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TRA TERRA E ACQUA

a cura diBarbara Angi

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via Raffaele Garofalo, 133/A–B00173 Roma(06) 93781065

ISBN 978–88–548–3126–1

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: marzo 2010

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Il progetto didattico tra simulazione e concretezzaMarina Montuori

Le cabanon c’est moi MassiMiliano Botti

Architettura bio-degradabile Mario Mento, Francesca Ziliani

Progetti del corso di Architettura e composizione 1steFano aBBatinali, Francesca Feroldi, Gianpiero piccirilli

steFano aBelli, Francesco rolFi, Mauro Zanardelli tiZiana alBerti, rosita Zanchi

Benedetto alBini, Gloria duci, siMona Mandis Federica aviGo, helGa FerraGlio caMilla Berardi, irene usardi

siMona Biondi, claudio pasinetti

Michele coMincioli, davide tononi cristina Micheli, aMBra sandrini andrea Manin, pierpaolo salvinelli, alessandro siGnorelli alessandro piantoni, John david sGotti

Al di là del lago d’ Idro Il senso di un’esercitazione didattica valerio paolo Mosco

Indice

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Progetti del corso di Caratteri morfologici tipologici e distributivi dell’architettura alice anGeli

luca BeltraMi, Mariarosa cernuschi

claudio BeltraMi, Manuele veZZoli

sara Bonaldelli, paola pollini carlo Brunori, viviana daMioli Marco cesaroli, Marco Guerini Michele colleselli, Francesco veZoli daniele coMinelli, nicola Mensi GaBriele conti, Marco corti, GiorGio MaZZa Michele crotti, luca pavoni

Mattia Gandini, paolo lorenZetti

Il lago d’Idro: caratteristiche idrologiche e modalità di regolazionealessandro Muraca

Ritorno alla natura antonio Musacchio

Potere all’immaginazioneBarBara anGi

Ringraziamenti Cenni biografici

Referenze fotografiche 230

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Lago d’Idro, veduta della frazione di Anfo

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Il progetto didattico tra simulazione e concretezza Marina Montuori

Come iniziare un progetto di architettura? Qual è il primo passo da far muovere agli studenti alle prese con il foglio bianco? In ambito didattico questa responsabilità ricade necessariamente sul docente.Numerose sono le analisi relative ai problemi della trasmissione della conoscenza in architettura, o le riflessioni sulle molteplici sfaccettature di questo difficile mestiere�.A riguardo appare utile rammentare un passo di Giuseppe Samonà tratto da uno scritto che risale al lontano �947, ma ancora di grande attualità: «L’insegnante di composizione dovrà avere il controllo assoluto di tutto quanto si riferisce alla com-pilazione del progetto; dovrà potere e sapere interloquire su tutto, alla luce della sua esperienza aggiornata continuamente in profondità su quello che nel mondo si va preparando e costruendo. [In esso] devono assommarsi tutte le qualità critiche necessarie a illuminare di umanità le continue discussioni che si vanno svolgendo sui vari elementi concreti e realistici del tema».�

�. Cfr. in proposito le tesi, ancora attuali a distanza di molti anni, di. Cfr. in proposito le tesi, ancora attuali a distanza di molti anni, di Giancarlo carnevale, L’architettura si impara ma non si insegna, «Op. cit.» n. 78, �990, ora in id., Litanie e griffona-ges, Officina edizioni, Roma �999, pp. 66-75 e anche quanto sostenuto dalla sottoscritta in Note sulla didattica in architettura, «Op. cit.» n. 77, �990, ora in Marina Montuori, Matita e penna, Officina edizioni, Roma �999, pp. �4-35.�. Giuseppe saMonà, Lo studio dell’architettura in «Metron» n. �5, �947, ora in id. L’unità archi-tettura urbanistica, a cura di pasquale lovero, F. Angeli, Milano �978, p. ���.

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Ed è proprio sul tema, sul punto di partenza, che ci sembra fondamentale ragionare. Un tempo avremmo detto: prima di tutto ci sono alcune piccole certezze: il «tipo edi-lizio» e l’utilitas di vitruviana memoria, codificate nella manualistica. Probabilmente, l’analisi tipologica è ancora strumento utile a procedere nella fase di avvio del pro-getto, laddove la vastità dei possibili approcci crea incertezze ed esitazioni non solo per uno studente alle prime armi, ma anche per un progettista navigato. Eppure la convinzione che la vecchia «triade» di Vitruvio3 possa ancora venire in soccorso fornendo indicazioni utili, rimane – a mio avviso – alla base dei presupposti didattici della scrittura dei progetti che compaiono in questo volume. Il progetto di architettura e il progettare sono azioni imprecise. Per dare ordine, per aggiungere qualità, per comporre (composizione significa porre insieme, congiun-gere problemi, relazionarsi con i contesti, risolvere i conflitti legati alle condizioni d’uso), occorre spaziare tra conoscenze teoriche e conoscenze pratiche. Senza pri-vilegiare il prodotto rispetto alle modalità di produzione o viceversa. Oggi molti tendono a soggiacere al fascino della rappresentazione o allo strapotere delle immagini digitali, dimentichi della vera natura degli oggetti, della consistenza

3. Oggi, peraltro, anche la triade vitruviana è messa progressivamente in crisi dalla presso-. Oggi, peraltro, anche la triade vitruviana è messa progressivamente in crisi dalla presso-ché infinita gamma di immagini che si affollano nel panorama disciplinare contemporaneo. L’utilitas, alla quale accennavo sopra, anche in nome di una presunta istanza di sostenibilità, sembra perdere forza, diluendosi in ipotesi vaghe fino a trasformare talvolta il progetto di architettura in manufatto effimero o addirittura in vera e propria installazione. Lo strapotere delle tecnologie rende poi paradossalmente plausibile qualunque tipo di firmitas, in nome, quasi sempre, di un non ben identificato concetto di venustas.

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della materia, dell’importanza della struttura. Il nostro statuto disciplinare, peraltro, è debole4: in nessuna elaborazione teorica sono mai state fissate delle regole che possano garantire la qualità del prodotto, le uniche regole che possiamo applicare riguardano la funzione e la struttura, i principi della costruzione. La ricerca del bello, si è sempre sostenuto, appartiene alle responsabilità individuali del singolo proget-tista, è un portato della sua cultura, del suo talento, e non soggiace a formule o ricette. Ma proprio le poche norme trasmissibili, quelle più vicine alla poietica, alla pratica della produzione progettuale, richiedono una continua applicazione, per poter essere apprese nel modo migliore. Il fare, soprattutto nel progetto didattico, rappresenta la verifica, l’unico strumento di controllo, attraverso la sperimentazione diretta. In questa ottica la scelta del tema si pone come pre-testo, espediente atto a consentire agli studenti di appassionarsi, di vivere l’esperienza con il necessario entusiasmo che il lavoro del progettista comporta poiché come sosteneva Stendhal: «è una vera felicità avere per mestiere la propria passione».

4. Il progettare architetture, infatti, operazione costantemente in bilico tra arte e tecnica,. Il progettare architetture, infatti, operazione costantemente in bilico tra arte e tecnica, può a buon diritto entrare a far parte di quelle discipline che Carlo Ginzburg definisce indiziarie. «Il gruppo di discipline indiziarie non rientra affatto nei criteri di scientificità desu-mibili dal paradigma galileiano. Si tratta infatti di discipline eminentemente qualitative, che hanno per oggetto casi, situazioni e documenti individuali, in quanto individuali, e proprio per questo raggiungono risultati che hanno un margine ineliminabile di aleatorietà». carlo GinzburG, Spie radici di un paradigma indiziario, in id., Miti emblemi spie. Morfologia e storia, Einaudi, Torino �99�.

Il progetto didattico tra simulazione e concretezza

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le corbusier, Dependence de le Cabanon, Roquebrune-Cap-Martin, Francia, �95�

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Il tema didatticoIl «tema dell’abitazione ridotto all’essenziale» è stato il punto di partenza. Nulla di trascendentale: basta ricavare una porzione di spazio utilizzabile per abitarvi, poco più di un rifugio, di un capanno, una semplice casa, ma che possa anche alludere a forme alternative di stanzialità, prototipo di residenza, forse inconsueta anche per coloro che vagheggiano la «vacanza intelligente», da inserire in un contesto ambientale senza determinare alterazioni sostanziali. Si tratta, in sintesi, di una sorta di esperienza in vitro, ma profondamente ancorata al reale. Il tema è libero, ma anche circoscritto e porta a riflettere sull’importanza del dettaglio, il dettaglio che produce la forma e permette di ricavare regole via via più generali, principi costruttivi, modalità di contatti tra materiali diversi, e quindi indurre impli-cazioni morfologiche. Scrive nelle pagine seguenti Valerio Paolo Mosco: «Abbiamo imposto che gli oggetti fossero più di uno, che avessero la capacità di relazionarsi tra loro o essere tenuti insieme da un sistema connettivo e, in ultima analisi, di conformare un sistema e di configurare, allo stesso tempo, quello che abbiamo definito un paesaggio architetto-nico, capace di colonizzare morbidamente le sponde del lago o il lago stesso, come architettura galleggiante o semi-galleggiante. Termini che […] fanno riferimento ad un’estetica ormai ben definita: nata con il primitivismo del primo Moderno, divenuta espressione che si pone oltre l’architettura con il radicalismo degli anni Sessanta, veico-lata dal movimento hippy in tutto il mondo, fatta propria dall’arte (Arte Povera, Pop Art

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Casa anonima per vacanze in Calabria

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e Land Art); un’estetica oggi accettata universalmente, espressione nei peggiori casi di un mid-cult alle volte un po’ corrivo, persino oggetto di culto vintage, come dimostrato dalla arguta gestione di Stefano Boeri di «Domus» e di «Abitare». Un’estetica oggi stu-diata con affetto, se non con devozione.»

Modificare il gusto corrente con esorcismi minimali L’intenzione di far misurare gli studenti con la piccola residenza vacanziera, pur nella sua accezione semplificata, appariva, inoltre, un tema di grande attualità e abbastanza affascinante. Per quanto riguardava il mio corso, inoltre, volevo sottolineare innanzi tutto la necessità di prendere le distanze dalle cementificazioni incongrue degli ambienti naturali contaminati da un turimo corrivo. Ciò ha comportato scelte di campo precise e ha assunto quasi un valore di esorcismo. Oggi si è in presenza di un tale distacco tra l’universo estetico diffuso e i prodotti della cultura disciplinare al punto da poter affermare che l’idea di bello che ha vinto, che si è ormai codificata, abbia dato luogo ad un vero e proprio linguaggio alternativo, diffuso universalmente. E non solo in Italia... Uno degli obiettivi perseguiti è stato pertanto quello di scardinare negli studenti i pre-concetti, i comportamenti imitativi e conformistici, basati sulla scarsa familiarità con i modelli colti prodotti dalla cultura disciplinare. Difficile è, infatti, per chi è alle prime armi pensare di poter ignorare i panorami consueti, i paesaggi abituali, i segni che connotano i percorsi quotidiani, l’usuale orizzonte domestico che apparentemente invera il migliore dei mondi possibili e, al contempo, difficile è per i docenti far com-

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Casa anonima per vacanze in Calabria

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prendere la logica di modelli alti forieri di astrazione e alterità5. Da molti anni vado analizzando fenomeni di «patologia urbana»6; mi riferisco con questa espressione all’imbarbarimento dell’architettura (e in particolare di quella residenziale), riscontrabile in vasta misura nei territori a ridosso delle aree metropo-litane, specie nelle proliferazioni selvagge della cosiddetta «città diffusa», nei luoghi di vacanza. Ma è soprattutto nella casa monofamiliare che la libido formalista appare come unico motore dello sviluppo edilizio. Un’eco di Post Modern bieco e incolto che sopravvive a se stesso, ancora dopo trent’anni dalle prime declinazioni (colte) messe in mostra da Paolo Portoghesi nella Prima Mostra Internazionale di Architettura, alla Biennale di Venezia, dal titolo La presenza del passato7 (�980). Un Post Modern interpretato con povertà di materiali che dà vita a caricature di edifici

5. Un esercizio che ho proposto per molti anni agli studenti consisteva nel chiedere di sele-. Un esercizio che ho proposto per molti anni agli studenti consisteva nel chiedere di sele-zionare tre architetture da loro ritenute «belle» e tre «brutte». Inutile dire che tra le immagini del primo tipo comparivano icone desolanti, pastiche anonimi recuperati lungo i percorsi consueti, nella città diffusa ecc., mentre – ça va sans dire – molto spesso gli edifici definiti «brutti» risultavano essere opere firmate da valenti progettisti. 6. Nel �98� pubblicai un piccolo saggio dal titolo. Nel �98� pubblicai un piccolo saggio dal titolo La cultura sociale dell’abusivismo, ora in Marina Montuori, Matita e penna, cit., pp �97-�05. Ma si veda anche Giancarlo carnevale, Realismo tragico, in id. (a cura di), A regola d’arte, Officina Edizioni, Roma �006, pp.�69-�07. Il tema è stato indagato da più autori, e da più angolazioni: vanno ricordati anche Fruttero & lucentini, Gli amici dei mostri, Umberto Allemandi & C., Torino �997. 7. Sembra pleonastico ricordare la genesi del Post Modern poiché la nostra generazione ha. Sembra pleonastico ricordare la genesi del Post Modern poiché la nostra generazione ha chiara memoria di questi avvenimenti. Ma qualche oblio storiografico ha cancellato la sua genesi dalla memoria di molti e i nostri studenti, in particolare, poco o nulla sanno delle origini di questa vicenda e della «fine del proibizionismo» auspicata da P. Portoghesi.

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Viaggio di studio in Olanda, maggio �007, un studio, Water villa’s, Almere

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prestigiosi, ricoprendo pianure, valli e coste del nostro bel paese, trasformando siti straordinari dal punto di vista paesaggistico in ambienti desolati e caotici simili alle plaghe brianzole trasposte nell’altro continente e descritte da Carlo Emilio Gadda ne La cognizione del dolore8. In realtà la massiccia presenza di sistemi residenziali legati solo alla logica dello sfruttamento del suolo mostra con chiarezza la carenza di efficaci strumenti di controllo del territorio. Rappresenta solo la risposta a doman-de disattese dal sistema, che si materializzano in una vera e propria autogestione della forma urbana e architettonica, il luogo in cui la gente comune tende a con-notare con cifre personalizzanti manufatti che, per diffidenza verso forme di housing convenzionali, rischierebbero altrimenti la non riconoscibilità9.

8. Anche questa citazione è forse ormai abusata e sono trascorsi più di otto lustri da quando Bruno �evi. Anche questa citazione è forse ormai abusata e sono trascorsi più di otto lustri da quando Bruno �evi la riportò in una delle sue Cronache di architettura. «Di ville, di ville; di villette otto locali doppi servissi; di principesche ville locali quaranta ampio terrazzo sui laghi veduta panoramica del Serruchón - orto, frutteto, garage, portineria, tennis, acqua potabile, vasca pozzonero oltre settecento ettolitri [...] di ville! di villule! di villoni ripieni, di villette isolate, di ville doppie, di case villerecce, di ville rustiche, di rustici delle ville, gli architetti pastrufaziani avevano ingioiellato, poco a poco un po’ tutti i vaghissimi e placidi colli delle pendici preandine». carlo eMilio Gadda, La cognizione del dolore, Einaudi, Torino �963.9. A tal proposito andrebbe anche sottolineata l’inefficienza della consueta strumentazione urba-. A tal proposito andrebbe anche sottolineata l’inefficienza della consueta strumentazione urba-nistica che presiede allo sviluppo dell’ambiente e che, facendo salve le leggi della quantità, non vuole, non riesce o non trova la possibilità di operare adeguati controlli di tipo qualitativo. Il con-trollo occhiuto svolto dalle soprintendenze, per garantire la compatibilità con i siti, si tramuta, nella maggioranza dei casi, in vere e proprie camicie di Nesso che costringono alla ripetizione acritica di stilemi obsoleti, spesso stucchevoli e mortificanti per i professionisti dotati di aspirazioni ad un corretto svolgimento del proprio lavoro.

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Viaggio di studio in Olanda �8 maggio �007. MVRDV, Wozoko, Amsterdam

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