno
spazio quando ci sono delle presentazioni o eventi. Il mensile si finanzia con
pubblicità di cileni, uno sponsor sempre cileno, il Consolato di Cile a
Milano e il contributo volontario dei lettori.
Quali sono i principali obiettivi che avete in mente nella costruzione del
mensile? (mantenere i legami tra i membri di una comunità, farla
conoscere agli autoctoni, promuovere l'informazione
sui diritti…).
L'obiettivo iniziale era “ricontattarci” col Cile, ricollegarci col nostro
passato. Dopo abbiamo incominciato a incorporare anche gli italiani
affinché conoscessero un po' di più il Cile, scrivendo anche in italiano;
successivamente abbiamo capito che era un dovere informare sui diritti, le
leggi, ecc. avendo sempre l'informazione di prima mano o del Consolato o
dall’Ambasciata cilena a Milano e Roma rispettivamente. In questo
momento, l'idea per il futuro è di ingrandire la rivista e trasformarla nel
mezzo di comunicazione tra le varie associazioni cilene in Italia.
Come scegliete gli argomenti da trattare? Ho notato che è ricorrente il
tema della nostalgia del paese natio e di un passato lontano fatto di
semplicità e affetti.
183
Ci mettiamo d'accordo per trattare un tema diverso ogni mese. I
collaboratori possono esprimersi secondo il proprio parere e su ogni punto
di vista del tema. In generale i temi versano quasi sempre sulle condizioni
nelle quali si vive in Italia come immigrato, la nostra nostalgia del Cile, la
diffusione della nostra cultura nell'Europa, le cose che stanno succedendo in
Cile. Gli argomenti si discutono nelle riunioni dell'equipe, hanno a che
vedere con le notizie del momento, e riguardano i ricordi e le esperienze
vissute al Cile, semplicemente perché quando ti trovi fuori dal tuo paese,
quando hai vissuto da straniero, di immigrato, le cose che prima non
avevano importanza ora ce l'hanno. D'altra parte sappiamo che tanti lettori
un po' avanti con gli anni non hanno accesso a internet e siamo noi il loro
collegamento col Cile.
Chi sono i vostri collaboratori? Che tipo di formazione hanno?
Abbiamo una giornalista professionista (l'unica nell'èquipe)
che corregge i vari articoli dal punto di vista “tecnico”, cioè giornalistico. I
collaboratori fissi sono dieci, quelli variabili cinque-sei sia in Italia, sia
all'estero. La formazione è molto diversa: io sono psicologa, e con me
c'erano altri due psicologi che ormai sono tornati al Cile e collaborano
saltuariamente. Mio marito è chimico, c'è un ragazzo che fa il musicista, gli
altri hanno la formazione del liceo. Contiamo anche con il grafico, la
giornalista cui accennavo prima e un fotografo della LOGOS - azienda di un
cileno a Modena - che ci dà un aiuto vitale come sponsor nella lavorazione
della rivista. Insomma, nessuno ha la formazione di giornalista, soltanto la
voglia per scrivere; nessuno viene pagato, siamo tutti volontari.
Ricevete un feedback di qualche tipo da parte dei lettori? (lettere, e-
mail, telefonate…). Il fatto di dipendere da un'ambasciata influenza il
vostro modo di scrivere?
Certamente lo riceviamo. Tante persone scrivono alle nostre mail, ci
chiamano; in generale sono molto soddisfatti di quello che facciamo anche
se è giusto dire che talvolta qualcuno non è d'accordo su qualche articolo o
su come è stato scritto... tutte le lettere comunque si ricevono, si rispondono
e si pubblicano nel nostro sito. Il fatto della “dipendenza” dal Consolato non
è totale e certamente non costringe il nostro modo di lavorare. Devo dire
con molto orgoglio che sono passati in questi tre anni di vita del Carrete tre
184
consoli diversi e ognuno ha confermato la sua collaborazione con noi. C'è
mutua collaborazione, senza dubbio.
185
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Premio Mostafà Souhir per valorizzare la produzione giornalistica e
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Progetto Melting Pot per la promozione dei diritti di cittadinanza
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Redattore Sociale, agenzia giornalistica quotidiana di informazione sociale
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Rete Europea Contro il Razzismo
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Servizio Immigrati, Profughi e rifugiati della Provincia di Bologna
http://www3.iperbole.bologna.it/immigra/
Il sito degli immigrati che vivono e lavorano nella Provincia di Bologna
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http://www.immigratiabologna.it/index.asp