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INTRODUZIONE ALLA CRITICA DELLA RAGION PURA (1.2) di Giuseppe Rinaldi La Critica della Ragion Pura (1781) è la principale opera kantiana riguardante la filosofia della conoscenza. In essa Kant ha tentato andare oltre alla tradizionale contrapposizione tra empirismo e razionalismo che aveva animato il dibattito epistemologico dei secoli precedenti. Kant andrà alla ricerca di una terza via capace di comporre le divergenze tra le due correnti e di fondare in maniera unitaria il complesso della conoscenza. In ossequio all’impostazione “criticista” tenterà di esplorare le possibilità e i limiti della conoscenza umana. Il panorama epistemologico e culturale ai tempi di Kant Kant ha preso le mosse dai problemi della filosofia della conoscenza del suo tempo. Occorre anzitutto avere ben presente il fatto che, ai tempi di Kant, non era ancora stata guadagnata la distinzione - a noi oggi piuttosto familiare - tra scienza e filosofia 1 . Gli scienziati venivano spesso chiamati filosofi (Newton, ad esempio, si considerava un “filosofo naturale”); i filosofi a loro volta si occupavano normalmente di questioni che oggi considereremmo prettamente scientifiche (Kant, ad esempio, si è occupato di astronomia e di geografia). Ai tempi di Kant, sotto la comune etichetta di “conoscenza” venivano collocate sia la nuova scienza della natura (quella che aveva preso le mosse da Galileo e da Newton) sia la metafisica (che, per quel che concerne la conoscenza, si occupava dei fondamenti ultimi). La “filosofia naturale”, ovvero la scienza della natura, aveva compiuto degli straordinari progressi ed aveva ottenuto una serie di risultati che apparivano robusti e indubitabili. D’altro canto, la metafisica, erede degli schemi intellettuali e delle problematiche del passato, erede soprattutto della scolastica medievale, faticava a tenere il passo con le nuove scoperte e cercava piuttosto affannosamente di aggiornare le proprie prospettive, salvaguardando tuttavia il proprio legame con la tradizione. Chi avesse voluto occuparsi proficuamente di filosofia della conoscenza avrebbe dovuto dunque compiere un’analisi critica dei fondamenti sia della “filosofia naturale” che della metafisica. Occuparsi di filosofia della conoscenza significava dunque scuotere l’intero edificio della riflessione filosofica. I difficili rapporti tra metafisica e filosofia naturale Metafisica e filosofia naturale erano tuttavia piuttosto antitetici e difficili da conciliare. La filosofia naturale sembrava capace di promuovere un sapere sicuro, solidamente fondato, in continuo progresso; la metafisica invece assomigliava sempre più ad un complesso di grandi pretese (di fornire una visione globale e complessiva del mondo, di andare oltre l’esperienza, di dimostrare verità come l’immortalità dell’anima o l’esistenza di Dio) cui venivano date soluzioni dogmatiche, tra loro assai variegate e contraddittorie, tanto da produrre contese infinite. E’ chiaro, in una simile situazione, che la filosofia naturale minacciava costantemente la metafisica, minacciava di scardinare, con le sue nuove scoperte, i fondamenti più profondi delle visioni del mondo che si erano via via succedute. La metafisica d’altro canto si sentiva minacciata, anche perché essa veniva abbondantemente utilizzata per sostenere la validità delle religioni positive, per sostenere i fondamenti del potere nelle varie società: in sostanza la metafisica era una filosofia d’ordine che spesso si prestava a garantire gli assetti culturali, politici, sociali, religiosi delle varie società dell’epoca. La critica contro la metafisica rappresentava anche una critica contro il vecchio ordine che soprattutto nella seconda metà del settecento - cominciava a essere messo in discussione (la Rivoluzione francese era alle porte). 1 Il problema della distinzione tra scienza e filosofia è noto come problema della demarcazione.

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INTRODUZIONE ALLACRITICA DELLA RAGION PURA (1.2)di Giuseppe Rinaldi

La Critica della Ragion Pura (1781) è la principale opera kantiana riguardante la filosofia dellaconoscenza. In essa Kant ha tentato andare oltre alla tradizionale contrapposizione tra empirismo erazionalismo che aveva animato il dibattito epistemologico dei secoli precedenti. Kant andrà allaricerca di una terza via capace di comporre le divergenze tra le due correnti e di fondare in manieraunitaria il complesso della conoscenza. In ossequio all’impostazione “criticista” tenterà di esplorare lepossibilità e i limiti della conoscenza umana.

Il panorama epistemologico e culturale ai tempi di KantKant ha preso le mosse dai problemi della filosofia della conoscenza del suo tempo. Occorre

anzitutto avere ben presente il fatto che, ai tempi di Kant, non era ancora stata guadagnata ladistinzione - a noi oggi piuttosto familiare - tra scienza e filosofia1. Gli scienziati venivano spessochiamati filosofi (Newton, ad esempio, si considerava un “filosofo naturale”); i filosofi a loro volta sioccupavano normalmente di questioni che oggi considereremmo prettamente scientifiche (Kant, adesempio, si è occupato di astronomia e di geografia).

Ai tempi di Kant, sotto la comune etichetta di “conoscenza” venivano collocate sia la nuova scienzadella natura (quella che aveva preso le mosse da Galileo e da Newton) sia la metafisica (che, per quelche concerne la conoscenza, si occupava dei fondamenti ultimi). La “filosofia naturale”, ovvero lascienza della natura, aveva compiuto degli straordinari progressi ed aveva ottenuto una serie di risultatiche apparivano robusti e indubitabili. D’altro canto, la metafisica, erede degli schemi intellettuali edelle problematiche del passato, erede soprattutto della scolastica medievale, faticava a tenere il passocon le nuove scoperte e cercava piuttosto affannosamente di aggiornare le proprie prospettive,salvaguardando tuttavia il proprio legame con la tradizione. Chi avesse voluto occuparsi proficuamentedi filosofia della conoscenza avrebbe dovuto dunque compiere un’analisi critica dei fondamenti siadella “filosofia naturale” che della metafisica. Occuparsi di filosofia della conoscenza significavadunque scuotere l’intero edificio della riflessione filosofica.

I difficili rapporti tra metafisica e filosofia naturaleMetafisica e filosofia naturale erano tuttavia piuttosto antitetici e difficili da conciliare. La filosofia

naturale sembrava capace di promuovere un sapere sicuro, solidamente fondato, in continuo progresso;la metafisica invece assomigliava sempre più ad un complesso di grandi pretese (di fornire una visioneglobale e complessiva del mondo, di andare oltre l’esperienza, di dimostrare verità come l’immortalitàdell’anima o l’esistenza di Dio) cui venivano date soluzioni dogmatiche, tra loro assai variegate econtraddittorie, tanto da produrre contese infinite. E’ chiaro, in una simile situazione, che la filosofianaturale minacciava costantemente la metafisica, minacciava di scardinare, con le sue nuove scoperte, ifondamenti più profondi delle visioni del mondo che si erano via via succedute. La metafisica d’altrocanto si sentiva minacciata, anche perché essa veniva abbondantemente utilizzata per sostenere lavalidità delle religioni positive, per sostenere i fondamenti del potere nelle varie società: in sostanza lametafisica era una filosofia d’ordine che spesso si prestava a garantire gli assetti culturali, politici,sociali, religiosi delle varie società dell’epoca. La critica contro la metafisica rappresentava anche unacritica contro il vecchio ordine che – soprattutto nella seconda metà del settecento - cominciava aessere messo in discussione (la Rivoluzione francese era alle porte).

1 Il problema della distinzione tra scienza e filosofia è noto come problema della demarcazione.

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Empirismo e razionalismo tra Seicento e SettecentoTra Seicento e Settecento, nel campo della filosofia della conoscenza si erano fronteggiati due

principali indirizzi, eredi delle tradizioni filosofiche precedenti. I due indirizzi sono il razionalismo(erede della posizione realistica nell’ambito della controversia sugli universali) e l’empirismo (erededel nominalismo). Mentre il razionalismo mostrava una maggiore apertura alla metafisica (Cartesio, adesempio), l’empirismo assumeva spesso posizioni antimetafisiche (come in Guglielmo di Ockham,Hobbes, Locke, Hume).

Nel panorama europeo, la corrente filosofica che, più di ogni altra, aveva tratto le debiteconseguenze dai progressi della “filosofia naturale” era stato l’empirismo inglese. Locke, ad esempio,aveva conosciuto Newton e aveva dibattuto con lui i risultati delle sue ricerche. Ma il filosofo cheaveva saputo trarre le ultime conseguenze dai progressi della filosofia naturale era stato Hume. Lacritica di Hume nei confronti dei presupposti fondamentali della metafisica tradizionale era stataprofonda e distruttiva (in questo senso Hume ha rappresentato lo sviluppo più maturo e consapevoledell’empirismo inglese).

Hume nei Saggi filosofici sull’intelletto umano (1748) e nelle Ricerche sull’intelletto umano (1758)aveva sostenuto, con argomentazioni spesso ingegnose e persuasive, dottrine che ai metafisicidell’epoca dovevano apparire piuttosto sconcertanti2:

- non esistono sostanze (come aveva invece ritenuto Cartesio);- non esistono idee innate e tutte le nostre conoscenze ci provengono attraverso i sensi;- le idee sono dei costrutti convenzionali della nostra mente;- la conoscenza che abbiamo della nostra esperienza è generata in toto dalla nostra attività

sensoriale;- la matematica è un costrutto convenzionale (e, in aggiunta, non è detto che la natura abbia una sua

propria intima struttura matematica);- le relazioni di causa ed effetto (su cui si basavano tutte le nuove leggi della “filosofia naturale”)

avevano una validità solo a – posteriori, non potevano dunque legittimamente essere generalizzate eusate per previsioni certe, universali e necessarie;

- l’Io (il soggetto) in realtà non esiste (l’Io è solo il “palcoscenico delle nostre impressioni”);- i problemi della metafisica non hanno alcun fondamento.Tutte queste teorie rappresentavano una sicura condanna della metafisica e - con essa - della cultura

scolastica tradizionale. Potevano tuttavia anche rappresentare un duro colpo per l’incipiente filosofianaturale, poiché alimentavano una prospettiva epistemologica pericolosamente scettica circa ifondamenti delle scienze della natura (Hume fu spesso accusato di scetticismo dai suoi avversari). Ilconvenzionalismo spinto all’estremo infatti poteva portare anche a dubitare della fondazione di quelleleggi scientifiche che venivano progressivamente scoperte.

D’altro canto, nell’ambito del razionalismo, si stava assistendo agli ultimi sviluppi della metafisica.In Francia, nel secolo precedente, colui che aveva cercato di connettere, in forma innovativa, i risultatidella nuova scienza della natura con un fondamento metafisico era stato Cartesio (1596-1650). Le duesostanze cartesiane, il ruolo fondativo del soggetto, l’ammissione, seppure limitata, dell’esistenza delleidee innate, la certezza in un ordine universale proveniente da Dio, erano tutti elementi metafisici chedovevano appunto fondare solidamente la realtà e la sua conoscibilità. In Germania la metafisica erastata rivitalizzata da Leibniz (1646-1716). Leibniz era stato un grande matematico (aveva rivaleggiatocon Newton per l’invenzione del calcolo infinitesimale) e aveva costruito, su basi logico matematiche,un sistema metafisico di impostazione razionalistica secondo cui il mondo era perfettamente ordinato

2 Kant disse che la lettura delle opere di Hume lo aveva “risvegliato dal sonno dogmatico”.

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(armonia prestabilita3). La metafisica leibniziana è una specie di platonismo logicizzante il cui lanozione di monade riveste un ruolo fondamentale. La filosofia di Leibniz era stata sviluppataulteriormente da Christian Wolff (1679-1754)

Posto di fronte a questo complesso di problematiche, Kant era contemporaneamente aperto alle ideedella filosofia naturale (anche se contrario allo scetticismo), ma anche attratto dalla metafisica, nellaquale aveva anche una robusta formazione (le teorie della scuola metafisica tedesca di Leibniz e diWolff erano molto diffuse e molto influenti nelle università tedesche): egli venne allora spinto a tentaredi realizzare un compromesso tra le due correnti di filosofia della conoscenza. Kant, con la sua operaepistemologica: a) vuole respingere le posizioni humeane (accusate di scetticismo) e fondaresolidamente la filosofia naturale; b) vuole anche “fare i conti” con la metafisica, accertare cioè se lametafisica abbia o meno un suo dominio conoscitivo autonomo.

I problemi fondamentali della Critica della Ragion PuraDa tutte queste problematiche derivano i problemi fondamentali della Critica della Ragion Pura

(come sono stati esposti dallo stesso Kant ...). I problemi sono essenzialmente due, strettamenteconnessi tra loro:

A) Il problema della fondazione della filosofia naturale. Kant ha espresso questo problema con ladomanda “Sono possibili le matematiche e la fisica in quanto scienze?”. Non deve stupire più di tantol’accostamento dell’indagine sui fondamenti della matematica con quella sui fondamenti della fisica. Adifferenza della fisica aristotelica - che usava assai poco la matematica, poiché era una fisica di tiposostanzialistico e qualitativistico - la nuova fisica faceva un uso intensivo della matematica. Si ricordiche l’opera principale di Newton portava come titolo “Philosophiae naturalis principia mathematica”.Considerare convenzionale la matematica (come aveva fatto Hume) poteva sembrare un atto di sfiducianella fisica e nella meccanica. Già nella formulazione kantiana di questo problema si scorge il fastidionei confronti dell’ipotesi humeana circa la convenzionalità della matematica.

B) Il problema della demarcazione tra la “filosofia naturale” e la metafisica, nonché dellafondazione della stessa metafisica. Kant ha espresso questo problema con la domanda “E' possibile lametafisica in quanto scienza?” Con ciò Kant si rendeva conto della profonda difficoltà in cui versava lametafisica e cercava quindi di esaminare con cura se la metafisica potesse emendarsi dei suoi limiti,adottando procedimenti conoscitivi altrettanto robusti di quelli della filosofia naturale.

Le conclusioni della Critica della Ragion PuraKant - al termine del lungo percorso teorico della Critica della Ragion Pura - giungerà alla

conclusione che: a) è possibile fondare la fisica e le matematiche in quanto scienze (a patto di adottarela famosa “rivoluzione copernicana” – cfr. oltre); b) la metafisica invece, per l’intima struttura deipropri procedimenti conoscitivi, doveva essere considerata come “non scientifica”. Come si vedrà, laconoscenza metafisica non sarà considerata del tutto inutile, ma non potrà mai aspirare - secondo Kant- a uno statuto pieno di scientificità.

Questa conclusione kantiana rappresenta indubbiamente uno dei massimi sforzi e dei massimirisultati della filosofia della conoscenza settecentesca. Si tratta certamente di una soluzione dicompromesso, ma che tuttavia aveva il pregio di conferire alla scienza la sua autonomia e di mettere inguardia contro i vecchi “sogni della metafisica”. Come è noto, l’incipiente romanticismo rifiuterà sia laprospettiva di fondazione della scienza proposta da Kant, sia il suo principio di demarcazione. Ciòcomporterà, nell’epoca del romanticismo, una ripresa massiccia della metafisica (si pensi a Hegel, o aSchopenhauer) e la conseguente messa in disparte della scienza stessa (il romanticismo darà infatti vita

3 Questa concezione filosofica, estremamente ottimistica, venne criticata ferocemente da Voltaire nel suo romanzo Candide(1759).

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ad una stagione culturale fortemente oscurantista e antiscientifica).

Il problema della sintesi a-prioriProcediamo ora ad esaminare le argomentazioni fondamentali che stanno alla base della Critica

della Ragion Pura.

Conoscere significa esprimere giudizi. Il punto di partenza - e in ciò Kant dimostra una notevolecapacità innovativa - consiste nel definire in cosa consista effettivamente il prodotto finale dell’impresaconoscitiva. Secondo Kant possedere delle conoscenze, di qualunque genere esse siano, significa esserein grado di produrre dei giudizi4. La conoscenza dunque secondo Kant si materializzava sempre nellinguaggio, ovvero in quella facoltà particolare del linguaggio che ci permette di esprimere dei giudizi.Vale la pena di notare che - nell’ambito di una prospettiva empiristica - il punto di partenza di unateoria della conoscenza avrebbe potuto essere alquanto diverso: si sarebbe potuto insistere sull’apparatopercettivo e sulla “trasmissione di informazione” tra il mondo esterno e il nostro organismo (questo -tra l’altro - è un meccanismo basilare che gli esseri umani condividono con gli altri esseri viventi). Kantquindi prendeva le mosse da una considerazione molto intellettualizzata - illuministica - dellaconoscenza.

Una volta ammesso questo punto di inizio, le altre tappe del ragionamento risultano abbastanzaobbligate: si tratta di indagare quali siano i tipi di giudizi di cui siamo capaci e quindi di come si possaaccertare la verità o la falsità dei vari tipi di giudizi che pronunciamo intorno alla conoscenza dellanatura. In termini odierni, Kant ha dunque provato anzitutto ad elaborare una analisi logica delleproposizioni del nostro linguaggio conoscitivo e, secondariamente, di porre il problema del raccordo trail linguaggio e la realtà (cioè il problema della verità dei giudizi). Una simile analisi - dal punto divista dei contenuti della conoscenza - era già stata condotta da Cartesio (si ricordi, nel Discorso intornoal metodo, la classificazione delle idee in base alla loro origine, che poteva essere interna, esterna oinnata). Anche nella tradizione empiristica temi del genere erano già stati affrontati, basti ricordare ladistinzione humeana tra “verità di ragione” e “verità di fatto”, che peraltro riprendeva la più anticadistinzione tra induzione e deduzione. Secondo Hume, verità di ragione sono le verità che si ricavano a– priori, attraverso i meccanismi del sillogismo aristotelico. Verità di fatto sono invece le verità che siricavano a posteriori, dall’esperienza. Mentre le verità di ragione sono prive di contraddizione e sonouniversali e necessarie, le verità di fatto sono specifiche, non universali, legate ad ambiti di esperienzaparticolari e una loro smentita è sempre possibile.

Nella scienza antica, basata soprattutto sull’argomentazione razionale, la deduzione (il sillogismo)costituiva il procedimento fondamentale. Lo stesso Aristotele, pur avendo conferito all’induzione uncompito conoscitivo importante, aveva ritenuto però che la vera scienza potesse essere costituita soloattraverso un sistema di proposizioni deduttive (i sillogismi). Ora, con il progredire della “filosofianaturale” l’induzione aveva invece mostrato la propria capacità di orientare il processo conoscitivo,fino a produrre rilevanti scoperte; purtroppo l’induzione non possedeva quelle capacità digeneralizzazione e di rigore tipiche della deduzione: le osservazioni sperimentali erano pur sempreosservazioni singolari, a-posteriori, e tali rimanevano; è questo il celebre problema dell’induzione sucui ha insistito Hume, ovvero il problema della generalizzazione5 e della previsione, della fondazionedelle leggi ricavate per via induttiva e non supportate da un rigoroso apparato deduttivo.

4Il termine “giudizi” era di uso piuttosto tradizionale, derivava dalla logica antica, dalla logica di Aristotele. La logica

aristotelica era stata rielaborata nell’ambito della scolastica e successivamente, tra Seicento e Settecento, aveva ricevutoimportanti approfondimenti (ad opera degli studiosi giansenisti e ad opera di Leibniz e della scuola tedesca); tuttavial’impianto della logica era ancora essenzialmente aristotelico e lo stesso Kant considerava la logica aristotelica unacostruzione definitiva.5 Hume aveva negato che fosse lecita la generalizzazione: da poche osservazioni particolari non era lecito ricavare unaverità universale e necessaria.

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Tipi di giudizi. Secondo l’analisi di Kant, nella produzione della conoscenza facciamo comunementeuso di due tipi di giudizi, approssimativamente riconducibili ai meccanismi dalla deduzione edell’induzione. Sfortunatamente di tratta di tipi di giudizi che operano in maniera opposta: ciascuno deidue ha i suoi vantaggi, ma anche i suoi svantaggi.

a) Giudizi analitici (detti anche giudizi a-priori, oppure verità di ragione). Sono giudizi cheprocedono in maniera deduttiva dalle loro premesse; le conclusioni sono dunque universali enecessarie, anche se le conclusioni non aggiungono nulla di veramente nuovo rispetto alle premesse: sitratta in altri termini di ricavare quanto è già implicito nelle premesse (per questo Kant li chiamagiudizi analitici). Questi giudizi sono stati particolarmente considerati nell'ambito del razionalismo (siricordino Cartesio, l’innatismo, il sillogismo). Lo spostamento di accento a favore dell’induzione chestava avvenendo, grazie alla nuova scienza aveva portato tuttavia alla luce i limiti dei sistemi deduttivi,limiti costituiti dal problema della giustificazione delle premesse prime (noto fin da Aristotele), e ilproblema della sterilità dei sistemi deduttivi: le conseguenze erano già implicite nella premessa, per cuile lunghe catene deduttive sembravano non portare a nulla di nuovo).

b) Giudizi sintetici (detti anche giudizi a posteriori, oppure verità di fatto). Sono giudizi cheprocedono in maniera induttiva, a partire dalle singole osservazioni dei fatti della nostra esperienza, pergiungere a delle conclusioni di ordine più generale. Le conclusioni quindi possono contenere tutti glielementi di novità dell'esperienza; sfortunatamente, come abbiamo già anticipato, questi giudizi nonpossono essere generalizzati, ovvero considerati come universali e necessari (si veda la critica di

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Hume). Questi giudizi sono stati particolarmente considerati nell'ambito dell'empirismo (si veda ladottrina della tabula rasa e, più ampiamente, la tradizione nominalistica).

Sono possibili giudizi analitici e sintetici (cioè sintetici e a-priori)? Come si è visto, i due tipi digiudizi comportano sia vantaggi che svantaggi per la conoscenza. I giudizi sintetici hanno i lorovantaggi, ma non ci danno i vantaggi dei giudizi analitici, e viceversa. Dunque, nella conoscenza, ingenerale, o si è analitici o si è sintetici: non si può essere analitici e sintetici (deduttivi e induttivi) nellostesso tempo.

Per Kant invece la scienza non poteva rinunciare a perseguire entrambi i vantaggi derivanti dall'usocongiunto dei due tipi di giudizi: auspicabilmente, la scienza da un lato si doveva fondaresull'esperienza, e quindi sfruttare i giudizi sintetici, dall'altro necessitava di un rigore che producesseleggi universali e necessarie, sfruttando quindi i giudizi del tipo analitico. I giudizi della scienzaavrebbero dovuto quindi, auspicabilmente, essere nello stesso tempo analitici e sintetici, induttivi ededuttivi, a- posteriori e a- priori. Forse per evitare una contraddizione in termini troppo stridente,Kant ha deciso di chiamare questi auspicati giudizi "giudizi sintetici a- priori", ma potremmo anchechiamarli “sintetici - analitici”, oppure “a-priori e a-posteriori”. Secondo Kant potremo dire di averfondato utilmente e definitivamente la scienza solo quando avremo mostrato come questa possagiovarsi di giudizi sintetici a priori. In caso contrario ci si vedrebbe costretti a dar ragione a Hume6.

La rivoluzione copernicana nella filosofia della conoscenzaIn sostanza Kant si proponeva di conciliare l'inconciliabile; di procedere oltre quella che qualunque

filosofo del suo tempo avrebbe considerato una dicotomia insuperabile. In effetti, per superare ladicotomia tra analitico e sintetico Kant sarà costretto a introdurre una vera e propria "rivoluzione"nell'ambito della filosofia. Quello che è certo è che, una volta impostato così il problema, per risolverlooccorreva capovolgere tutti termini di quanto si era pensato fino ad allora in termini di conoscenza.Questa rivoluzione nella filosofia della conoscenza è stata sviluppata consapevolmente da Kant ed èstata da lui stesso denominata, metaforicamente, "rivoluzione copernicana"7.

6 In fondo, tutta la CRP rappresenta un onesto e serio tentativo per verificare se c’era modo di non dare ragione a Hume!7 Copernico aveva messo al centro ciò che tutti consideravano periferico; aveva messo in periferia ciò che tutticonsideravano centrale.

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Per raggiungere il suo obiettivo, Kant non esitò a compiere un'operazione estremamente azzardata:piuttosto che riconoscere l'impossibilità di produrre giudizi che siano nello stesso tempo analitici esintetici (insieme induttivi e deduttivi), Kant non ha trovato altra soluzione che di riconoscere,all'interno di ciascun giudizio di conoscenza, una componente induttiva (derivante dall'esperienza, e finqui tutto bene) e una componente deduttiva (derivante dall'unica entità "universale" rimasta in auge,ovvero derivante dalla mente dell'uomo). In sostanza, la componente dell’universalità delle conoscenzenon avrebbe un fondamento obiettivo fuori di noi, ma un fondamento puramente mentale, dentro di noi.In tal modo, l'esperienza avrebbe potuto assicurare la novità dei contenuti e la mente dell'uomo avrebbepotuto assicurare l'universalità delle conoscenze.

Kant ha formulato esplicitamente in questo modo il suo programma epistemologico:

«Sinora si è ammesso che ogni nostra conoscenza dovesse regolarsi sugli oggetti; ma tutti i tentativi di stabilire intornoad essi qualcosa di a priori, per mezzo di concetti, con i quali si sarebbe potuto allargare la nostra conoscenza, assumendoun tal presupposto, non riuscirono a nulla. Si faccia dunque finalmente prova di vedere se saremo più fortunati nei problemidella metafisica, facendo l'ipotesi che gli oggetti debbano regolarsi sulla nostra conoscenza» (Critica della Ragion Pura,prefazione alla seconda edizione).

Un'altra interessante espressione di Kant è la seguente: «Noi delle cose non conosciamo a priori senon quello che noi stessi vi mettiamo».

Giudiziosinteticoa-priori

(induttivo ededuttivo)

Componenteinduttiva(sintetica)

La materia dellaconoscenzasempre nuova

Componentededuttiva(a-priori)

La forma dellaconoscenza,universale enecessaria

(analoga allequalità primarie)

=+

Provienedal mondofuori di noi

Provienedalla nostramente

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Si delineano così due prospettive antitetiche: la prospettiva di filosofia della conoscenza seguita finoa Kant, che può essere denominata "oggettivismo", e la nuova prospettiva specificatamente kantianache può essere denominata "soggettivismo". Secondo la prospettiva oggettivistica, si pensava che ilsoggetto, attraverso la sua attività conoscitiva, scoprisse le leggi dell'oggetto; secondo la prospettivasoggettivistica si pensa invece che l'oggetto, allorché viene conosciuto, venga strutturato dal soggetto,si adatti alle leggi del soggetto.

Secondo la metafora della rivoluzione copernicana, si può sostenere che, nell'ambito dellaprospettiva oggettivistica, il soggetto “ruoti” intorno all’oggetto nel tentativo di conoscerlo; nellaprospettiva soggettivistica è invece il soggetto che conferisce le sue forme universali e necessarieall’oggetto, rendendolo così conoscibile.

L’influsso di Leibniz nella rivoluzione copernicanaCi possiamo domandare, sul piano storico filosofico, da quale fonte Kant abbia ricavato l’idea per

cui le strutture fondamentali (in altri termini, le qualità primarie) della nostra esperienza della natura sitrovino in realtà nella nostra mente. Ebbene, la familiarità con Leibniz deve avere avuto un ruoloimportante: come si ricorderà, la monade era considerata da Leibniz come una entità logica capace dirappresentare l’intero cosmo come il proprio punto di vista. Si trattava già di una forma disoggettivismo, dunque.

Il significato della rivoluzione copernicanaA questo punto il lettore medio potrebbe anche ritenere che Kant fosse un pazzo. Se ci sono

caratteristiche universali e necessarie queste dovrebbero appartenere all’oggetto fuori di noi. Come èpossibile che sia la nostra mente a conferire l’universalità e la necessità alla nostra esperienza? Comepuò la nostra mente conferire delle strutture agli oggetti fuori di noi? Può allora essere utile – come delresto faceva anche Platone – raccontare alcune storielle illustrative che potrebbero contribuire a

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rendere un po’ più familiare l’ipotesi kantiana.

La prima storiella è ricavata sulla falsariga del mito della caverna di Platone, che tutti dovrebberoricordare. Immaginiamo che l’astronave Enterprise (della nota saga fantascientifica di Star Treck)giunga sul pianeta Sperduto, in una lontanissima galassia. Qui vive il popolo dei blues, esseri in tuttosimili agli esseri umani, tranne per un particolare: i loro occhi hanno una cornea completamente azzurra(possiamo immaginare che l’evoluzione abbia compiuto questa scelta per proteggerli da alcuneparticolari radiazioni del loro sole). E’ facile capire che, per effetto delle cornee bluastre, i bluesvedranno tutte le cose del loro mondo colorate di azzurro. Poiché tutti i blues vedono il mondo azzurro(perché non possono fare altro che fare così) essi riterranno che il loro mondo sia obiettivamenteazzurro. Non avranno modo di dubitare che la dominante azzurra sia una caratteristica universale enecessaria del loro mondo, sia cioè una legge fisica obiettiva, una legge di natura.

Ma il capitano Picard e il suo equipaggio, scesi in incognito sul pianeta Sperduto (dopo avereindossato un paio di occhiali per proteggersi dalle radiazioni), si accorgono invece che il paesaggio delpianeta è invece multicolore, ma che esso viene percepito come monocromatico solo dagli occhi deiblues. Il capitano Picard si renderà dunque conto del fatto che, nella esperienza della realtà dei blues, cisono due componenti: una componente che proviene dall’esterno (materia della conoscenza), costituitada informazioni sempre nuove e imprevedibili e una componente, invece prevedibilissima, provenientedalle cornee dei loro occhi, che si applicherà a tutte le cose percepite e le renderà tutte blu (formauniversale della conoscenza per tutti i blues). L’esperienza fenomenica dei blues sarà dunque,trasferendoci con una certa libertà al linguaggio kantiano, una sintesi a priori delle due componentidella conoscenza.

La seconda storiella non è una vera e propria storiella, ma un esempio da manuale di fisiologia dellapercezione. Anche se non tutti lo sanno, i fisiologi della percezione sono riusciti a chiarire che i coloriche il nostro occhio percepisce (e che noi solitamente crediamo siano reali, oggettivi) sono in realtà deiprodotti del nostro cervello. I nostri occhi percepiscono, in ingresso, radiazioni di luce di diverselunghezze d’onda (si ricordi che non tutte le lunghezze d’onda sono visibili); il nostro cervelloprovvede poi a produrre, nella nostra mente, l’impressione del colore delle cose. Ciò è testimoniato dalfatto che alcune persone, i daltonici, non producono nella loro mente la stessa impressione di coloredella media della popolazione (non distinguono il verde dal rosso). A questo punto possiamoimmaginare che gli animali (ed è proprio così!) non abbiano la stessa percezione di colore che abbiamonoi. Dunque la colorazione, che noi ingenuamente pensiamo sia caratteristica universale e necessariadi tutte le cose, semplicemente non esiste fuori di noi, ma è una specie di forma che il nostro cervelloimpone a tutte le nostre percezioni. La nostra esperienza di una cosa colorata sarebbe dunque frutto,trasferendoci al linguaggio kantiano, di una sintesi a priori tra una materia che è sempre nuova per noi euna forma, il colore, che è sempre la stessa.

La terza storiella è in realtà un esperimento mentale. Immaginiamo che l’Enterprise, nei suoi viaggiinterstellari, giunga in uno strano punto dello spazio, dove non c’è assolutamente nulla, tranne unenorme recipiente metallico di forma cubica (più o meno come il monolito di Odissea nello Spazio). Suun lato del monolito c’è una scritta in un linguaggio strano che il decoder di bordo non riesce ainterpretare. Dentro ci sarà certamente qualcosa, ma il monolito risulta impenetrabile a tutti i sofisticatistrumenti dell’Enterprise. Una situazione quanto mai frustrante per gli esploratori di Star Trek

Il capitano e i tecnici di bordo potrebbero però ugualmente cercare di fare delle ipotesi sullecaratteristiche che potrebbe avere il contenuto del recipiente. Scoprirebbero così di essere in grado disapere comunque già (a-priori, nel linguaggio di Kant) molte cose del contenuto. Essi potranno direcon sicurezza che il contenuto avrà qualche consistenza materiale. Ma sapranno con sicurezza ancheche il contenuto – se è qualcosa – avrà delle dimensioni (lunghezza, larghezza, altezza…), avrà una

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massa, sarà costituito di qualche materiale, cioè di qualcuno degli elementi della tavola di Mendelejev,avrà senz’altro una temperatura misurabile (alta o bassa che sia), e così via. Potranno affermare consicurezza che anche per il contenuto del recipiente passa il tempo (e che quindi, pur in un orizzonterelativistico, esso invecchia). Ma potranno anche ipotizzare, riuscendo a penetrare all’interno, di poteragire su quel contenuto: illuminarlo, toccarlo, spostarlo, eventualmente prelevare un campione, ecc…Potrebbero anche ipotizzare che una incauta penetrazione all’interno del recipiente potrebbe causare ladistruzione del suo contenuto. Dunque si renderanno conto di poter conoscere alcune caratteristicheuniversali di qualcosa senza averne fatta diretta esperienza.

Ebbene l’ipotesi di Kant è che tutte queste caratteristiche universali e necessarie8, che le cosedevono avere necessariamente per poter essere conosciute da noi, risiedano nella nostra mente e nonnel mondo fuori di noi (più o meno come i colori). Tra queste caratteristiche ci stanno anche i parametrifondamentali della nostra esperienza, cioè la collocazione in un qualche spazio e la collocazione in unqualche tempo, nonché la causalità.

Queste storielle possiedono soltanto delle vaghe analogie con la dottrina kantiana. Tuttavia puòessere utile meditare su di esse per avere un qualche aggancio pratico per sostenere l’elevato livello diastrazione che viene richiesto per la comprensione della filosofia kantiana.

Materia e forma della conoscenzaSeguendo una tradizione abbastanza consolidata (di lontana derivazione aristotelica), Kant ha

denominato "materia della conoscenza" la componente empirica della conoscenza; ha denominato"forma della conoscenza" la componente universale e necessaria fornita dalla mente umana. Ogniconoscenza sarà dunque costituita - sembra di ascoltare Aristotele - di una materia (provenientedall’esperienza) e di una forma (proveniente dalla mente umana).

8 Coloro che conoscono bene Galileo e Cartesio, non faranno fatica a riconoscere, tra queste caratteristiche universali enecessarie, le famose qualità primarie (volume, superficie, temperatura, massa,…).

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Dovrebbe essere chiaro perché, una volta assunto che le forme fondamentali della conoscenza stianonella mente umana, l’obiezione di Hume verrebbe superata: per verificare l’universalità e la necessitàdi una legge scientifica non dobbiamo più esaminare tutti i casi che riguardano quella legge, perchél’universalità e necessità è ora una proprietà della nostra mente che noi imponiamo alla natura, con cuila nostra mente struttura la natura. Poiché tutte le menti umane operano attraverso le stesse forme,sembrerà agli umani di con-vivere in un mondo coerente d’esperienza.

Fenomeno e noumenoLa rivoluzione copernicana, insieme ai suoi vantaggi, ha comportato per Kant l'accettazione di una

serie di paradossi. Il più noto di questi è la distinzione (che diventa inevitabile nel sistema kantiano) trala realtà così come è in se stessa (che risulta però inconoscibile per la mente umana) e la realtà cosìcome viene conosciuta da noi (che risulta sì conoscibile, ma a prezzo di un pesante intervento distrutturazione da parte della nostra mente). La realtà così come viene conosciuta da noi viene chiamatada Kant “fenomeno” (ovvero, ciò che appare); la realtà così come è in se stessa (e che quindi non puòessere conosciuta da noi) viene chiamata da Kant “noumeno” (ovvero, ciò che è solo ipotizzabile e nonconoscibile).

L’ambito della filosofia della conoscenzaIn tal modo viene anche distinto, con una certa chiarezza, il compito della scienza da quello della

filosofia: compito della scienza naturale è quello di approfondire sempre di più il lato della materia deigiudizi (le conoscenze sempre nuove delle varie scienze ); compito della filosofia della conoscenzasarebbe invece quello di approfondire il lato della forma dei giudizi, ovvero quello di studiare le formeuniversali e necessarie che la mente umana conferisce alla materia della conoscenza. La Critica dellaRagion Pura di Kant altro non è se non la ricognizione dettagliata delle forme universali e necessariedella mente umana, ovvero il catalogo, l’inventario, delle forme che la mente umana impone allanatura.

Le facoltà della mente, secondo KantSecondo Kant la mente umana non può fare a meno di conferire all’esperienza le proprie “forme”:

conoscere significa proprio “dare forma” alla nostra esperienza (questo è indubbiamente un residuoaristotelico nella filosofia kantiana). Ma la mente non è un tutto unitario. Essa è composta di diversefacoltà (qui Kant segue il senso comune filosofico) e ciascuna facoltà sarà dotata di sue propriespecifiche forme e opererà attraverso di esse. A loro volta le diverse facoltà della mente saranno beneindividuabili proprio a partire dalla diversa funzione strutturante che le loro forme ono in grado disvolgere. Le facoltà della mente secondo Kant sono tre: intuizione sensibile (o sensibilità), intelletto eragione. Ciascuna di queste facoltà ha un suo modo tipico di operare che è costituito dalle suespecifiche forme trascendentali (per il significato di trascendentale, vedi oltre). Ciascuna facoltà operapoi su una sua specifica materia e determina un suo specifico prodotto. Non resta che esaminare, perciascuna facoltà, quali siano le specifiche forme trascendentali e quali siano i loro prodotti in termini distrutturazione dell’esperienza.

L’intuizione sensibile. L’intuizione sensibile opera in maniera intuitiva (cioè, senza alcunragionamento discorsivo, senza produrre giudizi). Essa opera attraverso le due forme trascendentalidello spazio e del tempo. Grazie ad essa gli oggetti della nostra esperienza ci sono dati in modointuitivo, immediatamente (in questo caso, la sintesi a priori è immediata). L’intuizione sensibileproduce dunque la nostra esperienza immediata, il nostro essere “qui ed ora”, i nostri fondamentaliparametri spaziali e temporali. Kant ha dunque qui elaborato una teoria contro intuitiva, assai difformeda senso comune: nell’ambito del senso comune riteniamo che lo spazio e il tempo siano fuori di noi eindipendenti da noi; secondo Kant invece lo spazio e il tempo sono forme con cui la nostra mente

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struttura l’esperienza sensibile.Si pone, nella filosofia di Kant, il problema di come possa l’intuizione accedere alla sua materia,

prima di essere spazializzata e temporalizzata. Il problema è lasciato insoluto, poiché - per l’uomo -non è possibile conoscere alcunché che non abbia già intuitivamente preso la forma spaziale etemporale. La materia dell’intuizione sensibile - come è in sé” - non è dunque conoscibile. Kant hachiamato “noumeno” (da nous) questa entità solo presumibile, ma non conoscibile.

L’intelletto. L’intelletto opera in maniera discorsiva (produce dunque dei giudizi). La materia di cuisi serve l’intelletto è costituita dall’esperienza sensibile (già spazializzata e temporalizzata) prodottadall’intuizione. L’intelletto, attraverso le sue forme trascendentali, “pensa” l’esperienza sensibile eproduce come risultato la nostra conoscenza intellettuale della natura (ad esempio produce i vari giudizidi cui sono costituite le scienze). Per produrre tutte le nostre conoscenze intellettuali, secondo Kant,sono necessarie molte forme, che egli ricava dalla logica tradizionale: si tratta di ben 12 forme(chiamate anche “categorie”, sempre sulla scia di Aristotele). A queste forme Kant aggiungerà poiun’altra forma chiamata Io (o anche Io-penso), che evoca l’autocoscienza cartesiana - anche se non sitratta proprio della stessa cosa9. L’intelletto dunque è la facoltà che presiede all’elaborazione dellaconoscenza scientifica.

La ragione. La ragione opera anch’essa in maniera discorsiva (produce dunque dei giudiziattraverso argomentazioni), tuttavia si differenzia dall’intelletto poiché non si applica al mondosensibile, non si applica all’esperienza, bensì a un ipotetico mondo sovrasensibile (meta-fisico). Laragione dunque opera secondo le proprie forme, ma non ha a disposizione una materia da strutturare(avendo come obiettivo di conoscere proprio ciò che sta oltre la materia).

Le forme trascendentali della ragione (che sono sempre forme trascendentali della mente umana) eche Kant chiama anche Idee della ragione sono tre: l’Anima, Dio e il Mondo (si badi bene che non sitratta di idee in senso contenutistico, bensì di modi tipici di operare della ragione, predisposizioni aragionare in certi modi...). La ragione, grazie alle sue forme, produce la conoscenza metafisica, ledottrine metafisiche; ma queste - come sì vedrà - non avendo alcun corrispettivo sensibile - nonpossono mai avere una prova definitiva a loro sostegno o una confutazione definitiva. Da ciò si ricavache la metafisica non è in grado di produrre alcuna conoscenza scientifica (nel senso della sintesi a -priori)

9 L’io-penso cartesiano è una sostanza, mentre l’io-penso kantiano è una forma pura trascendentale, ovvero un puro mododi operare (e quindi non è sostanza).

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La terminologia kantiana e il concetto di “trascendentale”Kant, nella sua filosofia della conoscenza, ha utilizzato una terminologia rigorosa, in parte mutuata

dai filosofi precedenti e in parte originale.Merita di essere segnalato l'impiego del termine "trascendentale". Se lo traducessimo nel nostro

linguaggio odierno, potremmo dire che equivale a “strutturante”. Esso è stato utilizzato da Kant perindicare la capacità caratteristica delle forme della nostra mente di conferire una struttura universale enecessaria alla materia della conoscenza: "Chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa nondi oggetti, ma del nostro modo di conoscere". Il termine "trascendentale" ha una lunga storia: deriva daun uso della filosofia scolastica medievale: in quel tempo trascendentali erano dette le proprietàontologiche fondamentali (dunque universali e necessarie) di ciascuna cosa creata, proprietà cherispecchiavano il creatore stesso ed erano l’analogo delle proprietà di Dio, essere per eccellenza. Itrascendentali in Tommaso erano - si ricorderà - uno, vero e buono. In sostanza i trascendentali erano lestrutture profonde (universali e necessarie) delle cose, che le cose dovevano per forza avere, poichétutte derivavano dal creatore: le creature dovevano portare dentro di sé le strutture profonde impostedal loro creatore. Nella filosofia della conoscenza di Kant la mente umana prende il posto del creatore:le forme della mente conferiscono la loro forma alla natura.

Un altro aspetto terminologico e concettuale caratteristico della filosofia kantiana è la distinzione traintelletto e ragione: l'intelletto è la facoltà che si applica alla conoscenza fenomenica; la ragione è lafacoltà che si applica alla conoscenza metafisica.

L'indice della Critica della Ragion Pura

La struttura fondamentale della Critica della Ragion Pura ricalca (almeno nella sua parte principale,la cosiddetta dottrina degli elementi) quella delle forme trascendentali che mano a mano vengono presein esame.

La principale suddivisione è quella tra estetica trascendentale e logica trascendentale: nella primaci si occupa della sintesi a priori che viene realizzata nell’ambito della sensibilità; nella seconda ci sioccupa della sintesi a priori che viene realizzata nell’ambito delle facoltà discorsive (o logiche) dellamente: intelletto e ragione. Questa sezione, la logica trascendentale, viene ulteriormente ripartita in dueparti dedicate alle due specifiche facoltà: la analitica trascendentale si occupa delle forme puredell’intelletto, mentre la dialettica trascendentale si occupa delle forme pure della ragione. Per il resto,l’indice della CRP è assai più complesso, ma per i nostri scopi introduttivi, ciò è più che sufficiente.

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