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Internazionale Lombardia News Speciale Brexit 2016 A cura del Dipartimento delle politiche europee e internazionali di cooperazione e migratorie Cisl Lombardia “Speciale Brexit” Sono passati poco più di due mesi dal referendum in occasione del quale il 52% dei cittadini di Sua Maestà britannica che hanno scelto di recarsi alle urne hanno detto di voler lasciare (Leave) l’Unione europea. A distanza di qualche settimana dal voto e in concomitanza con la ripresa autunnale dell’attività, “Internazionale Lombardia News” dedica un numero speciale a questo evento destinato a segnare in maniera importante il cammino dell’integrazione europea, già messo in discussione da più parti e con molteplici argomenti. Buona lettura ! I contenuti di questo speciale » 1. Regno Unito – Unione europea: da sempre relazioni difficili » 2. Il prezzo di una vittoria nel “Remain” » 3. Le reazioni istituzionali al risultato Brexit » 3.1. Dichiarazione dei presidenti » 3.2. Prime risposte della Commissione: le conseguenze di Brexit » 3.3. Il dibattito in Parlamento » 4. Le reazioni dei partners sociali »5 Le posizioni in campo » 6. Sarà vera Brexit? Ventotene: L’Europa ricomincia da tre | di Franco Chittolina

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Speciale Brexit 2016

A cura del Dipartimento delle politiche europee einternazionali di cooperazione e migratorie Cisl Lombardia

“Speciale Brexit”Sono passati poco più di due mesi dal referendum in occasione del quale il 52% deicittadini di Sua Maestà britannica che hanno scelto di recarsi alle urne hanno detto divoler lasciare (Leave) l’Unione europea.

A distanza di qualche settimana dal voto e in concomitanza con la ripresa autunnaledell’attività, “Internazionale Lombardia News” dedica un numero speciale a questoevento destinato a segnare in maniera importante il cammino dell’integrazione europea,già messo in discussione da più parti e con molteplici argomenti.

Buona lettura !

I contenuti di questo speciale» 1. Regno Unito – Unione europea: da sempre relazioni difficili

» 2. Il prezzo di una vittoria nel “Remain”

» 3. Le reazioni istituzionali al risultato Brexit

» 3.1. Dichiarazione dei presidenti

» 3.2. Prime risposte della Commissione: le conseguenze di Brexit

» 3.3. Il dibattito in Parlamento

» 4. Le reazioni dei partners sociali

» 5 Le posizioni in campo

» 6. Sarà vera Brexit?

Ventotene: L’Europa ricomincia da tre | di Franco Chittolina

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1. Regno Unito – Unione Europa: da sempre

relazioni difficili

Il Regno Unito fece domanda di adesione aquella che allora si chiamava ComunitàEconomica Europea nel 1961 ma quellaprocedura non ebbe buon esito a causadell’opposizione dei Paesi fondatori (e inparticolare della Francia) che capirono che

dietro alla richiesta di adesione non c’era una spinta alla condivisione dei valori fondanti(quelli a cui è ispirata la “Dichiarazione di Schumann”), quanto, piuttosto l’obiettivo di nonessere esclusi da un’importante ambito di relazioni economiche e commerciali.

Il Regno Unito entrò poi nella Comunità Economica Europea nel 1973 (insieme aDanimarca e Irlanda), ma in quegli stessi anni sembra un po’ esaurirsi la spinta entusiastaei padri fondatori, quella che aveva portato alla Conferenza di Messina come immediatosegnale d rilancio dell’integrazione dopo il fallimento della Comunità Europea della difesa(CED – 1954) o che aveva fatto sì che l’Unione doganale venisse completata con un annodi anticipo rispetto al previsto.

Da sempre Londra ha scelto di stare dentro l’Europa che si è progressivamente costruitacome organismo sovra-nazionale ma con grande attenzione a tenere un piede fuori(privilegiando tra l’altro le relazioni transatlantiche). Oggi, dicono i commentatori,l’opzione del post-Brexit i cui tempi sono tutt’altro che definititi, è quella di provare a stare“fuori dall’Unione europea” con un piede dentro, sfruttando, cioè le potenzialità delmercato unico ma non riconoscendo i pilastri dell’integrazione europea, in primis la liberacircolazione.

La riprova di questo atteggiamentostoricamente consolidato si ha ripercorrendola tormentata storia della presenza britannicanell’UE.

Già nel 1975, due anni dopo l’adesione, venneindetto un primo referendum che venne vintodal “Remain” sostenuto tra gli atri anche daMargaret Thatcher, con il 62% dei consensi.

Va detto però che quel risultato, tra l’altro nonplebiscitario, era figlio di tempi diversi dagli

attuali: il Regno Unito, dopo essere rimasto per un po’ alla finestra, dopo essere stato trai promotori dell’EFTA (European Free Trade Area – Area europea di libero scambio) e dopoavere tentato una prima volta la via dell’adesione, aveva chiaro, anche nella sua classepolitica e nella sua opinione pubblica, che i costi di un abbandono sarebbero statiinsostenibili.

La Comunità Europea era invece ancora in una fase di sviluppo e di crescita propositiva,lontana sia dalle crisi che si sono succedute dopo, sia dagli inevitabili appesantimenti deimeccanismi decisionali determinati dall’aumento del numero dei Paesi e dagli attacchi diforze euroscettiche, populiste e nazionaliste.

Queste le ragioni di un esito referendario favorevole a una tiepida permanenza del RegnoUnito nel processo di integrazione europea.

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Pochi anni dopo però (1984) una MargaretThatcher divenuta premier alza la voce alConsiglio europeo di Fontainebleau e, nellaprocedura che porta alla definizione delbilancio comunitario, chiede indietro i suoisoldi («I want My Money Back»).

In sostanza, Thatcher, sottolineando da un latol’inesistenza di una politica agricola nel suoPaese e dall’altro il fatto che una consistentequota del bilancio Ue viene utilizzata per

finanziare la Politica Agricola Comune (PAC) , porta l’attenzione sulla sua posizione dipresunto svantaggio e ottiene un accordo che resta in vigore fino al 2013 in base al qualei soldi che il Regno Unito versa nelle casse di Bruxelles ma che vanno a finanziare la PACvengono restituiti a Londra.

Passano altri quattro anni (1988) e in occasione di un discorso tenuto al Collegio di Brugesla “Lady di ferro” segna la netta opposizione sua e del suo Paese al progetto di Europafederale al quale stava lavorando Jacques Delors in qualità di presidente dellaCommissione europea. Torna in quel celebre discorso l’impostazione britannica che vedenell’Europa unita un’area di Stati nazionali che commerciano e cooperano e non unprogetto politico a impostazione federale.

La divergenza tra la posizione britannica e quella europea o meglio tra Thatcher e Delorsfu ancora più evidente qualche anno dopo (siamo nell’ottobre del 1990) quando in undiscorso pronunciato dinanzi alla Camera dei Comuni, noto come il “discorso dei tre no”Thatcher disse:

«Il Presidente della Commissione, Mr. Delors, ha detto in una conferenza stampa l'altrogiorno che vorrebbe che il Parlamento europeo fosse il corpo democratico dellaComunità, ha voluto che la Commissione sia l'esecutivo e vorrebbe che il Consiglio deiministri fosse il Senato. No! No! No!».

Come si sa a Margareth Thatcher, caduta anche a causa del suo tenace euroscetticismosuccesse il suo collega di partito John Major e intanto si arriva agli anni 90: comincia perLondra la stagione degli opt-out, esercitati:

- Sulla Convenzione di Schengen: firmata nel 1990 e in vigore dal 1995, dal 1999 èintegrata nell’acquis comunitario. Allo Spazio di Schengen partecipano 26 Paesi, tra cui 22membri dell’Ue. Irlanda e Regno Unito hanno scelto di mantenere i controlli alle lorofrontiere esterne (tra Regno Unito e Irlanda è in vigore la Common Travel Area).

- Nei confronti dell’euro e dell’Unione Monetaria Europea: Londra ratifica ilTrattato di Maastricht ma sull’adozione della moneta unica dapprima prende tempo e poidesiste (con il governo presieduto da Gordon Brown). Ottenendo questo opt-out il RegnoUnito si sottrae anche all’unificazione delle politiche monetarie nazionali.

- Rispetto alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. integratanell’acquis comunitario con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (2009). La Polonia eil Regno Unito hanno ottenuto di annettere al Trattato di Lisbona un “Protocollo” chechiarifica l’applicazione della Carta e che la rende di fatto non vincolante né per Londra néper Vasravia.

- In materia di Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia: con la firma delTrattato di Lisbona il Regno Unito, l’Irlanda e la Danimarca hanno ottenuto di poter

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scegliere caso per caso se partecipare al processo legislativo in questo settore, che includela cooperazione giudiziaria, la cooperazione di polizia e le politiche frontaliere.

Neanche l’Inghilterra labourista di Tony Blairebbe nei confronti dell’Unione europea unatteggiamento diverso. Non soltanto perché,come detto sopra, furono i governi di Blair edel suo successore Gordon Brown a mettere laparola fine sull’ingresso di Londra nellamoneta unica, ma anche perché, ed è cosa benpiù grave, fu proprio Tony Blair a sceglierel’alleato americano ai tempi della guerra inIraq (2003), smarcandosi dall’Ue e dai suoivalori fondanti (in primis la pace) e

partecipando a un’azione che ancora oggi il mondo intero paga a caro prezzo comedescritto dal Rapporto Chilcot di recente pubblicazione.

2. Il prezzo di una vittoria nel “Remain”

Proprio a partire dalla lunga storia ditentennamenti e opt-out che hanno segnato lapresenza del Regno Unito nell’Ue è benesegnalare che la tradizione sarebbe continuataanche in caso di vittoria del Remain, comedocumentato dagli intensi negoziati svoltisitra il dicembre 2015 e il febbraio 2016 il cuiesito è contenuto in un’articolata decisioneadottata dal Consiglio europeo del 18 – 19febbraio 2016.

Quattro le sezioni della decisione, congruenti con i problemi posti dall’allora premierDavid Cameron: governance economica; competitività; sovranità; prestazioni di sicurezza sociale e libera circolazione.

In tema di governane economica, Londra puntava a stare fuori dall’euro e dall’Unionemonetaria senza perdere la parità di condizioni per quanto riguarda la partecipazione almercato unico, con particolare riferimento al mercato finanziario.

L’obiettivo britannico sarebbe stato pienamente ottenuto: non solo le misure adottate invista di un’ulteriore integrazione economica fra i Paesi dell’eurozona non avrebberodovuto risultare discriminatorie (in termini di possibilità di partecipazione al mercato) neiconfronti di quelli che ne rimangono fuori, ma addirittura i Paesi non euro sarebbero statiesentati da qualsiasi onere in caso di salvataggio di Paesi in crisi.

Anche per quanto riguarda l’Unione Bancaria Londra aveva ottenuto ciò che voleva:restarne fuori, mantenere proprie norme in materia di vigilanza, regolazione e risoluzione

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degli istituti bancari e impugnare dapprima in sede di Consiglio e poi dinanzi alla Corte diGiustizia, eventuali atti lesivi di questa sfera di autonomia.

Completamento del mercato unico, semplificazione normativa e riduzione degli oneriamministrativi erano le richieste di David Cameron per quanto riguarda il capitolocompetitività. Dal momento che tutti e tre questi punti sono nel programma di lavorodella Commissione, il raggiungimento di un accordo non è stato particolarmente difficileanche se risulta come una concessione al Regno Unito l’impegno che la Commissioneaveva assunto in una dichiarazione allegata alle Conclusioni del Vertice: «verificare laconformità dell’attuale legislazione europea ai principi di sussidiarietà e proporzionalità»opzione che avrebbe potuto aprire la strada a un nuovo trasferimento di alcunecompetenze dal livello Ue a quello nazionale.

Indubbiamente il tema della sovranità è quello che ha avuto ed ha il più elevato valoresimbolico sia nella compagna referendaria sia nelle prese di posizione di altre forzepopuliste ed euroscettiche che guardano a Brexit come a un modello da imitare.

Dall’accordo approvato dal Consiglio sarebbe uscito rafforzato lo status speciale delRegno Unito come Paese che gode di molti opt-out e che, in più, avrebbe potuto chiamarsifuori dall’impegno stabilito dai Trattati a «realizzare un’Unione sempre più stretta»sottraendosi quindi da ogni partecipazione al cammino dell’Unione politica.

Non si può non sottolineare come questo punto dell’accordo avrebbe consentito a Londradi non effettuare più alcun trasferimento di sovranità verso le istituzioni comunitarie,anche se non prevedeva (come chiedevano i sovranisti britannici) il rimpatrio dicompetenze precedentemente trasferite.

Altro elemento critico dell’Accordo sulla sovranità era la procedura che avrebbeconsentito ai parlamenti nazionali di interrompere l’iter di adozione di un atto legislativo.Tale eventualità, denominata Cartellino rosso, avrebbe potuto darsi solo in caso diaccordo tra i Parlamenti nazionali rappresentativi del 55% dei cittadini UE, ma la criticitàdi tale procedura non è sfuggita al Parlamento europeo che vi ha visto subito un rischio dierosione del proprio ruolo e delle proprie competenze conquistate progressivamente apartire da quel 1979 che ha segnato l’inizio dell’elezione a suffragio universale direttodell’Aula di Strasburgo.

Particolare attenzione meritano, infine le disposizioni che l’accordo conteneva in materiadi prestazioni di sicurezza sociale e libera circolazione.

Pur ribadendo il principio cardine della libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Ue,questa sezione ne avrebbe determinato una forte limitazione concedendo agli Statiospitanti la facoltà di introdurre norme restrittive in tema di accesso dei lavoratorimigranti provenienti da altri Paesi Ue e di prestazione del Welfare.

Particolarmente preoccupanti sarebbero stati i meccanismi di allerta e salvaguardia(“freno di emergenza”) e di indicizzazione dei figli a carico.

In base al “freno di emergenza” il Consiglio Ue, su proposta della Commissione avrebbepotuto autorizzare uno Stato membro che ne faccia richiesta a limitare l’accesso deilavoratori nuovi arrivati alle prestazioni sociali connesse all’esercizio dell’attivitàlavorativa per un periodo della durata minima di quattro anni e massima di sette durantei quali l’accesso sarebbe stati progressivo.

L’indicizzazione delle prestazioni per i figli a carico si sarebbe invece configurata come lapossibilità per lo Stato ospitante di parametrare le prestazioni di Welfare al tenore di vitadello Stato di residenza dei figli a carico.

In base ai termini dell’accordo poi sarebbero state ampliate le facoltà di uno Stato Ue dirifiutare l’ingresso sul proprio territorio di un cittadino di un altro Stato membro o di

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ordinarne l’espulsione.

Per quanto riguarda l’immigrazione dai futuri Paesi membri dell’Unione, nel documentosi affermava che, come accaduto in passato, i trattati di adesione avrebbero incluso misuretransitorie di restrizione della libera circolazione delle persone. Questo pacchetto dimisure sull’immigrazione, di cui potrebbero usufruire tutti gli Stati membri (non solo ilRegno Unito), avrebbe configurato per la prima volta un passo indietro rispetto al passato,aprendo progressivamente la strada allo sgretolamento di uno dei pilastri della

costruzione comunitaria.

3.Le reazioni istituzionali al risultato di Brexit

3.1. dichiarazione congiunta dei presidenti

All’indomani dell’esito referendario ipresidenti della Commissione europea Jean-Claude Junker, del Parlamento europeo MartinSchulz, del Consiglio europeo Donald Tusk,insieme al ministro degli Esteri olandese MarkRutte (in qualità di rappresentante dellapresidenza di turno, hanno rilasciato unadichiarazione congiunta in cui prendono attodell’esito del voto definendolo «situazionesenza precedenti» da affrontare «uniti» erimanendo «fermi nella difesa dei valorifondamentali dell'Ue», in primis la pace e ilbenessere dei suoi cittadini.

Junker, Schulz, Tusk e Rutte, sottolineanoinoltre l’intento di voler procedere uniti e divoler cooperare per affrontare le sfide futurein termini di crescita, prosperità e sicurezza.

«Ci aspettiamo ora – si legge ancora nellaDichiarazione - che il governo del Regno Unitodia esecuzione quanto prima alla decisione delpopolo britannico, per quanto doloroso possa

essere tale processo».

I quattro esponenti istituzionali sottolineano, inoltre, la necessità di voler evitare lesituazioni che rischiano di «prolungare inutilmente l'incertezza».

Citando esplicitamente l’articolo 50 del Trattato poi gli autori della Dichiarazione si dicono«pronti ad avviare in tempi rapidi i negoziati con il Regno Unito» che fino al termine dellaprocedura «rimarrà membro dell'Unione europea, con tutti i diritti e gli obblighi che nederivano» (anche se dovrà abbandonare le riunioni in cui si parla del futuro dell’UE – N.d.r.).

Dichiarando superata l’intesa pre-Brexit che «non entrerà in vigore, cesserà di esistere enon sarà rinegoziata» la Dichiarazione auspica comunque che «il Regno Unito possarappresentare un partner stretto dell'Unione europea» e formuli proposte concrete in talsenso».

Infine concludono i quattro, «ogni accordo che sarà concluso con il Regno Unito in quantoPaese terzo dovrà tenere conto degli interessi di entrambe le parti ed essere equilibrato

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in termini di diritti e obblighi».

3.2. Prime reazioni della Commissione Europea: le

conseguenze di Brexit

A fine giugno, la Commissione europea hapubblicato

Una scheda sul suo ruolo nel negoziato direcesso: mentre si discute su chi deve portareavanti il negoziato, con Commissione europeae Parlamento europeo che ne chiedonol’impostazione comunitaria e Angela Merkelche, intendendo avere un ruolo di leadership,

preme per un’impostazione intergovernativa, la Commissione ha nominato Michel Barniercapo negoziatore.

Un adeguamento delle prospettive economiche conseguente all’esito di Brexit incui vengono tratteggiati due scenari: uno più moderato e uno più severo. In entrambi i casisi prevede un rallentamento della crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL).

Tale riduzione riguarderebbe sia l’Ue, dove le aspettative di crescita si riducono dall’1,9%a un valore che sta tra l’1,4% e l’1,8% (a seconda dello scenario preso in considerazionetra i due proposti), sia il Regno Unito la cui economia, per ora in buona salute, rischiacomunque una sofferenza.

3.3. Il dibattito in Parlamento europeo

Negli stessi giorni anche il Parlamentoeuropeo si è cimentato in un acceso dibattitoconcluso con l’adozione di una Risoluzione (vd.box).

In apertura il presidente Martin Schulz hasottolineato il carattere inedito dellasituazione (facendo riferimento sia alla sceltadei cittadini britannici sia alla sessionestraordinaria convocata in tempi così rapidi),ringraziando poi il dimissionario Jonathan Hill(fautore del Remain) commissario di

designazione britannica, responsabile per i Servizi finanziari, le cui deleghe sono stateassegnate al vicepresidente Valdis Dombrovskis.

Gli interventi successivi (occasione per ribadire i contenuti della dichiarazione congiunta)sono stati affidati alla presidenza di turno del Consiglio (rappresentata dal ministroolandese della Difesa Jeanine Hennis-Plasschaert) e a Jean-Claude Juncker, autoredell’ormai celebre sarcastico attacco al leader euroscettico inglese Nigel Farage: «si èbattuto per l'uscita, i britannici hanno votato in favore dell'uscita, quindi cosa ci fa lei qui?».

Nel dibattito vero e proprio, Il primo a intervenire è stato il capogruppo dei popolari il

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tedesco Manfred Weber, anch’egli duro nei confronti di Farage (definito «bugiardo») evicino ai giovani britannici che hanno votato per il Remain «Non vi lasciamo soli» ha dettochiedendo «trattative di uscita rapide ed eque».

Tempi certi, equità e celerità del divorzio sono stati chiesti anche da Gianni Pittella,capogruppo di Sinistra e Democrazia (S&D), Guy Verhofstadt (belga dell’Alleanzaliberaldemocratica) che ha inoltre criticato la campagna condotta per il Leave comecostruita su bugie e «creatrice di un clima di paure e negatività».

«Tale clima – ha proseguito - si può fermare solo chiedendo il rapido rispetto dell’articolo50 del Trattato».

Altri interventi come quello della tedesca Gabriele Zimmer del gruppo (Sinistra UnitaGUE/NGL, European United Left/Nordic Green Left) e del belga Philippe Lamberts (VerdiALE – Alleanza Libera Europea) hanno chiesto non solo l’esecuzione della decisione delpopolo britannico, ma anche un’assunzione di autocritica responsabilità da partedell’Unione europea.

Di segno completamente diverso, ovviamente, le reazioni dei leader degli schieramentieuroscettici: l’inglese Nigel Farage (UKIP, UK Independence Party – Partito perl’indipendenza del Regno Unito) punta i piedi per un «accordo commerciale ragionevole»,Marine Le Pen (ENF, Europe of nations and freedom – Europa delle Nazioni e della Libertà)ha parlato di dimostrazione della non irreversibilità del processo di integrazione europea,mentre Diane Dodds (Gruppo dei non iscritti) ha accusato i leader europei di aver «fattoorecchie da mercante nei confronti della frustrazione che i cittadini britannici hannoespresso per anni».

Le risposte di Plasschaert e Juncker alla prima tornata di interventi hanno cercato diguardare da un lato al futuro dell’Europa («la risposta non è più o meno Europa, maun'Europa migliore» ha detto la ministra olandese) e dall’altro ai dati di realtà: «Nonadditateci – ha affermato Juncker - Il Regno Unito non si è espresso sulle politiche diausterità o sulla scarsa protezione delle frontiere esterne dell'Unione, perché non fa partedella zona euro né dell'area Schengen».

Nel dibattito hanno trovato spazio anche le voci di Scozia e Irlanda. «Siamoorgogliosamente scozzesi e io sono un fiero europeo» ha detto ad esempio AlynSmith (Verdi/ALE), rappresentando la voce di chi in Scozia, ma anche in altre zone delRegno Unito ha votato per «rimanere all'interno della nostra famiglia di nazioni».

«Avremo bisogno di teste lucide e cuori caldi» ha concluso Smith, invitando glieurodeputati a non abbandonare la Scozia.

La nord-irlandese Martina Anderson, dai banchi del gruppo GUE / NGL ha invece sostenutoche «il popolo dell’Irlanda del nord non è vincolato dal voto del Regno Unito» e che«l'ultima cosa di cui la gente dell'Irlanda del nord ha bisogno è una nuova frontiera con 27Stati membri».

La risoluzione de Parlamento europeo – 26 giugno 2016

A pochi giorni dall’esito del referendum che ha sancito la volontà del Regno Unito di lasciare l’Unioneeuropea (ai sensi dell’articolo 50 del Trattato) il Parlamento europeo ha adottato con 395 votifavorevoli, 200 voti contrari e 71 astenuti una Risoluzione in cui, prendendo atto della volontàespressa dalla maggioranza dei cittadini britannici e sottolineando alla connotazione «cruciale» delmomento, auspica «un’attuazione rapida e coerente della procedura di recesso».

Per dare avvio alla procedura è necessario che il Regno Unito notifichi a Bruxelles il risultatoreferendario e chieda di uscire dall’Ue. Per questa ragione il Parlamento, al fine di «prevenireincertezze negative per tutti e proteggere l'integrità dell'Unione» si sarebbe addirittura aspettato

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(così si legge nella Risoluzione adottata il 28 giugno) una notifica dell’esito del referendum già nelConsiglio europeo che si stava svolgendo negli stessi giorni (28-29 giugno).

Altra richiesta importante avanzata dal Parlamento nella Risoluzione è quella relativa al propriocoinvolgimento della procedura negoziale: a norma dei Trattati infatti l’accordo di recesso deve essereapprovato dal Parlamento che «deve essere pienamente coinvolto in tutte le fasi delle varieprocedure».

Al fine di evitare che il processo di uscita del Regno Unito dall’Ue pregiudichi la gestione delle attivitàcorrenti, gli eurodeputati, invitano il Consiglio europeo a modificare il calendario delle presidenze,riassegnando il “turno” del secondo semestre 2017 che avrebbe dovuto essere gestito da Londra.

In tema di futuro dell’Ue, nella Risoluzione si afferma che le sfide attuali richiedono di riformarel'Unione per renderla «migliore, più democratica e all'altezza delle aspettative dei cittadini».«Sebbene alcuni Stati membri possono decidere di procedere a un'integrazione più lenta o menoapprofondita, il nucleo fondamentale dell'Ue deve essere rafforzato e occorre evitare le soluzioni à lacarte». | per saperne di più

4.Le reazioni dei partners sociali

4.1. Partner sociali britannici: prima e dopo

Molte le dichiarazioni e le prese di posizione resenote dalle parti sociali europee e nazionali sia allavigilia sia all’indomani del risultato referendario.Ne fa una pregevole disamina un articolopubblicato dalla Fondazione per il miglioramentodelle condizioni di vita e di lavoro (Fondazione diDublino), i cui punti-chiave sono riportati neiparagrafi che seguono.

Alla vigilia del referendum il britannico TradesUnion Congress (TUC) aveva lanciato l’allarme sul possibile impatto negativo di unavittoria del Leave sui diritti dei lavoratori, mentre il soggetto datoriale Confederation ofBritish Industry (CBI) aveva portato l’attenzione sulle implicazioni positive che lapermanenza nell’Ue avrebbe avuto per l’economia britannica.

Sia sul fronte datoriale sia su quello sindacale però si erano registrate anche posizioni disegno diverso ad esempio ad opera delle Camere di commercio britanniche e dei sindacatidei trasporti marittimi e ferroviari (National Union of Rail, Maritime and TransportWorkers - RMT).

All’indomani dell’esito elettorale TUC e CBI hannodiffuso una dichiarazione congiunta in cuichiedevano a governo, imprenditori, sindacati e altrisoggetti portatori di interesse di impegnarsi per latutela del lavoro, degli investimenti e dei sistemi diprotezione sociale. Il testo si sofferma in particolaresulla necessità di «rispondere alle preoccupazioni deicittadini europei che vivono e lavorano nel RegnoUnito e di cittadini britannici che vivono e lavorano in Europa».

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4.2. Le reti europee dei partner sociali

La Confederazione Europea dei Sindacati (CES) harilasciato, a partire dal giorno dopo Brexit, una serie didichiarazioni in cui:

Chiede all’Ue di «agire per migliorare le condizioni di vitadei lavoratori».

S’ impegna a lavorare affinché le conseguenze di Brexit nonsi abbattano sui diritti dei lavoratori sollecitando le sue affiliate britanniche a fare lostesso nell’unità di intenti.

La CES ha inoltre adottato, congiuntamente al britannico TUC una dichiarazione suiprossimi passi del negoziato.

Business Europe, soggetto datoriale europeoche rappresenta i datori di lavoro del settoreprivato chiede agli Stati membri di mandare un«segnale forte» di conferma del proprio

impegno nella costruzione dei tre «pilastri» dell’Unione europea: il mercato unico, lapolitica commerciale comune e l’euro.

Secondo Business Europe l’indicazione emersa dal dibattito pre referendario è cosìsintetizzabile «più Europa dove serve, meno Europa dove essa non aggiunge valore». Aseguito di tale indicazione viene richiesto uno sforzo per uno «sguardo verso l’esterno inuna prospettiva globale» sorretta da «un forte pilastro economico» oltre che da «politichesmart, pro-competitive e contrassegnate da meno regolamentazioni». Presente infinenella posizione di Business Europe un richiamo rivolto sia agli Stati membri sia all’Ue per ilrispetto degli accordi di Schengen e per una «efficiente gestione delle frontiere.

Il soggetto datoriale rappresentante gli interessi delleimprese pubbliche (CEEP - European Centre ofEmployers and Enterprises providing Public Services) hasottolineato il suo impegno per lo scambio e lacooperazione di pratiche, nonché per la definizione dinuove relazioni con il Regno Unito, sia a livello diassociazioni aderenti sia a livello di istituzioni

pubbliche.

L’associazione europea delle piccole e medie imprese (EUAPME) ha invece inviato unalettera di sostegno ai propri affiliati inglesi, in cu, tra l’altro, chiede una riduzione dellaburocrazia e un impegno dell’Ue e degli Stati membri per la creazione di «un clima e unambiente più favorevole all’attività economica».

4.3. I timori per le conseguenze di Brexit

Molte sono state le reazioni delle organizzazioni sindacali nazionali, alcune delle qualihanno espresso in termini generali rammarico per il risultato e preoccupazione per lepossibili conseguenze. Si sono espresse in tal senso:

l’austriaca ÖGB (Österreichischer Gewerkschaftsbund) | testo integrale delladichiarazione

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la francese CFDT (Confédération Française Démocratique du Travail) | testointegrale della dichiarazione

le finlandesi SAK (Suomen Ammattiliittojen Keskusjärjestö - Organizzazionecentrale dei sindacati finlandesi) e Akava, (Confederation of Unions forProfessional and Managerial Staff in Finland – sindacato dei professionisti e deidirigenti d’azienda) | testo integrale Akava in inglese

Altre realtà hanno invece messo al centro delle loro dichiarazioni post-Brexit alcunequestioni specifiche.

Le organizzazioni sindacali hanno sottolineato i rischi per i lavoratori migranti e glistudenti che intendono compiere parte del loro percorso in un Paese diverso da quello diorigine.

In tal senso si sono espressi:

SEK, (Synomospondia Ergaton Kyprou Confederazione del lavoro cipriota) che vedea rischio la tutela dei diritti dei lavoratori;

CC.OO. (Comisiones Obreras, Spagna) che, constatando la prossima inapplicabilitàdelle normative Ue al mercato del lavoro britannico segnala l’inevitabile erosionedelle tutele | Testo integrale Comisiones Obreras.

i finlandesi di Akava che citano nella loro dichiarazione post-Brexit questo aspetto,partendo però dalla «libera circolazione di lavoratori e studenti», che include«rilevanti clausole di sicurezza sociale» e che è «condizione molto importante peraccedere al mercato interno».

Decisamente più tranquillo è il sindacato bulgaro CL Podkrepa, il cui leader DimitarManolov ha sostenuto che non ci saranno conseguenze negative per i lavoratori e glistudenti bulgari che vivono in Inghilterra «stante la natura cosmopolita del Paese».

Di segno opposto, infine le reazioni in Polonia: «il risultato di Brexit – si legge in unadichiarazione di OPPZ (Ogólnopolskie Porozumienie Związków Zawodowych – Alleanza dei sindacati polacchi) – è la conseguenza del populismo e della xenofobia che hannodominato la campagna referendaria»; desta quindi preoccupazione la condizione dei 3.000– 4.000 cittadini polacchi (su un totale di 8.000) che vivono nel Regno Unito da meno dicinque anni e che non avranno diritto al permesso di soggiorno definitivo, venendosi atrovare in posizione di assoluta fragilità.

I soggetti datoriali hanno invece privilegiato nelle dichiarazioni del post 23 giugno leimplicazioni di Brexit per l’attività economica e il commercio sia in termini generali (comeha fatto ad esempio il presidente dell’Associazione Nazionale delle Industrie AustriacheGeorg Kapsch, preoccupato per l’andamento di breve periodo della bilancia commercialedel suo Paese) o con riferimento ad alcuni settori specifici come il turismo e l’export deiprodotti agricoli (Grecia e Cipro).

Altro tema presente delle reazioni al referendum non poteva non essere il futuro dell’Ue.

Sul versante sindacale quasi tutti hanno portato l’attenzione sulla dimensione socialedell’Europa, a cominciare da quell’ Erich Folgar, presidente del sindacato austriaco ÖGBche ha espresso «simpatia per le critiche all’Ue emerse da Brexit» ma ha anchesottolineato che l’appartenenza all’Ue ha significato «importanti miglioramenti in tema dipolitica sociale».

È necessaria più Europa sociale e Brexit rappresenta l’occasione per costruirla. Questo ilmessaggio-chiave che emerge da molti commenti di fonte sindacale.

Ad esempio i ciprioti di SEK hanno definito Brexit un punto di rottura dal quale ripartireper un cambio di direzione e per un rilancio contraddistinto da una maggiore attenzione

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alla giustizia sociale, ai diritti e alla tutela dei cittadini in termini di sicurezza sociale.

Il tema è presente anche nelle dichiarazioni di tutte le principali organizzazioni sindacalifrancesi

CGT (Confédération Générale du Travail) descrive il risultato di Brexit come fruttodelle politiche Ue in materia economica, generatrici di austerity e dumping sociale chehanno fatto crescere i nazionalismi | Testo integrale della Dichiarazione

CFDT chiede un rafforzamento della cooperazione tra Stati membri perfronteggiare le sfide del XXI secolo | Testo integrale della Dichiarazione

FO (Force Ouvriére), per voce del suo Segretario Generale Jean-Claude Maillychiede che «le questioni sociali tornino ad essere il cuore dell’Europa» | Testo integraledella Dichiarazione .

Ancora diversa è la proposta dei tedeschi di DGB che invocano l‘avvio di un “Piano Marshalleuropeo”. | La posizione del DGB.

Per quanto riguarda il panorama italiano, la CISL sollecita l’Ue a contrastare attivamentele ineguaglianze, nonché a risolvere i problemi di integrazione, anche rivedendo le propriescelte ad esempio in tema di politiche per la riduzione del debito e migliorando lagovernance democratica. | Dichiarazione di Anna Maria Furlan.

La CGIL parla invece di «fallimento del modello sociale europeo» che ha prodotto pessimecondizioni di lavoro e maggiore disuguaglianza. Il rischio è «la fine dell’Ue» sostiene la CGILchiedendo alla CES di mobilitarsi per fare pressione sulle istituzioni comunitarie per un«cambio di direzione». | La posizione della CGIL

Giustizia, democrazia e solidarietà sono invece le parole-chiave della reazione diComisiones Obreras (Spagna), critica come sempre nei confronti dell’austerity e dellepolitiche neo-liberiste e fautrice di un cambiamento radicale nella costruzione europea.

Infine, i finlandesi di Akava sottolineano come le iniziative che l’Ue sta adottando per ilmiglioramento delle condizioni di lavoro (rafforzamento delle relazioni industriali per ilavoratori precari e aggiornamento della direttiva orari di lavoro) «potranno progrediremeglio senza l’opposizione britannica».

5.Le posizioni in campoBrexit annuncia una procedura di divorzio ma non la attiva: l’articolo 50 del Trattato diLisbona che stabilisce le procedure per l’eventuale uscita di un Paese dall’Ue, e che inrealtà era stato introdotto nei Trattati pensando alle fragili democrazie dell’est Europa,prevede che sia il Paese che vuole abbandonare a depositare formale richiesta di avviodella procedura.

Come si sa i tempi si annunciano incerti e non brevi: da una parte, infatti la Commissioneeuropea e il Parlamento europeo, istituzioni comunitarie a valenza sovra-nazionalechiedono tempi brevi e una procedura rapida (vd. sopra), dall’altra però sono in molti arallentare.

5.1. La posizione del Regno Unito

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Rallenta per primo il “Paese uscente” alleprese con divisioni potenzialmentedeflagranti sia all’interno del partito digoverno, sia tra le diverse anime di un RegnoUnito che è difficile continuare a chiamarecosì.

La scena politica nazionale è cambiataradicalmente all’indomani di Brexit: DavidCameron si è dimesso e ha lasciato il posto diPrimo ministro a Theresa May (già ministro

dell’Interno e fautrice di politiche migratorie massimamente restrittive) la quale hanominato ministro degli Esteri Boris Jhonson (già stratega della campagna per il Leaveorganizzata dal suo partito).

Già nelle prime dichiarazioni ufficiali di Johnson (siamo a metà luglio) si scorge il disegno:abbandonare l’Ue ma salvaguardare le relazioni con l’Europa «rimodellando e allargandoulteriormente il profilo della Gran Bretagna».

«Dobbiamo chiaramente dare corso alla volontà del popolo – prosegue il ministro degliEsteri - questo però non implica sotto nessun profilo abbandonare l'Europa. C'è unamassiccia differenza tra l'uscita dall'Unione e i nostri rapporti con l'Europa che, semmai,saranno intensificati».

Il dicastero per la Brexit, non ancora al completo perché alla ricerca dei profili migliori peraffrontare un negoziato senza precedenti, è stato affidato a David Davis che sembra giàin qualche imbarazzo avendo definito «molto improbabile la permanenza del suo Paesenel mercato unico» e avendo incassato da May il rifiuto a commentare, non disgiunto dallasottolineatura di ciò che a Londra preme di più: il controllo sugli ingressi degli immigraticomunitari nel Regno Unito e «un accordo giusto» per gli scambi commerciali.

Dal punto di vista territoriale, Londra, l’Irlanda del nord e soprattutto la Scozia (la cuipremier Nicola Sturgeon è stata ricevuta a Bruxelles all’indomani della consultazionereferendaria) chiedono a gran voce un secondo referendum – che quasi certamente nonci sarà – o in subordine chiedono di potersi pronunciare sulla loro indipendenza dal RegnoUnito.

Proprio questa (che si concretizzerà in unsecondo referendum sull’indipendenza)potrebbe essere la strada scelta daEdimburgo. Sturgeon ha infatti definito ilnuovo voto «altamente probabile». I sondaggidanno in vantaggio i fautori dell’indipendenza,ma anche qui i tempi saranno lunghi, non soloperché la premier scozzese viene da unreferendum perso (e sarà quindi cautanell’indirne un altro) ma anche perché, primadi lasciare Londra per Bruxelles sarà necessario tutelare l’economia scozzese, fortementeindebolita dalla caduta dei prezzi del petrolio, e chiarire lo scenario della politicamonetaria: un’eventuale Scozia indipendente da Londra e che resta nell’Ue avrà la sterlinao l’euro?

Infine, un’ulteriore ragione di rallentamento da parte britannica è quella che guarda oltreAtlantico: prima di depositare la “domanda di divorzio” Theresa May aspetta di sapere ilrisultato delle elezioni americane, in cui la vittoria di Donald Trump disegnerebbe uno

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scenario del tutto favorevole all’accelerazione della Brexit, diversamente da quantoavverrebbe con la vittoria di Hillary Clinton. Non a caso la premier britannica, inun’intervista rilasciata alla viglia del G20 di Hangzhou ha preannunciato «tempi difficili»confermando che i negoziati non cominceranno prima del prossimo anno.

«Non ci sarà – ha confermato May – un secondo referendum: Brexit is Brexit».

5.2. Germania Italia e Francia: chi rallenta e chi accelera

Tra i frenatori del divorzio Brexit figuraanche, come si sa, la Cancelliera tedescaAngela Merkel che punta a mettersi allaguida di un direttorio d’Europa (Merkel,Hollande, Renzi) e a guidare il negoziatocon Londra per il quale vuole unadimensione intergovernativa. Da segnalareche ancora più deciso di lei su questoaspetto è l’attuale ministro delle Finanze

tedesco Wolfgang Schäuble che in caso di sconfitta di Merkel potrebbe diventareCancelliere.

Merkel ha bisogno di tempo per ragioni:

storiche: meglio non rinverdire l’immagine storica di una Germania acerrima nemica delRegno Unito, proprio nell’anno in cui tra l’altro il Parlamento tedesco vara il libro biancosulla difesa;

economiche: molti attori economici tedeschi hanno importanti interessi sui mercatifinanziari britannici e quindi hanno necessità di una separazione non troppo brusca;

politiche: Angela Merkel è oggi impegnata nella preparazione della competizioneelettorale del 2017 e non ha interesse ad accelerare.

Accanto alla Germania si stanno schierando, progressivamente e con geometrie variabilitutti quei Paesi, in particolare ad est (ma non si può dimenticare l’Austria che ad ottobreha un appuntamento elettorale importante), che sono oggi a forte vocazione populista enazionalista e che dall’allungamento del negoziato sperano di ricavare qualcosa in terminidi posizionamento nel contesto Ue.

Non stanno invece tra i frenatori né il premier italiano Matteo Renzi che interpreta il postBrexit come occasione per ridare all’Italia un ruolo importante in Europa, né FrançoisHollande che va incontro a una grave sconfitta alle prossime elezioni presidenziali francesi(maggio 2017) e per il quale un successo in politica internazionale potrebbe rappresentarese non un rilancio, quanto meno un’azione di “riduzione del danno”.

6. Sarà vera Brexit?Anche se a questo punto pare incontrovertibile il non rifacimento del referendum, vadetto che non si tratterebbe di una situazione inedita: la possibilità di ripetere laconsultazione referendaria fu offerta, anzi, è il caso di dire che fu costruita, per laDanimarca che nel 1992 disse no al Trattato di Maastricht e per l’Irlanda che disse no siaal Trattato di Nizza (2001) sia al Trattato di Lisbona (2008). Si trattava però di Paesi piccolinei confronti dei quali non fu difficile argomentare sui costi e sulle conseguenze dellamancata ratifica dei Trattati.

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Quando è accaduto che a mettersi di traverso sul cammino dell’integrazione europea sonostati Paesi “più importanti”, perché fondatori o perché complessivamente con un pesomaggiore, la procedura del “rifarendum” non è stata possibile.

Le istituzioni comunitarie scelsero allora un’altra strada: trasferendo in un nuovostrumento giuridico tutti i contenuti che avevano riscontrato opposizione, temperandolia sufficienza per superare le pregresse resistenze.

Fu così, ed è il caso più celebre, che quando nel 2005, Francia e Paesi Bassi feceronaufragare il Trattato costituzionale europeo: i contenuti più rilevanti di quel testovennero integrati nel Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009 che perse però quelvalore di “Costituzione” a vantaggio di una più spiccata vocazione intergovernativa.

I tempi di chiusura della procedura di divorzio sono molto lunghi: il Trattato li determinain due anni ma con possibilità di proroghe più che probabili e difficili da determinare perdurata.

«I negoziati dureranno anni e anni ma la questione britannica non deve monopolizzare l’attenzionedei cittadini europei che hanno altre preoccupazioni»

Herman Van Rompuy,

già presidente del Consiglio europeo

01 settembre 2016

Il rischio di una situazione di “travasamento” analoga a quella del 2005 è tutt’altro cheremoto.

In questo caso, ed è l’obiettivo del Regno Unito, potrebbero rientrare dalla finestra alcunedelle condizioni che il Regno Unito aveva posto per restare e che sono “uscite dalla porta”con la vittoria del Leave.

Potrebbe profilarsi la situazione di un Regno Unito:

fuori dall’Ue cioè non tenuto a rispettare le norme in materia di libera circolazione,per non dire delle normative sui diritti, del rispetto delle competenze esclusive dell’Ue edel coordinamento delle politiche; ma con un «piede dentro» saldo e stabile in quel mercato unico a cui Londra vuolecontinuare ad avere accesso e da cui non vogliono escluderla tutti quei Paesi che hannonella City e nei mercati finanziari interessi importanti.

È questa l’eventualità che nelle Cancellerie d’Europa si sta cercando di fronteggiare,possibilmente evitando che proprio nel sessantesimo anniversario del Trattato di Roma sisacrifichi ai rapporti Ue – Regno Unito una delle quattro libertà fondamentali, definitacome pilastro dell’integrazione europea appunto quella libera circolazione delle persone(le altre tre libertà di circolazione riguardano le merci, i capitali e i servizi) che nelnegoziato pre-Brexit è stata a lungo dibattuta.

Ad oggi la premier britannica Theresa May, in perfetta coerenza con l’obiettivo del suoPaese ha avviato colloqui bilaterali con alcuni Paesi con l’intento forse di sondare ilterreno e portasi avanti in vista del vero e proprio negoziato (2017); sullo sfondo anchel’ipotesi di accordi commerciali bilaterali. Del resto, May non ha mai fatto mistero di volerfare del suo Paese un «leader mondiale del libero scambio» e in questa direzione si era giàmossa sia nella formazione del suo governo (istituendo il ministero del Trade in una fasedi stallo dei negoziati sul TTIP, Transatlantic Trade and Investment Partnership, -Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti) sia al G-20 proponendo

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accordi bilaterali ad Australia, India e Corea del Sud, con tempi quantomeno precoci (chehanno irritato non poco l’Ue e la Germania) rispetto all’avvio della procedura di divorzio.

Ventotene: l’Europa ricomincia di tre

di Franco Chittolina

A volte, in politica, simboli e parole

possono servire. Fu certamente il caso a

Ventotene, dove Altiero Spinelli ed Ernesto

Rossi nel 1941 lavorarono alla stesura del

“Manifesto” federalista europeo: era forte

il simbolo di quell’isola, dove esiliati dal

fascismo, nel buio della guerra,

intravvidero la luce in un’Europa libera e

democratica ed erano audaci e profetiche

le parole del progetto federale, proposto a

nazioni europee in guerra fra di loro.

È presto per sapere se qualcosa di simile si

potrà dire per l’incontro del 22 agosto

2016 a Ventotene di Matteo Renzi con

Angela Merkel e François Hollande.

Il simbolo dell’isola è stato in parte

oscurato dalla scelta, dettata non solo da

motivi di sicurezza, di tenere il Vertice sulla

portaerei Garibaldi, una nave da guerra,

per ora utilizzata solo in missioni di

sicurezza e umanitarie nel Mediterraneo.

Le parole pronunciate dai tre leader sono

state a tratti coraggiose, senza essere

audaci nel rilanciare il progetto europeo

dopo Brexit, evitando accuratamente di

parlare di un’Europa federale e con un

occhio attento alle scadenze elettorali di

ciascuno.

Tutto è ruotato attorno al numero “tre”.

Tre leader dei tre principali Paesi Ue, dopo

la scelta della Gran Bretagna (forse) di

andarsene, confrontati a tre crisi che si

avvitano l’una sull’altra: quella economica

e sociale dalla quale continuiamo a non

uscire, quella delle migrazioni che

affrontiamo in ordine sparso e quella della

sicurezza, minacciata da guerre ai nostri

confini e dal terrorismo in casa nostra.

Tre anche le principali proposte emerse

dall’incontro di Ventotene: un impegno per

la crescita, rafforzando gli investimenti, in

particolare nella cultura e per i giovani, ma

senza mettere a rischio la stabilità

finanziaria, una maggiore attenzione

all’area sud dell’UE e alla vicina Africa,

coinvolte insieme nei flussi migratori da

gestire a livello europeo e la creazione di

una guardia costiera europea per vigilare

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su frontiere finalmente considerate

comuni.

Nulla di rivoluzionario, in una stagione

dell’Europa che pure di un balzo in avanti

avrebbe bisogno anche se i nostri politici

sono convinti che i tempi grami che viviamo

non lo consentano. Troppe le scadenze

elettorali a rischio, a cominciare da quelle

dei prossimi giorni nel Laender tedeschi per

continuare con il referendum

costituzionale in Italia e, l’anno prossimo in

primavera, le elezioni politiche in Olanda e

presidenziali in Francia e quelle in autunno

per la Cancelleria in Germania. Senza

dimenticare il contorno di altre possibili

turbolenze nazionali, già a inizio ottobre,

con il referendum ungherese sui migranti e

il ri-ballottaggio per la Presidenza

austriaca, sempre sperando che in Spagna

si riesca, dopo due tentativi elettorali, a

comporre il governo.

Tutto questo per limitarci all’Unione

europea, mentre altre vicende importanti

sono in corso al di fuori dell’Ue: dal

traccheggiamento britannico del dopo

Brexit alle elezioni americane di novembre,

mentre continuano i massacri in Siria e

dintorni, con la Russia che torna a giocare

un ruolo crescente e a premere sull’Ucraina

e la NATO che vive in stato di allerta.

In uno scenario del genere non era proibito

sognare un colpo di reni dei tre ospiti di

Ventotene, ma senza dimenticare che la

politica è spesso l’arte del possibile e che

talvolta solo la disperazione – o l’audacia –

riesce a trasformarla nel coraggio

dell’impossibile, come avvenne durante la

guerra a Ventotene con Spinelli, Rossi e

Colorni con il loro Manifesto ma anche in

altri luoghi e ad altre persone: si pensi ad

esempio al progetto di Costituzione

europea di Duccio Galimberti o alle

tuonanti parole di Luigi Einaudi contro i

mostri delle sovranità nazionali.

Redazione:Marina Marchisio, Miriam Ferrari, Paola Bordi, Luis Lageder, Tino Fumagalli

Con il contributo di In collaborazione con

FNP – Lombardia Associazione per l’incontro

delle culture in Europa (APICE)

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