Introduzione alla Scrittura - Unità Pastorale Zevio ... · • canone cristiano cattolico; ......

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1 UNITA’ PASTORALE ZEVIO PERZACCO VOLON Bibliografia essenziale LA BIBBIA. VIA, VERITÀ E VITA, San Paolo, 2012. CUCCA M. - PEREGO G., Atlante Biblico interdisciplinare. Scrittura, storia, geografia, archeologia e teologia a confronto, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1998. MAZZINGHI, L., Storia di Israele. Dalle origini al periodo romano, Studi biblici 56, EDB, Bologna 2007. SCHÖKEL L.A. ASURMENDI J., et al., La Bibbia nel suo contesto, Paideia, Brescia, 1994. Siti internet Introduzione http://www.bibbiaedu.it/introduzione/v3_s2ew_consultazione.mostra_pagina?id_pagina=22405 http://it.cathopedia.org/wiki/Antico_Testamento Dei Verbum http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat- ii_const_19651118_dei-verbum_it.html Verbum Domini http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/apost_exhortations/documents/hf_ben- xvi_exh_20100930_verbum-domini_it.html Introduzione alla Scrittura

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UNITA’ PASTORALE ZEVIO PERZACCO VOLON

Bibliografia essenziale LA BIBBIA. VIA, VERITÀ E VITA, San Paolo, 2012. CUCCA M. - PEREGO G., Atlante Biblico interdisciplinare. Scrittura, storia, geografia, archeologia e teologia a confronto, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1998. MAZZINGHI, L., Storia di Israele. Dalle origini al periodo romano, Studi biblici 56, EDB, Bologna 2007. SCHÖKEL L.A. – ASURMENDI J., et al., La Bibbia nel suo contesto, Paideia, Brescia, 1994. Siti internet Introduzione http://www.bibbiaedu.it/introduzione/v3_s2ew_consultazione.mostra_pagina?id_pagina=22405 http://it.cathopedia.org/wiki/Antico_Testamento Dei Verbum http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19651118_dei-verbum_it.html Verbum Domini http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/apost_exhortations/documents/hf_ben-xvi_exh_20100930_verbum-domini_it.html

Introduzione alla Scrittura

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1. Introduzione alla “Parola di Dio” Per entrare nel senso profondo di cosa significhi «Parola di Dio», cominciamo da uno sguardo generale alla Sacra Scrittura, intesa come «libro di libri» (Biblia). Questa operazione è importante al fine di avere uno sguardo d’insieme sulla Bibbia, su come sono disposti i libri. Praticamente iniziamo dalla fine. Il testo scritto, disposto accanto agli altri testi sacri, è un punto di arrivo di una lunga storia. A livello introduttivo, renderci conto di come sono fatte le nostre Bibbie è utile, perché ci permetterà poi di fare il percorso inverso con qualche motivazione in più. Inoltre siamo chiamati a confrontarci con le seguenti domande: come si è arrivati a questa Bibbia? Perché ci sono differenze tra il canone Cristiano e quello Ebraico? Quale storia si nasconde dietro questi testi? 1.1 Il “canone” della Bibbia, un elenco ufficiale Il canone biblico è, negli ambiti ebraico e cristiano, l'elenco dei testi contenuti nella Bibbia, riconosciuti come ispirati da Dio e dunque sacri, normativi per una determinata comunità di credenti in materia di fede e di morale. La parola 'canone' è la traduzione del greco κανὡν (kanon, letteralmente 'canna', 'bastone diritto'). Il termine in origine indicava lo strumento di misura per la lunghezza (solitamente appunto un bastone diritto), da qui il significato traslato di regola, prescrizione, forma, modello. Tra le differenti religioni e confessioni religiose si trovano notevoli diversità sia sul modo d'intendere l'ispirazione della Bibbia, sia sulle effettive liste dei libri considerati "canonici". Esistono pertanto diversi canoni: • canone ebraico; • canone samaritano; • canone cristiano ortodosso; • canone cristiano cattolico; • canone cristiano protestante; • canone cristiano copto; • canone cristiano siriaco. A grandi linee, c'è una rilevante difformità tra i vari canoni cristiani da un lato e quello ebraico e samaritano dall'altro: questi ultimi due canoni non accolgono i libri del Nuovo Testamento relativi a Gesù. Nell'ambito cristiano le distinzioni sono limitate ai libri dell'Antico Testamento, espressione quest'ultima che per i cristiani indica quello che per gli ebrei viene denominato con l'acronimo di Tanakh, essendovi comune accordo sulla canonicità di tutti i libri del Nuovo Testamento. I testi che non sono accolti in un determinato canone sono detti "apocrifi". 2. Il canone «Ebraico» TaNaK: divisione tripartita Proviamo a entrare in questa «biblioteca» a partire dalla Bibbia ebraica, che dispone i sacri libri secondo il seguente schema: TaNaK, è il nome con cui gli ebrei chiamano il Primo Testamento. È chiamato in questo modo perché sono state vocalizzate le tre consonanti con cui inizia ciascun corpo scritturistico. «T» è l’inizio del termine Tôrâh e significa «legge», si tratta dei primi cinque libri

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delle Bibbia; «N» è l’inizio del termine Nebi’im che significa «profeti», si tratta dell’insieme dei libri che partono da Giosuè fino a Malachia; «K» è l’inizio del termine Ketubim che significa «scritti», corrisponde ai libri che dalla raccolta di Salmi si estendono fino a Secondo libro delle Cronache. Vediamo come il corpo profetico per il canone ebraico copre molti più libri del canone cristiano, comprendendo anche i libri di Gs-2Re. Questo corpo scritturistico non è il terzo, come nel canone cristiano, ma il secondo. Questa posizione è coerente con la lettura sinagogale, che vede nel corpo profetico un commento alla Tôrâh. La profezia allora è vista in relazione al passato. 2.1 La Tôrâh: fondante e identificante per il popolo di Israele Esiste una gerarchia delle Sacre Scritture: tutte sono sacre, tutte e interamente sono ispirate, ma non sono una catasta casuale di libri. Ciascuna riveste un ruolo rispetta alle altre. Per il Nuovo Testamento il vangelo fa un po’ da perno, punto di riferimento, tanto che anche durante la liturgia ci si alza in piedi durante la sua lettura. Esiste il corrispettivo ebraico? Il corrispettivo è la Tôrâh. Allora proviamo a vedere come tutto il canone ebraico infondo è segnato dalla Tôrâh. Cosa significa? Significa che in alcuni punti strategici del canone, in particolare i punti di congiunzione o i punti di «cesura», cioè l’inizio e la fine di questi tre corpi scritturistici, vi sono delle inclusioni significative, degli indizi stilistici lasciati dal redattore che lasciano trasparire il suo punto di vista, e cioè che tutto parte dalla Tôrâh, e tutto deve essere diretta ad essa. 2.1.a Dt 34: la finale della Tôrâh; l’epitafio di Mosè Dt 34 è importante perché è la conclusione sia del quinto libro del Pentateuco, ma anche di tutta la Tôrâh. Il capitolo costituisce un testo fondamentale che funge da «spartiacque» per separare i primi cinque libri della Bibbia da quelli che seguono. Questo testo afferma tre cose importanti: - L’autorità della Tôrâh e la superiorità di Mosè Un primo dato, infatti, che ricaviamo leggendo Dt 34,10-12, è l’autorità della Tôrâh, a partire dall’autorità di Mosè. Si tratta della rappresentazione teologica e letteraria Mosè: Mosè è più grande di tutti gli altri profeti. La rivelazione che risale a Mosè è superiore a tutte le altre rivelazioni che risalgono ai profeti. La superiorità di Mosè deriva dalla superiorità della sua relazione con JHWH (contatto diretto). Perciò, nel canone, Mosè precede i profeti anteriori e i profeti posteriori, gli scritti (o libri sapienziali). L’autorità del Pentateuco dipende dall’autorità superiore di Mosè. Questa consapevolezza la riscontriamo in uno storico del primo secolo, Giuseppe Flavio, di famiglia sacerdotale è nato a Gerusalemme nel 37 d.C. ma muore a Roma nel 100. È stato testimone della Guerra Giudaica del ‘70. Egli si è occupato di lasciare una memoria sul popolo ebraico nei suoi preziosi scritti. Egli parla della Tôrâh: in questi termini: «I cinque libri di Mosé» (GIUSEPPE FLAVIO, Contra Apionem, 1,37-40). Oggi sappiamo come non sia possibile parlare di paternità letteraria Mosaica per quanto riguarda la Tôrâh. Quello che qui ci interessa è cogliere la funzione di questa paternità: è un modo per dire che il testo è considerato ispirato. - L’esodo è l’evento fondamentale L’esodo è l’evento fondamentale della storia d’Israele; la fondazione d’Israele, in quanto popolo, risale quindi a Mosè (non a Davide o Salomone). L’evento dell’Esodo è il cuore della Tôrâh come la Pasqua di Gesù è il cuore dei vangeli. Ecco un’equazione, per quanto grossolana, per aiutare a intuire la portata di questa prospettiva: «la Tôrâh sta al TaNaK come il Vangelo sta al NT». - La finale aperta Un ulteriore aspetto è necessario affermare: l’ultimo capitolo del Dt costituisce una così detta «finale aperta». Ad Abramo, infatti, sono state promesse due cose importanti: la

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discendenza numerosa e la terra. Leggendo il Pentateuco si nota che la prima promessa si è compiuta in Egitto perché secondo i primi versetti di Esodo il popolo crebbe e divenne molto numeroso; la seconda rimane incompiuta. In Nm 14,30 leggiamo che il popolo uscito dall’Egitto non entrerà nella terra; anche Mosè non entra nella terra. Il libro alla sua conclusione lascia una promessa in sospeso. Il confine geografico, letterario e teologico è il «fiume Giordano». Esso segna l’incompiutezza della promessa, ma anche il limite dove si situa il suo compimento. Quando si compirà la promessa? Dt 34 non lo dice e la risposta a questa domanda comporta la differenza tra la prospettiva cristiana e quella ebraica. L’esperienza dell’esilio e della diaspora successiva ha influito sul modo in cui il popolo ebraico intendere la propria identità: la Tôrâh definisce chi è il popolo senza bisogno della terra; addirittura si può essere popolo senza la monarchia. Per il mondo ebraico la terra sulla quale identificare la propria appartenenza diventa la stessa Tôrâh. È la legge che definisce il popolo. È stata questa la scelta degli ebrei, soprattutto dopo il 70 d.C., con la grande diaspora durata fino al XIX sec. 2.2 I Libri Profetici: commento alla Tôrâh Con Giosuè 1,1-8, l’inizio del corpo scritturistico chiamato Nebi’im, a Giosuè servo di Mosè si chiede di seguire in modo importante del tutto vincolante la Tôrâh. Giosuè è il successore di Mosè. Il suo compito è di conquistare e poi distribuire la terra promessa ai padri. Mosè è il servo di JHWH; Giosuè è ministro di Mosè (in ebraico si usano due parole diverse). Se Mosè si definisce per la sua relazione con JHWH, Giosuè per la sua relazione con Mosè. È il successore di Mosè ma non prende il suo posto come «servo di JHWH». Vi è inoltre continuità fra Giosuè e Mosè, e il successo di Giosuè dipende dalla sua fedeltà alla legge di Mosè. La storia d’Israele sarà la storia della fedeltà o dell’infedeltà alla legge di Mosè. 2.3 Gli Scritti: il richiamo alla Tôrâh Il Salmo 1,1-2 costituisce sia l’inizio del salterio ma anche del corpo scritturistico degli Scritti, quindi siamo di fronte a un punto strategico del canone, come nei casi precedenti. In questo inizio si parla della Tôrâh, della sua osservanza giorno e notte e del conseguente successo. Sono elementi che incontriamo nei primi versetti di Giosuè, la terminologia infatti è la medesima di Gs 1,1-8. Alcune asserzioni di questo salmo hanno lo scopo di situare i salmi in relazione con la Tôrâh; il criterio che distingue il giusto dall’empio e dal peccatore è la meditazione della legge. Il Salmo 1 ci invita a leggere tutti i salmi e tutti gli scritti come una meditazione della Tôrâh di JHWH. Il salterio, inoltre, si suddivide in cinque grandi parti: il salterio sembra proprio una meditazione pregata sulla Tôrâh. In particolare il Salmo 119, il più lungo, è un salmo alfabetico ed è tutto dedicato alla Tôrâh. Nel vangelo secondo Matteo, ritenuto più giudaico degli altri, gli studiosi hanno riconosciuto la presenza di cinque grandi discorsi di Gesù (più un sesto considerando i primi due capitoli un discorso sull’identità di Gesù): per molti autori non è casuale. Il cinque richiama la Tôrâh, il sei un sorta di compimento. 2.4 Sguardo riassuntivo: il canone ebraico - Tanàkh I libri che compongono il Tanakh, la 'Bibbia ebraica', sono stati redatti nel periodo che va dal X secolo a.C. alla metà del II secolo a.C., in ebraico, la "lingua santa", e con alcune rese in aramaico, provenienti dalla tradizione orale sempre promulgata che ha preceduto la formalizzazione degli scritti. Fino al I secolo d.C. il Sinedrio non avvertì particolare urgenza nel definire chiaramente un canone dei testi sacri poiché i testi maggiormente usati nella liturgia ufficiale erano i cinque testi della Torah e i Salmi. Per gli altri testi non erano necessarie particolari restrizioni o divieti ed il loro uso dipendeva dalla locale sinagoga.

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La nebulosa ma non problematica situazione mutò radicalmente in seguito al progressivo diffondersi del cristianesimo, nel corso del I secolo. La nuova religione, che nei primi tempi non si avvertiva come alternativa all'ebraismo ma il suo naturale compimento, adottava la traduzione della Settanta piuttosto che gli originali testi ebraici. La nascente Chiesa inoltre stava componendo lentamente i Vangeli, nuovi testi affiancati nell'uso liturgico ai tradizionali libri di quello che cominciò a chiamare Antico Testamento, e le lettere di alcuni apostoli (soprattutto Paolo), anch'esse usate nella liturgia cristiana. Queste novità spinsero il Sinedrio a fissare con chiarezza il canone biblico ebraico. Si ritiene che ciò avvenne verso la fine del I secolo d.C., probabilmente in seguito ad un concilio di rabbini farisei tenutosi nella località palestinese di Jamnia (Javneh). In ogni caso il canone biblico ebraico era già completo intorno al II secolo a.C. nel quale sono definitivamente considerati testi sacri i testi della Tanakh, cioè Torah (leggi Toràh, Legge), Nevi'im (leggi nevi'ìm, Profeti) e Ketuvim (leggi ketuvìm, Scritti). 2.5 La traduzione dei Settanta (LXX - Septuaginta) La comunità degli Ebrei presente nella città ellenista di Alessandria d'Egitto tradusse i testi della Tanakh in greco, la loro lingua volgare, in un lasso di tempo che va dal III secolo a.C. (Torah) al I secolo a.C. (alcuni Scritti). Il nome col quale viene indicata la traduzione è Settanta, in riferimento al leggendario numero dei traduttori della Torah come descritto dalla Lettera di Aristea. La versione ebbe una notevole fortuna tra gli Ebrei di lingua greca presenti non solo in Egitto ma nell'intero medio oriente: per essi, al pari dei loro correligionari palestinesi, l'ebraico rappresentava ormai solo una lingua morta (analogamente gli Ebrei della Terra d'Israele di lingua aramaica avevano composto i Targumim, le traduzioni in aramaico del Tanakh). La Settanta includeva anche diversi libri in greco composti nella diaspora in Egitto che non erano usati né nel culto ufficiale del tempio di Gerusalemme né in quello della sinagoga della diaspora. Per sottolineare la discrepanza numerica tra i testi contenuti nella Tanakh e nella Settanta tra gli attuali studiosi si parla solitamente di: • canone palestinese o canone breve, includente i libri ebraico-aramaici della attuale Tanakh; • canone alessandrino o canone lungo, includente oltre ai libri presenti nel canone palestinese anche i testi scritti in greco nella diaspora, contenuti nella Settanta. La Settanta dunque comprende anche altri testi prodotti nella diaspora alessandrina complessivamente tra il IV-I secolo a.C. chiamati nella tradizione cattolica deuterocanonici (apocrifi in quella protestante): • Giuditta • Tobia • Primo libro dei Maccabei • Secondo libro dei Maccabei • Sapienza (Ultimo libro dell'Antico Testamento) • Siracide • Baruc • Lettera di Geremia • aggiunte a Daniele • aggiunte a Ester

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3. Il canone cristiano-cattolico: divisione quadripartita Proviamo a entrare nella biblioteca cristiana delle Sacre Scritture. PENTATEUCO Genesi – Esodo - Levitico La rivelazione tra Vangeli Numeri – Deuteronomio promessa e

richiesta

LIBRI STORICI Giosuè; Giudici; Rut 1-2 Samuele; 1-2 Re Atti 1-2 Cronache Passato degli Esdra Neemia Apostoli TOBIA - GIUDITTA Ester (+AGGIUNTE LXX) 1-2 MACCABEI LIBRI Giobbe Salmi Proverbi Lettere SAPIENZIALI Qoelet Cantico Presente Apostoliche SAPIENZA - SIRACIDE LIBRI PROFETICI Isaia - Geremia Lamentazioni; BARUC Ezechiele Futuro Apocalisse Daniele (+ DANIELE 13-14) Osea - Malachia

A parte sette libri, chiamati deuterocanonici e ovviamente il NT, gli altri libri sacri

sono quelli del canone ebraico, ma l’intelligenza con cui sono collocati è diversa. Per aiutare il confronto con il TaNaK, i libri posizionati in modo diverso, sono segnalati in corsivo rispetto alla Bibbia ebraica; in maiuscoletto grassetto i deuterocanonici. Cosa possiamo notare di particolare? In che rapporto stanno i libri dell’Antico Testamento con il Nuovo? 3.1 Genesi 1-3 e Apocalisse 21-22 Notiamo innanzitutto una grande inclusione che disegna una cornice di tutto il canone: Gen 1-3 e Ap 19-22. Sono capitoli che hanno in comune molti elementi: l’albero della vita, l’acqua, una situazione paradisiaca, i nuovi cieli e terra, il tema delle nozze. A ciò si potrebbe dire che alla Torre di Babele e la città in cui veniva costruita, non si contrappone solo il giorno di Pentecoste, ma anche la nuova città celeste, la Gerusalemme Nuova. 3.2 La finale dell’Antico Testamento cristiano e l’inizio del Nuovo Testamento Le ultime parole dell’Antico Testamento cristiano non sono prese da 2 Cr, ma da un profeta, il profeta Malachia: Ml 3,22-24. Questi versetti il corpo profetico profetizzando la venuta di nuovo Elia. Ora questa profezia si lega con gli inizi del Vangelo, dove compare la figura di Giovanni il Battista. Il Battista secondo un versetto di Gesù è quell’Elia che doveva venire (Mt 17,10-13). 3.3 I Profeti: l’Opera Storica deuteronomistica e i profeti «scrittori» Se prendiamo il corpo profetico, vediamo che il canone Cristiano fa una distinzione. I libri di Gs – 2Re diventano un opera storica, caratterizzata dalla presenza della profezia preclassica, cioè dai profeti non scrittori. Si tratta della famosa Opera Storica deuteronomistica, una lettura profetica della storia secondo i dettati del libro del Deuteronomio. A questa raccolta seguono i libri sapienziali e poi i libri dei profeti scrittori. Questa divisione che porta l’Antico Testamento non più a tre, ma a quattro sezioni è significativa.

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Per cogliere questo significato è corretto porre il confronto tra i due modi di concepire l’Antico Testamento: se confrontiamo il Canone Ebraico con il Canone Cristiano possiamo cogliere due prospettive complementari, secondo il modello dialogico. Notiamo come il corpo profetico, i profeti scrittori, sia posto alla conclusione dell’Antico Testamento. In questo modo viene sottolineato il fatto che sono aperti ad un futuro messia. Sono libri aperti al futuro. La sezione storica invece, lascia emergere la prospettiva rivolta al passato, mentre quella sapienziale è rivolta al presente. Qualcosa di simile la possiamo notare nel N.T. Il libro degli Atti degli apostoli costituisce in qualche modo l’applicazione del Vangelo della prima comunità cristiana; un po’ com’è avvenuto nell’ingresso della terra per il popolo di Israele, come leggiamo nei libri di Giosuè e ss. Le lettere Paoline sono invece una riflessione sul presente di queste comunità; l’Apocalisse esprime invece una prospettiva aperta al futuro. 3.4 «Scritti» o «libri sapienziali», «libri poetici»? Il punto di vista biblico sui primi cinque libri della Bibbia o sulla letteratura profetica è abbastanza chiaro. Abbiamo cinque libri che si chiamano Tôrâh, abbiamo i libri che si chiamano Nebi’im. Noi siamo soliti intendere il rimanente corpo scritturistico con i Sapienziali. Ma di fatto non è così. I libri specificamente sapienziali sono cinque, per cui li chiama «Pentateuco Sapienziale»: Proverbi, Qoelet, Giobbe, Ben Sira, Sapienza. Come Mosè per la Tôrâh, l’autore della Pentateuco Sapienziale è Salomone. Anche qui la paternità è simbolica, non letteraria. Non fanno parte dei sapienziali: il Salterio, che costituisce un’unità specifica, 150 poemi indipendenti; il Cantico dei Cantici, un insieme di poesie d’amore molto fine. Forse ha un’autrice per fonte; le Lamentazioni, che sono un genere specifico. Notiamo allora che siamo di fronte ad un corpo scritturistico difficilmente imbrigliabile da un genere, da un autore, da uno stile. È un corpo scritturistico aperto. I libri di Rut e Tobia appartengono al genere letterario delle novelle, non sono propriamente delle istruzioni didattiche e sono inseriti nei libri storici.

Possiamo parlare di raggruppamenti, anche se in senso molto lato, attraverso personaggi chiave della storia della salvezza. Se Mosè ci rimanda alla Legge, Elia ci rimanda alla profezia; Se Davide ci rimanda ai Salmi, Salomone alla Sapienza. Questo ci dice un altro modo di raggruppare una serie di testi, segnalandoli sotto quell’autore rappresentativo che pur non rivendicando una paternità letteraria, almeno possiamo parlare di paternità simbolica.

Cosa comporta ciò? Un modo di pensare i testi secondo la logica della paternità simbolica. Il Cantico dei Cantici, ad esempio, non è Sapienziale, ma è volutamente attribuito a Salmone, il re sapiente, ma famoso anche per le sue moglie e concubine. La sua collocazione assieme ai Sapienziali trova qui un suo senso. Il salterio, che non è sapienziale, ma è poesia, è in buona parte attribuito al re Davide. Si tratta di un altro modo di riunire, di raggruppare. In questo caso dovremmo parlare di «libri poetici», per il loro stile, dentro i quali troviamo i libri sapienziali. Non è il contenuto a fare da collettore, ma lo stile o il personaggio di riferimento.

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3.5 Chiusura del canone cattolico Nel 1546 il Concilio di Trento (Sessione IV, 8 aprile 1546, DS 1502-1503) confermò l’uso antico (indicazione autorevole di papa Damaso I nel 382 e ribadita nel Concilio di Firenze nel 1442) di considerare canonici 73 libri, 46 dell'Antico Testamento (inclusi i deuterocanonici) e 27 del Nuovo Testamento. Quanto al Nuovo Testamento la Chiesa cattolica accoglie tutti i 27 libri, similmente alle altre confessioni cristiane. Quanto all'Antico Testamento, la tradizione cattolica ha adottato l'ordine e la classificazione presente nella traduzione latina della Bibbia detta Vulgata, realizzata da Girolamo a fine IV secolo che comprendeva i deuterocanonici. 4. L’Antico (Primo) Testamento I 46 libri che compongono l’AT presentano una grande eterogeneità di forme e di contenuti. La loro composizione copre circa un millennio (praticamente l’intero millennio precedente l’era cristiana) e ha utilizzato tre lingue diverse: ebraico, aramaico e greco. All’origine di molti di essi dobbiamo supporre tradizioni trasmesse oralmente, spesso per lungo tempo e anche con notevole fedeltà. Questo non impedisce che diversi libri o parti di libro abbiano potuto sorgere, fin dall’origine, direttamente come testi scritti. 4.1 Origine e varietà degli scritti dell’Antico Testamento I libri dell’AT adottano una grande varietà di generi letterari e, allo stesso tempo, rispecchiano fedelmente la vita quotidiana d’Israele. La composizione e la trasmissione orale, che stanno all’origine di molti scritti vetero-testamentari, rivelano uno strettissimo legame con la vita del popolo, che si svolge nella famiglia (spesso allargata a schiavi e schiave), nel clan (la più ampia cerchia dei consanguinei), nella tribù (raggruppamento di diversi clan) e nella comunità locale (la città). In questi ambienti sono nate molte forme espressive, originariamente orali, di cui sono restate tracce a livello letterario: canti d’amore (vedi il Cantico dei Cantici), lamenti funebri (2Sam 1,17-27; 1Re 13,30), canti di lavoro (Gdc 9,27; Is 9,2), canti conviviali (Is 22,13). Dall’esperienza della vita quotidiana nascono i proverbi (Qo 9,4; Ger 23,28 ecc.), ma la sapienza popolare partorisce anche altre forme di detti, come enigmi e indovinelli (Gdc 14,12-18; 1Re 10,1), detti numerici (Pr 30,15-33). L’importanza degli antenati e l’esigenza di mantenere vivo il loro ricordo e il legame con loro, per dare coesione alla famiglia, alla tribù, alla comunità, determina il sorgere di narrazioni, tramandate di generazione in generazione, sulle gesta di quei personaggi. Simili narrazioni sono all’origine dei cicli letterari sui patriarchi (Gen 12ss.). Altre narrazioni sono di carattere eziologico e tendono perciò a spiegare la causa di una realtà, di una prassi o di una istituzione. È importante notare che nelle narrazioni riguardanti personaggi illustri del

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passato, l’interesse non verte su una ricostruzione esatta degli eventi e neppure su quanto di specifico e di unico un evento presenti, ma su quanto esso contenga di costante, tipico e universale. La vita di una comunità si regge anche sull’amministrazione della giustizia: la sfera del diritto è l’ambito dove sono nate e si sono affinate le procedure giudiziarie alla cui base stanno delle leggi, che si sono sviluppate parallelamente all’evoluzione culturale e sociale del popolo d’Israele (si pensi, ad esempio, al passaggio dallo stadio nomadico a quello sedentario e ai riflessi che tale mutamento ha avuto sul piano giuridico). Presenti in buona parte dell’AT, particolarmente nel Pentateuco, le leggi attestano ancora una volta il legame della letteratura biblica con la vita concreta del popolo. Una comunità trova nella religione, e dunque nel culto, un momento fondante. Le vicende storiche e l’evoluzione sociale del popolo d’Israele hanno influito profondamente sul culto: il passaggio dal culto nomadico, praticato in luoghi che mutano, al culto che si svolge in “luoghi santi”, fissi, quando il popolo si è sedentarizzato; la progressiva concentrazione e centralizzazione dell’attività cultuale a Gerusalemme a discapito dei diversi santuari locali sparsi nel paese (Betel, Gàlgala, Sichem, Mamre: vedi Am 4,4); la crisi dell’esilio e la ripresa del culto nell’epoca post-esilica con la ricostruzione del tempio ma anche con i contraccolpi innovativi che tale crisi ha avuto sul culto stesso. Nei santuari locali si conservavano e trasmettevano (oralmente) racconti riguardanti le loro origini, si celebravano feste. Anche le grandi feste di Pasqua e delle Capanne ebbero un’origine pastorale-agricola ed erano legate ai cicli stagionali: Pasqua a primavera, Capanne in autunno. Al grande alveo dell’ambito cultuale devono farsi risalire i testi legislativi cultuali, le norme rituali e le regole per lo svolgimento dei sacrifici (ad esempio Lv 1-7), i calendari delle feste (Lv 23; Nm 28) e preghiere di vario tenore (si pensi ai Salmi e ai diversi generi letterari rappresentati nel Salterio). Connessa al sorgere della monarchia davidico-salomonica è la nascita di un’attività letteraria di corte che redige annali, dove si raccolgono ed esaltano le gesta dei re. Si sviluppa così un’attività narrativa che racconta gli inizi e lo svolgersi delle vicende della storia monarchica: questi racconti storici costituiranno la base di partenza delle narrazioni racchiuse nei libri di 1-2 Samuele, 1-2 Re, 1-2 Cronache. Troviamo anche documentazioni di archivio, come liste relative alla suddivisione del territorio fra le diverse tribù (vedi Gs 13-19), liste di funzionari del re (vedi 2Sam 8,15-18) e altri materiali relativi all’attività amministrativa. All’ambiente di corte (oltre che all’ambiente popolare) ci rinvia anche in parte la letteratura sapienziale: a corte infatti si insegnava la sapienza come arte del buon governo. Probabilmente sorsero vere e proprie scuole per trasmettere l’educazione a chi era destinato ad incarichi politici e amministrativi (vedi il libro dei Proverbi). La crisi dell’esilio fece sorgere però un tipo di sapienza “contestatrice” che, sempre a partire dalle osservazioni di esperienza, metteva in questione alcuni assunti tradizionali (vedi Giobbe e Qoèlet). Un altro ambiente che ha prodotto molti testi biblici è quello profetico. La letteratura che da esso proviene è formata non soltanto da raccolte di parole e oracoli, posti sotto il nome di un particolare profeta (i cosiddetti “profeti scrittori”, di cui i più antichi sono, nell’ordine, Amos, Osea, Isaia e Michea, vissuti tutti nel sec. VIII), ma anche da narrazioni isolate (ad es. 1Re 22,1-28) o da veri e propri cicli narrativi, come il ciclo di Elia (1Re 17-19; 21; 2Re 1) e il ciclo di Eliseo (2Re 2; 3,4-8,15; 9,1-10; 13,14-21). La parola profetica è di per sé proclamata a voce, anche se è probabile che qualche capitolo di Geremia, molti di Ezechiele e forse qualche altra pagina profetica siano stati redatti per iscritto fin dall'origine. La stesura scritta della parola profetica è opera di “discepoli” del profeta stesso (si pensi all’intervento di Baruc nei confronti della profezia di Geremia: vedi Ger 36,1ss), i quali hanno compiuto talvolta un vero e proprio lavoro di “edizione”, come quello che ha portato a riunire nello

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stesso libro di Isaia i messaggi pronunciati da altri profeti in diversi contesti storici (i cc. 40-55 e i cc. 56-66 del libro). Tipica forma espressiva presente nei testi profetici è la cosiddetta “formula dell’inviato” («Così dice il Signore: …») che rivela la coscienza che il profeta ha della propria missione e della propria autorità. Particolarmente frequenti nella letteratura profetica sono gli oracoli (di salvezza, soprattutto in Is 40-55; di giudizio, in particolare contro popoli stranieri: Is 13-23; Ger 46-51; Ez 25-32) e le narrazioni di visioni (Am 7,1-9; 8,1-3; 9,1-4), di azioni simboliche (Ger 13,1-11; 32,1-15) e di vocazione (Ger 1,4ss.; Ez 1,1ss). 4.2 La formazione letteraria dell’Antico Testamento nel corso della storia d’Israele Il vero e proprio inizio di un’attività letteraria in Israele avviene al tempo della monarchia, particolarmente con il regno di Salomone. In epoca monarchica (X-VI sec. a.C.) si mettono per iscritto tradizioni storiche sulle origini d’Israele che entreranno poi a far parte della composizione del Pentateuco. Nel corso del VII secolo prende forma anche quella che è chiamata dagli studiosi moderni “opera storica deuteronomistica”. Durante l’epoca monarchica si assiste infine alla compilazione delle più antiche raccolte di proverbi (Pr 10,1-22,16 risale probabilmente al tempo di Salomone) e vengono redatti i Salmi più antichi. In questa fase si colloca l’attività profetica di Amos e Osea nel regno del Nord, di Isaia, Michea, Sofonia, Naum, Abacuc e Geremia nel regno del Sud. Un momento cruciale della storia d’Israele è l’epoca dell’esilio babilonese (587-538 a. C.). La fine della monarchia, la conquista di Gerusalemme, la distruzione del tempio e la deportazione in terra straniera, costituiscono eventi catastrofici non solo sul piano militare, politico e sociale, ma anche teologico. Essi inducono a ripensare in altro modo l’azione di Dio nella storia e la sua alleanza con il popolo, come si constata nella redazione sacerdotale del Pentateuco, nella stesura finale dell’opera deuteronomistica e nelle profezie di Ezechiele e del Secondo-Isaia. L’epoca persiana (538-333 a.C.) vede il formarsi del Pentateuco nella sua redazione finale, l’attività di profeti come il Terzo-Isaia, Aggeo, Zaccaria (Zc 1-8) e Malachia, la composizione di 1-2 Cronache e di Esdra-Neemia. È in questo periodo che viene redatto anche il libro di Giobbe e che sono stati composti diversi Salmi. In epoca ellenistica (333-63 a.C.) sorgono testi sapienziali come Qoèlet, impegnato nel confronto con la cultura e la filosofia greca. A quest’epoca risalgono anche la redazione finale del Salterio e di alcuni libri “deuterocanonici” come 1-2 Maccabei, Tobia, Giuditta e Siracide. Alla metà del II secolo a.C. si colloca il libro apocalittico di Daniele. In epoca romana (63 a.C.-135 d.C.) e alle soglie del NT va datato infine il libro della Sapienza, scritto in greco nell’ambiente di Alessandria d’Egitto e influenzato dalla filosofia ellenistica. 5. Il Nuovo Testamento Nella Bibbia cristiana, all’Antico Testamento si affianca il Nuovo Testamento. Esso comprende ventisette libri, tutti incentrati sulla persona di Gesù. Vengono per primi i quattro vangeli: Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Attorno ad essi si dispongono ventun lettere, per la maggior parte attribuite all’apostolo Paolo o a persone del suo ambiente. In continuità con i vangeli, il libro degli Atti degli Apostoli illumina alcuni grandi eventi dei primi decenni della storia della Chiesa. L’Apocalisse, ultimo libro della Bibbia cristiana, celebra la regalità di Gesù, Agnello immolato e vivente nella gloria accanto al Padre (Ap 1,5; 5,6; 22,3). La Chiesa, unificando Antico e Nuovo Testamento in un solo libro, ha conservato le antiche profezie accanto alla testimonianza del loro compimento. Secondo la fede cristiana, nella morte e risurrezione di Gesù, Dio ha stretto con l’umanità intera una “alleanza nuova”. Questa alleanza è il cuore del Nuovo Testamento, dove alla Legge antica subentra il

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«comandamento nuovo» (Gv 13,34). Ma l’Antico Testamento è anche il racconto della lunga preparazione di Israele alla venuta del Figlio di Dio. Ne contiene le profezie e l’attesa. E così, nella persona e nell’opera di Gesù, il grande libro di Dio trova coesione e unità. Non possiamo comprendere Gesù e il suo messaggio se li isoliamo dall’Antico Testamento; né possiamo comprendere appieno l’Antico Testamento senza la luce che viene dal Nuovo. 6. La Bibbia nella fede della Chiesa Il Concilio Vaticano II ricorda che «la Chiesa ha sempre venerato le Sacre Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo» (Dei Verbum, 21) e dichiara che, quando la Sacra Scrittura viene proclamata nella Liturgia, l’assemblea in preghiera vi ascolta la voce del Signore risorto (Sacrosanctum Concilium, 7). La comunità cristiana, dalle origini ad oggi, ha considerato la Sacra Scrittura, insieme con la Tradizione, regola suprema della fede (Dei Verbum, 21), luogo di incontro con Dio di imprevedibile fecondità, sorgente di forza per testimoniare la fede con immutata coerenza. Tramandare la Bibbia senza alterazioni, tradurla e interpretarla nel più rigoroso rispetto dei testi originali è, per la Chiesa, compito inderogabile di fedeltà a Dio e di responsabilità verso i fratelli. Ma anche al di là della sua lettura nella fede, la Bibbia è libro prezioso per l’intera umanità, patrimonio di valori spirituali e culturali. Essa è oggetto di crescente interesse anche sotto il profilo artistico, per la varietà dei generi letterari, il vigore espressivo delle immagini, l’intreccio avvincente dei drammi, l’efficacia comunicativa del linguaggio. Anzi, la Bibbia è stata nei secoli la grande sorgente a cui hanno attinto la cultura e l’arte. Figure, eventi, simboli e temi biblici hanno offerto le immagini per le creazioni più alte della pittura e della scultura, sono stati trasfigurati nella musica, hanno dato sostanza alla letteratura, hanno stimolato la riflessione filosofica. E, tuttavia, la Bibbia è innanzitutto il libro della fede cristiana, conservato con amore appassionato dai credenti e offerto a tutti gli uomini in ricerca di Dio perché, per il credente, la Bibbia è veramente “parola di Dio”. Fin dalle origini la Chiesa ha creduto che nella Sacra Scrittura è contenuto il messaggio di Dio per ogni tempo e per ogni persona, perché composta sotto l’impulso e la guida dello Spirito Santo, quale strumento di salvezza. Anche oggi questa fede viene professata dal credente e dalla comunità cristiana, in particolare nelle celebrazioni liturgiche, nel discernimento spirituale e nelle decisioni ecclesiali. Per la fede cristiana autori del Libro sacro sono insieme Dio e gli uomini che l’hanno scritto. Dio, autore principale, si è giovato di uomini per comunicare, attraverso le loro parole, il proprio messaggio. In quanto opera di uomini, i libri della Bibbia vanno letti tenendo conto della varietà dei tempi, dei luoghi, delle lingue in cui furono composti. Occorre tener conto della cultura e delle situazioni in cui lo scrittore operava, nonché delle conoscenze, dei modi di pensare e di comunicare propri del suo tempo. A motivo della profonda unità dell’insieme, inoltre, ogni pagina va spiegata e ricompresa alla luce di tutto il libro sacro, soprattutto alla luce della persona e dell’insegnamento di Gesù. Ma la lettura della Bibbia è tanto più fruttuosa quanto più il credente è consapevole dello scopo che Dio le ha assegnato. Dichiara a tale proposito il Concilio Vaticano II: «I libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle Sacre Scritture» (Dei Verbum, 11). Questo e non altro è lo scopo di tutte le pagine della Bibbia: la salvezza dell’uomo. Di ogni singola persona. La Bibbia è un dono che Dio offre ad ogni suo figlio, per condurlo a sé. Una lettura attenta e meditata del grande Libro di Dio diviene fonte inesauribile di luce soprattutto quando è compiuta nella comunità in preghiera, docile all’azione dello Spirito. In tale religioso ascolto il credente coglie, attraverso le pagine della Bibbia, la voce di Dio che gli parla e lo interpella. Una voce che è potente e dolce al tempo stesso, che inquieta e

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consola, interpella e dona speranza. «La mia parola non è forse come il fuoco – oracolo del Signore – e come un martello che spacca la roccia?» (Ger 23,29). Ma i detti del Signore sono anche «più dolci del miele e di un favo stillante» (Sal 19,11). La parola del Signore è «viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). Essa è, però, anche sorgente di vita e di fecondità spirituale, è come la pioggia, che scende dal cielo per irrigare la terra arida e farla germogliare, «perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia» (Is 55,10). Essa è sempre la guida sicura nel cammino spesso oscuro e incerto della storia e della vita: «lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 119,105). 7. La Bibbia nasce dalla terra e dalla storia umana Incarnarsi significa scegliere, assumere uno spazio e un tempo precisi … Dio si è sottoposto a questo, scegliendo come forma di comunicazione il linguaggio degli uomini; gli uomini quando riportano l’incontro che hanno avuto con Dio, lo descrivono con il loro stile, con le loro amplificazioni, con i loro scopi, con la loro umanità. Nasce così la storia, la storia della salvezza. Per «storia della salvezza» s’intende l’insieme di quei doni in termini di fatti e parole che Dio rivela, in senso esperienziale, al popolo attraverso la Parola e poi attraverso Gesù Cristo. Tutti i fatti narrati nella Bibbia hanno un valore storico nella misura in cui hanno un valore salvifico. Ma Dio implicandosi nel condividere la storia con noi, sceglie un tempo preciso e uno spazio definito. Per questo è importante conoscere i luoghi della rivelazione biblica, luoghi che possono essere richiamati sotto il titolo di «geografia della salvezza», nella misura in cui sono uno spazio tangibile nel quale si è «fatta storia» la Parola di Dio. «Il mondo è come l’occhio: il mare è il bianco, la terra è l’iride, Gerusalemme è la pupilla e l’immagine in essa riflessa è il tempio». (detto della tradizione giudaica)

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8. Storia biblica

«Nell’affrontare l’argomento “storia di Israele” il lettore della Bibbia rischia di sentirsi subito a disagio: egli ha spesso in mente infatti non la “storia” ma le “storie” che la Bibbia racconta, dalla creazione ai patriarchi, dal re Davide ai profeti, fino alle storia su Gesù; si tratta di episodi che spesso si collocano su uno sfondo molto nebuloso, tanto che a volte si è tentati di pensare che si tratti quasi di favole»1. 8.1 La storiografia biblica: l’idea di distanza

«La Bibbia non è un libro piovuto dal cielo, scritto da un solo autore in un epoca ben precisa: ogni libro della Bibbia ha una sua – spesso complessa! – storia di composizione, che può essere durata anche secoli»2.

Ecco perché abbiamo non «una storia» ma «le storie». Entriamo in una storia fatta da più tribù, una storia dove si raccolgono tradizioni antiche in epoche recenti. Entriamo in un mondo molto, molto vivo e vivace: per noi è complesso, perché cerchiamo di andare oltre la lettera, di andare oltre il modo con cui il testo biblico recensisce le proprie storie. Cerchiamo di cogliere qualcosa del vissuto antico, cerchiamo di entrare nella storia e nell’esperienza del popolo attraverso il modo con cui il popolo narra le proprie vicende. La Bibbia è la testimonianza di questa complessità, di questa vivacità, di queste tradizioni. Vi è una distanza, a volte anche millenaria, tra la stesura definitiva (redazione) di un racconto scritto e l’avvenimento di cui tratta.

Avvenimenti storici: 1 Epoca della stesura degli Avvenimenti storici: 2 avvenimenti:

nuovo contesto,

Avvenimenti storici: 3 la cultura, i destinatari, …

Avvenimenti storici: 4, etc. Questa distanza è colmata dalla tradizione orale. Questo però non toglie il fatto che il resoconto che abbiamo non sia stato rielaborato durante le varie epoche, proprio per la sua forza persuasiva. Rielaborare un evento antico alla luce delle nuove problematiche che si affrontano. Dovremo abituarci spesso a questo tipo di situazione. Di conseguenza i testi ritenuti «storici», come i libri che da Gs a 2Re e i Libri delle Cronache, tendono ad essere più teologia che storiografia.

1 L. MAZZINGHI, Storia di Israele. Dalle origini al periodo romano, Studi biblici 56, EDB, Bologna 2007, 15. 2 MAZZINGHI, Storia di Israele, 18.

Tradizione orale e i

primi rotoli

o frammenti

scritti

La distanza