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Da uno spazio all’altro Oltre i muri dell’aula VALERIA IMBORDINO È insegnante di scuola dell’infanzia a Fauglia, Pisa. Quando nel contesto europeo e anche italiano si parla di muro, lo si associa, inevitabilmente, al muro di Berlino; a un periodo storico, la guerra fredda, terminato con la sua caduta. Storia passata, quindi, da leggere sui libri. Tuttavia i muri sono altro: da chilometri di filo spinato a muri invisibili del mare. I muri non fanno parte della storia, ma del quotidiano attuale in cui viviamo: ci sono 3.200 chilometri di frontiera fra USA e Messico che il Presidente Trump intende completare con l’innalzamento di un ulteriore muro; ci sono i muri fra Israele e Palestina, Egitto e Siria, Cisgiordania e Gaza; ci sono muri presenti fin dagli anni Sessanta nell’Irlanda del Nord e ci sono muri costruiti negli ultimi anni in Ungheria e Austria, in particolare quello tra il confine Ungheria-Serbia innalzato per bloccare i flussi migratori provenienti dalla rotta balcanica; ci sono muri che separano i ricchi dai poveri, come ad esempio nella baraccopoli di Pamplona Alta a Lima, dove si è insediata ed è accresciuta una comunità dello Stato brasiliano di San Paolo, dal distretto La Molina e di Villa Esperanza. In un mondo in cui la globalizzazione e l’interconnessione dovrebbero attuare meccanismi di apertura, l’idea di muro permane e i muri sono molti, così come molti sono i tentativi di costruirne di nuovi. Un muro, infine, è anche il mare, una barriera letale usata come protezione dagli Stati del vecchio continente che hanno alzato il «ponte levatoio» trasformando così il Mar Mediterraneo in una sorta di fossato che costeggia, lungo un muro, la «fortezza Europa». Ci sono poi i muri virtuali delle parole, del pregiudizio, del razzismo, della miseria, della malattia, del disagio del vivere, dell’ingiustizia economica, dell’indifferenza, dello sfruttamento, della paura, dei disastri ambientali creati dalla violenza culturale. Marshall Rosenberg 1 nei suoi libri sulla comunicazione nonviolenta ricorda la potenza delle parole, che possono aprire come finestre a nuovi orizzonti oppure chiuderli innalzando muri. Da un lato la globalizzazione fa pensare a un mondo senza barriere, unificato, dove miliardi di persone comunicano in tempo reale via Internet; dall’altro lato nascono nuovi localismi che si sviluppano in modo esasperato e culture fondamentaliste che escludono gli altri invece di aprirsi alle diversità. In questo scenario schizofrenico è necessario invertire la rotta, comprendere che tutti gli esseri viventi sono interconnessi, interrelati, interdipendenti e la violenza, le barriere, i muri, i confini rompono questa rete di agganci sottili. 1 M. Rosenberg, La comunicazione non violenta, a cura di Silvia Pallini, https://www.youtube. com/watch?v=e8I260V3H6Q Il Tema Cooperazione Educativa © 2019 Edizioni Erickson (pp. 22-25) Vol. 68, n. 3, settembre 2019 Confini e muri

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Da uno spazio all’altroOltre i muri dell’aula

VALERIA IMBORDINOÈ insegnante di scuola dell’infanzia a Fauglia, Pisa.

Quando nel contesto europeo e anche italiano si parla di muro, lo si associa, inevitabilmente, al muro di Berlino; a un periodo storico, la guerra fredda, terminato con la sua caduta. Storia passata, quindi, da leggere sui libri. Tuttavia i muri sono altro: da chilometri di filo spinato a muri invisibili del mare. I muri non fanno parte della storia, ma del quotidiano attuale in cui viviamo: ci sono 3.200 chilometri di frontiera fra USA e Messico che il Presidente Trump intende completare con l’innalzamento di un ulteriore muro; ci sono i muri fra Israele e Palestina, Egitto e Siria, Cisgiordania e Gaza; ci sono muri presenti fin dagli anni Sessanta nell’Irlanda del Nord e ci sono muri costruiti negli ultimi anni in Ungheria e Austria, in particolare quello tra il confine Ungheria-Serbia innalzato per bloccare i flussi migratori provenienti dalla rotta balcanica; ci sono muri che separano i ricchi dai poveri, come ad esempio nella baraccopoli di Pamplona Alta a Lima, dove si è insediata ed è accresciuta una comunità dello Stato brasiliano di San Paolo, dal distretto La Molina e di Villa Esperanza.

In un mondo in cui la globalizzazione e l’interconnessione dovrebbero attuare meccanismi di apertura, l’idea di muro permane e i muri sono molti, così come molti sono i tentativi di costruirne di nuovi. Un muro, infine, è anche il mare, una barriera letale usata come protezione dagli Stati del vecchio continente che hanno alzato il «ponte levatoio» trasformando così il Mar Mediterraneo in una sorta di fossato che costeggia, lungo un muro, la «fortezza Europa».

Ci sono poi i muri virtuali delle parole, del pregiudizio, del razzismo, della miseria, della malattia, del disagio del vivere, dell’ingiustizia economica, dell’indifferenza, dello sfruttamento, della paura, dei disastri ambientali creati dalla violenza culturale.

Marshall Rosenberg1 nei suoi libri sulla comunicazione nonviolenta ricorda la potenza delle parole, che possono aprire come finestre a nuovi orizzonti oppure chiuderli innalzando muri. Da un lato la globalizzazione fa pensare a un mondo senza barriere, unificato, dove miliardi di persone comunicano in tempo reale via Internet; dall’altro lato nascono nuovi localismi che si sviluppano in modo esasperato e culture fondamentaliste che escludono gli altri invece di aprirsi alle diversità. In questo scenario schizofrenico è necessario invertire la rotta, comprendere che tutti gli esseri viventi sono interconnessi, interrelati, interdipendenti e la violenza, le barriere, i muri, i confini rompono questa rete di agganci sottili.

1 M. Rosenberg, La comunicazione non violenta, a cura di Silvia Pallini, https://www.youtube.com/watch?v=e8I260V3H6Q

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Cooperazione Educativa© 2019 Edizioni Erickson (pp. 22-25)Vol. 68, n. 3, settembre 2019

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Da uno spazio all’altro

Nel contesto sociale, poi, è inserita la scuola e se essa è sede di educazione alla tol-leranza, alla solidarietà, all’ac-coglienza, all’integrazione, alla nonviolenza è al suo interno che in primis è necessario «aprire le porte» per favorire il confron-to, per costruire una comunità aperta e abbattere quei muri che prima di diventare concreti si manifestano già nei pensieri e nelle parole delle persone. Pertanto è necessario favorire il confronto e il dialogo, come modalità di lavoro e interazione dove adulti e bambini collabo-rano per creare una comunità più serena. In tutto ciò, se il contesto accoglie e favorisce lo sviluppo di un pensiero nonviolento, i bambini che ne fruiscono, non solo vivono serena-mente le loro esperienze, ma diventano protagonisti e costruttori del proprio percorso di apprendimento. Nel clima di individualismo di massa dove l’uomo «si apparta» negli appartamenti, è necessario svi-luppare un’idea di bambino che si prepara fin da piccolo a essere aperto. Pertanto la scuola deve educare a scegliere, soprattutto quando i bambini sono piccoli partendo dall’idea che ogni bambino è un «adulto in potenza» pertanto è aperto, connettivo e responsabile.

I documenti internazionali che parlano della scuola dell’infanzia utilizzano l’accezione starting strong ovvero partire alla grande: scuola come ammortizzatore che riduce i rischi dell’insucces-so educativo. Pertanto è necessario pensare a una scuola dell’infanzia che apre possibilità, che è accogliente, nella quale ogni giorno vengono effettuate nuove scoperte, dove chi fruisce degli spazi si sente libero di esplorare e si sente parte di una comunità.

Dalle aule agli esploratori, dagli appartamenti alle piazze

Sono un’insegnante della scuola dell’infanzia «Il Girotondo» presso l’Istituto Comprensivo «Mariti» di Fauglia (PI),2 capofila del modello «Senza Zaino»; a partire da giugno 2018 la nostra dirigente, Daniela Pampaloni, ci ha consigliato di effettuare un pia-no di miglioramento per potenziare gli spazi e il loro utilizzo all’interno della nostra scuola e a tale proposito abbiamo cominciato questo percorso di ri-strutturazione con l’aiuto dell’architetto Maurizio Fusina.3 Molte sono state le ore laboratoriali e te-oriche dove abbiamo ri-progettato con lui le aree della scuola: il salone, la biblioteca e le aule che si sono poi trasformate nel tempo in esploratori, luoghi allestiti all’interno di esse che si connotano per caratteristiche diverse l’uno dall’altro.

L’esploratorio permette di focalizzare l’attenzione sul processo piuttosto che sul prodotto realizzato, potenzia le relazioni tra i pari e il rapporto con gli strumenti a disposizione in un tempo lungo, pratica-mente infinito, all’interno di uno spazio permanente.

Sono quattro gli esploratori: la bottega artigiana dove i bambini possono effettuare attività grafico-pittoriche e di manipolazione; l’officina del fare, dedicata a vasche contenenti sabbie di varia consistenza con cui i bambini possono giocare

2 Sito web della scuola: https://www.iscomar.edu.it/3 Il percorso di costruzione dei nuovi spazi ha coinvol-

to e visto protagoniste, oltre a chi scrive, le insegnanti Giuseppina Tramontano, Selene Barani, Sandra Cionini, Selena Borghesi, Simona Calabrò, Flavia Guidi, Federica Signorini e Cristiana Landonio.

In un mondo in cui la globalizzazione e l’interconnessione dovrebbero attuare meccanismi di apertura, l’idea di muro permane e i muri sono molti, così come molti sono i tentativi di costruirne di nuovi

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Cooperazione Educativa, n. 3/2019

mediante l’utilizzo di pinze e oggetti che affinano la prensione; la stanza della vita contenente un quadrante in cui si possono classificare esseri viventi e non, utilizzando le quattro aree che il quadrante ospita, che consente di organizzare i materiali in base a forma, colore, materia e ambiente di appartenenza; il teatro delle luci e delle ombre dove i bambini possono giocare con il corpo e con materiali non strutturati per la costruzione di skyline.

Prima c’erano le sezioni nelle quali le insegnanti si appartavano, come l’uomo moderno fa nei propri appartamenti; sezioni arredate con mobili appoggiati al muro, come nelle case, strutturate con angoli funzionali alle esigenze dei bambini, ma che non permettevano lo sviluppo di una sorta di flusso mi-gratorio, necessario a intrecciare in modo significa-tivo relazioni tra i pari e anche tra adulti.

La ri-progettazione delle aule prevedeva lo smantellamento degli angoli già strutturati per portare tutti i giochi e le proposte educative in piazza, partendo dall’idea antica di piazza come luogo in cui le persone si incontrano e dove si sviluppano relazioni.

Realizzare ciò che l’architetto delineava sulla carta sembrava impossibile: richiedeva tempo. Durante l’allestimento spesso ci siamo confrontate sull’utilità di quello che stavamo facendo: dovevamo dare un senso all’idea innovativa della proposta di Fusina, e integrarla nel modello di scuola «Senza Zaino».4 Così una mattina d’inverno, davanti a un caffè, abbiamo avuto l’illuminazione: «Se il modello “Senza Zaino” fosse il caffè, Fusina sarebbe lo zucchero…e noi? Noi siamo il cucchiaio, dobbiamo soltanto mescolare!»

Abbiamo capito che stavamo potenziando lo spazio connettivo del modello, cioè i valori su cui si basa: l’ospitalità, la responsabilità e la comu-nità ed è proprio grazie alla comunità intorno alla scuola che sono state realizzate molte strutture nuove all’interno, perché non era sufficiente che il

4 Sito web: https://www.scuolasenzazaino.org/

team insegnanti lavorasse in sinergia in orari extra-scolastici: era necessario aprire la scuola. Abbiamo così proposto tanti laboratori del fare con i genitori, i quali hanno capito il senso del cambiamento, par-tecipando attivamente.

La progettazione dell’architetto e il lavoro del team di insegnanti e genitori hanno dato vita a una disposizione diversa degli arredi e dei giochi all’interno della scuola, dove non esistono più angoli strutturati, sostituiti da un sistema ramificato di aree e classi con esploratori, secondo una disposizione geocentrica che favorisce le relazioni.

La scuola presenta ora un’organizzazione suddivisa in due piazze: una piazza delle tane dove i bambini possono giocare in quattro tende colorate che offrono cucina, mercato, gioco del falegname e nursery; la piazza degli artisti, suddivisa in due case di legno contenenti varie cucine e l’area per i travestimenti.

Adiacenti alle piazze ci sono i quattro esploratori: la bottega artigiana, l’officina del fare, la stanza della vita, il teatro delle luci e delle ombre; la biblioteca, la città infinita, l’osteria dei piccoli, l’oasi del riposo, una zona museo e il giardino delle meraviglie che circonda la scuola all’esterno e verrà in futuro attrezzato in modo da acquistare una connotazione didattica strutturata, simile a quella interna della scuola.

L’organizzazione della città e le migrazioni

In questa nuova scuola, che ha la struttura di un borgo, i bambini entrano come turisti e organizzano il proprio viaggio secondo ciò che li attrae di più, soffermandosi a giocare durante l’accoglienza in piccoli o grandi gruppi nelle varie aree, dove possono trovare materiali diversi, simbolici, strani, di scarto aziendale, oppure materiali naturali.

In queste aree i bambini si aggregano e giocano, regolati dagli strumenti di gestione del modello «Senza Zaino» quali IPU (Istruzioni Per L’Uso degli spazi) e semafori che regolano «il traffico».

Le piazze e le aree adiacenti sono corredate di pannelli dove i bambini attaccano il proprio gettone scegliendo dove recarsi ogni giorno. Ciò permette ai bambini di ruotare settimanalmente nelle cinque aree allestite: la piazza delle tane, la piazza degli artisti (suddivisa in due micro-aree), la biblioteca e la città infinita. Dentro le classi permane l’agorà, luogo dell’assemblea, della routine e dei riti quotidiani, ma all’interno esiste un esploratorio diverso per ogni classe: tutto ciò permette varietà nell’offerta

La strutturazione stessa degli arredi e la disposizione dei materiali è tale da creare nodi che permettono ai bambini di «migrare» da uno spazio all’altro senza essere più relegati in zone chiuse

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Da uno spazio all’altro

di occasioni e consente di sviluppare itinerari che si autoproducono. I bambini fruiscono delle esperienze migrando da un esploratorio all’altro, dove trovano ad accoglierli insegnanti che ruotano anch’esse in base a un planning settimanale che regola il «flusso delle migrazioni» nei vari esploratori e anche i tempi di permanenza.

Quindi non più quattro sezioni, ma aree dove permane l’agorà, e quattro esploratori con zone strut-turate nel salone dove i materiali possono essere messi in relazione tra loro, acquistando così senso a seconda di dove vengono portati dai bambini. Esiste un’area dedicata alla costruttività dove l’offerta del gioco si intreccia con quella sensoriale uditiva e tattile, generando emozioni e sensazioni: è l’installazione chiamata Città infinita in cui i bambini costruiscono senza distruggere, partendo dalla consegna di utiliz-zare solo sette pezzi per costruire una casa: in questo modo decade l’idea di proprietà privata, in quanto con sette pezzi non è possibile costruire un recinto intorno alla casa, ma è possibile costruire un ponte che unisce una casa all’altra. È scardinato anche nel gioco il concetto di muro come ostacolo che divide, in quanto la Città Infinita, per esistere, ha bisogno di ponti e non di muri.

La strutturazione stessa degli arredi e la disposi-zione dei materiali è tale da creare nodi che permet-tono ai bambini di «migrare» da uno spazio all’altro senza essere più relegati in zone chiuse, e le sezioni, diventano così produttrici di cultura.

«Essere migranti è disporsi all’avventura, predi-sporre in sé i modi dell’incontro e del dialogo, sapere costruire lo spazio dell’incontro — in sé complesso e conflittuale — e soprattutto volere tale incontro, pertanto, disporsi in uno stato d’animo aperto alla sfida e al viaggio, quindi migrante. Non senza radici, ma con radici fascicolate e/o a rizoma».5

Strutturare spazi che favoriscono lo sviluppo delle relazioni significa abbattere i muri che negano tale sviluppo e che ostacolano la costruzione dello spazio dell’incontro necessario per creare un’infanzia felice, che guarda a un futuro più sereno.

La struttura dello spazio acquista il ruolo di terzo educatore, in quanto si configura come ambiente di apprendimento che sviluppa relazioni, portatore di idee che danno senso alla struttura complessiva.

Il ruolo dell’adulto in questi spazi è fondamentale perché struttura gli spazi, riordina e prepara i materiali utili all’apprendimento; osserva, registra e documenta i percorsi di crescita dei singoli bambini e soprattutto introduce ogni giorno stimoli culturali di qualità, che permettono ai bambini di crescere in originalità, responsabilità, autonomia in una comunità pensata per i loro bisogni.

Arredi e persone, movimenti e relazioni assumono dunque un’identità nuova: un’anima.

5 F. Cambi, Incontro e dialogo, Roma, Carocci Faber, 2006, p. 41.