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40 41 INTO THE WILD TERRITORI MULTIMEDIALI Semplici fans o veri registi? I Marco Consoli Il 27 gennaio gli spettatori del Sundance Film Festival, insieme agli internauti di tutto il mondo collegati a Youtube, hanno potuto assiste- re a un evento epocale: la proiezione di Life in a Day (www.youtube. com/user/lifeinaday), ovvero il primo film hollywoodiano creato secondo le regole del crowdsourcing, cioè della collaborazione di un numero smisurato di persone. L’idea è venuta a Ridley Scott, nei panni di produttore, e a Kevin MacDonald, in quelli di regista: chiedere agli aspiranti filmmaker di tutto il mondo di caricare su un canale di Youtube i propri video per raccon- tare un giorno, reale o im- maginario, della propria esistenza. Il risultato è frutto di un montaggio che ha preso in esame 80 mila filmati in 45 lingue diverse e provenienti da 197 diversi Paesi: “È incredibile come tutte le persone del mondo” , racconta MacDonald “abbiano mandato spezzoni di documentari che si possono restringere a poche categorie riguar- danti nascite, amori, figli, malattie e morti” . E se tagliare e cucire questa incredibile mole di informazioni, tentando a volte di dare un senso narrativo alle immagini (come quando un giornale fa il giro del mondo, da un ragazzo in Canada che lo consegna in una buca della posta a una persona in Spagna che lo legge), si è rivelato una sfida dal punto di vista tecnico, il montatore Joe Walker sostiene che “dopo sei ore al montaggio tutti i giorni, a sbirciare nella vita della gente, ci si sentiva emotivamente esausti, come probabilmente deve sentirsi uno psicologo alla fine di una giornata di lavoro” . Al di là del risultato di questo film, è interessante notare come i nuovi media stiano modificando i processi produttivi del cinema: la comuni- cazione globale resa possibile dalla Rete e i modelli collaborativi che si sono sviluppati a partire dal settore informatico (si pensi ad esempio a Linux, il software open source in cui chiunque può contribuire a una pic- cola parte della programmazione, migliorando il risultato finale), stanno affermando la possibilità di parcellizzare il complesso e articolato lavoro cinematografico, ben oltre le normali divisioni dei compiti che già avven- gono in una troupe tradizionale. I primi ad accorgersi dell’efficacia di questa idea sono stati quegli aspi- ranti filmmaker che avendo molte idee e pochi mezzi hanno tentato la via dell’aiuto da parte di parenti, amici e fan: Angelo Licata ad esempio ha già girato Dark Resurrection (www.darkresurrection.com) un medio- metraggio originale che reinventa con buon uso di effetti speciali l’uni- verso di Star Wars. “Quando abbiamo deciso di giocare a fare il cinema, ho proposto al mio amico Davide un abbozzo di storia, su un duello tra cavalieri Jedi” , ricorda Licata che nella vita è dentista, “e lui, che lavora in uno studio di architettura a Montecarlo, ha realizzato alcuni bozzetti. Erano talmente belli che abbiamo deciso di ampliare il soggetto. Abbia- mo cominciato in quattro gatti, ma la cosa incredibile è che da quando sono usciti su Internet i primi trailer, siamo stati contattati da sempre più persone, tanto che alla fine ci hanno aiutato in più di 150” . Il successo del primo film è stato tale che non solo la Lucasfilm ha appro- vato questa iniziativa senza scopo

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I NTO THE W ILD TERR ITOR I MULT IMED IAL I

Semplici fanso veri registi?

IMarco Consoli

Il 27 gennaio gli spettatori del Sundance Film Festival, insieme agli internauti di tutto il mondo collegati a Youtube, hanno potuto assiste-re a un evento epocale: la proiezione di Life in a Day (www.youtube.

com/user/lifeinaday), ovvero il primo film hollywoodiano creato secondo le regole del crowdsourcing, cioè della collaborazione

di un numero smisurato di persone. L’idea è venuta

a Ridley Scott, nei panni di produttore, e a Kevin MacDonald, in quelli di regista: chiedere agli aspiranti filmmaker di tutto il mondo di caricare su un canale di Youtube i propri video per raccon-tare un giorno, reale o im-maginario, della propria esistenza.

Il risultato è frutto di un montaggio che ha preso in esame 80 mila

filmati in 45 lingue diverse e provenienti da 197 diversi Paesi: “È incredibile come tutte le

persone del mondo”, racconta MacDonald “abbiano mandato spezzoni di documentari che si possono restringere a poche categorie riguar-danti nascite, amori, figli, malattie e morti”. E se tagliare e cucire questa incredibile mole di informazioni, tentando a volte di dare un senso narrativo alle immagini (come quando un giornale fa il giro del mondo,

da un ragazzo in Canada che lo consegna in una buca della posta a una persona in Spagna che lo legge), si è rivelato una sfida dal punto di vista tecnico, il montatore Joe Walker sostiene che “dopo sei ore al montaggio tutti i giorni, a sbirciare nella vita della gente, ci si sentiva emotivamente esausti, come probabilmente deve sentirsi uno psicologo alla fine di una giornata di lavoro”.Al di là del risultato di questo film, è interessante notare come i nuovi media stiano modificando i processi produttivi del cinema: la comuni-cazione globale resa possibile dalla Rete e i modelli collaborativi che si sono sviluppati a partire dal settore informatico (si pensi ad esempio a Linux, il software open source in cui chiunque può contribuire a una pic-cola parte della programmazione, migliorando il risultato finale), stanno affermando la possibilità di parcellizzare il complesso e articolato lavoro cinematografico, ben oltre le normali divisioni dei compiti che già avven-gono in una troupe tradizionale. I primi ad accorgersi dell’efficacia di questa idea sono stati quegli aspi-ranti filmmaker che avendo molte idee e pochi mezzi hanno tentato la via dell’aiuto da parte di parenti, amici e fan: Angelo Licata ad esempio ha già girato Dark Resurrection (www.darkresurrection.com) un medio-metraggio originale che reinventa con buon uso di effetti speciali l’uni-verso di Star Wars. “Quando abbiamo deciso di giocare a fare il cinema, ho proposto al mio amico Davide un abbozzo di storia, su un duello tra cavalieri Jedi”, ricorda Licata che nella vita è dentista, “e lui, che lavora in uno studio di architettura a Montecarlo, ha realizzato alcuni bozzetti. Erano talmente belli che abbiamo deciso di ampliare il soggetto. Abbia-mo cominciato in quattro gatti, ma la cosa incredibile è che da quando sono usciti su Internet i primi trailer, siamo stati contattati da sempre

più persone, tanto che alla fine ci hanno aiutato in più di 150”.Il successo del primo film è stato tale

che non solo la Lucasfilm ha appro-vato questa iniziativa senza scopo

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di lucro, ma Licata si è messo al lavoro sul secondo episodio, tuttora in lavorazione. L’aiuto è arrivato nei modi più disparati, da chi ha pensato di proporsi come attore o comparsa, a chi ha prestato una telecamera, rea-lizzato i costumi o lavorato al computer per modellare astronavi e pianeti extraterrestri. Il successo ha attirato l’attenzione anche di professionisti dello spettacolo, tanto che Fausto Brizzi, regista di Notte prima degli esami e Maschi contro femmine non soltanto ha partecipato come comparsa al secondo film (insieme al suo sceneggiatore Marco Martani, a Dan McVicar e Nina Senicar), ma ha dato l’opportunità a Licata di collaborare ai suoi progetti. Per il secondo episodio, inoltre, sono decine i produttori esecutivi che, con donazioni in denaro, hanno contribuito alle spese. Questo modello ha già dato luogo a numerosi film che molto spesso hanno in comune il fatto di essere ispirati a universi multimediali già af-fermati, come nel caso di Metal Gear Solid Philanthropy (www.mgs-philan-thropy.net), tratto da una saga giapponese di videogame, The Hunt for Gollum (www.thehuntforgollum.com), proseguimento ideale della trasposi-zione al cinema dei ro-manzi di J.R.R. Tolkien, o come Star Wreck (www.starwreck.com), parodia finlandese di Star Trek, il cui succes-so ha convinto il suo regista, Timo Vuoren-sola, ad aprire il social network Wreck a Movie (www.wreckamovie.com), per facilitare l’incontro degli appassionati che vogliono unire le proprie risorse per girare un film. L’iniziativa non è rimasta isolata e già ci sono altri siti come Moviepals (http://moviepals.org) o I Made a Movie (http://imadeamovie.com) che intendono sfruttare le caratteristiche del web 2.0, collaborativo, pervasivo, multimediale, per produrre nuovi contenuti cinematografici.Lungi dal rimanere un fenomeno circoscritto ad un ambito amatoriale, il crowdsourcing si è trasformato in una ghiotta idea anche per produ-zioni professionali. L’ex vicepresidente della Sony Pictures Yair Landau ha fondato Mass Animation (www.massanimation.com), uno studio di animazione che mira a competere con case come Pixar e DreamWorks, ma anziché assumere centinaia di tecnici e animatori intende servirsi dei

talenti disponibili in Rete e delle incredibili possibilità di condivisione degli strumenti produttivi tramite il Web. L’idea gli deve essere venuta guardando i cortometraggi della Blender Foundation (www.blender.org), una società nata attorno al nucleo di un software per l’animazione open source, che ha dato luogo a diversi cortometraggi collaborativi di successo come Elephants Dream, Big Buck Bunny o Sintel (www.blender.org/features-gallery/movies).In maniera simile il colosso del commercio elettronico Amazon ha da poco fondato gli Amazon Studios (http://studios.amazon.com) in collaborazione con la Warner Bros.: l’idea è di offrire l’opportunità agli aspiranti sceneggiatori o registi di sottoporre le proprie idee alla comu-nità che può così approvarle, commentarle o modificarle, prima che le migliori diventino veri e propri film. Da una parte si offre un ingresso privilegiato nella comunità (altrimenti difficile da raggiungere) di chi

a Hollywood decide quali film finanziare e quali no, premiando con somme di denaro i talenti più promet-tenti; dall’altra ci si assicura una quantità praticamente smisu-rata di idee sempre fresche da passare al setaccio e, grazie al gradimento espresso dalla comunità circa i progetti più interes-santi, si anticipa quella

fase di test cui vengono sottoposte le pellicole prima di uscire in sala. Gli sviluppi di questa tendenza sono in prospettiva molto interessanti, tanto che i registi potrebbero presto fare riferimento alla loro base di fan per produrre film a basso budget: il primo a ipotizzarlo è stato Kevin Smith, autore indipendente che talvolta ha incontrato problemi pro-duttivi, perché le sue sceneggiature erano considerate troppo audaci o sboccate da chi avrebbe dovuto finanziargliele. “Credo sia una possibi-lità per il futuro”, ha dichiarato Smith. “Un giorno ero su Twitter, dove i miei fan vogliono essere aggiornati sulla lavorazione di Red State, e un tizio se ne salta fuori con una frase del tipo: e se pagassimo perché tu lo giri?”. Un’idea che presto potrebbe essere presa a prestito da altri film-maker e perché no, magari lanciare nuovi talenti o rivitalizzare carriere un po’ in declino.