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FEGATO: a Padova innovativa tecnica di chirurgia avanzata su metastasi epatiche

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PERIODICO D’INFORMAZIONE

DELL’AZIENDA OSPEDALIERA DI PADOVA

Dicembre 2014

DIRETTORE GENERALE

Claudio Dario

Leg. Rappr. A.O. Padova

DIRETTORE RESPONSABILE

Luisella Pierobon

HANNO COLLABORATO IN QUESTO NUMERO

Silvia Baggio, Barbara Battistella, Lorenzo Calò,

Eliana Camporese, Umberto Cillo, Maurizio Clementi,

Giuseppe Fama, Gino Gerosa, Enrico Gringeri,

Maddalena Guiotto, Elena Narne, Andrea Pettenazzo,

Leonardo Sartori

Luisa Longhini, consulenza legale

DIREZIONE, REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE

Via Giustiniani 1— Padova

tel. redazione 049.8213923

fax redazione 049.8218283

[email protected]

Registrazione del Tribunale di Padova

n. 1553 del 21.01.97 Registro Stampa

in copertina:

Immagine intervento di chirurgia

epatobiliare realizzato a Padova

informainformasanitàsanità

SOMMARIO

Nuove frontiere nella Chirurgia del fegato pag. 3

La Nefrologia di Padova ai vertici mondiali pag. 5

Il progetto SIGN punta all’eccellenza pag. 7

Il virus Ebola: gestione di casi sospetti in AOP pag. 9

Prestigioso riconoscimento internazionale

al Prof. Gino Gerosa pag. 12

L’Osteoporosi pag. 13

Approfondimento: le lesioni della cuffia dei rotatori pag. 15

La Terapia Intensiva pediatrica pag. 19

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ECCEZIONALE INTERVENTO CON INNOVATIVA TECNICA DI CH IRURGIA AVANZATA IN DUE FASI, ENTRAMBE IN LAPAROSCOPIA CON AUSILIO DI MICROONDE, SU METASTASI. VIENE ASPORTA-TO PIU’ DELL’80% DEL FEGATO CHE POI SI RIGENERA.

L’équipe di Chirurgia Epatobiliare diretta dal prof. Umberto Cillo dell’Azienda Ospedaliera/Università di Padova ha rea-lizzato con successo, nell’estate di quest’anno, un eccezionale e innovativo intervento su un paziente di 52 anni affet-to da metastasi al fegato diffuse a segui-to di tumore al colon.

Il paziente sta bene e il suo fegato si è rigenerato del 100% a distanza di soli 9 giorni dall’intervento.

L’innovativo intervento chirurgico, al paziente giudicato inoperabile per l’estesa diffusione delle metastasi, ha vi-sto l’équipe di chirurgia epatobiliare agire in laparoscopia nelle due fasi a distanza di 15 giorni mediante l’ausilio di microon-de.

Il primo intervento chirurgico in laparoscopia è durato poco più di due ore. La vena porta è stata legata e grazie all’utilizzo di antenne a microonde posi-zionate dentro il fegato è stato possibile separare il fegato sano da quello malato st imolandone la r igenerazione. L’intervento non ha richiesto il ricovero in

terapia intensiva ed il paziente è stato dimesso dopo 3 giorni.

Dopo soli 9 giorni, la TAC dell’addome dà conferma della prevista, straordinaria, completa crescita del fegato.

A distanza di 15 giorni dal primo intervento il paziente è stato sottoposto al secondo intervento della durata di circa 10 ore. L’intervento si è svolto sempre in laparoscopia e al paziente è stato aspor-tato più dell’80% del fegato malato.

Grazie a questa nuova tecnica, il pazien-te viene nuovamente dimesso dopo soli 5 giorni.

Questa procedura, definita col termine di LAPS (Laparoscopic microwave Ablation and Portal vein ligation for Stagedh epa-tectomy) progettata e realizzata per la prima volta dai chirurghi epatobiliari pa-dovani, comprende un innovativo studio pilota, approvato dal Comitato Etico dell’Azienda Ospedaliera di Padova.

Lo studio clinico è stato registrato su Cli-nicalTrials.gov (n. NCT02184182 http://

clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT02184182).

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LA “CORSA” ALLA RESEZIONE “ESTREMA”

La fenomenale caratteristica rigenerativa del fegato, già nota sin dai tempi dell’antica Grecia, è stata sfruttata nel corso degli anni dai chirurghi epatobiliari. Asportando una porzione di fegato si in-duce uno stimolo rigenerativo che per-mette la crescita del fegato residuo.

Sulla scorta di queste conoscenze fisio-patologiche la chirurgia epatica si è molto evoluta nel tempo:

1980: Chirurghi Giapponesi propongono di occludere una vena del fegato (vena porta destra) per stimolare la rigenerazio-ne epatica;

1990: Chirurghi Francesi descrivono una tecnica chirurgica definita come “resezione epatica in due tempi” che pre-vede due diversi interventi chirurgici, il primo dei quali per stimolare la crescita

del fegato sano, il secondo per asportare la parte malata eseguiti in sequenza a distanza di 30/40 giorni per la cura di tu-mori primitivi e secondari del fegato: è la pratica clinica attuale;

2012: Chirurghi Tedeschi accorciano si-gnificativamente a 9/15 giorni il tempo necessario alla rigenerazione completa (attesa tra il primo e secondo intervento) dividendo fisicamente il fegato sano da quello malato.

Estate 2014 : l’équipe di chirurgia epato-biliare di Padova realizza un nuovo tra-guardo con l’intervento chirurgico di rese-zione epatica in due tempi a distanza di 15 giorni, totalmente in laparoscopia , riducendo ulteriormente i tempi di degen-za ma soprattutto il rischio di complican-ze per il paziente.

Questa nuova tecnica ideata e realizzata con successo a Padova consente di au-mentare l’operabilità, rendendo la proce-dura più sicura e meglio tollerata, in pa-zienti selezionati affetti da tumori su gran parte del fegato fino all’80%.

Antenne a microonde per separare il fegato sano dal malato

SEQUENZA DELL’ECCEZIONALE INTERVENTO AL FEGATO

Piccole incisioni chirurgiche di cm. 1 e mezzo per laparoscopia

Rigenerazione epatica dopo microonde Rimozione completa del tumore

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La classifica che viene riportata dal sito della Johns Hopkins University e si può visionare ai seguenti link:

www.expertscape.com/ex/bartter+syndrome www.expertscape.com/ex/gitelman+syndrome

vede il Prof. Lorenzo Calò dell’Azienda Ospedaliera di Padova primo al mondo nell’ambito delle malattie renali, in particolare nelle malattie del trasporto tubulare renale.

Si tratta di una classifica stilata dai ricer-

catori della prestigiosa Università Ameri-

cana Johns Hopkins University di Balti-

mora che si sono basati su un’estesa re-

visione delle pubblicazioni scientifiche in

Nefrologia uscita negli ultimi anni.

La classifica dà notevole prestigio alla

nefrologia italiana che occupa il quarto

posto dopo Stati Uniti, Giappone e Gran

Bretagna.

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Il Prof. Lorenzo Calò, nefrologo, interni-sta ed ipertensiologo dell’Azienda Ospedaliera/Università di Padova opera presso la Nefrologia 2.

Da oltre vent’anni segue, in particolare, la Sindrome di Bartter e la Sindrome di Gi-telman, malattie renali genetiche che compromettono il riassorbimento tubulare renale di potassio e di magnesio. La con-seguente riduzione nel sangue di potas-sio e magnesio può indurre l’insorgenza di aritmie cardiache che, nei casi più gra-vi, possono anche essere fatali e, seppur raramente, evolvere verso l’insufficienza renale cronica.

La Sindrome di Bartter è più frequente nei bambini, mentre la Sindrome di Gitel-man si riscontra, soprattutto, nell’età a-dulta. L’analisi genetica identifica la mu-tazione nel gene che codifica per la pro-teina responsabile del trasporto tubulare renale del potassio, permettendo la dia-gnosi di certezza.

Il Prof. Lorenzo Calò è riconosciuto punto di riferimento non solo nel triveneto ma anche a livello nazionale per la gestione clinica e la diagnosi di queste malattie.

Un aspetto di queste malattie genetiche renali rilevato, riguarda un modello uma-no unico nello studio delle basi cellulari e molecolari dell’ipertensione arteriosa.

Malattie che, per molti aspetti, sono l’esatto contrario dell’ipertensione arterio-sa ed i pazienti nei quali vengono riscon-trate, pur possedendo molte caratteristi-che biochimiche ed ormonali tipiche dell’ipertensione arteriosa, non hanno l’ipertensione.

Pertanto, sostiene Calò, “capire perché questi pazienti non diventano ipertesi pur possedendo molte caratteristiche ormo-nali e biochimiche dell’ipertensione arte-riosa, può essere di grande importanza per cogliere le basi cellulari e molecolari dell’ipertensione arteriosa stessa”.

Noti sono i suoi studi negli ultimi 15 anni in questa direzione, alcuni recenti in pa-zienti con Sindrome di Bartter e di Gitel-man.

Il prof. Lorenzo Calò

Gli esiti di tali studi sono pubblicati su prestigiose riviste scientifiche internazio-nali e hanno permesso così di delineare nell’uomo nuovi meccanismi biochimici e identificare nuove proteine che possono svolgere un importante ruolo nella fisio-patologia dell’ipertensione arteriosa. Nuove strade, queste, per il trattamento dell’ipertensione arteriosa e delle sue complicanze cardiovascolari e renali.

LA NEFROLOGIA LA NEFROLOGIA LA NEFROLOGIA DIDIDI PADOVA PADOVA PADOVA AI AI AI VERTICIVERTICIVERTICI MONDIALIMONDIALIMONDIALI

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La diagnosi genetica ha un nuovo mo-dello di eccellenza : il progetto SIGN, network genetico transfrontaliero slo-veno-italiano . A tre anni dall'inizio della collaborazione, gli esperti della macro-regione si sono incontrati in un convegno il 18 ottobre 2014 a Padova, presso il Po-liclinico Universitario. All'evento gli esper-ti hanno presentato ai medici e altri ope-ratori che lavorano nell’ambito sanitario le attività offerte da SIGN, le nuove pos-sibilità diagnostiche nell’ambito della ge-netica medica e la realtà attuale e futura dell’assistenza sanitaria transfrontaliera.

Il progetto SIGN è nato a novembre 2011 con l'obiettivo di migliorare i Servizi di Genetica nella macro-regione riducen-do le differenze nei servizi sanitari e au-mentando la qualità della vita dei pazienti affetti da patologia genetica dell'area.

“Il bilancio è positivo sul piano organiz-zativo e della ricerca, ma ci sono ancora barriere da superare”, ha detto nell’occasione Borut Peterlin , dell'Istitu-to di Genetica Medica, dell'Università di Lubiana e capofila del progetto.

Finanziato con 1,4 milioni di euro prove-nienti dal Fondo europeo di sviluppo e con i fondi nazionali, nell'ambito del pro-gramma 2007-2013 per la collaborazione transfrontaliera Italia- Slovenia, il proget-to ha messo in rete otto centri di eccel-lenza (tre sloveni e cinque italiani): l ’ Is t i tu to d i Genet ica Medica

dell’Università di Lubiana, la Clinica Uni-versitaria di Golnik (Slovenia), l’Ospedale di Izola (Slovenia), l’Ospedale Burlo Ga-rofolo di Trieste, il Dipartimento di Scien-ze Me-diche e Biologiche dell’Università di Udine, il Cro di Aviano, il servizio di Genetica Clinica di Padova e la Genetica Medica di Ferrara.

“Il nostro network si distingue per l'ec-cellenza e la qualità dei centri ”, ha spiegato Maurizio Clementi , direttore dell'Unità Operativa Complessa Genetica Clinica ed Epidemiologica dell'Azienda Ospedaliera/Università di Padova che ha ospitato il convegno. “SIGN non punta ad ampliarsi, ma a specializzarsi per ri-spondere meglio ai pazienti con malattie genetiche rare”, ha detto il clinico.

Tra i risultati ottenuti spicca il database di SIGN che ha messo in rete 23 centri di genetica clinica, 24 laboratori oltre 180 professionisti con test per più di 210 pa-tologie, la maggior parte delle malattie genetiche note, e 12 centri terapeutici e di riabilitazione.

“Il sito web http://www.signgenetics.eu/ e il database dei centri specializzati nella diagnosi (clinica e di laboratorio), nella terapia e riabilitazione delle malattie ge-netiche, favoriscono l'accesso alle risorse disponibili per le malattie genetiche da parte di operatori, clinici e pazienti”, ha affermato Anna Savoia , della Genetica Medica, dell'IRCCS Burlo Garofolo di Trieste.

IL PROGETTO SIGN PUNTA ALL'ECCELLENZA A PADOVA IL CONVEGNO CON IL BILANCIO E LE PROSPETTI VE DELLA RETE TRANSFRONTALIERA SLOVENO-ITALIANA PER LE MALATTIE G ENETICHE

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L'importanza della corretta informazio-ne in ambito genetico ha favorito in questi anni l'organizzazione di “attività di istruzione , di informazione e di aggior-namento non solo per i medici e gli altri operatori sanitari, ma anche per il pubbli-co in generale”, ha spiegato Giuseppe Damante , del Dipartimento di Scienze Mediche e Biologiche dell'Università di Udine.

La ricerca e la tecnologia avanzano velo-cemente, ma restano ancora delle bar-riere da superare. La burocrazia e la distanza delle istituzioni sono tra que-ste perché sottraggono risorse, non solo tecnologiche. “Oggi con poche migliaia di euro – ha spiegato la Savoia – possiamo ottenere esami che dieci anni fa costava-no dieci volte di più”. La macchina fornirà sempre più dati, “ma servono cervelli

per decodificare informazioni così com-plesse come quelle fornite da geni che controllano più funzioni”, ha ricordato Clementi.

Il progetto SIGN continuerà, ma “serve un maggiore impegno dalle istituzioni”, ha detto lo sloveno Peterlin. Mentre si possono fare valutazioni e diagnosi a co-sti bassissimi con la telegenetica, “non c'è ancora il modo per poter riconoscere anche economicamente le consulenze transfrontaliere”, ha osservato Damante.

Meno burocrazia e la possibilità di poter contare sulla presenza continua dei gio-vani ricercatori nei laboratori sono le ri-chieste avanzate con forza dagli esperti. Il network genetico transfrontaliero SIGN c'è e funziona. Ora, burocrazia permet-tendo, potrà crescere e diventare eccel-lente.

Immagine tratta da yourself.pianeta donna.it

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L'attuale epidemia da Malattia da Virus Ebola (MVE) rappresenta la più estesa della storia e coinvolge diversi paesi dell'Africa Occidentale, con conferma di nuovi casi in Liberia, Guinea e Sierra Le-one.

Nell’attuale situazione epidemiologica, è altamente improbabile, ma non impossi-bile, che persone infettate da virus Ebola, originarie delle aree considerate a ri-schio, giungano in Italia dalle zone del focolaio epidemico e qui sviluppino i sin-tomi dopo il loro arrivo. A questa eve-nienza remota, si associano invece even-ti più verosimili, quali il rientro di volontari o cooperanti provenienti dai paesi a ri-schio con sintomatologia compatibile con MVE o il verificarsi di “falsi allarmi” asso-ciati a soggetti provenienti dalle aree a rischio ma non rientranti nella definizione di caso. In tutte queste circostanze, si richiede sempre una buona e tempestiva capacità di valutazione e corretta classifi-cazione del caso, al fine di mettere in atto le idonee misure di isolamento, se neces-sarie, o di contenere ingiustificate situa-zioni di panico.

In considerazione dell’elevata mortalità che grava quest’infezione (pur con valori inferiori ad altre epidemie causate da vi-rus che causano febbri emorragiche, il tasso di mortalità dell’attuale epidemia si aggira attorno al 60%) e dell’elevata dif-

fusibilità del virus Ebola, la Malattia da Virus Ebola è oggetto di massima allerta nel territorio nazionale, con un’importante organizzazione a supporto, da parte del Ministero della Salute e, a livello locale, della Regione Veneto ed in questa Azien-da.

Dopo conferma laboratoristica di presen-za di soggetti con MVE, il Ministero della Salute ha previsto che gli stessi pazienti con infezione da virus Ebola siano cen-tralizzati nelle due uniche strutture nazio-nali identificate per la gestione di questi casi: l'Istituto Nazionale Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” a Roma o l'U.O. Malattie infettive dell’Ospedale “Luigi Sacco” a Milano. Diversamente, i pazienti che rientrano inizialmente solo nella defi-nizione di caso sospetto o probabile, de-vono essere ricoverati in una Unità Ope-rativa di Malattie Infettive del territorio na-zionale, in ambiente isolato, al fine di po-ter effettuare i primi interventi strettamen-te necessari e le indagini diagnostiche necessarie per MVE.

Pertanto, anche l’Azienda Ospedaliera di Padova, in quanto dotata di un’Unità O-perativa di Malattie Infettive, è stata iden-tificata come sede provinciale per il rico-vero di casi sospetti e probabili, in attesa che vengano effettuati i test specifici per MVE.

IL VIRUS EBOLAIL VIRUS EBOLAIL VIRUS EBOLA Gestione casi sospetti di Malattia da Virus Ebola Gestione casi sospetti di Malattia da Virus Ebola Gestione casi sospetti di Malattia da Virus Ebola

(MVE) in Azienda Ospealiera(MVE) in Azienda Ospealiera(MVE) in Azienda Ospealiera

a cura della Direzione Medica Ospedaliera

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Sempre secondo le indicazioni nazionali, alcuni test di laboratorio possono essere eseguiti, oltre che nel laboratorio nazio-nale di riferimento “laboratorio di Virologi-a dell’INMI L. Spallanzani”, anche in la-boratori regionali di riferimento. In Veneto è stato identificato il laboratorio dell’U.O.C Microbiologia e Virologia di questa Azienda.

In una prima fase di “accreditamento” della rete nazionale dei diversi laboratori regionali, gli esami verranno comunque effettuati anche nel laboratorio nazionale di riferimento.

In considerazione di tutto ciò, per gestire eventuali casi sospetti presenti nella pro-vincia di Padova, l’Azienda ha previsto percorsi per gestire sia pazienti adulti che pediatrici rientranti nella definizione di casi sospetti e probabili, inclusi i casi cri-tici che necessitano di Terapia Intensiva.

Un gruppo di lavoro multidisciplinare (costituito dai rappresentanti dell’area cli-nica pediatrica e dell’adulto, del Pronto Soccorso, della Microbiologia e Medicina di Laboratorio, del Servizio per le Profes-sioni Sanitarie, della Direzione Medica, del Servizio di Medicina Preventiva, del

Servizio Prevenzione e Protezione, del SUEM 118) ha realizzato una procedura dedicata alla gestione dei casi sospetti da MVE, valutando sia l’ipotesi di un ac-cesso diretto degli utenti alla nostra strut-tura, che l’ipotesi di trasferimento da altre aziende sanitarie dell’area vasta provin-ciale.

Lo scopo primario delle indicazioni azien-dali è di identificare precocemente i casi sospetti e probabili di Malattia da Virus Ebola, classificando il livello di rischio per MVE al fine di adottare le necessarie mi-sure di controllo per ridurre il rischio di trasmissione del virus ad altri pazienti, operatori sanitari e visitatori.

La procedura, in linea con le direttive mi-nisteriali e regionali, prevede la centraliz-zazione dei “casi sospetti” presso l’U.O.C. Malattie Infettive, e dei casi critici presso U.O.C. Anestesia e Rianimazione e l’identificazione di specifici percorsi sia presso i punti di Pronto Soccorso per a-dulti e Pronto Soccorso pediatrico che presso l’U.O.C. Malattie Infettive.

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Altro elemento fondamentale è stato prevedere un percorso formativo per il personale per fornire elementi di carat-tere generale sulla malattia da virus E-bola (manifestazioni cliniche, periodo di incubazione, modalità di trasmissione, criteri diagnostici) ed informazioni di ca-rattere più operativo per la gestione in A.O. dei casi sospetti e probabili.

Gli eventi formativi hanno focalizzato l’attenzione sulle misure da adottare per la riduzione del rischio di trasmis-sione, ed in particolare sulla modalità di utilizzo e rimozione dei dispositivi di

protezione individuale (DPI). Si tratta di un elemento di criticità nelle trasmissioni intraospedaliere avvenute in Spagna e negli Stati Uniti d’America.

Affrontando la tematica sotto diversi profili e con molteplici strumenti si sta cercando di fornire risposta alla possibilità che si verifichi un evento.

Sono stati inoltre proposti strumenti for-mativi ed informativi ai dipendenti, per af-frontare l’argomento con la preparazione scientifica e culturale necessaria.

IL VIRUS EBOLAIL VIRUS EBOLAIL VIRUS EBOLA

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Durante il congresso dei cardiologi e cardiochirurghi americani, impegnati nella cura delle malattie valvolari cardiache, tenutosi a New York nel mese di maggio di quest’anno, il Prof. GINO GEROSA ha ricevuto la targa a lato riportata “Lifetime achievement award in heart valve disease” per il costante impegno e i risultati raggiunti nella sua vita professionale, nello studio e nella cura delle patologie valvolari cardiache.

RICONOSCIMENTO INTERNAZIONALE AL PROF. GINO GEROSA

Il prof. G. Gerosa, direttore della Cardiochirurgia dell’A.O. Padova,

ha voluto dedicare all’équipe che dirige, il presti gioso riconoscimento

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L’osteoporosi è una malattia caratterizza-ta da inadeguati livelli di massa ossea che, associati ad alterazioni strutturali dello scheletro, determinano una sensibi-le riduzione delle resistenze scheletriche. Conseguentemente, traumi minimi o atti-vità anche banali quali flettersi, alzarsi dalla sedia, sollevare la borsa della spe-sa possono causare la comparsa di frat-ture.

L’osteoporosi è assai diffusa nei Paesi occidentali sia per abitudini sociali (carente introito alimentare di calcio, scarsa esposizione alla luce solare, ridot-ta attività fisica ed abitudini voluttuarie quali fumo ed alcool) che per ragioni de-mografiche quali il progressivo incremen-to della popolazione anziana che ha ca-ratterizzato l’ultimo dopoguerra e che po-ne attualmente l’Italia tra i Paesi più vec-chi al mondo.

Lo scheletro si accresce progressiva-mente dal momento della nascita fino a raggiungere il suo picco in età giovane-adulta. L’osteoporosi è infatti definita quale “malattia pediatrica che si manife-sta in età avanzata” in quanto una ali-mentazione non idonea o una scarsa atti-vità fisica nell’infanzia possono tradursi in un inadeguato accumulo di massa ossea. Con l’avanzare dell’età si verifica un fisio-logico decremento di questa con occasio-nali accelerazioni all’epoca della meno-pausa o in presenza di particolari malat-

tie che possono determinare la comparsa di fratture da fragilità che rappresentano la principale conseguenza della malattia.

Nell’Unione europea si registra una frat-tura osteoporotica ogni 30” e l’incidenza annuale di queste fratture è superiore a quella di infarto miocardico, ictus e carci-noma mammario messe insieme; nelle età più avanzate queste fratture sono i-noltre associate ad una significativa disa-bilità, che spesso esita in una perdita dell’autosufficienza, e ad un altrettanto significativo aumento della mortalità.

Da segnalare anche come la malattia non sia un’esclusiva femminile, ma un terzo dei pazienti affetti sia rappresentato dai maschi i quali, non essendone a co-noscenza, tendono a sottovalutarne i ri-schi e le possibili conseguenze.

Da ciò deriva la necessità di individuare per tempo i soggetti a rischio mediante una accurata valutazione della presenza di fattori di rischio specifici rappresentati appunto da:

• Introito alimentare di calcio e ap-porto di vitamina D particolarmente impor tan t i ne l l ’ in fanz ia e nell’adolescenza, ma anche critici durante la gravidanza e l’allattamento e, in modo particola-re, in età avanzata quando la capa-cità di assorbire il calcio a livello in-

Responsabile del Centro di attività ambulatoriale e diagnosi delle Malattie Minerali e Metaboliche dell’Osso, nonché Coordinatore della Piastra Densitometrica

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testinale si riduce significativamente; fattori alimentari diversi (bevande, fibre, sodio, proteine, …) a loro volta in grado di interferire con l’assimilazione del cal-cio;

• esposizione al sole, determinante in quanto l’irraggiamento cutaneo sti-mola la produzione di vitamina D necessaria per assicurare un mi-gliore assorbimento del calcio ed una ottimale mineralizzazione sche-letrica;

• attività fisica che, tramite il carico e la sincronizzazione con l’attività mu-scolare, assicura un ideale accre-scimento scheletrico ed un costante ricambio dell’osso usurato a causa dell’età o di eventuali traumatismi;

• presenza di fattori (di rischio) modi-ficabili (amenorrea, basso peso cor-poreo, disturbi ed intolleranze ali-mentari, abitudini voluttuarie, iper-paratiroidismi, ipertiroidismi, impie-go di farmaci quali i corticosteroidi, …) o non modificabili (sesso, età, etnia, menarca e menopausa, fami-liarità per fratture da fragilità, …);

• cadute le quali, in combinazione con una inadeguata massa ossea, rappresentano per le persone an-ziane il maggior determinante di frattura.

I fattori di rischio di cui sopra vanno poi integrati con una diagnostica specifica consistente nella:

• individuazione di particolari indica-tori dei processi di distruzione e ri-costruzione ossea presenti nei liqui-di biologici (esami del sangue e uri-ne);

• determinazione della quantità di os-so presente nell’organismo median-te tecn iche rad iogra f iche (densitometrie) o ecografiche (ultrasonometria);

• valutazione del rischio di caduta mediante un insieme di particolari test fisici o strumentali (pedane sta-bilometriche).

Nell’Azienda Ospedaliera di Padova, le prestazioni diagnostiche o ambulatoriali per l’osteoporosi sono, effettuate da spe-cialisti operanti per la quasi totalità all’interno del Dipartimento di Medicina i quali sono in stretta collaborazione con le altre professionalità presenti (chirurghi, dietisti, gastroenterologi, fisiatri, gineco-logi, oncologi, ortopedici, pediatri, neuro-logi, ecc.) per assicurare una risposta ottimale alle diverse realtà cliniche.

La numerosità delle richieste ed il pro-gressivo invecchiamento della popolazio-ne, richiedono tuttavia una “prevenzione preventiva” rappresentata da percorsi educazionali per la popolazione di tutte le fasce d’età che costituiranno, nel pros-simo futuro, uno dei maggiori impegni per chi voglia occuparsi seriamente di questa patologia.

L’OSTEOPOROSIL’OSTEOPOROSIL’OSTEOPOROSI

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Anatomia e principi di biomeccanica.

La cuffia dei rotatori è una struttura ana-tomica della spalla formata da quattro tendini che incappucciano come una cuf-fia (da cui il nome) la testa dell’omero e permettono, congiuntamente con il deltoi-de e i muscoli scapolari, il movimento della spalla sui vari piani dello spazio. I tendini che formano la cuffia sono: Sotto-scapolare, Sovraspinoso, Sottospinoso e piccolo rotondo. Il Capo Lungo del Bicipi-te attraversa l’articolazione ma anatomi-camente non fa parte della cuffia (fig 1- fig. 2).

FIG. 1

FIG. 2

Le funzioni della cuffia dei rotatori sono: Stabilizzazione e centratura attiva testa omerale, mobilità scapolo-omerale e la nutrizione dell 'estremo superiore dell’omero. La cuffia dei rotatori sviluppa una forza centripeta della testa dell’omero, diretta vero il torace, mentre il deltoide svi-luppa una forza verso l’alto. Le conse-guenze della rottura della cuffia sono l’alterazione del suo vettore con inevitabile prevalenza del vettore del deltoide che quindi spinge la sommità della testa dell’omero verso l’alto contro l’acromion (fig. 3).

FIG. 3

in questo numero le approfondiamo con il dott. Gius eppe Fama, Ortopedico, Responsabile Chirurgia della Spalla

Tale situazione è evolutiva col progredire dell’età e con l’aumentare dell’ampiezza della lesione tendinea.

Epidemiologia, Etiologia e Fattori di Ri-schio.

La lesione della cuffia dei rotatori è la più frequente causa di dolore e disabilità della spalla. E’ la terza lesione come incidenza

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dopo la lombalgia e le lesioni del ginoc-chio e la sua rilevanza è correlata non solo alla sua alta frequenza ma anche alla disabilità che provoca con alti costi sociali. La rottura della cuffia è una lesio-ne muscolo-scheletrica molto frequente e la sua incidenza aumenta con l'età: < 40 anni è 4%; con un’età > 60 anni 54% de-gli individui presentano una rottura par-ziale o totale. Studi epidemiologici recenti riportano in generale una frequenza di rotture a tutto spessore dal 6% al 19% della popolazione, mentre l’incidenza del-le rotture parziali (vale a dire a parziale spessore) è maggiore e va dal 13% al 35%. Circa la storia naturale, cioè senza trattamento, delle rotture parziali alcuni autori hanno dimostrato che 10% guari-scono, 10% diventano più piccole ma 52% si ingrandiscono e 28% evolvono in rotture a tutto spessore. Le rotture totali, a tutto spessore, non guariscono sponta-neamente e progrediscono col tempo.

L’etiologia della lesione della cuffia è m u l t i f a t t o r i a l e e c o m p r e n d e : l’invecchiamento; l’usura; il progressivo logoramento causato da pesanti lavori manuali; l’attrito (conflitto subacromiale); violenti traumi e lussazioni in soggetti ol-tre 40 anni.

Fattori di rischio. Il fumo di sigaretta, l’Ipercolesterolemia, fattori genetici (familiarità), hanno tutti dimostrato di ave-re un ruolo importante nel produrre la rottura della cuffia.

Sintomatologia Le rotture delle cuffia si manifestano con dolore alla spalla e braccio dopo uno

sforzo ma anche notturno ed inoltre per-dita progressiva di forza e movimento del braccio.

Le lesioni parziali provocano general-mente dolore continuo con movimento del braccio spesso conservato. Le rottu-re totali invece oltre al dolore, causano una graduale diminuzione della motilità e forza della spalla con impossibilità talvol-ta di elevare il braccio oltre i 90°.

Diagnosi

La diagnosi della lesione della cuffia dei rotatori è clinica e si avvale dell’utilizzo di molti tests funzionali che permettono di riconoscere non solo il tendine o i tendi-ni interessati dalla lesione, ma anche le dimensioni della stessa. Evidentemente la diagnosi clinica non è sufficiente per dare indicazioni terapeutiche perché non è in grado di stabilire degenerazione e retrazione del tendine e trofismo dei mu-scoli. Infatti le fibre muscolari dei muscoli della cuffia vanno incontro ad una evolu-zione fibro-adiposa e all’atrofia muscola-re che progrediscono con il passare del tempo dall’inizio della lesione tendinea. Un muscolo atrofico con fibre muscolari sostituite da tessuto adiposo non ha più caratteristiche tali da garantire un recu-pero della forza nel post-operatorio oltre ad indurre un’alta percentuale di recidiva della lesione tendinea.

Gli esami fondamentali della diagnostica per immagini sono: la radiografia, l’ecografia, e la Risonanza magnetica.

- Le radiografie vanno effettuate in proiezioni ortogonali tra loro: antero-

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Inoltre permette di valutare il trofismo ed il grado di degenerazione adiposa dei muscoli della cuffia (fig. 6).

posteriore vera in rotazione neutra, extra-rotazione e rotazione interna; ascellare; ad “ Y “ o “ outlet vieW“ o assiale di scapola. Tali radiografie permettono di valutare l’osso, il tipo di acromion ed indi-rettamente i segni di una lesione tendine-a (fig. 4).

FIG. 4

- L’ecografia è un esame semplice ed economico, ed è indicato soprattutto per i pazienti per i quali è previsto un tratta-mento conservativo e nel sospetto di le-sione piccola o parziale. Eseguito con accuratezza, permette una valutazione dinamica della lesione e di eventuali pa-tologie associate e non fornisce informa-zioni sul grado di trofismo muscolare.

- La risonanza magnetica è un esame estremamente accurato che consente di fare diagnosi della sede e della dimensio-ne della lesione del tendine e di definirne l’ampiezza e la retrazione (Fig 5).

FIG. 5

FIG. 6

Tale valutazione permette di formulare un giudizio di riparabilità della lesione ed una prognosi dell’eventuale recupe-ro della forza dopo trattamento chirurgi-co.

Trattamento

Il trattamento della lesione della cuffia dei rotatori è innanzitutto conservativo , va effettuato per almeno 4-6 mesi e si

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compone di un trattamento medico (analgesici, antinfiammatori) per il con-trollo del dolore e dalla fisioterapia per il recupero completo della motilità.

-Trattamento chirurgico . In caso di falli-mento del trattamento conservativo, nei pazienti attivi, giovani, e soprattutto in caso di lesioni importanti, traumatiche con seri disturbi funzionali trova indica-zione il trattamento chirurgico. Tale trat-tamento, un tempo eseguito sempre a cielo aperto, attualmente viene effettuato prevalentemente in artroscopia, metodica minimamente invasiva che permette di accedere all'articolazione della spalla con chirurgia mininvasiva. La riparazione ar-troscopica della cuffia non deve peraltro essere considerata un intervento minore ma tutt'altro. Infatti con tale via si ese-guono le stesse procedure del “cielo a-perto“ con il vantaggio di essere più con-servativo sui tessuti molli circostanti.

La riparazione artroscopica della cuffia comprende la eventuale decompressione della cuffia con rimozione degli osteofiti e/o speroni ossei (acromioplastica) ed il reinserimento del tendine o tendini all'e-stremo superiore dell'omero.

Al termine dell'intervento per proteggere la sutura al paziente viene posizionato un tutore per un adeguato periodo di tempo cui fa seguito la riabilitazione post-chirurgica.

La riabilitazione post-chirurgica , che ha una durata di circa 8-10 settimane, è una parte fondamentale del programma chirurgico e una sua sottovalutazione può determinare un insuccesso dello stesso e comprende varie fasi che per-mettono sia la guarigione biologica del tendine sia il recupero del normale movi-mento della spalla su tutti i piani..

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Nel 2015 la Terapia Intensiva Pediatrica di Padova compirà 25 anni di attività. Si tratta di una unità operativa molto parti-colare, speciale! Un luogo in cui si cerca di conciliare l’alta tecnologia della medi-cina più moderna e l’umanità indispensa-bile per curare i bambini che qui arrivano spesso in condizioni critiche.

Da 15 anni il Dott. Andrea Pettenazzo dirige il reparto che nel tempo ha visto crescere il numero di ricoveri e l’intensità delle cure. Qui giungono bambini di tutte le età e da tutti gli ospedali del Triveneto e anche da altre città, essendo il Diparti-

mento di Pediatria di Padova un Centro di eccellenza e di riferimento per molte pato-logie complesse dei bambini. Le dimensio-ni del Reparto sono sempre state esigue, ma la tipologia dei pazienti e la complessi-tà assistenziale sono molto cambiate negli anni; sono state introdotte nuove apparec-chiature che richiedono spazi e competen-ze specifiche.

La Terapia Intensiva Pediatrica (TIP) ri-chiede una formazione continua, avvalen-dosi anche della collaborazione con So-cietà scientifiche e Centri di Cura nazionali e internazionali.

Intervista al Dott. Andrea Pettenazzo Responsabile Terapia Intensiva Pediatrica A.O. Pado va

Il dott. Pettenazzo con due collaboratori

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Va registrato che in Italia oggi sono ben pochi i reparti di terapia intensiva dedicati ai soli bambini. Ciò avviene negli Ospe-dali Pediatrici, dove tutto è pensato e co-struito per loro! Sono una quindicina in Italia. Ancora troppo pochi. Infatti dati re-centi hanno evidenziato come sia ancora elevata la percentuale di bambini ricove-rati in terapie intensive dell’adulto.

Dottor Pettenazzo perchè è importante che un bambino in condizione di parti-colare gravità venga accolto in una terapia intensiva a lui dedicata? Non è solo un problema di collocazione fisica: i bambini, ancor più se in condizio-ni critiche, hanno bisogno di un’attenzione particolare. E soprattutto globale. Che tenga conto dei loro bisogni, primo tra tutti quello di avere vicino i pro-pri genitori. Quindi, strutture e spazi pen-sati per loro e i loro genitori, che possano star loro vicino proprio in quei momenti in cui la preoccupazione e l’ansia sono alle stelle. E poi di apparecchiature e stru-menti studiati apposta per loro, che spes-so sono ben diversi da quelli abitualmen-te impiegati per gli adulti. E infine il per-sonale: i medici e gli infermieri devono essere formati con percorsi specifici per poter assistere i bambini. In terapia In-tensiva i bambini sono di tutte le età: dal neonato all’adolescente, ognuno con esi-genze (anatomiche, fisiologiche, relazio-nali ed umane ) diverse. Oggi, in tutti i

reparti di degenza è obbligatoria la pre-senza dei genitori con i propri bambini. Ma non ancora dappertutto è così per mancanza di spazio o per problemi orga-nizzativi.

Per molto tempo si è pensato che comu-nicare con le famiglie fosse trasmettere informazioni. In TIPed invece l’obiettivo da raggiungere è quello di ottenere quell’alleanza terapeutica in grado di pro-muovere la salute psico fisica del bambi-no.

Un reparto di Terapia intensiva pediatrica accessibile ai familiari 24 ore su 24 è un modo per alleviare la sofferenza dei ma-lati, ma anche per proteggere gli stessi familiari da ansia, stress depressione e sindrome da stress post-traumatico, che possono perdurare anche a molti mesi dalla dimissione dei bambini.

Come vengono assistiti i bambini?

Ci sono bambini molto gravi che dobbia-mo tenere “addormentati” con appositi farmaci per poter fornire loro le cure a l’aiuto a mantenere le funzioni vitali in at-tesa della guarigione. Sono gli infermieri che hanno un ruolo fondamentale nella cura di questi bambini. Sono professioni-sti consapevoli del proprio valore e della volontà di un impegno sempre più ampio e responsabile nel saper cogliere e inter-pretare i bisogni dei bambini, anche

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quando non sono in grado di esprimersi.

E i genitori? Anche loro hanno dei biso-gni, che vanno riconosciuti, interpretati e se possibile soddisfatti. Specie in questi momenti. Hanno bisogno di parlare ed essere ascoltati. Hanno bisogno di qual-cuno di cui fidarsi, di comprensione e consolazione. I medici e gli infermieri del-la TIPed devono possedere competenze relazionali oltre a quelle tecniche.

Ci sono poi bambini meno gravi, in previ-sione di uscire dalla terapia intensiva o con malattie che necessitano di monito-raggi o terapie particolari: non sono ad-dormentati e sono loro che maggiormen-te soffrono della mancanza dei genitori. Per loro la Terapia Intensiva dovrebbe trasformarsi in un ambiente “familiare”, “giusto”.

E’ l’ambiente dove si possa conciliare l’impiego delle tecnologie salvavita più avanzate con l’attenzione ai bisogni più elementari, come anche una carezza. La Terapia Intensiva per i bambini deve es-sere un luogo pieno di luce e colori per contrastare il dolore e la tristezza che spesso accompagnano le storie infelici che li si vivono. Noi, per quanto possibile, cerchiamo di adattare l’ambiente alle esi-genze del paziente, dei genitori e della malattia.

E’ importante garantire un supporto clinico, che sia insieme pratico ed e-motivo, per i malati e le famiglie. Ma, dott. Pettenazzo, gli operatori come vengono supportati? Questa è una bella domanda! La com-plessità di certe patologie, le difficoltà as-

sistenziali e relazionali, lo stress che pur-troppo si vive quando le cure non sono sufficienti a guarire e dobbiamo diventare partecipi del dolore, tutto ciò per gli ope-ratori, medici e infermieri, in TIPed è mo-tivo di pesante carico emotivo che porta ad elevato rischio di burn-out, come de-scritto in numerosi lavori scientifici del settore. La possibilità di un supporto psicologico anche per gli operatori è utilissimo, spe-cie in ambienti “intensivi” dove l’alternarsi di vita e rischio di morte mantiene sem-pre elevato il livello di stress.

Da anni abbiamo perseguito la richiesta di una presenza costante all’interno della nostra U.O. di una psicologa dedicata. Devo dire, che grazie alla volontà, alla disponibilità ed alla condivisione di obiet-tivi di cura globale, da qualche anno col-laboriamo con la psicologa del Diparti-mento condividendola con i genitori e creando momenti di “confronto” tra tutto il personale, durante i quali si rivivono e si rielaborano insieme i momenti più difficili del nostro lavoro. Questo aiuta anche ad alimentare l’alleanza e la collaborazione di tutte le figure professionali. Sono mo-menti educativi di estrema importanza anche per i giovani medici in formazione che frequentano il reparto.

Il reparto di Terapia Intensiva Pediatrica è anche uno dei centri di formazione più importanti per i futuri medici specialisti in Pediatria. Imparare a riconoscere e gesti-re le emergenze nei bambini è fonda-mentale anche per la pratica clinica in ambiente ospedaliero o ambulatoriale.

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A noi, medici e infermieri della TIPed, tocca il delicato compito di insegnare e trasmettere ai giovani medici la nostra esperienza tecnica, ma anche relaziona-le.

L’aspetto educativo è così importante che regolarmente vengono organizzati eveventi scientifici, corsi di formazione, anche con nuove tecniche di simulazione avanzata, e convegni, come quello che si è tenuto il mese scorso sul tema delle “Cure Intensive in Pediatria”.

Organizzato in collaborazione con le maggiori terapie intensive italiane, ha portato a confrontarsi oltre 400 specialisti con la presenza dei principali esperti mondiali di terapia intensiva pediatrica. Ha affrontato inoltre aspetti etici di note-vole rilevanza.

La Terapia Intensiva Pediatrica di Pa-do compie 25 anni: quale regalo vor-rebbe ricevere?

Penso che il regalo più bello che fortuna-tamente continuiamo a ricevere ogni an-no è quello di vedere i bambini che esco-no, sani, dal nostro reparto. La maggiore manifestazione di gratitudine è vederli tornare sorridenti per salutarci, anche perché tornare in Terapia Intensiva, an-che solo per un saluto, non è mai facile.

Dalle Istituzioni un regalo lo vorremmo: la considerazione che un Reparto come il nostro si merita, per la funzione che svol-ge, per l’importanza che ha per tutti i re-parti di Pediatria della Regione, per l’aiuto che fornisce agli specialisti che con noi riescono a risolvere i casi più complessi.

L’équipe della TIPed

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