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Massimo Botti Elena Dacrema Educazione Strategica Rimedi strategici ad uso di genitori ed insegnanti alle prese con ragazzi difficili Prefazione di Giorgio Nardone

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Massimo Botti Elena Dacrema

Educazione Strategica Rimedi strategici ad uso di genitori ed

insegnanti alle prese con ragazzi difficili

Prefazione di Giorgio Nardone

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Indice pag. 2 Prefazione » 6 Avvertenza » 8 Introduzione » 10 Voglio, ma non posso: “Il ticcoso” » 16 Cap. 1 - Autoinganni e realtà 1.1 La costruzione della realtà » 22 1.2 Logica strategica » 25 1.3 Il concetto di Tentata Soluzione (T.S.) » 27 1.4 Cambiare per conoscere » 30 1.5 La costruzione degli interventi » 32 1.6 Terapia Strategica e intervento indiretto

con genitori e insegnanti » 37 Cap. 2 - Ambiti di applicazione del Manuale 2.1 3 - 5 anni: l’ingresso nel mondo » 40 2.2 6 - 10 anni: l’età scolare » 41 2.3 11 - 14 anni: il pensare che gli altri pensino » 43 2.4 Tipologie di problemi » 45 2.5 Problemi nella fascia d’età 3 - 5 anni » 46 2.6 Problemi nella fascia d’età 6 - 10 anni » 46 2.7 Problemi nella fascia d’età 11 - 14 anni » 51 Cap. 3 - Le Tentate Soluzioni 3.1 Comuni Tentate Soluzioni » 53 3.2 Le T. S. specifiche per Disturbo d’Ansia

di Separazione e dormire nel lettone » 57 3.3 Le T. S. specifiche per Mutismo Selettivo » 59 3.4 Le T. S. specifiche per Disturbi da

Deficit di Attenzione/Iperattività » 60 3.5 Le T. S. specifiche per Disturbo Oppositivo

Provocatorio e classe indisciplinata » 63

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3.6 Le T. S. specifiche per Disturbo della Condotta pag. 65 3.7 Le T. S. specifiche per Tricotillomania,

Disturbi da Tic, Disturbo Ossessivo-Compulsivo » 66

3.8 Le T. S. specifiche per Fobia Specifica, Fobia Sociale (Fobia scolare, lamentele su insegnanti e compiti, scarso rendimento scolastico e pignoleria) » 68

Cap. 4 - Manovre Terapeutico/educative Introduzione » 72

4.1 Come peggiorare » 73 4.2 La ristrutturazione » 74 4.2.1 La ristrutturazione con connotazione positiva » 75 4.3 Uso di paradossi, aneddoti, metafore » 75 4.4 Le prescrizioni di comportamento » 76 4.5 Dichiarazione d’impotenza e premio

disorientante » 77 4.6 Frustrazione del sintomo e “irragionevolezza” » 78 Cap. 5 - L’applicazione dell’intervento strategico 5.1 Sblocco nella fascia d’età 3 - 5 anni » 80 5.2 Esempi di casi A scuola mi denigrano! … » 83

Un caso di Mutismo funzionale » 88 Mio figlio ha dei Tic » 92 Il piacere di dormire nel lettone » 95

5.3 Sblocco nella fascia d’età 6 - 10 anni » 98 5.4 Esempi di casi Comando io. E il re è nudo! » 107 Gli altri hanno l’orsacchiotto? Io ho l’orso! » 113 Un caso di lutto » 116 E’ pigra e con DSA. Non c’è nulla da fare! » 119 Io sono grande » 122

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Pre-occupazioni genitoriali pag. 125 5.5 Sblocco nella fascia d’età 11 - 14 anni » 128 5.6 Esempi di casi

Lo sfaticato con probabile deficit d’intelligenza » 131

Fobia scolastica. Un caso di paranoia » 134 Ad ogni pensiero un capello » 137 Trauma e Fobia specifica » 141

Asfal-ta-to! » 144 “Mi fa fastidio” » 146

Epilogo DSA o NON-DSA? » 150 − Cosa sono i DSA » 150 − Come si accerta un DSA » 154 − Quanti sono i DSA? » 158 Esempi di DSA che non sono DSA La manipolatrice » 160 La paura di sbagliare » 163 L’aiuto inutile » 166 “Ci vedo!” » 170 Appendice Disturbi da Deficit di Attenzione/Iperattività » 175 Disturbo Oppositivo Provocatorio » 177 Disturbo della Condotta » 178 Tricotillomania » 180 Disturbi da Tic » 181 Disturbo d’Ansia di Separazione » 183 Fobia Specifica » 184

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Fobia Sociale pag. 185 Disturbo Ossessivo-Compulsivo » 186 Mutismo Selettivo » 187 Bibliografia » 189

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Prefazione**………….*************************

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Avvertenza1! Nel presente testo, sebbene i casi riportati siano riferiti a

reali terapie ed interventi svolti, i nomi sono sostituiti e le circostanze adattate in modo tale da rendere irriconoscibili i protagonisti.

Ai protagonisti stessi va il più felice e grato riconoscimento per quanto hanno permesso di imparare così da poter rendere più efficace l’intervento per la soluzione dei loro problemi, assieme alla più sincera stima per le loro risorse.

L’obiettivo principale di questo lavoro è presentare la

possibilità di intervenire efficacemente ed in tempi brevi su problemi di bambini e ragazzi dai tre ai quattordici anni con riferimento all’esperienza maturata in oltre dieci anni con tali specifiche difficoltà e perniciosi problemi.

Lungi dal voler propinare ricette sulla corretta educazione da impartire ai figli o regole universali da applicare a qualsiasi studente o figlio con la promessa di una crescita armoniosa e la formazione di una personalità perfetta. Non esistono, a tutt’oggi, ricette magiche che si adattano a qualsiasi essere umano, specie se quell’individuo soffre per qualche problema. La pretesa dell’adozione di un sistema globale e assolutamente vero di “cura” e “educazione” sarebbe un’estremizzazione patologica.

Non esistono due individui identici su questo pianeta, ma esistono problemi identici portati da soggetti differenti; l’intervento sul problema quindi, adattando la comunicazione a seconda dell’età e caratteristiche del soggetto, consente a individui diversi di superare il problema stesso mediante il medesimo intervento dimostratosi scientificamente efficace in un numero considerevole di casi.

1"Titolo"originale"dell’opera:"Sasso,"carta,"forbice"(2013)"

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In ogni problema portato dai bambini, sia che alla base ci sia rabbia, paura, insicurezza o cattive abitudini, ciò che ha sempre guidato il nostro lavoro è l’eliminazione della sofferenza - sotto ogni forma - che il bambino, e gli adulti di riferimento con lui, vivono e a cui hanno cercato inutilmente di porvi rimedio.

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“Nei modi più diversi siamo tutti simili” (L. Mérö)

Introduzione La morra cinese, meglio conosciuta in Italia come sasso-

carta-forbice, è un gioco di mano molto popolare giocato spesso dai bambini. Il gesto è quasi identico a quello del “pari o dispari”. Diversamente dal lancio della moneta o altri sistemi puramente aleatori e, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, esiste in questo gioco un margine essenziale per applicare una strategia vincente, per lo meno se si gioca ripetutamente con lo stesso avversario. Si può infatti prestare attenzione alle sue ridondanze, o in termini strategici alle sue Tentate Soluzioni, che in altre parole sono la tendenza ad agire con una propria regolarità e quindi prevedibilità.

I due giocatori tengono la mano chiusa a pugno e la fanno dondolare mentre scandiscono assieme “un… due… tre!” oppure “sasso… carta… forbice!"; al “tre!” (o al “…ce!”) ogni giocatore gioca immediatamente il pugno in una delle tre possibili giocate:

• sasso: la mano chiusa a pugno; • carta: la mano aperta con tutte le dita stese; • forbice: mano chiusa con indice e medio estesi a formare

una “V”. Lo scopo è scegliere un segno in grado di battere quello

dell'altro, secondo le seguenti regole: • il sasso spezza le forbici (vince il sasso); • la forbice taglia la carta (vincono le forbici); • la carta avvolge il sasso (vince la carta). Se i due giocatori compiono la stessa scelta, il gioco è pari

e si gioca di nuovo. La Teoria dei Giochi (Nash J.F., 1950; Neumeann J. von -

Morgenstern O., 1953; Israel G. - Gasca M., 1995; Mérö L.,

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2005) ha ampiamento dimostrato e validato in numerosi campi (militare, economico, psicologico ecc.) che qualsiasi strategia predefinita, anche se molto articolata e complessa, è perdente rispetto a una strategia non predefinita. La teoria dei giochi è la scienza matematica che analizza situazioni di conflitto e ne ricerca soluzioni competitive e cooperative tramite modelli, ossia uno studio delle decisioni individuali, in situazioni in cui vi sono interazioni tra due o più soggetti, tale per cui le decisioni di un soggetto possono influire sui risultati conseguibili da parte dell’altro mediante la retroazione.

Nash, premio Nobel con il famoso Teorema dell’Equilibrio che prese il suo nome e reso famoso al pubblico con il film “A beautiful mind”, dimostrò matematicamente che, se la sequenza di comportamenti cambia in funzione degli eventi x, y o z in maniera probabilistica, anziché in maniera predefinita, allora una strategia mista vince contro qualsiasi strategia pura. In altri termini: se conosco con una buona approssimazione (data dall’esperienza, dai risultati conseguiti in passato e dall’attuale modalità di comportamento) lo schema di comportamento di una persona, posso adottare la strategia che mi assicura la maggiore probabilità di successo in quell’interazione; non fideisticamente, ma scientificamente assodata.

A dimostrazione ulteriore della validità della strategia mista, rispetto a quella predefinita, nel giugno 2012 l'Ishikawa Oku Lab dell'Università di Tokyo ha realizzato un robot imbattibile che è in grado di vincere il 100% delle partite di morra cinese disputate contro un essere umano. Il merito è di una telecamera che legge ad altissima velocità i movimenti della mano dell’uomo-giocatore e che permette al robot-giocatore di rispondere con la mossa vincente nello spazio di un millisecondo. Ossia: sapendo quale giocata farà l’essere umano, il robot adotta la giocata - non predefinita a priori - che gli consente la certezza della vincita.

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Ma veniamo all’argomento del libro… proprio studiando

in modo approfondito la sequenza di interazione fra i comunicanti in seno ai problemi di bambini e fanciulli dai tre ai quattordici anni, è stato possibile creare delle strategie ad hoc che consentano il rapido sblocco delle situazioni patologiche in cui il fanciullo, il genitore o l’insegnante “gioca” sempre la stessa parte che lo fa restare nel problema. Come se, giocando a sasso-carta-forbice, il soggetto giocasse sempre la stessa “mano”; questa giocata - compresa, studiata e validata scientificamente - permette di individuare la contro-mossa adeguata con cui rispondere strategicamente affinché la situazione evolva positivamente liberandosi dal problema.

Unica differenza rispetto alla morra cinese è che si vince tutti, non ci sono perdenti quando si supera un problema, ognuno - per la sua parte - contribuisce al benessere dato dal problema superato.

Dodici anni fa, oltre a proseguire l’attività clinica presso il

Centro di Terapia Strategica di Piacenza, ebbe inizio l’avventura di ciò che è comunemente chiamata “Psicologia Scolastica” presso le scuole d’Infanzia, Primaria e di I Grado di Piacenza e provincia. Nel senso declinato strategicamente per lo svolgimento della professione, la psicologia scolastica è sempre consistita nell’adozione di ogni strategia, relazione, tecnica e stratagemmi utili alla soluzione di problemi portati dagli studenti, dai genitori e dagli insegnanti.

Specialmente nel mondo della scuola sono diffusi sentimenti, fra insegnanti e genitori, di impotenza e frustrazione uniti a fortissime resistenze al cambiamento per quanto attiene all’indagine sul problema e quella sulla gestione della funzione educativa con gli alunni e i figli. Gli interventi a cui sono abituati sono sostanzialmente tesi all’ascolto passivo dell’insegnante e

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all’interpretazione del disagio nell’alunno anche attraverso il materiale prodotto quali disegni, testi ecc., sulla dinamica famigliare ed educativa che dà luogo a simili disagi e sul clima nel gruppo-classe che favorisce il comportamento adeguato o inibisce il comportamento inappropriato nello studente.

Il fatto che l’intervento per il minore sia basato prevalentemente sulla spiegazione psicologica e/o psicodinamica sull’origine del problema, sulla struttura genitoriale e le modalità educative che hanno originato la patologia, sull’eventuale presa in carico del caso da parte del professionista o del servizio Materno Infantile dell’ASL di competenza, giocano un ruolo preponderante nella non-soluzione dei casi. Infatti, classicamente, la parte maggiore nella trattazione del caso è riservata al “perché” del problema.

Inoltre, e quest’ipotesi è forse la più pregnante, i genitori e gli insegnanti vivono spesso la lettura dei problemi come una disconferma del comportamento sino allora tenuto e questo favorisce da un lato le ovvie resistenze al cambiamento e dall’altro lato contribuisce all’incremento del senso di frustrazione per l’incapacità di risolvere i problemi.

La Terapia Breve Strategica, così come sviluppata da

Nardone e dai suoi collaboratori presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo dove sin dalla sua fondazione nel 1987 viene portata avanti una ricerca empirico-sperimentale che coinvolge migliaia di pazienti per i più svariati problemi, è stata messa a punto sviluppando il modello generale di psicoterapia breve del MRI (Mental Research Institute di Paolo Alto - CA). L’idea chiave di questo Modello è quello di sviluppare dei piani strategici di intervento per singole patologie o difficoltà - articolati in rigorose sequenze di manovre terapeutiche che possiedono un potere euristico e predittivo.

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L’adozione del Modello di Terapia Breve, a scuola come in studio, consente di assistere al miglioramento del senso di efficacia ed auto-efficacia degli adulti per il figlio/studente, i quali migliorano la collaborazione sul caso, riducono ciò che si definirebbero le resistenze al cambiamento ed è ampiamente ridotto - se non scompare - il senso di impotenza e frustrazione che spesso, se non troppo e non a causa loro, accompagna insegnanti e genitori.

La resistenza al cambiamento - invero - assume i connotati del terapeuta incapace; infatti è grazie alla mutata modalità di approccio al problema che si ottiene la collaborazione dell’interlocutore: paziente, insegnante o genitore che sia.

Nel corso degli anni i casi risolti sono andati aumentando con la contemporanea diminuzione del tempo necessario per risolverli, tanto che, talvolta, sono stati necessari solo due colloqui/interventi diretti per modificare radicalmente la situazione consentendone un rapido evolversi positivo.

Il libro si snoda, attraverso gli argomenti trattati, come un

manuale particolareggiato dell’approccio strategico ai problemi di figli-studenti e genitori-insegnanti. Si pone come strumento operativo per individuare concretamente cosa e come fare per risolvere efficacemente e in tempi brevi i problemi più frequenti in infanzia e fanciullezza.

Come si formano i problemi di comportamento fra genitori e figli?

Attraverso quali modalità di comunicazione le difficoltà si trasformano in problemi?

Come è possibile che certi problemi persistano per tanto tempo?

Quali sono le manovre terapeutico/educative e le strategie efficaci per risolvere tali specifiche problematiche?

Il libro è fondamentale per lo specialista, ma è dedicato

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anche al genitore e all’insegnante che potrà trovare affascinante l’illustrazione della strategia utilizzata attraverso i numerosi casi dettagliatamente esposti nel testo.

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“E’ semplice rendere le cose complicate, ma è difficile renderle semplici”

(F. Nietsche) Voglio, ma non posso: “il ticcoso” di Massimo Botti

Un giorno, mentre entravo in una scuola Primaria, un’insegnante si avvicinò chiedendo l’intervento per un bambino di classe seconda che la poneva in seria difficoltà.

Mi presentò il caso di Luigi, un bambino minuto, estremamente carino, con ottimo profitto scolastico; sempre pronto alla risposta adeguata durante le verifiche orali e sempre pronto a rispondere correttamente alla maestra durante le lezioni. Con i compagni si comportava adeguatamente anche se giocava molto poco e a ricreazione tendeva a starsene in disparte. Il problema era dovuto al fatto che sembrava motorizzato quando era seduto in banco. Secondo la descrizione della maestra, era affetto da tic motori, iperattivo e costantemente sotto agitazione psicomotoria.

La maestra riferiva, anche dando voce alle due colleghe, che stare in classe con lui stava diventando a dir poco impossibile; come quando si sta vicino ad una persona che sbadiglia e sovviene lo sbadiglio; stare in classe con Luigi provocava nelle maestre una sorta di agitazione interiore che disturbava non poco.

Già nella classe prima le maestre avevano notato qualche avvisaglia, ma con la speranza che col tempo passasse non avevano ritenuto di intervenire.

Sino a quel momento le maestre avevano provato a dirgli di stare fermo, di comportarsi compostamente come i compagni,

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ma sebbene al momento e diligentemente Luigi si conformasse, poco dopo ricominciava.

Ottenuto il consenso all’osservazione in classe da parte dei genitori, persone squisite, rilassate e desiderose sinceramente di aiutare il figlio, e dopo aver fissato un ulteriore colloquio con loro per definire quale intervento porre in atto, mi recai in classe per valutare il disturbo nel luogo ove si manifestava.

All’osservazione notai un bambino abbastanza composto in banco, attento alle spiegazioni della maestra e con due occhi estremamente vispi. Luigi però era come agitato in tutto il corpo con una preponderanza di movimenti all’altezza delle ginocchia che saliva lungo il corpo; muoveva le ginocchia fra loro, saltellava sulla barra d’appoggio del banco con le punte dei piedi, muoveva il bacino e - quando non scriveva - non sapeva dove tenere le mani. Ma la testa era ben orientata alla lavagna o verso la maestra che spiegava. Un’attenzione decisa, intelligente.

Effettivamente, a ben osservarlo, si provava un senso di agitazione e d’inquietudine per quel corpo in costante agitazione. Una sorta di sensazione in pancia che pervadeva tutto il corpo.

Mentre la maestra spiegava rivolta alla classe, mi avvicinai a Luigi ponendomi davanti a lui, tenendomi ad un’altezza pari ai suoi occhi; mi presentai e gli dissi che avevo chiesto precedentemente alla mamma e al papà il permesso di potergli parlare.

Gli dissi, a bassa voce, che capivo quale fastidio poteva dargli il muoversi in continuazione e, a poco a poco, Luigi mi confidò che aveva già provato a fermarsi, ma che era più forte di lui, non poteva controllarsi.

Chiesi a Luigi se voleva provare un nuovo sistema per controllare i movimenti e gli dissi che mi sarebbe stato molto utile sapere quali sensazioni si sarebbero provate. Ottenuto il consenso all’esperimento, presi il suo astuccio e lo posi fra un ginocchio e l’altro, gli chiesi di tenerlo molto delicatamente in

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posizione orizzontale fra le ginocchia, ma di non farlo cadere e di ascoltare le sensazioni che provenivano dalle sue gambe. Dopodiché mi rimisi ad osservare distante da lui. Nei quindici minuti in cui stetti ad osservarlo tenne le gambe e tutto il resto del corpo fermo, in una posizione rilassata tanto che si poteva notare nel suo viso una piacevole progressione di rilassamento, i suoi occhi cambiarono e divennero più dolci, più distesi.

……………… Alcuni giorno dopo, prima di fare il colloquio “di

restituzione” con i genitori, mi informai dalla maestra come era andato Luigi e questa, ancora stupita, mi disse che praticamente non si era più mosso.

Con i genitori spiegai quanto era stato bravo Luigi, consigliai di fargli scaricare la pila proponendogli tennis o altro sport praticabile in piccolo gruppo e di farlo studiare talvolta con qualche amico combinando con le mamme di qualche compagno di classe.

Nei due colloqui successivi con i genitori monitorai l’andamento di Luigi, facendo in modo che fossero i genitori stessi ad assumere informazioni presso le maestre, così che potessero avere gratificazioni da un terzo soggetto (le maestre) non coinvolto nel problema.

Il bambino a tutt’oggi, a distanza di quattro anni, non ha più mostrato alcun segno di agitazione, gioca con tutti i compagni e saltella solo qualche volta sulla barra d’appoggio del banco per i piedi (come tutti!).

Luigi, con la sua agitazione comunicava la gran voglia di interagire, ma al tempo stesso il blocco ad instaurare relazioni con altri bambini; sostanzialmente se nella mente era bloccato dalla paura, nel corpo scaricava tutta la sua voglia di muoversi.

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La soluzione ha spiegato il problema sulla base dei comportamenti e atteggiamenti che assunse Luigi a problema superato. Il fatto che il bambino intraprese un maggior numero relazioni con i coetanei, iniziò a partecipare maggiormente nel gioco con i compagni e l’intensificazione dei rapporti fuori da scuola spiegano - senza dubbi a posteriori - che il problema era quello ed era stato superato.

Un intervento focale, di fatto in una sola seduta. Senza pre-occuparsi di fare diagnosi o confermare ipotesi catastrofiche su disturbi o disagio in ambiente famigliare o scolastico. Cercando solo il punto di equilibrio; la leva vantaggiosa che, con un particolare modifica l’universale.

Sarebbe stato molto semplice - e dannoso per Luigi - individuare cause di disagio, antipatie subite o agite con compagni, interesse o disinteresse eccessivo della famiglia o delle insegnanti, cercare e trovare uno stato di repressa aggressività o di ansia di prestazione (queste si trovano sempre!); con qualche sforzo creativo si poteva confermare qualche modaiolo DSA (Disturbo Specifico dell’Apprendimento) come la disgrafia nei momenti di particolare agitazione allorquando i movimenti del corpo influenzavano quelli della mano mentre scriveva. In ogni modo il tempo di disagio sofferto da Luigi sarebbe stato molto lungo, avrebbe dovuto capire quello che lo specialista aveva immaginato dentro di sè - e quindi indimostrabile per definizione - e che Luigi avrebbe dovuto accettare (sennò avrebbe negato e quindi sarebbe stato anche oppositivo!); oppure sottoporsi alle medesime istruzioni di star fermo, ma stavolta per poter scrivere bene.

Talvolta - in interventi molto creativi - si assiste alla modifica della gestione di tutta la classe per il disagio sofferto dall’alunno anche a seguito di questionari e test somministrati a tutti gli alunni; è questo il caso del più pernicioso intervento che conferma, mantiene e esacerba il disturbo.

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Un’altra modalità sarebbe stata di intervenire su tutta la famiglia per comprendere come mai il figlio scaricava nel corpo l’apparente tranquillità di mamma e papà che ovviamente erano colpevoli del disagio del figlio.

Chi sa poi perché i genitori non possono essere sanamente tranquilli?

Rammento, a questo proposito, che ad un corso di formazione per dirigenti di un’importante azienda multinazionale, durante un break, uno di loro mi chiese consiglio su un problema che affliggeva un suo amico. Costui aveva 45 anni e nove anni prima, dopo il primo attacco di panico, aveva intrapreso senza successo tre psicoterapie presso tre diversi psichiatri e psicologi. In ogni psicoterapia aveva ricevuto la sentenza che i suoi attacchi di panico erano “colpa dei genitori”. Dopo essermi complimentato con il dirigente per la capacità di sopravvivenza a nove anni di terapia, dissi che ero molto dispiaciuto per il fatto che l’amico malato avesse incontrato sulla sua strada gli unici tre esseri umani che avevano avuto genitori perfetti! A questo punto il dirigente aveva capito da sé il tempo sprecato a cercare qualcosa d’inutile, passato e immodificabile che manteneva il problema degli attacchi di panico. Come migliaia di anni fa Epitteto suggeriva: “Accusare gli altri delle proprie disgrazie è conseguenza della nostra ignoranza; accusare se stessi significa cominciare a capire; non accusare né sé, né gli altri, questa è vera saggezza”.

Il sorriso, la serenità e lo sguardo fiero di Luigi con la sua

soluzione dopo l’intervento in classe è la spiegazione migliore di come si possa superare un problema rapidamente senza colpevolizzare alcuno; conferma che ridurre un disagio nel più breve tempo possibile è la strada migliore per chi soffre e che per superare un problema non dobbiamo interpretare il mondo, ma trasformarlo.