Interrogativi e riflessioni in vista della modifica della ... · E non sarà casuale che gli...
Transcript of Interrogativi e riflessioni in vista della modifica della ... · E non sarà casuale che gli...
Interrogativi e riflessioni in vista della modifica della seconda prova d'esame
Ugo Cardinale
Torino, 24 novembre 2017
Premessa
La prova scritta d'esame attuale nel liceo classico aveva e vorrebbe avere ancora una sua
legittimazione precisa nel modello tedesco della Bildung di von Humbold, cui si è ispirato
inizialmente il liceo gentiliano: una prova linguistica «capace di produrre di per sé un affinamento
delle menti e capacità di giudizio» (cfr. Ugolini in Canfora, Cardinale, Disegnare il futuro con
intelligenza antica, Bologna 2012), indipendentemente dallo studio di altri aspetti dell'antichità.
Per giustificare il mantenimento di tale prova, dovremmo chiederci:
1. Le ragioni di allora restano invariate?
Proviamo a dare una risposta motivata.
Un cambiamento nel tempo certamente c'è stato , anche guardando solo all'aspetto quantitativo,
prescindendo per ora da altre considerazioni sui cambiamenti sociali e sui cambiamenti della
funzione dello stesso liceo classico.
I tempi di apprendimento delle lingue classiche, che prevedevano 8 anni di studio e un quadro
orario settimanale più ampio di quello attuale, sono ora compressi.
Gli studi classici si collocano ora in un contesto che prevede un ampliamento dell'asse linguistico in
direzione moderna e almeno un secondo asse formativo, di pari - o addirittura superiore nella
percezione sociale - dignità e rilevanza nella società attuale: l'asse matematico-scientifico, e si
concentrano prevalentemente in due anni di apprendimento linguistico nel primo biennio (con un
monte ore ridotto) e tre anni di approfondimento di autori e di letteratura nel triennio successivo.
Questa compressione non è stata oggetto di un'adeguata riflessione e non ha finora prodotto
alcun cambiamento della prova finale di sola "versione", che resta invariata dalla riforma Gentile.
La "versione" così concepita si basa su un presupposto irrealistico, e cioè che dopo soli 5 anni (con
i tempi ridimensionati di cui abbiamo detto) si sia in grado di tradurre senza contesto qualsiasi
autore. Ciò non è vero per le lingue moderne. Posso essere in grado di leggere la Suddeutsche
Zeitung, ma non saperne abbastanza per leggere Thomas Mann.
La velocità della trasformazione a cui ci abitua la tecnologia odierna non può indurci nell'errore di
prevedere che si possano accelerare anche i nostri processi di apprendimento e i nostri processi
cognitivi.
Di questo non dobbiamo dimenticarci anche quando ci si prospetta l'idea di accelerare anche
l'attuale percorso liceale riducendolo a una dimensione quadriennale.
Come diceva Biagio De Giovanni in un articolo sul Mattino di Napoli del 14 luglio 2015:
«Il nesso fra queste due cose è evidente: se il mondo si muove con velocità accelerata, la scuola
deve trovare il punto di equilibrio fra il nuovo linguaggio che la trasformazione del mondo impone
e tutto ciò che costituisce il tessuto della vita storica che si è formata nel tempo e che costituisce
l'individualità di ciascuna società: un compito enorme e quasi inattingibile, al quale però bisogna
provare ad avvicinarsi».
E non sarà casuale che gli intellettuali convergano oggi sull'Elogio della lentezza. Come già Gian
Luigi Beccaria nel 2003, anche Il neuro-scienziato Lamberto Maffei, nel suo libretto omologo del
Mulino del 2014, illustra i vantaggi di una civiltà che valorizzi la riflessività e il pensiero lento,
funzionali alla fisiologia dei meccanismi cerebrali umani. Quale miglior difesa degli studi classici?
Tornando alla domanda:
Le ragioni per conservare la prova di versione restano invariate?
Lo studio delle lingue classiche, per come si è sempre realizzato nel passato, ha dato frutti positivi,
non perché sviluppava la logica, ma perché certamente implicava operazioni cognitive importanti,
capaci di cogliere i fili che annodano i testi e di intuire la coesione e la coerenza di un testo, anche
attraverso l'intervento della memoria. Il problema è che oggi spesso la tentazione delle scorciatoie
rese possibili da internet rischia di vanificare tali prove. Sembra allora mancare un orizzonte di
senso che giustifichi tali esercizi che finiscono per apparire gratuiti.
Il mondo antico veniva visto, soprattutto nel suo patrimonio linguistico, come origine della lingua
italiana. L'idea della versione è nata in quel contesto. Oggi però non si concepisce più la lingua
come avulsa dalla cultura e appare poco motivante un grammaticalismo eccessivo.
Se però l'obiettivo (cioè la verifica finale del percorso attraverso la versione), come succede oggi,
resta invariato, inevitabilmente il percorso per ottenerlo deve sacrificare ancor di più le dimensioni
della cultura e del ricco patrimonio letterario per privilegiare lo studio grammaticale. Questa è
stata implicitamente la scelta adottata finora.
«L'inconveniente - come sottolinea Luca Serianni (il Sole, 21 maggio 2016) - sta in un soverchiante
grammaticalismo fine a se stesso: non si parte dal testo in quanto tale, come sarebbe auspicabile
per la sua valenza culturale, ma si cercano testi che illustrino le regole di volta in volta esposte
nella teoria».
Questa situazione ha prodotto una divaricazione nei risultati scolastici tra una ristretta élite
d'eccellenza, che riesce a raggiungere comunque una buona capacità traduttiva, e un gran numero
di studenti che lavorano con difficoltà, senza vedere riconosciuta con esiti positivi la propria fatica
e che spesso sono costretti a cercare scorciatoie di ogni tipo.
Inoltre, nel percorso permane un'ambiguità: questi insuccessi nella traduzione, quando non sono
dissimulati dalla "frode", non pregiudicano del tutto l'esito finale dell'esame di maturità, dove è
già messa in conto questa possibile defaillance, compensata con altre prove nel quadro
complessivo dell'esame.
Ma ha senso allora coltivare un indirizzo classico che non garantisce la competenza nelle lingue
classiche?
Oggi non siamo in grado infatti di considerare acquisita la competenza di traduzione per tutti gli
allievi che escono dal liceo classico. È un fatto paradossale, ma è la realtà. Forse, almeno,
dovrebbe essere richiesta una certificazione di questa competenza per l'accesso alle facoltà
umanistiche, spesso ridotte a facoltà di serie B, quando sono scelte, come capita in alcuni casi, da
parte di chi non vuole affrontare prove selettive, come quelle previste dai corsi di laurea a
numero chiuso.
Nel suo libro Il presente non basta, Milano 2016, Ivano Dionigi suggerisce una soluzione: la
proposta della «doppia norma» e del «doppio pubblico», per cui uno stesso insegnamento va
impartito in maniera diversa a seconda che ci si rivolga al pubblico interno (iniziati -esoterico-) o ai
profani, pubblico esterno (essoterico). C'è un pubblico scolastico numericamente assai contenuto
cui impartire la lingua latina. E c'è un altro pubblico scolastico numericamente prevalente, al quale
trasmettere la cultura classica, leggendo in traduzione quegli autori che hanno segnato la
letteratura italiana, europea e occidentale. Solo così si salva il latino, sostiene Dionigi, «non
facendolo studiare male a molti, ma bene a pochi ».
L'ipotesi di Dionigi andrebbe approfondita, perché non è facile da inquadrare nella prospettiva del
liceo attuale. La distinzione tra i pochi "iniziati" e i molti profani prelude ad un liceo classico
professionalizzante riservato ai futuri docenti e ricercatori di lingue classiche, sia pure nel quadro
di un'ampia formazione generale, "dove il ventaglio dei saperi umanistici si dispieghi e si coniughi
con quelli scientifici", in una soluzione et et e non aut aut. Il problema da chiarire però è come
avverrebbe la scelta di orientamento verso la specializzazione filologica. Attraverso una scelta
precoce all'inizio del percorso liceale? O in vista di un accesso all'Università? La formula dell'"et et"
assicurerebbe una buona formazione generale, ma renderebbe il liceo classico una scuola di
nicchia, come rischia già di essere quello di oggi.
Solo la coraggiosa scelta prospettata da Umberto Eco di un liceo umanistico-scientifico per molti
può essere la sfida vincente per il presente e per il futuro. Una scuola che coltiva il problem solving
delle discipline scientifiche, oggi indispensabili, che non rinuncia alla pratica della traduzione per
tutti i suoi studenti, ma che la inquadra in un contesto più motivante.
La difficoltà che molti studenti incontrano nella traduzione dai testi classici può giustificare la
trasformazione della prova di traduzione finora prevista per tutti gli studenti in una prova
opzionale per pochi?
Meglio mantenere il traguardo uguale per tutti, anche se inevitabilmente raggiunto in modo
ottimale solo da pochi? O è preferibile gettare la spugna davanti ad una prova dagli esiti così
frustranti per molti?
Su quest'ultimo punto il dibattito recente ha avuto inizio da un'appassionata difesa della
traduzione di Paola Mastrocola (14 marzo 2015, Il Sole 24 ORE), in risposta ad un articolo di
Maurizio Bettini (La Repubblica, 5 marzo 2015) dal titolo infelice, oggetto di veri e propri equivoci
Quelle inutili anzi dannose traduzioni greche e latine; difesa ribadita da N. Gardini, cit.: «Eliminare
la traduzione sarebbe un gesto di irresponsabile, gravissimo immiserimento, come sostituire tutti
gli originali degli Uffizi con riproduzioni formato poster».
2. Status quaestionis: le ragioni della traduzione
2.1 Proposta di Bettini
Iniziamo la discussione dalla proposta di Bettini, che, nell'articolo (v. sopra) fa una proposta di
cambiamento della seconda prova d'esame, presentata come esito di una serie di incontri avuti
con docenti rappresentativi delle scuole italiane. Si tratta di:
- fornire al candidato una rosa di testi (come per l'esame del Linguistico), perché possa scegliere
quello più congeniale;
- inoltre far precedere il testo da una contestualizzazione più ampia per far capire di che cosa si sta
parlando;
- far seguire al testo da tradurre una serie di domande non solo sugli aspetti linguistici, ma anche
su quelli culturali o letterari (in un successivo intervento di proposta per il comitato dei garanti
delle lingue classiche precisava: di carattere "stilistico, storico, antropologico, culturale in genere");
- concedere più ore (almeno 6) per la prova; scegliere testi più brevi, ma di "contenuto rilevante"
("di alto contenuto culturale, storico o entrambi" come precisato nel successivo intervento).
2.2 Prime obiezioni
La scelta sulla base delle preferenze personali comporterebbe dispersione di tempo e energie da
parte del candidato, il quale non sarebbe in grado di esercitare a priori una opzione fondata. E di
fatto sorvola sulla specificità dell'esercizio linguistico, che diventa secondario, come capitava nella
maturità sperimentale Brocca.
«Peccato perché c'era una grande ragione nel richiedere soltanto la versione. Era una prova
squisitamente tecnica e limitata ma altissima» (Mastrocola, cit) [...] «E che fosse avulsa dal
contesto forse rendeva la prova ancor più centrata su queste capacità puramente logiche,
analitiche, radiografiche. [...] È vero che ci si può appassionare alla cultura classica [...] ma è un
altro esercizio, che non esige di sapere il greco e il latino; può basarsi sul testo in traduzione e può
riguardare un approfondimento individuale all'Università. Ma prima c'è l'apprendistato anche
noioso che fa le fondamenta».
Alla prima proposta di una "prova nudamente tecnica, mera traduzione" Mastrocola in altro
articolo, sempre sul Sole 24 ore (Contro la scuola facile, 29 maggio 2016), aggiunge nuove
considerazioni, non escludendo che qualcosa (della prova attuale) dovrebbe cambiare, ma dichiara
di non avere chiara la soluzione. Ribadisce comunque che “la traduzione è una delle ultime cose
difficili nella scuola italiana” da salvaguardare.
2.3 Quale la soluzione operativa prospettata da Mastrocola?
a. «non alleggerire, ma potenziare, approfondire per rendere tutti capaci di tradurre»;
b. «rendere latino e greco obbligatori fin dalla prima media (almeno il latino); ripristinare la prova
di traduzione allo scientifico; aumentare o ripristinare come erano le ore di latino; riproporre la
traduzione dall'italiano; rendere il liceo classico la scuola di massa»;
c. «prevedere delle certificazioni per l'accesso a certe università e a certi lavori, come ha previsto
la CUSL (Consulta di Latino); un certificato allegabile al curriculum.» (Mastrocola, ibid.).
2.4 Queste proposte contro il rischio di eccessive facilitazioni per gli studenti hanno trovato il
pieno sostegno di Luca Ricolfi, nell'editoriale del Sole 24 Ore del 16 ottobre 2016, che ha difeso la
prova di traduzione, sostenendo che «la vera ragione degli abolizionisti (della traduzione) è
"abbassare l'asticella", togliere l'ultimo compito davvero difficile della scuola secondaria superiore
che fa la differenza tra una buona scuola e una scuola mediocre».
Il ragionamento di Luca Ricolfi riprende anche l'argomento in difesa del liceo classico di Alessandro
Laterza (Il Sole 24 ore, 18 settembre 2016): «Il liceo classico serve perché è la scuola, dove, in linea
di massima si studia di più [...]. Perché distruggere l'unico che per conformazione ha la peculiarità
di imporre la disciplina dello studio?».
2.5 I punti che accomunano questi interventi sembrano argomenti più di carattere psico-sociale
che di carattere scientifico, ma le considerazioni non sono del tutto infondate.
Quel lavoro apparentemente improbo e frustrante di molti studenti nel cimentarsi con i testi da
tradurre potrebbe infatti avere una valenza formativa in sostituzione dei "riti di passaggio" che la
società liquida ha per lo più azzerato.
L'idea che una disciplina mentale, con il suo corollario di esercizi costrittivi, possa avere valore
educativo non è del tutto peregrina. Gli esempi del mondo asiatico hanno qualcosa da insegnare
all'uomo occidentale in declino, divenuto incapace di arginare i conflitti interiori e di disciplinarli
attraverso l'assoggettamento a doveri più o meno interiorizzati. Sono idee che ritornano tra i
filosofi e gli antropologi: le barriere servono a creare e rafforzare l'identità e favoriscono la
transizione al mondo adulto. Ovviamente quando non provocano traumi e regressioni per eccesso
di frustrazione.
Ma, se tutto questo è vero, non c'è però una ragione sufficiente per prevedere, per le nostre
generazioni già più fragili, una quantità di compiti più ardui, destinati inevitabilmente ad apparire
una gratuita fonte addizionale di frustrazione.
Una sfida può essere necessaria. Ma perché trasformarla in una "fatica di Sisifo"?
C'è forse qualcosa da rivedere nella natura della prova linguistica?
3. Riflessioni sul processo di traduzione
C'è un'altra ragione più profonda per rimettere in discussione l'autosufficienza dell'esercizio
linguistico: la traduzione di un testo non può solo avvalersi di un glossario e di una grammatica;
deve fondarsi anche su competenze extralinguistiche. L'opinione del filosofo Ricoeur (Sur la
traduction, Parigi 2004) sul tema della traduzione è che il compito del traduttore non sia quello di
procedere dalla parola alla frase, al testo, all'insieme culturale, ma sia di muoversi all'inverso:
dopo essersi impregnato attraverso vaste letture dello spirito di una cultura, il traduttore deve
ridiscendere dal testo alla frase, alla parola. La definizione di un glossario a livello di parola è
soltanto l'ultimo atto.
La teoria della traduzione di Ricoeur meriterebbe ben altro approfondimento - la traduzione
come riflesso della condizione umana dopo Babele, vissuta non come catastrofe inflitta da un dio
geloso, ma come progetto etico di fraternità dopo il fratricidio di Abele - ma può offrire un
interessante argomento per contrastare l'illusione algoritmica della traduttologia pseudo-
scientifica basata sull'isomorfismo, che si è scontrata subito con una serie di difficoltà, tra cui la
polisemia e la autoriflessività delle parole.
Una buona traduzione non può che fondarsi su un'equivalenza presunta, non basata su un'identità
di senso dimostrabile. «Un'equivalenza senza identità» suggerisce ancora Ricoeur.
L'equivalenza cercata non può comunque essere riconducibile al solo livello linguistico, come già
ha dimostrato il fallimento della traduttologia scientifica. E anche solo al livello linguistico il
problema si rivela già complesso di per sé, perché non si può presupporre una corrispondenza
biunivoca, né a livello di lessico, né di campi semantici, né di sintassi, di connotazioni, di modi di
dire, di unità polirematiche, perché non veicolano, anche quando c'è parentela tra le lingue, le
stesse eredità culturali. Le lingue sono diverse anche nel modo di ricomporre il reale nel discorso.
L'equivalenza dei testi, che non sono solo sequenze di frasi, ma "testi" appunto, uniti da fili
intrecciati diversamente, a loro volta parti di insiemi culturali in cui si esprimono diverse visioni del
mondo, è resa difficile anche da diversi rimandi intertestuali e dalle differenze contestuali.
Alla luce di questo discorso la questione della "versione" dalle lingue classiche può trovare un più
chiaro orizzonte teorico di riferimento che potrebbe guidare anche le scelte pratiche di un
eventuale ripensamento della prova d'esame.
La tradizionale "versione" dalle lingue classiche si è sempre presentata soprattutto come
un'operazione di transcodifica linguistica, senza espliciti riferimenti extra-linguistici, noti solo per
un'informazione acquisita più o meno ampiamente attraverso la storia e la storia della letteratura.
Le traduzioni in classe e le prove d'esame tendenzialmente non erano scelte sulla base di una
preventiva contestualizzazione. A volte le scelte ministeriali sono state una vera e propria
sorpresa, in quanto cadute su autori poco praticati nell'esercitazione scolastica.
Occorrerebbe chiarire meglio la finalità di questo esercizio: operazione solo linguistica? Traduzione
straniante, per usare la terminologia di Schleiermacher? La presunta "fedeltà" al testo di partenza
che si annida nell'obiettivo della traduzione letterale, espressa in "traduttese", rischia di essere
inficiata dalla pretesa di poter essere fedeli all'autore attraverso una semplice transcodifica
linguistica.
Il necessario riferimento al contesto culturale e al cotesto sarebbe indispensabile per consentire
un'approssimazione all'autore. Altrimenti la versione in "traduttese" diventa fedeltà non al testo
originario, ma ad una tradizione di traduzioni in "traduttese".
Intendiamoci bene: l'operazione di per sé non è disprezzabile; ne hanno riconosciuto l'utilità sul
piano didattico anche illustri latinisti (cfr. l'elogio del "traduttismo scolastico" in A. Giordano
Rampioni 1999). Come ricorda F. Condello (in L. Canfora, U. Cardinale 2012), un esercizio
finalizzato all'accertamento grammaticale era apprezzato anche da Croce, pur teorico
dell'intraducibilità, e lo stesso Terracini (1985) aveva teorizzato una «grammatica di equivalenze»,
cioè una sorta di standard linguistico, conservativo anche nella preventiva selezione del
vocabolario, per definire «una forma adeguata di traduzione», utile sul piano pedagogico.
Questa tradizione ha avuto il merito di favorire un atteggiamento "straniante", di rispetto
filologico, di rispetto dell'alterità linguistica e culturale, di grande valore sul piano etico. Ma può
avere oggi il limite di apparire un'operazione soprattutto frustrante e sterile, quando i limiti delle
competenze linguistiche possono ostacolare anche una minima comprensione del testo. Spesso gli
studenti incontrano difficoltà nel passaggio dall'apprendimento grammaticale, diligentemente
acquisito come memoria di regole, alla competenza traduttiva, che è una sorta di problem solving
e mette in gioco la capacità di formare in memoria la macrostruttura del testo e di sviluppare la
competenza testuale.
Se un primo significato del termine tradurre può riguardare genericamente ogni attività di
comprensione di discorsi, siano essi orali o scritti, il significato implicato nell'idea della "versione"
dalle lingue classiche in italiano può richiedere un'operazione più complessa e svelare un' implicita
ambiguità.
La versione non dovrebbe essere semplice trasposizione di singole parole o frasi da una lingua
all'altra, ma «traduzione di un testo», con tutti i rimandi presupposti dal termine 'testo', così
come lo intende la Linguistica testuale, contraddistinto cioè dalla dimensione cognitiva della
coerenza e da una rete di relazioni di coesione, attraverso rimandi anaforici, cataforici e connettivi
interfrasali, che ne assicurano l'unità. Ma questa operazione, se esige come conditio sine qua non
la competenza grammaticale, non può esaurirsi in una semplice operazione linguistica. La
traduzione di un testo, in tutte le sue implicazioni, esige, oltre alla competenza testuale, anche
un'adeguata conoscenza socio-culturale e socio-linguistica, per poter fare delle scelte adeguate
nella riformulazione del testo di arrivo rispetto al testo di partenza.
Forse sarebbe più utile e più efficace sul piano pedagogico proporre testi da tradurre scelti in una
rosa di autori di cui si siano approfonditi preventivamente gli "stilemi", ma anche il contesto extra-
linguistico, e su cui possa essere consentito al traduttore un apparato di note esplicative per
spiegare le scelte traduttive, come viene ipotizzato da Nida (1964) per la traduzione come
«equivalenza formale».
Ma si potrebbe anche puntare su una traduzione "addomesticante", sia pure non "troppo libera",
e pur sempre rispettosa dell'alterità, che puntasse però ad una riformulazione del testo nella
lingua d'arrivo.
Basterebbero alcune considerazioni sul cosiddetto «traduttese», come lo definisce F. Condello (in
L. Canfora, U. Cardinale 2012, cit.) per capire l'urgenza - che avrebbe un'importante ricaduta
positiva su tutto il percorso didattico-educativo - di un ripensamento del sistema di verifica
attraverso la semplice versione.
Se la prova finale richiedesse un'indagine più articolata sul testo e sul contesto, che consentisse
anche una problematizzazione delle scelte lessicali e sintattiche ed eventuali riflessioni critiche di
carattere sia linguistico che culturale, il risultato sarebbe più significativo, e non rischierebbe di
essere messo in dubbio per il sospetto di una copiatura da internet (cfr. U. Cardinale, pp. 27-44, in
R. Oniga, U. Cardinale, Lingue antiche e moderne dai licei alle università, Bologna 2012).
Anche la lingua italiana in cui deve essere formulato il testo in traduzione ne trarrebbe vantaggio,
perché finalmente ci si potrebbe liberare di quella «anti-lingua e post-lingua [...]» quella « lingua a
vocazione metastorica... votata a un'utopica neutralità» (Condello, cit.] che oggi costituisce il
linguaggio delle traduzioni classiche, impermeabile alle sfumature sinonimiche e alle varietà socio-
linguistiche, frutto del riferimento a dizionari dal presunto valore perenne.
Ben venga quindi, ad esempio, l'idea di proporre un testo nel co-testo, facendolo precedere
dall'antetesto e seguire dal post-testo, tradotti in una buona traduzione italiana, sulla scia
dell'esperienza delle Olimpiadi di Lingue e civiltà classiche.
Sarebbe però importante anche che i brani da tradurre non fossero solo un rebus, ma testi scelti
oculatamente da una rosa di autori studiati a fondo, di cui si conoscano stile, contenuti culturali,
contesto storico. Così avrebbe più senso aggiungere alla traduzione domande di approfondimento
per far fare osservazioni linguistiche o culturali.
4. La revisione della seconda prova scritta dell'esame di stato
Prima di indicare qualsiasi ipotesi alternativa, sembra importante comunque non dimenticare, anche se può sembrare superfluo dirlo, che qualsiasi variazione apportata alla prova attuale determinerebbe conseguenze non marginali sulla didattica, in funzione dell'obiettivo previsto.
Ecco la delicatezza della posta in gioco.
La compressione dei tempi di apprendimento e anche qualche contrazione oraria hanno prodotto
in questi anni la nascita di nuovi metodi didattici che invocano la "didattica breve", il metodo
naturale etc., per compensare il gap rispetto al passato.
A prescindere da considerazioni sulla validità ed efficacia di tali proposte didattiche, ci si può
interrogare, dopo le premesse fatte sopra, sull'opportunità di mantenere invariato, rispetto al
passato, tutto il complesso del patrimonio linguistico-letterario classico da "manipolare" nel
periodo liceale.
Ci si potrebbe soffermare sull'opportunità di rivedere realisticamente l'itinerario da percorrere, la
selezione degli autori da affrontare etc.
Si potrebbe partire, fin dalla prima fase di apprendimento linguistico, da opere di autori, e non da
exempla ficta, attingendo, come suggeriva Umberto Eco, anche dal patrimonio del latino tardo o
medioevale, più vicino in alcuni casi alle strutture sintattiche dell'italiano. Tra i garanti1, Polara,
Fedeli e Canfora auspicano l'allargamento dell'insegnamento degli autori di latino ai secoli della
Latinitas perennis e Bettini l'inclusione di quegli aspetti (reception studies, retorica, teatro,
antropologia del mondo antico) che consentono di valorizzare il vasto patrimonio culturale che si
origina dai classici. Canfora sostiene che anche il greco bizantino dà grandi soddisfazioni. Pagine
storiografiche di Anna Comnena, di Psello, di Michele Critobulo, largamente modellate sul greco di
età classica ed ellenistica, costituiscono un vivaio di possibilità cui attingere. E non si tratta certo di
testi più difficili, ma meno raggiungibili nella rete.
Occorre quindi pensare seriamente se non sia il caso di rivedere e di operare una esplicita
distinzione tra i testi che servono al training linguistico e i testi da leggere (anche in originale) per
abbracciare la varietà e complessità della cultura classica.
Sembrerebbe opportuna una valutazione realistica, come suggerisce G. Guastella (in Il latino e le
gabbie disciplinari, in Latina Didaxis xxx, Genova 17-18 aprile 2015), del grado di conoscenza
linguistica di latino e di greco che si può trasmettere proficuamente nelle scuole a tutti gli allievi ( e
non solo a fasce d'eccellenza) e su questa base ipotizzare una scansione progressiva
dell'apprendimento che consenta di accedere ad un campionario diversificato di testi appropriato
a ciascun livello (è un aspetto che giustificherebbe la certificazione graduale delle competenze
anche nelle lingue classiche, come proposto da alcune Università, in collaborazione con le USR)).
Questo addestramento linguistico per gradus, che coincide di fatto con la tradizionale ora di
versione nella distribuzione dell'attuale orario delle discipline, sarebbe comunque solo una parte
del lavoro svolto a scuola, integrato di fatto dal lavoro sugli autori e dallo studio della letteratura.
Questa ipotesi non implica alcuna esclusione a priori nel patrimonio letterario oggetto di studio,
anche se potrebbe indurre una sua razionalizzazione, anzi, a una sua valorizzazione, col rendere
meno assorbente l'addestramento solo linguistico. Si tratta soltanto di distinguere meglio il
campionario linguistico da quello culturale, senza mettere in discussione, anzi rafforzando
l'obiettivo della traduzione.
Il tema della traduzione merita però una discussione approfondita nell'era di INTERNET. Solo la
certezza che gli studenti lavorino in solitudine, staccando la connessione con la rete, può
consentire senza dubbi una riproposta di questa pratica scolastica tradizionale perché sia
effettivamente mezzo per "dar forma all'intelligenza". Ma blindare le scuole richiederebbe troppi
1 Il comitato istituzionale dei garanti per la cultura classica, istituito presso il MIUR, è composto da Maurizio Bettini,
Cinzia Bearzot, Luciano Canfora, Ugo Cardinale, Fedeli, Edvige Mastantuono, Montanari, Carmela Palumbo, Giovanni
Polara, Renzo Tosi, MauroTulli.
costi. Occorre studiare una soluzione realistica e praticabile, perché, senza questo esercizio
insostituibile di analisi, di confronto, di relativizzazione, di distinzione etc., non si può più parlare di
liceo classico.
Di fronte alle difficoltà attuali incontrate dagli studenti nella versione dalle lingue classiche non si
tratta quindi di rinunciare a questo traguardo formativo, ma si tratta di predisporre le condizioni
perché sia realisticamente raggiungibile e sia accompagnato da altri sistemi di verifica delle
conoscenze e delle competenze, per consentire un'appropriazione più gratificante della cultura
classica.
La traduzione è infatti un esercizio di problem solving di grande valore scientifico (come ha sempre
sottolineato D. Antiseri e come hanno affermato insigni filologi come L. Canfora e F. Condello), ma
occorre essere certi che sia il frutto di un esercizio della mente del tutto autonomo. Se la prova
d'esame dovesse continuare ad essere la stessa, non ci saranno garanzie in tal senso, visto il
ricorso dichiarato da un'alta percentuale di studenti agli aiuti della rete. L'unico antidoto possibile
può essere quindi una richiesta di motivazione delle scelte traduttive e la risposta a domande sul
testo.
Traduzione con contestualizzazione introduttiva e domande aperte
Rispetto alla difesa della prova tradizionale, senza se e senza ma, tutti i garanti si distinguono,
evidenziando l'opportunità di una contestualizzazione introduttiva del testo proposto2 e l'utilità
dell'inserimento di almeno due quesiti strettamente attinenti ad esso.
Tutti riconoscono però ancora che nella valutazione della prova il peso maggiore (4/5) debba
andare in misura preminente alla traduzione
Contestualizzazione introduttiva
La contestualizzazione del testo proposto, che tutti riconoscono indispensabile, può essere data o
da un ante-testo tradotto in italiano, come nelle Olimpiadi di lingue classiche, o da
un'introduzione, come propone Canfora, che può essere utile specie quando il brano scelto non è
un inizio di opera. In questo secondo caso, si ribadisce che deve essere fatta con particolare cura,
senza dire troppo, né troppo poco, altrimenti potrebbe rischiare di essere fuorviante.
Bisognerebbe contestualizzare cronologicamente o contenutisticamente il passo, richiamando i
fatti storici principali, mettendo in rilievo i problemi essenziali e i riferimenti sottesi,
eventualmente attraverso un apparato di note; se il passo riguarda problemi concettuali, allora
bisognerebbe inserirlo con precisione all’interno del ragionamento che si sta svolgendo o
dell’argomentazione presentata.
In ogni caso, sembrerebbe opportuno che il cappello non occupasse più di 10 righe. 2 In prosa, di un numero di righe oscillante indicativamente tra 8 /10 e 12/14; solo uno non esclude la poesia.
Le domande sul testo
Le posizioni si differenziano sulla natura e il numero dei quesiti e sui tempi di svolgimento della
prova ( da 4 a 6 ore).
Montanar : l quesiti potrebbero vertere uno sull'interpretazione di un passaggio del testo, l'altro
su una questione linguistica (di carattere morfologico, sintattico-retorico, lessicale).
Canfora, Tosi, Cardinale: si potrebbe far ricorso a domande di carattere traduttivo, chiedendo al
candidato di proporre una o più rese alternative, al triplice scopo:
a) di accertare se lo studente ha tradotto senza copiare
b) di accertare se lo studente ha capito
c) di incrementare le competenze nella lingua d'arrivo e de-automatizzare il processo traduttivo.
Sulla natura dei quesiti c'è ampia convergenza sulle indicazioni di carattere cognitivo e linguistico:
le domande sul testo dovrebbero comunque mirare all'accertamento della comprensione più che
al semplice riconoscimento di forme e a fare eventualmente anche qualche riflessione aggiuntiva,
secondo indicazioni guidate.
In tal modo però la prova di traduzione al termine del percorso liceale verificherebbe nello scritto,
come nel passato, solo un aspetto del lavoro svolto a scuola.
Per una valutazione più completa si pronuncia, invece, esplicitamente Bettini (cui si associano
Bearzot e Fedeli), che propone una prova di durata più lunga (6 ore), con domande grammaticali,
ma anche domande che permettano agli esaminandi di articolare riflessioni a carattere linguistico,
stilistico, storico, antropologico, culturale in genere. La giustificazione della modifica della prova è,
secondo Bettini, prima di tutto quella di spingere i docenti a vivificare, rinnovare la loro didattica,
a fare una didattica diversa, più aperta e interessante, che possa comunque essere verificata in
sede finale. Una motivazione su cui tutti i garanti comunque concordano, anche se alcuni pensano
che gli aspetti culturali potrebbero essere verificati con prove distinte: o con l'orale, o con i quesiti
della terza prova o con il ripristino del tema di cultura classica, come suggerito dalla task force per
il classico.
Stanti queste proposte, viene suggerita da alcuni garanti, in linea anche con il riconoscimento della
rilevanza del "millennio latino", l'idea di un'estensione del canone potenziale, già oggi comunque
non limitato in linea di principio (cfr. Polara: « concordo sull'utilità di estendere la prova di latino a
testi di età umanistica e postumanistica, che sul piano linguistico sono elegantissimi e
ottimamente impiegabili a fini didattici e sono ancora in gran parte mai tradotti in lingue
moderne»).
Tale proposta sembra rispondere anche ad una duplice esigenza : a) di scegliere testi alla portata
delle competenze linguistiche della media degli studenti ; b) rilevanti sul piano del contenuto.
Tuttavia, visto che la dilatazione del campionario dei testi aumenterebbe le incognite sulla loro
contestualizzazione, alcuni garanti si dichiarano favorevoli all'esplicitazione di una rosa di autori
su cui orientare gli esercizi di preparazione.
Eventuale indicazione di una rosa di autori canonica, da integrare di anno in anno attraverso
indicazioni ministeriali o all'inizio dell'anno conclusivo o al momento del sorteggio della materia
oggetto della prova di traduzione
Da queste premesse è emersa quindi la proposta di esplicitare una rosa di autori per la
traduzione, auspicabilmente ampia3 e possibilmente aggiornabile di anno in anno. L'ipotesi di
restringere e variare in parte la rosa solo all'inizio di ogni anno conclusivo degli studi liceali o al
momento del sorteggio delle materie, avrebbe il vantaggio di non creare un canone fisso, che
irrigidirebbe il percorso culturale, ma al tempo stesso favorirebbe quegli elementi di conoscenza
degli autori e del contesto che potrebbero rendere la traduzione, non solo il frutto di una acquisita
conoscenza morfosintattica, verificata con i quesiti di carattere linguistico, ma un'operazione
cognitiva di competenza testuale, che giustificherebbe domande di comprensione più
approfondite.
Tale proposta incontra però alcune obiezioni e perplessità (cfr. Tosi: «Per quanto riguarda il
canone degli autori (un concetto che culturalmente non è esente da pericoli) perché ad es.
escludere da quelli greci Erodoto o altri? Perché si considerano troppo facili? Ed Epicuro? Se poi si
adotta il metodo della rosa variabile, il ministero ogni anno dovrebbe a gennaio-febbraio
comunicare il nome di quattro autori 'papabili'. Ma è proprio utile? Nutro qualche perplessità:
credo che il punto fondamentale è che siano scelti brani importanti e significativi, e privi di grossi
problemi testuali e interpretativi (si devono evitare errori fatti in un passato non troppo remoto).
L'unica obiezione - non trascurabile - a questa proposta è che non consente anch'essa di sfuggire
alle sirene della rete, anzi si presenta ancor più accessibile ad essa, con la differenza però che
3 Qui di seguito viene indicata una possibile lista provvisoria di autori classici di latino che potrebbe comprendere:
Sallustio, Cesare, Cicerone filosofo, Livio, Quintiliano, Curzio Rufo, Seneca, Petronio, Plinio il Giovane,
Svetonio,Tacito, Ammiano Marcellino. Qualcuno ha anche suggerito Minucio Felice e S. Agostino.
Una lista più ristretta per entrambe le materie potrebbe comprendere: Greco: Erodoto, Isocrate, Senofonte, Lisia,
Demostene, Platone, Aristotele, Polibio, Plutarco, Luciano; Latino: Cicerone, Livio, Seneca (prosa), Petronio,
Quintiliano, Tacito, Apuleio, Plinio il giovane. Si potrebbe ipotizzare che alcuni autori siano imprescindibili (ad
esempio Senofonte, Platone, Plutarco, Isocrate, Cicerone, Livio, Seneca, Tacito), mentre gli altri possano variare di
anno in anno ed essere comunicati insieme alla materia.
riduce gli incentivi alla frode attraverso la limitazione ragionevole delle incognite che suscitano
panico e angoscia.
Il problema è impedire i contatti con l'esterno durante l'esame. Tra l'altro, sarebbe opportuno
opporre qualche divieto ai siti che reclamizzano la loro disponibilità a dare supporti agli studenti
durante l'esame. Occorrerebbe una cultura dissuasiva nei confronti della copiatura, della frode,
come è nella tradizione della cultura americana (cfr. M. Dei, 2011). Accanto agli aspetti dissuasivi
potrebbero essere utili anche gli incentivi, come riconoscimenti nel curriculum dei risultati della
partecipazione a gare nazionali come le Olimpiadi di lingue classiche e le certificazioni di livello
delle competenze traduttive.
Soluzione di compromesso
Una soluzione che potrebbe incontrare il favore di tutti potrebbe essere una prova bipartita di
durata più lunga, ma non superiore a quella di altri indirizzi liceali
Prova bipartita:
a) traduzione, in una prima fase (4 ore) con domande di comprensione e contestualizzazione
introduttiva;
al termine consegna dell'elaborato (per evitare che i tempi lunghi facilitino la comunicazione con
l'esterno) e breve interruzione, come avviene nelle prove di storia e letteratura spagnola nei licei
internazionali;
b) domande di civiltà / letteratura, in una seconda fase (2 ore). Questa seconda fase potrebbe
prevedere domande aperte, sia pure con vincoli di spazio, per abituare alla sintesi, sul modello
della tipologia A o B della terza prova.
Soluzione alternativa per l'accertamento degli aspetti culturali
Il bagaglio culturale acquisito potrebbe sempre essere verificato nella prova orale. Inoltre si
sottopone all'attenzione la proposta avanzata da alcuni (cfr. la taskforce per il classico) di
ripristinare nella prima prova anche il tema di cultura classica, a maggior ragione se si dovesse
affermare la presenza diffusa in tutti gli ordini di scuola della materia "cultura classica", richiesta
nel documento dei garanti.