INTERVISTA dal sopravvissuto Noi, ragazzi contro … · La Rosa Bianca, il gruppo di studenti che...

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INTERVISTA NOI , ragazzi contro HITLER La Rosa Bianca, il gruppo di studenti che nel 1942 si oppose ai nazisti, raccontata dal sopravvissuto Franz Müller T ra movimenti politici e azioni solitarie, si calcola che furono circa 100 mila i tedeschi che si opposero al nazismo. Tra i pochi gruppi organizzati, il più noto è quello della Rosa Bianca, che scelse la protesta non violenta ma andò incontro alla più crudele delle repressioni. Vita breve. Ne facevano parte alcune decine di giovani, soprattutto studen- ti cattolici dell’Università Ludwig Ma- ximilian di Monaco di Baviera, guidati dai fratelli Hans e Sophie Scholl. In me- no di un anno, dal giugno 1942 al feb- braio 1943, i ragazzi stamparono clande- stinamente sei volantini, distribuendo- li di nascosto allo scopo di far sollevare i tedeschi contro la dittatura. Non ci riu- scirono: il gruppo fu scoperto e i fratel- li, con altri cinque membri, furono pro- cessati e condannati a morte per decapi- tazione. Altri fiancheggiatori finirono invece in carcere e si salvarono. Franz Josef Müller, all’epoca diciottenne, era uno di questi, ed è oggi tra gli ultimi so- pravvissuti del movimento. A Focus Sto- ria ha raccontato la sua militanza nella Rosa Bianca, la cattura e la liberazione, le sue idee di allora. Lei, che studiava a Ulm, come ven- ne in contatto con il movimento di Monaco? «Era il 1942. Hans Hirzel, un mio com- pagno di scuola, figlio di un parroco pro- testante della città, aveva rapporti di amicizia con la famiglia Scholl, che ave- va vissuto a lungo a Ulm. Hirzel aveva soggiornato da loro a Monaco e parteci- pato ad alcune serate di lettura nel corso delle quali Hans Scholl, allora ventiquat- trenne, gli aveva chiesto se avesse ami- ci di cui fidarsi, per aiutarlo a diffondere i volantini antinazisti. Tornato a Ulm, Hirzel mostrò a tre amici – tra cui me – il secondo volantino della Rosa Bianca. Ci chiese se eravamo d’accordo con le idee del volantino (obiezioni etiche al nazi- smo, richieste di libertà di espressione, accuse di connivenza a chi taceva di fronte agli abusi del regime, ndr) e se volevamo distribuir- li. Io accettai». Quale fu il suo ruolo? «Il mio ruolo attivo iniziò quando So- phie Scholl (allora 21enne) portò un mi- gliaio di volantini della Rosa Bianca a Ulm, da diffondere nella vicina Stoccar- da. Io e Hans Hirzel ci incaricammo di spedirli. Gli indirizzi li procurò Hans, che rubò un elenco telefonico a Stoccar- da. Le buste e i francobolli li procurai io. All’epoca quasi tutto era razionato, per cui potevamo comprare solo tre bu- ste per volta. Mio padre, però, in quan- to impiegato al centro di nutrizione del Reich, aveva un ufficio. Così, una mat- tina, gli rubai le chiavi e presi un’inte- ra scatola di buste che portai nel nostro nascondiglio, nella Chiesa di Martin Luther, dietro l’organo. Per i francobol- li invece avevo bisogno di soldi. Li chiesi a mia nonna, raccontandole che mi ser- vivano per i libri di scuola. Andai quin- di all’ufficio postale e chiesi 250 franco- bolli da 5 pfennig ciascuno. L’impiega- to si insospettì e mi chiese: “A che cosa ti servono?”. Se in quell’attimo non fossi stato pronto a rispondere, il funzionario avrebbe chiamato la Gestapo. Dissi che vivevo in una grande famiglia di con- tadini: alcuni parenti erano caduti in guerra e dovevamo mandare gli annunci mortuari. Funzionò. A quel tempo ave- vo una gamba rotta, così Hans dovet- te recarsi da solo fino a Stoccarda con lo zaino pieno di buste. Qui, con l’aiuto di sua sorella, le imbucò in diverse cassette per le lettere, per depistare la Gestapo». Non fu un rischio eccessivo? «Può sembrare così, ma non dimen- tichi che Hans e Sophie non avevano F ranz Josef MÜller (in alto diciottenne e qui sopra oggi) è nato a Ulm (Germania) nel 1924. Catto- lico, si iscrisse alla Gioventù hitleriana ma nel 1941 ne uscì. Nel giugno del ’42 conobbe i membri della Rosa Bian- ca e cominciò a cooperare con il gruppo. Arrestato nel febbraio del 1943, mentre era in Francia con la Wehrmacht (le forze armate tedesche), fu con- dannato a cinque anni di reclusione. Giusto. Liberato nell’aprile del 1945, riprese a stu- diare laureandosi in Giurisprudenza. Nel 1986 ha fonda- to la White Rose Foundation a Wa- shington (Usa) e in seguito la Weis- se Rose Stiftung a Monaco di Baviera (Germania) di cui oggi è presidente onorario. Nel 1991 è stato di- chiarato Giusto tra le nazioni dal Museo dell’O- locausto Yad Vashem di Gerusalemme, che onora così le persone che aiutarono gli ebrei perseguitati e combatterono il nazismo. Memoria vivente La rosa germoglia Sophie Scholl con il fratello Hans (terzo da destra, in divisa da ausiliario dell’esercito) e altri amici a Monaco nel luglio 1942, all’esordio del movimento: erano tutti poco più che ventenni. 2

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INTERVISTA

Noi, ragazzi contro HitlerLa Rosa Bianca, il gruppo di studenti che nel 1942 si oppose ai nazisti, raccontata dal sopravvissuto Franz Müller

Tra movimenti politici e azioni solitarie, si calcola che furono circa 100 mila i tedeschi che si opposero al nazismo. Tra i

pochi gruppi organizzati, il più noto è quello della Rosa Bianca, che scelse la protesta non violenta ma andò incontro alla più crudele delle repressioni.

Vita breve. Ne facevano parte alcune decine di giovani, soprattutto studen-ti cattolici dell’Università Ludwig Ma-ximilian di Monaco di Baviera, guidati dai fratelli Hans e Sophie Scholl. In me-no di un anno, dal giugno 1942 al feb-braio 1943, i ragazzi stamparono clande-stinamente sei volantini, distribuendo-li di nascosto allo scopo di far sollevare i tedeschi contro la dittatura. Non ci riu-scirono: il gruppo fu scoperto e i fratel-li, con altri cinque membri, furono pro-cessati e condannati a morte per decapi-tazione. Altri fiancheggiatori finirono invece in carcere e si salvarono. Franz Josef Müller, all’epoca diciottenne, era uno di questi, ed è oggi tra gli ultimi so-pravvissuti del movimento. A Focus Sto-ria ha raccontato la sua militanza nella Rosa Bianca, la cattura e la liberazione, le sue idee di allora.

Lei, che studiava a Ulm, come ven-ne in contatto con il movimento di Monaco?

«Era il 1942. Hans Hirzel, un mio com-pagno di scuola, figlio di un parroco pro-testante della città, aveva rapporti di amicizia con la famiglia Scholl, che ave-va vissuto a lungo a Ulm. Hirzel aveva soggiornato da loro a Monaco e parteci-pato ad alcune serate di lettura nel corso delle quali Hans Scholl, allora ventiquat-trenne, gli aveva chiesto se avesse ami-ci di cui fidarsi, per aiutarlo a diffondere i volantini antinazisti. Tornato a Ulm, Hirzel mostrò a tre amici – tra cui me –

il secondo volantino della Rosa Bianca. Ci chiese se eravamo d’accordo con le idee del volantino (obiezioni etiche al nazi-smo, richieste di libertà di espressione, accuse di connivenza a chi taceva di fronte agli abusi del regime, ndr) e se volevamo distribuir- li. Io accettai».

Quale fu il suo ruolo? «Il mio ruolo attivo iniziò quando So-

phie Scholl (allora 21enne) portò un mi-gliaio di volantini della Rosa Bianca a

Ulm, da diffondere nella vicina Stoccar-da. Io e Hans Hirzel ci incaricammo di spedirli. Gli indirizzi li procurò Hans, che rubò un elenco telefonico a Stoccar-da. Le buste e i francobolli li procurai io. All’epoca quasi tutto era razionato, per cui potevamo comprare solo tre bu-ste per volta. Mio padre, però, in quan-to impiegato al centro di nutrizione del Reich, aveva un ufficio. Così, una mat-tina, gli rubai le chiavi e presi un’inte-ra scatola di buste che portai nel nostro

nascondiglio, nella Chiesa di Martin Luther, dietro l’organo. Per i francobol-li invece avevo bisogno di soldi. Li chiesi a mia nonna, raccontandole che mi ser-vivano per i libri di scuola. Andai quin-di all’ufficio postale e chiesi 250 franco-bolli da 5 pfennig ciascuno. L’impiega-to si insospettì e mi chiese: “A che cosa ti servono?”. Se in quell’attimo non fossi stato pronto a rispondere, il funzionario avrebbe chiamato la Gestapo. Dissi che vivevo in una grande famiglia di con-

tadini: alcuni parenti erano caduti in guerra e dovevamo mandare gli annunci mortuari. Funzionò. A quel tempo ave-vo una gamba rotta, così Hans dovet-te recarsi da solo fino a Stoccarda con lo zaino pieno di buste. Qui, con l’aiu to di sua sorella, le imbucò in diverse cassette per le lettere, per depistare la Gestapo».

Non fu un rischio eccessivo?«Può sembrare così, ma non dimen-

tichi che Hans e Sophie non avevano

Franz Josef MÜller (in alto

diciottenne e qui sopra oggi) è nato a Ulm (Germania) nel 1924. Catto-lico, si iscrisse alla Gioventù hitleriana ma nel 1941 ne uscì. Nel giugno del ’42 conobbe i membri della Rosa Bian-ca e cominciò a cooperare con il gruppo. Arrestato nel febbraio del 1943, mentre era in Francia con la Wehrmacht (le forze armate tedesche), fu con-dannato a cinque anni di reclusione.Giusto. Liberato nell’aprile del

1945, riprese a stu-diare laureandosi in Giurisprudenza. Nel 1986 ha fonda-to la White Rose Foundation a Wa-shington (Usa) e in seguito la Weis-se Rose Stiftung a Monaco di Baviera (Germania) di cui oggi è presidente onorario. Nel 1991 è stato di-chiarato Giusto tra le nazioni dal Museo dell’O-locausto Yad Vashem di Gerusalemme, che onora così le persone che aiutarono gli ebrei perseguitati e combatterono il nazismo.

Memoria vivente

La rosa germogliaSophie Scholl con il fratello Hans

(terzo da destra, in divisa da ausiliario dell’esercito) e altri amici a Monaco nel luglio 1942, all’esordio del movimento:

erano tutti poco più che ventenni.

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Il nome Rosa Bianca deriverebbe dai versi del poeta romantico Clemens Brentano

parlato a nessuno del loro progetto. Fi-no a quel momento era tutto rimasto segreto».

Poi Sophie Scholl e il fratello ten-tarono un’azione pubblica nell’atrio dell’Università di Monaco, lancian-do gli ultimi volantini. Un bidello li fermò e li consegnò alla Gestapo. A poco servì che gli Scholl si fosse-ro dichiarati unici responsabili dei volantini...

«Erano i primi mesi del 1943. Io ero al fronte con la Wehrmacht (le forze armate tedesche, ndr) in Francia. Lì venni a sa-pere della condanna a morte dei fratel-li Scholl e di Christoph Probst, durante il primo processo alla Rosa Bianca. Mia madre mi aveva inviato un ritaglio di giornale con il titolo “Traditori del popo-lo giustiziati!”.

Ben presto risalirono anche a me. Fui arrestato e portato in Germania in

tempo per il secondo processo alla Rosa Bianca, in cui altri tre membri di spicco del gruppo, Alexander Schmorell, Wil-li Graf e il professor Kurt Huber, erano accusati di alto tradimento, favoreggia-mento del nemico, disfattismo. Il giu-dice Roland Freisler, presidente del Tri-bunale del popolo, dirigeva l’udienza. Era furioso. Urlava e insultava gli im-putati. Io e Hans avevamo capelli bion-di e occhi azzurri, cioè un aspetto “aria-no”, e ce la cavammo con una sentenza lieve: “Hans Hirzel e Franz Müller hanno – in quanto ragazzini immaturi sedotti dai ne-mici dello Stato – sostenuto una propaganda di alto tradimento contro il nazionalsociali-smo. Per questo sconteranno cinque anni di carcere”. Huber, Graf e Schmorell furo-no condannati a morte».

Durante il processo ebbe paura? «No. Vedere Freisler inveire mi convin-

se a prendere ancor più le distanze dai

nazisti. Ero ormai certo di avere agito nel giusto modo».

Come visse i due anni che mancava-no alla fine della guerra?

«Li trascorsi in quattro carceri diver-si. I momenti peggiori furono all’ini-zio, quando fui detenuto nella prigione della Gestapo, fortunatamente per po-co tempo: all’epoca del processo avevo diciott’anni e in Germania, a quell’età, non si era maggiorenni. Così fui trasfe-rito nel carcere minorile di Heilbronn».

Poi arrivarono gli Alleati...«Nell’aprile del 1945, quando gli ame-

ricani erano ormai vicini alla prigione, i nazisti, che non volevano che cadessi-mo nelle mani del nemico, ci evacuaro-no. L’obiettivo era radunarci nell’Alpen-festung (il territorio in cui, secondo i nazisti, l’esercito tedesco avrebbe dovuto ritirarsi per resistere agli invasori della Germania, ma che

in realtà non vide mai la luce, ndr). Ci affi-darono persino il bestiame che apparte-neva alla fattoria della prigione. Men-tre ero in marcia con due compagni, in-contrammo un brigadiere che conosce-vo che mi disse: “Müller, tu hai vissuto in una fattoria e ne sai di mucche, no? Vi lascia-mo in questo paese da un contadino. Quan-do finirà la guerra, potrete partire”. Dopo alcuni giorni gli Alleati arrivarono da-vanti al villaggio. Il sindaco ci mandò a parlare con loro – lui, membro del par-tito nazista, aveva paura – affidando-ci il compito di consegnare il villaggio. Procedemmo fino a giungere davanti a un carro armato. Ci tremavano le gi-nocchia mentre sventolavamo un fazzo-letto bianco in segno di pace. Nel carro armato si aprì il portellone e un solda-to alleato chiese se eravamo dei werwolf (Werwolf – in tedesco “lupo mannaro” – era il nome di un’organizzazione militare gestita dalle Ss con il compito di compiere atti di sa-

Il corpo del reatoDue dei sei volantini antinazisti

diffusi dalla Rosa Bianca, ai soldati (a sinistra) e agli studenti di Monaco.

I fondatoriDa sinistra, Hans e Sophie

Scholl con Christoph Probst nel ’42: verranno decapitati dopo un

processo durato appena 5 ore.

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Sul grande schermoUna scena del film La Rosa Bianca. Sophie Scholl (2005): la ragazza getta i volantini nell’atrio dell’università.

Roland Freisler, famigerato giudice penale del Reich, morì nel ’45 durante un bombardamento su Berlino

botaggio contro gli Alleati, ndr). Per fortu-na riuscimmo a convincerli che non era così. Gli ufficiali ci fecero salire sulla lo-ro jeep e ci ricondussero a casa».

Secondo lei la Rosa Bianca avrebbe potuto davvero rovesciare il nazismo?

«La maggior parte dei tedeschi soste-neva in modo convinto il regime o di-venne nazista perché conveniva esserlo. Troppo pochi la pensavano diversamen-te e troppo pochi furono raggiunti dai volantini. Non credo fosse possibile eli-minare il nazionalsocialismo dall’inter-no. Infatti ci volle l’aiuto degli Alleati».

Pensa per lo meno che la vostra contestazione ottenne qualcosa?

«Credo che chi leggeva i nostri volanti-ni potesse almeno essere incoraggiato a resistere fino alla fine della guerra. Per-sino lo scrittore in esilio Thomas Mann, in un discorso radiofonico del 1943 tenu-to in Gran Bretagna, parlò di noi, ren-dendo nota la resistenza tedesca».

La Rosa Bianca, nel Dopoguerra, contribuì anche a sfatare l’idea che tedesco fosse sinonimo di nazista...

«La storia dei fratelli Scholl e della Ro-sa Bianca, seppure lentamente, ha aiu-tato moltissimo a smontare questa equa-zione nell’opinione pubblica internazio-nale. Inoltre in quei volantini c’erano le premesse su cui porre le basi di un futu-ro centrato sull’idea di un’Europa libera: un futuro che si è realizzato». ◉

Massimiliano Lorenzon

Sangue innocenteSopra, Christoph Probst e Alexander Schmorell in un momento spensierato. A sinistra, il busto commemorativo di Sophie all’Università di Monaco.

RepressioneRoland Freisler (a sinistra),

presidente del Tribunale del popolo nei due processi

contro la Rosa Bianca.

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