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UFFICIO PER LA PASTORALE SOCIALE Socio-politico, Lavoro ed Economia, Giustizia e Pace, Salvaguardia del Creato VICARIATO GHISALBA - ROMANO Diocesi di Bergamo Laudato si, mi Signore, per sor’Acqua la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta ACQUA “BENE COMUNE2003 Anno internazionale dell’acqua potabile 1

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UFFICIO PER LA PASTORALE SOCIALESocio-politico, Lavoro ed Economia, Giustizia e Pace, Salvaguardia del Creato

VICARIATO GHISALBA - ROMANO

Diocesi di Bergamo

Laudato si, mi Signore,per sor’Acqua

la quale è multo utile et humileet pretiosa et casta

ACQUA “BENE COMUNE”

2003Anno internazionaledell’acqua potabile

SABATO 4 OTTOBRE 2003 - ORE 9,00

Aula MagnaOratorio di Pagazzano (Bg)

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PROGRAMMA

ore 9,00 SALUTI

ore 9,15 INTERVENTI:Coordina Francesco PoliDirettore Ufficio per la Pastorale Sociale - Diocesi di Bergamo

L’ACQUA DELLA VITAPatrizio Rota Scalabrini Maria Elena BergamaschiApostolato Biblico diocesano

L’ACQUA PROTAGONISTA E LA METAMORFOSI DEL TERRITORIO.Luigi MinutiAssessore Comune di Treviglio

L’ACQUA: BENE COMUNE E DIRITTO PER TUTTILelio PaganiUniversità degli Studi di Bergamo

ore 11.15 Coffee Break.

ore 11,30 INTERVENTI PROGRAMMATI

ore 12.15 CONCLUSIONI

Bouffet con prodotti locali.

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PRESENTAZIONE

Già nella filosofia degli antichi Greci l'acqua, insieme con aria, terra e fuoco, era riconosciuta come uno degli elementi fondamentali che costituiscono il mondo. Essa è infatti elemento essenziale per la vita: per l'uomo e per la natura in generale. Nessun dubbio quindi che l'acqua rappresenti di per sé un bene comune di tutta l'umanità.

Poiché la consapevolezza di quello che con l'acqua si può fare è alla base di ogni cultura, sia in una civiltà agricola come in una industriale e tecnologica, è da sempre inevitabile che chi possiede queste conoscenze cerchi di garantirsi il potere di utilizzare l'acqua come risorsa fondamentale per sé, disposto anche a difenderla in caso di possibili conflittualità.

Inoltre, nella Bibbia l'acqua è vista non solo come "fonte e segno di vita", ma anche come benedizione, e talora come maledizione. In effetti la presenza dell'acqua deve essere caratterizzata da ordine ed equilibrio: maltempo, siccità, ma anche cattiva gestione, possono portare situazioni molto gravi e talora a vere e proprie emergenze.

Anche il nostro tempo sente in modo drammatico l'esigenza di riesaminare con grande attenzione le scelte tecniche e politiche alla base dei progetti di gestione dell'acqua; e questo ai vari livelli, internazionale, europeo, nazionale, regionale, ma anche provinciale e comunale nonché, secondo la nuova filosofia di condivisione territoriale, a livello di aggregazione di singoli comuni.

Come cristiani, senza voler entrare nel merito delle soluzioni e degli approcci oggi proposti, ci sembra comunque indispensabile sottolineare la necessità che l'acqua debba tornare ad essere considerata non come prodotto commerciale bensì come patrimonio di tutti: da condividere, custodire, difendere e salvaguardare come uno dei doni essenziali che Dio ci ha fatto affidandoci il mondo.

Questo convegno, organizzato congiuntamente dall'Ufficio diocesano per la Pastorale Sociale e dal Vicariato di Ghisalba/Romano, vuole rilanciare la questione dell'acqua nel quadro del progetto generale "amministrare la complessità in ottica sociale per il bene comune", nella convinzione che tutta la comunità debba farsi carico della questione del ruolo dell'acqua per la vita e lo sviluppo, nella consapevolezza che il nostro futuro, se lo vogliamo possibile, dovrà essere ineluttabilmente contrassegnato dalla sobrietà.

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INTRODUZIONEdon Francesco PoliDirettore Ufficio diocesano per la Pastorale Sociale

Vorrei aprire questo convegno: Acqua: “Bene comune”, con una immagine e una domanda. L’immagine è quella della fontana collocata nella piazza di un paese; la domanda è questa: che ne è delle fontane pubbliche, una volta così diffuse nei nostri paesi e in parecchie zone italiane come anche in diversi paesi del sud del mondo, dove spesso costituivano anche un punto di aggregazione sociale, ma soprattutto un punto di distribuzione continua d’acqua a costo zero?

- Lo scorso anno, il vertice di Johannesburg ha generato un scontro tra i partecipanti a causa della difficoltà nell’individuare le modalità con cui garantire a coloro che ne sono privi la disponibilità d’acqua pulita. Se infatti è ampiamente riconosciuta la necessità di promuovere un accesso, il più ampio possibile all’acqua, vi sono però profonde divergenze sulle modalità con cui raggiungere tale obiettivo. Esiste infatti il rischio che dell’acqua, della sua funzione, se ne sottolinei esclusivamente la natura di bene economico a scapito di quello sociale/ambientale.

- Sulla spinta della crescente necessità di migliorare l’efficienza nella distribuzione dell’acqua potabile e razionalizzarne il consumo, sembra far leva la posizione di quanti invocano il mercato come strumento essenziale per il miglioramento della situazione. La causa della scarsità d’acqua dipenderebbe soprattutto dalla mancanza di commercio dell’acqua dovuto al fallimento degli Stati i quali avrebbero attuato una politica del costo dell’acqua troppo bassa per gli utenti. Come pure nella prospettiva di introdurla e/o migliorarne l’efficienza della sua distribuzione nei paesi del sud del mondo, è in atto il progetto di affidare ai privati la gestione delle risorse idriche di quei Paesi. Ovviamente chi pone in questi termini la questione dell’accesso all’acqua, non la considera tanto come un diritto fondamentale, di cui ogni essere umano sarebbe titolare, ma solo un bisogno umano tra altri, cui si viene incontro con uno strumento economico più o meno efficace.

- La questione sta tutta nella volontà di percorrere la pista della mera logica economica, con modalità esclusivamente centrate sul mercato come se l’acqua fosse un bene equiparabile ad altri. Mi parrebbe questa una prospettiva che ignora completamente alcune caratteristiche fondamentali dell’acqua, che ne fanno un bene assolutamente insostituibile. In particolare proprio per gli uomini e le donne, essa non è solo una risorsa ambientale come le altre: ciascuno di noi infatti ha bisogno di una certa quantità giornaliera, al di sotto della quale si ha una riduzione della qualità della vita. L’accesso all’acqua contribuisce in misura rilevante a determinare la concreta libertà di cui gli individui dispongono.

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- In un recente documento,Caritas Italiana e L’Ufficio per il lavoro e i Problemi Sociali della C.E.I., segnalano una delle cause principali del problema acqua quella del fallimento del mercato, nella sua incapacità di tutelare l’umanità e l’ambiente. In effetti l’approccio basato sul solo mercato, non appare efficace neppure ad affrontare il problema della scarsità; mentre il mercato potrebbe limitare enormemente le possibilità di accesso all’acqua per i poveri. In diverse regioni del Sud del mondo, la modernizzazione dell’agricoltura attraverso la cosiddetta Rivoluzione Verde ha soppiantato forme di coltura tradizionale talvolta molto efficienti nell’uso dell’acqua, incrementando così il bisogno d’acqua per l’agricoltura. Sotto tale profilo appare come la scarsità non sia da collegarsi principalmente all’eccesso dei consumi personali da parte delle popolazioni, ma soprattutto ad un modello di sviluppo che non sa usare in modo sostenibile le risorse della terra, l’acqua in primo luogo. Non parrebbe possibile pensare ad un superamento della crisi idrica planetaria tramite la mera trasformazione dell’acqua in bene privato; occorrerà invece recuperare la radicale natura di bene comune, destinato a rendere possibile l’esistenza di tutti coloro che ne usufruiscono. Il principio regolatore della sua distribuzione, allora, non potrà essere solo l’efficienza, magari stimolata dalla dura competitività del mercato, ma la solidarietà.

- L’attenzione alla dimensione pubblica del bene-acqua caratterizza anche l’intervento del Pontificio Consiglio Justitia et Pax in preparazione al vertice di Kyoto (marzo 2003): Lo Stato deve continuare ad essere l’amministratore responsabile delle risorse delle persone, che deve gestire in vista del bene comune.

La sfida si gioca anche da un punto di vista culturale: sul significato dei diritti, sulle responsabilità per la loro realizzazione, ma anche sull’acqua, sul suo valore, sul suo significato. In questo orizzonte - ampio e complesso - collochiamo il contributo che il convegno: Acqua: “bene comune” intende offrire. Non stupisce se il primo intervento richiama l’esigenza di ritrovare il senso della sacralità dell’acqua, anche oggi. La Scrittura ci orienta con forza ad una riscoperta dell’acqua nel suo valore, sia sul piano vitale che su quello simbolico. Il secondo contributo ci porrà in dialogo con questa terra della pianura bergamasca, con la sua storia, raccogliendone le sfide per il futuro. Infine cercheremo di capire perché la sola logica del mercato non basta, l’acqua appartiene al bene comune e è un diritto per tutti. nella seconda parte, attorno alle 11.30 ci sarà lo spazio per molteplici voci che interverranno. I brani musicali eseguiti dal vivo e il buffet con i prodotti locali, sono parte di questo incontro che si celebra volutamente nella festa di Francesco d’Assisi il quale nel Cantico così si rivolge al Creatore: Laudato sì, mi Signore, per sor’Acqua. La quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

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INTERVENTO

L’acqua della vita.Don Patrizio Rota Scalabrini e Maria Elena BergamaschiApostolato Biblico diocesano

PREMESSE PER IL DISCORSO

0.1. Approcci biblici al tema dell’acqua

La voce ‘acquà in ebraico mayîm (termine solo al plurale) e in greco hýdōr ricorre quasi seicento volte nell’Antico Testamento e un’ottantina di volte nel greco del Nuovo Testamento, in particolare negli scritti dell’area giovannea. Ovviamente attorno al termine ‘acquà bisogna registrare una galassia di altri termini, quali ad esempio mare, pioggia, rugiada, brina, neve; la costellazione semantica si allarga anche alla terminologia geografica, quale oceano, abisso, sorgente, fiume, torrente; vi è poi l’ampia terminologia riguardante le tecniche umane per l’approvvigionamento dell’acqua, come cisterna, pozzo, canale, ecc. Infine vi è l’amplissimo ambito semantico degli usi dell’acqua, come abbeverare, bere, dissetarsi, immergere, lavare, purificare, ecc.

È chiaro che un approccio al testo biblico sul tema dell’acqua, come per ogni altro tema, coinvolge vari atteggiamenti ermeneutici, di cui dobbiamo essere consapevoli. Se ci si avvicina al testo biblico come documento, come prestigioso reperto di museo, esso ci offre testimonianze interessanti sugli usi dell’acqua in contesti profani e religiosi, dell’ambito dell’Antico Vicino Oriente (A.V.O.). Altra documentazione preziosa è quella riguardante le installazioni idrauliche che, unita agli apporti dell’archeologia, ci dà la possibilità di ricostruire un significativo pezzo di storia riguardante il rapporto dell’uomo con un elemento fondamentale della sua vita come è quello dell’acqua.

Un secondo approccio riguarda la Bibbia come uno specchio di umanità, una sorta di palestra entrando nella quale il lettore cresce in umanità, in consapevolezza di sé, fino ad uscirne mutato. In quest’ottica i testi biblici sviluppano un’ampia riflessione sul simbolismo dell’acqua in chiave sapienziale. Aver sete, bere, dissetarsi, attingere, sono situazioni che l’uomo vive nei confronti dell’acqua e che hanno una carica simbolica tale che la loro comprensione dischiude qualcosa del mistero che noi siamo a noi stessi.

Infine l’ultimo approccio guarda la Bibbia come libro della fede. Nel caso del tema dell’acqua ne valorizza la portata di simbolo religioso, che evidenzia la singolarità del rapporto che il credente ha con il Dio dell’alleanza; è comprensibile allora che proprio il vangelo dei simboli, cioè Giovanni, sia quello che maggiormente sviluppa il simbolismo acquatico.

0.2. Il contesto culturale

Il pensiero biblico sul tema dell’acqua si muove all’interno di un articolato contesto culturale che abbraccia L’A.V.O., cioè la Mezzaluna fertile, e l’area del Mediterraneo orientale.

L’atteggiamento nei confronti dell’acqua è mitico-religioso, per cui l’acqua viene divinizzata. Ovviamente nel pensiero biblico il principio di creazione e della distanza incommensurabile tra

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creatore e creatura impedisce tale divinizzazione, anche se tracce del pensiero mitico dei popoli circostanti sono riscontrabili nei testi biblici.

L’acqua viene, da questi popoli vicini ad Israele, identificata con l’elemento madre, che attende di prendere forma. proprio per la sua assenza di forma, essa è immagine del caos primordiale. Così, secondo la mitologia egiziana, è da Nun, il pigro elemento acquoso, che emerge la terra. Ancor più significativo di questo atteggiamento di divinizzazione dell’acqua, divinizzazione che comunque conserva i due aspetti contrapposti, per cui l’acqua è insieme elemento di vita e di morte, è l’epopea babilonese della creazione. Nell’Enuma eliš Marduk uccide la dea primordiale delle acque caotiche, Tiamat, e con il suo corpo forma le cose del cielo e della terra. Come si vede, l’acqua è l’elemento primordiale, divino e insieme caotico.

Nel mondo greco si riscontra un’analoga considerazione dell’acqua, quale fondamento delle cose, come attesta il pensiero di Talete.

La differenza però sta nel metodo con cui questo pensiero procede; pur conservando tratti mitologici, il procedimento è razionale, e giustamente viene identificato con l’inizio della filosofia.

L’ambiguità del simbolo dell’acqua, il suo essere elemento di vita e insieme di morte, è ben presente al pensiero dell’A.V.O. Così presso gli antichi egiziani, l’acqua è legata anche all’idea della rianimazione: in quanto ‘efflusso proveniente da Osiridè, essa libera dalla rigidità della morte. Nell’acqua la vita e la morte stanno fianco a fianco. È quanto si vede nel mito babilonese, in cui la dea Ishtar deve scendere nel mondo dei morti per ottenere l’acqua della vita; allo stesso modo il dio Baal, nella regione ugaritica (cananea), divinità della pioggia e dell’uragano, deve scendere nella terra fino al regno della morte, per poi risorgere ad opera della sorella amante Anat.

1. L’ACQUA NELLA VITA QUOTIDIANA DI ISRAELE

1.1. L’approvvigionamento d’acqua

Prima di inoltrarci nella considerazione di come l’Israele antico si approvvigionasse d’acqua, è opportuno avere un’idea sulla situazione idrometrica della terra.

La Palestina, come pure la Siria, sono meno privilegiate, nella Mezzaluna fertile, rispetto ad altre zone molto irrigue, come la valle del Nilo e la Mesopotamia; i suoi fiumi sono piccoli, non permettono la navigazione ed essendo il loro letto particolarmente infossato, rende difficoltoso l’uso per l’irrigazione. Le piogge cadono perlopiù durante solo una stagione, e la loro quantità diminuisce progressivamente a mano a mano che si scende verso sud. È vero che la media delle precipitazioni a Gerusalemme è assai vicina a quella di Roma, ma l’evaporazione è maggiore, trovandosi in un territorio più meridionale. Le zone più piovose sono la stretta fascia lungo la costa mediterranea e il nord, con l’Alta Galilea e la Samaria settentrionale. Più a sud di Gerusalemme inizia una zona semidesertica, che diventa poi il deserto del Negheb e, nella depressione giordanica, il deserto di Giuda.

L’acqua è perciò un bene prezioso, che non si può sprecare. Per approvvigionarsi di essa nelle stagioni secche, è necessario ricorrere ad interventi umani. Un primo importante intervento è la costruzione di cisterne (bôr ; gēb), che permettono di avere scorte d’acqua per la lunga stagione secca. La cisterna consisteva in un buco, spesso a forma di pera o di bottiglia, scavato nella roccia o parzialmente costruito, generalmente con un’apertura ristretta, coperta con una grossa pietra (cfr. Es

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20,33ss)1. L’impermeabilizzazione è tanto più necessaria in quanto il calcare palestinese è spesso poroso. La tecnica di impermeabilizzazione è già attestata verso il 1500 a. C., ma ha un significativo progresso verso il X e IX sec. e costituisce uno degli elementi di trasformazione del territorio, per cui zone prima non coltivate vengono rese fertili. Questo è, ad esempio, quanto avviene in Samaria, in cui cisterne impermeabilizzate e coltivazione a terrazzo di oliveti permettono una forte incremento demografico nel primo secolo del regno d’Israele. Le città e le case hanno le loro cisterne raccoglienti l’acqua delle terrazze (cfr. 2Re 18,31; Pro 5,15; stele di Mesha 24-25). L’uso di queste cisterne, quando erano secche, poteva essere quello di un silos, oppure di un nascondiglio, e spesso di una prigione (cfr. Ger 37,16; 38,6-13; Gn 37,20). L’archeologia ha riportato alla luce parecchie di queste cisterne, sia private che pubbliche; certamente la più grande è quella fatta costruire da Erode il Grande a Masada. Indubbiamente nell’epoca ellenistica e romana compaiono i serbatoi più grandi, capaci di rifornire di acqua diverse famiglie o tutta la comunità, come a Gezer. In epoca romana Gerusalemme sarà approvvigionata con l’acqua proveniente da grandi serbatoi, le cui dimensioni sono rispettivamente di m 582 x 177, m 423 x 232, m 380 x 233. Questi serbatoi, conosciuti con il nome di ‘vasche di Salomone’, raccoglievano le acque che venivano poi convogliate con un acquedotto a Gerusalemme, distante oltre 11 Km.

Oltre alle cisterne, si scavano pozzi (bèēr) di acqua sorgiva. La loro importanza è tale, che il pozzo diventa uno dei simboli più significativi del linguaggio biblico, come vedremo fra poco. Era necessario scavare in profondità, per ottenere acqua in abbondanza; si pensi che ad esempio il celebre pozzo di Giacobbe è profondo 32 metri e che a Lakiš è stato scoperto un pozzo circolare che misura all’imboccatura m 2,40 di diametro e profondo m 42. Altra opera imponente per approvvigionarsi di acqua è il sistema di pozzi e di cisterne della fortezza di Meghiddo.

Il caso di Isacco, l’uomo che scava i pozzi (cfr. Gn 26) diventa emblematico per dire la necessità di approvvigionarsi di acqua pulita, potabile. Tra quelli celebri ricordiamo il pozzo di Giacobbe a Sicar (in Samaria) - con il celebre dialogo tra Gesù e la samaritana -, il pozzo dell’incontro tra il servo di Abramo e Rebecca (cfr. Gn 24), il pozzo di Agar (cfr. Gn 16,14; 21,19).

Infine, tra le varie opere idrauliche, bisogna menzionare quella voluta dal re Ezechia, che fece scavare un canale sotterraneo nella rocchia, lungo più di cinquecento metri, per portare l’acqua della sorgente di Ghicon, appena fuori della città, all’interno della città, raccogliendola nella piscina di Siloe (cfr. 2Re 20,20; 2Cr 32,30). Il canale è integro tuttora, e sulla sua parete è stata scoperta un’iscrizione2.

Per quanto riguarda l’irrigazione, che era il metodo più diffuso per l’agricoltura in Mesopotamia e in Egitto, non essendoci in Palestina grandi fiumi, gli impianti erano di dimensioni ridottissime, spesso limitati ad un campo o al fianco di una collina, e prendevano acqua da una sorgente o da una cisterna posta più in alto. Si tratta di piccoli cataletti, fatti con pietre e intonacati; nulla a che fare con i grandi canali mesopotamici o egiziani. Possiamo allora apprezzare la sorpresa che Siracide ha

1 Es 21,33-34: « Quando un uomo lascia una cisterna aperta oppure quando un uomo scava una cisterna e non la copre, se vi cade un bue o un asino, il proprietario della cisterna deve dare l'indennizzo: verserà il denaro al padrone della bestia e l'animale morto gli apparterrà».

2 Ecco il testo dell’iscrizione che oggi si trova nel Museo delle Antichità di Istanbul, ma una copia in calco o presente anche al Louvre: «Ecco lo scavo e questa fu la storia dello scavo. Quando i minatori (?) alzavano il piccone l’uno verso l’altro e allorché non c’erano più di tre cubiti da scavare, si sentì la voce di uno che chiamava l’altro, c’era infatti la risonanza nella roccia proveniente dal sud e dal nord. Nel giorno della traforazione, i minatori colpirono l’uno verso l’altro, piccone contro piccone. Allora le acque scorsero dalla sorgente fino al serbatoio su milleduecento cubiti e duecento cubiti era l’altezza della roccia sopra la testa dei minatori».

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di fronte al dono della Sapienza espressa con il simbolo di un prodigioso impianto idraulico: «Io sono come un canale derivante da un fiume/ e come un corso d'acqua sono uscita verso un giardino./ Ho detto: “Innaffierò il mio giardino/ e irrigherò la mia aiuola”./ Ed ecco il mio canale è diventato un fiume,/ il mio fiume è diventato un mare» (Sir 24,28-29).

1.2. Uso ‘profanò dell’acqua in Israele

La Bibbia testimonia sistematicamente l’uso dell’acqua, sia in ambito profano, sia in ambito sacrale. Così, poiché l’acqua è indispensabile alla vita, rifiutare l’acqua all’assetato è colpa grave e merita una condanna (cfr. Gb 22,7; Mt 25,42)3. Al contrario, offrire acqua all’assetato è opera meritoria e attira l’attenzione divina (cfr. Pro 11,25; Mt 10,42)4. Dissetare non è soltanto offrire un bicchiere d’acqua, ma provvedere alla disponibilità dell’acqua per un territorio, perciò la Bibbia esalta la figura di Isacco, come uomo della benedizione che scava pozzi. Così recita il testo biblico in Gn 26,12ss: «Poi Isacco fece una semina in quel paese e raccolse quell'anno il centuplo. Il Signore infatti lo aveva benedetto. E l'uomo divenne ricco e crebbe tanto in ricchezze fino a divenire ricchissimo: 14 possedeva greggi di piccolo e di grosso bestiame e numerosi schiavi e i Filistei cominciarono ad invidiarlo. Tutti i pozzi che avevano scavati i servi di suo padre ai tempi del padre Abramo, i Filistei li avevano turati riempiendoli di terra…». Questo testo, oltre a considerare atto umanamente degno della benedizione lo scavare pozzi, svela anche i retroscena della storia umana, come le guerre per l’acqua. Salvate le debite proporzioni, non siamo in situazioni tanto diverse!

Ovviamente la Bibbia non conosce un uso dell’acqua per bisogni industriali, ma certamente testimonia il suo uso domestico, agricolo e artigianale. Per quest’ultimo caso ricordiamo che l’acqua era necessaria per coloro che esercitavano una serie di mestieri, come ad esempio per i follatori, cioè gli sgrassatori della lana grezza (cfr. Gs 15,7: En-Roghel = fonte del follatore [?]), o per i conciatori (cfr. Is 7,3; At 9,43).

Un bisogno massiccio d’acqua si evidenziava nel santuario, dove l’acqua occorreva soprattutto per lavare ambienti, suppellettili, per le abluzioni…; ricordiamo che il santuario era un po’ simile ad un macello e ad una cucina con i loro forti bisogni d’acqua per tutte le necessità. A questo approvvigionamento d’acqua per il santuario provvederanno i gabaoniti (cfr. Gs 9,21.23.27).

Certamente doveva esistere anche il mestiere dell’acquaiolo, cioè di colui che vende l’acqua in situazioni di emergenza (cfr. Is 55,1ss). Per i bisogni domestici attingevano per lo più le donne, in particolare quelle giovani, che avevano così l’opportunità di uscire di casa per andare al pozzo, luogo d’incontri e di conoscenze, ma sempre sotto un forte controllo sociale (cfr. Gn 24,11.15; 1Sam 9,11; Gv 4,7). Ovviamente, essendo il compito faticoso, spettava spesso ai poveri o ai servi.

Accanto all’uso profano dell’acqua vi è un impiego rituale della medesima, al quale dedichiamo il prossimo paragrafo.

1.3. Uso rituale dell’acqua in Israele

3 Gb 22,7: «Non hai dato da bere all'assetato e all'affamato hai rifiutato il pane»; Mt 25,42: «Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere».

4 Pro 11,25: «La persona benefica avrà successo e chi disseta sarà dissetato»; Mt 10,42: « E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

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La prima volta che si trova menzionato un uso rituale dell’acqua è nella storia di Giacobbe (Gn 35,2: «Allora Giacobbe disse alla sua famiglia e a quanti erano con lui: «Eliminate gli dei stranieri che avete con voi, purificatevi e cambiate gli abiti»). Fondamentalmente l’uso rituale dell’acqua può essere quello d’offerta alla divinità - che però è assente dalla Tôrāh e da Ezechiele, il profeta più attento al culto -, quello della libagione, completante l’offerta sacrificale (cfr. 1Sam 7,6), e quello sviluppatissimo dei riti purificatori. Si tratta di riti di abluzione, il cui significato non sta nel senso immediato di rimuovere della sporcizia fisica, quanto uno stato di impurità rituale. Così Aronne e i suoi figli devono lavarsi per la loro ordinazione (cfr. Es 29,4; Lv 8,26). C’è poi tutta una serie di leggi che prescrivono l’abluzione del corpo o di parte del corpo al personale sacro, specie ai sacerdoti che officiano nel tempio (cfr. Es 30,17-31; 40,31; Nm 19,7). Queste abluzioni devono essere compiute da tutti coloro che si trovano in stato di impurità, come i lebbrosi risanati (cfr. Lv 14). Anche gli oggetti e i vestiti divenuti impuri devono essere lavati (cfr. Lv 11,15); allo stesso modo devono essere lavate anche parti della vittima sacrificale (cfr. Lv 1,9.13; 8,21; 9,14). Il concetto di purificazione si estende dai veri e propri lavacri a riti più sobri, come l’aspersione. I riti di purificazione riguardano in particolare i riti di lustrazione. In ebraico l’acqua lustrale (mê niddāh) è ottenuta versando acqua di fonte o di corso d’acqua sulle ceneri della vacca rossa (cfr. Nm 19,17). Come si vede, non è un criterio igienico che qui funziona! L’acqua lustrale è utilizzata nel rituale di purificazione delle persone, che hanno toccato un cadavere o si sono contaminate con la sfera della morte (cfr. Nm 19,11-16). Un fedele, non-sacerdote, in stato di purità intingeva l’issopo in un recipiente contenente l’acqua lustrale e purificava gli oggetti o le persone impuri. L’acqua lustrale era usata persino per purificare il bottino di guerra. Un suo uso più articolato ci rimane abbastanza sconosciuto; si nota solo un accrescimento della sua importanza presso gli esseni, come testimonia la “Regola della comunità”.

Collegato a questo significato di purificazione dell’acqua sta anche lo sviluppo dei riti battesimali nell’ambiente del giudaismo essenico e battista, uso che viene a sostituire implicitamente i sacrifici di animali per il peccato. Questo aspetto di purificazione resta anche nel battesimo cristiano, ma qui l’acqua assume un segno ancor più radicale, come simbolo di morte e di vita: è un morire con Cristo per risorgere con lui.

Uno sviluppo particolarmente accanito dei riti di abluzione si avrà poi nel giudaismo, come testimoniano gli scritti rabbinici e le stesse polemiche neotestamentarie contro tali tradizioni (cfr. Mc 7,3ss).

A metà fra un uso rituale ed un uso profano, potrebbe collocarsi l’abitudine di offrire l’acqua all’ospite perché si lavi i piedi, quale gesto essenziale di ospitalità (cfr. Gn 18,4; 19,2; 24,32, ecc.; per il Nuovo Testamento si ricordino le parole di Gesù in Lc 7,44ss, per non parlare della lavanda dei piedi, che assume un significato intensamente simbolico).

2. LA DEDIVINIZZAZIONE BIBLICA DELL’ACQUA

È necessaria una considerazione globale, però, sul modo in cui l’uomo biblico concepisce l’uso dell’acqua anche in ambito rituale, impiego che potrebbe far pensare ad una concezione magica di questo elemento. Le cose però non stanno affatto così. La dedivinizzazione del mondo impedisce di attribuire all’acqua come tale delle proprietà e dei poteri soprannaturali. L’acqua non è un elemento divino, ma soltanto una creatura di questo mondo, creatura preziosa che ne fa una delle cose

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assolutamente necessarie alla vita, come attesta Siracide (29,21; 39,26)5, che la nomina per prima fra tutti i beni. Pertanto la posizione biblica è diversa da quella delle religioni dei popoli vicini ad Israele, come ad esempio da quella egiziana, dove il dio Nilo-Hati, il dispensatore della vita, è androgino e il Nilo è immaginato come un dio metà uomo e metà donna. Le sue acque sono maschili, e la terra arabile è femminile. Tanto meno l’acqua, come tale, è dotata di poteri magici, capaci di conferire l’immortalità. Gilgamesh trova la pianta della vita, o meglio dell’eterna giovinezza, in fondo alle acque. Numerosi popoli parlano di un’acqua della vita che concede l’immortalità e similmente, per dare a suo figlio Achille la vita eterna, Teti lo immerge tutto nelle acque dello Stige, salvo il fatidico calcagno, con cui ella lo teneva. Da questo il mondo biblico è assolutamente lontano.

Il racconto di Gn 1 parla delle acque primordiali, ma sarebbe un errore vedervi l’equivalente dell’arché della filosofia greca o una divinità sconfitta dal nuovo dio emergente, JHWH. L’acqua è qui solo come elemento di contrasto rispetto al tema dell’ordine; e perché quest’acqua non venga confusa con l’acqua che è dono della vita, senza la quale uomini e animali inaridiscono (cfr. Ger 14,1-10; 17,5ss). Quest’acqua dell’abisso è solo figura del caos e non qualcosa di fisico o di un male morale.

Questo significa che giocando sul simbolismo antropologico radicale che conosce la duplice valenza dell’acqua (qualcosa di buono, perché disseta, ma anche qualcosa di tragico, perché avvolge e affoga), l’autore biblico introduce la tematica delle acque caotiche, cioè di un mondo dove non ci può essere vita perché non c’è ordine.

Si noti che il racconto biblico della creazione parla insistentemente di due tipi diversi di acque, le acque di sotto e quelle di sopra il firmamento. Le prime sono quelle di questo mondo, siano date in forma di nubi, di acqua marina o fluviale, o di acque sotterranee. Caotiche sono soltanto le acque dell’ ‘altro mondo’, al di sopra del firmamento, mondo a cui l’uomo non ha accesso.

In quanto l’acqua di questo mondo è separata dalle acque caotiche, non può essere definita cattiva. Nondimeno il racconto del secondo giorno della creazione vede l’assenza del ritornello: «E Dio vide che era cosa buona». La sua assenza è legata non soltanto all’esigenza di ottenere un settenario di ricorrenze, ma proprio per il fatto che si parla di quel caos che irromperà nel mondo nel diluvio, attraverso le acque ‘soprà il firmamento, scese quindi dalle cateratte del cielo.

Certamente l’aspetto caotico delle masse d’acqua marine può portare il narratore ad intenderlo come simbolo dell’avversario di JHWH. Naturalmente, imponendo il suo ordine al mondo, JHWH dà un senso anche all’oceano e sottomette i mostri che lo popolano, con i quali egli gioca, come fa un bambino con la lucertola (cfr. Gb 40,25ss). L’oceano è sottomesso al suo potere, al punto che egli lo avvolge di nubi come fa la mamma con i pannoloni del suo bambino (cfr. Gb 38,8ss). È in quest’ordine di idee che va letto il racconto del diluvio, dove, attraverso il linguaggio cosmologico, viene in realtà suggerito un preciso giudizio antropologico su un’umanità che, operando il male e dando sfogo alla violenza, non può che andare incontro alla morte, a quella che noi oggi chiameremmo l’autodistruzione. Il messaggio biblico si muove in direzione di un messaggio di speranza. Dio veglia sul mondo affinché le acque del caos non scendano mai più sulla terra a portare morte all’uomo e ai viventi. In questo senso è bello rileggere Is 54,9: «Ora è per me come ai

5 Sir 29,21: «Indispensabili alla vita sono l'acqua, il pane, il vestito e una casa che serva da riparo»; 30,26-27: «Le cose di prima necessità per la vita dell'uomo sono: acqua, fuoco, ferro, sale, farina di frumento, latte, miele, succo di uva, olio e vestito. Tutte queste cose per i pii sono beni, ma per i peccatori diventano mali».

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giorni di Noè, quando giurai che non avrei più riversato le acque di Noè sulla terra; così ora giuro di non più adirarmi con te e di non farti più minacce».

3. IL SIMBOLISMO SAPIENZIALE DELL’ACQUA

Le religioni dell’A.V.O. non raramente parlano di un’acqua della vita e della sapienza. Sembrerebbe che anche la Bibbia si accodi a quest’uso linguistico, ma le espressioni non devono trarre in inganno. Acque della sapienza e della vita vanno intese come metafore dell’avventura sapienziale e non come particolari composizioni acquatiche dotate di speciali poteri. Non si dimentichi che per la Bibbia la sapienza vera è accessibile solo al timor di Dio e la vita è un dono di Dio che richiede l’obbedienza del precetto. Senza dubbio l’uomo biblico guarda con ammirazione l’acqua, ma essa non è il mondo da cui vengono generati gli dèi, né è la fonte della sapienza.

Le metafore riguardanti l’acqua sono legate al fatto che essa mantiene in vita le piante e gli animali; essa si presta perciò a diventare simbolo di sapienza, di felicità, di benedizione. I testi sono numerosi; basti ricordare come la bocca del giusto sia paragonata ad una fontana di vita (Pro 10,11), così pure il suo insegnamento (Pro 13,14), o anche la conoscenza che egli possiede (Pro 16,22). C’è una fondamentale affinità simbolica tra l’acqua e la parola umana. Così l’acqua pura, calma, dissetante, è paragonata alla parola positiva, costruttiva; al contrario una parola irruente, offensiva, stolta, è come le acque di un’inondazione, apportatrici di devastazione. Si legga in proposito Pro 18,4: «Le parole della bocca dell'uomo sono acqua profonda, la fonte della sapienza è un torrente che straripa». L’analogia tra l’acqua, specie quella sotterranea, cui attingono i pozzi, e i sentimenti e le parole umane portano i sapienti a paragonare ad essa l’amore o i pensieri profondi del cuore. Ci basti riportare qui due celebri passi. Il primo riguarda la difficoltà di accedere ai segreti del cuore, il secondo è un’esaltazione della bellezza delle fedeltà coniugale: «Come acque profonde sono i consigli nel cuore umano, l'uomo accorto le sa attingere» (Pro 20,5); «Bevi l'acqua della tua cisterna e quella che zampilla dal tuo pozzo, perché le tue sorgenti non scorrano al di fuori, i tuoi ruscelli nelle pubbliche piazze, ma siano per te solo e non per degli estranei insieme a te. Sia benedetta la tua sorgente; trova gioia nella donna della tua giovinezza» (Pro 5,15-18). L’analogia si estende a tante altre situazioni umane, in cui è coinvolta la sete e l’essere dissetato come espressione della soddisfazione del bisogno, come paradigma del compimento del desiderio. Ecco allora un efficace proverbio sull’arrivo di una sospirata buona notizia, attesa a lungo: «Come acqua fresca per una gola riarsa è una buona notizia da un paese lontano» (Pro 25,25). Ovviamente il modo con cui si avvicina all’avventura sapienziale è fortemente colorito dall’esperienza religiosa che la presiede; in tal senso il buon governo di un re saggio è veicolo della benedizione del Signore e il testo biblico non vede di meglio che paragonarlo ad un canale d’acqua, portatore di fecondità: «Il cuore del re è un canale d'acqua in mano al Signore: lo dirige dovunque egli vuole» (Pro 21,1).

Con il simbolo dell’acqua il pensiero sapienziale associa anche altri termini della medesima costellazione semantica. Così avviene per la pioggia, paragonata a momenti degli stati d’animo umani o delle relazioni interpersonali: «Nuvole e vento, ma senza pioggia, tale è l'uomo che si vanta di regali che non fa» (Pro 25,14); «La tramontana porta la pioggia, un parlare in segreto provoca lo sdegno sul volto» (Pro 25,23); «La tramontana porta la pioggia,

un parlare in segreto provoca lo sdegno sul volto» (Pro 26,1). Il discorso potrebbe estendersi in modo incontenibile, ma non possiamo passare sotto silenzio l’importanza del simbolo dell’acqua e del pozzo di acque sorgive nel Cantico dei Cantici. In questo gioiello della letteratura sapienziale il simbolo dell’acqua è detto dall’amato a proposito dell’amata: «Fontana che irrora i giardini, pozzo

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d'acque vive e ruscelli sgorganti dal Libano» (Ct 4,15).Ci soffermiamo un momento nel commento del simbolismo di questo testo, che intreccia il tema della fontana e dei ruscelli, con quello del pozzo di acque vive. Tale simbolo merita la nostra attenzione. Il pozzo è uno dei simboli più cari alla Bibbia, poiché la sua acqua sgorga dal mistero della terra, disseta, dà vita e distribuisce fertilità. Il pozzo non è come le cisterne, dove le acque ristagnano e possono diventare maleodoranti. Il pozzo è fonte di acqua viva, che non cessa di zampillare e che continuamente si rinnova. Trovare nel deserto un pozzo è allora vivere, “scavare pozzi” – come faceva Isacco - è far vivere, sedersi al pozzo è cercare ed ascoltare la sorgente della vita.

Nella Scrittura la donna della propria vita s’incontra presso il pozzo ed è essa stessa “pozzo”. Così il servo di Abramo incontra presso il pozzo la bella Rebecca (Gn 24) e così avviene anche per Mosè in Madian (Es 2,15-22).

L’amore è mistero che disseta l’esistenza e la donna è celebrata, come già in Pro 5,15ss, come “pozzo”, ma non pozzo aperto, bensì sigillato, le cui acque non possono essere intorbidite dagli animali, con allusione discreta alla verginità e al dono della fedeltà ed esclusività dell’amore coniugale.

4. IL SIMBOLISMO RELIGIOSO DELL’ACQUA

La Scrittura tiene fermo il principio di trascendenza per cui, anche quando associa gli eventi atmosferici della pioggia, dell’uragano ecc, all’intervento del Signore, non fa mai di questi una sorta di corollari dei suoi attributi divini. Nondimeno non esita, fatta salva la trascendenza divina, ad applicare il simbolismo dell’acqua a Dio stesso, e quello della sete alla sincera ricerca religiosa del credente. Più volte JHWH paragona se stesso all’acqua, ma certamente i testi più significativi si ritrovano in Geremia. Così il Signore rimprovera il suo popolo: «Perchè il mio popolo ha commesso due iniquità: essi hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate, che non tengono l'acqua» (Ger 2,13).

Un altro celebre passo è Ger 17,13, in cui il Signore fa eco al lamento di Geremia che l’aveva accusato di essere divenuto un torrente infido, dalle acque incostanti (Ger 15,18): «O speranza [cisterna] di Israele, Signore, quanti ti abbandonano resteranno confusi [secchi]; quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato la fonte di acqua viva, il Signore». Se il Signore è quest’acqua viva, avvicinarsi a lui vuol dire bere, trovare rimedio alla secchezza della propria anima, che grida come terra riarsa il proprio bisogno di lui (Sal 63,2). L’uomo non può che anelare a Dio come una cerva anela ai corsi d’acqua (Sal 42,2), perché soltanto Dio ha il rimedio contro questa sete del cuore, che è desiderio di totalità, di bene, di assolutezza. Al contrario, la mancanza di fede è incapacità a riconoscere che è Dio a dissetare, così come fa il popolo a Massa e Meriba (Es 17,1-7), che è Dio a rendere buona, con la sua legge, la fatica del cammino, così come è simboleggiato nella ‘guarigionè delle acque salmastre di Mara (Es 15,22-27). Se Dio è come acqua che disseta per il cuore del credente, il simbolismo dell’acqua si estende inevitabilmente al dono della Legge. Affine è il simbolismo dell’acqua applicato alla parola di Dio che se da una parte si comunica nella Legge (cfr. Sir 24), dall’altra continua a comunicarsi nel dispiegarsi del mistero della storia. È d’obbligo qui ricordare l’epilogo del Deuteroisaia, quando la vicenda dell’acqua che scende nella terra e sembra scomparirvi è assunta come parabola del misterioso agire della parola di Dio: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non

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ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata» (Is 55,10-11).

Ed è chiaro che queste ‘acquè non si possono pagare, ma possono soltanto essere accolte nella fede, come canta mirabilmente Is 55,1-2: «O voi tutti assetati venite all'acqua, chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro patrimonio per ciò che non sazia?...».

Coerentemente con questa linea di pensiero, i doni escatologici vengono significati con l’abbondanza d’acqua che fa fiorire il deserto (cfr. Is 35). L’effusione dello Spirito viene paragonato allo sgorgare irresistibile dell’acqua in Is 32,2.20, come pure il dono dello Spirito, che è la sapienza, viene simboleggiata con le acque che ricoprono il mare. Sempre a proposito di profezie escatologiche, si ricordi come la potenza e l’abbondanza della grazia divina degli ultimi tempi venga raffigurata con la fonte di acqua che zampilla dal lato destro del tempio e che si ingrossa fino a diventare un fiume maestoso che si butta nel Mar Morto fino a renderlo il mare della vita (cfr. Ez 37). La stessa profezia è echeggiata nelle promesse escatologiche di Zaccaria: «In quel giorno acque vive sgorgheranno da Gerusalemme e scenderanno parte verso il mare orientale, parte verso il Mar Mediterraneo, sempre, estate e inverno».

Sul versante opposto, la mancanza di fede e di giustizia viene paragonata ad un’aridità invincibile, con cui Dio punisce il popolo idolatra. Si ricordi in tal senso la terribile minaccia di Am 8,11-12, dove l’aver disatteso la parola divina avrà come castigo una fame e una sete della medesima che non potranno essere soddisfatte e faranno morire d’inedia le giovani generazioni, più bisognose di trovare un senso alla vita. Altra modalità con cui viene illustrato il castigo è quella delle acque impetuose come immagini di pericolo (cfr. Lm 3,54); quando queste sono mandate dal Signore - e non esprimono il furore dei nemici contro l’orante -, esprimono la collera di JHWH (Sal 88,17ss; Os 5,10; Is 8,6-10), davanti alla quale l’uomo è come un fuscello sulla superficie dell’acqua (cfr. Gb 24,18; Os 10,7). Proprio il passo di Isaia 8,6ss è particolarmente istruttivo su come il testo biblico usi il simbolo dell’acqua: la fede è paragonata al dissetarsi alle acque pulite e limpide del Siloe, l’incredulità è invece esposta all’essere travolta dalle acque impetuose del flagello di Dio che, in quella circostanza, era rappresentato dall’invasore re assiro.

5. IL SIMBOLISMO DELL’ACQUA NEL NUOVO TESTAMENTO

Il simbolismo dell’acqua appare fin dall’inizio nei vangeli sinottici, allorché Gesù viene battezzato nel Giordano dal Battista (cfr. Mc 1,9-11 e par.). Il simbolo dell’acqua, in questo caso riguardante Gesù, più che collegato ai riti di purificazione, significa la sua morte, il suo accettare le estreme conseguenze di essersi fatto solidale con questa umanità. È uscendo dall’acqua che Gesù ha l’esperienza teofanica che lo dichiara Figlio amato e che approva la modalità concreta con cui egli sta esprimendo quella figliolanza, ossia nella solidarietà con i peccatori, che si stavano facendo battezzare da Giovanni, pur non essendo egli peccatore!

Il tema dell’acqua riappare in altri brani, talora come simbolo positivo, altre volte come simbolo delle forze caotiche, come nel caso della tempesta sedata (cfr. Mc 4,35-41 e par.) o del cammino di Gesù sulle acque (cfr. Mc 6,45-52 e par.).

Ma i testi neotestamentari più significativi in questo senso sono certamente quelli giovannei. L’evangelista Giovanni ricorre a questo simbolo in più occasioni. Comincia ad essere accennato nel miracolo di Cana di Galilea; appare all’interno del dialogo con Nicodemo a proposito della nuova nascita da acqua e da Spirito (cfr. Gv 3,5); è assolutamente centrale nel dialogo con la Samaritana;

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il medesimo simbolo ricorre poi nella festa dei Tabernacoli con la promessa dello Spirito quale fonte d’acqua viva per chi crede in lui (cfr. Gv 7,37-38). Riappare nuovamente, sempre nella festa dei Tabernacoli, in occasione della guarigione del cieco nato, il quale dopo essersi lavato gli occhi alla piscina di Siloe, riacquista la vista (cfr. Gv 9). Il tema dell’acqua riappare con tutta la sua importanza teologica nel racconto della Passione, con la menzione dell’acqua che sgorga dal costato di Cristo trafitto (Gv 19,34). Infine il simbolo dell’acqua è presente in occasione del racconto della pesca miracolosa sul mare di Tiberiade (Gv 21).

Non potendo qui affrontare tanti testi, ci limitiamo a richiamare alcuni passaggi del dialogo di Gesù con la Samaritana al pozzo di Sicar (Gv 4).

Pensando a questo brano della Samaritana, se dovessimo parafrasare il senso dell’acqua che Gesù dona alla donna di Samaria, diremmo che è l’acqua vivificante della sua rivelazione, data nell’Ora della croce: l’acqua è simbolo di Gesù stesso che rivela Dio, che dice e comunica la verità di Dio; è questa l’acqua che rigenera!

Sse vogliamo essere ancora più precisi (perché i simboli possono avere contemporaneamente significati diversi): quando si parla di acqua nel quarto Vangelo i due riferimenti possibili sono o la rivelazione di Gesù e quindi quella rivelazione che ha il culmine nell’amore che si dona sulla Croce, oppure lo Spirito stesso che in altri punti del Vangelo giovanneo viene esplicitamente paragonato all’acqua viva che sgorga dal fianco di Gesù come anticamente l’acqua dal lato destro del tempio (Gv 7,37-39). Sono due cose talmente vicine, talmente collegate una con l’altra che uno può anche a volte dirle come se fossero la stessa cosa, a volte separarle.

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INTERVENTO

L’acqua protagonista e la metamorfosi del territorio.Luigi MinutiAssessore Comune di Treviglio

La proclamazione dell'anno internazionale dell'acqua potabile ha richiamato l'attenzione generale sull'importanza strategica di questo bene essenziale, scarso e prezioso per gli abitanti di larga parte del pianeta. Anche qui da noi l'occasione occorre che venga colta per riflettere, partendo dal riferimento all'acqua, sulle disuguaglianze di questo nostro mondo, dove abbondanza e sprechi anacronisticamente convivono insieme alla nostra indifferenza.

Eppure i dati, emersi e amplificati nel terzo Forum mondiale dell'acqua tenutosi a Kyoto, sono impressionanti, "il 30% della popolazione mondiale vive in condizioni di scarsità di acqua, Se si va avanti con questo ritmo di consumi, nel 2025 la carenza riguarderà la metà della popolazione umana. Sono oltre 15 milioni i decessi annui casusati da malattie legate alla scarsità di acqua potabile".

Con grande efficacia espressiva l'ex presidente sovietico Mikhail Gorbaciov così scrive nella sua introduzione al numero speciale dedicato all'acqua edito dalla libreria del Congresso USA: "L'acqua, come la religione e l'ideologia, ha il potere di muovere milioni di persone. Sin dalla nascita della civiltà umana, i popoli si sono trasferiti in prossimità dell'acqua.

I popoli si spostano quando l'acqua è troppo scarsa e quando ce n'è troppa. I popoli viaggiano sull'acqua. I popoli scrivono, cantano, danzano e sognano l'acqua. I popoli combattono per l'acqua e tutti, in ogni luogo e ogni giorno , ne hanno bisogno.

Ne abbiamo bisogno per bere, per cucinare, per lavare, per l'agricoltura, per le industrie, per l'energia, per i trasporti, per i riti, per il divertimento, per la vita. E non siamo soltanto noi esseri umani ad averne bisogno: ogni forma di vita dipende dall'acqua per la propria sopravvivenza.

Ma oggi siamo sull'orlo di una crisi mondiale. Le due più significative eredità lasciateci dal XX secolo (l'esplosione demografica e quella tecnologica) hanno preteso un tributo in termini di risorse idriche.

Oggi molte più persone soffrono per la carenza di acqua potabile rispetto a venti anni fa; stiamo esaurendo e inquinando un numero sempre maggiore di sorgenti d'acqua dolce. Le moderne tecnologie ci hanno permesso di sfruttare una grande quantità dell'acqua per usi energetici, industriali e agricoli, ma spesso a un terribile prezzo per la società e l'ambiente, e molte pratiche tradizionali per la salvaguardia delle acque sono state abbandonate lungo la strada.

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Senza la possibilità di utilizzare acqua pulita, la salute e il benessere non solo sono seriamente messi in pericolo, ma diventano impossibili: le persone che non dispongono di rifornimenti idrici di base vivono nel degrado e nell'impoverimento, con scarse possibilità di creare un futuro migliore per i loro figli."

Questa breve premessa, sulla situazione per così dire globale, ci è utile al fine di riscoprire la straordinaria importanza di questo bene essenziale, l'acqua, non più illimitato nemmeno qui da noi, in questa rigogliosa terra di Geradadda dove essa è stata storicamente la primaria protagonista.

Nello scorrere insieme alcune tappe dell'evoluzione economica del nostro territorio scopriremo il ruolo essenziale dell'acqua nel permeare la vita ed anche l'aspetto fisico di un ambiente unico, racchiuso tra due fiumi, ci convinceremo infine quanto sia doveroso impegnarci ancora, affinchè pure le generazioni future abbiano a godere di questo bene nella quantità e nella qualità essenziali per la vita stessa.

E pensare che un tempo l'acqua qui da noi era per davvero tutto e persino il contrario di tutto, era il bene ed era il male, ed è stato il rapporto tra l'uomo e l'acqua che ha determinato la sorprendente metamorfosi della nostra terra, oggi sempre più minacciata e vulnerabile in conseguenza dell'attenuarsi di questo virtuoso rapporto iniziato nella notte dei tempi.

L'economia locale da primordiale a sistema si è evoluta così tanto che, almeno per la genesi, a mantenerne viva la memoria sono rimaste più che la storia le leggende, ma chi lo sa quale sia il confine dell'una e delle altre quando si parla di lago Gerundo e dei suoi "draghi", e del tormentato rapporto tra le genti e la natura.

Numerose le antiche popolazioni insediate nella Geradadda dai tempi dei Liguri, dei Galli e dei Romani, poichè la centralità del luogo rispetto alla pianura lombarda ne faceva il percorso naturale dei transiti da nord verso sud e viceversa.

Un poco meno scorrevoli erano i transiti est ovest per la presenza della barriera naturale dell'Adda, che ha incentivato gli stanziamenti fissi e poi col tempo dato corpo ad una civiltà dell'Adda favorita dalla presenza dell'acqua che, governata con maestria dagli abitanti, venne utilizzata per scopi irrigui ma anche per la difesa e poi per quelli industriali.

Pochissimi luoghi in Italia, come questo tratto di fiume tra Lodi e Cassano, consentono di numerare così tante storie, le storie delle battaglie ad esempio; vi hanno combattuto da Cesare a Pompeo, e poi molti dei 93 Imperatori legittimi di Roma, soprattutto quelli dell'Alto Impero quando i confini, sempre più schiacciati verso sud, dalle orde dei barbari, venivano proprio qui violati a significare la nera prospettiva della prossima disgregazione.

Claudio secondo detto il Gotico è qui che sconfisse Aureolo suo antagonista, nelle paludi della Geradadda Teodorico ha costretto Odoacre a ripiegare nel rifugio di Ravenna, qui Ezzelino da Romano subì umiliante disfatta, qui il Barbarossa fu vinto e successivamente ebbe la sua rivincita, sempre qui tutti i grandi di ogni secolo si sono bellicosamente affrontati.

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Il suolo conteso od anche solo percorso della Geradadda tante volte si è tinto di rosso del sangue degl uccisi, in particolare a Fornovo e ad Agnadello che insieme totalizzarono più di ventimila morti anche per l'effetto dirompente dell'impiego delle armi da fuoco.

Infine si odono ancora gli echi delle battaglie dell'epoca moderna, quelle dei conflitti dinastici tra Austria e Spagna, e poi quelle Napoleoniche, portano i nomi di Cassano e di Lodi ed hanno come denominatore comune il grande fiume abduano.

La nostra però non vuole essere una cronistoria di guerre e di morti, ma di vita, in particolare, una storia del lavoro che ha consentito di tramutare le prospettive incerte di sopravvivenza, in un suolo paludoso ed ostile, continuamente attraversato da soldati e pestilenze, in una realtà irriconoscibile.

Due sono i punti forti che hanno attivato questa metamorfosi positiva delle condizioni naturali e di vita della Geradadda e dei suoi abitanti. Il primo punto forte ne abbiamo già fatto cenno è rappresentato dalla felice collocazione geografica e quindi dalla centralità del sito rispetto ai grandi centri urbani della Lombardia. Su questo punto, un po' controverso, va detto che la centralità è un valore, simile ad una moneta, dove convivono insieme il dritto ed il rovescio; 1' accessibilità delle merci e delle persone, vede contrapposto il facile, spesso inevitabile, passaggio degli eserciti, con il loro carico di devastazioni e di epidemie e, conseguentemente, anche la causa delle prime congiunture sfavorevoli: autentiche, profondissime, regressioni.

Il drammatico dilagare della peste, immenso e sconvolgente, ancor più nelle aree non ancora bonificate e poi negli agglomerati più densamente popolati, ha sempre avuto come causa il passaggio delle soldataglie; fu così con la grande peste che a Milano pose termine alla lunga e sanguinosa guerra franco-spagnola, che spense nel 1525 oltre 80 mila persone.

La centralità, per concludere sull'argomento, è stata quindi una causa importante di sviluppo della nostra terra ma anche, talora, di sofferenza e di regressione; viceversa, una causa solo positiva, è rappresentata dal carattere forte della nostra gente, forgiato dalla lunga lotta contro le avversità, volto al dominio dell'acqua, questo bene prezioso, nell'utile sua funzione dapprima solo irrigua, poi di fonte di energia applicata all'industria.

Prima, ancora, delle popolazioni rivierasche del mare vero, tutto sommato impegnate a prelevare dal mare, con sacrificio, ciò che il mare comunque, feconda: il prodotto ittico, la gente del Gerundo, un po' simile a quella dei Paesi Bassi, si è impegnata a strappare all'acqua qualcosa di più di ciò che serve per il minuto sostentamento; questa nostra gente davvero ha sudatamente conquistato la terra, pertica su pertica e realizzato una delle più prodigiose ed ammirate agricolture di ogni luogo.

Un lavoro immenso è stato compiuto nel corso dei secoli, per bonificare il territorio occupato dal Gerundo; un lavoro che e' divenuto col tempo marchio ereditario, e segno di distinzione degli abitanti, segno di genialità, caparbietà ed attaccamento alla propria terra.

Ecco da un lato l'azione volta a consolidare gli alvei naturali dei fiumi: l'Adda ed il Serio, con non poche difficoltà per quest'ultimo, spostato in un letto del tutto nuovo, dopo Crema, e derivare da essi nuovi canali, per alleggerirne la portata e contenerne le esondazioni: le rogge rigogliose e capillari che oggi assicurano irrigazione e fertilità ai terreni.

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Ecco, d'altro canto, lo straordinario fluire dei fontanili, anche esso volto a ridurre il sovrappreso d'acqua sul territorio, ad inacanarla verso la valle del Po', ad estendere la superficie delle terre asciutte. Accenno i casi del Fiume Tormo, per la bassa, e quello delle Rogge Trevigliesi, per l'alta Geradadda.

Il Tormo, singolare fiume di pianura, partorito dalla genialità dei nostri avi in epoca tardo romana, nasce ad Arzago, poche decine di metri dopo l'incrocio tra la Rivoltana e l'antica statale per Lodi, da una risorgiva artificiale ancora oggi efficiente, denominata, dai Bergamaschi, "Funtanu "', e dai Lodigiani "Funtana Granda"

Il corso del Tormo si snoda per ben 27 chilometri, equidistante tra l'Adda ed il Serio, al centro del territorio, simile ad un collettore che sta al centro della strada. Esso trasborda a valle, corroborato da affluenti ed effluenti, una enorme quantità di acqua che infine l'estuario riversa, poco oltre Abbadia Cerreto, nel fiume Adda.

Senza l'azione quotidiana del Tormo e degli altri fontanili che vi fanno corona, la nostra pianura sarebbe, ancora oggi, una distesa inaccessibile di putrescenti acquitrini, qualcosa di verosimile a quanto, con la tipica esagerazione secentesca, viene descritto dallo storico Emanuele Lodi, il quale fa risalire alle preghiere dei Lodigiani, il merito, del prosciugamento del Gerundo e del venire meno delle pestilenze da esso promananti.

Oltre al Tormo, una miriade di Fontanili, da Spirano a Pagazzano, da Caravaggio a Capralba, da Casirate a Torlino, da Agnadello a Pandino svolgono una funzione essenziale di purificazione e di irrigazione simile a quella della massa arteriosa attorno al cuore di un uomo. Al momento molti di questi fontanili, come, a due passi da qui, il Brancaleone, sono sorprendentemente asciutti per mancanza di manutenzione e per l'abbassamento della falda insufficientemente irrorata dal ciclo delle piogge. Accanto ai fontanili, ne abbiamo già fatto cenno, ad integrare le necessità di irrigazione, ed a prevenire 1'esondazione in specie del fiume Adda, sono stati realizzati numerosi canali artificiali, quelli che noi comunemente chiamiamo "rogge".

La prima e più importante di queste rogge, volta alla irrigazione del Lodigiano è la RUZZA, singolare per lunghezza e portata; la seconda, ricavata al fine della irrigazione del Cremasco, parallela al Tormo, è LA COMUNA o RITORTO, una roggia imponente nella portata ma anche nella lunghezza che è di circa 40 chilometri, essa garantisce l'irrigazione a ben 37.550 pertiche di fertile, oltre il Bergamasco.

A nord del territorio di Geradadda è d'importanza vitale il sistema irriguo della Morla che l'avveduto Bartolomeo Colleoni estese a beneficio della Bassa Pianura, mentre a sud non va dimenticato il Canale Pallavicino che congiunge tra di loro i fiumi Adda e Serio integrando per le esigenze irrigue dell'area il ruolo importante dei fontanili.

Quello della MUZZA è il più antico dei canali artificiali derivati dall'Adda. La costruzione, iniziata nel 1220 e terminata nel 1286, (su di un preesistente manufatto risalente all'epoca romana, costruito per iniziativa della famiglia Muzia) sviluppa un tracciato lungo ben 58 chilometri, con oltre 75 bocche e 71 rogge derivate.

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Le rogge trevigliesi, ricavate dal fiume Brembo prima della sua confluenza nell'Adda, alla fine del Duecento, nel breve periodo della signoria dei Torriani, (con la Moschetta, che da Mosca Della Torre prende appunto il nome) e poi con la Vignola, strappata alla resistenza dei Bergamaschi con la mediazione di Azzo Visconti, rappresentano non solo una straordinaria opera di idraulica che, grazie alle sue numerose diramazioni assicura l'irrigazione ad un territorio di 4.182 ettari, pari a ben 63.942 pertiche, ma anche il risultato di un grande lavorio diplomatico.

I Trevigliesi del Medio Evo, seppero approfittare degli interessi dei Torriani e dei Visconti milanesi, che possedevano, nella parte alta di Casirate, in Brignano e qui a Pagazzano, numerose terre bisognose d'acqua, per realizzare una rete capillare di rogge in favore non solo di queste ma dell'intera Geradadda superiore.

Una diplomazia, quella dei Trevigliesi, mantenuta nei secoli al fine di difendere il prezioso bene acquisito (alternata a dire il vero da autentiche guerre nei confronti dei Brembatesi con morti e feriti) e di vincere le innumerevoli controversie burocratiche, che si ripresentavano ad ogni succedersi di dominazione o di regime, da ultimo per disciplinare l'uso corretto dell'acqua in favore della nascente industria.

Non vi sembri esagerata questa lunga descrizione, che mi è parsa doverosa in riconoscimento del fatto in sèoggettivo per il quale le molte, successive conquiste, nel campo dell'economia, ma anche i primati nel campo delle scienze e delle arti, sono stati in questa nostra terra conseguiti, in forza dell'acqua, ovvero, sicuramente, grazie alla tempra degli abitanti, forgiata nel gran confronto con l'acqua, e poi ai mezzi, resi disponibili, dalla sempre più profittevole attività agricola.

È così che nasce e si consolida la cultura locale, permeata dall'acqua, e dalla agricoltura; non deve stupire pertanto la lettura delle numerose cronache trevigliesi dell'inizio del secolo ventesimo volte a rappresentare i personaggi davvero illustri del luogo, geniali negli argomenti più vari quando esse sopattutto sottolineano il rapporto stretto di tali personaggi: medici illustri, politici, numismatici, industriali, con l'agricoltura. Nulla da sorridere, perciò, ad esempio, allorquando di:

Giovanni Maria Bicetti: 1708-1778, insigne medico, scopritore del rimedio contro il vaiolo, si legge pure che: "Al Bicetti spetta anche il merito di aver fatto togliere le acque che, stagnando in torno a Treviglio, ne infettavano l'aria".

Giovanni Mulazzani, Conte: 1791-1854, Deputato al Parlamento Napoleonico e insigne numismatico, si legge pure che: "Egli amava sopratutto l'agricoltura. Così consigliò l'introduzione del gelso nel Veneto, e a Treviglio in un anno di carestia il Mulazzani, per dare lavoro e pane ai suoi contadini, fece dissodare una vasta plaga dei suoi boschi."

Adolfo Engel: 1851-1913 , Deputato al Parlamento Italiano, studioso di problemi economico finanziari, si legge pure che: "Agricoltore egli stesso, diede prova di robustezza di propositi e di pertinacia nell'attuazione di essi, operando diverse bonifiche di terreni, specialmente in quella della proprietà Poldi Pezzoli, da lui acquistata, vi applicò tutte le moderne innovazioni suggerite e dalla meccanica e dalla chimica agraria, atte a rendere più intensiva la coltivazione e maggiormente rimunerativo il prodotto."

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Tommaso Grossi: 1791-1855, Poeta e scrittore vernacolo, amico e confidente di Alessandro Manzoni, si legge pure che: "Da buon campagnuolo - com'egli si chiamava - attendeva con passione ai fondi e specialmente ai bachi da seta, prima nostra ricchezza, ed ai campi chiedeva qualche ora di svago, uscendo ad uccellare colla civetta. Al tempo dei bachi egli faceva regolarmente due giri al giorno per visitarli; se poi scarseggiava la foglia, addio quiete, addio fantasie, bisognava correre perchè i contadini strillavano e la morte minacciava i preziosi e cari animaletti."

L'attività di bonifica del territorio, iniziata con l'arrivo dei primi insediamenti, è proseguita senza sosta ed in essa si sono cimentati, più o meno direttamente, gli abitanti di ogni tempo.

Ancora nel 1910 a nord di Treviglio, sotto la "costa" della cascina Pelisa, dopo la Geromina, nella località chiamata del "Valle Lupo" esisteva uno stagno di metri 500 per 1200, bonificato in quell'anno mediante l'apertura del canale Bonobrio che ne convogliò le acque più a valle.

Il "moso" trevigliese doveva però essere ormai uno degli ultimi, per lo meno di quella dimensione; lo conferma la geografia ufficiale del territorio cremasco, edizione 1898 - là dove si legge: "Nel territorio del circondario di Crema non si riscontrano particolarità topografiche di speciale rilievo, e quindi esso è considerato come perfetta pianura. Tuttavia va notato che il piano cremasco si presenta con marcata inclinazione da nord-ovest a sud-est, formante conca nella parte centrale, ove fu il bacino del lago Gerundo.

La parte rialzata, a leggere ondulazioni, quasi a colmate e piccoli rialzi, è quella a ponente, costeggiante l'Adda. Il lago Gerundo, del quale hanno lasciato memoria gli antichi scrittori, occupava certamente tutta la parte piana e bassa del territorio cremasco. Questo lago era formato da impaludamenti dovuti agli straripamenti, nel passato assai più frequenti e copiosi, dell'Adda, del Serio e dell'Oglio, in certi punti del territorio riuniti in un sol letto.

Col decrescere della potenza di questi fiumi - causato dal rapido diminuire dei ghiacciai alpini - dalle mutate condizioni meteorologiche del nostro paese e dalla loro conseguente inalveazione, che èpress'a poco la presente- rimase nella parte bassa e concava del territorio un grande deposito d'acqua seminato da varii isolotti di maggiore o minore estensione, che ben presto si andarono coprendo di una rigogliosa vegetazione.

Fu questo il lago o mare Gerundo menzionato dagli antichi, di cui rimanevano avanzi in vasti stagnoni o impaludamenti detti mosi anche nel medioevo ed in tempi vicini ai nostri.

La permeabilità del suolo, i canali ed i lavori di bonifica compiuti dalle popolazioni hanno ora quasi completamente assorbiti e prosciugati questi mosi. Nei primi secoli dell'evo cristiano il lago Gerundo occupava ancora coi suoi impaludamenti gran parte del territorio cremasco: attualmente non ne rimangono che poche traccie in alcune regioni acquitrinose."

A sua volta, il notaio Carlo Casati, nella sua "Storia" del 1872, ci descrive così la realtà di Arzago: "Arzago a Arsago, forse da Arsaigh, antico, longevo, giace nella Ghiara d'Adda, sopra un territorio paludoso e malsano, massime dacchè vi furono ammesse le risaie aratie in supplemento dello scarso o fallito raccolto dei bozzoli".

In argomento, e sempre per la realtà di Arzago, Marco Carminati, nella sua ricognizione tra i Comuni del Circondario del 1893, ribadisce ulteriormente che: "Paludi e risaie, fino a pochi anni

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orsono, vi appestavano l'aria: le piantagioni, i prosciugamenti e le coltivazioni che vi van praticando hanno migliorato quel vitale elemento: peraltro anche adesso nella stagione estiva vi serpeggiano le febbri malariche".

Gli abitanti della Geradadda strappata alle acque esondanti dell'Adda forti del lavoro manuale ma anche d'intelletto, diventano uomini ben completi, geniali nell'agricoltura così come nella nascente industria; del resto, le due attività furono subito sinergiche, e 1' ottimo agricoltore divenne anche ottimo industriale e le innovazioni tecnologiche furono a gara applicate all'una ed all'altra branchia dell'economia, grazie alla messa a frutto dell'inventiva e dell'intraprendenza maturata in secoli di duro lavoro.

È naturale quindi la compresenza di entrambe le attitudini, agricola ed industriale ed anche l'esercizio di entrambe le attività, come nel caso, che non deve sembrare singolare, dei Paladini, i quali furono oltre che agricoltori anche, senza dubbio, tra i maggiori industriali del loro tempo.

Alla Fiera Trevigliese del 1902 la famiglia Paladini volle presenziare nella veste di "azienda agricola", economicamente minore, se comparata alla potente realtà industriale fatta di stabilimenti in diversi comuni con centinaia di lavoranti. La scelta era coerente con la cultura e la sensibilità del luogo ed a noi consente di ricostruire, con la lettura del catalogo ufficiale, la struttura aziendale, specchio delle attività ma anche della vita di quei tempi.

"L'azienda agricola dei signori Fratelli Paladini si trova a Casirate d'Adda, a pochi chilometri da Treviglio, ed appartenne già, in gran parte, a S.A.I. l'Arciduca Sigismondo Rainieri d'Austria. È per la sua posizione e natura del suolo e dovizie d'acqua d'irrigazione fertile e molto produttiva. È condotta parte in economia e parte ceduta in affitto in piccoli appezzamenti a circa centocinquanta famiglie di contadini tutte alloggiate in paese.

La parte tenuta in economia è condotta industrialmente coi metodi più razionali di coltivazione intensiva che coll'abbondante somministrazione di concimi organici prodotti dal fondo stesso e concimazioni chimiche dà buoni prodotti, sia di foraggi che cereali, ortaggi ed altri con esito soddisfacente.

Favorito dall'abbondanza delle acque grande parte del terreno è coltivato a prati stabili e da vicenda nonchè marcitori, che forniscono foraggi sufficienti per il mantenimento di numerosa bergamina di circa centocinquanta capi; il cui prodotto, unito al poco latte acquistato dai coloni viene lavorato nel caseificio dell'azienda in burro e formaggio grana e uso reggiano, Friburg ecc. secondo la convenienza che offre il mercato.

Detto caseificio è anche dotato da macchina scrematrice a motore idraulico la quale lavora solamente nei momenti in cui conviene spingere la produzione del burro, e così il caseificio è uno dei rami principali dell'industria agricola dell'azienda.

Cogli scarti del latte viene assai favorito l'allevamento e l'ingrassamento dei suini, che vengono allevati in apposita tenuta capace di oltre quattrocento capi, costruita con sistemi razionali nel centro di un bosco della proprietà, e dove si tengono sinchè hanno raggiunto circa l'anno d'età, per poi passarli ai porcili costruiti vicino al caseificio per l'ingrassamento, e che sono capaci di circa cento maiali.

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Nell'azienda viene anche fatto su larga scala l'allevamento bovino colle migliori vitelle nate nella bergamina che si allevano finchè si sono fatte vacche, e vanno poi a fornire la bergamina sostituendo quelle che per vecchiaia o difetti acquisiti si devono vendere come scarto.

Fra i rami principali dell'azienda si annovera pure l'allevamento bachi coltivati con criteri moderni a mezzadria coi coloni ed anche in economia in una vasta bozzoliera di oltre quattrocento tavole, e detto allevamento vien sempre vigilato per la sicurezza del buon andamento, da incaricati speciali.

Le coltivazioni dei cereali, frumento e granoturco, aiutate dalle concimazioni chimiche, danno buoni raccolti. Non meno importante è la coltivazione dei vivai da piante in genere, di ortaggi, patate, cipolle, barbabietole da zucchero ecc.,

La tenuta è dotata d'un salto d'acqua, che mediante l'impianto d'una turbina di diciassette cavalli, mette in movimento un'officina meccanica munita di torni per ferro e legno, ed altre macchine per la lavorazione del legno come la pialla, sega nastro, seghe circolari e perforatrici, sagomatrici ecc.

Detta officina, oltre servire per i bisogni di riparazione agli stabilimenti di filanda e filatoio condotti dai proprietari, sia in paese che a Treviglio e Cassano serve per tutto il fabbisogno dell'azienda, per riparazioni e costruzioni di serramenti, carreggi e macchine agricole.

Vi è inoltre un mulino a cilindri ultimo sistema, fabbricato nella suddetta officina e nel quale si lavora il granturco prodotto nell'azienda ed altro comperato, ottenendo da questa lavorazione per separazione meccanica diverse qualità di farina, delle quali il fiore, detto semola, si vende, e le seconde qualità e scarto si trattengono per l'ingrassamento del bestiame dell'azienda.

Vicino al mulino vi è una pesante molassa, messa in moto dalla medesima turbina, per macinare le ossa sgelatinate, che poi trattate convenientemente coll'acido solforico, si produce con sensibile risparmio un eccellente perfosfato che serve per tutto il fabbisogno dell'azienda.

L'azienda è poi munita di un essicatoio ove si possono essicare alla perfezione circa duecento quintali di granoturco ogni ventiquattro ore, succedendo 1'essicazione non col fuoco diretto ma bensì con aria calda. Oltre al grano dell'azienda viene essicato anche quello dei contadini del paese e dintorni. L'Azienda è in continua via d'incremento e sviluppo di nuovi rami d'industria inerenti l'agricoltura."

Fatta eccezione per le micro unità agricole, condotte con la sola forza delle braccia ed in condizioni non certo idilliache, 1'attività dell'azienda Paladini è comunque ben espressiva dello stato delle aziende maggiori, e ci conferma il rapporto sinergico tra agricoltura ed industria, che è certamente il segno dell'apertura al progresso, ma anche la riprova dell'ingegnosità applicata all'utilizzo, in ogni modo, lo si ribadisce ancora, dell'acqua, per trarre benessere.

Tutti i commentatori esterni, nel giudicare, a cavallo tra 1'Otto ed il Novecento l'economia locale, valutarono essere tre le cause del "mirabile incremento economico", la prima determinata dai continui scambi commerciali con i borghi vicini, (abbiamo parlato diffusamente di questa facilitazione indotta dalla centralità dell'area e dalla capillare rete di comunicazioni).

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La seconda causa è rappresentata dall'abbondanza di correnti d'acqua che genera una non trascurabile forza idraulica, la terza dalla qualità eminentemente lavoratrice della popolazione, ciò che rende facile all'industriale il formare una maestranza operosa, intelligente e disciplinata.

Su quest'ultimo aspetto delle qualità della manodopera, così si esprimeva, nel 1886, il Prefetto Fiorentini: "Una delle ragioni, per cui in questa provincia fioriscono le industrie, unita al fat to di trovarsi in essa molta forza motrice nelle sue acque, è quella che le classi operaie vi sono, raccolte nelle città e nel le campagne, più morali, operose e sobrie, meno guaste da sobillazioni settarie e socialiste che altrove. A tale circostanza si deve che gli industriali, specie svizzeri, prescelgono questa plaga ad altre in Italia, come preferiscono i nostri operai ai loro".

Accentua il concetto il Reduzzi che scrive "Il capitalismo nascente non si lascia certo sfuggire questa occasione storica e si affretta a diffondere nella zona filande e filatoi: presto ogni campanile della zona Sarà affiancato da uno o più ciminiere" e fa seguito il Gallavresi nel 1900: "emulando i loro colleghi immigrati dall'estero e già rotti all'esperienza della vita industriale, scartate le città tumultuose, accortamente attesero a collocare i loro stabilimenti nei comunelli di campagna, dove, invocati come una benedizione, si avvantaggiano dell'uso gratuito delle forze naturali e della mano d'opera abbandonata, ingenua, offerta a buon mercato e senza pretese".

Ecco dunque le condizioni favorevoli alla nascita ed alla affermazione dell'industria, ma in modo tipicamente locale, con la convivenza e la integrazione tra loro delle differenti attività dell'agricoltura e dell'industria, un modo assai diverso rispetto alla realtà dell'area metropolitana milanese ed a quella del suo hinterland brianzolo e del Varesino, caratterizzata quest'ultima dal sopravvento dell'industria, e dalla quasi contestuale scomparsa della manodopera occupata in agricoltura sostituita appunto dall'impiego industriale.

L'acqua e l'agricoltura avevano da noi permeato ogni cosa e quindi l'evoluzione dell'economia locale tenne conto e valorizzò questi elementi di forza, li assecondò e li volse, proprio come un baco da seta nella sua metamorfosi, ad originare e poi sviluppare anche la moderna industria, prima con la bachicoltura, poi con le prime fabbriche che si avvalsero della manodopera già sperimentata alle fatiche ed al sacrificio del lavoro dei campi.

Le interminabili ore di dedizione alle nuove macchine non erano per molti più faticose del lavoro agricolo, quello condotto con l'ausilio delle sole proprie braccia, come nella coltivazione del lino, un tempo assai estesa nel territorio cremasco.

Scrive in proposito Mons. Zavaglio: "La raccolta del lino era una delle fatiche proverbiali, perchè bisognava estirparlo onde conservare alle fibre la massima lunghezza, e veniva portato alla masseria in mannelle risonanti per le capsule secche piene di semi. Per le brave massaie la linosa era indispensabile in casa: se ne traevano olio alimentare e farina medicamentosa utilissimi.

Le fibre ben disseccate erano messe al macero, poi sgrossate con pesanti battiture sui deschi, o tavolacci rustici di enorme spessore, e quindi riposte: da capo il linaiolo, con fatica e pazienza esemplari, ripassava diligentemente a piccoli manipoli il suo lino, fino a mandarne le fibre da tutte le parti legnose o resche e a sfilacciarle finissimamente: nelle ruvide mani si agitava quel lino come una pioggia di sole o come una biondissima capigliatura viva: il linaiolo dopo averla ben pettinata

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col pettine metallico, l'avvolgeva come una treccia morbida, e la riponeva con un sorriso di soddisfazione e forse con un vago ricordo.

Quanto rombo di mazzuoli si spandeva dai cascinali dove si lavorava il lino, battendo in cadenza senza posa sui deschi e sui cavalletti! E anche nel tacito inverno - per notti e notti intiere - quando il contadino si imbozzolava nelle stalle, il linaiolo - grembiule ruvido ai fianchi - quanto lavoro ancora da compiere in qualche rustico casotto, agitando col braccio robusto e indefesso quell'ascia di legno che rimondava le fibre tessili e ammucchiava ai suoi piedi i minutissimi aghi bianchi dello stelo frantumato!

Poi era la volta delle donne, che filavano, filavano come la Berta antica: e traevano con parsimonia l'accia della rocca, e avvolgevano sul fuso che brillava il filo lunghissimo e ritorto.

Molte case avevano anche il rustico telaio, e le sollecite Penelopi lavoravano alla tessitura della tela, che usciva grezza, giallina, robusta e veniva poi distesa nei campi, al sole, per la candeggiatura".

Le riforme dell'Imperatrice Maria Teresa e di Suo figlio Giuseppe II, all'insegna dell'Illuminismo, favorirono, in vario modo la nascente industria e la piccola proprietà contadina a scapito dell'immensa ma inoperosa proprietà ecclesiastica; la stessa politica proseguì durante l'intermezzo napoleonico mediante la vendita diretta ai contadini dei latifondi espropriati alle Istituzioni religiose; ciò fornì ulteriori stimoli alla nascente imprenditorialità.

Si assistette quindi ad una metamorfosi del territorio, con gli antichi conventi che si trasformarono in manifatture, prima di seta, poi di cotone, o diventarono sedi delle migliori aziende agricole, il tutto con modulazione diversa e differenti risultati, ingenerando, tra le diverse aree dell'antico Gerundo, le prime differenze, derivanti sì dalla diversa conformazione dei terreni ma anche dalle specifiche condizioni storico sociali ed anche dalla differente propensione alla imprenditorialità.

Ecco uno stacco tra la Geradadda, soggetta alla sovranità della illuminata Monarchia asburgica, rispetto al Cremasco, come, per altro, rispetto più a nord, oltre il "Fosso bergamasco", agli altri territori della Serenissima; questi erano contraddistinti dall'assenza di stimoli da parte del lontano Governo, e però, an che, a detta degli stessi storici cremaschi, da una minore intra prendenza dei nativi.

Di conseguenza ecco le differenti caratterizzazioni, della parte di territorio a ridosso dell'Adda, ove prima si afferma la moderna industrializzazione, che è più lenta invece a penetrare a sud, anche se, con il tempo, la città di Crema andrà recuperando a questo riguardo ed anzi porrà in essere (grazie soprattutto agli industriali provenienti da fuori città) un tessuto industriale di prim'ordine, semmai, con opposto estremismo, eccessivamente squilibrato rispetto all'insieme dell'economia, e perciò un tessuto vulnerabile.

Le differenze sono molte e trovano una più o meno equa compensazione al livello sovracomunale, dove il Comune più fortunato soccorre ed assicura lavoro ai vicini. Si segnala, ad esempio l'assenza totale di fabbriche in quel di Arzago la cui manodopera, prima della dipendenza da Treviglio e da Milano, trovava comunque ampia occupazione in Vailate, Casirate e Fara.

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Quando la compensazione intercomunale non è più stata sufficiente e la forza lavoro, trainata dalla forte crescita demografica, non ha più trovato localmente sbocco insorse il triste fenomeno dell'emigrazione, intensissima soprattutto nel Trevigliese, dove le punte più alte si registrarono nel 1876 con 906 unità, nel 1891 con 1849 unità, nel 1895 con 693 unità, nel 1896 con 850 unità e nel 1897 con 1359 unità.

Successivamente la nostra area perdette il primato negativo dell'emigrazione che discese, nel 1912, al livello del 6 per mille, l'ultimo posto nella graduatoria provinciale.

Le differenze tra le varie aree, nei movimenti demografici o nel tasso di industrializzazione hanno fatto seguito alle storiche differenze riguardanti la dimensione e le modalità di conduzione delle aziende agricole, ed il tipo di colture; sono storicamente più piccole le aziende in Geradadda, più ampie e maggiormente estensive con più bestiame quelle della Pianura Bergamasca orientale compresa tra i fiumi Serio ed Oglio ed ancor più quelle del Cremasco e del Lodigiano.

Scriveva Cesare Cantù nella sua "Grande illustrazione del Lombardo Veneto" del 1859 "21 Lodigiano è compartito in possessioni dalle 1000 alle 1400 pertiche metriche; alcune più di 2000; più numerose quelle di 400 o 500. L'utile di formare fondi che bastino alla quotidiana fabbrica del formaggio, va togliendo le proprietà minute,e consiglia la suddivisione delle grandi proprietà approssimativamente in tanti fondi di 1100 pertiche metriche"

Le differenze, oltre che di ordine naturale, vanno ascritte anche all'ordinamento politico; la porzione storicamente del milanese ha goduto, per la vicinanza diretta con la capitale Milano, di maggiori e più diretti incentivi, e di piùfavorevoli condizioni di sviluppo, basti ricordare l'introduzione, precoce, della bachicoltura, ad opera di Lodovico Sforza detto il Moro (a proposito, i "moroni", ovvero i gelsi, c'è chi dice derivino appunto da Lui il proprio nome), mentre nel Veneto tale coltura fu introdotta solo a fine settecento.

Dall'altra parte dell'Adda, ovvero nel Cremasco è soprattutto la lontananza di Crema, avamposto veneto, dalla sua capitale a farne una terra dimenticata dal punto di vista economico, ben considerata invece per quello strategico; i Veneti furono maestri nella edificazione di mura difensive, i milanesi viceversa potevano sempre contare sulla barriera naturale dell'Adda.

Parte seconda

Le iniziative pubbliche volte allo sviluppo delle attività industriali in ottica di interazione tra agricoltura e industria.

A promuovere lo sviluppo della nascente industria sono i governi centrale e locali, con la loro politica fiscale ma anche con il ricorso già allora al marketing territoriale. Nascono le prime pubblicazioni statistiche con lo scopo di far conoscere produttori e prodotti del territorio ma anche di far leva sul campanilismo dei consumatori e sulle scelte in ordine agli investimenti infrastrutturali.

I dati statistici compendiavano i fatti dell'economia, ma contenevano altresì giudizi intorno alla laboriosità della gente, alla stessa moralità, ne accentuavano con commenti il peso dei numeri, delle differenze allo scopo appunto di stimolare la concorrenza propria, di deprimere quella altrui, ma

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ancor più di condizionare insieme al commercio la partita assai più grossa della localizzazione degli investimenti.

Quelli che si avvicinavano alla metà del secolo diciannovesimo erano tempi cruciali e di grandi scelte, ed anche le statistiche vennero spesso utilizzate come potenti strumenti di propaganda.

È veramente interessante, al riguardo, confrontare le differenti valutazioni degli statistici trevigliesi e cremaschi, nello descrivere lo stato dell'economia delle proprie comunità, certo dissimile, ma non poi così tanto; il trevigliese Bonalumi riuscì ad enfatizzare, peraltro con raro dono di sintesi, i primati trevigliesi tanto da indurre il Governo Imperial Regio a preferire Treviglio, appunto, nella scelta del più idoneo tracciato della nascente ferrovia, e ciò a scapito di Crema.

Il cremasco Sanseverino, autore rigorosamente moralista, in contemporanea col Bonalumi, espose viceversa i dati cremaschi in tono minore, con ampio senso critico, volto sì a scuotere i sen timenti dei conterranei, ma assai poco a valorizzare i frutti del l'economia del borgo.

Non doveva però avere tutti i torti il Sanseverino, o sospendendo il giudizio, che non ci compete, non era la prima strigliata ai Cremaschi la sua, anzi. Già, in precedenza, in una relazione dell'anno 1750 al Doge di Venezia, fatta dal terzo inquisitore di terra ferma Vettor da Mosto si leggeva:

"Li Popolani ripieni di vizi e li Nobili non curanti e negligenti lasciano che il frutto dè lini ed anco quello della seta, che non è così poca, passi ad arricchire li confinanti territori, senza curarsi punto d'introdurre alcun edificio o lavoro che dia riputazione al paese."

Ma anche dopo la parentesi napoleonica, l'estinzione dello Stato veneto e la unificazione di Crema alla Geradadda nel LombardoVeneto austriaco, le cose non parvero proprio migliorate al Sanseverino che così scriveva nelle sue "Notizie statistiche e agronomiche intorno alla città di Crema e suo territorio":

"Un Cremasco si sente felice, come il saggio di Orazio, quando lunge da ogni traffico, libero da cure può possedere e coltivare un poderetto che gli basti a vivere onestamente colla propria famiglia, nè mai oserebbe avventurare questo suo tranquillo presente nelle grandi vicissitudini ed emozioni del commercio. La moderazione nei desideri è al certo assai da lodarsi moralmente, ma non è quella che nello stato presente della società giovi alla prosperità generale del paese e quasi oserei chiamarla virtu' egoistica."

Nella prosecuzione del suo notiziario statistico agronomico il Sanseverino accenna anche alle conseguenze dello scarso spirito di iniziativa dei cremaschi, ad esempio:

"Pochissime frutta escono dal nostro paese e molte se ne introducono dal distretto di Pandino che produce ottime pesche, e dal territorio di Caravaggio d'onde proviene la maggior parte dei meloni e cocomeri che da noi si consumano."

Per contro nella Geradadda bergamasca proseguiva fervida sperimentazione di nuove macchine e di nuove attività, ed lo stesso Sanseverino a riconoscerlo, ad esempio:

"Erano già stampati alcuni fogli di queste Notizie, (ndr. era il 1843) quando giunse a mia cognizione che in quest'anno, erasi fabbricato sul tenere di Caravaggio, al confine del nostro territorio, un nuovo trebbiatoio posto in movimento dall'acqua, della cui utilità rimanevano pienamente convinti quanti andavano a vederlo, ed ove si mandava dai paesi circostanti ed anche

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da alcuni cremaschi molto frumento a far trebbiare, mediante il compenso al proprietario della macchina di mezzo staio di grano per ogni soma" (ndr. una soma era uguale a 16 staio)

Da ultimo, in sfavore dei Cremaschi, scriveva nella "Grande illustrazione del Lombardo Veneto" del 1859, per mano non del Cantu', ma del cremasco Francesco Sforza Benvenuti “All'operosità agricola - per lo meno conseguita - fa uno sconfortevole contrasto l'inerzia nell'industria e nelle arti manifatturiere. Doloroso a dirsi! non un filatoio, e pochissime le filande, in un territorio ove, negli anni di prodotto ordinario, si calcola un raccolto di 60.000 rubbi di bozzoli: non uno stabilimento industriale che usufruttasse la forza motrice dall'acque, in paese ove queste abbondano, ove contasi 156 ruote di mulini per la macina del grano, 35 piste per brillare il riso, e 14 torchi d'olio.

Oggi soltanto, da una società in accomandita, che ha sede amministrativa in Milano, e una rappresentanza in Torino, e porta la ditta di Giuseppe Maggioni e compagni, si è pensato di erigere a pochi passi da Crema uno stabilimento per la preparazione, lavorazione, filatura, torcitura meccanica dei lini e della canapa."

Prosegue lo Sforza Benvenuti "Sembra ch'ormai i Cremaschi siensi accorti del danno immenso che recò loro la trascuranza d'ogni ramo d'industria, e si dispongano a rendere alla città loro i vantaggi e lo splendore, che, nei primi anni del dominio veneto, la innalzavano al grado di città mercantile, con un movimento vitale di ricchezza, ed una popolazione che superava di un terzo l'attuale. (ndr. nel 1858 Crema, esclusi però i sobborghi aggregati in secondo tempo, contava 8.642 abitanti).

Insomma, conclude il Nostro, quando i Cremaschi imparassero ad as sociarsi coll'opera e col denaro in speculazioni industriali; quando i tranquilli piaceri e i facili guadagni dell'agricoltura non gli sviassero dal tentare maggiori lucri e piùforti emozioni nelle fortune della vita commerciale; quando nell'agricoltura stessa, scostandosi un poco dalla pratica secolare redata dagli avi, v'applicassero nuovi esperimenti, e le teorie, le scoperte, le macchine che in altri luoghi ne aiutano il progresso, allora essi fruirebbero, a più doppi il benefizio di un terreno, che in Lombardia è dei migliori per feracità, tesoro d'acque e varietà di prodotti."

Mentre Crema ed il Cremasco faticavano a cogliere il vento della nascente industrializzazione, favorito dal lungo periodo di pace, verso la metà dell'Ottocento, il medio corso dell'Adda divenne una delle zone più industrializzate della Lombardia . Grandi stabilimenti come il cotonificio di Vaprio d'Adda, la Cartiera Binda, il Linificio Canapificio Nazionale di Cassano e Fara, la Filanda Bassi di Trezzo sull'Adda, insieme ad altri numerosi opifici dislocati sulle rive del fiume e del Naviglio Martesana, trasformarono profondamente l'economia locale.

In particolare lo stabilimento del Linificio Canapificio Nazionale di Fara Gera d'Adda, ebbe tale successo da essere considerato, verso la fine dell'Ottocento, tra i piùgrandiosi ed efficienti d'Italia e d'Europa, nel settore del lino e della canapa. A Fara si producevano circa quattro milioni di chilogrammi di filati l'anno; per gli operai e le operaie che vi lavoravano giungendo da fuori esistevano "dormitoi tenuti con tutta proprietà e le altre regole d'igiene"; "le disinfestazioni e le ventilazioni per tutte le sale di lavoro" venivano "rigorosamente curate e praticate"; nello

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stabilimento funzionava una cassa per sussidi in caso di malattia; c'era un magazzino cooperativo, con farina, riso, legna ed altri generi di prima necessità.

La direzione della fabbrica aveva organizzato, come già i Paladini a Casirate, un asilo capace di accogliere 180 bambini, istituito scuole serali per uomini e donne e persino una fanfara musicale; la fabbrica disponeva della illuminazione elettrica ed a gas; non mancavano neppure il telefono ed il telegrafo.

Nel linificio le paghe giornaliere risultavano di 3 lire al giorno per i sorveglianti, 2 lire per gli operai, una lira per le operaie, 60 centesimi per i ragazzi. Leggermente inferiori erano i compensi corrisposti nel settore del cotone, specie nelle filature: lire 1,70 al giorno agli uomini e 90 centesimi alle donne, 50 centesimi ai ragazzi.

Ciò che il Riva scrive a proposito del medio corso dell'Adda vale per l'intero territorio della Geradadda dove a ridosso delle rogge sorgono una miriade di manifatture, le più importanti delle quali sono dislocate lungo il corso della Vignola trevigliese, dal Fornasotto alla Geromina, ma anche più a valle.

In quel di Casirate, il Cotonificio Paladini, peraltro condotto senza gli eccessi di sfruttamento della manodopera che spesso hanno accompagnato la prima industrializzazione, integrato da istituzioni sociali, compreso un asilo per l'infanzia, e dalla attività agricola che ampiamente abbiamo descritto, consentiva comunque la formazione di tali margini di guadagno da permettere al titolare, nel 1893, di impiantare la prima banca italiana a Nuova York, appunto la Banca Paladini & C.

A Treviglio si trovava pure una fabbrica di prodotti chimici che "per prima in Lombardia, anzi in Italia" aveva abbracciato "la teoria dei concimi artificiali" e si era dedicata alla loro preparazione; sorta nel 1859 per iniziativa di Angelo Curletti, veniva ceduta nel 1900 ad una società per azioni formata da agricoltori, la "Fabbriche Riunite degli Agricoltori Italiani", quindi inglobata nella Montecatini.

Nel 1902 la Fabbrica in questione, che occupava ben 150 operai, produsse centocinquantamila quintali di concimi chimici oltre alla colla e materie attinenti.

Che l'industrializzazione locale fosse di buon livello lo dimostrano la creazione in Treviglio di una borsa per la fissazione del prezzo del cotone, nonchè la creazione di una Compagnia trevigliese dei telefoni, anticipatrice della futura Stipel.

Corrispondevano a verità provata, dunque, le buone ragioni spese qualche decennio prima dal Bonalumi, con un pizzico di enfasi, in favore della candidatura di Treviglio quale passante della nscente ferrovia; la realtà economica locale, per quel tempo, era ben positiva.

Mentre ha torto chi, come Antonio Pesenti, in, "Vita e Progresso della Provincia di Bergamo" sostiene che, negli anni 1839-1843 l'indicazione di Treviglio quale sede ferroviaria sia stata il risultato di un atto "di influenza e di nepotismo da parte di un Arciduca austriaco, il quale aveva un esteso latifondo nelle vicinanze di Casirate".

Il latifondo in questione è il medesimo già appartenuto ai Torriani ed ai Visconti (circostanza strumentalizzata dai Trevigliesi per indurre i Signori di Milano a finanziare la costruzione delle

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proprie roggie); esso verrà acquistato dai Paladini dopo l'unificazione della Lombardia al Piemonte e l'alienazione delle proprietà dei soppressi Stati; su di esso vi si svolgeva l'attività agricola industriale che abbiamo dettagliatamente descritta.

In realtà la candidatura di Treviglio volta ad ottenere il transito, sul proprio territorio, della progettata ferrovia, era come già detto, ben motivata e giustificata, poco importava poi, ai Trevigliesi, se tale scelta risultava conveniente anche allo stesso Vicerè austriaco in ragione dei suoi poderi casiratesi, peraltro goduti per assai breve arco di tempo.

È evidente che l'opinione del Pesenti risultava influenzata dal sentimento di delusione dei bergamaschi, discriminati, in quella circostanza, in favore della più piccola Treviglio.

Giocava a favore del Capoluogo della Bassa la sua variegata economia, e soprattutto il suo intenso commercio, nonostante fossero ben motivate anche le alternative di percoso, quella di Bergamo per ovvie ragioni politiche, e quella di Crema per la maggior brevità, e quindi per i minori costi.

Si aggiunga, in ordine all'antagonismo Crema - Treviglio che a quel tempo Crema toccava il fondo della sua crisi secolare e solo successivamente sarebbe riuscita ad innescare una poderosa ripresa che l'avrebbe fatta sopravanzare Treviglio, mentre quest'ultima, dal 1790 al 1890, più che raddoppiati i propri abitanti, viveva la sua migliore stagione, non più eguagliata in futuro sino ai nostri giorni.

Val la pena di scorrere, quale testimonianza storica, il testo della relazione statistica del Bonalumi:

"Nella controversia insorta intorno alla linea che seguir deve da Brescia a Milano 1'IMPERIAL REGIA PRIVILEGIATA STRADA DI FERRO FERDINANDEA LOMBARDO VENETA, gli oppositori del chiarissimo Inge gnere Milani proclamarono colle stampe che la popolazione dei bor ghi e villaggi posti sulla linea da lui progettata è tutt'affat to agricola, e non commerciale, nè industriosa.

Chiunque ha percorso questa linea e per poca cognizione che abbia dei principali paesi situati lungo la stessa, è in grado di giudicare come sia meno vera una tale asserzione, tanto che Treviglio e Chiari basterebbero da se soli a smentirla.

Con questi cenni io imprendo la difesa di Treviglio, che mi è patria, ed i fatti che verrò esponendo intorno alla sua economica condizione comproveranno luminosamente che se i Trevigliesi coltivano l'agricoltura , sono in pari tempo assai industriosi e commerciali.

Centonovantanove sono gli opifici, le fabbriche e le officine che esistono in Treviglio, e queste comprendono 55 rami differenti d'industria, per i quali vengono impiegati 678 macchine e 1779 lavoratori.

La torcitura della seta forma il principale e più importante ramo della nostra industria. A quest'uopo abbiamo 16 filatoi sussidiati da varie macchine di moderna invenzione, i quali tutti insieme contano 31 piante con 304 valichi. Senza annoverare le donne, questi opifici tengono giornalmente occupati N. 329 lavoratori. Il valore della seta filatoiata che producesi ogni anno, somma a L. 2.122.500.

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Le filande di seta occupano il secondo posto dell'industria Trevigliese. Avvene trentotto che sono montate coi metodi ordinari, e contano 440 mulinelli, ed una di 40 a vapore. In esse per circa tre mesi dell'anno sono giornalmente impiegate pressochè 1000 donne e 80 uomini.

Oltre i bozzoli del proprio raccolto, i filatori di Treviglio per alimentare più a lungo le proprie filande, ne comprano circa pesi 12600, i quali per più di una metà vengono importati da Crema e dal Veronese.

Prosegue il Bonalumi, illustrando con sintesi ed efficacia anche i rami di attività secondaria.Sebbene di minore importanza meritano tuttavia una distinta menzione le concerie di pelli,

massime per la rilevante importazione di vallonea e di scorze d'alberi che annualmente abbisognano per la fabbricazione di questa manifattura. Nè insignificante per il nostro paese è il prodotto delle fabbriche di candele di sego, di aceto e di mostarda. Tutte queste industrie sono per noi oggetto di considerevoli importazioni delle materie prime, e sorgente di rilevanti esportazioni dei loro prodotti.

Nel passare sotto silenzio per amore di brevità le altre fabbriche devo però rimarcare che oltre gli artefici che occorrono alle molte e varie officine di Treviglio, ci sono altresì tutti quelli che si richiedono a costruire qualsiasi macchina ed ordigno di filatoio o di filanda: che peritissimi sono in quest'industria, e che i loro lavori si spediscono non solo nelle provincie Lombarde, ma nelle Venete ancora e negli stati Sardi.

Ma ciò che rende più ragguardevole il borgo di Treviglio è l'esteso suo commercio. Il valore delle derrate e delle merci, comprese le proprie manifatture, che presuntivamente si esitano ogni anno dai Trevigliesi viene calcolato in lire 8.012.060.

Questa cifra comprende anche il valor delle esportazioni, le quali complessivamente ammontano a L. 4.212.120; cioè per Milano 2.906.070; per Bergamo L. 846.130; per altri luoghi 459.920.

Pochi sono i borghi, i quali, all'osservatore sì numerosa copia tutto quanto occorre per soddisfare vita. Questa dovizia di commercio affluisca dai paesi di questo e dai concorso di persone.

come Treviglio presentino di botteghe, in cui vendesi al bisogno ed agli agi della fa sì che giornalmente qui circonvicini distretti grande

Il mercato che si tiene in Treviglio ogni Sabato è uno tra i più ragguardevoli della Lombardia, e molte volte sembra una brillante fiera. Dai limitrofi paesi, da quelli dei circostanti distretti , da Bergamo, dalle provincie di Milano, Brescia, Como, Lodi e Crema quà accorrono molti negozianti certi di fare buon mercato delle proprie merci.

Chi volesse indagare la causa della prosperità commerciale di questo borgo troverebbe che in gran parte è dovuta alla sua topografica situazione. E difatti chiunque apre e mira appena una carta geografica del regno lombardo facilmente viene nella persuasione che Treviglio èposto nella più centrale parte di esso.

Per convincersi di questo fatto conviene osservare che i Trevigliesi non si limitano ad esportare le proprie derrate e manifatture, che pur sono molte, nè ad introdurre in Treviglio soltanto ciò che fa d'uopo per l'interno commercio.

Il loro traffico si estende più oltre, e se da un canto la metropoli lombarda, e la città e provincia di Bergamo somministrano a Treviglio gran parte di quanto abbisogna per giovare l'industria ed il

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commercio locale, dall'altro lato i negozianti Trevigliesi forniscono i suddetti luoghi di derrate e merci che appositamente trasportano da altre provincie.

Dalle bresciane colline, dall'agro vicentino e veronese e dal Mantovano provvedono considerevole quantità di vino, che poi in gran parte vendono a Milano.

Da questa capitale, oltre una rilevante quantità di merci d'ogni specie, ritirano avena, lupini e miglio; ed incessantemente percorrendo le provincie basse di Lombardia ritornano carichi di lino, di riso e di quasi tutte le altre specie di biade, le quali non servono già ad alimento del quotidiano consumo del paese; ma alla capitale conducono varie qualità di legumi e vistosa copia di grano turco, di frumento e di orzo; maggiore quantità poi di grano turco e di legumi trasportano a Bergamo, cui devonsi aggiungere il molto riso, l'avena, il miglio ed il panico.

Che più? Fra le diverse merci che i Trevigliesi vanno qua e la raccogliendo, rimarchevole è la vistosa quantità di circa sacchi 12.500 di cenere che annualmente vendono a Milano".

Ci siamo dilungati nel proporre il testo del Bonalumi intanto per riconoscimento dei risultati da esso conseguiti, ovvero la riconferma della scelta governativa volta a preferire Treviglio quale avamposto del tracciato ferroviario, per altro realizzato senza ulteriore indugio, inaugurato il giorno 15 febbraio 1846, senza il quale la nostra zona sarebbe oggi profondamente diversa.

In secondo luogo occorre riconoscere al testo del Bonalumi, la caratteristica dello strumento del marketing. Oltre un secolo e mezzo fa, senza sapere cosa fosse il terziario avanzato, le poche pagine di quelle statistiche hanno rappresentato qualcosa di meglio e di più di ogni moderna campagna pubblicitaria, una efficace ed autentica operazione promozionale del territorio.

La positiva realtà rappresentata dal Bonalumi registrò successivamente anche qualche ombra, condizionata dal mutato quadro di riferimento nazionale.

I progressi conseguiti dall'economia nei primi decenni del nuovo Regno unificato furono di gran lunga inferiori alle aspettative; da un lato vi erano ricorrenti crisi agricole che non garantivano sufficiente pane, per non parlare di companatico alla popolazione in forte incremento; dall'altro lato vi era il gran peso del fisco su ogni attività, compresa l'elementare macinazione del grano, reso necessario a causa dell'enorme indebitamento del nuovo Stato.

La nuova Italia era costretta ad affrontare ingenti spese militari e, soprattutto, le spese volte alla estensione capillare della ferrovia, finanziata per lo più con capitali stranieri, gravata perciò da esorbitanti interessi e persino dal vincolo della importazione dall'estero degli stessi materiali necessari per la sua costruzione.

Realizzata per legge l'unificazione doganale ed aboliti i dazi degli antichi Stati, con grande sacrificio di entrate per l'erario ed effetti devastanti per le industrie, la concreta formazione del mercato nazionale richiederà alcuni decenni e maturerà condizionata dal bassissimo livello dei redditi e dei consumi dei ceti contadini ed operai.

Si consideri che lo Stato era costretto a collocare sul mercato una quantità impressionante di titoli del debito pubblico, il tasso era del 5%, a fronte di una certa stabilità monetaria, ma la sfiducia era tale per cui il prezzo di emissione doveva aggirarsi sulle 70 lire, con un aggravio, alla sola emissione, di trenta lire ogni cento; è evidente, in tali condizioni, la impossibilità di

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intervento dello Stato nell'economia e, ancor meno, nella politica sociale, lasciata al volontariato delle società locali di mutuo soccorso e del nascente movimento cattolico.

Ciò non di meno la vita scorreva, da noi, con relativa serenità e tale, perlomeno, ce la descrive un commentatore dell'epoca, in una sua ricerca a tappeto intorno alla situazione sociale ed economica del periodo successivo di tre decenni alla nascita del nuovo Stato e della ferrovia; l'autore, Battista Zonca, funzionario governativo, non legato, a differenza del Bonalumi, agli interessi locali, così si esprimeva descrivendo il territorio trevigliese:

"Tutti i fattori della produzione funzionano regolarmente e si danno, per così dire, la mano, procedendo di conserva alla migliore coltivazione dei fondi. La scienza si applica svariatamente all'agricoltura coi nuovi modi di coltivazione, colle nuove macchine e strumenti di lavorazione, coi concimi chimici artificali, ecc. e tutte le classi dei lavoratori, dal contadino al proprietario e al fittabile, approfittano dei ritrovati della scienza in pro dell'agricoltura.

Così i nuovi aratri in ferro, i nuovi erpici, hanno quasi completamente sostituiti i vecchi arnesi di legno; così per la concimazione dei prati stabili e di quelli a vicenda si usa quasi dappertutto oggi il perfosfato di calce (polvere d'ossa opportunamente preparata). Il capitale viene anche applicato all'agricoltura, ma purtroppo, dobbiamo convenire, scarsamente.

Non abbiamo nel circondario i grossi proprietari e fittabili che impiegano i loro capitali in acquisto di bestiame da latte da allevare, associando l'industria agraria alla pastorizia con profitto del propietario e dell'agricoltura. Se ne esistino alcuni, sono eccezioni. Forse ne è causa la mancanza di quelle estese praterie che si trovano nel Lodigiano, nel Milanese e nel Pavese, dove il fittabile, o il proprietario, trova grandissimo interesse nell'allevamento del bestiame, consumando sul luogo tutti i foraggi che raccoglie.

Ma in generale nel circondario, anche dove si trovano estese praterie, scarseggia il bestiame; sia perchè manca al proprietario l'attitudine a farsi coltivatore e allevatore, sia perchè trova più utile impiegare altrimenti i suoi capitali.

Il lavoro dell'uomo poi concorre nella più grande proporzione alla coltura dei fondi. Anche quando scarseggia il capitale da investirsi nel fondo, con appropriati lavori si ottiene sempre una discreta produzione. Il lavoro fortunatamente, in tutto il circondario, è molto stimato con beneficio immenso dell'agricoltura, che per principio economico risente dell'onoranza del lavoro.

Le produzioni più importanti agricole in questo circondario sono le piante erbacee. Le piante legnose si coltivano sui margini dei fossi e canali d'acqua , allo scopo di rattenere le ripe e raccogliere la legna da bruciare. Si allevano anche in luoghi poco fertili, in grande estensione, e allora abbiamo i boschi.

Il gelso è la pianta legnosa più specialmente coltivata nel circondario. L'industria serica così sviluppata in Lombardia, e l'allevamento del baco da seta, che è una delle prime risorse di questo circondario, fanno si che è tenuta qui in grandissimo onore questa pianta la cui foglia serve all' allevamento del baco.

In tutti i campi è piantato questo albero a lunghi filari, distanti un albero dall'altro di circa metri 8, e viene con cura speciale coltivato. Le viti invece vanno perdendosi.

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Le piante erbacee più coltivate sono: frumento, granoturco, riso, segale, avena, orzo; le prime due in grandissima quantità, le altre scarsamente. Il riso si ha soltanto nelle parti più basse del circondario dove la natura del suolo e l'abbondanza dell'acqua lo permettano; specialmente nel mandamento di Treviglio, nelle basse regioni di Misano, Caravaggio, Arsago, Morengo, Fornovo ecc., dove per i fontanili e per le vicinanze dei mosi, l'aria è più umida e l'acqua scorre abbondante.

Il granoturno è la pianta più coltivata e che richiede maggior lavoro. Col granturco si ottiene la farina gialla, usata per fare la polenta, che è il cibo più usato dalla classe operaia e dal contadino. Il frumento viene coltivato su grande estensione nel circondario.

Il riso coltivasi con cura su terreni la cui natura è favorevole a questo prodotto, e per la famiglia del contadino è la prima risorsa dopo il granturco.

L'avena, la segale, l'orzo, il panico, il miglio, la melica, vengono pure coltivati, ma in pochissima quantità. Servono nella maggior parte questi prodotti per foraggio del bestiame allevato dal contadino e dal proprietario, ad eccezione dell'orzo e del miglio, che servono anche all'alimentazione umana, benchè non siano i preferiti.

Il lino viene pure coltivato nel circondario e ci cresce benissimo, ma la sua coltivazione è limitata, e serve piuttosto all'uso esclusivo del coltivatore, anzichè formare oggetto di esportazione. Anzi per l'uso locale, il circondario importa dal Cremonese e dal Lodigiano la maggior parte del lino occorrente.

Il fieno cresce rigoglioso in tutto il circondario ed è uno dei prodotti più importanti. I legumi più comuni del circondario sono i fagiuoli, le lenticchie, le fave, i lupini, i ceci; di questi però il fagiuolo è quello che viene allevato su più larga scala, seminandosi in tutti i fondi coltivati a melgone; mentre gli altri sono piuttosto prodotti da ortaglie che non da campagna.

Il lupino però si semina nei campi. Esso non forma tuttavia oggetto di esportazione e commercio, perchè il contadino lo semina in quei luoghi, la cui scarsa produttività, causata da sterilità del suolo e ombra, impedisce il raccolto di altri prodotti. Il lupino subito dopo raccolto, verso la metà di agosto, viene seminato di nuovo in quei fondi che si vogliono coltivare a frumento; al momento dell'aratura si taglia la pianta che è già sviluppata e alta e la si seppellisce mediante l'aratura sotto il terreno; quivi decomponendosi concima il fondo e fa crescere rigogliosamente il frumento.

Piante erbacee importanti sono poi i cocomeri e i poponi che, coltivati con cura in alcune località del circondario, vi crescono benissimo. Questi formano per il circondario oggetto di esportazione e sono molto stimati per la loro buona qualità. Il comune di Caravaggio (mandamento di Treviglio) gode fama grandissima di questi prodotti. Però anche nei comuni limitrofi vengono coltivati con pari fortuna.

Il bestiame predominante nel circondario è quello da latte, come quello che si trova alla portata di tutte le classi di lavoratori e si rende necessario così all'agricoltura per la concimazione dei fondi, che all'economia domestica, per i prodotti che porge. In generale ogni famiglia di contadino, che lavora terra a mezzadria od a fitto, tiene uno, due o più capi di bestiame da latte, che formano la sua principale scorta se la possiede in proprio, essendovi anche il contadino che tiene il bestiame a metà.

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Questo contratto tra l'allevatore delle bestie ed il proprietario è svariatissimo secondo i luoghi e le consuetudini. Ordinariamente consiste nel dare le bestie a un contadino, che le mantiene del proprio, ne tiene per sè il latte, e divide a metà, o anche solo a terzo, col proprietario, il vitello che nasce; in caso poi di vendita della bestia, la differenza in più tra il prezzo di vendita e quello di acquisto viene divisa, tra il proprietario e l'allevatore, per metà od a terzo.

Il bestiame da carne viene allevato solo da pochi speculatori, ma in pochissima quantità; il bestiame da lana si può dire che assolutamente manca."

La relazione dello Zonca non deve trarre in inganno; le condizioni sociali dell'epoca esprimevano anche una drammatica ed intensissima mortalità infantile, qualcosa di simile al 31, 40% dei bambini dell'età da 1 giorno a 5 anni ed una altrettanto intensa emigrazione, della quale abbiamo già riferito.

Mentre anche le forme contrattuali o consuetudinarie con le quali veniva disciplinato il rapporto tra i proprietari delle terre coltivate ed i fittavoli od i mezzadri, costringevano questi ultimi, destinatari di piccole porzioni, a massimizzare con la fatica propria e quella dell'intera famiglia, bambini ed anziani compresi, la produttività al fine della sopravvivenza, ancor più in conseguenza delle eccezionali ma anche ricorrenti avversità atmosferiche.

Forse anche per effetto della crisi dell'agricoltura, che rendeva disponibile una gran quantità di manodopera, ma anche induceva i benestanti, e, nel Lodigiano, soprattutto, i nobili, da sempre investitori nei fondi, a riconvertire proprio nell'industria una parte dei propri capitali altrimenti infruttuosi, in quegli anni andò consolidandosi il tessuto industriale e commerciale che fece di Treviglio e di Crema due importanti realtà industriali della Lombardia.

Ciò non di meno, quel che nacque e prosperò nel secolo scorso, nel campo dell'industria locale, sicuramente ascrivibile alla intraprendenza e capacità dei primi imprenditori, è qualcosa di diverso dall'industria capitalistica moderna, anche quando poneva in campo i grandi numeri di vasta schiera di lavoranti, la diversità è riconducibile alla tipologia dei deboli mercati, alle regole spesso protezionistiche dei commerci, nonchè ai capitali investiti ancora in modo insufficiente.

È per questo che si assiste a ricorrenti crisi ed è interessante notare, ad esempio, che le industrie, descritte con certa enfasi, se ne deduce quindi di una certa importanza, dal notaio Carlo Casati, nella sua storia del 1872, già a fine secolo, non esistevano più, erano state sostituite da altre, secondo un effetto più di metamorfosi che di crisi, una caratteristica questa che durerà nel tempo e consentirà alla nostra area di superare senza grandi traumi le sue difficoltà.

È il caso, per stare ancora col Casati, della ditta Cesare Bozzotti, di origine antichissima, diretta nel 1826 dal signor Giovanni Maria Mandelli e, dal 1834 da suo figlio Andrea, impiegante 300 persone di varia età e sesso. Inoltre delle ditte Crivelli, Bornaghi, Redaelli, De Gregori, che in complesso tenevano occupate più di 800 persone.

Il catalogo ufficiale della mostra trevigliese del 1902 cui abbiamo attinto per la descrizione dell'attività agricola dei Paladini, ci rappresenta una realtà industriale fatta di grandi numeri e nuovi nomi, Lazzaroni, Graffelder, filatura e tessitura tra le più antiche ed importanti della provincia, insediata nell'ex. Convento dell'Annunciata, Lodigiani, Bianchi, Locatelli, Manetti, la

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già nota Paladini, Zerbi, le Fabbriche Riunite degli Agricoltori Italiani, ma anche attività meccaniche e manifatturiere in genere.

La guida di Treviglio del 1902 elenca ben 583 ditte, di 162 comparti differenti, dove spiccano: 7 agenti di campagna, il alberghi, 5 appaltatori di costruzioni, 7 barbieri, 16 negozianti di bestiame, 13 caffè insieme a 20 liquoristi e 52 osterie, 8 calzolai, 4 elettricisti (impianti campanelli elettrici), 7 capimastri, 4 carbonai, 3 carrettieri, 4 concessionari di cavalli a nolo, 4 grossisti di cereali, 4 chincaglieri, 7 collegi, 4 corrieri, 6 droghieri, 11 venditori di fieno, 4 fabbri ferrai, 15 falegnami, 2 fonderie, 7 filande di seta, 10 fornai, 3 fabbriche di fruste, 3 fabbriche di ghiaccio, 5 giornali, 4 ingegneri, 4 legatorie, 4 levatrici, 7 macellai, 9 maestri elementari, 11 maestri femminili, 5 meccanici, 5 venditori di mobili, 7 mugnai, 4 negozi di musica, 2 ombrellai, 6 orologiai, 4 pastai, 16 pizzi cagnoli, 8 privative, O ramai, 4 sartorie, 3 segherie, 3 tintorie, 2 tessiture di cotone, 3 zoccolai ed altre attività meno rappresentative numericamente.

La metamorfosi del tessuto economico locale prosegue mentre compie i primi passi il secolo ventesimo.

È interessante, del maggior stabilimento locale, la Filatura serica Ausano Lazzaroni, posta nel complesso ora residenziale posto all'angolo tra le vie Crippa e Cesare Battisti (ovvero l'antica via Caravaggio), scorrere la descrizione analitica fatta da un visitatore dell'epoca; una testimonianza davvero preziosa:

"Prima di iniziare le nostre visite agli opifici ed alle officine della laboriosa e simpatica cittadina (ndr di Treviglio) abbiamo chiesto: - Qual'è il primo stabilimento di Treviglio? - Ci risposero: - La filatura serica della Ditta Ausano Lazzaroni e Comp.- E la risposta ci venne ripetuta da tutte le altre persone da noi interpellate. Il nome della Ditta, per chi appena abbia una leggera nozione delle nostre industrie e del nostro commercio, ha fama e varca i confini del Paese.

E neppure nuovo ci giungeva il nome del gerente della ditta, specialmente per noi milanesi. Ci rammentammo subito che il signor Ausano Lazzaroni coperse notevoli cariche pubbliche al Comune, alla Camera di Commercio ed in altre Amministrazioni, e ciò molto onorevolmente, senza lasciare attorno a sè inimicizie o rancori, anzi facendosi apprezzare in ogni occasione per la serenità e 1'equanimità di giudizio. Era dunque una visita che ci doveva interessare assai, e della quale ringraziamo l'egregio signor Brusadelli, direttore della Filatura, per le diverse notizie forniteci.

Lo stabilimento sorge in capo alla via Caravaggio, al termine del viale di circonvallazione che cinge Treviglio. Entrando si comprende subito di essere in un colossale opificio. Questa è la prima impressione, dirò così generica, che si concretizza passando poi nei singoli riparti.

Per i sistemi meccanici maggiormente perfezionati, per il moderno macchinario, per la perfetta distribuzione del lavoro, dopo la vostra visita vi persuaderete che si tratta di una filatura modello.

Superfluo sarebbe ora il descrivere le singole funzioni di tale filatura e torcitura, poichè si tratta di una qualità di lavoro e di applicazioni che sono generalmente note. Interesseranno maggiormente ai lettori notizie oggettive sullo stabilimento e sulla ditta Lazzaroni e Comp.

I1 lavoro dello stabilimento di Treviglio è specialmente dedicato alla filatura ed alla torcitura dei doppi di sete di provenienza nazionale ed asiatica. Nello stabilimento sono in azione 176 baccinelle

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per doppi con 200 operai, 30 betteuses con 40 operai, 3.516 fusi di filatura e 660 di torcitura che occupano 138 operai, e quindi per la confezione delle sete da cucire, ricamare, cordoncini, fiocchi ecc. sono impiegati 3.680 fusi di filatura e 1.000 di torcitura per organzini che occupano 86 operai, e 704 fusi di torcitura per trame con 70 operai.

Si aggiunga che altri 250 operai circa attendono alla innaspatura, al purgaggio, al rasamento ed alle flotteurs a giri contati, e si augura che nello stabilimento sono occupati 844 operai.

Per quanto riguarda il macchinario notiamo che lo stabilimento di Treviglio è alimentato di due motori a gas povero sistema Langen e Wolf, della forza di 60 cavalli; di un motore a vapore sistema Tosi di Legnano, di 40 cavalli; di una turbina idraulica sistema Ingegnere Alberto Riva, della forza di 230 cavalli, L'illuminazione è ad elettricità; il riscaldamento a vapore.

Ciò che specialmente notammo nella nostra visita fu la scrupolosa osservanza delle migliori norme igieniche. Abbondanza di aria e di luce in ogni ambiente, rispetto alla decenza, alla, pulizia e ciò in modo assoluto. In tal senso, e per rispondere a tali moderne esigenze, e con vantaggi reali ed effettivi per la classe operaia, la Ditta Lazzaroni, non badando a dispendio anche recentemente introdusse notevoli riforme edilizie ed igieniche nello stabilimento.

Le filiali di Treviglio sono: Villa Fornaci (1.100 fusi d'abbinamento e 84 operai); San Paolo di Argon (2.600 fusi, 130 operai); Albano San Alessandro (2100 fusi, 118 operai); Bariano (900 fusi, 82 operai) ; Cologno al Serio (900 fusi, 88 operai); Villa Fornaci (64 bacinelle, 84 operai e 32 batteuses, 32 operai). Sono dunque 1.462 operai che la Ditta Lazzaroni Ausano e Comp. ha impiegato nè propri stabilimenti.

Tale considerevole impiego di mano d'opera e di macchinario deve, di conseguenza, trovare riscontro nella rilevante produzione, ed eccone le relative cifre:

La filatura dei doppi dà una produzione media di circa 50.000 chilogrammi all'anno, della quale circa metà viene esportata di preferenza in Russia; l'altra metà, cioè 25.000 chilogrammi viene trasformata in seta da cucire, da ricamare ed in altri generi di articoli, di grossezza e di torcitura differenti.

Devesi altresì notare che nello stabilimento di Treviglio v'è altra importante produzione di articoli diversi, lavorati colle sete asiatiche, e cioè: Kg. 20.000 trame cinesi tsatlèe, Kg. 6.000 organzini, Kg. 5.000 seta da cucire, da ricamare, cordoncini, fiocchi ovali, articoli di Calais, con Kaking Hangchow, Woozie, Shantung, ecc. Il totale della seta, (circa Kg. 76.000) è esportata per la massima parte in Germania, in Inghilterra, in Norvegia, nella Svizzera, in Austria e in Francia.

Queste cifre, molto sintetiche, sono un indice molto chiaro della importanza della Ditta, la quale, seguendosi da padre in figlio, venne iniziata nel 1846, e continuò sempre più ad estendere la sua attività.

La gran ricerca che è fatta sui mercati dei generi di produzione Lazzaroni e le notevolissime premiazioni ottenute nelle gare nazionali ed estere del lavoro attestano degli ottimi sistemi di produzione di questa Ditta, la quale ottenne la medaglia d'oro di primo grado alle seguenti esposizioni: Torino 1884; Londra, 1888; Palermo, 1892; Genova, 1892; Chicago, 1894; San Francisco, 1895; Lione, 1894; Torino , 1898; Como, 1899; Parigi, 1900.

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Concludendo. I trevigliesi devono essere orgogliosi di ospitare nelle mura della loro città uno stabilimento che è fra i primissimi dell'industria serica italiana."

La minuziosa descrizione ci rappresenta per davvero una importante realtà industriale, peraltro non isolata nella Treviglio del periodo a cavallo tra il diciannovesimo ed il ventesimo secolo. Infatti la Ditta Lazzaroni fece scuola d'imprenditoria a non pochi, che dopo aver appreso larga pratica in detto stabilimento ne fondarono di propri, come i Lodigiani, ed i Brusadelli.

Accanto alle realtà allora emergenti, più modesta di dimensione ma ben radicata, operava la decana delle industrie locali: la filatura serica Locatelli con sede a ridosso della Chiesa di San Carlo.

Contemporaneamente, lungo il viale per Brescia, (attuale Viale Piave) il nuovo Calzificio Turro, primo ad avviare la produzione in serie, suscitava, per la modernità della sua struttura organizzativa l'ammirazione del contemporaneo Lucio Fiorentini che scriveva:

"Nulla di più nuovo e di più attraente, di quanto si offre al visitatore percorrendo quest'opificio di Treviglio, dal quale escono nella miglior condizione un'infinità di calze, di sotto calzoni, di corpetti, di panciotti alla cacciatora, di corpetti per donna come porta la odierna moda, e via discorrendo.

Questo lavoro, che ha del quasi fantastico a vedere come viene fatto, è il prodotto di certe macchine di nuovissime invenzioni, le quali danno maglie e in forma di teli e in forma, direi, di tubi e stretti e larghi e lunghi poi quanto si vuole.

Uno di questi tubi di maglia, supponiamolo lungo cinquanta metri, da una macchina per tubolare, o meglio cilindrica, lo si passa ad altre che lo taglia in pezzi di tanti mezzi metri, e poi ad una terza che ve lo acconcia alla forma di un calzare; ed eccovi in poco tratto di tempo delle dozzine di calze ben fatte e bene connesse, che vi costano lire 2,50 la dozzina!

Credo che faccia più calzette una di quelle macchine in un'ora, di quante ne facesse una nostra buona massaia in un anno. Salvo la rappezzatura, è da oggi prevedibile l'epoca nella quale l'arte della maglieria casalinga sarà licenziata dai focolari domestici"

Eppure, quel tessuto industriale, imperniato sulla dominanza del tessile, non poteva reggere a lungo; la concorrenza coloniale, le varie guerre, e da ultimo lo sviluppo delle fibre sintetiche e delle nuove modalità di produzione in serie, che posero in second'ordine i tradizionali punti forti dell'area e cioè l'energia a basso costo e la grande disponibilità di ottime braccia, innescheranno nuovi cambiamenti, nasceranno, nuove imprese, anche rilevanti, come, in Treviglio, la Manifattura Tessile Erba, subentrata anche fisicamente nell'edificio già occupato dalla Lazzaroni. Poi verrà l'irreversibile crisi.

Ciò non di meno, la medesima intraprendenza e caparbietà è stata indirizzata verso la creazione di nuove fabbriche, nuove opportunità di lavoro, ed in modo più capillare, più esteso anche ad altre Comunità del nostro territorio, con l’effetto di ridurre le esigenze di mobilità e di garantire un benessere più diffuso.

Il seme della industrializzazione germogliò, secondo le caratteristiche e la fertilità di ogni luogo, e, all'inizio del nuovo secolo il territorio poteva contare su una molteplicità di imprese,

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spesso frutto della prudente filiazione delle fabbriche principali, in aderenza al principio già citato, volto ad evitare in un sol luogo una eccessiva concentrazione operaia.

Abbiamo visto le filiazioni della ditta Ausano Lazzaroni, ma anche quelle dei Paladini; più ancora ebbe a decentrare i suoi stabilimenti il grande Linificio Canapificio Nazionale, rilevanti le filiali di Lodi e di Crema.

Ecco, ad esempio, descritta in sintesi, la struttura del Linificio Farese, nella sua filiale di Crema, dove l'azienda occupava ben 388 operai, per la maggior parte femmine adulte, addette a 304 telai meccanici, per il reparto della tessitura, mentre altri 166 operai maschi venivano impiegati nel reparto di filatura della Juta di provenienza indiana; il lavoro era continuo per 290 giorni l'anno.

Un ciclo lavorativo continuo e prolungato per così tanti giorni è la conferma che ci si trova di fronte ad una realtà industria le ormai matura, finalizzata, non solo alla lavorazione della materia prima, ma del tessuto vero e proprio.

Le prime manifatture della seta assicuravano il lavoro per non più di tre mesi l'anno, ad avvenuta maturazione dei bozzoli; successivamente, per ottimizzare l'impiego degli operai, (meglio sarebbe dire delle operaie), e delle macchine, si provvide anche all'acquisto di ulteriori bozzoli per così dire di importazione, in aggiunta a quelli prodotti direttamente o localmente, e si protrasse così il lavoro di alcuni mesi.

Fu solo con la estensione del ciclo della lavorazione, dalla semplice "trattura", che ella prima elementare operazione volta a dipanare i bozzoli per ricavarne il filo di seta, alla "torcitura", che è volta alla lavorazione del filo per renderlo più resistente, “all'incannaggio", che consiste nell'avvolgimento del filo sulle bobine, che il lavoro potè proseguire fino quasi ad abbracciare l'intero arco dell'anno.

Mentre, infine, fu la installazione dei telai per la tessitura, che comportò l'esigenza di ammortizzare i più costosi impianti, ad imporre la necessità di lavorazioni a tempo continuato.

Nella lettura pertanto dei dati inerenti il numero degli operai delle manifatture è importante stabilire se si tratta di cifra assoluta, impiegata per pochi mesi, oppure media, rapportata ai giorni lavorativi del medesimo stabilimento nell'anno.

Sempre in Crema, oltre al Linificio ed alla tradizionale ma ben sviluppata bachicoltura, esisteva un'officina per il gas illuminante, una fonderia per campane "della celebre famiglia Crespi" , una fornace per la cottura della calce, 3 fabbriche di candele di cera, un brillatoio per il riso, una tintoria, 6 tipografie impieganti complessivamente 25 operai, e 3 segherie per legnami, "animate da forza idraulica".

La mappatura delle attività economiche, in particolare di quelle industriali, in territorio cremasco, sempre sul finire dell'Otto cento: in estrema sintesi, la seguente, evidenzia anch'essa uno scenario di stretta prevalenza dell'agricoltura, dominata dall'acqua, e di connessione tra agricoltura e industria.

BAGNOLO CREMASCO (2118 Abitanti) - "Il territorio di Bagnolo, riccamente irrigato ed in condizioni assai fortunate, è fertilissimo: dà cereali di ogni specie, foraggi, lino ed ha ricche

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piantagioni di gelsi. Vi si alleva molto bestiame e notevole è la produzione tanto dei latticini che dei bozzoli, costituenti un ricco cespite d'attività per le aziende agrarie. Le altre industrie sono qui rappresentate da un opificio per la brillatura del riso, da un frantoio per la fabbricazione dell'olio di lino e d'altri semi oleosi e da un importante molino a cilindri."

CASALETTO VAPRIO (665 Abitanti) - "Prodotti del suolo, riccamente irrigato e coltivato con molta cura, sono i cereali, il lino, i foraggi, i gelsi ed i legumi. Vi si alleva molto bestiame ed importante è la produzione dei bozzoli e dei latticini. L'industria è rappresentata da due opifici per la brillatura del riso e da un frantoio per l'estrazione dell'olio di lino e d'altri semi oleosi."

CASCINE GANDINI (525 Abitanti) - "Il territorio del Comune, irrigato oltrechè dai canali, dal rio Tormo, è fertilissimo: dà cereali d'ogni specie, lino, foraggio e gelsi. Industrie del luogo, in stretta attinenza colla produzione del suolo, sono l'allevamento del bestiame e la produzione dei bozzoli. Vi è inoltre un opificio per la brillatura del riso."

MADIGNANO (1525 Abitanti) - "Il territorio di Madignano, beneficato da copiosa irrigazione, è fertile d'ogni sorta di prodotti: cereali, lino, foraggi, gelsi e viti. Vi si alleva molto bestiame e cospicua è la produzione dei latticini e dei bozzoli. L'industria è rappresentata in luogo da un brillatoio per il riso e da cave di buona argilla, utilizzata per la fabbricazione di stoviglie nelle fornaci dei paesi limitrofi."

MONTODINE (2366 Abitanti) - "Il territorio di Montodine, favorito da copiosa irrigazione e ben coltivato, è fra i più fertili della regione. Produce: cereali d'ogni specie, lino, foraggi, gelsi e legumi. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la produzione dei bozzoli, praticati su vasta scala nelle molte fattorie che completano il nucleo di questo Comune, sono le attività più rilevanti del luogo, nel quale però hanno vita alcune piccole industrie, tra cui una segheria per legnami."

OFFANENGO (2386 Abitanti) - "Il territorio di questo Comune, irrigato dal Serio Morto e da altri canali, produce in gran copia cereali, foraggio, lino e gelsi. Vi si alleva bestiame bovino ed equino ed importante industria è la produzione dei bozzoli. In Offanengo agisce un frantoio per la estrazione dell'olio di lino e degli altri semi oleosi."

OMBRIANO (3166 Abitanti) - "Il territorio di Ombriano è riccamente irrigato e coltivato con grande cura. Produce: cereali, lino, ortaglie, frutta, gelsi e viti. Importante vi è l'allevamento del bestiame da stalla, bovino ed equino, nonchè la produzione dei latticini, che si fabbricano nelle casere annesse si può dire ad ogni fattoria. L'allevamento dei bachi da seta è industria praticata su vasta scala in ogni fattoria e cascinale del Comune. In Ombriano funziona altresì una grande fornace a fuoco continuo, sistema Hoffmann, per la cottura dei laterizi, alla quale lavorano in media 90 operai."

PIERANICA (542 Abitanti) - "Il territorio, ben irrigato e lavorato con cura, produce cereali, lino, foraggi e gelsi. L'allevamento del bestiame e la produzione dei bozzoli sono le industrie di maggior entità di questo Comune, che possiede anche un opificio per la brillatura del riso ed un frantoio per la fabbricazione dell'olio di lino e d'altri semi oleosi.,,

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SAN BERNARDINO (2150 Abitanti) - "Fertilissimo, perchè ben irrigato e lavorato con cura estrema, èil territorio di San Bernardino, che dà prodotti cereali, foraggi, lino, gelsi, legumi, ortaglie e frutta. Notevoli industrie agrarie sono in luogo l'allevamento del bestiame bovino ed equino, la fabbricazione dei latticini e la produzione dei bozzoli, praticata quest'ultima su vasta scala. Esistono in questo Comune 4 fornaci per laterizi, a fuoco continuo, impieganti in media giornaliera 160 operai, ed una conceria di pelli."

SERGNANO (1448 Abitanti) - "Prodotti del suolo, copiosamente irrigato e ben coltivato, sono i cereali di ogni specie, il lino, i foraggi. L'allevamento del bestiame, la produzione dei latticini e dei bozzoli sono le industrie di maggior sussidio all'agricoltura. Esistono inoltre una piccola fornace, ad antico sistema, per la cottura dei laterizi ed un brillatoio per il riso."

VAIANO CREMASCO (1874 Abitanti) - 'Abbondantemente irrigato e coltivato con molta cura il territorio di Vaiano è fertilissimo e dà per prodotti: cereali di ogni specie, foraggi, lino, frutta e gelsi. L'allevamento del bestiame, la produzione dei latticini e dei bozzoli sono industrie attivamente praticate dalla popolazione di questo Comune. Le altre industrie vi sono rappresentate da una piccola fabbrica di fiammiferi, da un opificio per la brillatura del riso e da una tintoria."

RIVOLTA D'ADDA (4270 Abitanti) - " L'industria è in questo paese rappresentata innanzi tutto da un grande opificio per la torcitura ed incannaggio della seta della ditta Pozzoni, animato da un motore idraulico, e da uno a vapore, della forza complessiva di 60 cavalli, con 640 fusi attivi per confezione di trame, coi quali si lavorano annualmente circa 10.000 chilogrammi di seta greggia cinese, principalmente per conto di case lionesi: vi sono addette 380 operaie ed il lavoro è continuo protraendosi nell'inverno anche di notte.

Vi sono inoltre in Rivolta d'Adda: una fornace per la cottura della calce, che si trae dai ciotoli tolti dal greto dell'Adda; una fabbrica di candele; una fabbrica di concimi chimici ed una fabbrica di colla. L'esteso territorio di Rivolta d'Adda, riccamente irrigato, produce cereali, foraggi, gelsi e viti. Vi si alleva molto bestiame ed importanti industrie agricole sono la confezione dei latticini e l'allevamento dei bachi da seta, praticato su vasta scala."

ROMANENGO (2050 Abitanti) - "Il territorio, irrigato dal Naviglio Civico e da altri canali, è fertilissimo. Dà cereali, lino, foraggi e gelsi. Vi si alleva molto bestiame ed importante vi è pure la produzione dei bozzoli. L'industria è in questo luogo rappresentata principalmente da 3 opifici per la trattura della seta a vapore, impieganti complessivamente circa 200 operai giornalieri; vi sono inoltre 2 brillatoi per il riso; 4 torchi per la estrazione dell'olio di lino e altri semi oleosi ed una distilleria di spirito."

VAILATE (2773 Abitanti) - "Il territorio, ben irrigato e lavorato con grande cura, produce cereali, foraggi, lino, viti e gelsi, frutta e sopratutto pesche, delle quali si fa considerevole esportazione. L'allevamento del bestiame e la produzione dei bozzoli sono industrie attivamente praticate dalla popolazione rurale di questo Comune. Le altre industrie sono in Vailate assai bene rappresentate: da 2 opifici per la trattura della seta e da 2 altri per la torcitura e 1'incannaggio, impieganti in media giornalmente 500 operaie. Esiste inoltre in luogo un opificio per la brillatura del riso."

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CAMISANO (1178 Abitanti) - "Il territorio di Camisano , irrigato dai maggiori canali del circondario, derivati dal Serio e dall'Oglio, e lavorato con cura estrema, è fertilissimo. Produce cereali d'ogni specie, foraggi e gelsi. L'allevamento del bestiame, fatto su vasta scala, la produzione dei latticini e dei bozzoli sono le industrie di maggior sussidio alla produzione diretta del suolo."

Anche la descrizione socio-economica dei comuni della bassa pianura in provincia di Bergamo (tratta da "La Patria - Geografia dell'Italia - compilata dal professor Gustavo STRAFFORELLO per TUTE di Torino - Anno 1898" ricalca le medesime caratteristiche presenti nella descrizione dei comuni più a valle siano essi cremaschi che lodigiani; ancora una volta, il centro dell'economia e della vita del tempo è rappresentato dall'acqua e dall'agricoltura, con essa tuttavia, come ampiamente ricordato, è presente una crescente industria manifatturiera, in alcuni casi di dimensione regionale come a Fara ed a Canonica, favorite dallo sfruttamento delle acque dell'Adda per la produzione di energia idraulica, vediamo qualche esempio:

BRIGNANO GERA D'ADDA (3055 Abitanti) - "Ben irrigato, assai fertile e coltivato con cura, dà cereali di ogni specie, foraggi, legumi, viti e belle piantagioni di gelsi. L'allevamento del bestiame e la produzione, importante, dei bozzoli sono le industrie di maggior sussidio all'agricoltura."

CALVENZANO (1698 Abitanti) - "Vuolsi che il territorio di Calvenzano occupi parte del letto dell'antico lago Gerundo. Da ciò la sua fertilità. Prodotti del suolo: cereali d'ogni specie, lino, foraggi, legumi e magnifiche piantagioni di gelsi. Allevamento del bestiame e produzione dei bozzoli su larga scala."

CANONICA D'ADDA (1664 Abitanti) - "Il territorio di Canonica è assai fertile: dà cereali di ogni specie, lino, foraggi, legumi e belle piantagioni di gelsi. L'allevamento del bestiame e la produzione dei bozzoli sono in luogo le industrie di maggior sussidio alla produzione agraria. L'industria manifatturiera è rappresentata da due opifici per la trattura ed uno per la torcitura ed incannaggio della seta, impieganti complessivamente 450 operai e da un grandioso opificio per la filatura del cotone impiegante 600 operai al giorno ora però sotto la frazione Crespi di Capriate."

CASIRATE D'ADDA (1481 Abitanti) - "Il territorio produce cereali di ogni specie, foraggi, lino e gelsi; l'allevamento del bestiame e la produzione dei bozzoli. Le industrie manifatturiere sono rappresentate da due opifici: uno per la trattura e l'altro per la torcitura e 1'incannaggio della seta, impieganti in media 250 operai."

CASTEL ROZZONE (809 Abitanti) - "Il territorio dà cereali, lino, foraggi e gelsi. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la produzione dei bozzoli sono industrie quivi singolarmente fiorite".

FARA D'ADDA (2720 Abitanti) - "Prodotti del suolo fertilissimo: cereali, lino, frutta, foraggi, gelsi e viti. L'allevamento del bestiame, il caseificio, la produzione dei bozzoli sono le industrie agrarie favorite in questo territorio. L'industria manifatturiera è quivi rappresentata dal grandioso stabilimento per la filatura del lino e della canapa (Linificio e Canapificio Nazionale SA) fondato nel 1871. Lo stabilimento ha cinque motori idraulici della forza complessiva di 900 cavalli

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dinamici, più 4 caldaie a vapore della potenzialità di 80 cavalli, ha 15.000 fusi attivi ed impiega circa 1700 operai. Vi si producono annualmente circa 4 milioni di chilogrammi di filati."

FORNOVO SAN GIOVANNI (1087 Abitanti) - "Il territorio è fertile e riccamente irrigato. Dà cereali, foraggi e gelsi. L'allevamento del bestiame e la coltura dei bachi da seta sono, dopo la diretta produzione del suolo, le industrie più produttive del luogo."

MISANO GERA D'ADDA (1117 Abitanti) - "In questo comune si entra nella regione delle risaie; il suolo è fertilissimo ed oltre i cereali comuni dà riso, foraggi e gelsi. L'allevamento del bestiame e la produzione dei bozzoli sono le maggiori industrie praticate nelle numerose fattorie sparse su questo territorio. L'industria manifatturiera è rappresentata da un opificio per la trattura dlla seta con 70 operai in media."

POGNANO (620 Abitanti) - "Prodotti del suolo, ben coltivato e fertilissimo, sono i cereali d'ogni specie e le belle piantagioni di gelsi, dalle quali è singolarmente favorito l'allevamento dei bachi da seta. L'industria tessile è rappresentata da un opificio per la trattura della seta, impiegante in media 170 operai giornalieri."

PONTIROLO NUOVO (1770 Abitanti) - "Questo paese toglie il suo nome dall'antico paese di Pontirolo (Pontis Aureoli) o Canonica (successivamente denominato il tal modo per via dello stuolo di Canonici che ospitava), distrutto dal barbarossa durante il periodo delle sue guerre con Milano, e sorto alquanto più a oriente di quello. Il suolo, assai fertile, dà cereali, foraggi, lino, viti e gelsi; l'allevamento del bestiame e dei bachi da seta sono industrie fiorenti. Vi è inoltre un opificio per la torcitura e 1'incannaggio della seta con circa 80 operai ed una tintoria di filati con 70 operai."

PAGAZZANO (1072 Abitanti) - "Spicca, testimone della sua importanza passata, benissimo conservato, il vasto castello, le cui origini si fanno dagli storici risalire al principio del secolo X quando, chiamati dall'improvvida e tortuosa politica di Berengario I, gli Ungari avevano invasa l'Italia superiore, rinnovandovi le barbarie degli Unni e degli Ostrogoti al tempo della caduta di Roma. Il Castello di Pagazzano ha, dal secolo XI al XIV, avuto parte importante negli avvenimenti dlla provincia bergamasca e fu, durante le guerre comunali, preso e ripreso da Bresciani e Bergamaschi. Vi soggiornò, ai suoi bei tempi, Bernabò Visconti, quando di persona ordinava le stragi dei Guelfi nella bergamasca. Una lapide rammenta il solenne ricevimento ch'egli fece, nel 1355, a Filippo Borromeo. Il Catello anticamente aveva ai lati quattro torri, una sola ne rimane oggi a causa delle deturpazioni subite nel XVII secolo per capriccio dei suoi possessori. Fu successivamente dei Visconti di Brignano, dei Bigli e dei Crivelli, famiglie tutte del patriziato milanese. Il territorio di Pagazzano è fertilissimo: dà cereali di ogni specie, lino , foraggi e gelsi. L'allevamento del besiame e la coltura dei bachi da seta vi sono praticati su larga scala."

La presente relazione, forse ridondante di numeri e di argomenti collaterali rispetto al tema centrale dell'acqua, utili magari per la ricerca o per approfondimenti futuri, è animata dallo scopo di suscitare nuovo interesse verso l'acqua appunto, tanto centrale nella vita dei nostri padri, quanto trascurata nella presente, ed anche, mi si consenta, verso il lavoro manuale o intellettivo, espressione innata della gente bergamasca del quale non ci si deve disamorare. Grato per

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l'attenzione chiedo venia a coloro che comprensibilmente ho potuto annoiare ma non era certo questa la mia intenzione.

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INTERVENTO

L’acqua: bene comune e diritto per tutti.Prof. Lelio PaganiUniversità degli Studi di Bergamo

0. Introduzione.Trasformerei la mattinata in un momento che ci invita a mettere a tema l’acqua, senza

necessariamente darci l’impegno di dire che abbiamo risolto il problema. In sintesi vi mostro lo schema che avrei desiderato sviluppare; toccheremo in particolare un punto per completare il quadro degli argomenti presentati nella mattinata.

Avevo chiesto di far vedere anche ai ragazzi di Pagazzano il filmato del Serio, non perchè volevo spostare il tempo del mio intervento, ma perché volevo complimentarmi con i ragazzi di Cologno al Serio e segnalare come esempio di lettura il tema del rapporto tra società umane e luoghi. Il filmato che vedrete imposta la lettura in questa chiave dialogica: mi compiaccio vivamente.

Negli anni ‘70-’80 ho fatto un corso con la Provincia, che poi aveva generato un libro dal titolo ‘Il fiume Serio’ e vedendo il filmato di prima ho ripercorso io stesso la mia avventura di conoscenza del fiume, della sorgente alla foce. Posso dire che ho condiviso vivamente con voi questo vostro approccio e sono molto contento anche dell’impostazione data che contiene gli elementi che possono essere la base per una nostra riflessione più strutturata ed estensibile anche ad altri contesti.

Nel dare questo mio segno di stima e apprezzamento alla scuola di Cologno al Serio invitavo i ragazzi di Pagazzano a guardare con attenzione il filmato, non solo per quel che rende godibile, ma proprio per il significato stesso dell’accostamento che si è fatto. Io avevo impostato il mio schema con un tema che mi è caro: invitare tutti a sentire la ricchezza dei luoghi, tutti i luoghi, secondo le diverse scale; possiamo considerare il nostro quartiere, la nostra via, il nostro paese, una porzione di pianura, la nostra provincia, la nostra regione… usando i confini come contorni di senso non come elementi di distinzione, come ambiti che circoscrivono significati particolari. Considerare quindi i luoghi come risultato del dialogo tra società umane e un dato spazio fisico attraverso il tempo. Un gruppo umano, più o meno ampio, può essere un piccolo gruppo che sceglie un versante di valle o si accosta ad una porzione di pianura o ad un terrazzo fluviale, può essere una comunità. Anche gli uomini sono la natura, possiamo essere letti anche noi in chiave ecologica. Come esseri viventi, però abbiamo qualcosa di diverso rispetto a tutti gli altri esseri viventi: su una lettura naturale ci si pone in condizioni di trasformatori della realtà che ci viene data in dotazione e noi lasciamo i segni della nostra presenza e diventiamo costruttori di territorio. Sviluppiamo un rapporto con le potenzialità offerte da determinati luoghi o ci accostiamo anche alle difficoltà se abbiamo altri elementi di convenienza, riducendo le difficoltà, per riuscire a costruire la vita dentro un dato spazio e noi quindi possiamo col pensiero tornare a qualsiasi luogo: i nostri luoghi, quelli dei nostri amici,

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quelli delle comunità che abbiamo la fortuna di avvicinare e vedere la costruzione di luoghi attraverso questo percorso che può avere radici remotissime e radici anche più vicine. Gli uomini hanno istituito un dialogo con la natura che ha generato stili di vita, comportamenti e nello stesso tempo ha offerto la possibilità per una serie di prodotti, di artefatti che hanno costruito il territorio. Un conto è lo spazio naturale nativo, un conto è il territorio organizzato, un conto sono i paesaggi… diciamo allora i luoghi come risultato della natura e della cultura che noi, nella nostra sezione temporale riceviamo come un’eredità preziosa. Noi siamo nei luoghi e i luoghi ci danno un patrimonio, voi lo avete visto, dotazione, ricchezza che dobbiamo capire, custodire e possibilmente valorizzare.

1. Società umane, luoghi. Rapporto natura/cultura.Innanzitutto volevo inserire la riflessione sul rapporto non con lo spazio fisico in generale, ma

con l’acqua in particolare. Non c’è storia di comunità in ambiti particolari, oltre che per tutti gli aspetti importantissimi qui richiamati, che non istituiscano relazioni con l’acqua. Andate a vedere nelle nostre valli, ci sono paesi che sono sorti anche laddove per mesi non c’è il sole, che sembrerebbe un elemento fondamentale, ci sono tanti paesi anche sul lago, come a Toline , comune del lago d’Iseo, dove il sole non c’è per un periodo dell’anno, ma si crea ugualmente un centro perché ci sono altre condizioni che alimentano la vita di una comunità in un dato luogo. Non troverete un insediamento stabile laddove non ci sia almeno una sorgente. Nel deserto, luogo in cui non c’è la vegetazione, non c’è l’acqua e quindi non c’è l’insediamento, laddove invece c’è un’oasi c’è anche la vita. Interessante vedere che ci sono luoghi dove l’acqua è abbondante. Da noi nella pianura, si diceva prima il lago Gerundo, al di sotto delle linee delle risorgive l’acqua è abbondante. La storia degli uomini con quei luoghi è stata di bonifica, di regolamentazione dell’acqua in esubero. A monte di questa linea, nella nostra stessa piccola realtà, il lavoro dell’uomo era di addurre l’acqua perché era carente, allora troviamo canalizzazioni, non per far defluire l’acqua in abbondanza, ma per portare l’acqua necessaria per rispondere alle esigenze della vita.

Nei testi che vi lascio troverete via, via, indicazioni abbastanza intense intorno a questi temi per come gli uomini hanno realizzato le loro relazioni con l’acqua e come l’acqua è entrata nella vita e nei paesaggi. Mi ero preparato una serie di spunti che avrei desiderato leggere, ma il tempo non consente che io indugi su questo aspetto.

Volevo invece riprendere un altro concetto: il risultato di questo lungo percorso del rapporto tra generazioni in un cammino plurimillenario con i luoghi, ha generato una realtà straordinariamente ricca, significativa. Come primo sforzo dovremmo cercare di piegarci sui nostri luoghi per capire la ricchezza delle dotazioni di natura e per capire la ricchezza delle trasformazioni operate dagli uomini attraverso il tempo. Ho fatto questa riflessione perché nessuna altra stagione della storia è stata interessata da dinamiche quali sono quelle di cui noi siamo protagonisti e spettatori. Per realizzare quel filmato gli studenti di Cologno al Serio hanno guardato anche qualche carta storica. Se usassimo anche solo le carte storiche relative ad alcuni decenni passati per vedere cosa abbiamo aggiunto nei nostri modi, in termini anche solo quantitativi, nel giro di pochi anni, ci renderemmo

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conto che in questo dialogo con i luoghi abbiamo introdotto nelle nostre realtà volumi, infrastrutture; abbiamo agito sulla natura con una forza non paragonabile a quella di nessun altro tempo e abbiamo prodotto quantitativamente effetti superiori a quelli di tutto il cammino della storia. Questo aspetto per un verso rischia di dissipare e distruggere il patrimonio per un altro di distrarci, di non farci capire la ricchezza delle sue articolazioni e per un altro verso, ancora quello di non garantire futuro. In un certo senso questo vale per tutti i luoghi della terra, anche quelli che vediamo deboli e fermi in realtà sono in movimento. La nostra è una stagione della storia in movimento, in trasformazione. Nei nostri luoghi di Lombardia non parliamo di trasformazioni radicali e profonde, ma radicalissime e profondissime! Noi dobbiamo avere la consapevolezza di vivere in uno dei luoghi fra i più dinamici del pianeta. Non solo consapevolezza di ciò che accade sullo scenario generale, ma adeguatezza della consapevolezza e della sensibilità alla intensità delle cose che succedono. Ci sono luoghi che possono essere paghi di sé solo con una sensibilizzazione di massa. Noi abbiamo bisogno di una sensibilità eccezionale proporzionata alla eccezionalità delle situazioni e degli eventi, sia in termini positivi di aggiunta e di novità, sia in termini negativi di criticità e di patologie che i nostri luoghi vivono. Spesso queste ultime derivano non sempre da intenzioni negative, ma che sono negative nell’effetto perché facciamo tanto e tanto che la somma di quel tanto, anche se fosse leggera, diventa negativa. Oppure chiediamo tanto e tanto per esserci e quindi diventiamo alteratori dell’equilibrio senza l’intenzione negativa. Poi ci sono gli effetti negativi perché non siamo sufficientemente accorti, perché lasciamo andare, non controlliamo, ma ci sono anche effetti negativi voluti. La settimana scorsa mi sono trovato ad un dibattito sulla storia della ‘Settimana dei castelli’, abbiamo fatto un incontro dedicato ai valori, alla difesa e abbiamo presentato un libro sui confini di Gera d’Adda e un giovane architetto è intervenuto usando un’espressione che mi ha preoccupato. Io avevo fatto una riflessione dello specifico della difesa nella costruzione del territorio e usavo sempre la parola costruzione e il giovane architetto ha detto ‘noi, nei nostri tempi siamo diventati violentatori dei luoghi’. Il ribaltamento della posizione. Tra l’altro con tragedia di effetto perché spesso siamo dei violentatori violentati, perché a nostra volta poi subiamo gli effetti negativi di tutto ciò che noi abbiamo concorso a rendere negativo. Quindi l’acqua, elemento preziosissimo, delicatissimo, è molto esposta a rischi particolari.

Avrei letto volentieri il testo intitolato ‘I ritmi del mutamento’, che vi lascio.È un bene che a questo incontro ci siamo tanti giovani perché se noi abbiamo la possibilità di

condividere queste nostre preoccupazioni con chi guarda con occhi fiduciosi al futuro, abbiamo raggiunto risultati che vanno al di là di quelli che ci saremmo potuti dare.

Questo ero un primo punto: società umane, luoghi, risultato del rapporto tra natura e cultura, esposizione a rischio del patrimonio del nostro tempo e ovviamente necessità di costruzione di una cultura e di una sensibilità adeguata.

2. L’anno internazionale dell’acqua potabile.Spostiamo l’attenzione sul tema generale del convegno, perché finora abbiamo parlato di società

umana e luoghi qui, vicini a noi, ma dobbiamo estendere l’argomento all’intero pianeta. Si aggiunge

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qui anche un altro discorso di relazione, in senso di giustizia distributiva, di giustizia socio-spaziale. Noi qui oggi con tanti problemi, però fortunati. Abbiamo malattie e criticità del troppo, quantomeno del più, sicuramente del sufficiente, quindi la nostra povertà è comunque ricchezza nei riguardi di altre povertà, di altre condizioni di vita sul pianeta. Senza pensare all’accumulo o all’arricchimento, all’aggiunta di valori operata dagli uomini nelle realtà in termini di valorizzazione, Cattaneo, in un articolo che poi vi darò, dice:

[…] La nostra pianura è tutta sfatta, è tutta smossa e rifatta dalle nostre mani.

e poi con compiacimento dice:

Abbiamo preso le acque dai fiumi, le abbiamo portate sulla lande asciutte, abbiamo orientato quelle stagnanti trasformandole in risaie…

La consapevolezza delle capacità dell’uomo… ma è facile se c’è l’acqua! Però ci sono luoghi in cui non c’è la materia prima o c’è in proporzioni non adeguate alle esigenze, ci sono situazioni che sembrerebbero di ingiustizia socio-spaziale dal punto di vista della natura stessa. Poi ci sono gli effetti di non giustizia socio-spaziale provocati dalla storia degli uomini. L’anno internazionale dell’acqua ci invita ad aggiungere alla nostra riflessione anche questo aspetto: noi e i nostri luoghi, noi e il rispetto del patrimonio di natura e cultura, noi in un mondo dove ci sono tanti esseri viventi davanti al diritto all’ambiente, ai luoghi, alla qualità di tutti gli esseri viventi. L’anno internazionale dell’acqua porta a riflettere soprattutto su questo aspetto. Una volta si diceva: bisogna guidare il bambino dal vicino al lontano; adesso bisogna fare il contrario, cioè bisogna dargli ordine per riuscire a fare in modo che non si perda nel lontano che viene dato prima che scopra il vicino. Il mondo non possiamo dire che non lo vediamo e non lo conosciamo; lo abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni, sempre e sotto tutte le forme. Anche qui, adeguatezza della nostra sensibilità in proporzione alle informazioni che abbiamo. Non possiamo dire: non sappiamo! Perché sappiamo molto più di ieri, sappiamo anche dei bisogni degli altri e abbiamo possibilità di relazione e di azione con il resto del mondo molto più forti di quelle di ieri, quindi la responsabilità delle condizioni di benessere o di benessere, anche di chi è lontano da me, è molto più forte oggi perché ho la possibilità, per i sistemi di relazione che la società umana è riuscita a costruire attraverso il suo percorso di civiltà, di quanto non fosse nel passato. Anche questo è un aspetto del farci carico anche del problema degli altri in modo responsabile.

Ho portato un libro dal titolo molto bello ‘Condividere il mondo. Equità e sviluppo sostenibile nel XXI secolo’. Può essere un discorso anche puramente ecologico, non complessivo, ma prezioso, importante. Ho scelto questa frase ‘Vivere bene con quello che la terra è in grado di dare’. Anche questo è un altro concetto molto importante: devo chiedere il possibile. Lo dico spesso anche ai miei studenti dell’università: siamo abituati sempre a giudicare la risposta, bisogna che impariamo a fare noi, nel momento in cui poniamo la domanda, il giudizio sulla domanda. Mia mamma, da saggia, diceva ‘Chiedi il chiedibile!’. Autolimitarci, controllarci nella domanda vale anche nei riguardi della natura: chiedo quello che la natura può darmi. C’è un’autolimitazione che viene subito a monte dalla constatazione delle possibilità effettive. Durante una discussione sulla valorizzazione del verde ieri sera a Villa di Serio, dicevo ‘Generalmente noi abbiamo queste regole

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che corrono nella nostra società permissiva e del consumo sfrenato, ad avere e chiedere tutto, comunque, dovunque e subito!’. Invece dovrebbe essere: ‘chiedere il possibile, non tutto, nei modi, nei luoghi e nei tempi giusti’. Provate a pensarci bene! Poi siamo soddisfatti in proporzione a quanto abbiamo, invece alzare la qualità della domanda, fare domande che siano civili, migliorare la società vuol dire innanzitutto innalzare il livello di civiltà della comunità che chiede responsabilmente, consapevolmente, con senso di giustizia. Condividere il mondo! Relativamente all’acqua avevo anche qualche dato sui consumi: il consumo di acqua dipende dalla densità di popolazione, ma dipende anche dallo stile di vita, dalle abitudini, dai modelli di produzione agricola e industriale. Le differenze, non solo sono enormi perché ci sono paesi che hanno più acqua e paesi che hanno meno acqua, ma sono enormi perché ci sono diversi modi di chiedere e di usare l’acqua. Un americano consuma in media 2.100 metri cubi di acqua all’anno, un canadese 1.500, un italiano 1.000, un nigeriano 45. Gli olandesi e i giordani, che consumano rispettivamente 1.175 metri cubi l’anno, sfruttano entrambi eccessivamente le disponibilità locali di risorse idriche, perché si può essere sproporzionati anche se si chiede il poco. C’è una carta europea del Consiglio d’Europa sull’acqua che mi permetto di leggervi perché si intreccia abbastanza sia al tema sia alle considerazioni che sono state fatte dai relatori precedenti. Leggo questa invece di sviluppare altri punti e poi concludiamo. Premetto che la nostra discussione di stamattina si riferisce prevalentemente all’acqua dolce. Anche l’anno internazionale dell’acqua è legata alle acque dolci, alle acque potabili, alle acque per la vita. Non sto parlando dell’acqua in rapporto alle terre emerse sulla superficie del globo, altro problema grandissimo e gravissimo.

Dalla Carta Europea dell’acqua:

1 - Non c’è vita senza acqua. L’acqua è un bene prezioso indispensabile a tutte le attività umane.

2 - Le disponibilità di acqua dolce non sono inesauribili. È indispensabile preservarle, controllarle e, se possibile, accrescerle.

3 - Alterare la qualità dell’acqua significa nuocere alla vita dell’uomo e degli altri esseri viventi che da essa dipendono.

4 - La qualità dell’acqua deve essere mantenuta in modo da poter soddisfare le esigenze delle utilizzazioni previste specialmente per i bisogni della salute pubblica.

Ci sono diversi tipi di acqua. Tante volte, in seguito ai nostri comportamenti, l’acqua è diventata nemica. L’acqua che era alimentatrice di vita diventa portatrice di morte. Siamo arrivati al punto in cui dobbiamo guardare l’acqua in alcuni casi. Alcune volte siamo spostati anche dal guardare l’acqua: acqua che non si fa guardare, acqua che non si può toccare, acqua nella quale non ci si può più immergere, acqua che non si può più bere. È diventata così per noi. Se noi cambiamo i comportamenti potremmo di nuovo cambiare questi eventi. Non voglio fare un discorso distruttivo e disfattista. Sto solo invitando alla responsabilità e sono ottimista e fiducioso nelle capacità dell’uomo.

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5 - Quando l’acqua, dopo essere stata utilizzata viene restituita all’ambiente naturale deve essere in condizioni da non compromettere i possibili usi dell’ambiente sia pubblici che privati.

Invece noi usiamo l’acqua perché purifica me, lava me e poi via.

6 - La conservazione di una copertura vegetale appropriata di preferenza forestale è essenziale per la conservazione delle risorse idriche.

7 - Le risorse idriche devono essere accuratamente inventariate.

Aver coscienza del patrimonio. Uno dei primi errori è il non sapere quello che si ha, il non conoscere i beni di cui si dispone. Come volete che li amministriamo bene se non sappiamo neanche di cosa disponiamo?

8 - Le risorse idriche devono essere accuratamente inventariate.

La buona gestione dell’acqua deve essere materia di pianificazione da parte delle autorità competenti. Io ho collaborato un po’ alla redazione del Piano Territoriale della Provincia di Bergamo, che è quello di cui si discute nei comuni in questi giorni e non sto dicendo che è bene o male, ho fatto l’impossibile per inserire nella questione generale l’invito a considerare non le cose eccellenti e quelle su cui tutti siamo d’accordo. Chi è che dice ‘faccio il piano e non vedo l’anda o non vedo l’Oglio o non vedo il lago’? Ma chi vede la Quisa, il Rillo, la Tirna, il Dordo, la Resina… Parlo di fiumi bergamaschi entrati nelle storie delle comunità allo stesso modo, con la stessa forza dei fiumi grandi. Sto facendo con amici dell’università e con la provincia dei lavori di ricerca, mi piacerebbe venire nelle scuole con i miei collaboratori e portarvi i risultati. Stiamo facendo una lettura specifica sul tema della valorizzazione delle aree spondali dei fiumi e abbiamo scelto come campione il fiume Serio. Cos’è che consideriamo fiume? La buona gestione dell’acqua deve essere materia di pianificazione da parte delle autorità competenti. Bisogna fare entrare, tra i tanti altri temi, la salvaguardia dell’acqua, che implica uno sforzo importante di ricerca scientifica, di formazione, di specialisti e di informazione pubblica.

9 - L’acqua è un patrimonio comune il cui valore deve essere riconosciuto da tutti.

10 - Ciascuno ha il dovere di economizzarla e di utilizzarla con cura.

11 - La gestione delle risorse idriche dovrebbe essere inquadrata nel bacino naturale piuttosto che entro frontiere amministrative e politiche.

I campanilismi servono a renderci competitivi e migliori, però dobbiamo avere lo sguardo grande, altrimenti come facciamo a dire che siamo figli del nostro tempo in modo adeguato? Saremo noi giudicabili domani come persone che sono state capaci nel loro tempo di capire e di rispondere in modo adeguato alle sfide?

12 - L’acqua non ha frontiere. Essa è una risorsa comune la cui tutela richiede la cooperazione internazionale.

Questi sono 12 punti molto semplici e se noi li teniamo presenti ci aiutano a vedere anche in modo strutturato e organico questo importante problema.

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In un incontro in cui era presente anche don Poli e altri amici su un tema ancora simile mi ero permesso di concludere attingendo ad un testo di un filosofo che legge la nostra realtà e le trasformazioni del nostro tempo in un volumetto sui ‘Saperi necessari all’educazione del futuro entro un’etica della comprensione planetarià. Noi oggi viviamo in questo modo: dobbiamo essere sempre più nel nostro qui e sempre più nel nostro qui grande che è il mondo. Non si escudono queste due cose. Gli uomini hanno la forza per fare tantissimo quindi non è il caso che noi usciamo pessimisti nella nostra avventura dell’esistenza, ma dovremo attrezzarci per rispondere in modo molto forte e adeguato. Il testo dice: Dobbiamo impegnarci non a dominare, ma a prenderci cura, migliorare, comprendere.

Prenderci cura potrebbe valere su tantissimi fronti, prendiamo il quadro della natura e dell’acqua; migliorare, altro che violentare o distruggere; se io passo la mia vita in questo luogo che ho assunto nella mia storia, altro che dire che dobbiamo solo fare il restauro e la valorizzazione, se noi anche avessimo salvato nella maniera più perfetta tutto quello che abbiamo ereditato, consapevoli del valore di natura, di storia, ecc… e ci si chiedesse ‘Tu, di tuo, con la tua vita, tu persona, voi gruppo, voi generazione, cosa avete fatto? Dov’è la vostra firma?’. Se noi non veniamo riconosciuti nella nostra firma in aggiunta non abbiamo fatto il nostro dovere, altro che dire che dobbiamo fermarci e conservare. Capire è un’altra cosa, inserirci attivamente nei luoghi, usare dei beni nella misura giusta, chiedendo il chiedibile e aggiungere di nostro. Questo è vivere degnamente il proprio tempo e usare i talenti messi a disposizione. E ne abbiamo tantissimi, su tantissimi fronti, di intelligenza, di mezzi, ecc… Prendersi cura, migliorare, comprendere, inscrivere in noi, attraverso:

1. la coscienza antropologica che riconosce la nostra unità nella nostra diversità: noi e tutti;2. la coscienza civica terrestre, ossia la coscienza della responsabilità e della solidarietà per i

figli della terra;3. la coscienza dialogica che nasce dall’esercizio complesso del pensiero e ci permette nel

contempo di criticarci fra noi, di autocriticarci e di comprenderci gli uni e gli altri;4. la coscienza ecologica, ossia la coscienza di abitare con tutti gli esseri una stessa sfera

vivente. Il conoscere il nostro legame consustanziale con la biosfera ci porta ad abbandonare il sogno prometeico del dominio dell’universo, per alimentare al contrario l’aspirazione alla convivialità sulla terra. Abitare la terra degnamente, responsabilmente, collaborando con la natura, con la storia.

3. Conclusione.Abbiamo preso spunto dal giorno di S. Francesco che, anche senza un riferimento alla fede, è un

maestro straordinario di vita, di ecologia. Tutti questi punti potremmo riscriverli francescanamente, sarebbe un di più, come comprendere la Bibbia non è un andare indietro ma è capire come non siamo ancora riusciti a capire quello che si era già capito. È un metterci in crisi per dire come non abbiamo più la memoria e la capacità di approfondimento di quello che, generazioni fa, era stato già acquisito. Per riprendere invece il positivo e lo slancio di urgenza per quanto riguarda noi oggi:

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1) urgenza del richiamo alla solidarietà, all’impegno per ridurre le disparità socio-spaziali e per estendere il discorso sul diritto alla vita, il diritto ai luoghi, il diritto all’acqua, il diritto alla qualità della vita, il diritto alla qualità dei luoghi per tutti;

2) un consenso etico ispirato da chi crede in certi valori.Con il discorso emerso questa mattina che, da credenti ci pone davanti alla natura, non come ad

una realtà amorfa, ma dentro un disegno più ampio che la fa diventare creato o creatura, il riuscire a dire, attraverso il nostro percorso di vita se riusciamo a salvare i beni, quei beni che sono nel cantico che abbiamo sentito in esordio e vedere se siamo in grado di riuscire nella nostra vita a vivere comportandoci nei riguardi di quei beni col senso complessivo del sentirli creatura, avendo la possibilità, oltre che di godere del bene, di conservare la qualità del rapporto, ma di potere anche noi essere degni di cantare la lode di Francesco d’Assisi.

BIBLIOGRAFIA

Lelio Pagani, Bergamo, Lineamenti della città, Edizioni Sestante, 2000;a cura di L. Pagani, Acqua e territorio, Atti del seminario Università di Bg, aprile 1995;a cura de’ il Poliedro, Le acque nella bergamasca, Dispense studio LitoCap.

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1. Fotocopiare la pagina del pieghevole con i loghi di chi ha dato il patrocinio

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Di fronte allo sfruttamento sconsiderato della creazione, originato dall'insensibilità dell'uomo,

la società odierna non troverà soluzione adeguata,se non rivedrà seriamente il suo stile di vita.

L'attenzione e il rispetto per la natura potranno favorire sentimenti di solidarietà verso uomini e donne,

il cui ambiente umano viene costantemente aggredito dallo sfruttamento,

dalla povertà, dalla fame o dalla mancanza di educazione e di salute.

Giovanni Paolo II

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