Inquestonumero Ginecologo eostetrica aconfronto · 2016-07-05 · Ginecologo eostetrica aconfronto...

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Ginecologo e ostetrica a confronto Lesioni urologiche in corso di Tc Parto operativo vaginale mediante vacuum extractor ASCUS e AGC: che fare? HPV test vs Pap test Il ginecologo e la diagnostica mammaria Il ferro nelle età della donna Rivista di ostetricia ginecologia pratica e medicina perinatale . . ⁄ Organo Ufficiale dell’Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani e dell’European Society of Breast Echography In questo numero

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Ginecologoe ostetricaa confronto

Lesioni urologichein corso di Tc

Parto operativovaginale mediantevacuum extractor

ASCUS e AGC:che fare?

HPV testvs Pap test

Il ginecologoe la diagnostica

mammaria

Il ferro nelle etàdella donna

Rivista di ostetriciaginecologia pratica

e medicina perinatale. . ⁄

Organo Ufficiale dell’Associazione OstetriciGinecologi Ospedalieri Italiani

e dell’European Society of Breast Echography

In questo numero

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per una correttaigiene intima

24 oredi LIBERTÀ e FRESCHEZZAdi

24 reoTÀ e FRELIBER ESCHEZZA

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Editoriale ................................................................................................................................2CarloMaria Stigliano

Ginecologo e ostetrica a confronto ...........................................................................4Giuseppe Ettore* eAntonellaMarchi***Ginecologo, Segretario regionale AOGOI Sicilia**Ostetrica, Presidente Associazione Italiana di Ostetricia (A.I.O.)

Lesioni urologiche in corso di taglio cesareo: come evitarle..........................9Alessandro Svelato, Alessandra Famà, Silvia Serra,Mario GiuseppeMeroniS.O.C. Ginecologia e Ostetricia Ospedale Niguarda, Milano

Parto operativo vaginale mediante vacuum extractor.....................................12Claudio Crescini* eAntonio Ragusa***Direttore U.O. Azienda Ospedaliera di Treviglio (BG) - P.O. San Giovanni Bianco**Responsabile Sala Parto - Ospedale Niguarda, Milano

ASCUS e AGC: che fare?...............................................................................................17Roberto Piccoli, AlessandraBertrando, Nicoletta DeRosa, Giada LavitolaDipartimento di Ostetricia, Ginecologia e Fisiopatologia della Riproduzione UmanaAzienda Ospedaliera Universitaria “Federico II” Napoli

HPV test vs Pap test: primo round ...........................................................................22a colloquio conMario Sideri* eMaggiorinoBarbero ***Direttore dell'unità di ginecologia preventiva dell'Istituto europeo di oncologia di Milano**S.O.C. di Ginecologia e Ostetricia, Ospedale di Asti

Il ginecologo e la diagnostica mammaria: missione impossibile?............25RaffaellaMellano ed Ernesto PrincipeU.O. Ginecologia - Ospedale S Croce, Cuneo

Il ferro nelle età della donna: serve davvero? .....................................................27Maurizio SilvestriU.O.C. Ginecologia e Ostetricia, Presidio ospedaliero San Matteo degli infermi, Spoleto (Pg)

Indice

Colophon Comitato ScientificoAntonio ChiànteraValeria DubiniFelice RepettiCarlo SbiroliCarlo Maria Stigliano

Direttore ResponsabileCesare Fassari

CoordinamentoredazionaleArianna AlbertiPubblicitàEdizioni HealthCommunicationVia Vittore Carpaccio, 18- 00147 RomaTel. 06.594461Fax 06.59446228

EditoreEdizioni HealthCommunicationVia Vittore Carpaccio, 18- 00147 RomaTel. 06.594461Fax [email protected] impaginazioneGiancarlo D’Orsi

StampaArtigrafiche srlPomezia (Rm)

Sped. in abbonamentopostaleD.L. 353/2003(conv. in L. 27/02/2004n. 46) Art. 1, comma 1,DCB Roma

Reg. Trib. di Milanodel 30.07.1986 n. 425

Finito di stampare:dicembre 2012

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Editorialedi CarloMaria Stigliano

Dopo il primo numero speciale che ha inaugurato questo nuovo corsodella nostra pubblicazione, i consensi manifestati dalle colleghe e dai col-leghi di tutta Italia sono stati veramente numerosi e gratificanti, comenon era mai accaduto in passato.Il linguaggio semplice e discorsivo, il taglio eminentemente pratico, gliargomenti di interesse concreto e il fine prettamente informati-vo/formativo, hanno riscosso un interesse non prevedibile e altissimo trai lettori. Non è più tempo di stanche liturgie che riprendono modelli dicomunicazione superati e stantii: nessuno più si perita di leggere lunghiarticoloni dall’incerto impact scientifico, scritti più per racimolare qual-che quarto di punto per le cosiddette pubblicazioni ai concorsi che perdiffondere un effettivo messaggio di avanzamento scientifico. Internetha rivoluzionato completamente la comunicazione anche nel campo del-l’informazione scientifica: abbiamo capito che i colleghi preferisconostrumenti freschi e concreti di aggiornamento, in modo diretto al cuoredel problema, con informazioni pratiche e facilmente comprensibili edapplicabili.Il format che abbiamo amichevolmente ‘imposto’ ai colleghi che hannoaccettato (con entusiasmo, va sottolineato) di collaborare a questo nuo-vo corso della Rivista è incentrato su uno schema semplice e pratico: “checos’è, che cosa si fa, che cosa sarebbe meglio fare e che cosa non fare perevitare danni, come uscire dai problemi, quali sono le raccomandazioniscientificamente validate”. È veramente ciò che quotidianamente i no-stri colleghi si chiedono di fronte alla realtà di una disciplina professio-nale irta di difficoltà oggettive ma anche gravata da un rischio di conten-zioso esagerato: non si può lavorare serenamente, soprattutto in salaparto, con l’ansia da denuncia!In realtà è tutta l’attività dei medici che viene sottoposta ad una pressio-ne mediatica distorta e ad un atteggiamento dei cittadini-utenti inclinealla censura continua e “a prescindere”! Per questa ragione dobbiamo fa-re formazione e informazione costante ed efficace: abbiamo la necessi-tà di fornire strumenti informativi che consentano al ginecologo impe-gnato in prima linea nell’attività professionale a tutti i livelli di lavorarebene e in sicurezza, ottenendo in tal modo il duplice risultato di una cor-retta applicazione della medicina basata sull’evidenza e nel contempodi ridurre al minimo il rischio di malpractice e quindi di contenziosi.Il gradimento raggiunto ci conforta e ci sprona a continuare su questastrada. E quindi eccoci di nuovo: in questo numero troverete articoli piut-tosto vivaci e di agevole approccio su alcuni argomenti “difficili” dellapratica quotidiana.Ovviamente soltanto AOGOI poteva essere in grado di realizzare un pro-getto di aggiornamento con queste caratteristiche: la nostra Associazio-ne è quotidianamente accanto ai ginecologi italiani, vive direttamente

Ecco il secondo numerodella “nuova” Rivista

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le loro difficoltà e i loro problemi e ne conosce bene le esigenze profes-sionali. Siamo fortemente impegnati ad offrire sostegno, assistenza ecompetenze ai nostri colleghi: ci proviamo anche nel campo della for-mazione sia attraverso il web sia con le pubblicazioni come GynecoAogoie questa nostra Rivista.

In questo numero: innanzitutto la spinosa questione della gestione delblocco parto. Il parto fisiologico deve essere giustamente gestito dalleostetriche, oltretutto ormai vere ‘specialiste’ in materia: il problema nonfacile è “chi/come/quando” riconosce il sottile confine con l’inizio dellapatologia (di competenza e responsabilità del medico-ginecologo) e so-prattutto come tutto ciò si concilia con il principio secondo cui il medi-co “di guardia” rimane comunque responsabile del blocco parto. Ci aspet-tiamo un’articolata e pacata discussione ad opera dei colleghi e dellenostre amiche ostetriche: i contributi potrebbero essere ospitati nel nu-mero successivo e anche anticipate nel network curato da Carmine Gi-gli sul sito www.aogoi.it

Un tema ‘scottante’ soprattutto per i più giovani: sembra banale, ma ilrischio di lesioni all’apparato urinario in corso di TC è sempre presente:come prevenirlo, come trattare eventuali danni?

Utile e interessante per una buona e corretta pratica clinica: come uti-lizzare al meglio la ventosa ostetrica, consigli pratici da chi ha grandeesperienza in materia.

Altro tema interessante è costituito dalle diagnosi “borderline” nel Paptest, in particolare l’ASCUS e l’AGC, diagnosi/non diagnosi che genera-no spesso incertezze interpretative e inducono ad esami inutili e costo-si, con inevitabile aggravio di ansia per la donna e problemi per il gine-cologo.

Un argomento collegato in qualche modo al precedente è il ruolo del-l’HPV-test: si sta provando a sostituirlo al tradizionale Pap test nello scree-ning del cervico-carcinoma; i ginecologi italiani sono molto perplessi,che ne pensano due esperti della materia?

Ancora, il ginecologo ‘generico’ di solito non visita la mammella che pu-re è parte non irrilevante dell’apparato genitale. È una grave lacuna mol-to diffusa in Italia, a parte poche Scuole: proviamo a dare incisive e pra-tiche “istruzioni per l’uso”.

E poi: si fa un gran parlare di sostenere l’apporto di ferro alle donne: pro-paganda o verità scientifica? Proviamo a capire.

Dunque, speriamo di avere offerto un buon ausilio concreto e di facileutilizzo per tutti su argomenti che abbiamo scelto per il loro sicuro im-patto pratico. Aspettiamo suggerimenti e consigli per migliorare ancora.

Il nostro impegno è garantito, il risultato… lo dovrete valutare voi.

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Ginecologo e ostetrica

a confronto

AntonellaMarchiSono stati innumerevoli i mutamenti che nel-l’ultimo decennio hanno trasformato radical-mente la professione dell’Ostetrica: sia sul pia-no normativo sia per quanto riguarda laformazione di base e post-base.Sicuramente l’Ostetricia italiana ha guadagna-to una professionista con una preparazione teo-rica di gran lunga superiore rispetto al passato,ma ritengo vi sia la necessità di modificare ra-dicalmente la formazione di base delle ostetri-che italiane, che deve essere improntata sull’ap-prendimento della fisiologia di tutto il percorsodella vita della donna e del bambino e da qui ri-partire per poter apprendere e comprendere co-

sa devia da questa, in modo “limite” e/o “pato-logico”.Il coinvolgimento sempre maggiore delle oste-triche nei contenziosi medico-legali sono laconferma di una grande difficoltà a compren-dere le “competenze” e a valutare il “rischio”poiché viene a mancare la base di partenza: lafisiologia.La seconda criticità riguarda l’insegnamento,che dovrebbe essere conferito a ostetriche inpossesso di un curriculum vitae che dimostri ilgrado di preparazione e che attesti che lavora-no solo su evidenza scientifica; una competen-za che dovrebbe essere rinnovata con esamebiennale e con una commissione composta da

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Otto domande per capire meglio, con Giuseppe Ettore

e Antonella Marchi, come Ginecologo e Ostetrica possano

“ritrovarsi” e “ritrovare” – al di là di un dualismo

caratterizzato da livelli di competenze, norme, ruoli

e responsabilità – il vero senso del gioco di squadra

Giuseppe EttoreGinecologo, Segretarioregionale AOGOI Sicilia

AntonellaMarchiOstetrica, PresidenteAssociazione Italiana diOstetricia (A.I.O.)

Domanda e risposta

1.La presenza di

ostetriche laureatecostituisce un

avanzamento perl’ostetricia italiana?

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membri del mondo universitario, ospedaliero edai rappresentanti delle società scientifiche, agaranzia che solo le migliori, le più aggiornatee competenti abbiano la responsabilità della for-mazione delle ostetriche italiane.Il passo successivo, non differibile, è quello chevede ostetriche e ginecologi fare briefing mat-tutini e mensili con il proprio direttore/primario,finalizzati ad apprendere e scambiarsi valuta-zioni cliniche e a capire anche come tutelarsilavorando secondo evidenza…se fossi un diret-tore di clinica non farei sconti a nessuno!Alcuni direttori già lo fanno, ma sono ancoratroppi quelli che non ascoltano le reiterate ri-chieste delle ostetriche. E la cosa incredibile èche sono proprio le ostetriche a chiedere i brief-ing.

Giuseppe EttoreLa laurea ha rappresentato per le ostetriche unarilevante opportunità per il percorso formativo,la crescita culturale e professionale e la carriera.

Ciò può rappresentare senza dubbio un avan-zamento per l’Ostetricia italiana se alcuni pun-ti troveranno e determineranno la piena appli-cazione, sinergia e responsabilità.In particolare:- si rende necessaria la rimodulazione dei per-

corsi formativi del triennio in termini di con-tenuti, per l’eccessivo carico teorico non sur-rogato da un sufficiente training pratico e perun scarsa formazione del lavoro in team;

- il nuovo profilo dell’ostetrica dovrebbe co-munque conservare quella precisa identitàche ha contribuito a scrivere la storia del-l’Ostetricia come professionista della nasci-ta fisiologica e delle fasi più significative del-la vita della donna;

- l’esercizio del proprio ruolo come professio-nista in autonomia e nel team, nel richiama-re non indifferenti livelli di responsabilità,non ha raggiunto ad oggi – nel privato e nelpubblico, nelle strutture territoriali e ospeda-liere – una ben netta identità.

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Ginecologo e ostetrica a confronto

2.Ci sarà un

miglioramentodella qualità

dell’assistenzae della sicurezzaper le gravide e in

sala parto?

AntonellaMarchiLa sala parto e tutto il reparto di ostetricia, gi-necologia, neonatologia e sale chirurgiche po-tranno essere migliorate nella qualità e nella si-curezza se anche i direttori impareranno adavere una maggiore considerazione per le pro-prie ostetriche e si attiveranno a:1. effettuare briefing mattutini e mensili con il

personale, conferendo anche incarichi pergratificare le persone e farle sentire parte diun team, in cui ostetriche e ginecologi sonocomplementari.

2. Inserire solo personale composto da ostetri-che e OSS per il supporto alberghiero.

3. Pretendere dall’azienda che le proprie oste-triche si occupino dell’assistenza a donne ebambini anziché lavare la sala parto, fare i let-ti, sporzionare il cibo e quant’altro e vengaammonito chi, facendo leva sul posto di lavo-ro, impone la copertura dei turni, scoperti perla carenza del personale. Un numero ridottodi ostetriche non può essere in grado di ga-rantire una buona assistenza e la sicurezza dimadre e bambino nel parto! Le carenze di per-sonale non sono un problema dei direttori diclinica né delle ostetriche, ma lo sono per leDirezioni sanitarie e per i direttori generalidelle aziende, quindi impariamo a scaricareil problema su chi è lautamente retribuito perrisolverlo!

4. Obbligare i propri uffici formazione azienda-li a formare annualmente il proprio persona-le; a stabilire con le categorie il piano forma-tivo, che dal livello 1-2 (effettuazione del corso

e consegna Ecm) deve passare al livello 3-4(dopo l’effettuazione del corso, portare sulcampo quanto si è appreso); a progettare, perl’anno in corso, i propri obiettivi, da raggiun-gere attraverso gli indicatori di esito, risulta-to e processo.

5. Analizzare, a fine anno, i dati in maniera si-stematica, usando questo strumento per in-dividuare e risolvere problemi, per migliora-re le prestazioni di intervento e far sì che leostetriche inizino a fare ricerca sul campo.

Giuseppe EttoreSpero di sì. Il miglioramento sarà reale se l’oste-trica, consapevole pienamente delle propriecompetenze, ruoli e responsabilità nell’ambitodel team e non, saprà determinare, difendere econsolidare la propria identità di professionistain autonomia e integrata nel team.Non si potrà produrre e consolidare qualità, ap-propriatezza, sicurezza e umanizzazione in tut-to il percorso nascita e in sala parto se le oste-triche, in particolare, i ginecologi e le istituzioninon aiuteranno le ostetriche in tal senso.

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AntonellaMarchiNon penso che un titolo di studio possa modi-ficare quelle che sono le competenze di due pro-fessionisti in sala parto, normati in modo chia-ro; purtroppo spesso le criticità emergono acausa dell’incomprensione da parte di entram-bi riguardo l’inizio e la fine dei relativi ambiti dicompetenza. Questo per difficoltà di comunica-zione e mancanza di briefing!Ritengo che il medico dovrebbe rispettare il sa-per fare dell’ostetrica nell’ambito della fisiologiamentre l’ostetrica dovrebbe avere la responsa-bilità di far intervenire il medico quando rilevache da una situazione fisiologica si passa ad unasituazione patologica. Ma entrambi devono vi-gilare (“garbatamente”) l’uno sull’altro e condi-videre le scelte terapeutiche: questo li rende-rebbe parte di un team… che è poi il motivo checi ha spinti, ostetriche e ginecologi insieme, acreare un’associazione come l’A.I.O.! Diciamoche siamo tutti in ritardo, ma ancora in tempo,per dimostrare maggiore maturità e comple-mentarietà.

Giuseppe EttoreAmio avviso no! L’ostetrica laureata, con il trien-nio e ancor di più con il biennio (specialistica),ha acquisito una veste giuridica che da una par-te implementa competenze ruoli e carriera e dal-l’altra i livelli di autonomia e responsabilità. Nelvariegato contesto italiano, per l’ostetrica ciò pur-troppo non ha determinato, ad oggi, né la pienaautonomia né la piena integrazione e identità neiprofili assistenziali territoriali (consultori) e di Ie di II livello ospedaliero.Spesso inmolte realtà ci sonomedici che svolgo-no i ruoli delle ostetriche, interferendo ed alteran-do la fisiologia del parto, così come ci sono oste-triche che assumono ruoli decisionali in condizionipatologiche, in ciò sostituendosi ai medici.Pertanto, si rende necessaria e improcrastinabi-le una condotta organizzativa integrata e conte-stuale tra ostetriche, medici e le figure profes-sionali del percorso nascita (neonatologi,anestesisti, infermieri) nella formazione, nel ma-nagement, nell’audit e nella responsabilità.Solo così ostetriche e medici potranno ritrovar-si e ritrovare non solo le proprie competenze, iruoli e le responsabilità ma soprattutto l’armo-nia per valorizzare il senso del gioco di squadra.

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3.La figura delleostetriche laureatecambia i compitidel medico edell’ostetricain sala parto?

AntonellaMarchiIl ginecologo sarà sempre responsabile perquanto di sua competenza, così come l’ostetri-ca, per il principio dell’affidamento per il qua-le ogni componente di un’equipe deve confida-re nel corretto comportamento dei propricollaboratori ed è obbligo di tutti valutare criti-camente l’attività dei colleghi “in vigilan-do”…non esiste più un rapporto gerarchico poi-ché con la legge n. 42/1999 l’ostetrica non è piùuna figura “ausiliaria” del medico.

Giuseppe EttoreAssolutamente no! Nel nostro ordinamento sa-nitario, anche se aumenteranno i centri ospeda-lieri con aree parto a gestione autonoma delleostetriche (come si auspica), la figura del medi-co non potrà (e non deve) sottrarsi alle respon-sabilità derivate dalla gestione dei quadri clini-ci patologici che necessitano di trattamenti inurgenza/emergenza. In tutto ciò la competenzae il ruolo dell’ostetrica, per la costante presen-za accanto alla gestante, è determinante nellavalutazione del monitoraggio del benessere fe-tale e delle condizioni cliniche della donna.

4.Il ginecologo avràmeno responsabilitànell’attività di salaparto?

AntonellaMarchiParlare ancora oggi di “rapporti gerarchici” si-gnifica non riconoscere alle ostetriche il lororuolo di Professioniste della Fisiologia. L’ostetri-ca ed il ginecologo, secondo le attuali normati-ve, sono professionisti che lavorano in totaleautonomia ed in equipe per quanto riguarda lesituazioni limite (poiché l’ostetrica chiede il con-sulto al medico prima di prendere una decisio-ne clinica) e quelle patologiche; ma è nella pa-tologia che il ginecologo diviene il primooperatore che decide il processo di cura e l’oste-trica il secondo operatore responsabile del pia-no assistenziale, come avviene ormai da 20 an-

ni nel resto dei paesi europei.Per quanto riguarda invece il personale di sup-porto, ginecologo e ostetrica si avvalgono delleloro prestazioni; l’ostetrica, da Profilo Professio-nale, è responsabile della sua formazione sulcampo ma questo non toglie nulla al medico!

Giuseppe EttoreMedici e ostetriche, alla pari, devono condivide-re e pianificare i protocolli assistenziali del per-corso nascita nella continuità dal territorio al-l’ospedale e dall’ospedale al territorio attraversostrumenti che possono facilitare i profili di com-petenze e dei ruoli e ridurre le criticità.

5.Come sirealizzeranno nellapratica clinica irapporti gerarchiciin sala parto tramedico e ostetrica everso il resto delpersonale?

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Tutto ciò non è e non può essere ordinato darapporti gerarchici nel merito bensì esclusiva-mente nei vari ruoli di responsabilità.Medico e ostetrica non possono finalizzare laloro opera all’interno di un dualismo caratteriz-zato solo da livelli di competenze, norme, ruolie responsabilità ma devono operare in una pie-

na sinergia che porti dalla condivisione alla com-plementarietà in tutto e per tutto.In tali condizioni i rapporti con le altre figureprofessionali verranno facilitati e orientati se-condo le buone norme assistenziali della EBM,con l’obiettivo prioritario di tutelare la norma-lità del parto.

AntonellaMarchiL’ostetrica valuta la fisiologia e, nelle situazionilimite, chiede il consulto del ginecologo perprendere le decisioni cliniche appropriate. Ov-viamente per arrivare a questo livello di com-petenza deve saper leggere, studiare e interpre-tare le evidenze scientifiche anche attraverso ibriefing di reparto. Il ginecologo ha una compe-tenza di supporto e, quando l’ostetrica riscon-tra situazioni devianti e patologiche, deve asso-lutamente richiederne l’intervento.Credo che il primo degli obiettivi di ogni specia-lista ginecologo ostetrico sia di avere al propriofianco un’ostetrica preparata, colta, che sa farein modo competente il suo lavoro!

Giuseppe EttoreSe si è consapevoli del difficile limite tra fisio-logia e patologia si comprende il valore aggiun-to del rapporto di complementarietà a cui de-vono giungere i professionisti del parto (medicie ostetriche).Per fare ciò si rende indispensabile un percorsodi formazione di verifica e di controllo degli esi-ti combinato e mai disgiunto.Tale metodologiaè poco diffusa nel nostro paese e si preferiscelavorare per compartimenti stagni.L’esperienza realizzata e promossa da qualcheanno dall’Associazione Italiana di Ostetricia(A.I.O.) vuole indicare – nel coinvolgimento al-la pari di ostetriche e medici in ogni atto pro-fessionale, dalla formazione alla ricerca – la stra-da vincente.

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6.Chi valuta i limitidella fisiologia eil campo dellapatologia in salaparto?

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Ginecologo e ostetrica a confronto

AntonellaMarchiAnche questo concetto di responsabilità è piut-tosto superato, in quanto ogni professionista èresponsabile in primis del suo comportamentoclinico e delle sue decisioni, ma lo è anche invigilando sull’equipe. Quindi se l’ostetrica pren-de decisioni errate il medico specialista ha il do-vere di intervenire in vigilando, così come l’oste-trica ha il dovere di intervenire se vede unmedico compiere un errore, entrambi nelle for-me civili e di educazione. Per tale motivo riten-go che ognuno dei professionisti abbia la respon-sabilità verso se stesso di essere aggiornato e disvolgere la professione secondo l’evidenza scien-

tifica. Poi ha la responsabilità morale di creareun vero team, in cui si lavora per il benesseredella donna e del suo bambino e per il benes-sere del team!

Giuseppe EttoreIl medico di guardia è sempre responsabile! Nelcaso di aree organizzate per la gestione del par-to (a basso rischio) – in totale autonomia strut-turale, organizzativa e assistenziale da partedelle ostetriche, con protocolli condivisi e ap-provati dall’ente sanitario – il medico non puòrispondere di esiti di casi clinici in cui non siastato in precedenza coinvolto.

7.In caso di partofisiologico, assistitointeramentedall’ostetricalaureata, il medicodi guardia rimanecomunqueresponsabile dieventuali eventinegativi emergenti adistanza di tempo?

AntonellaMarchiCome già detto, ognuno per le proprie compe-tenze, per il proprio sapere e saper fare, ma co-munque in vigilando sull’altro/a.

Giuseppe EttoreTranne che per i casi di colpa grave del singolocomponente l’equipe, è auspicabile che dinan-

zi al magistrato – medico e ostetrica – si trovi-no sempre insieme e in sintonia e non l’unocontro l’altro (come spesso accade).La complessità della professione ostetrica perl’assistenza al parto non può essere affrontatae difesa in modo disgiunto: è l’azione e la re-sponsabilità dell’equipe che deve prevalere edeve essere difesa.

8.In caso di eventoavverso, come siconfigureranno infuturo ruoli eresponsabilitàdinanzi almagistrato?

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IntroduzioneLe lesioni iatrogene del tratto urinario in corsodi taglio cesareo, benché poco comuni, posso-no essere responsabili di significative sequele abreve e lungo termine. Gli organi più frequen-temente coinvolti sono la vescica e il tratto di-stale dell’uretere (1-3). I danni possibili sono:soluzioni di continuo della parete vescicale, an-golazioni ed occlusioni ureterali causate da po-sizionamento errato di suture, e danni direttidell’uretere, causati da schiacciamento, ische-mia, danno termico e parziale o totale sezione(3-5).Potenziali complicanze includono: tempo ope-ratorio prolungato, infezioni del tratto urinario,prolungata permanenza del catetere vescicalee la formazione di fistole vescico–uterine e ve-scico–vaginali (6-8).Dalla revisione della letteratura si evince un’in-cidenza che varia dallo 0,0016% allo 0,94% perle lesioni vescicali e dello 0,09% per le lesioniureterali (3-4-9-10).

Fattori di rischioPossono essere classificati in fattori di rischiopatologici remoti e fattori di rischio legati al-l’anamnesi ostetrica.I principali fattori di rischio patologici remotisono: i pregressi interventi chirurgici pelvici,l’endometriosi, la terapia radiante con interes-samento della pelvi, la Malattia Infiammatoria

Pelvica (PID) e la diverticolite (11).I fattori di rischio legati all’anamnesi ostetricasono: pregressi tagli cesarei, il livello della par-te presentata, la situazione fetale (quindi le ano-malie di presentazione), basse epoche gestazio-nali (<32 sett.), il taglio cesareo a dilatazionecompleta, il taglio cesareo in emergenza, la rot-tura prematura delle membrane (PROM) e la ma-crosomia fetale (12-14).Tra i fattori menzionati, uno dei più importan-ti è la presenza in anamnesi di interventi chi-rurgici pelvici e in particolare la presenza di pre-gressi tagli cesarei. Infatti la letteratura riportaun’incidenza complessiva di lesioni vescicalidurante taglio cesareo pari allo 0,31%, con un’in-cidenza dello 0,19% nei tagli cesarei primari edello 0,6% in tagli cesarei ripetuti (15).Un pregresso taglio cesareo è quindi un signifi-cativo fattore di rischio per le lesioni vescicali,con un rischio quattro volte maggiore per le pa-zienti precesarizzate rispetto a quelle che ven-gono sottoposte a taglio cesareo primario. Taledato è da imputare alla formazione di tenaciaderenze tra vescica e segmento uterino infe-riore (SUI), che potrebbero anche condurre allalesione vescicale durante la sua dissezione dalSUI. Inoltre, il 43% dei danni vescicali si verifi-cano durante la preparazione della plica vesci-co-uterina (14).Tale dato è estremamente importante, in con-siderazione dell’attuale trend in aumento deitagli cesarei e che, come conseguenza, condur-rà a un aumento di tagli cesarei ripetuti. Tuttociò si rifletterà verosimilmente in un aumentodelle complicanze legate ai tagli cesarei, tra cuianche quelle del tratto urinario.È stata anche rilevata una correlazione con l’etàe la parità delle gravide; in realtà si tratta di unbias dovuto al fatto che più facilmente le don-ne sottoposte a tagli cesarei ripetuti sono di etàmaggiore ed hanno un numero maggiore di fi-gli rispetto alle donne sottoposte al primo ta-glio cesareo (9).I cesarei eseguiti in urgenza costituiscono unaltro fattore di rischio, e secondo alcuni autorianche superiore rispetto alla presenza di pre-

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Alessandro SvelatoAlessandra FamàSilvia SerraMario GiuseppeMeroni

S.O.C. Ginecologiae Ostetricia, OspedaleNiguarda, Milano

Pur se poco frequenti, le lesioni urinarie in corso

di cesareo sono evenienze possibili e da temere.

Per questo è necessario che tutti gli operatori

mantengano sempre un costante e alto livello

di vigilanza. Ecco qualche consiglio utile

per la prevenzione del danno

Lesioni urologichein corso di taglio cesareo: come evitarle

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gressi tagli cesarei in anamnesi (12-16-17). In-fatti l’aumento del rischio di lesioni vescicali eureterali è insito nel carattere urgente, improv-viso e stressante di un intervento chirurgico nonprogrammato. In tali circostanze la rapidità diesecuzione, la non adeguata preparazione del-la plica vescico–uterina e una breccia uterinamolto ampia, realizzata al fine di estrarre rapi-damente e facilmente il feto, possono aumen-tare la probabilità di danno vescicale. Inoltreuna larga incisione uterina potrebbe estender-si verso il legamento largo determinando la ne-cessità di apporre punti di sutura che aumen-tano il rischio di danno anche ureterale.La percentuale di rischi aumenta ulteriormen-te se l’intervento in urgenza viene eseguito inuna paziente con pregresso taglio cesareo, o adilatazione completa o nei casi in cui vi sia unfeto malposizionato, in cui sarà necessario ese-guire manovre più indaginose per l’estrazione.Tali manovre provocano talvolta l’allargamen-

to dell’incisione e in presenza di dilatazionecompleta l’incisione risulta inoltre troppo cau-dale in rapporto con la cervice uterina. La brec-cia si estende facilmente al legamento largo,giunge ad interessare il peduncolo vascolareuterino e pone dei seri problemi di emostasi edi vicinanza all’uretere. Nella fretta di ottenereuna emostasi adeguata, si possono porre a di-mora dei punti che talvolta angolano l’ureterepur senza lederlo direttamente stirando il tes-suto circostante, oppure pinzandolo nell’avven-tizia, o transfiggendolo.Il fattore più importante al fine di ottenere unoutcome soddisfacente in caso di lesioni deltratto urinario è l’identificazione precoce e ilcontrollo del danno durante l’intervento. Infat-ti la mancata identificazione e riparazione deldanno vescicale o ureterale durante l’interven-to, può aumentare le sequele a lungo-termine,tra le quali il danno renale e la formazione di fi-stole genito–urinarie (17-20).In questi casi la correzione risulta ostacolata dadiversi fattori: innanzitutto le sale predisposteper il parto cesareo non sono dotate degli stru-menti necessari per gli urologi e inoltre, l’uteroingrandito e la congestione vasale tipica dellagravidanza rende difficoltosa la dissezione chi-rurgica di vescica ed ureteri pelvici.Solo il 51,6% dei danni vescicali e l’11,5% deidanni ureterali sono identificati e trattati du-rante la chirurgia primaria (21).Le lesioni vescicali spesso sono identificabili perla visualizzazione della fuoriuscita di urina chia-ra sul campo operatorio, o per la comparsa im-provvisa del palloncino del catetere di foley inaddome, o per l’identificazione di lesioni fran-camente visibili del muscolo detrusoriale o perla presenza di ematuria nel sacchetto delle uri-ne (22-23). Nel caso in cui non sia identificabileuna lesione franca, ma vi sia il sospetto di ave-re leso la vescica, è utile instillare attraverso ilcatetere di foley blu di metilene diluito con so-luzione salina e osservare il campo operatorioal fine di evidenziare l’eventuale punto di lesio-ne (11).Un’ampia soluzione di continuo della vescicapotrebbe comportare anche un coinvolgimentoureterale, soprattutto se ad essere interessata èla parete posteriore della vescica. In questi ca-si è raccomandabile eseguire la cateterizzazio-ne degli ureteri, anche a costo di ampliare la le-sione vescicale. Se la vescica fosse intatta e sisospettasse un danno ureterale a tutta parete,è indispensabile eseguire un incannulamentoureterale (17).

Come evitare i danni del tratto urinarioAl fine di ridurre le lesioni del tratto urinario, èraccomandabile una adeguata preparazione

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Lesioni urologiche

Il fattore più importanteal fine di ottenere unoutcome soddisfacentein caso di lesioni deltratto urinario èl’identificazioneprecoce e il controllodel danno durantel’intervento

PATOLOGICI REMOTI OSTETRICI�Pregressi interventi chirurgici pelvici �Pregressi tagli cesarei�Endometriosi �Livello della parte presentata�Terapia radiante �Situazione fetale (malposizioni)�PID �Basse epoche gestazionali (<32 sett.)�Diverticolite �Taglio cesareo a dilatazione completa

�PROM�Macrosomia fetale�Taglio cesareo eseguito in Urgenza

COME EVITARE I DANNI DEL TRATTO URINARIO�Adeguata preparazione e studio preoperatorio della paziente�Adeguata conoscenza e comprensione dell’anatomia dell’apparato urogenitale�Utilizzare tecnica chirurgica meticolosa e metodica�Mantenere sempre costante alto livello di vigilanza

FATTORI DI RISCHIO

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Lesioni urologiche

preoperatoria della paziente. È necessario inda-gare i fattori di rischio patologici remoti e i fat-tori di rischio legati all’anamnesi ostetrica, al fi-ne di identificare le pazienti ad alto rischio diandare incontro a lesioni vescicali.È necessario utilizzare una tecnica chirurgicameticolosa e metodica basata su un’adeguatacomprensione e conoscenza dell’anatomia del-l’apparato urogenitale.Nelle pazienti già sottoposte a taglio cesareo èraccomandabile scollare la vescica tenendo pre-sente che: il piano di clivaggio è caudale e noncraniale rispetto alla pregressa cicatrice; se si in-cide al di sopra della pregressa cicatrice, si rischia

di incidere la parete muscolare e non il SUI, conconseguenti difficoltà nella successiva riparazio-ne e aumento della perdita ematica.Lo scollamento della vescica deve prevederel’identificazione del corretto clivaggio e l’eviden-za del piano che risulta esangue (11).Ricordare che le lesioni ureterali sono più frequen-ti a sinistra, in quanto l’uretere sinistro è più vi-cino alla cervice rispetto a quello destro (24-25).Infine si raccomanda a tutti gli operatori di man-tenere sempre un costante alto livello di vigi-lanza perché, pur se poco frequenti, le lesioniurinarie in corso di cesareo sono evenienze pos-sibili e da temere.

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PERSAPERNEDI PIÙ

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Innanzitutto prendiamo in considerazione le10 condizioni permittenti l’applicazione diventosa ostetrica:1. La dilatazione cervicale deve essere completa2. La presentazione deve essere cefalica3. La testa fetale deve essere impegnata quindi

il vertice deve essere al disotto della linea checongiunge le spine ischiatiche oppure si de-ve apprezzare meno di un quinto della testacon la palpazione addominale sovrapubicaoppure mediante esplorazione vaginale nonsi riesce a risalire con le dita tra la testa feta-le e la sinfisi pubica oltre il margine inferio-re della stessa

4. Si deve riconoscere la posizione della testa fe-tale individuando la sutura sagittale e la po-sizione della piccola fontanella

5. La vescica deve essere vuota6. Deve essere presente il pediatra o il neonato-

logo ed in ogni caso devono essere garantitele manovre di rianimazione neonatale

Parto operativo vaginalemediante vacuum extractor

L’intervento operativo vaginale,

sia con ventosa ostetrica che con

forcipe, è indicato quando

vi è una reale necessità di accorciare

la durata del periodo espulsivo

per motivi relativi al benessere fetale

o materno. Questo semplice e chiaro

vademecum ci introduce alle

principali regole per una corretta

e sicura applicazione

della ventosa ostetrica

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Claudio CresciniDirettore U.O. Azienda

Ospedaliera di Treviglio (BG)P.O. San Giovanni Bianco

Antonio RagusaResponsabile Sala Parto

Ospedale NiguardaMilano

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7. Ci deve essere la possibilità organizzativa dieseguire un taglio cesareo di emergenza in ca-so di fallimento entro 15 minuti se l’indica-zione è alterazioni del BCF, entro 30’ se l’indi-cazione è arresto della progressione della pp

8. L’operatore deve avere una buona conoscen-za della semeiotica e dei meccanismi del pe-riodo espulsivo, della tecnica operativa e del-la gestione delle possibili complicanze

9. Se l’operatore non ritiene di avere una ade-guata esperienza deve chiamare in affianca-mento un collega più esperto

10. La paziente deve essere informata di quan-to si intende fare e deve essere consenziente.

Le principali regole di sicurezza nell’applica-zione della ventosa riguardano:1. la verifica di tutte le condizioni permittenti2. l’applicazione della coppetta della ventosa il

più possibile sul punto di flessione della te-sta fetale, che si trova sulla sutura sagittalea 3 cm dalla piccola fontanella

3. la durata dell’intera applicazione, che dovreb-be essere contenuta nei 15 minuti

4. le trazioni, che devono essere concomitantialla contrazione uterina ed alla spinta delladonna

5. la testa, che deve progredire anche di poco adogni trazione

6. le trazioni, che non dovrebbero essere supe-riori al numero di 6

7. l’asse della trazione, che deve essere rivoltoverso il basso fino all’incoronamento della te-sta a livello vulvare

8. In caso di distacco della coppetta dalla testafetale è consentita una sola riapplicazione edin presenza di un ostetrico esperto.

Come prevenire il parto operativo vaginaleLe azioni che possono ridurre il ricorso al partooperativo vaginale sono: l’attivo sostegno delladonna durante il travaglio di parto (1) e le posi-zioni verticali rispetto a quelle supine o litoto-miche in periodo espulsivo (2). L’analgesia epi-durale aumenta il ricorso al parto operativovaginale (3).

Indicazioni al parto operativo vaginaleUn intervento operativo vaginale sia con ven-tosa ostetrica che con forcipe è indicato quan-do vi è una reale necessità di accorciare la du-rata del periodo espulsivo per motivi relativi albenessere fetale o materno e la via vaginale èpreferibile a quella addominale. L’applicazionedella ventosa è controindicata in epoca gesta-zionale inferiore a 34 settimane, di dubbia sicu-rezza tra 34 e 36 e sicura dopo la 36 settimana.L’indicazione principale all’accorciamento stru-mentale del periodo espulsivo è rappresentata

dal sospetto che le condizioni di benessere fe-tale siano compromesse sulla base dei dati del-la cardiotocografia in periodo espulsivo e che ilparto per via vaginale possa essere espletato intempi più brevi rispetto al taglio cesareo.L’allungamento dei tempi del periodo espulsi-vo in condizioni di benessere fetale può essereuna indicazione al parto operativo vaginale inbase ai valori temporali ritenuti fisiologici nelsingolo punto nascita ed alle condizioni mater-ne sia fisiche che psichiche determinate da unprotratto periodo espulsivo.In presenza di analgesia peridurale considera-re che i tempi del periodo espulsivo si allunga-no senza necessariamente richiedere il ricorsoad un parto operativo vaginale.

Classificazione del parto operativo vaginaleIl Royal College of Obstetricians and Gynaeco-logists nell’anno 2011 (4) ha proposto una clas-sificazione adattata da quella dell’American Col-lege del 2000, basata su quatto livelli diapplicazione dello strumento operativo (vento-sa o forcipe):1. Al piano perineale

La testa fetale è visibile senza la necessi-tà di divaricare le piccole labbra.La parte ossea della testa fetale ha raggiun-to il piano perineale.La sutura sagittale è o sul diametro ante-ro-posteriore del bacino oppure l’occipiteè anteriore o posteriore a destra o a sini-stra, ma non necessita di una rotazionemaggiore di 45 °La testa fetale è a livello del perineo.

2. Al livello inferioreLa parte ossea della testa fetale (da nonconfondere con il caput succedaneum) èalla stazione +2 o oltre, ma non ancora alpiano perineale.L’occipite può essere in due posizioni: a 45°o meno dalla posizione occipito-anterioreoppure a più di 45 ° o in occipito-posteriore.

3. Al medio scavoLa testa fetale è palpabile a livello sovra-pubico per non più di un quinto del suodiametro.La parte ossea della testa fetale è sopra lastazione +2,ma non sopra le spine ischia-tiche.L’occipite può essere in due posizioni: a 45°o meno dalla posizione occipito-anterioreoppure a più di 45° o in occipito-posteriore.

4. A livello altoNon è consigliabile effettuare un parto ope-rativo vaginale quando la testa fetale è pal-pabile a livello addominale per 2 quinti opiù e quando è sopra il piano delle spineischiatiche.

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Parto operativo vaginale

In presenza dianalgesia periduraleconsiderare che i tempidel periodo espulsivo siallungano senzanecessariamenterichiedere il ricorso adun parto operativovaginale

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Parto operativo di prova con ventosaIn alcune situazioni il rischio di un fallimentodell’applicazione della ventosa è prevedibile econsistente. Tali condizioni sono rappresenta-te dall’uso del vacuum allo scavo medio quan-do il diametro biparietale del feto non è ancoraa livello delle spine ischiatiche, oppure quandoil feto è clinicamente grosso (4000 gr) o la ma-dre in eccesso ponderale (BMI >30) e nelle posi-zioni posteriori dell’occipite. In questi casi, poi-ché si può prevedere che ci sia un certo rischiodi fallimento del parto operativo, l’applicazio-ne della ventosa può essere considerata “di pro-va”. Poiché in questi casi il danno fetale è cor-relato al tempo che intercorre tra il fallimentodel parto operativo e l’estrazione mediante ta-glio cesareo (5-6) è indispensabile che la vento-sa di prova venga applicata in una realtà orga-nizzativa che permetta l’immediato ricorso alTC in caso di insuccesso.

Quale ventosa utilizzarePer motivi storici legati alla carenza di una ade-guata formazione ostetrica degli operatori di sa-la parto nel nostro Paese, il ricorso al parto ope-rativo vaginale è in molte realtà evitato esostituito dal taglio cesareo in periodo espulsi-vo. Qualora si ricorra al parto vaginale operati-vo lo strumento adottato è la ventosa ostetricae non il forcipe.In molte sale parto italiane è ancora disponibi-le la ventosa di Malmstrom o simili.Tale vento-sa è costituita da una coppetta di metallo a for-ma di fungo in cui il margine che aderisce allatesta fetale ha un diametro lievemente inferio-re rispetto alla restante coppetta. In questo mo-do durante la creazione del vuoto i tessuti mol-li della testa fetale vengono risucchiatiall’interno della coppetta formando una speciedi fungo. Per questo motivo la ventosa di Mal-

mstrom e simili di metallo sono considerate amaggior tenuta (minore percentuale di distac-co durante la trazione ) rispetto a quelle di pla-stica rigida tipo Kiwi OmniCup, 21% di fallimen-ti per le prime contro il 34 % della Kiwi (7-8 ).Studi più recenti (9) non confermano questa dif-ferenza ed attribuiscono alla Kiwi una percen-tuale di fallimento del 12.9% Ciò dimostrereb-be che il fallimento del parto operativo non èlegato allo strumento utilizzato bensì alle indi-cazioni e alla esperienza dell’operatore.Negli ultimi anni si è diffusa anche in Italia laventosa Kiwy OmiCup (Clinical InnovationsEurope Ltd, Abingdon,UK) ideata da Aldo Vac-ca (10).Si tratta di una ventosa con coppetta di plasti-ca rigida, monuso, con un indicatore per segui-re la rotazione della testa e dotata di un siste-ma di creazione del vuoto manuale moltosemplice inserito nell’impugnatura.Le ventose morbide con coppetta in silicone so-no scarsamente utilizzate poiché, seppur asso-ciate a minor trauma sulla testa fetale, hannouna alta percentuale di fallimento per più faci-le distacco (11).

I fenomeni meccanici e i riferimenti anatomiciI fenomeni meccanici del periodo espulsivo e iriferimenti anatomici che devono essere rico-nosciuti per una corretta applicazione della ven-tosa sono:1. All’inizio del periodo espulsivo (dopo la fase

di latenza), quando la testa fetale sta per im-pegnarsi nel canale del parto, è normale chel’occipite sia in una posizione trasversa o po-steriore.

2. In questa fase la sutura sagittale se in posi-zione trasversa è più vicina al sacro rispettoalla sinfisi pubica, per tale motivo all’esplo-razione vaginale si apprezzerà maggiormen-te l’osso parietale anteriore (asinclitismo an-teriore). Questo è il motivo per cui se ilperiodo espulsivo si prolunga e si sviluppaun tumore da parto questo sarà più facilmen-te localizzato su un parietale.

3. Durante la progressione e discesa le resisten-ze dei tessuti molli determinano una progres-siva rotazione dell’occipite in posizione an-teriore sotto la sinfisi pubica. Nel 40% dei casial momento dell’impegno l’occipite è in unaposizione posteriore e deve ruotare di 145°anteriormente per posizionarsi sotto la sin-fisi pubica. La rotazione dell’occipite ante-riormente è favorita dalla flessione della te-sta fetale (12).

4. Se tale rotazione anteriore verso la sinfisi pu-bica non avviene, l’occipite ruota di 45° po-steriormente, il periodo espulsivo è prolun-gato ed il parto avviene in occipito posteriore

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Parto operativo vaginale

Negli ultimi anni si èdiffusa anche in Italia laventosa KiwyOmiCup(Clinical InnovationsEurope Ltd,Abingdon,UK)ideata daAldo Vacca

Punto di flessione sulquale applicare lacoppetta dellaventosa per favorirela flessione dellatesta e lasostituzione deidiametri.

FIGURA 1

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(2 - 4.5% dei parti).5. La testa fetale ha la forma di un ovoide in cui

il diametro più piccolo e quindi più favorevo-le al passaggio nel canale del parto è quellosotto-occipito-bregmatico,mentre quello piùsfavorevole è l’occipito-frontale. Il meccani-smo della flessione della testa fetale duran-te l’impegno nel canale del parto porta allasostituzione del diametro più sfavorevole conquello più favorevole.

6. Trattandosi di un ovoide vi è un punto su diesso dove l’applicazione di una forza di tra-zione ne determina un cambiamento di assetale da posizionare l’ovoide stesso con il dia-metro più favorevole. Tale punto è definitopunto di flessione.

7. Il punto si flessione è situato sulla testa feta-le a 3 centimetri dalla piccola fontanella lun-go la sutura sagittale. Applicando la ventosasu tale punto ed eseguendo una trazione siinduce la flessione della testa fetale e si faci-lita la sua autorotazione in senso anterioresotto la sinfisi pubica e di conseguenza se nefacilita la progressione (Figura 1).

Tecnica dell’applicazione della ventosaVerificate tutte le condizioni permittenti, indi-cazione e controindicazioni, qualora si ritengaopportuno espletare il parto per via vaginale conl’ausilio della ventosa ostetrica si dovrà indivi-duare il punto di flessione della testa fetale cheè situato a 3 cm dalla piccola fontanella lungola sutura sagittale.Nell’applicazione al piano perineale il punto diflessione è localizzabile facilmente in quanto sicolloca all’introito vaginale, la sutura sagittaleè verticale e la testa flessa. Quindi l’applicazio-ne della coppetta può essere fatta direttamen-te sull'area della testa fetale che appare all’in-troito vaginale.Se la testa fetale non ha completato la rotazio-ne e la sutura sagittale è obliqua, ma con l’oc-cipite anteriore e con qualche grado di asincli-timo, in questo caso il punto di flessione non èal centro dell’introito vaginale, ma va ricercatolateralmente e una coppetta sottile tipo KiwiOmnicup è facilmente posizionabile.Negli arresti della progressione al medio scavola sutura sagittale è in posizione occipito-tra-sversa e spesso si accentua l’asinclitismo ante-riore. In questi casi il punto di flessione è mol-to posteriore ed è facile applicare erroneamentela coppetta sul parietale se non viene ricercatocon precisione il punto di flessione. L’asincliti-smo posteriore (sutura sagittale vicina alla sin-fisi pubica) può essere invece considerato unacontroindicazione al parto operativo vaginale.Nelle posizioni posteriori dell’occipite la testafetale è frequentemente deflessa con qualche

grado di asinclitismo ed il punto di flessione èlontano dall’introito, posterolaterale e dietro iltumore da parto.

Localizzare il punto di flessioneL’individuazione manuale del punto di flessio-ne richiede la conoscenza dell’anatomia dellatesta fetale ed in particolare di tre riferimenti:piccola fontanella posteriore, grande fontanel-la anteriore, sutura sagittale mediana.Raggiunta con la punta del dito medio della ma-no esploratrice la piccola fontanella si retrarràla mano per 3 centimetri scorrendo lungo la su-tura sagittale (la distanza a cui si colloca il pun-to di flessione dalla piccola fontanella). A que-sto punto affioreranno alla rima vulvare a livellodella forchetta o l’articolazione metacarpofa-langea o la prima interfalangea. Questi due ri-ferimenti hanno lunghezze sostanzialmente si-mili negli esseri umani, la lunghezza punta ditomedio-artic.metacarpofalangea è circa 11 cm.,mentre la distanza tra punta dito medio-primaart. interfalangea è 6 cm. Utilizzando quindi ledita della mano esploratrice è possibile valuta-re la distanza a cui si trova il punto di flessionee, grazie ai marcatori centimetrici posti sul ca-vo di trazione della ventosa (a 6 e 11 cm sullaKiwi), collocare la coppetta il più precisamentepossibile sul punto di flessione stesso (Figura 2).

Autorotazione della testa fetaleLe manovre di trazione della ventosa corretta-mente applicata favoriscono la flessione dellatesta ed esercitano una forza traente della stes-sa nel canale del parto. Queste due azioni favo-

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Parto operativo vaginale

FIGURA 2

Come valutare la distanza a cui si trova il punto di flessione per collocarecorrettamente la coppetta

Distanza punta dito medio -artic. metacarpofalangeacirca 11 cm

Distanza tra punta ditomedio – prima art.interfalangea è 6 cm

La coppetta della ventosa èposizionata correttamentesul punto di flessione e latrazione favorirà ilmovimento di flessionedella testa fetalefavorendone la rotazione ela flessione

Negli arresti dellaprogressione almedioscavo la suturasagittale è in posizioneoccipito-trasversa espesso si accentual’asinclitismo anteriore

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riscono la rotazione della testa fetale portandol’occipite sotto la sinfisi pubica.Nelle applicazioni di ventosa su occipite poste-riore la testa fetale può ruotare anteriormentedi circa 135° e posizionarsi con l’occipite sottola sinfisi pubica, oppure meno frequentementeruotare posteriormente e determinare il partoin occipite-posteriore. In ogni caso l’operatorepuò osservare e valutare in tempo reale l’auto-rotazione della testa fetale osservando il movi-mento della tacca posizionata alle ore 12 dellacoppetta (Figura 3).

Asse di trazione della ventosaPoiché l’asse del bacino in posizione litotomicaè diretto verso il basso e l’occipite fetale deveruotare sotto la sinfisi pubica con unmovimen-to di spiccata flessione l’asse di trazione dellaventosa deve essere verso il basso.Quando la testa fetale è visibile all’introito e lasutura sagittale è antero-posteriore, solo alloraè possibile rettilineizzare la trazione.Se si rettilineizza la forza di trazione troppo pre-cocemente aumenta il rischio di distacco dellacoppetta.

Consenso e informazioneLe gravide dovrebbero essere informate sullapossibilità di un parto operativo vaginale e lametodica dovrebbe essere illustrata durante icorsi di accompagnamento alla nascita.Al momento del parto il consenso può esseresolo verbale se non esiste la possibilità di unconsenso scritto.Importante è documentare adeguatamente incartella le ragioni della decisione di ricorrere al-l’uso della ventosa.

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Parto operativo vaginale

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PERSAPERNEDI PIÙ

Autorotazionedella testa fetale

FIGURA 3

Quando la testa fetaleè visibile all’introito ela sutura sagittale èantero-posteriore,solo allora è possibilerettilineizzare latrazione

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Il programma di screening per il cervicocarci-noma costituisce un importante modello di me-dicina preventiva e di integrazione tra moltepli-ci figure professionali, consentendo non solo diridurre efficacemente la mortalità,ma anche diraccogliere dati di assoluta rilevanza dalla cuianalisi possono derivare nuove soluzioni per ri-solvere le problematiche emergenti. Nella rea-lizzazione dei programmi di screening organiz-zato sul territorio, i ginecologi sono chiamatialla gestione del II livello (colposcopia, biopsiamirata, terapia, follow-up clinico) e a partecipa-re agli approfondimenti dei richiami o dei casipositivi. La rapida evoluzione delle conoscenze,in particolare i rapporti fra HPV e cancro cervi-cale e la recente disponibilità del vaccino HPV,rendono ancor più pressante la necessità di per-

corsi diagnostici e clinici condivisi e coerenticon le conoscenze scientifiche,ma anche atten-ti ad esigenze di economia sanitaria.Il sistema di classificazione Bethesda, standar-dizzato nel 1991 e aggiornato nel 2001, è il si-stema di refertazione citologica attualmente inuso a livello mondiale e riconosce come anor-mali le seguenti categorie: ASCUS,ASC-H,AGC,LSIL, HSIL,AIS, carcinoma squamoso, adenocar-cinoma. È innegabile che il sistema Bethesdaabbia contribuito, in alcuni Paesi, ad unificaredelle terminologie quanto mai varie (classi, sot-toclassi, categorie di probabilità/possibili-tà/compatibilità diagnostica) e hamigliorato co-sì la comunicazione fra citologo e clinico (1).Tuttavia, la soggettività di giudizio e i casi concriteri sfumati sono caratteristiche intrinseche

Roberto Piccoli,AlessandraBertrando,

Nicoletta DeRosa,Giada Lavitola

Dipartimento di Ostetricia,Ginecologia e Fisiopatologiadella Riproduzione Umana -

Azienda OspedalieraUniversitaria “Federico II”

Napoli

La rapida evoluzione delle conoscenze, inparticolare i rapporti fra HPV e cancro cervicale

e la recente disponibilità del vaccino HPV,rendono ancor più pressante la necessità di

percorsi diagnostici e clinici condivisi ecoerenti con le conoscenze

scientifiche ma ancheattenti ad esigenze di

economiasanitaria

ASCUS EAGCche fare?

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ASCUS E AGC, che fare?

della citologia (e dell’istologia) ed è dubbio chela sola applicazione di una nomenclatura pos-sa riuscire a cancellare queste prerogative.La citologia borderline, infatti, costituisce unaproblematica ancora attuale ed importante del-lo Screening del cervico-carcinoma, rappresen-tando il più comune risultato di un pap-test“anomalo” per cui si richiedono approfondi-menti diagnostici: costi alti quantizzabili, pub-blici e privati - visite, pap-test ripetuti, colpo-scopie, biopsie – e non quantizzabili, per la

paura, lo stress, l’ansia quando non l’angoscia,per la donna.

Problema e gestionePer “citologia borderline” si intendono le cate-gorie AGC (0,1-1%) e ASC (1-10%) riconosciutedalla classificazione Bethesda del 2001.Nella categoria AGC rientrano tutte le alterazio-ni delle cellule ghiandolari, endocervicali o en-dometriali, che non sono francamente benigneo reattive tipiche,ma neppure presentano quel-le alterazioni cellulari sufficienti per una dia-gnosi di neoplasia.Nella classe ASC rientrano invece alterazionidelle cellule squamose quantitativamente e qua-litativamente ancora insufficienti per una dia-gnosi definitiva di displasia; ASC non descriveinfatti una vera e propria entità diagnostica,macomprende uno spettro ampio di alterazioni cel-lulari che possono avere patogenesi infettiva,flogistica, reattiva, metaplastica e anche neo-plastica. All’interno di questa categoria si rile-vano due sottoclassi: ASC-US “cellule squamo-se atipiche dal significato indeterminato” eASC-H “cellule squamose atipiche senza possi-bilità di escludere una lesione di alto grado”.Il VPP (valore predittivo positivo) delle AGC com-plessivamente considerate in letteratura è ri-portato con variazioni molto ampie (dal 9 al 54%per la SIL, dallo 0 all’8% per l’AIS, dall’1 al 9%per l’adenocarcinoma invasivo), ma uno studiorecente riporta un VPP complessivo per lesionighiandolari e squamose (almeno HSIL) del 72%(55,7% per le sole lesioni squamose) (2).Una correlazione così alta con quadri patologi-ci sottostanti più gravi, giustifica un iter diagno-stico completo ed imprescindibile che prevedecolposcopia, studio del canale cervicale ed iste-roscopia (Figura 1).Tale step trova concordi i diversi autori e le li-nee guida della SICPCV (Società Italiana di Col-poscopia e Patologia Cervico Vaginale), dellaASCCP (American Society for Colposcopy andCervical Pathology) e della NCCN (National Com-prehensive Cancer Network) (3-5).L’invio a colposcopia ha la sua base razionalenon solo sulla possibilità di identificare le lesio-ni squamose che possono aver indotto anoma-lie in cellule ghiandolari e lesioni squamose coe-sistenti in quanto derivate dalle stesse celluledi riserva totipotenti, ma anche sulla frequen-te localizzazione a ridosso della GSC delle alte-razioni ghiandolari e soprattutto dell’AIS (2).L’endocervice potrà essere studiata con meto-diche cieche (curettage del canale cervicale ECC)o con metodiche che cercano di individuare to-pograficamente l’eventuale lesione, (endocervi-coscopia), o con l’escissione cilindrica diagno-stica (laser, con ago a radiofrequenza) del tessuto

Indicazioni allacolposcopia, allostudio del canalecervicale eall’isteroscopia

FIGURA 1

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circostante il canale cervicale. Tutte le metodi-che, tranne ovviamente l’ultima, presentano co-munque dei limiti diagnostici già nella ricercadelle lesioni endocervicali squamose; tali limi-ti saranno ancora più importanti nella ricercadelle lesioni ghiandolari.Per lo studio del canale cervicale è nostra con-suetudine associare al tradizionale curettagecervicale l’esecuzione dell’endocervicoscopia,una tecnica perfezionata anche nei nostri am-bulatori che consente di visualizzare la Giun-zione Squamo-Colonnare nel caso non fosse col-poscopicamente visibile e di valutare la presenzae l’estensione di un’eventuale lesione endocer-vicale su cui effettuare un prelievo “guidato” (6).L’isteroscopia è indicata in caso di pazienti conetà ≥ 35 anni o in presenza di fattori di rischioper carcinoma endometriale (5).Per le pazienti con citologia ASC-US, la previsio-ne di avere una diagnosi istologica di CIN 2+ édi circa il 5-17%; l’eventualità di giungere ad unadiagnosi istologica di carcinoma è di circa del-lo 0.2% (7). D’altro canto, per la dimensione del-la categoria ASC-US, anche se associata ad unbasso VPP, il numero assoluto di CIN 2+ non ètrascurabile. Infatti, nonostante i programmi discreening pongano al 5% la percentuale di ASC-US quale “indicatore di qualità”, tale percentua-le è, nella realtà, di gran lunga superiore, e rap-presenta il 50% dei richiami per pap-test“positivo” (Fig.2 Survey su attività GISCI 2007).Una diagnosi di ASCUS superiore a questi limi-ti riflette una sovrastima di modificazioni cel-lulari benigne o infiammatorie, dovuta, in par-te, anche all’assenza di criteri citologici bencodificati. Altre situazioni, infatti, in cui ASC-USpuò essere una diagnosi “appropriata” compren-dono alterazioni cellulari a carico del nucleo in-dicative ma non patognomoniche di infezioneda HPV, metaplasia squamosa atipica, fenome-ni riparativi atipici, strisci atrofici e parachera-tosi atipica (8). È dimostrato che la citologia ASC-US è, per sua natura, difficilmente riproducibile,anche tra citologi esperti.L’invio ad accertamento colposcopico di tutte leASC-US è pertanto sconsigliato poiché compor-terebbe accertamenti inutili in oltre il 90% deicasi. Perciò il gold standard della gestione del-l’ASC-US sarebbe l’individuazione delle CIN 2+e la stratificazione degli ASC-US sulla base del-la presenza di fattori di rischio per la progres-sione verso il cervicocarcinoma.La diagnosi ASC-US, inoltre, trova un picco diprevalenza nella fascia d’età compresa tra i 49ed i 54 anni con ulteriore riduzione del VPP perle lesioni di alto grado rispetto all’età fertile (9).La carenza estrogenica che insorge in questa fa-se della vita non significa solo modificazione delpH, alterazione dell’ecosistema urogenitale e

invasioni batteriche; l’aspetto critico, conseguen-te all’atrofia progressiva della mucosa cervica-le e vaginale, include modificazioni in grado dialterare in modo significativo la composizionee l’interpretazione del reperto colpo-citologico,che possono giustificarne l’aumento di preva-lenza.Sebbene esista un consenso generale riguardola gestione delle lesioni intraepiteliali di altogrado HSIL e dell’ASC-H che vengono indirizza-te alla valutazione colposcopica e istologica, nonè disponibile un altrettanto condiviso manage-ment dei Pap-test che presentano anomalie ci-tologiche ASC-US e che costituiscono la più fre-quente causa di anormalità in ambito discreening per il carcinoma cervicale.A questo proposito è indispensabile fare riferi-mento allo studio ALTS, che ha rappresentatola chiave di volta in questo ambito: tale studiomulticentrico, randomizzato, sponsorizzato dalNational Cancer Institute, ha previsto il confron-to, in termini di sensibilità/specificità, delle treopzioni terapeutiche: colposcopia, citologia ri-petuta e HPV test (10).La colposcopia immediata è stata identificatacome l’opzione più sicura, ma con lo svantag-gio dei costi elevati e della potenziale sovrasti-ma dei trattamenti necessari.La citologia ripetuta è stata proposta al fine diovviare alla sensibilità relativamente bassa diuna singola tornata di citologia convenzionale.Infatti la singola ripetizione del pap-test, purtrovando una spiegazione nel fatto che parte

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ASCUS E AGC, che fare?

FIGURA 2

Proporzione di donneinviate in colposcopia(referral rate) percausa. Survey suattività 2007.Distribuzione tra leRegioni(Fonte GISCI 2007)

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della categoria ASC-US sottende una infezionetransiente da HPV che solo in una minoranzadi casi persisterà al controllo a sei mesi, com-porta, pur migliorando il VPP, una flessione del-la sensibilità, con mancata diagnosi di circa un20 % di CIN 2+ (3).L’utilizzo dell’HPV test risulta essere la soluzio-ne più vantaggiosa per il triage della citologiaASC-US, evidenziando una sensibilità nei con-fronti delle lesioni CIN2+ che oscilla tra l’83% eil 100%. Va tuttavia ricordato come il test perl’HPV presenti una minore specificità rispettoalla citologia, evidenziando anche infezioni la-tenti e/o transitorie che non hanno ancora pro-dotto alterazioni citologiche o che potrebberonon determinarle mai. Pertanto, l’utilizzo di HPVtest non indicato nei protocolli routinari nelloscreening primario, può invece essere utilmen-te applicato nel triage di lesioni ASC-US identi-ficando le donne che richiedono un più serratofollow-up. Le pazienti con citologia ASC-US cherisultano negative all’HPV DNA test possono es-sere inviate a un follow-up citologico annuale;quelle che risultano invece positive dovrebberoessere gestite alla stessa stregua dei casi L-SILe inviate all’esame colposcopico (Figura 3).L’HPV DNA test non dovrebbe essere eseguito aintervalli inferiori a 12 mesi tra 2 test. In questomodo si otterrebbe uno snellimento delle pro-

cedure diagnostiche e siporrebbe rimedio al so-vraffollamento dei centridi colposcopia. In questocontesto, l’adozione ditest “intermedi”, come iltest HPV, in grado di sele-zionare le pazienti a ri-schio per lesioni di altogrado da inviare alla col-poscopia, offrirebbe note-voli benefici clinici, orga-nizzativi ed economiciconnessi alla considere-vole riduzione dei costi digestione della “citologiaborderline” (11).L’utilizzo dell’HPV è an-cora più utile nella gestio-ne dell’ASC-US in età pe-ri- e post-menopausale.In tale fase della vita del-la donna, di pari passo al-la ridotta incidenza di in-fezione da HPV, si assistea modificazioni dell’epi-telio cervico-vaginale checausano aumento dellaprevalenza degli ASC-US“inutili”, dovuti a modi-

ficazioni menopausali con conseguente ridu-zione dell’accuratezza diagnostica ed incre-mento degli esami. È stato infatti dimostratoun picco di prevalenza di ASCUS in tale fasedella vita (2%), con valori più che doppi rispet-to all’età fertile (0,9%), con ulteriore riduzio-ne del VPP per le lesioni di alto grado (12). Sealla base di tutto questo incremento di ASCUS,approfondimenti e costi vi è l’atrofia meno-pausale, è conseguente pensare che una te-rapia estrogenica locale possa costituire l’ele-mento in grado di modificare i fattoripredisponenti alla sovrastima diagnostica.La terapia estrogenica locale sembra costitui-re un’alternativa economica e costruttiva al-la colposcopia nelle donne con ASCUS e atro-fia epiteliale menopausale; risulta infattimeno costosa della ripetizione di visite, pap-test e colposcopia e, oltre a ridurre i sintomiassociati alla atrofia stessa, modula in modopositivo l’obiettività clinica e colposcopica,con un miglioramento della salute vaginale evescicale a lungo termine (13). Consente inol-tre, di ottimizzare le risorse umane in termi-ni di tempo speso per i controlli ripetuti e distress e ansia che può insorgere nelle pazien-ti a causa di una diagnosi così frequente e cosìpoco riproducibile e indicativa di una reale pa-tologia.

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ASCUS E AGC, che fare?

FIGURA 3

Le pazienti concitologia ASC-US cherisultano negativeall’HPVDNA testpossono essereinviate a un follow-upcitologico annuale;quelle che risultanopositive dovrebberoessere gestite allastessa stregua dei casiL-SIL e inviateall’esamecolposcopico

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PERSAPERNEDI PIÙConclusioniIn un programma di screening l’adozione di Li-nee Guida comportamentali condivise favori-sce la ricerca del miglior comportamento pos-sibile; per quanto riguarda la gestione dellacitologia borderline, in particolare dell’ASC-US,tale risultato auspicabile non rappresenta l’uni-ca strategia da attuare.In prima battuta, vanno sicuramente adottateopportune procedure di verifica e miglioramen-to della qualità nella lettura citologica, che de-ve essere in grado di monitorare e migliorarela riproducibilità e il livello di accuratezza intermini di sensibilità, specificità e valore pre-dittivo.È essenziale adottare controlli di qualità inter-ni basati sul monitoraggio delle diagnosi (quan-tità e qualità), sulla predittività delle classi dia-gnostiche e sulla revisione dei falsi negativi.Inoltre, il citologo, nonostante le difficoltà deri-vate dalla definizione propria di ASC-US, dovràattenersi alle “regole”, rispettare i protocolli egli standard di qualità evitando le diagnosi diASC-US che derivano dalla pratica della citolo-gia difensiva, volta ad evitare, quanto più è pos-sibile, il falso negativo diagnostico, che spessoè l’innesco per azioni legali di rivalsa.È necessario, altresì, lo studio costo-beneficioper formulare una modalità nuova di imposta-zione dello screening che, pur non aumentan-do eccessivamente i costi, possa cogliere il be-neficio di una migliore diagnosi precoce.Riconosciuto il valore dell’iter diagnostico com-pleto in caso di citologia AGC, a proposito del-la citologia ASC-US l’adozione di test “interme-di”, come il test HPV, in grado di selezionare ledonne a rischio per lesioni di alto grado da in-viare alla colposcopia, offrirebbe notevoli be-nefici clinici, organizzativi ed economici con-nessi alla considerevole riduzione dei costi digestione della “citologia borderline”. Infatti sitratterebbe di inviare a colposcopia ed eventua-le biopsia mirata solo le donne che risultanoHPV positive, cioè poco più del 30% di tutte leASCUS In questo modo si otterrebbe uno snel-limento delle procedure diagnostiche e si por-rebbe rimedio al sovraffollamento dei centri dicolposcopia.Il triage con HPVTest, più accurato rispetto al-la ripetizione della citologia nella gestione del-la citologia ASC-US, è particolarmente indica-to nelle realtà che utilizzano la citologia in faseliquida, in quanto non richiedendo la ripetizio-ne dell’esame, tale test aumenterebbe non so-lo la compliance all’HPV, ma rappresenterebbeanche per il citologo uno strumento diagnosti-co aggiuntivo utile, probabilmente dirimente,nell’identificazione di alterazioni cellulari “nonpiù ASC-US”.

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SIDERI:“Il test HPV salva delle vite che ilPap test invece perde”

Professor Sideri, è possibile che ben il 53 percento dei ginecologi italiani sia contrario all’in-troduzione dell’Hpv-test nello screening in so-stituzione del Pap test?....mah, sarò pessimista ma per me sono il 90per cento. Rimangono fuori solo alcuni dei po-chi “addetti” ai lavori. Anche tra gli addetti ai la-vori comunque ci sono molti contrari. Cito, peresempio, Carlo Liverani, un “giovane” (come noi,si fa per dire..) certamente preparato e intelli-gente. Quindi, sono d'accordo: esiste un proble-ma importante.Dal punto di vista scientifico però non ci sonodubbi: al di qua ed al di là dell’Atlantico il Paptest annuale non è più il punto di riferimento;la letteratura degli ultimi 10 anni parla chiaro.Per quanto riguarda l’Italia, tra l’altro, è appe-

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HPV test vs Pap testprimo round

Il53%dei ginecologi italiani intervistati da Aogoi si èdetto contrario all’introduzione dell’Hpv-test nelloscreening in sostituzione del Pap test. Questo datoevidenzia la necessità di favorire un cambiamento“culturale”, che richiederà del tempo e delleinformazioni adeguate. Abitudini consolidate, il ruolodel ginecologo nel gestire un test dall’esito articolato,il rapporto con il citologo, l’abitudine delle donne adun test ritenuto comunque fondamentale per la lorosalute, una certa pigriziamentale dei colleghi: sonotutte ragioni importanti per giustificare le resistenzeche verosimilmente incontrerà il nuovo sistema diprevenzione del cervico-carcinoma.Approfondiamo con due illustri colleghi, Mario Siderie RinoBarbero, i vari aspetti di questo argomento,che ha tutte le caratteristiche di un “hot item”

A colloquio con Mario Sideri e Maggiorino Barbero a cura di Carlo Maria Stigliano

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na uscito il rapporto HTA sull’introduzione deltest HPV al posto del Pap test nello screeningda parte del Ministero.Ma i ginecologi sono con-trari. Non è che sono in dubbio, sono propriocontrari!

Le “giro” due tra le osservazioni più frequen-ti dei colleghi: “Non basta più fare il Pap unavolta all’anno? Allora lo facciamo ogni sei me-si!” e ancora: “A che serve fare il test HPV sequando è positivo si ripete l’anno dopo?”. Chene pensa?Andiamo a prendere i dati: il Pap test perde cir-ca il 25-30% dei CIN3. Non sono pochi, sono al-cune centinaia di migliaia in Italia ogni anno su9 milioni di pap test. Non solo, è dimostrato chela mancata diagnosi di questi CIN3 comporta losviluppo di alcuni tumori, che il Pap test nonpuò identificare, neppure facendo il Pap ogni 6mesi. Allo IEO l’80% delle donne con un tumo-re cervicale aveva fatto un Pap test negli ultimi3 anni; in quasi il 30% dei casi il Pap era negati-vo (globale 27.7%; Squamo 25%; Adeno 36.6%).Fare il test HPV significa poter identificare ledonne con HPV persistente che sono a rischiodi tumore con Pap negativo nonostante si con-trollino regolarmente. Infatti in queste donnecon HPV positivo per 12 mesi (due test a distan-za di un anno) si esegue un colposcopia.Il test HPV salva delle vite che il Pap test inve-ce perde.Tutti avrete sentito qualche caso di tu-more con Pap negativo l’anno prima. Certo, so-no pochi ma non così rari da non poter capitareanche ad una vostra paziente. Il test HPV pre-viene questi tumori e porta un vantaggio di sa-lute alle vostre pazienti; il test HPV è un dirittoirrinunciabile delle donne. Ed i ginecologi, chesono i medici delle donne hanno il compito difornire alle pazienti il meglio che la scienzamet-te a disposizione.

Tra le “resistenze” all’HPV test, c’è il timore chel’arco temporale di 3-5 anni possa allontanare lapaziente dai controlli, e quindi dal ginecologo...Il “più spesso” non significa “meglio” e, in que-sto caso, “il troppo” è peggio. Se la terapia anti-biotica è di tre giorni, fare la terapia per sette oprendere 3 compresse in una volta sola è dan-noso; anche in prevenzione gli interventi van-no misurati. Perché? Lo screening cervicale por-ta ad identificare moltissime infezionitransitorie, i pap ASC-US e displasia lieve checonsociamo benissimo; una manna per il gine-cologo con i controlli ravvicinati, per la donnail solo rischio di avere biopsie, colposcopie e trat-tamenti inutili. Impatto sul tumore zero. Il gi-necologo deve essere consapevole di dover pro-teggere la donna sana da questi che sono glieffetti indesiderati dello screening. Come gi ef-

fetti indesiderati degli antibiotici se presi in do-si e in tempi non corretti.

L’Aogoi è al vostro fianco per aiutarvi ad affron-tare questo cambiamento. Vediamo che cosadovrebbe fare il ginecologo nel proprio studio...ilprimo problema è: “dove vado a fare il testHPV?”Risposta: semplicissimo; ci sono numeroseaziende di servizi per ginecologia che si occu-pano di ritiro e consegna referti; sistema di fat-turazione in chiaro (beh questo può essere unproblema…); vengono in studio si firma il con-tratto, ed in men che non si dica ti fanno il ser-vizio, in tutta Italia.Tiportano le provette, levengono a prendere, timandano l’esito viamail. Si può fatturaredirettamente alladonna.

Secondo: a chi faccioil test HPV? Una di-ciottenne sessual-mente attiva fin dallapubertà rientra nellacategoria di donneche potrebbero trarrepiù vantaggio da que-sto test?Innanzitutto va chia-rito che il test va ese-guito solo sopra i 30 anni. Sotto i trenta se ne favolentieri a meno. È un test per le “attempate”(meglio dire per le over 30), per le donne che re-golarmente hanno fatto il Pap e che non hannouna storia di Pap positivi. In sintesi, le donnemorigerate e ”tranquille”, quelle che vediamoregolarmente una volta l’anno: queste sono ledonne del test HPV.

Perchè fare il test HPV proprio a queste donne“a basso rischio”?Perché il test serve a chi è negativo, così da po-ter spostare lo screening a tre oppure a cinqueanni, e per capire invece chi, in mezzo a questogruppo a basso rischio, deve essere seguito piùda vicino perché è a rischio: Pap negativo maHPV positivo. E poi: se fate il test alle donne “piùtranquille”, queste torneranno ogni anno per ilcontrollo.

E le altre categorie? Chi ha i condilomi, chi hail Pap positivo, chi ha alle spalle una storia diPap positivo oppure di un trattamento LEEP?Lasciamole agli esperti. Nel prossimo numeromagari potremmo dare qualche semplice sug-gerimento per questi casi.

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HPV test vs Pap test

“Il test HPV è un diritto

irrinunciabile delle donne e i

ginecologi, che sono i medici delle

donne, hanno il compito di fornire

alle pazienti il meglio che la scienza

mette a disposizione”

Mario SideriDirettore dell'Unitàdi ginecologia preventivadell'Istituto europeo dioncologia diMilano

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BARBERO:“Rischio di indagini inutili ecostose se il passaggio dal Pap testall’HPV test non verràprogrammato, sperimentato eattuato correttamente”

Professor Barbero, l’HPV test effettuato ogni 5 an-ni nello screening organizzato, rispetto al Pap-test ogni 3, sarà altrettanto valido ed efficace?La storia naturale dell’infezione virale e della le-sione squamosa intraepiteliale (SIL) sono coeren-ti con un intervallo di tempo che potrebbe esse-re di 5 anni (forse 7 anni) invece dei 3 che siutilizzano in questo momento, come conferma-to da dati di letteratura nazionali ed internazio-nali (studio NTCC italiano e screening danese).

Sulla reale efficacia e su-gli intervalli di tempo co-sì lunghi il dibattito è as-solutamente ancoraaperto. Esistono alcunistudi che evidenziano ne-gatività all’HPV test inpresenza di lesioni cervi-cali di alto grado, diventapertanto un po’ “ardimen-toso” non vedere una pa-ziente per 5/7 anni e poirivederla con una lesioneinvasiva.

HPV-test vs Pap-test: qua-li limiti?Due tipologie di test diver-

si: unomolecolare, l’altromorfologico. I limiti so-no dati dall’essere, il primo, molto sensibile mapoco specifico, il secondo, al contrario, poco sen-sibile ma molto specifico.

Sostituzione del Pap test dopo tanti anni di ono-rato servizio: quali sono le criticità attese e comesi spera di superarle per evitare il rischio di sfi-ducia nella efficacia preventiva dell’HPV-test equindi di un possibile aggravio dei costi ?La estrema sensibilità del test virale (HPV test)può far esplodere il sottile equilibrio dell’invio al-la colposcopia delle pazienti positive all’HPV (me-diamente 6%); si ovvia a ciò utilizzando un testmolto specifico, cioè il Pap test (test di triage), cheriporterà, dopo un periodo transizionale di trai-ning, al giusto equilibrio la positività dell’HPV test,mediato dalla citologia, all’invio alla colposcopia(mediamente non superiore al 2%). Quindi il Paptest in ogni caso dovrà continuare il suo onoratoservizio permolti anni ancora, probabilmente persempre, ma diventerà un esame di II livello.

L’utilizzo dell’HPV test nello screening modifi-

cherà le indicazioni dello stesso nella pratica cli-nica? Per le giovani donne, tutto continuerà co-me prima?No, anzi aiuterà ad utilizzare il test virale (HPVtest) nelle lesioni borderline (ASC-US, L SIL) e nelcontrollo delle pazienti trattate per lesione di-splastica.

I costi del Pap test sonomolto bassi rispetto all’HPV-test: è realmente giustificato un simile cambiamen-to? E in una Sanità regionalizzata sarà possibile lasostituzione su base nazionale o assisteremo adun inaccettabile utilizzo a pelle di leopardo? E i Pae-si a basse risorse dovranno continuare ad usare iltest citologico per ragioni di costi?Dai dati della letteratura il test HPV trova il suocampo di utilizzo specifico nelle donne con età su-periore ai 35 anni (o comunque non prima dei 30).Nelle fasce di età precedenti il Pap test sarà il testdautilizzare in ambito screening.Per quanto riguar-da la differenza di costo “crudo” tra i due test, vaconsiderato che il maggior costo dell’HPV test conmetodica dell’alto rischio validata verrà compen-sato dalminor impiego di personale e dall’allunga-mento del periodo da un controllo all’altro dai 3 ai5 anni, che farà risparmiare un terzo del costo at-tuale dello screening. Il basso numero dei test HPVpositivi (mediamente il 6%) e l’utilizzo di tecnolo-gia automatizzate porrà il problemadi quanti cen-tri bisognerà preventivare per coprire la popolazio-ne femminile chiamata allo screening ogni 5 annicon una percentuale del 6% ed inoltre con un nu-mero di vetrini di triage estremamente basso (adesempio, in Piemonte, 6.000 vetrini round/anno).Sarà più facile avere una copertura veramente na-zionale. Per i “paesi poveri”si pongono in esseredel-le tecnologie di ricerca con test virale ad un costomolto vicino ad un Pap test con una sensibilità peril dato negativo che si avvicina al 98%.

Il ginecologo, soprattutto nell’ambito dell’ambu-latorio privato, si sentirà svilito nel suo ruolo diclinico di fronte a un test di laboratorio “a rispo-sta secca”, rispetto al Pap test che imponeva an-che una valutazione clinica?Assolutamente no, anzi dovrà attuare un coun-selling molto circostanziato e preciso senza pre-scindere dal dato clinico-anamnestico utilizzan-do l’esito del test HPV e della citologia di triage,e non solo di triage, per un corretto approccio al-la patologia della cervice uterina. Il rischio di ul-teriori indagini “tanto inutili quanto costose” e lapossibilità di trattamenti superflui e quindi dan-nosi è sicuramente alle porte se il passaggio dalPap test all’HPV test non verrà programmato, spe-rimentato e attuato con la massima correttezzascientifica ed anche con una elevatissima dose dibuon senso, dote questa a volte carente anche trai ginecologi più scrupolosi.

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HPV test vs Pap test

Maggiorino BarberoSOC Ginecologia

e Ostetricia, Ospedale Asti

Per quanto riguarda la differenza dicosto “crudo” tra i due test, va

considerato che il maggior costodell’HPV test con metodica dell’alto

rischio validata verrà compensato dalminor impiego di personale e

dall’allungamento del periodo da uncontrollo all’altro dai 3 ai 5 anni, che

farà risparmiare un terzo del costoattuale dello screening

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Dobbiamo richiedere mammografia/ecografiaper ogni nodo palpato?Innanzitutto se la tumefazione ha margini net-ti, ben mobilizzabile sui piani sovra e sottostan-ti è molto probabile che sia di origine benigna.Bisogna poi valutarne la consistenza: se è teso-elastica potrà essere una cisti, se è più dura unfibroadenoma. Per conferma verrà richiestaun’ecografia mammaria bilaterale se la pazien-te ha meno di 45 anni, se ne ha di più o se al-l’ecografia vi è un sospetto di patologia verrà ri-chiesta lamammografia, a giudizio del radiologo.Sarà sempre il radiologo, a seconda dell’esito,che deciderà se continuare la valutazione coneventuale biopsia o confermare la diagnosi dibenignità. Viceversa se vi è un addensamentodiffuso, spesso dolente, potrebbe essere fibro-adenosi, meglio comunque richiedere ecografiaper non farsi sfuggire eventuali mastiti, anchedi tipo neoplastico. Se il nodo si presenta a mar-gini irregolari, non mobile o ipomobile e di con-sistenza solida, sarà bene inviarla subito al ra-diologo che effettuerà RX mammografiabilaterale + ecografia con biopsia mirata (me-glio del citologico perché ci da una diagnosi piùsicura). Ricordiamoci di palpare sempre i caviascellari.

Cosa significa “screening” e a che età si deveiniziare la prevenzione?Per screening si intende un programma regio-nale che prevede un invito con regolare scaden-

za, rivolto a tutte le donne di una certa età, adeffettuare una mammografia con lo scopo didiagnosticare precocemente il carcinomamam-mario. In Piemonte, ad esempio, vengono invi-tate, con lettera a domicilio, tutte le donne dai50 ai 70, ogni due anni; dai 45, solo su richiestadelle pazienti, verrà eseguita annualmente finoai 50.Se non esiste questo tipo di progetto regionale,l’obiettivo del ginecologo resta la prevenzionee la diagnosi precoce. Prima dei 40 anni, se nonci sono fattori di rischio (età, familiarità, predi-sposizione genetica, nulliparità, recidiva di tu-more, obesità, dieta ipercalorica), basta un con-trollo senologico annuale e l’autopalpazione.L’età compresa tra i 40-45 è un’area grigia: siconsiglia RX mammografia bilaterale annualenelle donne a rischio, dopo i 45 a tutte ogni an-no fino ai 50, in seguito è sufficiente ogni dueanni, salvo casi sottoposti a controlli più stret-ti. Ricordarsi che un seno denso, tipico delle don-ne giovani o di quelle in ormono-terapia, è me-no esplorabile dai raggi quindi può esserenecessario un controllo annuale. Nelle donneche hanno subito mastoplastica additiva: eco-

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Raffaella Mellano,Ernesto PrincipeU.O. GinecologiaOspedale S Croce, Cuneo

Molto spesso le patologie della mammella non vengonotrattate dai ginecologi, in parte perché in molte regionisono i chirurghi generali che valutano e operano questicasi, in parte perché il primo approccio al sospetto dimalattia è spesso radiologico e, solo secondariamente,clinico.Cerchiamo con poche domande di chiarirci alcuni dubbi

Il ginecologoe la diagnosticamammaria:missione impossibile?

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grafia o RMN, a seconda del sospetto e delle pos-sibilità organizzative.

Se la mamma è affetta dal tumore al seno devofare accertamenti radiodiagnostici preventivi?“Familiarità” significa 3 parenti prossimi in li-nea materna malati. Prima dei 50 si consiglia-no controlli con RXmammografia bilaterale an-nuale o anche RMN (con attenzione ai falsipositivi).

Nei casi di familiarità i test genetici sono da fare?In effetti meglio proporre alle pazienti la con-sulenza genetica e secondariamente i test ge-netici, in modo che, se risultano positive, saràopportuno un follow-up stretto con RMN peruna diagnosi precoce. Alcuni opzionano anche

la mastectomia profilattica e l’ovariectomia bi-laterale nelle donne ancora fertili. Valutare lapossibilità di eseguire una consulenza psicolo-gica alla paziente prima di eseguire il test.

False credenze da sfatare: pillola aumenta rischioKmammella?Le attuali pillole a basso dosaggio nelle giovanidonne non sembrano aumentare il rischio di tu-more al seno, anche perché spesso i cancri gio-vanili sono prevalentemente genetici e non or-mono-dipendenti. Un recente studio pubblicatosul “New England Journal of Medicine” da ricer-catori dei CDC di Atlanta, sostiene infatti chel'uso di contraccettivi orali, anche per lungo tem-po, non aumenta il rischio nelle donne di etàcompresa fra 35 e 64 anni. Il rischio, invece, è ri-sultato maggiore nelle donne con precedenti fa-miliari della malattia. Ricordiamoci di non som-ministrare comunque la pillola anticoncezionalea donne dai 50 anni di età.

Terapia ormonale sostitutiva (HRT) e menopau-sa: amica o nemica delle donne?Il dato clinico che abbiamo è che la terapia or-monale sostitutiva data a lungo termine in don-ne in post menopausa aumenta il rischio di4/1000 (tra le donne che non utilizzano la tera-pia ormonale sostitutiva, tra i 50 ed i 65 anni dietà, ci si aspetta una diagnosi di cancro mam-mario in 32 donne ogni 1000).Non dovremmo quindi utilizzarla nei soggettia rischio (obesità, età avanzata, diabete, car-diopatie, familiarità) e per più di 5 anni ma ri-cordiamo anche che un buon utilizzo miglioradi molto la vita della donna oltre a migliorarela qualità dell’osso e, in caso di utilizzo di so-lo estrogeno nelle donne isterectomizzate, ol-tre a non aumentare il rischio di tumore al se-no, sembra migliorare l’assetto lipidico eglicidico riducendo il rischio di patologie car-diovascolari.Per tutte le donne in terapia ormonale, il rischioaggiuntivo di carcinomamammario diventa evi-dente entro qualche mese dall'inizio della tera-pia, aumenta con la durata dell'assunzione,masembra tornare al rischio della popolazione ge-nerale entro 3-5 anni dopo la sospensione.Ovviamente non daremo HRT nelle donne af-fette da K mammella.

Gravidanza e tumore al seno: cosa fare?In Italia è una gestazione su 3000 a essere ac-compagnata dal cancro alla mammella: il 15%delle neoplasie al seno colpiscono le donneunder 35 gravide.In gravidanza il tumore è più veloce e aggres-sivo nelle donne giovani. Spesso i sintomi nonvengono riconosciuti in tempo e il ritardo del-la diagnosi peggiora la prognosi. Infatti, da unlato, l’ingrossamento della ghiandola mam-maria legato alla gravidanza e, dall’altro, i ti-mori della futura mamma a sottoporsi a esa-mi strumentali (l’ecografia mammaria rimaneil gold standard ma la mammografia bilatera-le si può fare con schermatura della pancia),per paura di nuocere al piccolo, rischiano direndere più difficoltoso riconoscere la malat-tia. Anche il trattamento del tumore durantela gravidanza necessita di alcune cautele: lachemioterapia, nel primo trimestre di gesta-zione è da evitare, mentre la radioterapia èsempre controindicata durante tutti i nove me-si, per i possibili rischi a carico del nascituro.Per quanto riguarda il “quando” progettareuna gravidanza dopo trattamento oncologico,gli studi clinici dimostrano che non vi è unimpatto negativo sulla prognosi ma si consi-glia di attendere almeno due anni, questo in-fatti è il periodo con un maggior tasso di re-cidive.

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Il ginecologo e la diagnostica mammaria

Le attuali pillole abasso dosaggio nellegiovani donne nonsembrano aumentare ilrischio di tumore alseno

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Il metabolismo del ferroIl ferro, elemento 28 della tavola periodica diMendeleev, è un oligoelemento, cioè un mine-rale indispensabile per il nostro organismo, ilcui fabbisogno quotidiano è molto piccolo, mi-surandosi nell’ordine dei microgrammi.Ha un ruolo cruciale in alcuni processi vitaliquali: il trasporto di ossigeno nei tessuti, il tra-sferimento di elettroni nella catena respirato-ria mitocondriale, la catalizzazione in impor-tanti sistemi enzimatici. Nel nostro organismosono presenti 4-5 grammi di ferro così distribui-ti: emoglobina 65%, mioglobina 10%, ferritinaed emosiderina 25%, enzimi tracce.Lo introduciamo attraverso il cibo e di solito laquantità di ferro presente nella nostra dieta èappena sufficiente a compensarne le perdite fi-siologiche quotidiane (perdita urinaria e fecale,

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La sideropeniarappresenta lacarenza alimentarepiù diffusa almondo ele donne sono circa 10volte più soggette asvilupparla. Nei primianni di vita la richiestadi ferro aumenta persostenere la crescita

dellemassemuscolarie per espandere lavolemia, e ciò saràancora più evidentenella pubertà.In età fertile lamestruazione, puressendo un eventofisiologico, costringel’organismo a

ricostruire ognimesele sue scorte di ferro.La gravidanza, il partoe l’allattamentodeterminano undepauperamento dellegià precarie scortemarzialidell’organismofemminile

Il ferronelle età della donna:serve davvero?

Nella nostra quotidianità possiamo trovarci nel

dubbio di prescrivere il ferro alle nostre pazienti

anche perché tale terapia non sempre è ben tollerata.

Proviamo a chiarirci le idee

Maurizio SilvestriU.O.C. Ginecologiae OstetriciaPresidio ospedalieroSan Matteo degli infermiSpoleto (Pg)

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sudorazione, flusso mestruale, sfaldamento cel-lulare, perdita di capelli, taglio delle unghie) chesono nell’ordine di 0.8 mg per l’uomo e 1.4 mgper la donna in età fertile.Negli alimenti è presente in due forme con dif-ferente biodisponibilità: ferro eme e non eme.Il ferro eme, legato principalmente ad emoglo-bina e mioglobina, è presente soprattutto nellacarne e nel pesce, e ha una biodisponibilità del25% che non dipende dalla composizione delladieta. Il ferro non eme, o inorganico, è invecepresente negli alimenti vegetali, e ha una bio-disponibilità del 2-13% che dipende dalla com-posizione della dieta (calcio, fibre, fitati e polifi-noli ne limitano l’assorbimento, mentre acidoascorbico, carne e pesce ne potenziano l’assor-bimento). Nella nostra dieta il ferro deriva so-prattutto da alimenti vegetali (verdura e ortag-gi 40%, cereali e derivati 30%, carne e pesce 30%)quindi viene assunto nella forma non eme.L’assorbimento del minerale avviene a livellodalla mucosa del duodeno e della prima partedel digiuno, le cui cellule svolgono anche fun-zione regolatrice l’assorbimento del minerale(trasporto attivo). L’individuo sano assorbe so-lo il 10-20% del ferro contenuto nella dieta,men-tre in condizioni di sideropenia l’assorbimentodel minerale può raggiungere anche l’80% diquello contenuto negli alimenti ingeriti; tale fe-

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Il ferro negli alimenti èpresente in due formecon differentebiodisponibilità:ferro eme e non eme.Il ferro eme, legatoprincipalmente ademoglobina emioglobina, è presentesoprattutto nella carnee nel pesce.

Il ferro nelle età della donna: serve davvero?

� ADOLESCENZAPeriodo della vita incui l’organismoaumenta le richiestedi ferro per l’ intensosviluppo fisico el’espansione dellavolemia. Le primemestruazioni, a voltemenorragiche,associatefrequentemente adiete inadeguate condiminuito apporto diferro, riducono leriserve marzialiportando all’anemiacon conseguenteimpatto negativosulla qualità dellavita.

� PERIODO FERTILELe donne con flussimestruali normalisoddisfanol’aumentata necessitàdi ferro con una dietaadeguata (a volte ladieta non è adeguataper motivi di “linea”oppure per abitudinivegetariane). Nelledonne con eccessimestruali ilfabbisognogiornaliero di ferrosarà maggiore equindi noncompensabile con ilsolo apportoalimentare. Anchel’utilizzo dello IUDpuò, nel tempo,causare sideropenia.

� GRAVIDANZAIl fabbisognogiornaliero di ferroaumenta da 1.4mg/die a 4.8 mg/dieper assicurare lenecessità feto-placentari e far fronteall’espansione dellavolemia materna.L’Oms stima che il15% delle gestantinei paesi occidentalipresenta anemia ferrocarenziale. Di solito lescorte di ferronell’organismofemminile prima dellagravidanza sonoscarse (circa il 30%delle donne cheiniziano la gravidanzaha carenza di ferropiù o meno grave),pertanto è opportunosia incoraggiare la

donna a consumarealimenti ricchi diferro, che adintervenire il primapossibile contrattamentifarmacologici al finedi evitare che talecarenza sfoci inanemia sideropenica.La richiesta di ferro ingravidanza aumentafra il secondo e terzotrimestre, quando lescorte fisiologichesono al minimo el’equilibrio fral’introduzione ed ilconsumo del ferro ènettamente spostatoverso il consumo.

� PUERPERIO EALLATTAMENTOAumentano lerichieste di ferro percompensare le perditeematiche che si sonoavute durante ilparto. Non tutti poiconcordano che ci siaun significativoaumento delfabbisogno delminerale nel periododell’allattamento, madiversi autoriritengono che debbaessere reintegratonell’organismomaterno il ferro cheviene trasferito al fetoattraverso il latte.

LE ETÀ PIÙA RISCHIODI SIDEROPENIA

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nomeno viene definito “intelligenza della mu-cosa nell’assorbimento del ferro” ed è regolatoprincipalmente da una proteina sintetizzata dalfegato: l’epcidina.Una volta assorbito dalla mucosa intestinale ilferro viene captato dalla transferrina, proteinaplasmatica con il compito di legare il ferro e tra-sportarlo agli organi bersaglio, soprattutto al mi-dollo osseo.Il ferro in eccesso viene depositato nelle cellu-le sotto due forme: principalmente ferritina, edinmisuramoltominore, emosiderina. Il 60% del-la ferritina si trova nel fegato,mentre il 40% neimuscoli e nei macrofagi (dove viene accumula-to soprattutto il ferro derivante dal catabolismodegli eritrociti).La ferritina è quindi il sistema biologico con ilquale viene “stoccato” il ferro in eccesso all’in-terno della cellula per essere poi liberato nel cir-colo in base alle esigenze dell’organismo. In con-dizioni normali vi è un preciso equilibrio fra laquantità di ferritina dei depositi cellulari e laferritina plasmatica. La ferritinemia è quindi unparamento utile nella quotidianità clinica pervalutare l’entità delle riserve marziali dell’orga-nismo. Gli aggregati di ferritina sono detti emo-siderina, proteina presente soprattutto nel fe-gato dove sono maggiori i depositi del ferro. Incondizioni di sovraccarico marziale l’emoside-rina potrà trovarsi in tutti i tessuti.

Aspetti clinici della sideropeniaIl ferro assunto con la dieta compensa le nor-mali perdite del minerale ma ci sono condizio-ni che possono portare alla ferro carenza per:1. apporto inadeguato2. assorbimento inadeguato3. aumentato fabbisogno4. perdita protratta di ferro.Abbiamo visto che l’organismo ha la capacitàdi aumentare l’assorbimento del minerale pre-sente negli alimenti per compensarne le richie-ste, ma se questo meccanismo è insufficiente sisviluppa prima una sideropenia, quindi un’ane-mia da carenza di ferro.Nei paesi occidentali l’anemia-sideropenica èdovuta in genere a sanguinamento, ma si ri-scontra anche nei giovani che seguono dieteinadeguate nelle diete vegetariane il ferro con-tenuto nella frutta e verdura è reso meno bio-disponibile dai nitrati, fosfati, fitati, ossalati etannini). Nelle donne in età fertile la causa prin-cipale sono gli eccessi mestruali; nelle bambi-ne, nelle adolescenti (soprattutto nel periodopuberale), in gravidanza e nell’allattamento l’or-ganismo aumenta invece il bisogno di ferro che,se non soddisfatto, conduce all’anemia ferrocarenziale.In caso di sideropenia nelle pazienti in post me-

nopausa è invece necessario avviare delle inda-gini mirate soprattutto all'apparato gastrointe-stinale (gastroscopia, colonscopia, esplorazionerettale), ma anche urinario (micro e/o macroematuria) per localizzare l'origine delle perditeematiche. Molto insidiose sono le piccole emor-ragie persistenti, come quelle dovute ad emor-roidi, che spesso ignorate dalla paziente posso-no condurre ad anemia sideropenica anche digrado elevato.

La donna con carenza di ferro può presentareuna sintomatologia differente che dipende dal-la gravità dell’anemia e dalla rapidità, anemiaacuta o cronica, con la quale s’instaura. Oltre aisintomi e segni classici quali il pallore, l’aste-nia, la tachicardia, la ridotta resistenza all’eser-cizio fisico, la difficoltà alla concentrazione e al-la memorizzazione, molto importanti sonoanche il diradamento e la fragilità dei capelli, lafragilità delle unghie e, negli stati persistenti, laloro curvatura a cucchiaio.Anche la chelite, cioèla fissurazione degli angoli della bocca, è un sin-tomo delle condizioni avanzate.Il laboratorio ci permette di confermare la fer-ro carenza e l’anemia sideropenica. L’OMS defi-nisce anemica una donna con valori di emoglo-bina inferiori a 12 g/dl ( lieve con Hb > 10 g/dl,moderata con Hb compresa fra 8 g/dl e 10 g/dl,severa con Hb < 8 g/dl ). L’aspetto delle celluledella serie rossa (soprattutto l’ipocromia e la mi-crocitemia) nello striscio di sangue perifericoorientano verso la sideropenia alla base dellostato anemico. Gli altri principali indici di labo-ratorio utili alla diagnosi sono: la sideremia, laferritina sierica e la transferrinemia con la suasaturazione.

Il trattamento della carenza marzialeUna volta diagnosticata la carenza di ferro bi-

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Il ferro nelle età della donna: serve davvero?

La donna con carenza diferro può presentare,oltre ai sintomi e segniclassici, anche ildiradamento e lafragilità dei capelli,la fragilità delle unghiee la chelite, cioè lafissurazione degliangoli della bocca

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sognerà stabilirne la causa e, per quanto possi-bile, prontamente rimuoverla; al tempo stessosi renderà necessario ripristinare rapidamentele riserve di ferro dell’organismo.Il primo provvedimento, per ricostituire le scor-te marziali, è incrementare il ferro nella dietaaumentando il consumo di alimenti ricchi diquesto minerale e nella sua forma più biodispo-nibile. Bisognerà aumentare il consumo di car-ne magra, pesce, pollame, frutta a guscio, cerea-li arricchiti ed associare alimenti checontengono vitamina C, che favorisce l’assorbi-mento del ferro alimentare. Importante è la cor-rezione di errate abitudini alimentari come quel-la, in uso nelle giovani donne, che sostituisconoporzioni di frutta e verdura con integratori ali-mentari, oppure aumentano l’assunzione di fi-bre contenenti sostanze che riducono l’assorbi-mento del ferro.

Trattamento oraleQuando la dieta non è sufficiente, nelle pazien-ti stabili dal punto di vista emodinamico, la ca-renza marziale può essere supplita per via ora-le. Abbiamo a disposizione due categorie diprodotti per la supplementazione del ferro: in-tegratori e farmaci. Questi ultimi possono con-tenere ferro elementare o in forma ferrica o informa ferrosa. I farmaci in forma ferrosa sonopiù utilizzati poiché hanno un migliore assor-bimento. Il ferro ferroso lo troviamo sotto for-ma di: solfato ferroso, fumarato ferroso e glu-conato ferroso, che differiscono per la quantitàdi ferro elementare (quello disponibile per l'as-sorbimento da parte dell’organismo) contenu-to rispettivamente nel 20%, 33% e 12%. Il trat-tamento per os è quello di prima linea inquanto economico, sicuro ed efficace per rista-bilire le riserve. La dose giornaliera raccoman-data varia da 60 mg/die a 120 mg/die di ferroferroso (in relazione alla gravità dell’anemia)somministrata lontano dai pasti poiché i salidi ferro vengono assorbiti di meno se legati aglialimenti. Tali dosaggi di ferro possono essereraggiunti solo dai farmaci a base di ferro e nonattraverso l’utilizzo di integratori che per de-finizione non devono contenere dosaggi tera-peutici. Particolare gradimento riscuotono ipreparati a lento rilascio che permettono la li-berazione di ferro lentamente durante il tran-sito intestinale del prodotto. Si migliora cosìsia l’assorbimento che la tollerabilità del far-maco. L’assorbimento infatti è inversamenteproporzionale alla quota di ferro presente nelduodeno e nel digiuno mentre l’incidenza de-gli effetti collaterali gastrointestinali è diret-tamente proporzionale alla medesima quota.Le formulazioni a lento rilascio permettonoquindi la liberazione di piccole quantità di fer-

ro che per un tempo maggiore vengono in con-tatto con la mucosa intestinale, migliorandocosì sia l’assorbimento che la tollerabilità delminerale.Recentemente è stato introdotto sul mercatoitaliano un farmaco a base di solfato ferrosounito ad un innovativo complesso polimericoche permette di ottenere la stessa efficacia te-rapeutica con un dosaggio di ferro più bassoaumentando così la compliance da parte delpaziente che avrà una minore incidenza di ef-fetti collaterali. L’aggiunta di vitamina C, di vi-tamina B12 oppure di folato al ferro non sem-bra invece dare giovamento in termini dimigliore assorbimento del minerale o di mino-re incidenza degli effetti collaterali.Di solito dopo 3-4 settimane di trattamento ini-zia ad aumentare l’emoglobina mentre il recu-pero della condizione anemica avviene di so-lito dopo due mesi anche in relazione allagravità dell’ anemia. La terapia marziale dovràcontinuare fino a raggiungere una concentra-zione di ferritina sierica superiore a 50 ng/ml

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Il primo provvedimento,per ricostituire le scortemarziali, èincrementare il ferronella dieta aumentandoil consumodi alimentiricchi di questominerale ed associarealimenti checontengono vitamina C,che ne favoriscel’assorbimento

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oppure empiricamente per 4-6 mesi.La terapia può essere limitata da effetti col-laterali gastrointestinali, come: pirosi, doloriaddominali, nausea, costipazione, e feci di co-lore scuro, che si possono attenuare inizian-do il trattamento con piccole dosi aumentan-dole progressivamente fino a raggiungere ildosaggio desiderato ed eventualmente fram-mentare il dosaggio con più somministrazio-ni al giorno.

Trattamento parenteraleQuando le perdite ematiche sono abbondanti(oltre 5 mg di ferro/die) e/o persistenti e l’ane-mia è refrattaria al trattamento marziale ora-le per ridotto assorbimento intestinale, oppu-re il paziente è assolutamente intollerante alferro per os, potrà essere effettuata la terapiamarziale parenterale. Questa modalità di trat-tamento può determinare nello 0,2-3% reazio-ni anafilattiche anche ad esito letale. Per ridur-re queste reazioni la somministrazioneendovenosa deve essere preceduta da una do-

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Il ferro nelle età della donna: serve davvero?

PRINCIPALI INDICI DI LABORATORIONELLA CARENZADI FERRO

SIDEREMIAMisura la concentrazione del ferro nel sangue.(v.n. nella donna adulta 37-145 µg/dl)Bassa sideremia� Carente apporto alimentare di ferro (malnutrizione, dietevegetariane, diete non bilanciate)

� Cattivo assorbimento del ferro presente nella dieta a livellointestinale (morbo celiaco, diarrea cronica, abuso di lassativi,alcolismo, malassorbimento, gastrectomia, acloridria)

� Aumentato utilizzo del ferro (rapida crescita nell’adolescente)� Aumentate perdite di ferro (mestruazioni, gravidanza, allattamento,emorragie gastrointestinali o genitourinarie)

� Patologie tumorali

Elevata sideremia� Somministrazione eccessiva di ferro� Emocromatosi ed emosiderosi� Scarsa utilizzazione del ferro a livello midollare (anemie aplastiche,ipoplastiche e megaloblastiche)

� Epatopatie (distruzione di cellule degli organi di deposito del ferro)� Iperemolisi

TRANSFERRINASIERICADetermina la capacità dell’organismo di trasportare il ferro ed èsintetizzata prevalentemente a livello epaticoValori di riferimento nel sangue sono 190-280mg/dlI livelli di transferrina aumentano con la deplezione delle scorte marziali,diminuiscono invece per flogosi, epatopatie, sindrome nefrosica,malnutrizione, malattie infiammatorie croniche, neoplasie, terapiemarziali.

SATURAZIONE TRANSFERRINICAÈ la percentuale di proteina legata al ferroIn condizioni normali la transferrina plasmatica è saturata con il ferrotrivalente per circa il 30%. Se tale percentuale è inferiore al 16% indicauna eritropoiesi carente di ferro. Aumenta parallelamente all’apporto diferro. La saturazione della transferrina ha fluttuazioni circadiane.

FERRITINASIERICA v.n. 10 - 291 ng/mlIndice indiretto di riserva del ferro a livello tissutaleIn condizioni normali vi è un preciso equilibrio fra la quantità di ferritinadei depositi cellulari e quella plasmatica. Misura indiretta di quanto ferrodi riserva è a disposizione dell’organismo.Principali condizioni che ne aumento i valoriAlcolismo � Anemie emolitiche croniche � Artrite reumatoide �

Neoplasie � Emocromatosi � Epatopatie � Farmaci (eccessiva assunzionedi ferro) � Infezioni � Lupus eritematoso sistemico (LES) � TrasfusioniPrincipali condizioni che ne diminuiscono i valoriCarenza di vitamina C � Deficit di introduzione di ferro � Emorragie �

Gravidanza

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se saggio pari ad quarto della dose totale. Il fer-ro per via endovenosa deve essere sempre in-fuso lentamente. In caso di reazione idiosin-crasia la somministrazione va immediatamentesospesa e somministrata adrenalina e corti-sonici. Con il trattamento parenterale laquantità di ferro fornita all’organismo puòraggiungere valori circa doppi rispetto a quel-li forniti per os, la correzione dell’anemia sa-rà più rapida. La quantità del ferro da infon-dere endovena si ricava dall’uso di tabelle chetengono conto del grado di anemia, del pesoe del sesso del paziente. Sono disponibili di-versi preparati di ferro: ferro destrano (di co-sto minore ma con maggiore rischio di darepiù reazioni anafilattiche), saccarosio di fer-

ro, gluconato di ferro, ferumoxytolo. Non cisono molti studi comparativi utili a fornire ledosi terapeutiche e la frequenza delle infu-sioni, questo rappresenta un fattore limitan-te l’uso di questi prodotti.

ConclusioniAbbiamo visto quanto il ferro sia importan-te nella nostra vita, permettendo tra l’altro larespirazione cellulare. Continuamente que-sto minerale viene eliminato e reintrodottonel nostro organismo mantenendo un deli-cato equilibrio che può rompersi soprattuttonella donna in età fertile. S’instaura così lasideropenia che dobbiamo sempre trattarema con particolare cura quando è in program-ma una gravidanza. Nel sospetto clinico di si-deropenia (attenzione anche allo sfibramen-to dei capelli) oppure in presenza di eccessimestruali, è importante accertarsi dello statodei depositi marziali. Se questi dovessero ri-sultare carenti bisognerà reintegrarli con ade-guata alimentazione associata a preparati diferro per os. La terapia marziale orale dovràdare meno effetti collaterali possibili per unamigliore compliance della paziente.

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PERSAPERNEDI PIÙ

USO PREVENTIVODELLA TERAPIAMARZIALE

Si discute se la necessitàdell’uso preventivo dellaterapia marziale, che perla maggior parte degli

autori, dovrebbe essereriservato a pazienti adalto rischio fra cui ledonne gravide, inallattamento, donne conperdite mestrualieccessive, adolescenti inrapida crescita, persone

anziane. Si è invececoncordi a scoraggiarel’uso di “prodotti dabanco” contenti misceledi vitamine e mineraliper prevenire la ferrocarenza.

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