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I l percorso editoriale di Anna Ravano è interes- sante e frastagliato: do- po un paio di anni come insegnante di italiano all’u- niversità di Cardiff e sette all’Australian National Uni- versity di Canberra, entra nella redazione dell’Adelphi dove lavora come redattrice dal 1983 al 1992 e dove muove i primi passi come traduttrice di saggistica e narrativa dall’in- glese; poi le viene affidata la traduzione delle Birthday Letters di Ted Hughes e successivamen- te la traduzione dell’intera produzione poetica di Sylvia Plath per il Meridiano Mondadori; inoltre, insieme a Nicola Gardini cura il Meridiano dedi- cato a Hughes, e insieme a Monica Harvey com- pone il dizionario inglese-italiano di parole e frasi idiomatiche colloquiali e gergali intitolato Wow. The Word on Words per la Zanichelli con cui col- labora per un lungo periodo, dal 1992 al 2007, e per la quale rivede la sezione italiana della terza edizione del Ragazzini e si occupa della sezione inglese delle varie ristampe del dizionario. Ho conosciuto due volte Anna Ravano: la prima nel silenzio delle mie lunghe letture delle opere della Plath, la seconda nel chiasso della Fiera del Libro di Torino di quest’anno. La sua semplicità e il suo sorriso gentile hanno reso l’incontro affet- tuoso, come se, oltre a essere una persona dalla straordinaria sensibilità letteraria, Anna fosse per me una presenza familiare. Era un luogo di forza— Il vento mi imbavagliava con i miei capelli sbattuti, mi strappava la voce, e il mare mi accecava con le sue luci, le vite dei morti che vi si srotolavano dentro, allargandosi come olio. Sentii in bocca la malignità della ginestra, i suoi aculei neri, l’estrema unzione dei suoi gialli fiori-candela. Avevano un’efficienza, una grande bellezza, ed erano esagerati, come una tortura. C’era un solo posto dove andare. In fermento, profumati, i sentieri si stringevano addentrandosi nella conca. E le trappole cercavano quasi di scomparire— zeri, che si chiudevano sul nulla, ravvicinati, come le doglie. L’assenza di grida apriva un buco nel giorno ardente, un vuoto. La luce vitrea era un muro trasparente, la boscaglia silenziosa. Sentii un lavorio immobile, un intento. Sentii mani intorno a un boccale di tè, ottuse, rozze, strette ad anello sulla porcellana bianca. Come lo aspettavano, quelle piccole morti! Lo aspettavano come innamorate. Lo eccitavano. E anche noi avevamo una relazione— fili di ferro tesi tra noi, paletti troppo profondi per essere divelti, e una mente come un anello, che scorre e si chiude su una cosa viva, una stretta che uccide anche me. Il cacciatore di conigli di Sylvia Plath, 21 maggio 1962 Anna Ravano, una voce per Sylvia Plath e per Ted Hughes Intervista di Elvira Grassi, 2 giugno 2009 intervista_ravano.qxp 30/06/2009 11.13 Pagina 1

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Il percorso editoriale diAnna Ravano è interes-sante e frastagliato: do-

po un paio di anni comeinsegnante di italiano all’u-niversità di Cardiff e setteall’Australian National Uni-versity di Canberra, entranella redazione dell’Adelphidove lavora come redattrice

dal 1983 al 1992 e dove muove i primi passicome traduttrice di saggistica e narrativa dall’in-glese; poi le viene affidata la traduzione delle

Birthday Letters di Ted Hughes e successivamen-te la traduzione dell’intera produzione poetica diSylvia Plath per il Meridiano Mondadori; inoltre,insieme a Nicola Gardini cura il Meridiano dedi-cato a Hughes, e insieme a Monica Harvey com-pone il dizionario inglese-italiano di parole e frasiidiomatiche colloquiali e gergali intitolato Wow.The Word on Words per la Zanichelli con cui col-labora per un lungo periodo, dal 1992 al 2007, eper la quale rivede la sezione italiana della terzaedizione del Ragazzini e si occupa della sezioneinglese delle varie ristampe del dizionario. Hoconosciuto due volte Anna Ravano: la prima nelsilenzio delle mie lunghe letture delle opere dellaPlath, la seconda nel chiasso della Fiera del Librodi Torino di quest’anno. La sua semplicità e ilsuo sorriso gentile hanno reso l’incontro affet-tuoso, come se, oltre a essere una persona dallastraordinaria sensibilità letteraria, Anna fosseper me una presenza familiare.

Era un luogo di forza—Il vento mi imbavagliava con i miei capelli sbattuti,mi strappava la voce, e il maremi accecava con le sue luci, le vite dei mortiche vi si srotolavano dentro, allargandosi comeolio.Sentii in bocca la malignità della ginestra,i suoi aculei neri,l’estrema unzione dei suoi gialli fiori-candela.Avevano un’efficienza, una grande bellezza,ed erano esagerati, come una tortura.C’era un solo posto dove andare.In fermento, profumati,i sentieri si stringevano addentrandosi nella conca.E le trappole cercavano quasi di scomparire—zeri, che si chiudevano sul nulla,ravvicinati, come le doglie.L’assenza di gridaapriva un buco nel giorno ardente, un vuoto.La luce vitrea era un muro trasparente,la boscaglia silenziosa.Sentii un lavorio immobile, un intento.Sentii mani intorno a un boccale di tè, ottuse,rozze,strette ad anello sulla porcellana bianca.Come lo aspettavano, quelle piccole morti!Lo aspettavano come innamorate. Lo eccitavano.E anche noi avevamo una relazione—fili di ferro tesi tra noi,paletti troppo profondi per essere divelti, e unamente come un anello,che scorre e si chiude su una cosa viva,una stretta che uccide anche me.

Il cacciatore di conigli di Sylvia Plath, 21 maggio1962

Anna Ravano, una voceper Sylvia Plath e perTed Hughes

Intervista di Elvira Grassi, 2 giugno 2009

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Può raccontarmi la sua esperienza all’Adelphi:come è iniziata, che ruolo aveva, quali libri halavorato, cosa significa lavorare per Adelphi? Il mio primo contatto con l’Adelphi è stato latraduzione di Tito di Gormenghast di MervynPeake, che feci quando vivevo in Australia,dove insegnavo italiano. Pochi anni dopo, rien-trata in Italia, feci per loro alcuni lavori di revi-sione e dopo un po’ chiesi se c’era la possibilitàdi essere assunta atempo pieno e fuifortunata, perchéavevano appuntobisogno di un re-dattore per l’ingle-se. Il lavoro consi-steva nell’assegna-re e rivedere le tra-duzioni e nel se-guire i libri lungotutto l’iter redazionale: quindi, rapporti con itraduttori e con gli autori (ma i miei erano quasisempre defunti da un pezzo), coordinamento dellavoro dei correttori di bozze, collaborazionecon l’ufficio grafico eccetera. I modi e i ritmi dilavoro erano abbastanza diversi da quelli diadesso: i testi arrivavano in dattiloscritto, e suquesto, se era abbastanza chiaro e ordinato,veniva fatta la revisione, poi c’era una lettura-revisione delle bozze in colonna (si componevaancora in piombo), poi la lettura delle bozzeimpaginate… Nel 1983 l’Adelphi era una casaeditrice piccolo-media che pubblicava intorno ai35 titoli nuovi all’anno e dedicare uno o duemesi a una revisione era cosa normale. Io mioccupavo soprattutto di saggistica e di narrativain inglese e ogni tanto anche di saggistica in fran-cese, ma ho lavorato anche su libri scritti in lin-gue che non conosco, come il ceco e il serbo; inquesti casi l’approccio alla revisione era natu-ralmente più cauto e consisteva essenzialmentein richieste di chiarimenti e suggerimenti stili-stici. Non ricordo se fosse menzionato nel con-tratto, ma in ogni caso tutti i traduttori vedeva-no le correzioni e potevano dire la loro, a volteprima ancora che si andasse in bozza, e ricordoalcune collaborazioni molto belle, che sono

state una scuola per entrambi. Con alcuni ènata un’amicizia che dura ancora.Quando e come si è avvicinata alla traduzioneletteraria? Qual è stata la sua prima traduzione?Ho avuto la fortuna di poter studiare bene l’in-glese fin dalla scuola media e ho continuato astudiarlo e praticarlo privatamente durante illiceo classico, cosicché quando sono arrivataall’università, che ho frequentato a Genova, lo

leggevo senza pro-blemi e lo parlavod i s c r e t a m e n t ebene. Ho scopertoabbastanza pre-sto, direi sui quat-tordici-quindicianni, che mi pia-ceva arrovellarmisu come dire initaliano quello che

leggevo in inglese. All’università ho avuto duedocenti di lingua molto bravi, Ermanno Bari-sone e Goffredo Miglietta, con i quali traduce-vamo brani da testi di Dylan Thomas, VirginiaWoolf, Henry James. È stata una scuola eccelle-nte e alcune di quelle traduzioni le conservo an-cora. In seguito, l’insegnamento in Italia, inInghilterra e in Australia, mi è servito molto pertenere vivo l’interesse per come muoversi fra ledue lingue. Prima del romanzo di Peake, che fula mia prima traduzione pubblicata, avevo tra-dotto diverse cose, persino un intero romanzo,ma solo per esercizio e piacere personale. PerPeake fui io a contattare l’Adelphi mandandodue capitoli di saggio: per combinazione loro neavevano già i diritti e poiché il saggio piacque, latraduzione mi fu assegnata.Durante il suo soggiorno a Canberra le è capi-tato di scoprire un talento letterario australianoe pensare di “importarlo” in Italia?Scrittori nuovi no, ma c’erano diversi libri diautori famosi ancora non noti in Italia che misarebbe piaciuto tradurre: My Brilliant Careerdi Miles Franklin, The Getting of Wisdom diHenry Handel Richardson, An Imaginary Lifedi David Malouf. Scrissi a un paio di editori, maforse non c’era ancora abbastanza interesse per

Nel 1983 l’Adelphi era unacasa editrice piccolo-media chepubblicava intorno ai 35 titolinuovi all’anno e dedicare unoo due mesi a una revisione eracosa normale.

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l’Australia e poi io ero una sconosciuta senzacurriculum traduttorio. Il primo e il terzo furo-no poi tradotti molti anni dopo.Ha tradotto tutte le poesie di Sylvia Plath: mi rac-conti qualcosa di questa esperienza, da quando ecome è nata a come l’ha affrontata e vissuta, ledifficoltà incontrate, il rapporto con AdrianaBottini che ha tradotto invece la prosa – i diari, iracconti e il romanzo The Bell Jar (La campanadi vetro) –, gli strumenti utilizzati, icontatti, se ci sono stati, con lafiglia Frieda, la ricostruzione dellasofferta biografia, la lettura delleprecedenti traduzioni eccetera.Della Plath conoscevo naturalmen-te le poesie più famose, quelle diAriel, e fu solo lavorando alla tra-duzione di Birthday Letters (Let-tere di compleanno) di Ted Hughesche lessi anche le sue poesie prece-denti. Il volume di Hughes mi fuproposto da Renata Colorni, ami-ca fin dai tempi dell’Adelphi e re-sponsabile dei Meridiani, che allo-ra si occupava anche della collanamondadoriana di poesia. Esitai adaccettare, perché non avevo maitradotto poesia, e chiesi di fareprima qualche prova, che andòbene, anche perché Hughes inquella raccolta usa un dettato poe-tico piuttosto narrativo e formemetriche spesso libere. Con laPlath fu tutto molto più difficile,perché il suo corpus poetico pre-senta una grande varietà di stili:nelle prime poesie usa versi classi-ci (pentametri giambici, tetrametrieccetera) e schemi di rima elabo-rati, mentre nelle ultime c’è una grande libertàritmica e di rime, ma con dietro tutta la sapien-za acquistata negli anni di pratica formale. Hoascoltato non so quante volte le registrazionidelle sue letture (era una lettrice straordinaria,soprattutto nell’ultimo periodo), e ho letto eriletto anche io ad alta voce, per assorbire iritmi e il rincorrersi delle rime, delle assonanze

e consonanze. Le traduzioni italiane a disposi-zione, di Giudici, della Rosselli e della Mo-risco, le ho guardate all’inizio, ma le ho messeda parte quasi subito perché non volevo esser-ne influenzata. Ho invece letto quasi tuttoquello che è stato scritto sulla Plath in inglese ein italiano e ho anche dato un’occhiata alle tra-duzioni francese e spagnola, soprattutto in fasedi revisione finale, per confrontare certe mie

interpretazioni. Alla fine ho mandatoil tutto ad Adriana Bottini per unarevisione, così come ha fatto lei conme per le sue traduzioni del romanzoe dei racconti. Con Adriana siamostate in contatto continuo fin dall’ini-zio, abbiamo passato ore al telefonoa discutere, commentare, interpreta-re, ipotizzare: una collaborazionepreziosa e bellissima. Per la cronolo-gia, mi sono basata sulle biografieesistenti (una mezza dozzina, alcunemolto schierate) e sulle lettere e idiari della Plath, questi ultimi provvi-denzialmente pubblicati in edizionenon espurgata mentre traducevo, inun volume tre volte più grosso diquello molto tagliato uscito nel1982. Ho cercato di evitare giudizi eprese di posizione partigiane, perchéle biografie dei Meridiani sonoappunto delle cronologie al serviziodel testo. Per lo stesso motivo non miè sembrato il caso di cercare contatticon la famiglia. Quali sono state le poesie più diffi-cili da tradurre? Perché? Più che difficoltà presentate da sin-gole poesie, ricordo le difficoltà pre-sentate dal rincorrersi e intrecciarsi

di immagini ed echi lessicali lungo tutto il cor-pus poetico. Alcuni motivi dominanti, come laluna, lo specchio d’acqua, il doppio, certi colo-ri, ritornano spessissimo, a volte con immaginiesplicite, altre volte appena accennati magari daun solo aggettivo o da un’associazione di imma-gini, creando una rete di riprese e rimandi chela traduzione deve sforzarsi di conservare.

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Trova somiglianze tra la poesia della Plath equella di Hughes?Non direi che ci siano veri influssi reciproci intermini di stile, di dettato poetico. In alcune poe-sie scritte subito dopo il loro incontro la Plathimita lo stile di Hughes, mentre in certe poesie dilui del periodo in cui stava preparando l’edizio-ne di Ariel c’è un uso delle immagini che è moltoplathiano, ma si tratta di influssi legati amomenti particolari. Ci sono poesie sugli stessitemi, per esempio quelle sulla figlia neonata, incui si riprendono a vicenda alcune immagini, mapoi le rielaborano in modo del tutto personale.Quello che colpisce piuttosto è un altro tipo dirapporto, una sorta di eco fra certe poesie. Molteminute delle poesie di Ariel,composte quasi interamentedopo la separazione, sono scrit-te sul retro di minute di Hughes(erano tutti e due dei grandi rici-clatori di carta) ed è evidente dacerte riprese di parole o diimmagini che ogni tanto laPlath voltava il foglio e leggeva,e il testo di Hughes agiva percosì dire da pungolo, o forse daurticante, sulla sua immagina-zione. Quanto a Hughes, inBirthday Letters è in continuodialogo con le poesie di lei, necita i versi, usa gli stessi titoli, dàla sua versione di fatti che sonoall’origine di poesie di lei, come la famosa TheRabbit Catcher (Il cacciatore di conigli). Il loromatrimonio, che contrariamente a quando spes-so si legge, fu un’intesa molto stretta fino agliultimi mesi, fu anche il sodalizio artistico di duepoeti che si ammiravano a vicenda e si mostra-vano l’un l’altro tutto quello che scrivevano,entrambi convinti che l’altro fosse il miglior cri-tico delle proprie opere. Per non parlare dell’aiu-to pratico di lei che gli batteva e ribatteva a mac-china le poesie da mandare alle riviste e di quel-lo psicologico di lui che la stimolava con eserci-zi di concentrazione e suggerimenti di temiquando lei attraversava periodi di depressione edi blocco compositivo. Il graduale passaggio di

Hughes da una poesia impersonale alla scopertadella propria biografia come materia poetica è inparte dovuto alla lezione postuma della Plath.Su tutto questo è appena uscito un libro moltobello che ho tradotto per Mondadori, HerHusband (Suo marito) di Diane Middlebrook, incui tutto il loro rapporto viene riletto anche allaluce di molto materiale inedito per mostrarecome, per quanto riguarda Hughes, esso soprav-visse alla rottura del matrimonio e alla tragediadella morte di lei e plasmò tutta la sua successi-va evoluzione poetica.Preferisce tradurre prosa o poesia?È difficile rispondere, anche perché traduconarrativa e saggistica da trent’anni, mentre

Sylvia Plath e Ted Hughes sonogli unici poeti che ho tradotto.Con la prosa mi sento più amio agio, l’affronto con piùserenità: leggo il libro da tra-durre e capisco subito se è nellemie corde. Davanti a un librodi poesia sarei molto più esi-tante, anche perché credo cheun poeta lo si possa affrontarebene solo dopo averlo moltoletto e meditato.Con Monica Harvey, è autricedel dizionario WOW. The Wordon Words, uno strumento indi-spensabile per chi traduce dal-l’inglese. Può raccontarmi come

è nato il progetto e come si è realizzato? L’idea del dizionario è stata di Monica Harvey,scozzese e docente di italiano all’Università diCardiff. Siamo amiche da secoli ed ex colleghe,perché subito dopo l’università ho fatto per dueanni la lettrice di italiano a Cardiff dove lei eraappena arrivata come tutor. Monica cominciò alavorare al dizionario insieme con un’altra colle-ga italiana, che però a un certo punto si tiròindietro, e così subentrai io, un po’ titubanteall’inizio, perché lavoravo ancora all’Adelphi equindi avrei potuto dedicarci solo il tempo libe-ro. Ma lo stesso era anche per Monica, che inse-gnava a tempo pieno. Insomma, con una certadose di incoscienza proponemmo la cosa alla

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Zanichelli che accettò. Ci abbiamo lavorato percirca dieci anni. Usavamo già il computer tutte edue, anche se da principianti, e comunque i pro-grammi disponibili erano molto meno sofisticatidi quelli di oggi e Internet era roba per smanetta-tori esperti. Quando abbiamo cominciato anavigare in rete, nel 1995, molte cose sonodiventate più facili, a cominciare dallo scambiodel materiale, che prima faceva la spola traMilano e Cardiff su floppy. Per la scelta deilemmi sono stati ovviamente importanti i di-zionari di unconventional English esistenti, maabbiamo anche letto pile di giornali, riviste,gialli, thriller, noir, umorismo, e guardato filmin videocassetta col dito sul tasto pausa del

telecomando e il blocco di appunti sotto mano,e Monica si è digerita ore di televisione. Non sitrattava solo di accrescere e tenere aggiornato ilnostro database, ma anche e soprattutto di ricer-ca di esempi autentici, perché avevamo decisofin dall’inizio che ne avremmo messi molti e perquanto possibile non inventati da noi. ConInternet il campo a cui attingere si è ampliatomoltissimo, anche se le risorse sul colloquialEnglish e lo slang dieci anni fa erano moltomeno abbondanti che non oggi: www.urbandic-tionary.com, per citare il sito più famoso, è natoun anno dopo l’uscita di WOW. Una cosa fon-damentale per come abbiamo lavorato è stato ilfatto che ciascuna conoscesse bene la lingua del-l’altra, perché questo ci ha permesso di collabo-rare in tutti gli aspetti del dizionario, la scelta deilemmi, la ricerca degli esempi e la traduzione.Con il Meridiano della Plath ha vinto il premioElsa Morante e ha ricevuto una menzione alPremio Monselice. Che ne pensa dei premi per latraduzione?Confesso che non ne so molto, perché non viho mai partecipato per iniziativa mia. La mia

candidatura al Monselice è stata fatta dall’edi-tore e il premio Elsa Morante è arrivato deltutto a sorpresa, e oltretutto per una categoriapresente nel premio per la prima volta. In gene-rale penso che siano utili come occasione chedà al traduttore una certa visibilità e come rico-noscimento un po’ più gratificante degli agget-tivi spesso stereotipati dei recensori. Che consiglio darebbe a chi vuole iniziare atradurre? Innanzi tutto chiedersi onestamente se la pro-pria conoscenza della lingua straniera è all’altez-za del desiderio di fare il traduttore. E poi accet-tare il fatto che come in ogni mestiere ci deveessere un periodo non breve di apprendistato,

anche senza corrispettivo economico. Il che nonsignifica che uno debba accettare compensi dafame pur di fare pratica: voglio solo dire chebisogna esercitarsi di continuo, studiando le tra-duzioni altrui, traducendo per conto proprioper poi confrontare il lavoro con le traduzioniesistenti, formando un gruppetto di colleghi peresercitarsi sugli stessi testi. Mi sembra che per iltraduttore alle prime armi buttarsi subito allaricerca dell’editore rischi di essere dannoso, per-ché dovrà quasi sicuramente accettare un com-penso basso (solo pochi giorni fa ho sentito dauna giovane collega che un editore le ha offerto3 euro, dico tre!, a cartella), avrà probabilmen-te tempi di consegna stretti e non gli sarà faciletrovare qualcuno che abbia tempo, voglia, eanche competenza linguistica per discutere conlui la sua traduzione spiegandogli che cosa nonandava e come si poteva fare meglio. Avrà lasoddisfazione di vedere il proprio nome sulfrontespizio e poter aggiungere un titolo al suocurriculum, ma non avrà imparato granché sucome si traduce. E gli errori e i difetti ripetutidiventano alla lunga seconda natura.

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Appartengo a una generazione di traduttori che si èformata da sé e non ho esperienza di insegnamentodella traduzione, ma la mia impressione è che sipossa insegnare l’aspetto “artigianale” del mestiere.

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Insegnare a tradurre, secondo lei, è possibile?Una formazione specifica è utile per un aspiran-te traduttore?Appartengo a una generazione di traduttoriche si è formata da sé e non ho esperienza diinsegnamento della traduzione, ma la miaimpressione è che si possa insegnare l’aspetto“artigianale” del mestiere, ma che certe capaci-tà come la sensibilità critica, la conoscenzaapprofondita della cultura della lingua da cui sitraduce e la sicurezza e duttilità nell’uso dellapropria lingua debbano essere in gran parte giàacquisite. Cosa deve avere una traduzione per essere benfatta?Non penso che si possa fare un elenco di requi-siti, sarebbe un po’ come voler elencare ciò chefa di un romanzo un buon romanzo. La tradu-zione di un noir richiede un approccio diversoda quella di romanzo psicologico o di un roman-zo per ragazzi. Preferisco dire quelle che ritengodue caratteristiche essenziali per essere un bravotraduttore, oltre naturalmente all’eccellenteconoscenza delle due lingue: la capacità di ascol-to, nel senso di apertura massima alla voce del-l’autore, e la disponibilità a farsi continue do-mande sul testo e a mettere in dubbio le proprieconoscenze. Come deve essere secondo lei il rapporto tra tra-duttore e revisore?Di collaborazione, naturalmente, visto che sonoentrambi al servizio del libro. Il traduttoredovrebbe comunque sempre lavorare come sedopo di lui il testo non fosse riveduto da nessu-no, ossia non demandare nulla al revisore aparte le cose più propriamente redazionali, e ilrevisore deve saper differenziare tra correzioniche migliorano il testo e cambiamenti dettatidal proprio gusto e ricordare sempre che il libroporta due firme: quella dell’autore e quella deltraduttore. C’è qualche autore che le piacerebbe tradurre?Ogni volta che finisco un libro che mi ha appas-sionato come scrittura penso a quanto mi piace-rebbe tradurlo. Ma se devo fare dei nomi, alloraqualche grande narratore inglese dell’Ottocento:Dickens, Thackeray, George Eliot.

A cosa sta lavorando attualmente?In realtà mi sto prendendo un periodo di riposo,dopo il Meridiano di Hughes e il libro di DianeMiddlebrook. Poi mi aspetta un romanzo diBernard Malamud, God’s Grace, che farà partedi un Meridiano Malamud.Grazie di tutto Anna.

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Dovevi andartene e te ne andasti. E ioti tenni dietro come un cane, lungo il prato che orlava lascogliera,sopra un querceto aggrovigliato dal vento – E trovai una trappola.Un luccichio di fil di rame, corda scura, congegno umano,sistemata di fresco. Senza una parolatu la strappasti via e la gettasti tra gli alberi.Ne fui sbigottito. Fedelealle mie divinità campestri – vedevodissacrata la santità di una fila di trappole.Tu vedevi dita tozze, col sangue nelle cuticole,strette a morsa intorno a un boccale azzurro. Io vedevopovertà campagnola in cerca di qualche penny,che riempiva la casseruola della domenica. Tu vedevi innocentidagli occhi di bimbo strangolati. Io vedevo sacreusanze antiche. Tu vedevi una trappola dietro l’altra,e continuasti a strapparle dalle radicie a scagliarle giù nel bosco. Io ti vedevosvellere fragili e preziosi arboscellidel mio retaggio, concessioni strappatealla forca e alla deportazioneper vivere di ciò che dà la terra. Tu gridavi: «Assassini!».E piangevi di una furiacui nulla importava dei conigli. Eri rinchiusa,boccheggiante, in una cameradove io non potevo trovarti, o anche solo sentirti,e tanto meno capirti.In quelle trappoleavevi afferrato qualcosa.Avevi afferrato qualcosa che era in me,notturno e a me ignoto? O erail tuo io già segnato, il tuo io torturato, piangente,che soffocava? Sia come sia,quelle tremende, ipersensibili ditadei tuoi versi gli si chiusero intorno e lo sentirono vivo. Le poesie, come viscere fumanti,ti vennero lievi nelle mani.

da Il cacciatore di conigli di Ted Hughes

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