Introduzione Al Disegno ale - Gillo Dorfles

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GILLO DORFLES

INTRODUZIONE AL DISEGNO INDUSTRIALELinguaggio e storia della produzione di serie

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Indice

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Introduzione 1. Breve premessa storica 2. Da William Morris alle Arts and Crafts 3. LArt Nouveau e i suoi rapporti con il disegno industriale 4. Dal Bauhaus ai nostri giorni 5. Carattere iterativo e concetto di standard 6. Distinzione tra artigianato e disegno industriale 7. Architettura industrializzata e design 8. Interferenze tra disegno industriale, pittura e scultura 9. La graca fa parte del design? 10. Teoria dellinformazione, complessit funzionale e strutturale e consumo del diegnoindustriale

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11. Valori simbolici e semiotici del disegno industriale 12. Aspetti positivi e negativi dello syling

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13. Interferenze tra styling, moda, e ordinamento sociale 14. Il concetto di fuori serie e gli equivoci della piccola serie

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15. Valore pubblicitario e autopubblicitario del design 16. Originalit, universalit e plagio 17. Importanza del fattore tecnologico 18. Il lavoro di quipe e le sue caratteristiche 19. Indagine di mercato e sistemi di vendita 20. Disegno industriale e mass media 21. Tentativo di una classicazione del disegno industriale 22. Limiti dellazione del designer nella progettazione 23. Linsegnamento del disegno industriale 24. Ipotesi per levoluzione futura del design Appendice. Gli ultimi sviluppi del disegno industriale nel mondo

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Introduzione

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Ogni denizione rischia di risultare monca e imprecisa, tanto pi quando essa si riferisce ad un settore vasto e complesso come quello che mi accingo a trattare: per questo preferisco non dare nessuna denizione netta ed assiomatica del disegno industriale1, lasciando che il lettore si venga formando da s il concetto pi idoneo e pi rispondente alla realt dei fatti attraverso la lettura dei paragra che seguiranno. Esistono, tuttavia, alcuni capisaldi dai quali non si pu prescindere nell'iniziare uno studio di questo delicato settore ed perciUn'impostazione teoretica del concetto di disegno industriale si pu riallacciare gi ad alcune postulazioni estetiche rinvenibili in Kant e ancor prima negli empiristi inglesi. Di solito si considera il concetto di bellezza funzionale come antikantiano e pi prossimo a quel naturalismo eclettico, proprio alla filosofia del tardo Ottocento, appunto per il fatto che da questa veniva respinta ogni distinzione kantiana tra bello e arte, bello e razionale; ma, a ben guardare, gi Kant, come noto, critica la teoria del bello come perfezione e adatta alla sua teoria l'idea d'una finalit, considerando tale finalit possibile anche senza la rappresentazione d'un fine. Accanto alla bellezza pura (pulchritudo vaga) esiste per il filosofo tedesco la bellezza aderente (adhaerens), ossia quella bellezza che implica anche il fine a cui la cosa deve servire (ed noto altres come per Kant la finalit venga posta come principio a priori della facolt estetica). Tuttavia non solo la possibilit di assimilare tale finalit della cosa arti-, stica con la sua funzionalit che ci deve colpire, quanto il fatto che il concetto stesso di appropriatezza (la fitness degli empiristi) si identifichi per lui con la perfezione dell'oggetto artistico (ed noto che, per Kant, nel grande settore della pittura rientrano di pieno diritto anche le arti decorative, i mobili, l'arredamento: elementi, dunque, in cui il concetto del fine a cui debbono servire, ossia quello che chiamiamo funzionalit, prevale). Proprio negli empiristi, e specialmente in Addison e in Burke, gi presente una visione dell'oggetto artistico che potremo a ragione definire come funzionalista. Dice, ad esempio, Burke (Ricerca sull'origine del sublime e del bello): Quando esaminiamo la struttura d'un orologio e riusciamo a conoscere l'uso di ogni parte di esso, soddisfatti come siamo della convenienza dell'oggetto completo, siamo lontani dal trovare nell'orologio stesso alcunch di bello... nella bellezza... l'effetto precede ogni conoscenza dell'uso; ma per giudicare della proporzione dobbiamo conoscere lo scopo a cui un oggetto destinato. evidente in questa citazione la distinzione ancora posta da Burke tra bellezza e convenienza da un lato e d'altro lato tra proporzione (come elemento di bellezza) e conoscenza dell'uso, e tuttavia si intravvede gi in queste righe una prima avvisaglia di quella lunga discussione mirante ad identificare, contrapporre o subordinare lutile al bello, integrandone i due concetti in quello di funzione.1

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che vorrei, sin dall'inizio, porre alcune fondamentali precisazioni che mi consentano di sbarazzare il terreno da pericolosi equivoci che si son venuti man mano addensando in questo campo, per la presenza di fattori ad un tempo estetici e tecnici, che interferiscono tra di loro senza mai raggiungere un vero punto di equilibrio. Sarebbe erroneo, innanzitutto, ritenere che il disegno industriale sia un settore esistito da sempre: quello cio dell'oggetto utilitario. un primo equivoco che va chiarito, e vedremo meglio, nel paragrafo dedicato ai rapporti tra disegno industriale ed artigianato, perch non si debba considerare l'oggetto artigianale come un analogon di quello industriale. Una delle prime condizioni necessarie per considerare un elemento come rientrante nel settore che ci accingiamo ad esaminare che esso sia prodotto attraverso mezzi industriali e meccanici, ossia mediante l'intervento non solo fortuito, occasionale o parziale ma esclusivo della macchina. Da questa prima condizione derivano immediatamente altri corollari, come quello della ripetibilit, dell'iterazione, del prodotto; requisito che non era mai stato pre-visto prima dell'avvento della macchina. E, nalmente, come ulteriore premessa, dobbiamo considerare quella della maggiore o minore ma comunque sempre presente esteticit del prodotto; esteticit sui cui valori ovviamente sar arduo intendersi (come del resto arduo intendersi a proposito d'ogni opera d'arte che sia ancora sub judice), ma che dovremo ipotizzare come momento essenziale almeno intenzionalmente d'ogni opera del design. Non ogni prodotto dovuto alla macchina s'intende di per s artistico; per cui si dovranno considerare come appartenenti al settore del disegno industriale solo quelli che saranno stati, sin dalla fase di progettazione, ideati con tale intento; mentre d'altro lato si avranno numerosi casi di oggetti e di elementi industrialmente prodotti, che risulteranno provvisti di qualit espressive ed estetiche senza che tali qualit fossero menomamente previste all'atto della loro progettazione.

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Anche se, da parte di molti studiosi e teorici recenti, si tende a svalutare il lato artistico del disegno industriale e a considerare questo aspetto del tutto secondario, io ritengo che questa posizione di riuto estetico o, se vogliamo, di puritanesimo antiedonistico sia dovuta soprattutto al fatto di non aver ancora compreso come il concetto stesso di arte sia venuto mutandosi negli ultimi decenni, per cui non si dovr pi considerare come artistico soltanto il prodotto delle arti belle: pittura, scultura, architettura, ma anche molti degli oggetti, degli strumentari, di cui la attuale civilt tecnologica si vale nelle sue diverse manifestazioni. Si tratta, cio, di constatare la presenza in ogni opera umana di una vis formativa, implicita nella stessa natura del materiale del medium espressivo ogni qual volta esso sia usato secondo quelle leggi compositive che gli si confanno, e che ha dato spesso origine al presentar-si di elementi altamente artistici all'insaputa degli stessi arteci. Nel nostro caso come vedremo accaduto che, proprio alcune delle prime costruzioni tecnologiche del secolo scorso (i primi grandi ponti sospesi in metallo, alcuni edici ingegnereschi come i docks di certi porti inglesi [Liverpool], alcune fabbriche, altiforni, alcune primitive macchine a vapore, ecc.) rivelassero per la prima volta certe costanti formali, che dovevano costituire le matrici di tutto quanto un nuovo stile architettonico e costruttivo, all'insaputa dei loro stessi ideatori. Potremo perci riassumere le nostre premesse affermando che, mentre gi in passato esistevano prodotti creati manualmente o solo parzialmente con interventi meccanici (ceramica, vetro), destinati a scopi pratici e utilitari, e provvisti di qualit estetiche (utensili, armi, arnesi preistorici, suppellettili, ecc.), e altres numerosi elementi modulari, parzialmente e anche totalmente standardizzati, soltanto ai nostri giorni ossia dopo l'avvento della rivoluzione industriale si data la produzione di oggetti, di

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sagome, di modelli, in grado di essere ti-prodotti in serie, e tali da adempiere, oltre che ad una funzione pratica-utilitaria, anche ad una estetica. Del resto lo stesso quoziente utilitario e funzionale non del tutto indispensabile quale componente essenziale del di-segno industriale. (Ed , anzi, questo, uno dei pi frequenti abbagli di chi ancora ritiene necessaria la presenza d'una componente funzionale alla base dell'oggetto industrialmente prodotto). In effetti: si pu concepire l'esistenza e, si d, l'esistenza di oggetti inutili: soprammobili, oggetti decorativi, e anche oggetti di arte pura (che rientrano nella categoria della cosddetta arte programmata ), eseguiti in serie mediante l'esclusivo intervento della macchina e che sono quindi, a buon diritto, da considerarsi come facenti parte della categoria che stiamo esaminando. Per cui potremo concludere che, ci che si richiede, per poter considerare un oggetto come appartenente al disegno industriale : 1) la sua seriabilit; 2) la sua produzione meccanica; 3 ) la presenza in esso di un quoziente estetico, dovuto alla iniziale progettazione e non ad un successivo intervento manuale. Ecco, perch non lecito discorrere di disegno industriale a proposito di oggetti appartenuti a et precedenti la rivoluzione industriale; e tanto meno a proposito di quelli (utensili, mobili, attrezzi) risalenti all'antichit e addirittura alla preistoria. Se il quesito del binomio bello-utile (dell'esteticit delle forme utili), rientra di pieno diritto nel nostro discorso, come quello dei rapporti tra funzione e forma, ci non toglie che tale quesito esuli dal nostro orizzonte, quando esso si riferisce ad opere create a mano, senza possibilit di replica esatta, e senza l'intervento della macchina. Per questa ragione alcuni studi (come, ad esempio l'antico e classico volume Arte e Industria di Herbert Read come l'ampio saggio di Lindinger sulla Designgeschichte) peccano nel loro rifarsi a delle pretese origini storiche del disegno industriale, risalendo all'utensile, al vaso, alla coppa dell'antichit, per il solo fatto che tali oggetti ave-'vano un

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ne utilitario oltre che estetico. t per questa ragione che nel tracciare una brevissima cronistoria del disegno industriale prender l'avvio sol-tanto dagli albori dell' era neotecnica, dopo l'avvento della prima rivoluzione industriale, trascurando ogni riferimento alle forme utili precedenti quest'epoca. Un'ultima osservazione prima di dare inizio alla trattazione dei diversi problemi che interessano l'oggetto prodotto industrialmente , riguardo alla particolare latitudine del campo d'azione del disegno. Come avr agio di precisare meglio nel paragrafo dedicato alla classicazione degli oggetti di spettanza del disegno industriale, il nostro settore si estende oggi alla quasi totalit degli elementi che costituiscono i punti di riferimento della nostra esistenza quotidiana ed anche questo un fatto di primaria importanza di cui non tutti realizzano la portata. Noi siamo avvolti, ad ogni istante della nostra giornata lavorativa e ricreativa, da una marea di oggetti prodotti industrialmente, in serie, e con o meno palesi intendimenti estetici: dall'orologio che portiamo al polso, alla penna biro , dagli occhiali alle forbici, dall'automobile alla carrozza ferroviaria, dallo scooter al jet. Tanto la vita casalinga (con i diversi elettrodomestici), che quella d'ufcio (con le macchine da scrivere, le calcolatrici), che quella sportiva (con gli sci, le mazze da golf), che quella bellica (con le armi, i missili, le navi da guerra), sono assiepate da produzioni alla cui base esiste sempre un momento progettativo, di creazione disegnativa, e un momento iterativo di produzione meccanizzata e seriale. Non deve dunque far specie se il nostro odierno orizzonte visuale cos fortemente inuenzato dalla presenza di questa ingente quantit di elementi industrialmente prodotti, i quali attraverso la loro forma, il loro colore, la loro tessitura sono in grado d'inuenzare positivamente e negativamente le nostre facolt percettive e quindi anche le nostre tendenze creative e ideative. Potremo anzi

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affermare che proprio a tali elementi si deve, e si dovr ancor pi in futuro, il particolare indirizzo che potr assumere il gusto dell'uomo e il suo atteggiamento verso le forme utili e inutili dell'ambiente entro il quale si svolge la sua esistenza.

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1. Breve premessa storica Come ho spesso avuto occasione di osservare, dobbiamo far coincidere l'inizio del disegno industriale con l'avvento della macchina nella produzione di oggetti progettati dall'uomo. Non possibile discorrere di disegno industriale riferendosi ad epoche precedenti la rivoluzione industriale, anche se sin dall'antichit si sono dati alcuni oggetti eseguiti in serie e con il parziale intervento di :macchinari primitivi come il tornio, il trapano, la ruota ' dei vasai e le presse a mano delle fornaci di laterizi. dunque agli albori del secolo scorso che dobbiamo porre l'inizio dei primi oggetti industrialmente prodotti su disegno appositamente studiato per una produzione di serie. In quei primissimi oggetti tanto nei mobili e nelle suppellettili che in alcuni elementi delle costruzioni edili (colonne di ghisa, ponti metallici) o nei primi mezzi di locomozione (macchine a vapore, bastimenti a ruote) si vede quasi sempre perpetuato l'errato concetto di mascherare le caratteristiche funzionali dell'oggetto mediante sovrapposizioni ornamentali che si rifanno al gusto dominante nell'epoca. In altri termini, non si era ancora giunti a concepire il prodotto sfornato dalla macchina come capace di possedere una sua esteticit derivata dall'incontro della funzionalit con la forma, senza aggiunta d'un fattore decorativo ad essa sovrapposto. Poich il primo affermarsi della rivoluzione industriale si ebbe nel campo della lavorazione della ghisa, i primi conoscimenti dell'importanza dei nuovi metodi di lavorazione si ebbero nel settore dell'ingegneria. Gli ingegneri, difatti, furono i primi ad avvertire le possibilit estetiche, oltrech tecniche, dei nuovi sistemi di produzione, valendosi di elementi industrialmente prodotti per la realizzazione di opere le pi svariate. Le pi antiche di esse risalgono all'ultimo quarto del secolo XVIII; dato che il primo ponte in ferro ad una solo arcata - il Severn Bridge - fu costruito in Inghilterra tra il 1775 e il 1779 mentre la Royal Opera Arcade a Londra del 1790. Ma la pi ampia

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oritura di opere ingegneresche si ebbe lungo tutto il secolo XIX ; secolo che vide il sorgere di costruzioni quali il Padiglione reale di Brighton di John Nash (1818-21), le serre del Jardin des Plantes di Rouhault a Parigi (1833), e, sempre a Parigi, la Bibliothque Sainte Genevive (1843-50) e la Bibliothque Nationale di Henri Labrouste, les Halles Centrales (1849-53), nonch un buon numero di stazioni e altri edici industriali, magazzini e ponti, tutti, a struttura interamente metallica. Sullo scorcio del secolo spiccano due importantissimi esempi di costruzioni a carattere provvisorio e cio: Les Halles des Machines (Contamin), in occasione dell'esposizione universale dell'89 e la Torre Eiffel (Eiffel aveva gi costruito precedentemente il Douro Bridge nel 1875 e il Garabit Viaduct nel 1879) destinata fortunatamente a sopravvivere all'esposizione per cui era stata ideata. Come ho gi detto in quasi tutte queste costruzioni ingegneresche si perpetua l'equivoco di usare i nuovi materiali sotto forme e ornamentazioni che li fanno apparentare ai materiali che essi vengono sostituendo (pietra, legno, ecc.). Un primo esempio di emancipazione dalle formule linguistiche preesistenti lo si riscontra nell'estremo assottigliarsi del fusto delle colonne portanti, realizzate in ghisa, pur conservando esse tutti i loro tradizionali elementi compositivi. Anche in altri settori produttivi - come in quello della ceramica e della lavorazione in serie dei mobili (Thomas Chippendale e Thomas Sherraton [1718-79, 1751-1806], Joshiah Wedgwood [1730-95]), - si verica un analogo fenomeno del perpetuarsi di schemi stilistici del passato, pur nel tentativo di immettere nella produzione nuovi sistemi di lavorazione a carattere ormai nettamente industrializzato. Nel caso di Wedgwood signicativo il fatto che la sua competenza e intuitiva modernit nel campo tecnico e organizzativo non si accompagnasse ad un'equivalente aggiornatezza nel campo estetico; infatti - soprattutto dopo la sua associazione con Thomas Bentley (1768) -egli prese a

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rivestire i suoi prodotti ceramici di motivi ornamentali desunti dall'antichit classica e rinascimentale. Tuttavia un graduale abbandono dei moduli architettonici e decorativi che venivano di giorno in giorno perdendo ogni giusticazione era inevitabile; e, se punti di vista come quelli espressi da Labrouste nelle sue annotazioni (Souvenirs d'Henri Labrouste, Paris 1928): insisto sul fatto che in architettura la forma deve essere sempre appropriata alla funzione erano ancora rari in Europa attorno alla met del secolo, in America, invece, erano ben pi frequenti forse in merito al pi rapido sviluppo tecnologico di quel paese. L'impiego di elementi industrialmente prefabbricati nell'edilizia qui molto pi diffuso che in Europa, gi sin dalla prima met del secolo. Di essi si valsero architetti come Alexander Parris (1825) nel disegnare il progetto per il mercato di Boston e molti altri costruttori di grandi magazzini, palazzi per ufci, negozi, ecc. La pi tipica di queste costruzioni, forse l'edicio costruito da James Bogardus nel 1854 per Harpers & Brothers valendosi esclusivamente d'una intelaiatura metallica e di vetrate continue. A questo indirizzo si uniformarono, avallandolo con le loro esperienze, altri architetti come Henry Richardson (Magazzini Field a Chicago 1885-87) e i componenti della Scuola di Chicago: William Le Baron Jenney, Holabird, Burnham, John Root, nonch il grande Sullivan, maestro, come noto, di F. Lloyd Wright. Un'analoga praticit e chiarezza di quella usata nell'architettura stava alla base della miglior produzione americana di oggetti di serie,, come result dalle impressioni suscitate dai prodotti americani presentati alla Esposizione di Londra del 1851, di cui Lothar Bucher (Kulturhistorische Skizzen aus der Industrieaustellung aller Vlker, 1851) ebbe a dire: Tutto quanto vediamo dell'arredamento domestico americano respira spirito di confort e adattamento allo scopo. Cos, mentre in America gi prima di giungere alla formulazione teorica dei problemi riguardanti il compito del

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disegno nell'industria, tali problemi ' avevano ottenuto una loro prima soluzione pratica, in Europa, ci si stava appena accostando alla determinazione ideologica degli stessi attraverso mal poste e confuse discussioni. Un primissimo riconoscimento - sia pur basato su postulati assolutamente non accettabili - dell'importanza del quoziente estetico nei prodotti dell'industria si ebbe nel discorso pronunciato da Sir Robert Peele (grande uomo di stato e grande industriale dell'epoca) ai Comuni nell'aprile del 1832 per appoggiare la proposta dell'erezione d'una galleria nazionale d'arte (cio la National Gallery, di Londra). Egli afferm tra l'altro (come ci riferisce Herbert Read nel suo volume) che era precipuo interesse dei manifatturieri inglesi incoraggiare nel paese lo studio e la dimestichezza con le arti belle dato che la produzione inglese, tanto superiore a quella straniera dal punto di vista tecnico, si trovava in condizioni di netta inferiorit per quanto riguardava la bont del pictorial design. In seguito a questo discorso - dove tra l'altro si raccomandava di prender esempio da quanto si faceva in Francia con l'Ecole des Beaux Arts di Lione - vennero aperte scuole, esposizioni, e si istitu un comitato che promovesse l'auspicato connubio tra arte e industria. Eppure il fattore artistico veniva tenuto in considerazione come qualcosa di distinto da| processo di produzione meccanica e come qualcosa che si doveva applicare dal di fuori all'oggetto industrialmente prodotto. Concetto codesto, come abbiamo spesso affermato, del tutto controproducente ed errato.

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2. Da William Morris alle Arts and Crafts Uno dei primi a voler reintrodurre l'elemento estetico nel campo della produzione di serie fu certamente William Morris (1834-95) uno degli animatori del movimento inglese delle Arts and Crafts, ma la cui posizione rispetto all'intervento della macchina nell'operare artistico e artigianale fu del tutto negativa. Per Morris una delle pi alte qualit dell'uomo consisteva appunto nella sua capacit di fabbricare manualmente e senza far ricorso all'intervento meccanico. Tutto quanto egli produsse personalmente e tutto quanto egli fece per promuovere la comprensione d'ogni forma d'arte, per richiamare in vita vecchi procedimenti di lavorazione artigianale o elaborarne dei nuovi, fu il frutto di questa sua profonda convinzione. E se ne possono constatare i risultati per esempio nella Casa Rossa che egli si fece costruire da Philip Webb nel 1859 e di cui cur personalmente ogni particolare dell'arredamento, dalle tappezzerie alle stoffe, dai tappeti ai vetri e ai mobili. Principi analoghi furono da lui rivendicati nel laboratorio d'arte applicata (Morris, Marshal, Faulkner and Co.) e persino nella piccola casa editrice (Kelmscott Press) che estendeva i suoi interessi anche al campo della legatoria d'arte. In questo modo veniva riconosciuta ogni importanza educativa all'attivit artigianale mentre la si negava a quella meccanizzata. Tuttavia i suoi continui sforzi per una chiaricazione del rapporto tra materiale, metodo produttivo e forma e per un'emancipazione dell'artigianato dalla schiavit dai moduli derivati da stili preesistenti dovevano in denitiva risultare positivi anche per la successiva impostazione estetica del prodotto industriale, svincolandolo totalmente dai ricordi stilistici del passato. L'efcacia di tali principi fu del resto evidente nella ripresa dell'artigianato inglese di cui si ebbe tosto una tangibile prova nell'esposizione delle Arts and Crafts (nome con cui si

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design la produzione artigianale inglese dopo il 1860) tenuta alla New Gallery di Londra nel 1880. La parte pi vitale del suo insegnamento fu raccolta e sviluppata da alcuni suoi discepoli (come Walter Grane, W. R. Lethaby, John Sedding, Lewis Day, Charles Robert Ashbee), i quali dovevano in seguito affrancarlo da quei pregiudizi antimeccanicistici che ne avevano intralciato l'applicazione in un senso giusto e consono ai tempi. Basti citare a questo proposito quanto Lewis Day ebbe a scrivere attorno al 1882 (in Everyday Art): ci piaccia o no, la macchina, la forza motrice e l'elettricit avranno qualcosa da dire nell'arte ornamentale del futuro. Alcuni dei principi morissiani - in cui pi efcacemente traspaiono le teorie estetiche derivate da John Ruskin (1819-1900) e da altri autori e artisti preraffaelliti -ispirarono movimenti e personalit anche fuori dall'Isola. Tra queste una certamente delle pi signicative per i suoi inussi sul disegno industriale dell'epoca quella di Henry Van de Velde (1863-1956) massimo esponente dell'Art Nouveau.

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3. L'Art Nouveau e i suoi rapporti con il disegno industriale Il nuovo indirizzo architettonico e artistico di tal nome ebbe come luogo di nascita Bruxelles e da li poi si diffuse nel resto d'Europa quasi contemporaneamente all'affermarsi in altri paesi di movimenti analoghi come lo Jugendstil in Germania, la Secessione in Austria, il Liberty in Italia, il Modernismo in Catalogna. Esso ebbe il grandissimo merito di proporre alla creazione architettonica e disegnativa moduli e decorazioni che astraevano completamente da ogni ricordo stilistico precedente, ispirandosi ad elementi naturalistici (specie oreali) e a motivi dove era possibile avvertire inussi estremorientali. Questo vagheggiare il mondo della natura nelle decorazioni dell'Art Nouveau ne rivelano l'afnit con le gi considerate impostazioni dei movimenti morissiani e preraffaelliti cui si conforma anche nel senso d'una pi intima aderenza tra struttura e decorazione. Dalle posizioni morissiane e ruskiniane questo movimento si discostava invece in quanto accettava incondizionatamente l'intervento della macchina. Il gioco potente delle loro braccia di ferro come scrive Van de Velde nei suoi Kunstgewerbliche Laienspredikten, 1901 - creer la bellezza, purch la bellezza le guidi. L'architetto belga pu dunque essere considerato come il pi illuminato esponente del nuovo stile. Alla sua iniziale attivit di pittore, sostitu quella di cultore delle arti applicate e di architettura, ponendosi a disegnare mobili, stoffe, tappezzerie; e attraverso tale attivit ebbe un successo clamoroso in Fran-' eia quando venne chiamato nel '93 da S. Bing, mercante d'arte parigino, ad arredargli il negozio, che prese per l'appunto il suo nome dall'Art Nouveau. Lo scalpore creato attorno al negozio di Bing in quell'occasione diede origine al sorgere anche in Francia di uri analogo movimento (lo stile Galle), cui

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aderirono mobilieri, ceramisti, industriali e artisti come Galle e Guimard (il creatore delle famose inferriate del Metr parigino) che accentuarono ancora il fantasioso decorativismo degli architetti belgi Van de Velde e Horta. Correnti analoghe all'Art Nouveau - come dissi - sorsero in Austria (dove J. Hoffmann [1870-1956] fond nel 1903 con K. Moser le Wiener Werkstaetten) e in Germania dove venne dato notevole sviluppo alla creazione di mobili, oggetti per la casa, suppellettili. Mentre in Gran Bretagna l'opera di Morris e delle Arts and Crafts veniva continuata e perfezionata dalla scuola scozzese di Mackintosh (1869-1928) e di Mackmurdo (1851-1942). Un importante nesso tra i fermenti artistici anglosassoni e quelli germanici doveva poi essere realizzato da Hermann Muthesius (1871-1927), il quale - come addetto all'ambasciata tedesca a Londra - ebbe modo di studiare i problemi dell'industrializzazione del prodotto artigiano in quel paese e, tornato in patria, auspic l'avvento d'un nuovo Maschinenstil che trov poi nelle Deutsche Werkstaetten (a partire dal 1907) la sua prima realizzazione. solo di recente che si reso giustizia all'importanza dei movimenti dell'Art Nouveau nel promuovere l'avvento d'una forma d'arte gi decisamente industrializzata, ma al tempo stesso provvista d'una nuova originalit stilistica; e questo perch, sino a non molti anni or sono, si continu a considerare l'Art Nouveau come una corrente opposta e nemica di quella razionalista. In realt le due correnti, in apparenza distinte ed avverse, ebbero entrambe la funzione di promuovere l'utilizzazione della macchina nella creazione sia architettonica che delle arti applicate, con la differenza che il razionalismo volle fare tabula rasa d'ogni motivo decorativo e ornamentale alla ricerca d'una assoluta purezza costruttiva e d'una assoluta funzionalit. Alle tendenze pi spiccatamente razionaliste parteciparono sin dalla prima decade del secolo alcune importanti personalit come Berlage in Olanda, Adolf Loos in Austria, Tony Garnier e Auguste Perret in Francia e Behrens in Germania. E, anzi, bisogna riconoscere proprio a Behrens (divenuto nel 1909

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consulente dell'AEG di cui aveva costruito la fabbrica a Berlino) il merito - o la fortuna - di essere stato forse il primo caso di consulente artistico - di designer dunque chiamato direttamente da un'industria col ne di curarne ad un tempo la organizzazione tecnica ed artistica. perci a Behrens, nella sua successiva veste di direttore dell'accademia d'arte di Dusseldorf, come a Van de Velde, in quella di direttore della scuola di Weimar, che spetta il massimo riconoscimento quali pionieri di un metodo didattico volto a riconoscere il peso che il disegno industriale doveva assumere nel settore tecnico e artistico della produzione di serie.

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4. Dal Bauhaus ai nostri giorni , con il 1920 che ha inizio uno dei periodi pi decisivi nella storia del disegno industriale. Infatti in quell'anno Gropius (che gi un anno prima era stato chiamato da Van de Velde alla direzione del Bauhaus) inizia la sua attivit presso quella scuola. L'importanza del Bauhaus non ha pi bisogno di essere sottolineata, ne vanno per ridimensionati gli apporti ed di questi ultimi anni un orire di studi che mirano a dare il giusto peso alle iniziative di Gropius e dei suoi collaboratori. Dal 1920 al 1925 il Bauhaus continu la sua attivit a Weimar, in seguito a partire dal 1925, e sino al 1928, si trasfer a Dessau, sempre diretto da Gropius che, in quell'anno, per il sopraggiungere della incresciosa situazione politica dovuta al nazismo incalzante, abbandon la Germania e lasci la direzione della scuola a Hannes Mayer. Alla scuola collaborarono alcune delle personalit artistiche pi rilevanti dell'epoca come Klee, Kandinskij, Feininger, Moholy-Nagy, Mies van der Rohe, Albers, VordembergeGildewart, e gli allora giovanissimi Max Bill, Gyorgy Kepes, e Breuer. sin troppo facile rivolgere oggi degli appunti ai metodi didattici del Bauhaus e tentare di limitarne la portata dell'insegnamento. In effetti noto che una certa quale artigianalit dell'insegnamento aveva ancora la prevalenza sui metodi decisamente scientici che in seguito dovevano essere adottati; ma non bisogna dimenticare l'epoca in cui la scuola si era venuta formando e la sua derivazione da quella che era ancora una visione estetizzante dell'oggetto industriale e dell'architettura. Rimane comunque il fatto che senza il Bauhaus difcilmente si sarebbe sviluppata cos rapidamente una chiara coscienza dei nuovi requisiti necessari all'evoluzione architettonica e disegnativa moderna. Anche per quanto si riferisce all'impostazione sociologica data da Gropius al suo insegnamento e che, attualmente, dovremmo considerare alquanto utopistica, importante segnalare come essa costituisse una prima

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rottura con degli schemi sociali ottocenteschi del tutto arretrati. Gropius, infatti, mirava a creare un'arte capace di raggiungere col minimo costo il pi alto livello artistico e mirava a creare degli oggetti che fossero destinati a tutte le categorie sociali e che non fossero riservati a sparute lites; non solo ma credeva che, abbinando l'insegnamento artigianale con quello industriale e artistico, si potesse creare quell'artista completo capace di dominare tutti quanti" i settori della produzione. Oggi sappiamo che un cosffatto ideale umanistico pressocch impensabile, sappiamo che sono necessarie altre basi - di carattere scientico, linguistico, psicologico, losoco - per permettere una chiara visione del problema; ma comunque non possiamo misconoscere l'efcacia dell'insegnamento di Gropius, non solo in Europa ma anche negli Stati Uniti dove il suo apporto doveva risultare decisivo. Alcune realizzazioni del Bauhaus rimangono perci quali tappe fondamentali del disegno industriale, e mi limito a citare i famosi mobili in tubo d'acciaio di Breuer (dove sedile, schienale e braccioli erano costituiti da elementi di tessuto tesi sull'intelaiatura metallica), le seggiole metalliche di Mies, tra le quali la Barcellona, costruita nel 1928 per la era omonima, doveva avere una lunghissima vita giacch la sua produzione di serie (sia pur di serie limitata e ad alto costo) doveva ancora prolungarsi sino ai nostri giorni. Anche nel caso dei mobili di Breuer si vericava una condizione analoga a quella della Barcellona. Essi venivano riproposti di recente (1962) e rilanciati sul mercato, sia pur con risultati alquanto incerti, a dimostrare comunque una notevole durevolezza del disegno. Altri prodotti notissimi del Bauhaus furono la maniglia in nichel di Gropius e la sua automobile Adler (1932) e ancora lampade da tavolo, diffusori di luce, ceramiche. Attorno alla stessa epoca anche in Olanda, come noto, si andavano svolgendo importanti ricerche nel settore della progettazione industriale, e vorrei rammentare alcuni mobili tipici come quelli di Rietveld (la sua seggio: la del 1917) che,

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seppur ancor in parte di carattere artigianale, sono interessanti perch dimostrano il completo abbandono di quei compiacimenti decorativi che ancora erano presenti in molti oggetti, mobili, e suppellettili. Con l'abbandono, da parte di Gropius, di Mies, di Breuer, di Mendelsohn e di quasi tutti i migliori architetti e graci, della Germania all'avvento del nazismo, quel paese doveva cessare di costituire un centro di attiva ricerca e di altrettanto attiva produzione per l'arte moderna (dimostrazione ovvia se ce ne fosse bisogno - di quanto le tirannie politiche possano inuenzare il settore della cultura e dell'arte); ma, in un certo senso, l'avvento del nazismo fu salutare proprio per l'immenso contraccolpo che ne doveva risultare al continente transatlantico. Infatti gli Stati Uniti che, attorno agli anni trenta erano ancorati ad un'estetica del prodotto quanto mai edonistica e priva di purezza stilistica, dovevano ricevere un apporto formidabile dal trasferimento sul loro suolo di molti artisti europei fuggiaschi dal nazismo e dal fascismo. Fu cos che a Chicago si venne istituendo lInstitute of Design (guidato in un primo tempo da MoholyNagy e in seguito da Jay Doblin a partire dal 1955), che fu, soprattutto nei primi tempi, quasi una continuazione dei metodi bauhausiani. Anche in altri istituti gi esistenti come I'IIT di Chicago (dove per lunghi anni insegn Mies) e il mit di Cambridge (Mass.), l'universit di Harvard e quella di Yale, e alcuni istituti della California, si trasferirono parecchi dei pi giovani allievi del Bauhaus portando ovunque nuove idee e nuovi metodi didattici. Tra i pi impegnati ricorder qui Gyorgy Kepes (professore al MIT), Albers (a Yale), Mundt (in California), Breuer e Gropius (a Harvard), ecc. Con la ne della seconda guerra mondiale, possiamo in certo senso considerare chiusa l'epoca dominata dal Bauhaus. Vediamo ora quali si possano considerare le tappe essenziali del design in questo dopoguerra: se, come vedremo, lo styling americano - specie nel settore automobilistico - rappresent attorno agli ai' i cinquanta uno dei fenomeni pi vistosi, non dobbiamo sottovalutare

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l'inusso esercitato nel decennio 1950-60 dall'avvento del disegno italiano che apparve, sia in Europa che oltreoceano, come un elemento rivoluzionario per i suoi aspetti fantastici e anticonformisti, sin dall'introduzione nel primo dopoguerra dei primi motoscooter (Vespa e Lambretta). Un importante apporto alla diffusione del disegno italiano fu anche dovuto alle Triennali del '51 e '54 e all'illuminata attivit di alcune ditte come la Olivetti e la Necchi. Tuttavia con la Triennale del '60 il prestigio italiano cominci a declinare, minato dalle eccessive leziosit d'un revival di moduli neoliberty. Tra le iniziative culturali dell'ultimo decennio sono da annoverare le riunioni internazionali ad Aspen (Colorado), che costituirono importanti punti d'incontro tra designer di tutto il mondo e che furono seguiti dal convegno internazionale di Tokio (1961), di Venezia (1962), di Parigi (1963). di Vienna (1965), di Montreal (1967), di Londra (1969) e di Ibiza (1971). Una importanza notevole, poi (come vedremo parlando dell'insegnamento), ebbe l'istituzione della Scuola di Ulm, che introdusse per la prima volta sistematicamente nel settore del disegno industriale lo studio della semiotica, della teoria dell'informazione, dell'ergonomia e della cibernetica, e la cui collaborazione con una ditta illuminata come la Braun port alla creazione di oggetti assai rigorosi e selezionati.

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5. Carattere iterativo e concetto di standard A base d'ogni produzione industriale che possa rientrare nel settore che stiamo esaminando deve essere posto il suo carattere nettamente iterativo: ossia la sua produzione di serie. Ogni fase lavorativa del prodotto, perci, dovr essere organizzata e controllata in maniera tale da consentire una resa che sia sempre eguale e che non presenti la bench minima deviazione dalla serie. Mentre nei precedenti tipi di produzione, apparentemente di serie (come parecchie lavorazioni artigianali eseguite con mezzi parzialmente meccanizzati e dove ogni esemplare veniva ripetuto molte decine o centinaia di volte), il controllo della produzione era quanto mai relativo, appunto perch non interessava l'assoluta identit dei diversi oggetti, e perch essi non avevano bisogno di adeguarsi ad un prototipo costante; nel tipo di produzione industriale, il concetto di serie, riguarda, ancor pi che la quantit dei singoli elementi, il loro metodo produttivo. Potremo avere, pertanto una piccola e piccolissima serie (locomotori, bastimenti, sommergibili, macchine calcolatrici elettroniche giganti, elettroencefalogra, ed altri strumenti d'alta precisione e di scarsa diffusione) in cui gli esemplari prodotti potranno essere poche decine d'unit, o addirittura pochissime unit, pur permanendo identico il carattere di serialit che star alla base della loro produzione. Mentre d'altro lato avremo, il pi delle volte, degli oggetti di grandissima serie (stoviglie, elettrodomestici, vasellame, transistor, ecc.) dove la ripetizione del prodotto raggiunger le molte migliaia e centinaia di migliaia di capi, mantenendosi pur sempre costante la fedelt del singolo oggetto al suo prototipo grazie al sistema di lavorazione che non consente nessuna deviazione di sorta. Il concetto stesso di serie uno dei principi basilari di cui occorre tener conto. Serie, signica possibilit di riproduzione, di iterazione, d'un determinato modello

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(modello capostipite) che possiede - secondo la denizione di G. Ciribini - nella pi larga misura quell'insieme di caratteri ritenuti necessari al suo uso a ne di campionatura o esemplativi di processi operativi di serie e come impiego combinatorio o compositivo di elementi standardizzati (G. C, Architettura e Industria, Milano 1959). Il capostipite viene anche denito come modello normale, o standard, oppure tipo. L'atteggiamento del pubblico verso l'oggetto d'arte ha dovuto essere necessariamente mutato sostanzialmente per permettergli di accettare l'opera prodotta industrialmente, in serie, alla stessa stregua, o meglio con analogo rispetto, di quanto avveniva nel passato per l'opera d'arte o anche per la semplice opera artigianale; infatti, nel caso della produzione di serie, viene a cadere totalmente il valore implicito nel concetto di unicit che era sempre alla base d'ogni valutazione d'un oggetto artistico; come pure viene a cadere la presunzione d'una particolare abilit manuale da parte dell'artece, giacch ogni dettaglio esecutivo gi implicito nella progettazione da parte del designer, e non pu venire aggiunto successivamente dall'eventuale tocco dell'artece. Questo fattore, della presenza d'una produzione squisitamente seriale di esemplari tra di loro identici, praticamente ignoto a qualsivoglia epoca del passato. Ogni prodotto artigianale, come abbiamo gi detto, anche nelle sue esemplicazioni pi accurate e anche nei casi d'intervento parziale della macchina (tornio, trapano, ruota dei vasai), aveva sempre un limite di compiutezza, e un margine di azzardo. Lo stesso quesito dei limiti d'inesattezza ammissibile per l'oggetto di serie, del tutto diverso da quello relativo alla diversit degli oggetti artigianali, nei quali l'inesattezza costituisce spesso, anzich un difetto, un pregio estetico, mentre nell'oggetto industriale il limite di tolleranza strettissimo e ogni difetto costituisce un ostacolo alla produzione ed alla vendita. ovvio che il principio di produzione di serie, e l'assenza di imperfezione che ne consegue, oltre a costituire un dato

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tecnico assolutamente non trascurabile, costituisce altres un dato formale dei pi signicativi e rilevanti. Come abbiamo gi accennato proprio in ci che consiste la grande rivoluzione portata dal disegno industriale in questo campo delle arti visuali; e come avremo agio di ripetere meglio parlando degli oggetti di serie non funzionali (della cosddetta arte programmata), da qui che sorge quel principio che consente di concepire oggetti, industrialmente prodotti, senza ne utilitario e quindi concepiti esclusivamente per un ne artistico, ma che, del pari, debbono andar esenti da ogni imperfezione, da ogni compiacimento personalistico per quanto riguarda la loro lavorazione e la loro produzione. Il concetto di standard, dunque (o di normacampione), sorge con l'avvento della macchina quale strumento capace di moltiplicare all'innito un determinato modello; per cui l'oggetto industrialmente prodotto deve essere concepito come gi compiuto all'atto stesso della sua produzione, e non deve sottostare ad ulteriori manipolazioni che ne migliorino o ne modichino l'aspetto. Naturalmente esistono ancora in commercio alcuni oggetti ibridi che dai pi vengono compresi nella categoria del disegno industriale per quanto la loro produzione sia di tipo misto; tra questi ricordiamo molti tipi di mobili prodotti solo parzialmente secondo un rigoroso principio seriale e nei quali interviene la rinitura, la lucidatura e altri processi lavorativi eseguiti a mano. Tali mobili dovranno evidentemente essere inclusi solo con cautela nel nostro discorso, e del resto la loro esistenza gi sin d'ora precaria e sar probabilmente destinata a cessare con l'affermarsi d'una pi vasta produzione industriale. Un'altra categoria di prodotti che, secondo il nostro modo di vedere, esula dal settore del disegno industriale, quella dei tessuti stampati a macchina, cio di quei tessuti la cui decorazione avviene del tutto industrialmente e senza l'intervento dell'artista in una ulteriore fase della lavorazione. La ragione per cui consideriamo che tali prodotti siano da

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escludere semplice: si tratta in questo caso non gi di forme tridimensionali create industrialmente in base ad una previa progettazione della loro sagoma; ma si tratta semplicemente di motivi decorativi sovrimposti ad una supercie bidimensionale (alla stessa stregua di quanto avviene nelle carte stampate o in qualsivoglia riproduzione meccanica d'un motivo gurativo, d'un dipinto, d'un disegno, d'una fotoincisione), per cui il valore di tali prodotti non potr assolutamente essere considerato come rientrante nel campo del disegno industriale vero e proprio. Ho voluto tuttavia nominare tali prodotti, perch spesso li vediamo inclusi in trattazioni del genere della nostra e addirittura premiati in concorsi riservati al disegno industriale. Del tutto diverso il caso dell'imballaggio (packaging). Quest'ultimo settore - pur essendo un settore misto che ha attinenze con quello della graca e della pubblicit -rientra peraltro nel quadro del vero e proprio disegno industriale. Infatti l'imballaggio d'un prodotto pu spesso costituire un esempio dei pi interessanti per la ricerca d'una forma tridimensionale capace di contenere un determinato oggetto in maniera opportuna: funzionale ed estetica insieme, mentre portato spesso a risolvere un altro dei fattori decisivi della vendita: quello dell'auto-pubblicizzarsi del prodotto, in seguito al suo aspetto esterno.

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6. Distinzione tra artigianato e disegno industriale Una delle prime distinzioni su cui necessario insistere riguarda l'attuale situazione dell'artigianato e del disegno industriale. Se indubbio che si possa considerare il primo come il vero progenitore di molte opere attualmente di spettanza del secondo, ci non toglie che tra i due settori produttivi esista oggi una netta differenza, una opposizione addirittura, per cui bene dirimere ogni equivoco a questo proposito. Spettava un tempo all'artigianato tutta quanta la vastissima gamma di produzioni parzialmente eseguibili in serie e che si era soliti considerare come di valore estetico inferiore a quello delle arti pure. Si contrapponeva pertanto alla grande scultura e pittura l'opera pi modesta dell'artigiano come la ciotola, l'anfora, il vaso di ceramica, di vetro, la statuetta in legno di tipo folkloristico, il ricamo e il pizzo, il tappeto e in genere la stoffa tessuta e dipinta e ancora tutta la serie di cosddette arti applicate quali il mosaico, l'arte dell'alabastro, del cuoio intagliato, e via dicendo. In realt con l'avvento dell'era industriale, tali settori erano andati vieppi decadendo e questo poteva giusticare il fatto che si tendesse a considerare queste forme artistiche come minori rispetto a pittura, architettura, scultura. L'equivoco era dovuto soprattutto al fatto di non aver inteso come la minore efcacia di tali opere era dovuta non al loro essere applicate o decorative (entrambi concetti che devono essere oggi del tutto lasciati in disparte), ma dall'essere il pi delle volte cattive imitazioni del passato anzich nuove formulazioni consone allo spirito dell'epoca. La lotta di Ruskin e di Morris era appunto imperniata su tale fatto; e mirava cio a ridare all'attivit artigiana una sua autonomia estetica; ritenendo per che ci dovesse portare ad una scontta dell'arte industrializzata. La situazione oggi, invece, del tutto chiarita: le antiche forme di artigianato locale, spesso folkloristico, continuano a vegetare soltanto come

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echi di esperienze ormai desuete e destinate nel breve volgere d'anni a scomparire del tutto; mentre le forme di artigianato moderno, quelle che hanno fatto proprie le lezioni delle arti maggiori dei nostri tempi, si sono poco alla volta del tutto riscattate dalla imitazione degli antichi moduli derivati dal passato. Ed logico che sia cos quando si pensa che, in tutte le epoche e le civilt, i prodotti artigianali ebbero in ogni singolo periodo una loro ben precisa caratteristica formale ed estetica (basti confrontare oggi un'anfora minoica antica ad una dei successivi periodi micenei, o un'anfora olmeca con una azteca o maya). Ma, se abbiamo affermato la possibilit dell'esistenza d'un artigianato moderno che vive e si evolve secondo sue linee autonome ed originali, dobbiamo a questo punto precisare con ancora maggior recisione come sia necessario distinguere nettamente tra codesta produzione artigianale e quella che fa capo al disegno industriale. In cosa consister la differenza tra i due prodotti? Prima di tutto nello stesso principio informatore che alla loro base: l'opera artigianale, per la sua stessa natura, un'opera che deve risultare come fatta a mano; e questo anche nei casi in cui vi sia l'intervento parziale d'una Macchina. Come noto, sin dall'antichit alcune opere artigianali (ceramiche) venivano eseguite con l'aiuto d'un meccanismo (la ruota, il tornio dei vasai, il trapano dei marmisti), ma, anche in questi casi, era sempre il tocco dell'artista-artigiano a intervenire per portare a compimento l'opera. Come del resto accade anch'oggi per la ceramica, per il vetro, per il metallo sbalzato, o intagliato. In altre parole, l'opera artigianale, anche quando sia sottoposta ad una iterazione in molteplici esemplari, non raggiunge mai l'assoluta identit d'ogni sua copia. Un quid differenziale esiste sempre - e deve esistere a distinguere un oggetto dall'altro; ed proprio in questa, sia pur piccola, differenza, in questa minutissima imperfezione formale, che consiste il fascino e l'essenza stessa di questa forma artistica.

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Nel caso dell'oggetto industrialmente prodotto, per contro, tale evento non si verica mai, e non deve vericarsi; quand'anche avvenga che un determinato oggetto presenti delle imperfezioni per ragioni di caso che sfuggono alla volont del progettista, tali imperfezioni dovranno essere considerate come errori di fattura e non come compiacimenti d'una bella materia. E infatti, si pu a ragione affermare che l'oggetto industriale esiste gi al momento in cui stato progettato, in cui stato ultimato il disegno esecutivo che porter all'esecuzione del modello-prototipo da cui prender origine la serie perfettamente eguale ed identica di tutti i pezzi che seguiranno il primo. L'opera dell'artista, dunque, nel pezzo artigianale si esplica alla ne della lavorazione, nel pezzo industriale al principio. Per questa ragione l'artigianato destinato ai nostri giorni a diventare sempre pi un'opera d'eccezione, proprio per la necessit della presenza incessante dell'artista che ne rende impossibile la produzione di massa e che invece ne prevede solo una produzione d'elite. In questo modo l'artigianato sar ridotto tra breve a un genere di produzione del tutto analogo a quello di pittura e scultura, mirante alla creazione di oggetti unici e irrepetibili e che appunto perci saranno di per s particolarmente pregiati e altamente costosi. L'artigianato di serie, a poco prezzo, quello che ancora ai nostri giorni invade alcuni grandi mercati come quello di Salvador di Bahia in Brasile o di certe zone della Grecia, della Sardegna, del napoletano, del Giappone, dell'India, non potr sussistere quando la sua costosit sia divenuta equiparata al costo effettivo d'una mano d'opera specializzata, e dovr cedere il campo ad analoghi - meno caratteristici ma pi funzionali - prodotti industriali; potr continuare ad esistere solo per la produzione di singoli oggetti di lusso, di pregio, eseguiti da quei pochi artisti-artigiani che avranno la possibilit di creare della merce altamente specializzata e tale da essere commerciabile a un prezzo molto pi elevato della corrente produzione di serie.

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Il fatto non deve rattristare qualche nostalgico del passato: logico che ogni epoca abbia le sue particolari leggi di mercato e non possibile mantenere articialmente in vita quelle opere artistiche la cui ragion d'essere contrasti con quelle che sono le costanti socioeconomiche dell'epoca in questione.

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7. Architettura industrializzata e design Si discusso a lungo sulla possibilit di includere il vasto settore dell'architettura industrializzata entro i limiti del design, e si anche, da parte di alcuni autori (Argan), proposto di allargare il concetto di design no a farvi includere non solo la creazione di oggetti di serie, ma in genere di ogni elemento pianicato serialmente, estendendone quindi l'ambito sino a buona parte dell'architettura e addirittura dell'urbanistica. Ritengo che tale allargamento dell'area semantica del design non sia opportuna anche per non creare ulteriori equivoci; perci in questa trattazione mi limiter sempre ad esaminare soltanto quelle opere che possano essere incluse con propriet entro i limiti del disegno industriale. Sar bene tuttavia notare come in realt esistano molte e rilevanti analogie tra il tipo di progettazione dell'oggetto industriale e quello di alcuni elementi dell'architettura moderna (curtain walls, snodi e giunti, serramenti e altri inssi prefabbricati, ecc.); e addirittura di certi grandi impianti industriali dove compaiono elementi formali che stanno per l'appunto a cavallo tra design e architettura e che, a dire il vero, si possono senz'altro far rientrare nel nostro settore (cos dicasi di strutture come: turbine, altiforni, serbatoi, tanks, serpentine, distillatori, antenne d'alta tensione, ecc.). Simili strutture effettivamente fanno parte del design, ma, una volta inglobate entro un organismo architettonico, vengono a costituire esse stesse delle vere e proprie architetture. Nessuno potr negare che la vista d'una serie di immensi serbatoi alternati alle ben note serpentine di distillazione d'una grande rafneria moderna non costituiscano uno spettacolo architettonico anche se gli elementi singoli possono essere considerati opere di design. Lo stesso discorso potrebbe essere ripetuto per le strutture di facciate continue (curtain walls) montate sopra un moderno grattacielo e che - anche se come elementi singoli rispondono in pieno al tipo di progettazione e di esecuzione dell'oggetto

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industriale - sono tuttavia, una volta montati sull'edicio, parte integrante di esso. Potremo dunque, in denitiva, mantenere una netta distinzione tra i due settori considerando che il fatto architettonico dipenda oltre che dalla progettazione del singolo elemento costitutivo, anche dall'intervento dell'elemento topograco, planimetrico, ambientale: elementi che esulano totalmente da quello del design. E potremo anche accennare come, pur continuando a considerarli architetture, sia facile prevedere per un prossimo futuro un sempre maggior sviluppo di tali elementi prefabbricati non solo parziali (maniglie, inssi, serramenti), ma totali, di cui sono gi espliciti esempi le famose cupole geodesiche e le dymaxion houses di Buckminster Fuller, i numerosi elementi modulari di Konrad Wachsmann, e alcune interessanti costruzioni unifamiliari in materiali plastici come la House of the Future della Marzant Chemical Co., l'abitazione in resina di J. Schein in Francia, e alcune case progettate, tra altri, da J. Johansen negli Stati Uniti. Ho preferito mantener distinta, pi che altro per una ragione metodologica, l'architettura dal disegno industriale; non posso, tuttavia, far a meno di notare, qui, come molti dei problemi che abbiamo considerato a proposito del disegno valgano, e siano prossimi a valere, anche per . l'architettura. Non si dimentichi che ci troviamo oggi in una situazione ancora prevalentemente artigianale del fare architettonico, situazione che dal punto di vista economico presenta tutti gli inconvenienti gi lamentati a proposito dell'oggetto artigianale. perci probabile che in un prossimo futuro si giunga, non solo a concepire, ma a realizzare un'architettura (soprattutto un'architettura domestica e residenziale, ma anche un'architettura pubblica) completamente industrializzata, prefabbricata, e standardizzata; il che porter ad un immenso abbassamento dei costi e ad una concezione assai diversa del criterio di originalit in quest'arte. Da recenti ricerche compiute negli Stati Uniti risulta ad esempio che, ove un'automobile fosse realizzata ai nostri giorni con gli stessi sistemi artigianali con i quali si

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realizzano le nostre case, essa verrebbe a costare circa cinquanta volte di pi di quanto attualmente costa. Eppure nonostante, - anzi proprio in merito - alla completa standardizzazione della produzione automobilistica, noi possiamo constatare oggi una maggior variet di tipi, e dunque una maggior originalit creativa, nel caso di macchine automobili, rispetto a quanto accade nel caso delle normali case d'abitazione (non intendiamo, ovviamente, riferirci ad alcune pochissime costruzioni d'alto livello artistico ed economico destinate a una esigua schiera di committenti). Il che sta a dimostrare come la paura di molti circa un inaridimento delle qualit inventive come conseguenza dell'introduzione di sistemi meccanizzati di produzione sia del tutto errata. L'attuale situazione dell'edilizia nelle nostre periferie cittadine la miglior dimostrazione del fatto che spesso, proprio per la sopravvivenza di metodi costruttivi artigianali - i risultati sono pessimi; mentre non lo sono in molti dei prodotti, anche pi economici e standardizzati, realizzati industrialmente.

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8. Interferenze tra disegno industriale, pittura e scultura Una delle ipotesi estetiche pi comunemente accettate quella che postula una identit stilistica tra opere d'arte d'una determinata epoca; persino tra quelle di arti tra di loro assai distinte (musica, architettura, poesia), e, tanto pi per quelle appartenenti ad una stessa categoria sensoriale come le arti visuali. , forse soltanto ai nostri giorni, che si pu assistere ad una certa sfasatura a questo proposito, sfasatura indubbiamente derivata dall'avvento dei mezzi meccanici. Questi da un lato hanno stimolato ed esaltato il processo creativo, dall'altro l'hanno subordinato a nuove ragioni d'essere che spesso esulano da quelle che dovrebbero regolare il sorgere e il divenire dell'opera d'arte. Se osserviamo, infatti, i rapporti che si sono venuti istituendo tra disegno industriale, pittura e scultura, potremo facilmente renderci conto che tali rapporti hanno subito tre fasi distinte: una prima fase - quella, tanto per intenderci, corrispondente alla prima rivoluzione industriale (all'architettura ingegneresca dell'Ottocento) -, in cui le opere tecniche e meccaniche (ivi compresi i grandi ponti metallici, le prime macchine a vapore, le prime macchine tessili, e da scrivere) venivano considerate del tutto distinte dalle arti belle e, tutt'al pi si tentava talvolta di mascherare la macchina con l'aggiunta d'un fregio o d'un ornato o con l'inclusione di elementi decorativi (capitelli, colonnine) entro il corpo del meccanismo. A questa fase fece seguito quella dell'Art Nouveau che cerc di creare oggetti e architetture che, pur valendosi della lavorazione meccanica, avessero anche un quoziente artistico; e in quest'epoca si realizzarono alcune importanti opere che dovevano essere rivalutate soprattutto ai nostri giorni. A questa fase subentr quella bauhausiana e neoplasticista durante la quale venne prendendo forza la

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convinzione che l'oggetto industriale (e l'architettura creata coi nuovi materiali) dovessero essere del tutto sottomessi al binomio utilit-bellezza; e fu allora che si vericarono i noti casi di analogie stilistiche tra alcune pitture (Mondrian, Van Doesburgh, Malevic), alcune sculture (Arp, Pevsner, Gabo), e gli oggetti industrialmente prodotti (mobili di Rietveld, di Le Corbusier, di Mies, di Breuer). Fu certo, quest'ultimo, un periodo glorioso e pieno di interesse polemico e ideologico; ma oggi, a distanza di un quarantennio, possiamo constatare che in questa voluta sottomissione d'un settore artistico all'imperativo della funzionalit doveva esservi alcunch di forzato. In effetti, nel dopoguerra, si potuto assistere ad un progressivo ribellarsi di pittura e scultura alle frigide regole del costruttivismo e del concretismo e si sono viste sorgere nuove forme pittoriche e plastiche assai pi libere, sfociate addirittura nei modi estroversi e irrazionali della pittura informale, del tachisme, dell'action painting americano, e di altre correnti neodadaiste e pop. ovvio che tra queste ultime forme di arte visuale e l'oggetto industriale non poteva sussistere che una ben scarsa afnit. Invano si tent da parte di alcuni autori di individuare in certa architettura brutalista o in certa ripresa ornamentale dell'oggetto industriale, un'analogia con l'Informale pittorico; la realt ben diversa: abbiamo oggi un genere di pittura e di scultura che proprio in opposizione al razionalismo architettonico e al rigorismo scientico della produzione industriale vuol mantenere intatti i suoi privilegi di assoluta libert creativa e di assoluta indipendenza da ogni costruzione razionale. D'altro lato abbiamo la vasta gamma dei prodotti industriali che non possono comunque sottrarsi alle esigenze della praticit, della funzionalit e delle leggi del mercato e che debbono quindi sottostare ad alcune norme costitutive e costruttive che ne regolino anche l' aspetto esterno. Il che non toglie che un'osmosi tra le diverse forme creative sussista; ne sono un esempio, dal lato delle arti pure, la frequente inclusione in esse di elementi presi a prestito al

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mondo dell'industria e del disegno industriale (come si pu constatare in parecchi artisti pop come Rauschenberg, Jasper Johns, Jim Dine, Arman, Raisse, Baj, Oldenburg, ecc.), e d'altro canto il progressivo svilupparsi ed affermarsi in diversi paesi d'un genere di produzione industriale (o quanto meno eseguita con sistemi industriali e di serie) dedicata alla creazione di oggetti non utilitari ossia di oggetti che hanno l'unico ne di essere piacevoli, di soddisfare l'esigenza estetica del pubblico. Alcune di tali opere, come quelle create dal gruppo francese delle Recherches visuelles (Morellet, Le Pare, Sobrino, Yvaral), o da quelli italiani del Gruppo T (Boriani, Colombo, Devecchi), da Mari e Munari, o da altri artisti come i tedeschi Rot, Pohl, Mack, Piene, e altri ancora, stanno a dimostrare la possibilit di concepire anche il disegno industriale in funzione d'una creazione di opere artistiche non utilitarie e con ogni probabilit troveranno in futuro ampie applicazioni nel settore della pubblicit, dell'arredamento, della segnaletica e in genere in tutto quanto il lay out della moderna civilt meccanizzata. D'altro canto il recente orire di forme d'arte denite come concettuali o povere e di alcune sottospeci delle stesse come la land art e la earth art, dimostra, una volta di pi, come esista tuttora un forte impulso a ribellarsi ai dettami della macchina e dell'industria. Non c' dubbio che molte di queste forme artistiche basate pi sull'enunciazione d'un concetto, d'una metafora visiva, che sulla realizzazione di veri e propri oggetti; al pari di quelle forme che segnano un ritorno alla natura, un recupero di azioni e situazioni naturali, stanno a indicare in certo qual modo, un riuto del mondoSi veda il catalogo della mostra Groupe de recherche d'art visuel, Parigi 1962 e quello di Arte cinetica, arte programmata, Milano 1962, dove si trovano riprodotte parecchie opere di Munari, Mari, del Gruppo T (Anceschi, Boriani, Colombo, Devecchi), del Gruppo N (Padova) di Grazia Varisco, dei francesi Le Pare, Morellet, Yvaral, di Alviani, ecc., molte delle quali sono progettate in maniera da esser eseguibili mediante procedimenti di serie industriali.

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meccanizzato e standardizzato della civilt tecnologica di cui, indubbiamente, l'oggetto creato dal design uno dei principali esponenti.

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9. La graca fa parte del design? Un altro quesito che stato causa di frequenti dispute, quello che riguarda l'inclusione della graca (del graphic design) nell'ambito del disegno industriale; tanto pi quando si tenga conto che in alcune associazioni di disegno industriale (come, ad esempio nell'Adi, italiana) i graci costituiscono una percentuale rilevante. In effetti, la distinzione tra product design e graphic design basata solo sul fatto che il primo sia prevalentemente tridimensionale e il secondo bidimensionale, troppo semplicistica. Quello che costituisce la stigmata pi rilevante del design in genere, il fatto di essere una progettazione globale rivolta ad un determinato prodotto, oggetto, operazione, e non soltanto un singolo disegno privo di quelle caratteristiche programmatrici e di strutturazione globale e unitaria proprie del design. Ecco, perch, ritengo che, mentre non si dovr includere nel disegno industriale, il disegno (lo schizzo) d'una stoffa stampata, d'una tappezzeria, e in genere d'un motivo ornamentale (ossia sovrapposto ad un oggetto), si potr includere invece ogni progetto destinato ad una complessa operazione graca, come quello della creazione d'un marchio di fabbrica, d'un logotipo, d'un'immagine coordinata riferita ad una ditta, ad un'impresa; e in genere ogni forma di progettazione che potr essere bidimensionale o tridimensionale (nel caso dell'imballaggio) anche se questa progettazione sar essenzialmente di carattere graco piuttosto che di carattere oggettuale.

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10. Teoria dell'informazione, complessit funzionale e strutturale, e consumo del disegno industriale Il recente sviluppo che hanno preso alcune estetiche basate sulla teoria dell'informazione e legate quindi ad alcune norme prese a prestito alla cibernetica, ci permette di considerare il problema del disegno industriale anche sotto questo punto di vista. Infatti, proprio per la sua natura, che lo porta ad una fruizione immediata e strettamente legata con l'uso e quindi sottoposta ad un precoce consumo, l'oggetto industriale si presta, meglio d'ogni altro, ad essere studiato secondo le regole di quest'ultima teoria. L'oggetto industriale sar quindi considerato alla stregua d'ogni altro messaggio che sia in grado di fornire un determinato quoziente informativo. Poich la teoria dell'informazione si basa essenzialmente sulla ricerca della quantit d'informazione presentata da un dato messaggio, sar facile convincersi che l'informazione stessa sar tanto maggiore quanto maggiore sar l'imprevedibilit del contenuto di tale messaggio. E questo secondo le note ricerche cibernetiche di Wiener, Shannon, Weaver, e secondo le successive applicazioni di queste all'estetica tentate da A. Moles, da Max Bense e da altri studiosi. Non possiamo in questa sede addentrarci nella precisazione matematica di codesta teoria; ci basta soltanto ricordare, a coloro che non ne fossero al corrente, come la quantit di informazione offerta da un messaggio (e quindi anche quella offerta da un'opera d'arte o da qualsivoglia altro elemento comunicativo) segue delle leggi analoghe a quelle che regolano il principio termodinamico dell'entropia, grandezza A proposito dell'applicazione all'estetica della teoria dell'informazione e della cibernetica si vedano: A. moles, Thorie de l'information et perception esthtique, Flammarion, Parigi 1958, e il mio Simbolo comunicazione consumo, Einaudi, Torino 1962, dove sono riportate altres le ricerche di Max Bense, di Leonhard Mayer e di altri su questo argomento.

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interpretata gi nel 1894 da Boltz-mann come rispondente ad una distribuzione di probabilit. Poich l'informazione fornita da un dato messaggio, da una data comunicazione, dipende dalla sua originalit , potremo facilmente comprendere come il grado d'informazione dello stesso possa equivalere al suo grado di inaspettatezza e di imprevedibilit e di improbabilit, il che porta a identicare l'informazione con l'opposto dell'entropia. Se ora applichiamo tali principi al caso del disegno industriale ci sar facile arguirne come l'inaspettatezza del messaggio (offerto dall'oggetto industriale di nuovo conio), la sua novit dunque, sia fondamentale per ottenere un alto grado di informazione, per presentare cio al consumatore un alto grado di sollecitazione all'acquisto. Tanto pi nuovo, pi insolito, pi inedito sar l'oggetto posto sul mercato, tanto pi facile, pi intensa ne sar la richiesta; non solo, ma non appena la forma abbia perso la sua novit - dunque l'inaspettatezza del messaggio , non appena si sia consumata la sua qualit comunicativa, verr a scadere il suo valore non solo estetico -, ma soprattutto informativo. Giacch non dobbiamo identicare tout court quoziente estetico e quoziente informativo, come taluni autori hanno tentato di fare. Sar anzi interessante notare, come, proprio per il fatto che l'oggetto industriale creato appositamente per una fruizione (pratica ed estetica) che sia immediata e strettamente legata all'uso, esso venga a consumarsi pi rapidamente di quanto accade per le opere d'arte (pittura, scultura, architettura), la cui validit pu persistere anche una volta andato smarrito il loro valore informativo. In queste ultime, infatti, l'usura e l'invecchiamento sono meno sensibili, non solo, ma non basta l'inaspettatezza e la novit a crearne la validit. Sempre legato ai canoni della teoria dell'informazione, da considerare anche il problema della complessit dell'oggetto industriale e del suo messaggio; secondo Moles, ad esempio (A. Moles, Thorie de la complexit et civilisation industrielle, in Communications,n. 13,1969) occorre distinguere

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tra complessit funzionale e complessit strutturale d'un oggetto. La prima legata alle diverse funzioni che sono deputate alla realizzazione d'un certo numero di prodotti o di usi; la seconda legata alla variet del repertorio d'elementi costitutivi dell'oggetto. La informazione fornita dall'oggetto (o dal meccanismo) in questo caso, corrisponder alla complessit strutturale dello stesso. Tuttavia alcuni oggetti (o organismi tecnologici) hanno una complessit strutturale elevatissima di contro ad una complessit funzionale scarsa (un'automobile ha una quarantina di funzioni, e circa quindicimila organi di svariati tipi). Sar possibile quindi porre una distinzione dei diversi oggetti industrialmente prodotti anche in base al rapporto tra la complessit funzionale e strutturale degli stessi.

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11. Valori simbolici e semiotici dell'oggetto industriale stato spesso affermato - specie dalle pi recenti correnti estetiche (Langer, Morris, Cassirer) - che l'opera d'arte deve essere considerata come simbolica di qualcosa. Non intendo certamente, in questa sede, addentrarmi e soffermarmi sopra tale quesito. Vorrei invece - da un punto di vista molto pi pratico che teoretico - considerare l'importanza dell'elemento simbolico che posto alla base di buona parte degli oggetti industrialmente prodotti. Si tratta di un genere di simbolismo che potremmo denire funzionale; che s'identica dunque con la stessa funzionalit dell'oggetto. E non si dimentichi a questo proposito come nel caso del disegno industriale si abbia sempre a che fare con un elemento che, solo parzialmente, rientra nel dominio dell'arte; si ha dunque sempre a che fare con una categoria di prodotti la cui prima ragion d'essere quella di funzionare e di richiamare l'attenzione del consumatore attraverso loro speciche qualit formali. Ecco, dunque, come discorrendo del peculiare simbolismo dell'oggetto industriale intendo riferirmi a quella propriet per cui l'oggetto portato, anzi destinato sin dalla sua progettazione, a signicare la sua funzione in maniera del tutto evidente attraverso la semantizzazione d'un elemento plastico capace di sottolineare quel genere di guralit che di volta in volta vale ad indicarci la caratteristica funzione dell'oggetto. Quasi tutti gli oggetti industriali - dal telefono al curtain wall, dalla penna a sfera al jet - racchiudono in s alcune qualit formali che ne simboleggiano la funzione o, se vogliamo meglio, degli elementi semantici atti a renderle pi facilmente identicabili. Accade il pi delle volte che la funzione debba essere sottolineata ed esaltata in modo da dare al fruitore l'immediata sensazione dello scopo per cui l'oggetto stato creato. Ma pu anche accadere che la funzione sia da un lato esaltata ed accentuata (aereodinamicit d'una macchina da corsa), mentre ne viene

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celata e mascherata la parte pi propriamente meccanica (come avviene in quasi tutti gli oggetti a carrozzeria). La ragione di questa mascheratura dovuta al fatto che la vista dei meccanismi (a prescindere da quelle che possono essere delle ragioni di praticit, di igiene, o di riparo dagli agenti atmosferici) potrebbe alle volte risultare controproducente, proprio agli effetti simbolico-psicologici di cui abbiamo test discorso. Un piccolo motore come quello posteriore della Fiat 500 certo ancor meno simbolico di velocit e potenza di quanto non sia la carrozzeria che lo contiene. Lo stesso dicasi per la parte meccanica d'una macchina da cucire (per esempio la Singer, o la Necchi Supernova, o la Mirella). Naturalmente questo particolare simbolismo iconico dell'oggetto sottoposto a numerose alterazioni e modicazioni. Valgano alcuni facili esempi. Si consideri il caso del mobile-radio agli albori del suo diffondersi, quando ancora l'elemento musicale rivestiva, nelle abitazioni borghesi, l'aspetto del pianoforte verticale o a coda: mobili ingombranti, spesso polverosamente adorni di intagli e ornati, e sempre tali da denunciare, gi con la loro mole e il loro aspetto esterno, una indiscutibile magniloquenza. Parve indispensabile, appunto perci, in quella prima fase dell'adozione dell'apparecchio radio a scopo domestico, rivestire anche quest'ultimo d'una facciata pomposa e adorna, spesso corredata dalla presenza di colonne, alternate con piastre di cristallo o da un bordo dentellato e a merlature, alle volte addirittura improntato ad un caratteristico revival goticizzante. Era evidente, dunque, la volont di imporre, attraverso questa esaltazione del carattere aulico e in stile, l'importanza d'un oggetto che doveva avere le caratteristiche di mobile da salotto buono e di strumento moderno (i pulsanti, il quadrante luminoso, l'occhio magico, ecc.). L'uso di questo stile doveva prolungarsi circa no allo scoppio dell'ultima guerra ed interessante notare, proprio attorno al 1944, l'avvento in Italia d'uno dei primi esemplari di radio moderna: l'apparecchio Phonola dei fratelli Castiglioni che

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presenta per la prima volta caratteristiche del tutto diverse: abbandono d'ogni ricordo stilistico rinascimentale o goticizzante, ma in compenso l'adozione d'una sagoma nuova e pi idonea ai tempi: quella dell'apparecchio telefonico; per cui assistiamo ad un nuovo tipo di simbolizzazione: la radio cammuffata da telefono; un genere di simbolizzazione che doveva essere fatto allora per appagare il gusto del pubblico gi assai dimestico col normale telefono; il quale, d'altronde, non era divenuto ancora d'uso cos ubiquitario da essere scaduto al rango d'un oggetto privo di ogni fascino. Per rimaner ancora all'esempio del mobile radio potremo nalmente osservare come pi recentemente con il diffondersi di tali oggetti e col loro diventare di dominio pubblico essi ebbero a subire un'ulteriore riduzione simbolica e tecnica insieme scemando di grandezza e di vistosit no a veder capovolta la situazione con l'avvento della miniaturizzazione (fenomeno sul quale ritorneremo), che ridette a tali apparecchiature un nuovo fascino, non pi con l'esaltarne la forma e la mole, ma anzi col rendere quest'ultima sempre pi esigua e, d'altro lato coll'ottenere la facilissima trasportabilit, no a trasformare l'apparecchio in oggetto d'uso personale alla stessa stregua dell'orologio o della penna stilograca. Non mi possibile soffermarmi sui diversi aspetti simbolici dei pi importanti oggetti; sar facile al lettore identicarli di volta in volta (potr rammentare tutt'al pi l'importanza della simbolizzazione dovuta al colore: bianco: usato per frigoriferi e cucine, rosso: per macchine da corsa, e via dicendo), ma vorrei ancora ricordare come sia proprio all'elemento simbolico che il pi delle volte va riferita la ragione prima del mutare cos frequente delle forme, non gi in merito a motivi di funzionalit, bens in merito a motivi per l'appunto, simbolici ed espressivi. Questi e simili quesiti, del resto, rientrano in un pi ampio discorso legato all'impostazione semiologica della critica architettonica che pu agevolmente essere esteso anche al design.

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Come noto nell'ultimo decennio si sono moltiplicati gli studi impostati sopra principi cari alla linguistica e allo strutturalismo e basati sulle ricerche degli strutturalisti sovietici e slavi (Jakobson, Trubeckoj), dei linguisti americani (Sapir, Bloomeld) del danese Hjelmslev, e soprattutto dello svizzero Ferdinand de Saussure. In architettura si cercato di identicare delle unit morfologiche e semantiche che permettessero d'applicare a quest'arte gli schemi gi usati per il linguaggio verbale. Anche nel caso del design, possiamo senz'altro ammettere che ogni singolo oggetto possa essere identicato con un morfema (o monema secondo la dizione di Martinet) ossia con una unit formale distinta e capace di fornire un suo particolare messaggio. E possiamo anche ammettere che a seconda della complessit strutturale d'un oggetto lo si possa a sua volta considerare alla stregua d'un sintagma (sempre linguisticamente parlando) ossia d'un insieme di pi parole. Se poi volessimo approfondire ancora di pi questa analogia tra linguaggio verbale e linguaggio disegnativo, potremmo asserire che la complessit funzionale sta alla complessit strutturale d'un oggetto (o d'un meccanismo) come la prima articolazione monematica sta alla seconda articolazione fonematica (secondo i noti schemi di Martinet (A. Martinet, Trait de linguistique gnrale, PUF, 1960). Mi sembra, tuttavia, che questo genere di impostazione rischierebbe di apparire troppo astratto ai lettori e senza una vera e propria utilit ai ni della nostra ricerca. Mi limiter perci ad osservare come l'aspetto semiologico del design sia un dato fondamentale dello stesso nel senso che necessario - come ho gi ripetuto pi sopra - che il singolo oggetto, o l'insieme di pi oggetti tra di loro complementari (cucina, frigorifero, forno; mobili d'ufcio, telefoni, dittafoni, mobili-bar, giradischi, televisore; automobile, cruscotto, abitacolo, organi di guida, ecc.) abbiano una chiara rispondenza al signicato che intendono esprimere. Per cui potremo, in denitiva, sostenere che il concetto di funzionalit, - a suo tempo considerato determinante per

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l'oggetto industrialmente prodotto - pu essere sostituito da quello di semanticit: ossia che un oggetto, per essere funzionale nel vero senso della parola, dovr rispondere oltre che a delle esigenze pratiche, utilitarie, di adeguatezza ai caratteri del materiale usato e ai costi, ecc. anche a delle esigenze semiotiche, di corrispondenza tra la forma dell'oggetto e il suo signicato. Ed a questo punto che credo si possa utilmente introdurre una breve nota su quei casi in cui la semanticit dell'oggetto viene caricata di valori eccessivi e che corrisponde al cosddetto fenomeno dello styling o cosmesi dell'oggetto.

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12. Aspetti positivi e negativi dello styling La parola styling, che ormai entrata nell'uso corrente anche fuori dal suo paese d'origine, gli Stati Uniti d'America, conserva tutt'ora una connotazione peggiorativa che difcilmente le potr essere tolta. Questo termine s'impose nel linguaggio parlato soprattutto dopo la grande crisi economica del 1929 quando gli Stati Uniti si videro obbligati a ricorrere, per necessit di cose, a tutti i sistemi pi efcaci per attirare l'attenzione degli acquirenti sui prodotti d'un mercato in crisi. Furono infatti gli anni dal '30 al '35 che videro sorgere in America delle potenti organizzazioni di studi professionali (come quelli di Walter Dorwin Teague, di Raymond Loewy, di Henry Drey-fuss), il cui compito precipuo era quello di studiare la miglior maniera per rendere appetibili i prodotti ormai consumati dall'uso. E infatti il vero signicato della parola pu essere considerato quello di una appropriata e cauta cosmesi del prodotto, tale da dare nuovo fascino e nuova eleganza all'oggetto a prescindere da ogni vera e propria ragione tecnica e funzionale. facile comprendere come un cosffatto indirizzo - specie nei casi decisamente esagerati cui si giunse nell'America tra le due guerre - era fatto per trovare immediatamente degli strenui avversari, soprattutto da parte di quella tendenza prevalentemente puritana e funzionalista che faceva capo al Bauhaus di Gropius. Per molti anni cos lo styling venne deprecato da buona parte dei designers europei e da molti critici e studiosi dei problemi del disegno. Eppure proprio allo styling che si possono attribuire delle importanti trasformazioni nello stile di molti oggetti d'uso che oggi a distanza di anni sarebbe inconcepibile immaginare quali erano in precedenza: si pensi al passaggio dallo stile lineare e rettangolistico del primo razionalismo (a quello, per intenderci, che vide le famose poltrone di Rietveld, di Breuer e di Gropius e le prime applicazioni del tubo metallico) a quello aerodinamico e sinuoso del periodo dal 1930 al '40.

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Una precisa e quasi inarrestabile evoluzione del gusto era stata resa possibile solo per l'intervento d'una serie di stilisti che avevano applicato le loro ricette formali senza preoccuparsi pi che tanto delle ragioni tecniche ad esse sottese. Qualcosa d'analogo del resto si vericato anche di recente (attorno agli anni sessanta) con l'abbandono di tali forme sinuose e areodinamiche e con l'adozione di nuove sagome spigolate e carenate. Si osservino ad esempio alcuni modelli di carrozzerie (come la Renault R8, la Giulia Ti, la Fulvia, la Simca 1000), e numerosi elettrodomestici, mobili in acciaio, e via dicendo, tutti rispecchianti questa tendenza verso una sagoma non pi aerodinamica ma rettangolistica, che per ha perduto la durezza e la rigidit di quella razionalista, per assumere una nuova duttilit accentuata da motivi decisamente ornamentali (la presenza di carenature, di lettature, ecc.), inimmaginabile ancora una decina d'anni prima. Potremo notare a questo proposito come assai spesso tali trasformazioni stilistiche vadano di pari passo con analoghe trasformazioni simboliche; ossia di quegli elementi simbolici che sono determinanti per sottolineare la funzione d'un dato prodotto. spesso a seconda del valore di tale funzione simbolica che muta anche la linea costruttiva, per cui nel periodo in cui ebbe a predominare la aerodinamicit, si assistette al dilagare di questa persino sugli oggetti che non avevano nessuna ragione per essere considerati dinamici , come del resto si pu scorgere l'affermarsi di sagome rettilinee e del tutto prive di sapore dinamico in oggetti destinati al rapido movimento (la Simca 1000, la Fiat 1300, ecc.). Secondo alcuni autori (Reyener Banham, Machine Aesthetics, The Arch. Rev., n. 171, 1955) lo styling si potrebbe addirittura considerare come una forma di arte popolare, una sorta, cio, di sottocategoria artistica il cui valore estetico soltanto aleatorio ma la cui importanza nel rispondere alle esigenze delle masse di primaria necessit. Non c' dubbio che nell'affermazione del critico inglese ci sia parecchio di vero; non c' dubbio, cio, che il disegno industriale,

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specie nelle produzioni destinate al consumo delle grandi masse e ad una spiccata ostentazione simbolica, abbia un indiscusso fascino mitagogico , non diverso da quello che offrono alle masse i miti del divismo, dello sport e della fantascienza. Non bisogna per neppure escludere che - anche all'insaputa dello stesso designer possano essere contrabbandate, attraverso lo styling di alcuni prodotti apparentemente solo edonistico e autopubblicitario, alcune qualit formative destinate ad assumere ulteriori sviluppi anche in opere d'arte autentica. Ecco perch il nostro verdetto circa lo styling non altrettanto pessimistico di quello di molti studiosi europei (specie inglesi come Paul Reilly o Misha Black) che sono del tutto ostili ad un simile atteggiamento del disegno industriale. Si del resto potuto constatare che il tipo di styling all'americana doveva tosto far breccia anche in Europa appena la situazione economico-sociale ne ebbe a richiedere l'applicazione. Gli esempi di questo aspetto dello styling europeo non mancano. E ci basti qui di accennare al noto caso della macchina Lexicon Olivetti, ridisegnata da Nizzoli, e prodotta sotto il nuovo modello della Diaspron, che, pur peggiorando rispetto alla prima la linea costruttiva (senza nessuna ragione tecnica), ne rendeva pi appetibile l'acquisto dato il rinnovamento esterno del prodotto. E potremmo accennare all'altro interessante caso della calcolatrice Underwood - pure prodotta dalla Olivetti secondo il brevetto americano - che presentava un meccanismo identico a quello della calcolatrice prodotta in Italia, per provvisto della carrozzeria americana che, agli occhi di talune categorie condizionate alla marca straniera, poteva sembrare pi appetibile. Vorrei, in denitiva, concludere affermando che il caso dello styling ci deve ammaestrare sopra la particolare natura equivoca del disegno industriale, la cui caratteristica appunto quella di essere un anello di congiunzione tra il dominio dell'estetica e quello della produzione; tanto che non possibile prescindere mai da un elemento pubblicitario e di allettamento commerciale anche l dove pu sembrare pi rigorosamente rispettato l'unico imperativo della funzione e della buona forma.

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E, per l'appunto questa equivocit formale del design ad essere divenuta negli ultimi tempi uno dei motivi di maggior contestazione da parte di quei designers che sono pi sensibili ai problemi sociopolitici della loro professione. Il problema, purtroppo, di difcile soluzione. Si potuto constatare come anche nei paesi non capitalisti, a struttura nettamente statalizzata, intervenuto a un certo punto un fattore di stilizzazione del tutto superua a ni tecnici, e solo rivolta a ni edonistici e pubblicitari.

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13. Interferenze tra styling, moda, e ordinamento sociale C' tuttavia chi nega che lo styling sia un fattore ubiquitario del disegno industriale, e lo considera come esclusivamente legato ai paesi capitalistici (come gli Stati Uniti) dove pi alta e intensa la lotta competitiva tra le grandi societ monopolistiche che, appunto per assicurarsi il successo presso il grosso pubblico, sono costrette a sfornare sempre nuovi e diversi prodotti. Secondo tale opinione non si potrebbe in realt discorrere di vero e proprio styling a proposito di nazioni - come l'Urss - dove venga a mancare la concorrenza tipica delle nazioni capitalistiche. Tale affermazione risponde solo in parte al vero: vero bens, che proprio l dove maggiore la lotta per il dominio d'un mercato e dove maggiore la concorrenza tra industrie private o grandi holdings monopolistici, occorre che il prodotto risulti appetibile; eppure, a ben considerare le cose, non appena una nazione (anche se comunista e priva di vere e proprie iniziative private) abbia raggiunto un determinato livello economico, una determinata capacit di acquisto da parte dei consumatori, il problema dello styling destinato a riproporsi, proprio perch la nazione sar costretta a ricorrervi per ragioni del tutto analoghe a quelle in vigore nei paesi capitalistici; e cio perch sarebbe difcile poter sollecitare l'acquisto di nuova merce e di modelli nuovi, se non ci fosse un elemento estetico (di novit e piacevolezza) a potenziarlo. Quella competizione che viene a mancare tra i produttori, non viene infatti a mancare tra i singoli consumatori. Quel desiderio di differenziazione, tipico d'ogni individuo umano, dallo stadio di selvaggio piumato a quello di nobile azzimato, a quello di borghese meccanizzato, non verr comunque mai meno; il fatto di ricorrere a oggetti diversi non ancora posseduti da tutti o che comunque presentino delle particolarit tali da conferire al loro proprietario quella invidiabile preminenza che solo l'insolito, il nuovo, l'inedito sono in grado di conferire,

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difcilmente sar estirpata da un'umanit, anche socialmente evoluta e non pi classisticamente retriva. E, del resto, una delle riprove di questo bisogno di differenziazione e di individualizzazione rilevabile anche in un confronto con altri mass media dove risulta evidente la duplice caratteristica della standardizzazione dei mezzi unita all'individualizzazione degli stessi, per cui si viene determinando da parte del pubblico l'incessante richiesta d'un prodotto individualizzato, oltre che nuovo. Il fatto che alcuni trust monopolistici siano indotti a lanciare sul mercato numerosi prodotti identici, o quasi, e diversi soltanto per l'aspetto esterno, l'imballaggio e il nome, e lutti egualmente pubblicizzati, dimostra che anche per il prodotto di consumo pi elementare (detersivi, dentifrici, cosmetici) una certa differenziazione viene costantemente richiesta. Ho cercato sin qui di denire il concetto di styling e di rilevarne i lati positivi e negativi; occorre per considerare questo aspetto entro il pi vasto quadro che regola il fenomeno della moda. ancora sotto discussione sino a qual punto la moda si possa o si debba identicare con lo stile d'un'epoca; crediamo che ormai sia generalmente accettata l'idea di considerare la moda come un epifenomeno rispetto allo stile; ossia come la presenza, in un determinato periodo storico, di alcune forme espressive, non legate strettamente a necessit di carattere etico e sociale, ma soltanto ad un efmero bisogno di mutamento per lo pi di carattere edonistico. Non si pu, d'altro canto, escludere che, proprio attraverso il continuo alternarsi delle mode, venga nalmente ad esplodere la nascita d'un vero e proprio stile. Per quanto riguarda il disegno industriale, non c' dubbio che l'oggetto d'uso sia soggetto come nessun altro a rapidit di consumo e di obsolescenza e perci stesso ad una costante instabilit formale; sar pertanto tale instabilit formale a portare con s delle trasformazioni nelle forme degli oggetti che potranno essere considerate del tutto gratuite e potranno quindi essere ascritte con certezza a un fenomeno di moda. Sullo specico concetto di moda e sul

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suo intervento nel disegno industriale stata persino impostata una giornata dell'estetica industriale cui presero parte anni fa parecchi rappresentanti del disegno industriale di diversi paesi europei. Tra le altre proposte avanzate a tale convegno una delle pi suggestive fu quella dell'olandese L. C. Kalff che propose una divisione dei prodotti a seconda del prevalere in essi d'una forma funzionale, derivata dalla natura tecnologica del prodotto, o d'una forma decorativa derivata dalla natura affettiva dello stesso. Partendo da questa premessa l'autore distinse gli oggetti che sono posti in commercio da quelli che non appaiono in commercio perch di un genere d'uso non destinato al singolo individuo (come: antenne d'alta tensione, lampade stradali, treni, aerei, ecc.). Questa categoria d'oggetti superindividuali sottost ad una ragion d'essere prevalentemente funzionale, che si estende, del resto, anche ad altri oggetti destinati al pubblico ma senza particolari implicazioni affettive (come mazze