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trimestrale transardennese dei traduttori italiani Direzione generale della Traduzione – Commissione europea http://ec.europa.eu/translation/italian/magazine Inter@lia 45 Maggio 2010 SOMMARIO Pag. CULTURALIA Europeana - Un luogo per le idee e l’ispirazione (Laura Boselli) 2 France Russie - Russie France (Giulia Gigante) 5 Per un Neoumanesimo digitale (Raphael Gallus) 9 TERMINOLOGIA Cittadinanza e nazionalità (Lara Arbertinazzi) 11 Non-national citizen (Francesca Nassi) 14 La firma degli atti: una exception française? (Giorgio Tron) 17 EVENTI IX giornata REI (Francesca Nassi, Laura Boselli) 19 Il festival delle capanne (Giulia Gigante) 21 IL PELO NELL’UOVO Divagazioni sulla pratica del tradurre (Domenico Cosmai) 22 Comitato di redazione: L. Boselli , R. Gallus , C. M. Gambari , G. Gigante , F. Nassi , D. Vitali , Collaboratori: L. Albertinazzi , D. Cosmai , G. Tron Grafica: O. Maffia

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trimestrale transardennese dei traduttori italiani Direzione generale della Traduzione – Commissione europea

http://ec.europa.eu/translation/italian/magazine

Inter@lia

45

Maggio 2010

SOMMARIO

Pag.

CULTURALIA Europeana - Un luogo per le idee e l’ispirazione (Laura Boselli) 2

France Russie - Russie France (Giulia Gigante) 5 Per un Neoumanesimo digitale (Raphael Gallus) 9

TERMINOLOGIA Cittadinanza e nazionalità (Lara Arbertinazzi) 11

Non-national citizen (Francesca Nassi) 14

La firma degli atti: una exception française? (Giorgio Tron) 17 EVENTI IX giornata REI (Francesca Nassi, Laura Boselli) 19 Il festival delle capanne (Giulia Gigante) 21 IL PELO NELL’UOVO Divagazioni sulla pratica del tradurre (Domenico Cosmai) 22

Comitato di redazione: L. Boselli, R. Gallus, C. M. Gambari, G. Gigante, F. Nassi, D. Vitali, Collaboratori: L. Albertinazzi, D. Cosmai, G. Tron Grafica: O. Maffia

EUROPEANA Un luogo per le idee e l’ispirazione

Culturalia - Europeana

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Europeana, la biblioteca multimediale online europea, è considerata uno dei maggiori progetti culturali della storia. Presentata ufficialmente nel novembre del 2008, raccoglie attualmente oltre 6 milioni di opere in 23 lingue, digitalizzate e consultabili direttamente.

L’idea di sfruttare le potenzialità di Internet per raccogliere l’immenso patrimonio culturale europeo e metterlo a disposizione di tutti gratuitamente prende forma nel 2005, quando la Commissione pubblica la comunicazione "i2010: le biblioteche digitali" nell’ambito del progetto più ampio di rendere facilmente accessibile online l’informazione a livello europeo.

Il giorno del lancio ufficiale Viviane Reding, all’epoca commissaria europea per la Società dell'informazione e i media, ha definito Europeana “il museo del nostro sapere comune”, enfatizzando l’importanza di favorire la cultura, il sapere e il progresso scientifico dando a chiunque la possibilità di accedere, in una sorta di Grand Tour virtuale, a materiale digitalizzato contenuto in musei, biblioteche, archivi e collezioni di audiovisivi di tutta Europa.

Europeana raccoglie libri, mappe, registrazioni, fotografie, documenti d’archivio, dipinti e filmati provenienti dalle biblioteche nazionali e dalle istituzioni culturali dei 27 Stati membri. Tramite un’interfaccia di ricerca estremamente intuitiva è possibile esplorare il patrimonio europeo – letteratura, arte, scienza, politica, storia, architettura, musica o cinema – come se tutte le opere fossero raccolte in un’unica, immensa collezione.

Il sito attuale è il risultato di un progetto avviato nel 2007 (i cui membri fondatori sono la Bibliothèque Nationale de France, la Biblioteca Nacional de España, l’Institut National de l’Audiovisuel francese e la Koninklijke Bibliotheek olandese) e fa seguito al prototipo di biblioteca on line Gallica messo a punto dalla Biblioteca nazionale francese.

Dopo una versione provvisoria messa in linea nel 2007, il giorno del lancio ufficiale di Europeana (20 novembre 2008) la risposta degli utenti è stata entusiastica e di gran lunga superiore alle aspettative, tanto da rendere necessaria la chiusura del sito dopo poche ore perché i server non erano in grado di reggere il traffico esorbitante di 5 milioni di connessioni l’ora. Questo inconveniente ha avuto una certa risonanza sulla stampa europea, raccogliendo numerose critiche per la presunta inadeguatezza dell’impianto tecnologico approntato dalla European Digital Library Foundation, che ha sede all'Aia ed è incaricata della gestione del progetto. Tuttavia, nel comunicato stampa prontamente diffuso dalla Commissione, l’episodio viene letto come una testimonianza incoraggiante dell'interesse dimostrato dai cittadini, anche oltre i confini dell'Europa, e come stimolo a raddoppiare gli sforzi anche sul piano tecnico.

Culturalia - Europeana

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Come accennato, Europeana contiene testi, spartiti, registrazioni audio, video e immagini conservati in musei, gallerie, archivi e biblioteche di tutta Europa. Le prospettive di espansione del patrimonio consultabile sono molto ambiziose e, secondo il progetto, nel 2015 il numero delle opere dovrebbe raggiungere i 15 milioni.

Dire che Europeana “contiene” le opere, però, non è del tutto corretto: Europeana non ospita fisicamente le opere in una banca dati centrale, bensì opera come una sorta di meta motore di ricerca (o un indice centrale di metadati). Le opere messe a disposizione sono ospitate sui siti delle istituzioni che partecipano al progetto ed Europeana funge da punto di accesso alle diverse banche dati. I risultati delle ricerche sono descrizioni tematiche delle opere, contenenti informazioni sull’elemento trovato e il collegamento al sito dell’istituzione o dell’ente che lo mette a disposizione. Dal punto di vista del ricercatore questa struttura consente di accedere non solo all’opera cercata, ma anche al suo contesto e ai materiali associati e di ampliare e approfondire la ricerca con pochi clic.

Nell’ottica di creare un’esperienza multimediale completa e “2.0”, i materiali di vario formato sono accessibili da un’unica piattaforma, o spazio, dove è possibile guardare immagini, leggere testi, ascoltare audio e visionare filmati senza dover utilizzare applicazioni diverse.

Europeana si basa sulla libera disponibilità dei materiali proposti. Attualmente sono infatti accessibili esclusivamente opere di pubblico dominio, ossia non coperte dal diritto d’autore, e sono esclusi i libri fuori catalogo e le opere anonime. Questo rappresenta un handicap perché i libri fuori catalogo costituiscono all’incirca il 90% dei fondi posseduti dalle biblioteche nazionali. Non sono ancora del tutto risolti i problemi legati al processo di digitalizzazione, dovuti soprattutto ad un quadro giuridico per la tutela dei diritti d'autore in Europa ancora troppo frammentato. Per il futuro si prevede tuttavia di includere anche opere protette da copyright messe a disposizione dai titolari dei diritti.

Per quanto riguarda le modalità di consultazione, le ricerche possono essere effettuate in maniera tradizionale immettendo nome dell'autore, titolo dell'opera, data o argomento e affinando i risultati per paese, per data, per fonte e per lingua. Oppure si può intraprendere un "viaggio nel tempo" scorrendo il navigatore cronologico, che raggruppa le opere per anno.

Culturalia - Europeana

L’Italia, duole dirlo, è quasi il fanalino di coda, con un misero 1,2% di materiale messo a disposizione. Poiché per il nostro paese partecipano al progetto anche la Biblioteca nazionale centrale di Firenze e il ministero per i Beni e le attività culturali, è auspicabile che il contributo italiano cresca in maniera significativa, per scongiurare la delusione di non trovare opere cardine della cultura italiana.

L’aspirazione di Europeana è di arrivare a coprire in modo equo tutti gli Stati membri e in una pagina del sito sono elencati i paesi dei quali si incoraggia la partecipazione. Per il futuro è annunciata inoltre un’evoluzione importante: si prevede di rendere Europeana interattiva consentendo agli utenti di contribuire attivamente al progetto alimentando direttamente il patrimonio consultabile.

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Buone ricerche su europeana.eu!

Laura Boselli

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L'utente può creare un profilo e disporre così di una sezione personale sul sito (My Europeana) in cui salvare i risultati delle ricerche, organizzarli attribuendo dei tag, salvare le opere per visualizzarle in un momento successivo oppure condividere con altri le opere consultate.

Infine, per quanto riguarda la provenienza dei contenuti, attualmente partecipano al progetto oltre 1000 istituzioni culturali, ma la ripartizione per Stati membri purtroppo è tutt’altro che uniforme: la Francia contribuisce con il 54% del materiale consultabile (ma si parla di un paese che ha già digitalizzato oltre il 50% delle proprie biblioteche ed ha avuto il ruolo di iniziatore dell’intero progetto), i Paesi Bassi e il Regno Unito forniscono buona parte del restante contenuto e la Germania ha recentemente annunciato di voler contribuire all’archivio di Europeana con il patrimonio di oltre 30 000 biblioteche.

Cosa significa “EUROPEANA”? Il nome EUROPEANA ha origine greco-latina e significa "collezione europea", in allusione al suo ricco contenuto culturale e ai diversi tipi di supporti disponibili (libri, giornali, fotografie, mappe, film e documenti sonori). Vi sono molte e importanti biblioteche e raccolte di opere su autori e luoghi specifici che portano nomi di questo tipo, ad esempio Bibliotheca Alexandrina,

Gallica, Belgica, Bodleiana, Luxemburgensia, Kantiana, Voltairiana [http://ec.europa.eu/information_society/activities/digital_libraries/europeana/index_it.htm]

Culturalia - France-Russie

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FRANCE-RUSSIE

RUSSIE-FRANCE

Quest’anno in Francia la cultura si declina alla russa e in Russia alla francese. Con una grandiosa iniziativa intitolata “France-Russie 2010” che porterà a Parigi e in tutta la Francia il fior fiore della cultura russa con mostre, spettacoli teatrali, concerti, balletti e molto altro ancora mentre, in parallelo, l’arte, la letteratura, la musica e il teatro francesi domineranno la scena a Mosca, Pietroburgo e in molte altre città russe, si apre una nuova pagina nei rapporti tra la Francia e la Russia.

L’evento viene a suggellare una tradizione che risale all'Illuminismo, periodo in cui si diffuse in Russia un grande entusiasmo per il pensiero di Voltaire e degli altri philosophes, un interesse alimentato anche da Caterina II che ebbe una fitta corrispondenza con Diderot, che dal 1773 al 1774 fu suo ospite a San Pietroburgo, Voltaire e D’Alembert. Nell'Ottocento la lingua francese ebbe un'enorme diffusione in Russia giungendo a soppiantare in molte famiglie nobiliari l'uso della lingua russa nella conversazione familiare e nei salotti. Il grande poeta Puškin, che al ginnasio eccelleva in francese, era addirittura soprannominato dai compagni di scuola "il francese". Un grande influsso sulla letteratura russa coeva ebbero le opere di Zola e Balzac (particolarmente amato da Dostoevskij), mentre Lev Tolstoj dichiarò di aver capito cos'era la guerra leggendo Stendhal.

I francesi invece "scoprirono" la letteratura russa solo alla fine dell'Ottocento quando vennero pubblicate innumerevoli traduzioni e il diplomatico e uomo di lettere De Vogüé pubblicò uno studio dedicato al romanzo russo rivelando il genio di Dostoevskij.

Con le diverse ondate dell'emigrazione russa, a partire dall'esilio volontario o forzato a seguito dello scoppio della rivoluzione d’Ottobre fino all'ondata più recente dopo la caduta della cortina di ferro, Parigi diventò la capitale dell'emigrazione russa. Gli scrittori e i pittori, i musicisti e gli artisti di teatro affluiti dalla Russia hanno dato vita ad iniziative culturali di tutti i generi con la creazione di riviste e giornali in russo e di case editrici, l'organizzazione di happening e spettacoli contribuendo ad arricchire la vivacità culturale della città.

“France-Russie” offre un’opportunità unica per scoprire la cultura dell’altro paese in tutti i suoi aspetti; le proposte spaziano infatti dalla poesia alla danza, dal teatro di prosa all’arte antica, dalla musica alla fo t og r a f i a , da l l ’ a r t e contemporanea agli scacchi, dal cinema alle marionette, dalla scherma ai gemellaggi tra città, senza dimenticare gli incontri tra esperti di discipline diverse, nel campo dell’informatica, delle scienze, della tecnologia, della ricerca e dell’innovazione.

I due paesi si rispecchieranno l’uno nell’altro e i programmi sono entrambi di estremo interesse. Per ovvi motivi ci asterremo dal descrivere nel dettaglio le manifestazioni francesi in Russia ricordando en passant solo la suggestiva trovata del treno degli scrittori che porterà da Mosca a Vla divos t ok lu ngo la Transiberiana un gruppo di s c r i t t o r i f r a n c e s i rappresentativi della narrativa c o n t e m p o r a n e a . Il programma degli eventi russi in Francia è, a sua volta, talmente fitto di appuntamenti che è impossibile riportarlo per intero.

Ci limitiamo a segnalare alcuni eventi particolarmente significativi e rimandiamo il lettore al sito ufficiale che, benché un po’ farraginoso, elenca tutte le iniziative: http://www.france-russie2010.fr

Culturalia - France-Russie

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LETTERATURA

La manifestazione France-Russie rappresenta anche un’occasione preziosa per la diffusione della letteratura russa contemporanea che, al di là di alcuni nomi, resta sostanzialmente poco nota. In questo contesto particolarmente interessante si profila la pubblicazione di un’Anthologie de la poésie russe contemporaine (1989-2009) con 240 pagine di versi di un centinaio di poeti del nostro tempo e le Printemps des poètes, una rassegna itinerante tra Parigi, Lione, Montpellier, Nantes, Montauban, Tinqueux, Poitiers e Saint Martin d'Hères cui prenderanno parte cinque poeti russi tra cui Sergej Gandlevskij e Lev Rubinštein.

Il Salon du livre de Paris quest’anno ha avuto come ospite d’onore la Russia, rappresentata da un autore popolare come Viktor Erofeev e numerosi altri.

Alle Assises internationales du Roman di Saint-Malo (24-30 maggio) parteciperanno i narratori Vladimir Sorokin e Leonid Giršovi•.

Un evento singolare si profila con gli incontri di poesia di autori dei diversi paesi degli Urali che si svolgerà in novembre a Parigi. Nello stesso periodo, ad Arles, avranno luogo le Assises de la Traduction Littéraire, con incontri, letture, laboratori di traduzione e una tavola rotonda sulla letteratura russa contemporanea.

L’Università della Sorbona organizza un convegno di studi per il centenario della morte di Lev Tolstoj (9 - 10 novembre) e la Bibliothèque Publique di Parigi una conferenza dedicata agli scrittori russi e l’esilio (D'Encre et d'Exil, 26 - 28 novembre).

TEATRO MUSICA e DANZA

A dominare la scena teatrale sarà l'Autunno teatrale russo che porterà a Parigi, a Bordeaux e in Normandia allestimenti dei migliori registi russi contemporanei. Discutibile, ma di sicuro interesse è la messa in scena della commedia Il matrimonio di Gogol ad opera di Valerij Fokin (in tournée in tutta la Francia a partire dal 29 settembre). Oltre a spettacoli per bambini (Baba Jaga e Domovoj) e stages di arte drammatica, si segnalano tra i numerosi spettacoli una creazione del giovane regista Dimitrij •ernjakov ispirata alle novelle di •echov (Orléans, novembre), un testo di grande attualità del

drammaturgo contemporaneo Ivan Viripaev (Juillet, al Théâtre Dunois di Parigi dall'8 al 19 dicembre), la messa in scena del celebre Entre chien et loup di Saša Sokolov (dall'11 al 21 novembre al Théâtre national di Bordeaux) di Andrej Mogu•ij del teatro Aleksandrinskij e una produzione del regista Alvis Hermanis di Riga incentrata su alcuni racconti siberiani di Šukšin (Lyon, Théâtre des Célestins, 17, 18 e 19 novembre). Tra le iniziative in campo musicale, che si distinguono per la ricchezza del programma offerto e che vi invitiamo a scaricare dal sito di France Russie, segnaliamo il concerto dell'Orchestra nazionale filarmonica della Russia, diretto da Vladimir Spivakov a Parigi (Champ de Mars) il 12 e 13 giugno. Ugualmente vasto si presenta il programma degli spettacoli di danza che vedrà in tournée nelle principali città francesi le più interessanti compagnie di ballo della Russia.

Culturalia - France-Russie

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ARTE L'evento più significativo sul fronte dell'arte è la mostra L’art russe, des origines à Pierre le Grand al Louvre (fino al 24 maggio). Attraverso una carrellata di oltre quattrocento opere provenienti da musei e biblioteche russi, l'esposizione segue l'evolversi dell'arte russa lungo mille anni di storia, dall'arte bizantina fino alla produzione dell'epoca petrina. Successivamente (a partire dal 14 ottobre), il Louvre propone un percorso attraverso la creazione contemporanea che si snoda lungo i lavori di una dozzina di artisti provenienti da tutta la Russia. Anche la città di Blois nella Loira offre una mostra legata alla contemporaneità con •arte blanche à Ilya Gaponov - zoom sur l'art contemporain russe che, dal 26 giugno al 29 agosto, presenta le opere di un artista emergente che rappresenta una sorta di ponte tra la cultura russa, cui appartiene per nascita e debutto artistico, e quella francese cui si è legato proseguendo i suoi studi all’École nationale supérieure des Beaux-Arts di Parigi.

Agli artisti specificamente moscoviti o comunque in qualche modo legati a questa città è invece dedicata la mostra Moscou dans la valise che si svolgerà, a partire dal 5 maggio, a Romainville, località degli immediati dintorni della capitale. Dal 13 al 24 maggio il salone degli antiquari di Digione ospita una serie di quadri di artisti pietroburghesi moderni e contemporanei dedicati alla loro città.

CINEMA

Lungo tutto l'arco dell'anno, la Francia ospita numerose manifestazioni dedicate al cinema russo con proiezioni di film attuali e d'epoca, retrospettive (Michalkov, Kon•alovskij e Tarkovskij), dibattiti e incontri che hanno luogo in svariate località del paese: Argenteuil, Bègles, Orléans, Strasburgo ("9ème Quinzaine du cinéma russe"), Nizza ("Hommage au cinéma russe"), Limoges (Festival du cinéma russe), Bordeaux (Les soirées du cinéma russe), Saint-Malo (Festival International du Livre et du Film "Etonnants voyageurs"), Tolosa (Kinojudaïka), (Journées romantiques), Marsiglia (Festival International du Documentaire), Cannes ("Nijinsky" e " Portraits de villes : Moscou et Saint-Pétersbourg") e naturalmente la capitale.

A Parigi vi saranno molteplici iniziative come la proiezione in anteprima del film "12" di Michalkov seguita da un corso di master con il regista, una manifestazione dedicata al cinema per l'infanzia ("Ecran des enfants"), i "martedì russi" presso il cinema Lincoln che presentano, un martedì al mese, un film russo, tra cui alcuni inediti, e gli appuntamenti del cinema Balzac dedicati alla (ri)scoperta del patrimonio cinematografico russo cui si aggiunge un omaggio alla produzione cinematografica di Ejzenštejn, organizzato dalla Cinémathèque française.

Nikita Michalkov

Culturalia - France-Russie

Giulia Gigante

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CURIOSITÀ

Per concludere il “viaggio russo” attraverso la Francia si può cogliere l’occasione delle promenades

commentées per conoscere i luoghi russi di Parigi, come la cattedrale ortodossa Alexandre Nevskij, il

cimitero russo, la Maison Turgenev e la Ruche (la città degli artisti dove ha soggiornato, tra gli altri Chagall).

Oppure, nei mesi di aprile e di maggio, ci si può recare al Jardin d’acclimatation del Bois de Boulogne per

una passeggiata "straniante", durante la quale ascoltare concerti di musiche tradizionali che spaziano dagli

Urali al Caucaso, guardare un film, scoprire che l'artigianato russo non vuol dire soltanto matrjoške e

scatoline laccate, assistere ad improvvisazioni di danze cosacche e tzigane, assaggiare un piatto di pelmeny o

un borš•, tutto rigorosamente russo.

Culturalia - Jaron Lanier

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Per un Neoumanesimo digitale

You are not a Gadget si potrebbe definire il manifesto del nuovo Kulturpessimismus 2.0. La tesi: senza quasi accorgercene, i computer – ma soprattutto i software che li fanno operare – ci stanno rinchiudendo ("lock-in" è uno dei termini chiave dell'opera) in una realtà pericolosamente vicina a quel 1984 che pensavamo di esserci lasciati alle spalle da tempo: più o meno proprio dal 1984, quello reale, quando dalla Silicon Valley l'allora ventiquattrenne Jaron Lanier profetizzava e teorizzava un'utopica rivoluzione digitale che ci avrebbe reso per sempre felici e costantemente comunicanti. Sennonché, appunto:

Something started to go wrong with the digital revolution around the turn of the twenty-first century. The World Wide Web was flooded by a torrent of petty designs sometimes called Web 2.0. This ideology promotes radical freedom on the surface of the web, but that freedom, ironically, is more for machines than for people. Nevertheless, it is sometimes referred to as "open culture."

Un inizio (prima pagina del primo capitolo) che suona come un pugno nello stomaco; con lo scorrere delle pagine il libro si rivela un vero e proprio pamphlet neoumanista la cui lettura (peraltro assai scorrevole) consigliamo a coloro che attendevano da tempo una seria riflessione sul futuro del web; era ora che qualcuno, per dirne una, si interrogasse seriamente (verrebbe da dire drammaticamente) sull'influenza totalizzante che uno strumento come Wikipedia ha sul nostro modo di rapportarci al sapere:

Wikipedia works on what I call the Oracle illusion, in which knowledge of the human authorship of a text is suppressed in order to give the text superhuman validity. Traditional holy books work in precisely the same way. This is another of the reasons I sometimes think of cybernetic totalist culture as a new religion.

O sul modo in cui i "social networks" influenzano il modo in cui le nuove generazioni si rapportano alla realtà, riducendo il significato stesso di concetti come comunicazione o amicizia a gabbie imposteci dall'architettura limitata (e limitante) dei software che fanno funzionare i vari Facebook, My Space o Twitter:

So here is another example of how people are able to lessen themselves so as to make a computer seem accurate. Am I accusing all those hundreds of millions of users of social networking sites of reducting themselves in order to be able to use the services? Well, yes, I am. (…) A real friendship ought to introduce each person to unexpected weirdness in the other. (…) The idea of friendship in database-filtered social networks is certainly reduced from that.

Nato nel 1960 a New York, Jaron Lanier fu a suo tempo tra i massimi profeti della rivoluzione digitale: è infatti lui l'inventore del concetto stesso di "Virtual Reality", lui che per primo propose un'interconnessione tra reti informatiche, ancora lui ad aver creato il primo "avatar". Ma Lanier è anche un appassionato musicista e compositore e uno dei massimi collezionisti mondiali di strumenti musicali etnici. Un assaggio delle sue composizioni (oltre che naturalmente dei suoi scritti) si può trovare sul sito personale http://www.jaronlanier.com.

Un creativo a tutto campo, insomma. Ed è proprio alla perdita di redditività della creazione artistica, uccisa "per fame" dalla cosiddetta open culture (The people who are perhaps the most screwed by open culture are the middle classes of intellectual and cultural creation) che è dedicata la seconda parte del libro.

Culturalia - Jaron Lanier

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Ma al di là dell'aspetto economico, il pericolo vero per Lanier è la scomparsa del concetto stesso di creatività, ucciso dalla totalizzante nuvola informatica che inghiotte le opere create in passato per i media predigitali e le risputa fuori come una gigantesca marmellata informe (si pensi al modo di fruire la musica su YouTube, ad esempio), che non lascia alcuno spazio alla comunicazione tra creatore e fruitore.

Inoltre, paradossalmente, a partire dal 1990 è venuto a mancare il ruolo di stimolo precedentemente esercitato dall'evoluzione tecnologica sulla musica (stimolo che invece, per citare solo due esempi risalenti al XX secolo, aveva funzionato benissimo per Le Sacre du printemps di Stravinsky o per i grandi album dei Beatles, resi possibili dalle nuove possibilità allora offerte dalla registrazione a piste multiple): The process of reinventation of life through music appears to have stopped (…) We've forgotten how fresh pop culture can be. Where is the new music? Everything is retro, retro, retro. (…) It's as if culture froze just before it became digitally open. (…) This is embarrassing. The whole point of connecetd media technologies was that we were supposed to come up with new, amazing cultural expression. Per non parlare del pericolo che, dopo la musica, anche la scienza si inchini al totalitarismo digitale. E allora sarebbero guai. Che fare dunque? La risposta – e non poteva essere altrimenti, visto il retroterra culturale di Lanier - sta ancora nella tecnologia. Si tratta di fare un passo indietro e ricominciare ad elaborare strumenti plasmati sulla mente umana e non su schemi informatici intrappolati nel proprio autoperpetuarsi (il famigerato lock-in, appunto). Ci manca qui lo spazio per entrare nei particolari, e del resto non vogliamo rovinare al lettore la curiosità di scoprire da solo che cosa significa Telegigging, e come questa idea potrebbe stimolare la fantasia e portare in ogni casa un'esperienza artistica unica e irripetibile, o come dei minuscoli hardware che Lanier battezza Songles potrebbero risolvere il problema del file sharing che ha ormai ridotto alla fame tutti i musicisti creativi di questo mondo. Ci limitiamo a constatare che qualcuno sta lavorando per immaginare un vero e proprio Umanesimo digitale: lasciateci dire che questo è perlomeno tranquillizzante e apre nuove, forse insperate, prospettive alla fantasia e alla creatività: We should reject cybernetic totalism as a basis for making most decisions but recognize that some of its ideas can be useful methods of understanding.

Humans are free. We can commit suicide for the benefit of a Singularity. We can make culture and journalism into second-rate activities and spend centuries remixing the detritus of the 1960s and other eras from before individual creativity went out of fashion. Or we can believe in ourselves.

Jaron Lanier You are not a Gadget. A Manifesto - Londra 2010 (ancora inedito in italiano)

Raphael Gallus

Terminologia

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Cittadinanza e nazionalità

Nel linguaggio corrente i termini cittadinanza e nazionalità sono spesso utilizzati indifferentemente per indicare lo stesso concetto. Tuttavia, pur essendo percepiti alla stregua di sinonimi, si riferiscono in realtà a due nozioni distinte.

Dal punto di vista storico, la cittadinanza come status giuridico soggettivo affiora già nell'antica Grecia e nel diritto romano: in entrambi i casi designava rispettivamente l'appartenenza alla pòlis o alla civitas. Il cittadino greco o romano non godeva però di quella pienezza di diritti e doveri che sarà conquistata solo con la rivoluzione francese. La cittadinanza in senso moderno inizia infatti a delinearsi nel contesto dell'Illuminismo, dove si sviluppa grazie alle teorie dei giusnaturalisti, in particolare Locke e Rousseau, fino ad evolvere nel corso dell'Ottocento e durante le guerre mondiali per trovare la sua forma attuale nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che sancisce l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge quale componente intrinseca della cittadinanza. Sul

comunità comprensiva di tutti coloro che sono legati da caratteristiche comuni di lingua, cultura, tradizione, storia, costumi, religione o simili (si tratta della definizione generalmente accolta in dottrina: cfr. per tutti G. Falcon, Lineamenti di diritto pubblico, Cedam, 2002). Tuttavia non appare corretto risolvere il problema etichettando la cittadinanza quale nozione giuridica e la nazionalità quale concetto socio-politco o metagiuridico, come avvenuto di recente in una decisione del Tribunale di Reggio Emilia di cui si parlerà fra breve. Infatti, anche la nazionalità possiede dignità di termine specialistico facente capo al linguaggio giuridico. Lo dimostra il già citato dizionario giuridico Simone 2008, che cataloga il lessema come attinente al diritto internazionale, definendo la nazionalità il "principio di carattere giuridico-politico secondo cui le nazioni, cioè i nuclei etnici accomunati da razza, lingua, cultura e tradizioni, hanno il diritto di aggregarsi e di formare Stati indipendenti e autonomi". Nemmeno si tratta di un principio fine a se stesso, in quanto viene utilizzato nella prassi per

piano giuridico, che in questa sede ma g g i or m e n t e i n t er e s s a , l a cittadinanza è definita come "la condizione giuridica di chi appartiene ad un determinato Stato; più propriamente è l'insieme dei diritti e dei dover i che l'ordinamento riconosce al cittadino" (Nuovo dizionario giuridico, a cura di Federico Del Giudice, Simone, 2008).

difendere, ad esempio, gli interessi delle minoranze etniche e linguistiche. L'autonomia dei due concetti, che qui si vuole dimostrare, può essere ulteriormente chiarita grazie alla giustapposizione tra Stato e nazione, due entità che spesso in concreto si sovrappongono ma che richiamano idee sostanzialmente diverse: mentre la nazione costituisce

Gli elementi che compongono questa definizione possono tuttavia rientrare in un discorso sulla cittadinanza che sia anche oggetto di analisi socio-politica, soprattutto nella parte in cui si fa riferimento al concetto di appartenenza. Giova ricordare a questo proposito la definizione di cittadinanza del sociologo inglese Marshall quale "forma di uguaglianza umana fondamentale connessa con il concetto di piena appartenenza a una comunità". È forse questa sovrapposizione di punti di vista, questa commistione tra discorso prettamente giuridico e discorso socio-politico che dà adito alla confusione tra i termini cittadinanza e nazionalità. In realtà è proprio quest'ultimo che maggiormente pertiene alla sociologia, come testimonia la definizione di nazionalità come appartenenza ad una

un nucleo etnico il cui collante è rappresentato, come si diceva testé, da razza, lingua, cultura e tradizioni, lo Stato è una comunità di individui stanziata su un determinato territorio e organizzata secondo un ordinamento giuridico indipendente ed effettivo. Di conseguenza, non necessariamente il gruppo che si identifica in una medesima nazionalità costituisce un solo popolo organizzato in un solo Stato. In altri termini, non sempre la cittadinanza coincide con la nazionalità: può accadere infatti che nel territorio di uno Stato siano stanziate persone con nazionalità diverse, come dimostrano gli Stati plurinazionali. Un ottimo esempio in proposito è costituito dalla Svizzera: i cittadini svizzeri possono essere infatti, rispettivamente, di nazionalità francese, tedesca, italiana o romancia.

Terminologia

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Si può agevolmente prospettare anche l'esempio opposto, ovvero quello di persone aventi la stessa nazionalità, ma cittadinanze diverse, in quanto appartenenti a Stati diversi: è questo il caso dei gruppi di nazionalità italiana presenti in Slovenia

2. Non è consentita l'espulsione, salvo che nei casi previsti dall'articolo 13, comma 1, nei confronti […] degli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado o con il coniuge, di nazionalità italiana"

e Croazia, che hanno la cittadinanza di tali Stati, o ancora i cittadini di San Marino, evidentemente di nazionalità italiana. Anche il dizionario italiano Sabatini Coletti ascrive il lessema nazionalità al linguaggio specialistico del diritto proponendo addirittura una sinonimia tra nazionalità e cittadinanza. Senza valutare nel merito le conseguenze di tale ultima scelta, da quanto esposto finora risulta quantomeno plausibile che la cittadinanza e la nazionalità siano invero due termini che fanno riferimento a concetti sostanzialmente diversi, entrambi dotati di una precisa collocazione in ambito giuridico, il cui impiego non dovrebbe quindi avvenire in maniera indiscriminata. Tuttavia, come accennato in apertura, si constata una notevole fluidità nel loro utilizzo, anche a livello di testi normativi. Soprattutto per quanto riguarda il diritto internazionale, in numerose convenzioni e accordi si registra una schiacciante maggioranza delle occorrenze di nazionalità anche laddove il concetto espresso è, inequivocabilmente, quello di cittadinanza. La ragione risiede con tutta probabilità nel fatto che i testi in questione sono spesso redatti in inglese, lingua che per designare la cittadinanza fa uso del termine nationality, da cui deriva il calco nazionalità. Vero è che anche in inglese esiste il binomio nationality/citizenship (così come esiste in francese, nationalité/citoyenneté e in tedesco, Staatsangehörigkeit/Bürgerschaft), e infatti alcune voci in dottrina (Salazar, Rescigno) propongono di distinguere tra cittadinanza formale (nationality – legame giuridico tra cittadino e Stato) e cittadinanza sostanziale (citizenship – diritti e doveri che discendono dal suddetto vincolo giuridico). Di conseguenza, l'inglese nationality può corrispondere in italiano sia alla nazionalità, sia alla cittadinanza (sostanziale). Sta di fatto che tale distinguo non è tenuto nella debita considerazione. Invero, anche a livello di diritto dell'Unione (cfr. artt. 18, 45, 61, 77 e 246 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea) si utilizza il termine nazionalità invece del più appropriato cittadinanza.

La stessa constatazione vale per il diritto italiano. Un esempio significativo è costituito dal decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 ("Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero") nel quale compaiono entrambi i termini. Questa circostanza è suscettibile di sollevare dubbi interpretativi legittimi, come è avvenuto recentemente dinanzi a un organo giurisdizionale italiano. La disposizione interessata è l'articolo 19 del citato decreto legislativo, che così recita:

"Art. 19

(Divieti di espulsione e di respingimento) 1. In nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione.

Terminologia

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Locke

Rousseau

Il giudice di pace di Trieste, investito di un ricorso in materia di respingimento, si è giustamente interrogato sul senso del termine nazionalità impiegato al comma 2, lettera c), di detto articolo e ha dedotto che il legislatore volesse indicare un quid aliud rispetto alla cittadinanza di cui al comma 1. Rifacendosi alla differenza sostanziale tra cittadinanza e nazionalità ripresa anche in questa sede, tale giudice ha stabilito che l'articolo 19 non trova applicazione per tutti coloro che possiedono la cittadinanza italiana ma tra di essi soltanto per coloro che soddisfano altresì il requisito della nazionalità italiana (attingendo a uno degli esempi sopra riportati, la norma in discorso non sarebbe applicabile al cittadino italiano di nazionalità croata). Solo questi ultimi sarebbero quindi titolari del diritto all'unità familiare garantito dall'articolo 19.

Per ovviare alle conseguenze ominose di una simile interpretazione, il Tribunale di Reggio Emilia, statuendo su un ricorso avverso un provvedimento emesso dalla Questura della stessa città, ha rigettato l'orientamento giurisprudenziale del giudice di pace di Trieste, ritenendolo "privo di consistenza giuridica". In base all'argomentazione sviluppata dal giudice di Reggio Emilia, la nozione di nazionalità sarebbe "metagiuridica", mentre nell'ordinamento italiano non sussisterebbero norme che sanciscono la distinzione tra una nozione giuridica di cittadinanza e una di nazionalità. Secondo l'ordinanza emessa da quest'ultimo giudice, "tale termine [nazionalità] non ha alcuna specifica denotazione sul piano del linguaggio giuridico e giuridicamente deve essere ritenuto equivalente alla nozione di cittadinanza". A sostegno della sua tesi, il giudice di Reggio Emilia fa inoltre presente da un lato che anche nella giurisprudenza della Corte di cassazione i termini sono usati indifferentemente e, dall'altro, che la Convenzione europea sulla cittadinanza di Strasburgo del 7 novembre 1997 (peraltro non ancora ratificata dall'Italia) specifica all'articolo 2 che "La nazionalità è il legame giuridico tra un individuo ed uno Stato, e non sta ad indicare l’origine etnica del primo".

È tuttavia sintomatico che, in assenza di una traduzione ufficiale della convenzione (in inglese "European Convention on Nationality"), il giudice la identifichi come convenzione sulla cittadinanza, e non sulla nazionalità.

In effetti, come si è visto, la differenza tra cittadinanza e nazionalità a livello giuridico esiste ed è chiara, tanto che viene accolta sia nei dizionari giuridici sia nei manuali di diritto pubblico (per tutti il già citato Falcon).

Di fronte all'uso quasi esclusivo del termine nationality nei testi di diritto dell'Unione redatti in inglese, spetta al traduttore operare di volta in volta una scelta virtuosa, estrapolando dal contesto il significato

autentico del termine e stabilendo se la nationality si riferisca alla nazionalità o, come più spesso accade, alla cittadinanza. In questi casi il ruolo del traduttore nell'adempimento scrupoloso del suo compito può essere decisivo nell'apportare quella chiarezza e linearità cui qualsiasi testo giuridico dovrebbe aspirare.

Lara Albertinazzi

Terminologia

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Non-national citizen

Che sia impossibile far coincidere la nozione di cittadinanza con quella di nazionalità è confermato dalla definizione di cittadinanza dell'Unione europea, introdotta dal trattato di Maastricht. Descritta nel preambolo come "cittadinanza comune ai cittadini dei paesi [dell'UE]", sancita nella Parte seconda del trattato che istituisce la Comunità europea (TCE) quale modificato, la "cittadinanza dell'Unione" riceve nell'attuale articolo 20 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), ex articolo 17 TCE, la seguente definizione: "È cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell'Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest'ultima". Accanto alla cittadinanza dell'Unione, entra così a far parte del lessico giuridico la nozione di cittadinanza nazionale (national citizenship, citoyenneté nationale), che combina i due concetti di base illustrati sopra da Lara Albertinazzi: da un lato un complesso di diritti e doveri previsti dai trattati e pertinenti all'Unione in quanto nuovo soggetto giuridico, dall'altro un diverso complesso di diritti e doveri riconosciuti dall'ordinamento dello Stato membro di origine del cittadino dell'UE, o meglio dello Stato membro del quale egli possiede la cittadinanza (che può anche non coincidere con quello in cui è nato).

L'aggettivo "nazionale" viene usato, in questo caso, convenzionalmente per indicare un ambito di competenza giuridica che si avvicina di più all'ambito sociologico, ossia alla comunità di origine e di appartenenza dell'individuo.

La compresenza delle due cittadinanze nel diritto dell'Unione e nei diritti nazionali crea la necessità di norme che disciplinino l'interazione tra due universi giuridici. È chiaro infatti che la cittadinanza dell'Unione genera alcuni diritti da far valere nei confronti dei singoli Stati membri: in questo caso è fondamentale delimitare i rispettivi ambiti di competenza dell'Unione e degli Stati membri. Ad esempio, fra i diritti dei cittadini dell'Unione figurano "il diritto di godere, nel territorio di un paese terzo nel quale lo Stato membro di cui hanno la cittadinanza non è rappresentato, della tutela delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato" (articolo 20 TFUE) e "il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri" (articolo 21 TFUE). Inoltre, "ogni cittadino dell'Unione residente in uno Stato membro di cui non è cittadino ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiede", nonché "il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato" (articolo 22 TFUE).

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Quest'ultima norma costituisce uno dei fondamenti principali della nozione che qui intendo esaminare: la condizione, cioè, assai frequente, dei cittadini dell'Unione residenti in uno Stato membro di cui non hanno la cittadinanza, i quali beneficiano, grazie all'approfondimento del concetto di cittadinanza dell'Unione, di un insieme sempre più strutturato di diritti e doveri. Nel trattato, questo concetto è espresso in italiano e in francese ricorrendo esclusivamente alla nozione di cittadinanza (nel testo francese abbiamo infatti ressortissant), mentre l'inglese recita: "Every citizen of the Union residing in a Member State of which he is not a national shall have the right to vote and to stand as a candidate […] in the Member State in which he resides, under the same conditions as nationals of that State". Data la quasi sinonimia di nationality e citizenship, non stupisce che la lingua inglese ricorra alla sottile distinzione tra i due termini del binomio per differenziare i due status giuridici.

Italiano e inglese scelgono anche in seguito diverse soluzioni, a partire dalla fondamentale direttiva 93/109/CE del Consiglio, del 6 dicembre 1993, relativa alle modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo per i cittadini dell'Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non sono cittadini, dove quest'ultima espressione traduce l'inglese "citizens of the Union residing in a Member State of which they are not nationals". Per evitare di ricorrere al concetto di nazionalità (con due eccezioni: l'"elettore nazionale" degli articoli 9 e 14 e il "candidato nazionale" degli articoli 10-11), il testo italiano preferisce usare sempre e comunque il termine "cittadino", aggiungendovi eventuali attributi: laddove l'inglese parla di "principle of non-discrimination between nationals and non-nationals", l'italiano ricorre all'espressione "principio di non discriminazione fra cittadini per origine e altri cittadini", e "non-national" viene tradotto in più casi "stranieri".

La stessa tendenza si riscontra nei successivi testi giuridici che si riferiscono alla direttiva, ad esempio la “Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulla concessione di una deroga […] relativa alle modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità dei cittadini dell'Unione alle elezioni del Parlamento europeo”1, dove si introduce in nota l'espressione "cittadino dell'UE non nazionale" come traduzione di “non-national citizen of the Union”, ma non la si usa mai nel testo. La Corte di Giustizia distingue tra cittadini "nazionali" (nationals) e cittadini "non nazionali" (foreigners, punto 28) in una sentenza del 14 febbraio 19952 relativa ai redditi percepiti sul territorio di uno Stato membro da un cittadino di un altro Stato membro. Da parte sua il Parlamento europeo, in una risoluzione del 2 aprile 2009 sui problemi e le prospettive concernenti la cittadinanza europea3, "invita gli Stati membri a riesaminare le loro leggi sulla cittadinanza e ad esplorare le possibilità di rendere più agevole per i cittadini non nazionali [non-nationals] l’acquisizione della cittadinanza e il godimento dei pieni diritti, superando in tal modo la discriminazione fra cittadini nazionali e non nazionali, in particolare a favore dei cittadini dell’Unione" (punto 17). Si noti che in questo contesto il termine “non nazionali” designa, senza distinzione, tutti coloro che soggiornano in uno Stato membro senza averne la cittadinanza, che si tratti o meno di cittadini dell'UE. Comunque, a partire dalla risoluzione del Parlamento europeo, la dizione è ripresa abbondantemente in testi parlamentari italiani (si veda ad esempio il parere della XIV Commissione della Camera espresso il 17 dicembre 2009).

1 COM (2007)846.

2 Causa C-279/93, raccolta della giurisprudenza 1995 p. I-00225.

3 2008/2234(INI).

Terminologia

Ma l'inglese aveva già in precedenza influenzato l'italiano e l'espressione si riscontra, anche prima del 2009, in numerosissimi testi italiani relativi ai problemi dell'immigrazione e della cittadinanza, al diritto di libero stabilimento, di soggiorno e così via. Per fare un unico esempio di ambito giuridico, segnalatomi da Lara Albertinazzi, citerò una sentenza del tribunale di Milano del 14 gennaio 2007, nel ricorso ex art. 44 del decreto legislativo 286/98, che condanna come comportamento discriminatorio l'esclusione di cittadini “non nazionali” (non italiani) da benefici e servizi delle pubbliche amministrazioni concessi a cittadini italiani. Dal punto di vista della lingua italiana, la dizione "cittadino non nazionale" ha il difetto fondamentale di introdurre il concetto di nazionalità in un contesto non appropriato, nel quale è sostanzialmente sinonimo di cittadinanza: "cittadino non nazionale" significherebbe, in pratica, "cittadino non cittadino" in riferimento a un particolare Stato, ed è quindi un ossimoro. D'altro canto, non è facile sostituirla. Nella maggior parte dei casi, "non nazionale" è sinonimo di "straniero", espressione che si preferisce non usare in quanto percepita come 'negativa' e vagamente dispregiativa. Nel caso di un cittadino dell'UE, inoltre, l'espressione "cittadino dell'Unione straniero" imporrebbe inevitabilmente la domanda "straniero rispetto a quale Stato?", insomma non è utilizzabile in assoluto, non collegata a un contesto specifico.

L'espressione "cittadino di un altro Stato membro", conforme all'uso dei trattati (articolo 50 TFUE: "l'acquisto e lo sfruttamento di proprietà fondiarie situate nel territorio di uno Stato membro da parte di un cittadino di un altro Stato membro"), è senz'altro preferibile, ma solo laddove il contesto specifica in modo non equivocabile di quale Stato si sta parlando, cioè laddove il punto di vista è quello nazionale di un singolo Stato membro; non ha, ovviamente, senso se si parla in assoluto, ad esempio dei diritti di un cittadino di uno Stato membro X che risiede in uno Stato membro Y del quale non ha la cittadinanza, ed è questo il caso che si verifica più spesso nella normativa dell'Unione che disciplina i diritti di questa categoria di persone.

Nel complesso, l'espressione "cittadino dell'Unione non nazionale", pur essendo un conclamato calco dall'inglese, mi sembra provvisoriamente accettabile, purché preceduta da una definizione chiara ed esplicita; e il precedente "cittadinanza nazionale" dell'articolo 20 TFUE basta forse a giustificarla. Ma, ben sapendo che la mia opinione è ampiamente confutabile, invito tutti i lettori di "Inter@lia" a contestarla e a proporre soluzioni migliori.

Francesca Nassi

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Terminologia

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La firma degli atti: una exception française ?

Le nuove disposizioni (art. 289 e segg.) introdotte dal trattato sul funzionamento dell'Unione europea, l'erede del "trattato CE", distinguono tra atti legislativi e atti non legislativi. I primi sono quelli adottati mediante "procedura legislativa ordinaria", consistente "nell'adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione", o mediante "procedura legislativa speciale", nel qual caso l'adozione avviene "da parte del Parlamento europeo con la partecipazione del Consiglio o da parte di quest'ultimo con la partecipazione del Parlamento europeo". Gli atti non legislativi sono, in particolare, gli atti delegati, adottati dalla Commissione per delega di un atto legislativo, che integrano o modificano determinati elementi non essenziali dell'atto legislativo, e gli atti di esecuzione, che la Commissione adotta in virtù delle "competenze di esecuzione" che le sono conferite. I titoli degli atti della Commissione precisano ora la rispettiva qualifica "delegato/a" o "di esecuzione".

Un'altra novità è quella introdotta dall'art. 297, che prevede esplicitamente che gli atti siano firmati, nel caso della procedura legislativa ordinaria, dal presidente del Parlamento europeo e dal presidente del Consiglio e, negli altri casi, dal presidente dell'istituzione che adotta l'atto. Nella sostanza, e anche nella forma, le cose non cambiano molto. Negli atti della Commissione che non sono firmati dal presidente ma da un membro della Commissione o da un direttore generale figura ora la precisazione che chi firma, lo fa "a nome del presidente". La Commissione, secondo il suo regolamento interno, ha infatti la facoltà di "abilitare uno o più dei suoi membri ad adottare in suo nome provvedimenti di gestione o di amministrazione" o di incaricarli di "adottare il testo definitivo di un atto o di una proposta da sottoporre alle altre istituzioni" (art. 13). Può anche "delegare ai direttori generali e ai capi servizio la competenza di adottare, in suo nome, provvedimenti di gestione o di amministrazione" (art. 14). Il senso della formula che precede la firma è in ogni caso chiaro. Il fatto che il nome e la qualifica del firmatario (sia esso il presidente o una persona che agisce a suo nome) siano preceduti da "Per la Commissione" rimanda al principio della collegialità. La Commissione "agisce come organo collegiale" (art. 1), le sue decisioni sono l'espressione di una volontà collettiva e tutti i membri della Commissione ne sono collettivamente responsabili. Chi firma "rappresenta" dunque la Commissione.

Questo principio vale anche, del resto, per tutti gli atti legislativi e tutte le istituzioni. Gli atti adottati dal Parlamento e dal Consiglio si chiudono con la formula: Per il Parlamento europeo Per il Consiglio Il presidente Il presidente […] […] Anche in questo caso il senso della formula è chiaro: i presidenti firmano a nome delle rispettive istituzioni. Le versioni inglese e tedesca si presentano perfettamente concordanti con quella italiana: gli atti della Commissione sono firmati For the Commission e Für die Kommission (o Im Namen der Kommission), in quelli adottati dal Parlamento e dal Consiglio i nomi dei firmatari sono preceduti da

For the European Parliament For the Council The President The President […] […]

Im Namen des Europäischen Parlaments Im Namen des Rates Der Präsident Der Präsident […] […]

Sorprende invece non constatare la medesima corrispondenza nella versione francese:

Par le Parlement européen Par le Conseil Le président Le président […] […]

Ovviamente, lo stesso vale per Par la Commission. Non è certo in questione la legittimità di queste ultime formule, che si fonda, se non altro, su un uso pluridecennale. Ci si può tuttavia interrogare sul loro significato e sulla possibilità di considerarle corrispondenti a quelle delle altre lingue. L'interpretazione più ovvia è quella che vede in par una preposizione che introduce un complemento d'agente: l'atto è adottato "dalla" Commissione, "dal" Consiglio, "dal" Parlamento. La formula avrebbe allora lo scopo di indicare l'autore dell'atto, ossia l'istituzione che lo ha adottato. Un'indicazione che può parere superflua, dato che nella struttura stessa dell'atto (per es.: "La Commissione europea, […] ha adottato la presente decisione: […]”) è menzionata esplicitamente l'istituzione adottante. Se la si legge in questo modo, comunque, la formula perde il significato che ha nelle altre lingue, che è essenzialmente quello di indicare che il firmatario dell'atto agisce in quanto "rappresentante" dell'istituzione.

Giorgio Tron

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Eventi

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IX Giornata REI

Bruxelles, 26 aprile 2010

Il peso delle parole: come cambia l’italiano istituzionale con il trattato di Lisbona

Il 26 aprile si è svolta a Bruxelles la Nona giornata della Rete di eccellenza dell'italiano istituzionale, dedicata alle conseguenze del trattato di Lisbona sull'italiano istituzionale. La carta firmata il 13 dicembre 2007 e le novità da essa introdotte sul piano giuridico, istituzionale, ma soprattutto linguistico, sono state infatti il centro d'interesse intorno al quale hanno ruotato i vari interventi, ognuno da uno specifico punto di vista. Dopo i saluti di Gurli Hauschildt, direttrice della DGT-C, e di Elisabeth Laderchi, capo unità della DG Interpretazione, Gino Vesentini, capo del dipartimento di lingua italiana della DGT, ha approfittato dell'intervento per congedarsi dalla Direzione prima del pensionamento e per ricordare, con una sfumatura di orgogliosa commozione, gli inizi della REI nel 2005 grazie alla lungimirante iniziativa di Daniela Murillo.

Roberto Adam, capo del dipartimento Politiche comunitarie presso la Presidenza del Consiglio dei ministri italiano, è entrato subito nel merito della questione parlando delle innovazioni istituzionali introdotte dal trattato del 2007 che, potenziando la componente intergovernativa e il ruolo dell'Alto rappresentante della PESC, ha creato una sorta di 'piramide istituzionale' in cima alla quale si trova il Consiglio europeo, nonostante il peso accresciuto dei Parlamenti nazionali e del processo di codecisione. Logica continuazione del primo intervento è stato quello di Manuela Guggeis, consigliere giuridico presso la Rappresentanza italiana, dedicato alle conseguenze linguistiche delle modifiche dei trattati: particolare rilievo è stato dato alla semplificazione del corpus normativo dell'Unione e alla discriminante introdotta, nell'ambito generale degli "atti giuridici" dell'UE, tra gli atti cosiddetti "legislativi" (che formano la "legislazione" dell'UE), adottati secondo la procedura legislativa, e quelli "non legislativi" (delegati, di esecuzione o di altro tipo). Il criterio distintivo, insomma, non è più la materia degli atti, bensì la procedura di adozione, e quella che era la procedura di 'codecisione' è assunta oggi come procedura legislativa "ordinaria", con la conseguente consacrazione dell'accresciuto ruolo del Parlamento europeo.

L’intervento della collega del Consiglio Francesca Piombo ha aperto i lavori della seconda sessione, incentrata sulle “Innovazioni terminologiche”. Una presentazione concisa e mirata che ci ha ricordato soprattutto come il trattato di Lisbona non abbia richiesto una vera e propria traduzione quanto piuttosto una ricomposizione. I colleghi del Consiglio hanno tuttavia colto l'occasione per riformulare almeno un paio di passaggi nei quali, nelle precedenti versioni dei trattati, l'italiano si discostava dalle altre lingue (sostituendo quindi vocaboli pesantemente connotati e ormai evitati come “handicap” e “tendenze sessuali” con i più corretti equivalenti “disabilità” e “orientamento sessuale”).

Terminologia

L'intervento di Elisa Ranucci era incentrato sulle difficoltà poste dall'emergere di nuove formule linguistiche da convogliare nei mezzi di traduzione assistita (in particolare le memorie di traduzione) e sui problemi posti dall'abolizione dell’aggettivo comunitario. Le alternative a disposizione dei traduttori per non appesantire i testi con un uso eccessivo della formula “dell’Unione europea” sono scarse e poco convincenti (si pensi ad “eurounitario”, per ora poco rappresentato ma tuttavia presente in alcuni testi online). L'uso dell'aggettivo “europeo” da solo può causare ambiguità ma, laddove non equivoco, al momento costituisce l'unica alternativa accettabile accanto alla formula ufficiale "dell'Unione", nell'attesa forse della creazione di un neologismo (possibilmente non l'eurounitense suggerito ironicamente da un partecipante).

Dopo l'intervento di Marina Romanò (Fondazione Scuole Civiche di Milano) sull'analisi dei termini sicurezza e difesa e della loro evoluzione, Anna Simonati (Gruppo Transjus dell'Università di Trento) ha attirato la nostra attenzione sulla portata normativa del termine sanciti utilizzato in relazione ai diritti umani nella Carta dei diritti fondamentali, che sono set out in inglese, énoncés in francese ed enunciados in spagnolo. Il giornalista Giampiero Gramaglia ha enfatizzato la responsabilità dei traduttori rispetto alle scelte lessicali e stilistiche compiute. Secondo Gramaglia è cruciale che ai mezzi di comunicazione giungano informazioni già formulate (tradotte) in un linguaggio comprensibile, efficace e trasparente, per scongiurare errori, imprecisioni e, in definitiva, per evitare che ai cittadini vengano convogliati messaggi fuorvianti che vanno a scapito dell'immagine dell’Unione. Sollecitandoci ad "essere creativi" anche a costo di discostarci dal testo originale, l’autore ha sollevato qualche dissenso nei presenti, ben consapevoli dell’importanza di evitare il più possibile ambiguità e incoerenze (parlando ad esempio di “diplomazia europea” per evitare l’acronimo poco trasparente "SEAE").

L’animata sessione pomeridiana è stata conclusa da Michele Cortelazzo (Università di Padova) che ha sottoposto ai presenti l’ultima versione del Manifesto per un italiano istituzionale di qualità. Nel corso della discussione Cortelazzo ha ricordato che la denominazione della rete probabilmente cambierà in Rete per l’eccellenza dell’italiano istituzionale e ha rilanciato l'idea di avviare la pubblicazione dei Quaderni della REI nei quali raccogliere i risultati elaborati dai collaboratori ed eventualmente gli atti delle giornate REI.

Ricordiamo infine che il sito Europa contiene ampie informazioni sulla REI all'indirizzo http://ec.europa.eu/dgs/translation/rei.

Laura Boselli e Francesca Nassi

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EVENTI

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IL FESTIVAL DELLE CAPANNE

Che sia seminascosta nell'intrico del bosco, arroccata sui rami di un albero, in equilibrio precario sulla sabbia di una spiaggia battuta dai venti o in bilico sull'acqua come le palafitte, la capanna continua ad esercitare un fascino arcano su chi è ancora capace di sognare.

Dopo il Festival internazionale delle capanne, che si è svolto al Domaine de Chevetogne (nella provincia di Namur) tra la fine di aprile e l'inizio di maggio, un nuovo festival, organizzato dall'ordine degli architetti lussemburghesi, sarà dedicato a queste miniarchitetture, "chambres à rever dans le jardin". I trentacinque migliori progetti saranno realizzati a Schengen, sulle rive di un lago, in occasione dell'anniversario degli accordi di Schengen.

Un'occasione da non perdere!

Giulia Gigante

Sarà allestito un percorso tra le capanne che sarà visitabile dal 17 luglio al 1° agosto.

Di legno o di paglia, di ferraglia o di vetro, di tessuto o di foglie, le capanne di tutti i tempi e di tutti i luoghi hanno sempre una storia da raccontare.

Il pelo nell’uovo

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Divagazioni sulla pratica del tradurre

What's in a name? Nelle due pagine di articoli, trafiletti, interviste e commenti con cui, il 29 gennaio, il Corriere della Sera ha commemorato la scomparsa dello scrittore americano J. D. Salinger, esaurite le mille ipotesi sul suo ritiro gretagarbesco dalle scene letterarie, non poteva mancare un riferimento a quello "strano" titolo, "intraducibile in italiano", del suo principale romanzo, The Catcher in the Rye. In Italia, si ricorda, l'opera venne pubblicata una prima volta nel 1952 per i tipi dell'editore Casini e nella traduzione di Jacopo Darca, con il titolo "Vita da uomo" e il sottotitolo-esca vagamente pruriginoso "Un libro scandaloso o profondamente morale?", tanto per convincere gli incerti. Bisognerà attendere il 1961 per giungere alla traduzione di Adriana Motti per Einaudi, da allora ristampata innumerevoli volte e, con essa, al titolo "Il giovane Holden", ormai assurto a canone. Come spiega la quarta di copertina dell'edizione enaudiana, scritta, pare, da Italo Calvino, il titolo The Catcher in the Rye riecheggia una canzone popolare scozzese (in realtà, la ballata di Robert Burns Coming thro' the Rye) e trova un riferimento preciso nel romanzo quando il protagonista racconta alla sorella che cosa vorrebbe fare da grande:

Anyway. I keep picturing all these little kids playing some game in this big field of rye and all. Thousands of little kids, and nobody's around - nobody big, I mean - except me. And I'm standing on the edge of some crazy cliff. What I have to do, I have to catch everybody if they start to go over the cliff - I mean if they're running and they don't look where they're going I have to come out from somewhere and catch them. That's all I do all day. I'd just be the catcher in the rye and all. I know it's crazy, but that's the only thing I'd really like to be.

Sempre secondo la nota, il titolo originale, "letto come puro accostamento di parole, potrebbe essere in italiano "Il terzino nella grappa"". Sì, perché, come si spiega al lettore incolto, in inglese il termine catcher indica anche il ricevitore nel gioco del baseball e rye non è solo la segale, ma anche il whisky che da essa si ricava. Con tutto il rispetto per Calvino mi sembra un'argomentazione un po' strampalata, come dire che Oliver Twist potrebbe essere reso in italiano con "Oliviero Capriccio", perché un twist in inglese può anche essere un twist of fortune… Per forza l'editorialista del CorSera, commentando questa balzana analogia culturale, conclude "Molto meglio "Il giovane Holden"".

Insomma, ancora una volta si sbandiera il "legittimo impedimento" dell'intraducibilità. Chi segue le mie divagazioni sa che nutro un certo scetticismo per questo concetto passepartout, soprattutto quando sembra accompagnarsi a un senso di sospirata rassegnazione per le carenze espressive del nostro idioma italico. Nel caso che ci interessa, supponiamo che la metafora del catcher in the rye, tra l'altro chiaramente sdipanata nel brano di cui sopra, e fondamentale per comprendere il pensiero e il comportamento del protagonista lungo tutto il romanzo, resista a farsi esprimere in una lingua che non sia l'inglese. Ma in tal caso bisognerebbe spiegare come mai quei noiosi granellini di segale riescano a infiltrarsi impunemente nei titoli di tante altre versioni tradotte: dal tedesco Der Fänger im Roggen, che riprende verbatim l'inglese, allo spagnolo El guardián entre el centeno ("Il guardiano tra la segale"), al catalano El vigilant en el camp de sègol, fino al russo Nad propast'ju vo rži ("Sopra l'abisso nella segale"), all'arabo al-Hâris fî Haqli-sh-shûfân ("Il guardiano nel campo di segale") e, tanto vale esagerare, al cinese màitián sh•uwàngzh• ("Il ricevitore [qui nel senso sportivo] del campo di segale"). Non così il titolo francese, L'Attrape-coeurs, che almeno però conserva l'aggancio con l'originale catcher. Riassumendo: siamo proprio sicuri sicuri che il titolo salingeriano sia così irrimediabilmente intraducibile nella nostra lingua?

Jerome D. Salinger

Il pelo nell’uovo

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E, parimenti, siamo sicuri che una scelta come "Il giovane Holden" riassuma lo spirito dell'opera meglio di quanto non farebbe, diciamo, "Il guardiano del campo di segale"? Certo, per chi, come me, ha letto il romanzo al momento giusto, nel pieno dell'adolescenza, ricavandone l'impressione di un urlo liberatorio che immagino sia alla base del suo successo di pubblico, ma non altrettanto di critica, la sola ipotesi di farla finita col "Giovane Holden" (inteso come titolo, ovvio) potrebbe sembrare un delitto di lesa maestà. Il tempo, però, che come si sa è galantuomo, ha già allungato le sue mani adunche in vari casi, complice anche la proverbiale perfettibilità di ogni traduzione e il tanfo di stantio che, salvo eccezioni, emana dalle traduzioni letterarie dopo già qualche decennio. È per questo che alcune edizioni odierne di capolavori della letteratura mondiale recano titoli spesso anche profondamente differenti da quelli che trovavo in libreria ai tempi dell'università (vent'anni fa, non un secolo), talora stupendomi per l'ostentata infedeltà rispetto all'originale. Solo nel 1992 il woolfiano To the Lighthouse diviene finalmente "Al faro", nella traduzione di Nadia Fusini, perdendo quel riferimento alla "gita" che dava alla vicenda il sapore di un'amena scampagnata, e recuperando qualcosa dell'angosciosa evocatività dell'originale. E La Brughiera, il titolo con cui nei Grandi Libri Garzanti figura ancora (ma è ormai esaurito) The Return of the Native di Thomas Hardy? Come se Hardy non avesse potuto chiamarlo lui, il suo libro, The Heath, o The Moor, se è vero che, come mi rintuzzava un caro amico docente di letteratura inglese, è la brughiera la vera protagonista dell'opera. Per carità, magari ha ragione lui. Sta di fatto che l'ultima edizione italiana del romanzo, quella mondadoriana del 2000, si chiama, più o meno banalmente decidetelo voi, "Il ritorno del nativo", e quella inserita nei Meridiani, sempre Mondadori, reca il titolo "Ritorno al paese". E ancora: che dire di "Pallina", come fu intitolata la prima edizione di Boule de suif (ma anche "Palla di sego", come lo si è tradotto successivamente, è spaventoso, visto che si tratta del vezzeggiativo dato a una donna), o di "New York", titolo Dall'Oglio per Manhattan Transfer? Perché la questione è sempre lo stessa: fino a che punto sia desiderabile o lecito, specie nel caso di tesori della cultura universale, conculcare scelte stilistiche che idealmente dovrebbero restare di appannaggio dell'autore (alla peggio, specie in tempi moderni, col concorso dell'editore)? Tanto più se la scelta riguarda un aspetto delicato come il titolo, primo biglietto da visita di qualsiasi opera, figuriamoci se artistica. Un po' come se qualcuno, a partire da un certo momento o in una certa area geografica, si arrogasse il diritto di ridenominare le tele di Magritte "Castello nei Pirenei" o "Il figlio dell'uomo" in "Castello su masso sospeso a mezz'aria" o "Figura maschile con mela verde sul volto".

Alcune edizioni di The Catcher in the Rye

Il pelo nell’uovo

Inter@lia è il periodico autogestito dei traduttori italiani della Commissione europea. La pubblicazione è aperta anche a contributi esterni. Gli articoli pubblicati rispecchiano l'opinione degli autori e non sono necessariamente rappresentativi delle posizioni del comitato di redazione né della Commissione.

Si può dire che un traduttore non è mai così traditore come quando traduce male, scientemente o no, un titolo? Tra coloro che lo pensano è Patrizia Valduga, poetessa, elzevirista ed essa stessa traduttrice letteraria. In un articolo del 1998 dal viperino titolo "Traduttore, senza qualità sarai tu"1, offre al lettore un lungo campionario di titoli di capolavori della letteratura mondiale a suo dire travisati in italiano, allo scopo di "fare ordine e giustizia, tentare di correggere quelli che la traduzione ha in misura più o meno grande tradito, e l'abitudine ha poi consolidato". Si va da "Morte a credito" di Celine, per il quale azzarda un "Morte a vanvera" (ma la traduzione di Giorgio Caproni resta una delle mie preferite di sempre), all'eterno "Uomo senza qualità", che non è affatto senza qualità bensì privo di caratteristiche proprie, per cui suggerisce "L'uomo senza individualità" (anche se, aggiunge con insolito pudore, è solo un'ipotesi), fino a risvegliare "tutta la corte dei miracoli dei titoli contraffatti, guastati, sfregiati, offesi [che] si è svegliata e chiede giustizia". E allora, vai con le provocazioni: "La guerra e la pace" al posto di "Guerra e pace" (Voiná i mir), tanto più che il russo non ha articoli, e, per converso, "Tre sorelle" anziché "Le tre sorelle" (Tri sestrý), "Occhio per occhio" per "Misura per misura" (Measure for Measure), "Canzoniere d'Oriente e Occidente" per il goethiano "Divano occidentale-orientale" (West-östlicher Diwan), e mi fermo qui.

E che dire dei titoli dei film? Qui il discorso si fa più complesso, magari ne parliamo una prossima volta. Anzi, lancio sin d'ora un sondaggio: qual è secondo voi il titolo cinematografico peggio tradotto (attenzione, né localizzazioni, né titoli totalmente nuovi, solo traduzioni sbagliate) nella storia della Settima arte? Affaire à suivre…

Patrizia Valduga

Domenico Cosmai

1 - Il Corriere della Sera del 28 luglio 1998, pag. 23.