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A.I.S.F. ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LO STUDIO DEL FEGATO INFEZIONE DA HCV IN CORSO DI TRATTAMENTO DIALITICO E DOPO TRAPIANTO DI RENE A cura della Commissione “Gestione e trattamento dell’infezione cronica da HCV nel paziente in dialisi e dopo trapianto di rene” dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (A.I.S.F.)

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A.I.S.F.ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LO STUDIO DEL FEGATO

INFEZIONE DA HCVIN CORSO DI TRATTAMENTO

DIALITICO E DOPOTRAPIANTO DI RENE

A cura della Commissione“Gestione e trattamento dell’infezione cronica da HCV

nel paziente in dialisi e dopo trapianto di rene”dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (A.I.S.F.)

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INFEZIONE DA HCV IN CORSO DI TRATTAMENTO DIALITICO E DOPO TRAPIANTO DI RENE

Indice

Premessa ............................................................................................................................................ 5

Aspetti epidemiologici .......................................................................................................................7

Fattori di rischio .................................................................................................................................7

Storia naturale ....................................................................................................................................9

Diagnosi/algoritmo gestionale .........................................................................................................13

Quadri istopatologici ........................................................................................................................17

Terapia durante il trattamento emodialitico .....................................................................................19

Terapia dopo trapianto di rene .........................................................................................................25

Rischio di trasmissione con organi anti-HCV positivi ....................................................................26

Appendice: questionario conoscitivo ...............................................................................................28

Bibliografia ......................................................................................................................................29

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Premessa

La prevalenza della positività per gli anticorpi anti-HCV nei pazienti in trattamento dialiticoè riportata in percentuali che vanno dal 7 al 40% nei diversi studi, ma è considerata complessiva-mente almeno 10 volte più elevata che nei pazienti non in trattamento dialitico. Nonostante alcunifattori come il controllo del rischio trasfusionale legato al sangue, l’aumentato impiego di eritro-poietina per il trattamento dell’anemia in sostituzione delle trasfusioni e l’adozione di apposite, spe-cifiche procedure di controllo nelle unità di dialisi, abbiano ridotto l’incidenza dell’infezione daHCV fra i pazienti sottoposti a trattamento dialitico in tutta Europa, la prevalenza dell’ infezionenelle unità di dialisi italiane pari al 28% nel 1991, si attestava ancora, nel 2002, intorno al 18% (1-4).I dati del Registro Italiano di Dialisi e Trapianto del dicembre 2004, riportati al congresso dellaSocietà Italiana di Nefrologia nel 2006 dimostrano (5):

^ mancano dati esatti riguardo i deceduti dializzati.* per milione di persone

Pertanto, è possibile stimare che in Italia circa 8000 pazienti in trattamento dialitico o sottoposti atrapiantato di rene siano attualmente anti-HCV positivi. Nei pazienti in dialisi l’incidenza dell’HCVè dell’1.4%-2% (6-7) all’anno, mentre non ci sono dati sull’incidenza dell’ infezione HCV “denovo” dopo trapianto di rene. Sia nella insufficienza renale cronica allo stadio terminale (ESRD), sianel trapiantato di rene HCV positivo è stata riportata aumentata morbilità e mortalità. Tuttavia nellaESRD o dopo trapianto di rene (RT) l’epatopatia da HCV non rappresenta la prima causa di morte,dovuta, invece, a malattie cardiovascolari e ad infezioni.

Nonostante l’aspettativa futura di ridurre l’attuale rischio di contagio residuo, l’infezione daHCV nei dializzati e dopo trapianto di rene comporta attualmente problematiche gestionali e tera-peutiche. A causa della lunga storia naturale dell’infezione da HCV e della difficoltà ad effettuarestudi prospettici, nessuna particolare strategia gestionale è al momento supportata da una letteratu-ra classificabile come basata su evidenze di grado elevato; in molti casi la condotta dei diversi spe-cialisti deriva da casistiche limitate o da speculazioni.

Pazienti in dialisi

43.986

% Prevalenza

760 pmp*

Nuovi pazienti uremici

9.312

% Incidenza

161 pmp

Pazienti trapiantati

15.198

% Prevalenza

262 pmp

Nuovi trapiantati

728

Deceduti^

3575

Totale

51.633

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Questo documento vuole proporre linee di comportamento, condivise da epatologi, nefrologi e spe-cialisti del trapianto, soprattutto su quegli argomenti emersi come controversi nelle risposte ad unquestionario conoscitivo (riportato in appendice) inviato a tutti i principali centri di dialisi e tra-pianto italiani.A tale scopo è stata valutata la letteratura specifica sull’argomento e, con la metodologia del con-senso di esperti, sono stati discussi gli aspetti critici. Il presente documento è stato poi rivisto ededito da ciascun membro della commissione ed infine sottoposto per approvazione al ComitatoDirettivo AISF in carica.

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Aspetti epidemiologici

La prevalenza dell’infezione da HCV nelle unità dialitiche varia da paese a paese, ma anchenei centri dialisi di una stessa area geografica.

Se in passato la relativamente scarsa sensibilità dei test utilizzati per la diagnosi e la minimaevidenza clinica di malattia possono aver contribuito a fare aumentare il tasso di infezioni da HCVnei pazienti sottoposti a dialisi, attualmente il maggior fattore di rischio è rappresentato dalla tra-smissione nosocomiale. Tale via di contagio sarebbe favorita dal più lungo periodo finestra, dovutoallo stato di immuno-soppressione proprio del paziente uremico (8), che espone più a lungo alrischio di trasmissione interpersonale. L’incidenza di infezione da HCV è più bassa nei pazienti indialisi peritoneale (PD) che in emodialisi; questo dato è stato confermato in una indagine prospetti-ca in cui la frequenza di sieroconversione per anticorpi anti-HCV era 0.54%/anno e 0.86%/anno inpazienti sottoposti a PD ed emodialisi, rispettivamente (9).

Una indagine condotta negli Stati Uniti su oltre 260.000 pazienti di varie unità di dialisi hariportato una prevalenza del 7.8% (10). Un recente studio multicentrico europeo ha evidenziato unariduzione della prevalenza dell’infezione da HCV in emodialisi nella maggior parte dei paesi dal1991 al 2001 (1). Dai dati italiani si evidenziava una prevalenza del 25% nel 1991 e del 15% nel2001 (2). Un altro aspetto epidemiologico importante è l’incidenza dell’infezione HCV “de novo”.Uno studio francese su 1323 pazienti provenienti da 25 unità emodialitiche e riferito agli anni1997-2000 ha riportato un’incidenza dello 0.4%/ anno (11), mentre uno studio multicentrico italia-no su 6412 pazienti sottoposti ad emodialisi periodica in Italia ha mostrato una incidenza di siero-conversione (anticorpi anti-HCV) pari a 2%/ anno (7).

QUALI SONO I PAZIENTI AD ALTO RISCHIO DI CONTRARRE L’HCV ?

Dall’analisi dei fattori associati alla infezione da HCV nei pazienti in trattamento dialitico sievince come i soggetti a più elevato rischio di contrarre l’HCV abbiano:anamnesi trasfusionale positiva soprattutto se sono stati trasfusi prima del 1990, epoca di iniziodello screening del sangue per l’HCV (3)trattamento dialitico protratto nel tempo (7, 12)frequenti cambiamenti dei centri per la dialisi (13-14)anamnesi positiva per precedente trapianto renale (3)

Al contrario, non vi è evidenza che il turno in dialisi o il numero di pazienti per unità di dialisi sianoin qualche modo associati all’infezione (15).Alcuni autori hanno suggerito di perseguire l’uso di macchine dedicate per i pazienti HCV positivi,ma tale approccio non è applicato in molti centri in quanto considerato una cautela non necessaria.I “Centers for Disease Control and Prevention” (CDC) di Atlanta raccomandano di applicare pre-cauzioni universali contro l’HCV e precauzioni specifiche della dialisi (16). Con tali procedure èstato possibile azzerare la possibilità di trasmissione di HCV all’interno dei Centri Dialisi (17-18).E’ stato recentemente segnalato che il grado di istruzione e/o di esperienza dello staff infermieristi-co delle unità di dialisi ha impatto sull’incidenza dell’infezione (15).

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INDICAZIONI PER LA PRATICA CLINICA

Anamnesi positiva per emotrasfusioni prima del 1990 e/o una lunga storia di dialisi devonoindurre a sospettare la presenza di infezione da HCV

Per ridurre il rischio:

1) non è necessario l’uso di apparecchi dialitici dedicati

2) è necessario l’uso di

- precauzioni universali contro l’HCV- precauzioni specifiche per la dialisi- personale infermieristico esperto

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LA STORIA NATURALE DELL’INFEZIONE DA HCV

Paziente in trattamento emodialitico

Nei pazienti con insufficienza renale cronica terminale (ESRD) la storia naturale dell’epati-te da HCV è difficile da ricostruire per vari motivi:

1) la durata dell’infezione è lunga e c’è frequente difficoltà nell’accertare la fonte e l’epoca delcontagio,

2) studi longitudinali atti a valutare la storia naturale dell’infezione da HCV nella popolazione in dia-lisi sono scarsi e con follow-up ridotti a causa dell’elevata mortalità. I pochi studi disponibilihanno tuttavia mostrato un impatto indipendente e sfavorevole dell’HCV sulla sopravvivenzadella popolazione in dialisi (19-21),

3) nei dializzati cronici la cirrosi non è la più frequente causa di morte (1.5-2% della mortalità glo-bale). Tuttavia, la mortalità nei pazienti con cirrosi in dialisi è significativamente più elevatarispetto a quella dei pazienti in trattamento dialitico senza cirrosi (22),

4) dal punto di vista biochimico la valutazione del danno epatico da HCV nei dializzati è resa piùdifficile dalla presenza di cofattori di morbilità e da incrementi di ALT e GGT più modesti chenei pazienti non in dialisi. Nell’uremia cronica, i livelli medi delle transaminasi sono ridotti e,pur essendo più elevati nei pazienti HCV positivi rispetto agli HCV negativi, non hanno valorepredittivo di danno epatico (23),

5) gli studi che abbiano una documentazione istologica del danno HCV correlato nella ESRD sonodi numero limitato, in quanto il più elevato rischio di sanguinamento, dovuto alle alterazioni dellacoagulazione associate all’uremia ha reso infrequente l’utilizzo della biopsia epatica (3) .

Nonostante tali evidenze, un recente studio multicentrico (studio DOPPS) effettuato in diversi con-tinenti su una vasta coorte di pazienti in trattamento emodialitico ha mostrato una correlazione indi-pendente e significativa tra epatite C ed aumento della mortalità (24). Nella popolazione in dialisiperiodica, è stata inoltre registrata una maggiore frequenza di varie neoplasie ed in particolare diepatocarcinoma (HCC) (25).Se studi trasversali, in passato, hanno dimostrato una elevata correlazione fra positività dell’anticor-po anti-HCV e presenza di HCV RNA nei pazienti in dialisi (l’HCV RNA è evidenziabile dal 58.3%al 91.8% dei casi) (3), studi longitudinali, effettuati a partire dal momento dell’infezione acuta (26),hanno evidenziato che nel 21% dei casi la presenza di transaminasi normali si associa ad HCV RNAnon determinabile. Tale risultato suggerisce che anche nei pazienti in dialisi vi sia la possibilità diuna clearance spontanea del virus. In generale, nelle condizioni di immunodepressione i livelli diHCV RNA dovrebbero essere più elevati, mentre nei dializzati sono bassi. Si ritiene che questo siadovuto a più fattori: la riduzione del virus durante la dialisi per l’assorbimento dell’HCV sulle mem-brane (27), la perdita del virus con l’ultrafiltrazione effettuata durante la dialisi (28) o l’aumento del-l’attività dell’interferone o di altre citochine in corso di emodialisi (29-30). Se questi meccanismipossano spiegare l’evidenza di una malattia meno aggressiva rispetto a quello che succede nellapopolazione di pazienti con infezione da HCV non uremici, non è ancora provato. In conclusione, sembra assodato che l’HCV ha un effetto sfavorevole sulla sopravvivenza dellapopolazione in dialisi attraverso l’incremento della cirrosi e dell’epatocarcinoma (19-21). E’ statasuggerita anche l’esistenza di un relazione fra HCV e patologia cardiovascolare in dialisi, ma questaattualmente rimane solo un’ipotesi (31-32).

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Paziente dopo trapianto renale

La prevalenza delle malattie epatiche da HCV nel paziente sottoposto a trapianto di renevaria dal 3 al 36% a seconda dei criteri usati per la diagnosi. Nonostante il miglioramento dei tassi di sopravvivenza, le malattie di fegato e di rene rappresenta-no un’importante causa di morbilità e mortalità dopo trapianto renale come confermato da diversistudi prospettici. A differenza degli studi iniziali che valutavano i pazienti dopo un follow-up breve(33), altri studi recenti basati su coorti ampie e con periodi di osservazione adeguati (10-20 anni)hanno mostrato un effetto negativo dell’HCV sulla sopravvivenza ed, in minor misura, sull’organotrapiantato (34-39). Mathurin et al. hanno evidenziato che, seppure nei pazienti con trapianto di reneHCV positivi rispetto ai controlli HCV negativi, appaiati per caratteristiche di base dopo un followup di 5 anni non emergesse alcuna differenza sulla durata della sopravvivenza, quando l’osservazio-ne fosse stata prolungata a 10 anni, la sopravvivenza del paziente e dell’organo trapiantato risulta-va ridotta (33). Atri studi, con follow-up superiore a 10 anni, hanno dimostrato riduzione dellasopravvivenza (34-39) attribuibile non solo a cause correlate al danno epatico ma anche a sepsi. E’stato riportato che approssimativamente il 10% dei pazienti trapiantati di rene HCV positivi vaincontro a morte o perde l’organo nel medio termine (3). Diversi autori sia nel database UNOS siain survey su larghe coorti di pazienti hanno dimostrato soprattutto in studi recenti l’aumento dell’incidenza di diabete mellito (DM) dopo trapianto di rene (40-42). Negli anti-HCV positivi, la com-parsa di diabete, favorita anche dai farmaci inibitori della calcineurina, comporta, dopo trapianto,una significativa riduzione della sopravvivenza post-trapianto (41).L’impatto sfavorevole dell’HCV sulla sopravvivenza del paziente trapiantato di rene è pertanto daattribuirsi ai seguenti fattori: 1) l’aumento di frequenza di cirrosi ed HCC nei pazienti HCV positivi rispetto agli HCV negativi

(33-39)2) la maggiore incidenza di diabete post trapianto nei trapiantati HCV positivi (40-42)3) la maggiore frequenza di infezioni negli HCV positivi rispetto ai negativi (39).

La terapia con immunosoppressori favorisce la replicazione virale dell’HCV, giustificando ildecorso più aggressivo dell’epatopatia HCV-correlata nei trapiantati di rene rispetto ai pazienti indialisi ed alla popolazione con funzione renale normale come riportato in Tabella 1.Uno studio prospettico sulla sospensione precoce della terapia steroidea nei pazienti HCV positivisottoposti a trapianto di rene suggerisce che tale procedura non provoca aumento dei casi di rigettoacuto. Questo studio è stato condotto con un follow-up di 12 mesi e ciò non consente di verificarese vi siano differenze di sopravvivenza dei pazienti in cui la terapia steroidea sia stata sospesa pre-cocemente dopo il trapianto rispetto a coloro nei quali gli steroidi vengono mantenuti per sempredopo il trapianto (43). Recenti studi hanno dimostrato come, in vitro, la ciclosporina, ma non iltacrolimus possa avere un’attività inibente sulla replicazione virale dell’HCV anche se tale eviden-za necessita di ulteriori conferme in trials clinici (44-45); altre indagini riportano un’azione sfavo-revole dell’azatioprina e di steroidi o anticorpi anti-CD3 (OKT3) sulla replicazione virale dopo tra-pianto di fegato come pure sulla progressione della fibrosi epatica (46). Dall’analisi della letteratu-ra esistente, anche in ragione del numero dei pazienti inclusi e dell’epoca in cui gli studi siano stati

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effettuati, non si evidenziano differenze significative nella sopravvivenza dei pazienti trattati condiversi regimi di immuno-soppressione (Tablella 1). E’ stato suggerito che l’uso di agenti inibentiil sistema renina-angiotensina possa avere un effetto protettivo sulla progressione del danno istolo-gico (47).

Un’evenienza rara, ma non eccezionale nei trapiantati renali HCV positivi, è la epatite fibro-sante colestatica (FCH) che comporta una prognosi infausta nella prima decade dopo il trapianto.Questo quadro istologico si accompagna a segni clinici di colestasi, livelli di HCV RNA molto altied evidenza di bassa eterogeneità genomica dell’HCV per l’assenza di pressione immune dell’ospi-te (48). La necessità di impedire la rapida progressione del danno epatico e di prevenire quadri disimile gravità rende il trattamento antivirale prima del trapianto una scelta indiscutibile.

Tab 1. Differenti regimi immunosoppressivi e mortalità di pazienti HCV positivi dopo trapianto di rene con follow-up superiore a 10 anni.

NEL TRAPIANTATO DI RENE L’INFEZIONE DA HCV INDUCE AUMENTO DELLAMORTALITÀ PER:

1) CIRROSI ED HCC

2) INFEZIONI

3) DIABETE MELLITO “DE NOVO” POST TRAPIANTO

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Effetti dell’ HCV sul rene trapiantato

Nei pazienti HCV positivi la sopravvivenza del rene trapiantato (Tabella 2) risulta significa-tivamente ridotta rispetto a quanto osservato in pazienti HCV negativi (59.8% vs 34.5%) (33-38, 49-52). Hestin et al. hanno riportato una più elevata frequenza di proteinuria dopo trapianto di rene inpazienti HCV positivi rispetto ai pazienti HCV negativi (53). Dopo trapianto di rene nei pazientiHCV positivi rispetto a quanto riportato nei pazienti HCV negativi, è frequente l’insorgenza di glo-merulonefriti membrano proliferative (45.5%), di glomerulonefrite membranosa (18.2%) e di glo-merulopatie croniche (11.4-11.5%) (49, 54). Numerosi dati epidemiologici e sperimentali dimostra-no anche l’associazione tra HCV e glomerulonefrite da immunocomplessi insorta “de novo” dopoil trapianto (54). Secondo alcuni autori (55) l’età superiore a 40 anni si associa a ridotta sopravvivenza del rene matale dato non è stato confermato da altri studi (56).

Tabella 2. Rischio relativo e percentuale di sopravvivenza dell’organo dopo follow-up di dura-ta adeguata nei pazienti HCV positivi sottoposti a trapianto di rene

Rischio oncogenico dopo trapianto di rene

La maggior parte dei farmaci immunosoppressori aumenta il rischio di neoplasia “ de novo”dopo trapianto d’organo. I pazienti anti-HCV positivi sottoposti a trapianto di rene sviluppano HCCin media dopo 17 anni dal trapianto prima dei pazienti HCV positivi di età corrispondente non tra-piantati di rene (55). L’incidenza di HCC dopo trapianto di rene è più elevata che nella popolazionegenerale (1-4% vs. 0.005-0.015%). Le segnalazioni esistenti in letteratura sono sporadiche e nonconsentono di identificare associazioni con particolari farmaci immunosoppressori. Sono promet-tenti i dati sull’uso del sirolimus per ridurre il rischio di neoplasie “de novo” dopo trapianto renale(57). Qualche segnalazione basata su evidenze discutibili ha suggerito che azatioprina e ciclospori-na possano associarsi ad aumentato rischio di HCC (58-59).

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LA DIAGNOSI DI HCV: END STAGE RENAL DISEASE

Infezione HCV preesistente

E’ noto che, nei pazienti in emodialisi, i livelli degli enzimi epatici sono più bassi che nei pazien-ti non uremici, essendo spesso normali anche in presenza di HCV RNA e di danno epatico. Le trans-aminasi non sono pertanto un parametro utilizzabile nella diagnosi di una epatopatia determinata dainfezione da HCV pre-esistente nel dializzato (60-61). Come suggerito da Espinosa et al. potrebbeessere opportuno, in questa popolazione, utilizzare livelli di ALT al 95° percentile invece della sogliadi normalità utilizzata per la popolazione normale (62). Il test ELISA di III generazione rappresenta la metodica più largamente usata per la diagnosi diinfezione da HCV. Poiché nel 20% dei casi la positività dell’anticorpo indica un’infezione non piùattiva, l’algoritmo gestionale dei pazienti in dialisi richiede quindi di far seguire il test per l’anticor-po, dall’ HCVRNA ed, in vista della terapia, dal genotipo.L’evidenza che la viremia possa essere intermittente o più bassa di 1-3 logaritmi rispetto ai livelli deipazienti non uremici (63-64), che alcune sostanze come l’eparina possano essere responsabili di falsinegativi e che i livelli di HCV RNA non correlano con la presenza di danno epatico severo in piùdel 60% dei casi (65), ha richiesto una corretta definizione della malattia attraverso l’istologia. Talevalutazione è necessaria in quanto i candidati al trapianto con evidenza di cirrosi vengono valutatiper il trapianto combinato fegato-rene o per il trapianto sequenziale (66). In passato, l’efficacia della terapia antivirale era insoddisfacente e la biopsia epatica veniva ritenu-ta indispensabile per decidere chi trattare con antivirali. I dati recentemente ottenuti nei pazienti conepatite C e funzione renale normale dimostrano la maggiore efficacia del trattamento, attualmentetale da portare alla clearance virale il 45% dei pazienti anche in presenza di fibrosi avanzata ed, inalcuni casi, di cirrosi (67-68). Tali evidenze hanno indotto gli epatologi a riconsiderare la necessitàdella biopsia epatica pre-terapia. Inoltre, la possibilità di ricorrere ad una diagnosi non invasivadi cirrosi, evitando i rischi della procedura nei pazienti dializzati, ha ulteriormente limitato l’indi-cazione della biopsia. L’orientamento potrebbe essere quello di effettuare la biopsia in quei pazienti che, non avendo evi-denza clinica di cirrosi, e non avendo risposto alla terapia antivirale pre-trapianto debbano esserevalutati in modo specifico. La presenza di cirrosi nel post-trapianto ha infatti impatto sfavorevolesulla sopravvivenza post RT (69), ma attualmente può venir considerata una controindicazione rela-tiva al trapianto di rene isolato. Sono stati pubblicati casi aneddotici di uremici cronici con cirrosiHCV-correlata che hanno mostrato tolleranza all’interferone ed hanno ottenuto risposta virologica(70). E’ pertanto necessario che il paziente sia valutato da una commissione di esperti che, conside-rando l’età anagrafica e le condizioni cliniche, deciderà la strategia opportuna: far rimanere ilpaziente in dialisi oppure scegliere il più appropriato timing per il trapianto combinato di fegato erene. Per i pazienti con cirrosi che invece abbiano già manifestato segni di scompenso epatico, vaconsiderata direttamente la possibilità del doppio trapianto di rene e fegato.I pazienti con lesioni istologiche minime ed assenza di fibrosi invece possono essere trapiantatianche in assenza di risposta alla terapia. Nell’eventualità che un paziente candidato rimanga in listaa lungo, può essere ritenuta opportuna una rivalutazione istologica a distanza di 5 anni.Va comunque sottolineata la necessità che il prelievo bioptico fornisca per l’analisi istologica uncampione adeguato tale da essere il più rappresentativo possibile dell’intero parenchima epatico(71).

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Infezione da HCV contratta de novo

Durante il trattamento emodialitico, la possibilità di contrarre l’HCV aumenta progressiva-mente: il rischio di una infezione “de novo” è di circa 1%-2%/ anno (6-7, 11). E’ pertanto opportu-no effettuare valutazioni seriate degli enzimi epatici e ripetere la ricerca dell’anticorpo anti-HCVdurante la dialisi. Il periodo finestra, necessario perchè l’anticorpo anti HCV diventi positivo dopol’infezione con i test di III generazione, è di 66 giorni. Nei pazienti uremici, tuttavia, la capacità diottenere una adeguata risposta anticorpale contro l’HCV potrebbe essere compromessa dallo statodi immunodepressione. Recenti studi effettuati mediante metodiche immuno-enzimatiche di terzagenerazione hanno mostrato una frequenza di pazienti in dialisi HCV RNA positivi/anti-HCV nega-tivi pari a 0.23% (72) e poiché una diagnosi precoce può comportare migliori possibilità di rispostaalla terapia, la ricerca dell’HCVRNA con tecnica molecolare di sensibilità ≥50 UI/ml che consen-ta già dopo 15 giorni di evidenziare l’avvenuto contagio è da preferirsi. Recentemente è stato intro-dotto un test immunoenzimatico che valuta quantitativamente la presenza dell’antigene coredell’HCV e consente la diagnosi dopo 30 giorni dal contagio. Il test non ha sensibilità elevata, maessendo la carica virale più alta in fase acuta potrebbe trovare una promettente indicazione in questocontesto considerando anche i costi inferiori rispetto a quelli dell’HCV RNA (6). Studi prospetticie controllati che avvalorino la sua accuratezza diagnostica sono tuttavia necessari.). Poiché, come inassenza di ESRD, il genotipo è il principale predittore di risposta alla terapia, è opportuno, una voltaaccertata l’infezione, effettuare tale valutazione (73-75).

ALGORITMO GESTIONALE IN ASSENZA DI CONTROINDICAZIONI ALLA TERAPIA

1) infezione e malattia già note terapia

2) infezione neo diagnosticata con anti HCV, HCVRNA o ALT elevate genotipo se non vi è evi-denza clinica di cirrosi, salvo diverso parere del paziente o presenza di controindicazioni tera-pia

3) infezione neo diagnosticata con anti HCV e HCVRNA, se evidenza clinica di cirrosi non scom-pensata tentativo terapeutico

SCREENING DELL’ INFEZIONE DA HCV “DE NOVO” NEI PAZIENTI IN TRATTAMENTODIALITICO

ELISA di III generazione ogni mese

ALT ogni mese

HCVRNA qualitativo in PCR ogni 2 mesi

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LA DIAGNOSI DI HCV: POST-TRAPIANTO

Dopo trapianto di rene è frequente osservare nei pazienti HCV positivi un incremento delleALT. Spesso si registra alternanza di picchi e riduzioni per cui il monitoraggio va ripetuto regolar-mente nel tempo. Le ALT possono anche restare entro il limite del range di riferimento nonostantela positività dell’HCV RNA; la condizione di portatore di HCV con transaminasi persistentementenormali è stata descritta nel 10% dei trapiantati HCV positivi in presenza di lesioni istologicheminime. Dopo il trapianto renale, i livelli di HCVRNA subiscono incrementi asintomatici, ma rilevanti, pro-babilmente dovuti allo stato di immunosoppressione, come è stato dimostrato sia dopo l’uso dimofetil micofenolato che dopo steroidi. Non è dimostrato se livelli di HCV RNA si associno adaccelerata progressione del danno epatico. Pertanto sarebbero auspicabili studi che valutino prospet-ticamente se la determinazione quantitativa dell’HCVRNA sia utile per modulare la terapia immu-nosoppressiva ed in particolare la scelta dell’ inibitore della calcineurina. La biopsia epatica rappresenta il gold standard per la stadiazione e la prognosi della malattia epati-ca (76). E’ in corso di valutazione nel paziente uremico l’utilizzo di tecniche non invasive come ilFibroscan (77). La progressione istologica del danno epatico dopo il trapianto renale in rapporto ailivelli di virus e al tipo di immunosoppressione rappresenta argomento di discussione. La maggior parte degli studi prospettici che abbiano valutato i pazienti prima e dopo il trapianto direne, non riporta la stadiazione istologica dell’epatopatia prima del trapianto di rene. E’ difficile,pertanto, stabilire la percentuale ed il grado di progressione del danno istologico durante la dialisi edopo trapianto di rene. Sottoporre il paziente in trattamento dialitico a biopsia epatica comportarischio di sanguinamento per cui, nella maggior parte degli studi, l’aumento delle ALT è statoimpiegato come un marcatore surrogato di danno epatico dopo trapianto di rene (66). Poiché, gene-ralmente, la malattia epatica diventa evidente diversi anni dopo il trapianto, una biopsia epatica daconfrontarsi con quella pre-trapianto dovrebbe essere richiesta, con le dovute eccezioni, dopo alcu-ni anni di immunosoppresione sulla base dei segni clinici e delle alterazioni biochimiche individuali.

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QUADRI ISTOPATOLOGICI

Nei candidati al trapianto di rene

Nei pazienti con malattia renale cronica terminale e nei soggetti che ricevono il trapianto direne, i quadri morfologici dell’epatite C mostrano lesioni sovrapponibili a quelle che si osservano inassenza di patologia renale. La prevalenza delle lesioni caratteristiche dell’infezione HCV (follicoliportali, steatosi, lesioni duttali e siderosi) è simile. E’ importante evidenziare come nessuno studioabbia documentato una correlazione tra la gravità del danno istologico, il livello delle transamina-si, il genotipo e la carica virale. Anche la durata della dialisi non sembra influenzare la gravità deiquadri istologici (78). Ad eccezione delle forme di epatite fibrosante colestatica che è stata osservata esclusivamente insoggetti immunodepressi e che si manifesta in una piccola percentuale di casi dopo il trapianto rena-le, i dati disponibili concordano nel rilevare che nei soggetti con ESRD e nei trapiantati l’epatopatiaHCV-correlata è spesso caratterizzata da lesioni istologiche poco severe. Nello studio di Gliklich etal. (79) su 22 casi, la maggior parte dei soggetti con ESRD aveva malattia epatica caratterizzata dabasso grado di attività necro-infiammatoria e bassa prevalenza di fibrosi severa: solo un pazientepresentava fibrosi di stadio 3 (4.5%) e nessuno cirrosi. Lo studio di Martin et al. ha dimostrato che,indipendentemente dai livelli delle transaminasi, tutti i soggetti presentavano un danno istologico(fibrosi nel 79% e cirrosi nel 25% dei casi); tuttavia, l’elevata percentuale di pazienti candidati aldoppio trapianto di fegato e rene, in questo studio, potrebbe avere selezionato pazienti con unamalattia più severa. Il danno necro-infiammatorio anche in questo studio è comunque risultatomodesto (65).

Dopo il trapianto di rene

I dati istologici nei pazienti sottoposti a trapianto di rene sono limitati (80). Rao et al. hannoriportato uno studio su una ampia corte di pazienti con epatite cronica, all’epoca definita non-A non-B. In questo studio, i pazienti, valutati con biopsie seriate, dimostravano progressione del danno epa-tico dopo trapianto di rene (76). Su 26 casi studiati da Giordano (81) con biopsia epatica eseguitadopo 10 anni di infezione da HCV e dopo 5 anni di terapia immunosoppressiva, il danno epatico eraevidente nel 73% dei casi con attività minima e nel 54% dei casi con attività lieve. Nessuno avevaattività di malattia di grado severo; in un solo soggetto è stata dimostrata cirrosi epatica ed in tuttii rimanenti fibrosi portale o periportale, ma non fibrosi settale. Anche Aroldi, valutando in manie-ra retrospettiva pazienti con biopsia pre- e post-trapianto di rene, ha registrato una progressionedella fibrosi nel 71% dei casi (82). Alcuni studi hanno confrontato soggetti con insufficienza renale cronica terminale e soggetti tra-piantati, ma solo 2 hanno utilizzato gruppi appaiati per età, sesso, epoca e durata di infezione. Nellostudio di Alric et al. (83) non è stata osservata nessuna differenza nel grado di attività e nello stadiodella fibrosi tra soggetti sottoposti a trattamento dialitico e soggetti trapiantati, anche se lo scoredella fibrosi era maggiore nei trapiantati. Zylberberg et al (84) hanno dimostrato che in 28 pazien-ti trapiantati di rene la progressione della fibrosi (in 2 biopsie consecutive ottenute a distanza di 7.1± 4 anni) è significativamente maggiore che in un gruppo di soggetti immunocompetenti HCV posi-tivi con funzione renale conservata appaiato per caratteristiche di base. La mortalità dovuta ad epa-

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topatia è risultata più elevata nel gruppo dei trapiantati rispetto ai controlli (80).Nello studio di Perez, i soggetti trapiantati dimostravano maggiore prevalenza di fibrosi settale enecrosi confluente a confronto dei pazienti con ESRD (85). La necrosi confluente non era general-mente osservata in contesti diversi dal trapianto e poteva riconoscere una eziologia tossica piuttostoche virale. Indipendentemente dalla eziopatogenesi, questa lesione può contribuire alla più rapidaprogressione verso la cirrosi come avviene anche nei soggetti trapiantati di fegato (86). In complesso, i risultati ottenuti dalla valutazione istologica del paziente trapiantato suggerisconoche, sia i differenti protocolli di immunosoppressione che l’entità del danno epatico pre-esistente,potrebbero avere un ruolo nella progressione del danno istologico dopo trapianto di rene.Nella Tabella 3 sono riportati i principali studi nei pazienti con infezione da HCV sottoposti a tra-pianto di rene in cui sia stata effettuata una valutazione istologica puntiforme e/o seriata.

Tabella 3. Danno epatico istologicamente accertato in una o più biopsie epatiche nei pazienti HCV positivi trapiantati di rene

In definitiva, nel paziente con ERSD, la severità della malattia epatica dipende dall’epoca del con-tagio e le lesioni istologiche possono non essere severe. Dopo trapianto di rene molti studi evidenziano un maggior rischio di progressione del danno epa-tico. Tale progressione è influenzata della presenza dell’immunosoppressione e dal tipo di farmaciusati. Mancano studi in cui siano state effettuate biopsie pre- e post-trapianto di rene.

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LA TERAPIA ANTIVIRALE

a) END STAGE RENAL DISEASE

La necessità di migliorare la sopravvivenza dei pazienti HCV positivi con ESRD e di ridur-re il numero delle complicanze renali dopo il trapianto richiede di valutare l’opportunità del tratta-mento antivirale dei pazienti in trattamento dialitico (87-88).

Tuttavia, la terapia antivirale, in questi pazienti, è ancora un problema aperto. La farmacoci-netica dell’IFN nei pazienti sottoposti ad emodialisi indica che la clearance dell’IFN è sostanzial-mente ridotta e la concentrazione di IFN considerevolmente aumentata rispetto a quella dei pazien-ti con normale funzione renale. La dose di 3 MU per tre volte a settimana comporta un’area sotto lacurva (AUC) di 756 ± 223 IU/h/ml che è superiore a quella di 324 ± 223 IU/h/ml ottenuta nei pazien-ti non uremici con dosaggio di IFN doppio, pari a 6 MU per tre volte a settimana e l’emivita pla-smatica del farmaco è risultata di 10 ± 2.4 h, rispetto a 6 ± 1.6 h osservata nei non uremici (89).

La monoterapia con interferone

Sono stati pubblicati diversi piccoli trials clinici riguardanti la terapia dell’epatite cronica daHCV nei pazienti in dialisi. Due meta-analisi (74-75) hanno dimostrato che la risposta virologicasostenuta dopo interferone in monoterapia nel dializzato è del 30-40%, tuttavia la percentuale di dropout risulta più elevata (20%) a causa dell’accumulo dell’IFN, di co-morbilità quali cardiopatie, ane-mia, malnutrizione e dell’età spesso avanzata rispetto a quella dei non uremici (Tabella 4). E’ statosuggerito che anche nei pazienti dializzati la Early Virological Response (EVR) cioè la negativizza-zione dell’HCV RNA entro le prime 8-12 settimane di terapia ed il genotipo non 1 si associno aduna risposta sostenuta (SVR) (90-91). La monoterapia con interferone convenzionale rimane l’ap-proccio più collaudato (92-94)

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Tabella 4 Studi clinici sulla monoterapia con interferone

La terapia antivirale combinata

Attualmente, il trattamento dei pazienti con infezione cronica da HCV si basa sull’associa-zione di interferone e ribavirina. La ribavirina ha comportato un incremento nella percentuale dirisposte sostenute rispetto alla monoterapia con solo interferone, ma è associata in maniera dose-dipendente ad anemia emolitica grave tale da renderla, in alcuni casi, addirittura pericolosa per lavita. Tale anemia dipende dai livelli di ribavirina e poiché il farmaco viene eliminato per via rena-le, studi di farmacocinetica in pazienti con livelli di insufficienza renale di diversa gravità, hannodimostrato che la concentrazione di ribavirina aumenta per il ridotto volume di distribuzione e laridotta clearance. Una sostanziale riduzione nell’eliminazione della ribavirina si osserva nei pazien-ti con creatinina >2 mg/dl o con clearance <50 ml/min; durante la dialisi viene rimosso solo il 4%del farmaco (95). Quando la ribavirina raggiunge livelli sierici elevati, l’emolisi diventa significati-va (96). Tali premesse teoriche hanno indotto ad impiegare la ribavirina in dialisi con molta caute-

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la. Tuttavia i dati preliminari ottenuti in vivo sono risultati incoraggianti: 1) Tan et al. hanno trattato 5 pazienti con interferone a2b 3 MU per 3 volte a settimana associandoribavirina con dosi variabili a partire da 200 mg al giorno, modulate successivamente sulla base deilivelli di emoglobina. La risposta virologica durante il trattamento è stata soddisfacente (4 pazientihanno ottenuto la negativizzazione dell’HCVRNA), ma in tutti i casi si è sviluppata anemia impor-tante che ha reso necessarie emotrasfusioni (97). 2) Bruchfeld et al. hanno effettuato uno studio pilota su pazienti in emodialisi in 5 casi di epatitecronica da HCV di genotipo 1 e uno di genotipo 4. Un paziente in dialisi peritoneale è stato tratta-to con interferone a2b 3 MU per 3 volte a settimana e basse dosi giornaliere (200-400 mg) di riba-virina per un periodo totale di 24 settimane. La concentrazione di ribavirina veniva monitorata conHPLC per consentire una concentrazione target di 10-15 micromoli/l ritenuta ottimale per l’effica-cia terapeutica sulla base di valutazioni su una popolazione di pazienti di riferimento senza insuffi-cienza renale. Tali dosi venivano raggiunte con somministrazioni che variavano da 200 a 400 mgal giorno in tre somministrazioni a settimana ottenendo allo steady state un dosaggio medio di riba-virina di 171-297 mg. Nonostante 5 pazienti fossero risultati negativi alla fine della terapia di com-binazione, solo uno ha avuto una risposta sostenuta (98).3) Mousa et al, utilizzando sempre la ribavirina in combinazione con l’interferone standard, hannocercato di stabilire, in uno studio pilota, la durata ottimale della terapia. Ha usato in associazioneinterferone a 3 MU per 3 volte a settimana e ribavirina 200 mg per 3 giorni a settimana in 2 grup-pi di pazienti trattati per 24 (9 pazienti) o 48 settimane (11 pazienti). Le risposte virologiche soste-nute sono risultate rispettivamente del 66% e del 55% (99).In nessuno di questi studi è stato investigato il ruolo del genotipo come fattore predittivo.Va sottolineato che gli studi sulla terapia di combinazione con ribavirina sono preliminari e non visono dati sufficienti a sostenere l’uso indiscriminato della terapia antivirale di combinazione neipazienti con insufficienza renale. L’utilizzo della ribavirina nei pazienti con insufficienza renale cro-nica dipende comunque da alcune procedure: 1)il controllo settimanale dell’ematocrito, 2)la ridu-zione della dose di ribavirina, 3)l’uso di alte dosi di eritropoietina per correggere l’anemia 4) l’usodi ferro endovenoso associato all’eritropoietina prima dell’inizio della terapia al fine di favorire l’a-zione dell’eritropoietina in questi pazienti. Pertanto, vi è la necessità di studi prospettici e controlla-ti che stabiliscano come ottimizzare i dosaggi e la frequenza delle somministrazioni nella terapia dicombinazione.

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Interferoni peghilati

L’avvento degli interferoni peghilati ha costituito una nuova possibilità terapeutica anche peri pazienti in dialisi (100). Risultati preliminari sono stati riportati su piccole casistiche (Tabella 5).Lo studio più recente è stato condotto negli USA da Russo: 16 pazienti sono stati randomizzati altrattamento con PEG-Interferone a2b, 1.0 mcg/Kg/settimana (9 pazienti) oppure 0.5 mcg/Kg/setti-mana (7 pazienti) per 48 settimane. Ad una bassa percentuale di SVR, in questo studio si aggiun-geva una elevata percentuale di intolleranza. Anche se età avanzata, razza afro americana e gradoavanzato di epatopatia possono aver ridotto le percentuali di risposta, gli Autori concludevano chel’uso dell’interferone peghilato non aveva fornito risultati migliori dell’interferone tradizionale(101). Lo studio controllato di Kokoglu et al. su un piccolo gruppo di pazienti trattati con PEG-Interferone a2a a 135 mcg/settimana ha raggiunto conclusioni opposte (102). Lo studio pilota diSporea et al. su 10 casi ha dimostrato SVR del 30% dopo PEG-Interferone a2a 180mcg poi ridot-ti a 135 in 2 casi, ma la percentuale di drop out è stata del 40% (103). Annichiarico e Siciliano hannoottenuto una risposta virologica sostenuta in 2 dei 6 pazienti trattati per 48 mesi con PEG-interfero-ne a2b (104). Teta con PEG-Interferone a2a a dosi variabili da 180 a 90 mcg ha dimostrato SVRin 2 su 3 pazienti trattati per 48 mesi (105). Kamal et al, utilizzando PEG-Interferone a2b anche alladose di 0,5 mcg/Kg in pazienti che avessero contratto un’epatite acuta da HCV seguiti per un anno,ha dimostrato elevate percentuali di SVR (106).Sulla combinazione di PEG-Interferone e ribavirina esistono pochissimi dati: Bruchfeld et al. in unostudio pilota hanno trattato 6 pazienti emodializzati cronici con ribavirina e Peg-Interferone a2a alladose di 135 mcg (n=4) o con PEG-Interferone a2b (n=2) alla dose di 50 mcg/Kg dimostrando unapercentuale di risposta del 50%, senza elevate percentuali di sospensioni della terapia. La dose diribavirina utilizzata era stata opportunamente ridotta a 170-300 mg/die (107).Rendina et al hanno dimostrato, in uno studio esplorativo su 25 pazienti di cui il 54% infettato con

genotipo 2a, una SVR del 97% dopo trattamento con interferone peghilato a2a al dosaggio di 135µg e ribavirina al dosaggio di 200 mg al giorno o a giorni alterni a seconda della tollerabilità (108).

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Le evidenze disponibili al momento sul trattamento sono piuttosto consolidate riguardo lamonoterapia con interferone standard, mentre sono ancora limitate sia per quanto riguarda l’uso deipeghilati che per quanto riguarda i dosaggi di ribavirina da utilizzarsi nella terapia di combinazione.E’ consigliabile, come nei pazienti non uremici, un ciclo di terapia antivirale di durata variabile aseconda del genotipo: 48 settimane per i genotipi 1 e 4, e 24 settimane nei pazienti con genotipo 2o 3. E’ raccomandabile, al fine di evitare eventuali crisi di rigetto post RT da accumulo di IFN, unperiodo di wash-out di 4 o 8 settimane dopo la fine del ciclo di terapia antivirale (IFN convenziona-le e Peg-IFN, rispettivamente) prima dell’inserimento in lista per trapianto di rene.

PAZIENTI CON ESRD IN TRATTAMENTO DIALITICO: QUALE TERAPIA?

Esistono evidenze solide sulla sicurezza della monoterapia con IFN standard ricombinante o natu-rale

L’utilizzo della combinazione di interferone standard e ribavirina dipende dall’adozione di specifi-che precauzioni.

Sono necessarie maggiori evidenze su quali siano le dosi e la frequenza di somministrazione piùappropriate per ottenere una maggiore efficacia con la combinazione di interferone e ribavirinarispetto alla monoterapia, pertanto l’impiego di ribavirina dovrà essere confermato da ulteriori triasclinici

La revisione critica della letteratura incoraggia trials clinici controllati attraverso cui valutare effica-cia e tollerabilita’ degli interferoni peghilati a-2a o 2b.

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b) CANDIDATI AL TRAPIANTO DI RENE

Sono stati pubblicati alcuni studi sulla terapia antivirale nell’epatopatia HCV correlata neipazienti candidati al trapianto di rene (109-110). In queste sperimentazioni cliniche, l’interferone èstato in grado di eradicare l’HCV prima del trapianto e la risposta alla terapia antivirale si è protrat-ta per un consistente periodo di tempo dopo il trapianto. Lo studio di Kamar et al., che ha incluso 55pazienti anti-HCV positivi/HCVRNA positivi trattati con interferone standard 9 MU/settimana per6-12 mesi, 16 dei quali successivamente sottoposti a trapianto, ha dimostrato SVR persistente nei tra-piantati dopo un periodo medio di osservazione di 22.5 mesi, nel 38% dei casi (111). Pertanto, unavolta raggiunta, la risposta persiste anche dopo terapia immunosoppressiva.

Cruzado ha documentato, nei casi trattati con Interferone prima del trapianto di rene ridu-zione dell’insorgenza della glomerulonefrite membrano-proliferativa HCV-associata insorta “denovo” dopo trapianto. Su 15 riceventi HCV positivi, solo il 6.7% ha sviluppato la glomerulonefriterispetto al 19% dei riceventi HCV positivi non sottoposti ad interferone prima del trapianto di rene(P<0.001) (112).

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LA TERAPIA NEI PAZIENTI TRAPIANTATI

Dopo trapianto di rene, non si dispone al momento di terapia antivirale dell’epatopatia HCVcorrelata che sia efficace e tollerata. Negli anni ‘90 sono stati pubblicati alcuni studi sull’uso del-l’interferone. Si tratta quasi sempre di studi non controllati e su un numero limitato di pazienti (113).

L’interferone, per le sue proprietà immunomodulanti, è stato associato alla comparsa di riget-to sia acuto che cronico nel 15-60% dei casi. Pertanto, il suo utilizzo anche in combinazione con laribavirina è stato accettato solo in caso di diagnosi di epatite fibrosante colestatica. L’unico studio prospettico e controllato è quello di Rostaing et al che ha dimostrato rigetto acutoresistente ai corticosteroidi nel 36% dei casi dopo follow-up di un anno dal trapianto di rene ma nes-suna risposta virologica sostenuta (114). Uno studio non controllato con dosi di IFN di 1 MU per 3volte a settimana e di ribavirina di 600 mg al giorno per 48 settimane ha invece documentato unarisposta sostenuta nel 36% dei casi (115). Tang et hanno dimostrato SVR in 3 dei 4 pazienti tra-piantati con infezione acuta da HCV “de novo” trattati con la combinazione per 48 settimane (116).Anche nella terapia di combinazione dopo trapianto, le interruzioni per l’insorgenza di rigetto acutosono risultate elevate.

Terapie alternative all’interferone

Gli studi che hanno valutato ribavirina ed amantadina in monoterapia sono studi pilota, nonhanno ottenuto o non riportano risposte virologiche sufficienti. Il loro uso in monoterapia nonpuò essere raccomandato (117).

PROBLEMI APERTI IN TERAPIA

Al momento dopo trapianto renale non esiste terapia sicura ed efficace: l’interferone comportarischio di rigetto acuto e/o cronico di rene.

L’infezione da HCV deve pertanto essere trattata prima del trapianto, considerando anche che le pos-sibilità di risposta sono più elevate nei pazienti con infezione recente.

L’associazione con ribavirina comporta rischio di severa anemia e potrebbe favorire la progressionedella fibrosi. Dovrebbe essere riservata solo per quei pazienti che abbiano sviluppato epatite fibro-sante colestatica.

La percentuale di sospensione della terapia antivirale è molto elevata.

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RISCHIO DI TRASMISSIONE NEL TRAPIANTO

Trapianto di rene da donatore anti-HCV positivo in ricevente anti-HCV negativo

Con l’utilizzo di test ELISA di III generazione che garantiscono sensibilità del 100% e valo-re predittivo negativo del 100%, il rischio di trasmissione dell’HCV da un donatore anti-HCV nega-tivo è improbabile. Lo screening attraverso la ricerca dell’anticorpo anti-HCV che porti al solo usodi reni da donatori HCV negativi è ritenuta una strategia sicura. Al contrario, l’utilizzo di reni dadonatori anti-HCV positivi in riceventi anti HCV negativi è proibito in Italia ed in molti Paesi perla elevata frequenza di trasmissione dell’HCV. Attualmente, il trapianto di rene da portatore HCVpositivo a ricevente anti-HCV negativo può venire effettuato previa consenso informato solo in casodi urgenza clinica comprovta (116). Dati recenti suggeriscono che l’infezione da HCV acquisita incondizioni di massima immunosoppressione (al momento del trapianto di rene o subito dopo), possaessere particolarmente aggressiva (118).

Trapianto da donatore anti-HCV positivo in riceventi anti-HCV positivi

In considerazione delle lunghe liste d’attesa per trapianto di rene, in molti Paesi è stata valu-tata l’opportunità di espandere il pool dei donatori includendo donatori anti-HCV positivi (119-120).Morale set al. hanno dimostrato, come non vi fossero differenze nella sopravvivenza del paziente,dell’organo trapiantato o nel tipo di epatopatia tra riceventi anti-HCV positivi che avevano ricevutoreni da donatori anti-HCV positivi rispetto a riceventi anti-HCV positivi trapiantati con reni didonatori anti-HCV negativi. Tuttavia, il periodo di osservazione di questo studio è piuttosto breve(121). Altri studi non hanno dimostrato differenze di sopravvivenza né del paziente, né del rene tra-piantato tra riceventi anti-HCV positivi che ricevono reni da donatori anti-HCV positivi e riceventianti-HCV positivi che ricevono reni da donatori anti-HCV negativi (122-124). Tutti gli autori sot-tolineano come un simile utilizzo degli organi possa portare alla riduzione delle liste d’attesa e allariduzione della mortalità correlata al periodo d’attesa (125). Tuttavia, vi sono alcuni studi che hanno condotto a conclusioni differenti: Abbott et al, in uno studioretrospettivo, hanno dimostrato che il trapianto di reni da donatori anti-HCV positivi correlava inmodo significativo ed indipendente con ridotta sopravvivenza nei riceventi di trapianto di rene dacadavere. Questo dato è stato riportato sia per i riceventi anti-HCV positivi, sia per quelli anti-HCVnegativi, dopo almeno 2 anni di follow-up (126). Lo studio di Abbott et al. ha alcune limitazioni:negli USA lo screening dei dializzati non viene effettuato periodicamente per cui non è possibileescludere casi di sieroconversione pre-trapianto; inoltre la mancanza di dati istologici e di informa-zioni sulla terapia potrebbero indurre ad ipotizzare l’esistenza di un rischio dipendente da fattori delricevente più che del donatore (127). In definitiva, un potenziale rischio connesso all’uso di reni dadonatori anti HCV positivi non può attualmente essere escluso.

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Trapianto da donatore anti HCV positivo in ricevente anti-HCV positivo/HCV RNA positivo

Una scelta alternativa potrebbe essere quella di trapiantare i reni di donatori anti-HCV posi-tivi in riceventi anti-HCV positivi con replicazione virale accertata (HCV RNA positivi).Attualmente nel nostro Paese è in corso una sperimentazione clinica che prevede l’uso di reni dadonatori HCV positivi in pazienti riceventi anti-HCV positivi/HCV RNA positivi dopo appropriatoconsenso informato (127). Viceversa, l’uso di reni da donatori anti-HCV positivi in riceventi anti-HCV positivi, ma HCV RNA negativi non è raccomandato perchè potrebbe esporre al rischio di riat-tivazione dell’infezione post-RT. Morales et al hanno evidenziato come non vi fossero differenze sianell’entità del danno epatico che nella sopravvivenza del paziente tra riceventi HCV RNA positivi direni di donatori anti-HCV positivi rispetto a riceventi anti-HCV positivi in cui sia stato trapiantatoun rene di un donatore anti HCV negativo (128).Al contrario, sono stati riportati casi di reinfezione dopo un trapianto da donatore positivo a riceventeanti HCV positivo, ma HCV RNA negativo. Come dimostrano studi sugli scimpanzé, infatti, unaprima infezione da HCV non induce una risposta immunitaria protettiva rispetto a successive infe-zioni con diverso genotipo (129). La comparsa di nuova replicazione per trasmissione “de novo” insoggetti virologicamente quiescenti, rappresenta, pertanto, un rischio considerato anche che lemanifestazioni cliniche della superinfezione da HCV nei trapiantati di rene non sono definite. Unostudio multicentrico (130) non ha mostrato alcun impatto dell’infezione con singolo o con multipligenotipi sulla sopravvivenza del paziente trapiantato, anche se sono stati segnalati casi di epatopa-tia importante dopo sovrainfezione da parte di un genotipo differente dopo trapianto di rene in unsoggetto già infettato con un determinato genotipo (131-132).Attualmente le metodiche molecolari per rivelare la presenza dell’HCVRNA nel donatore richiedo-no procedure tali da non poter assicurare una risposta in tempo reale, tuttavia è possibile che in futu-ro si disponga di metodiche ed organizzazione che permettano l’attuarsi della strategia più sicura:quella di trapiantare donatori anti-HCV positivi/HCVRNA positivi in riceventi HCV RNA positivicon uguale genotipo.

Conclusioni

La strategia di usare reni di donatori anti-HCV positivi selezionati, in riceventi anti-HCVpositivi è sostenuta dal fatto che una permanenza prolungata nella lista di attesa per trapianto di reniè di per se associata a rischio di morte più elevato rispetto alla strategia di ricevere organi da dona-tore anti-HCV positivo (133). Attualmente, pertanto, il trapianto di rene da donatori anti-HCV posi-tivi in riceventi anti-HCV negativi viene considerato a rischio aumentato ma accettabile. E’ auspica-bile che in attesa dei risultati del protocollo nazionale, il trapianto da anti-HCV positivo sia offertoa riceventi anti-HCV positivi/HCV RNA positivi, attraverso consenso informato secondo le diretti-ve del Centro Nazionale Trapianti (CNT).

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Questionario inviato ai principali centri di trattamento dialitico e/o trapianto in Italia

1) Lei è un nefrologo, un chirurgo dei trapianti (rene/fegato/entrambi) od un epatologo?

2) Quanti trapianti di rene vengono effettuati presso la sua istituzione?

3) Si effettuano anche trapianti di fegato?

4) Come viene posta diagnosi di HCV positività?

5) Si effettuano biopsie nei pazienti in dialisi? Si effettuano biopsie nelle fasi pre trapianto renaleo alla diagnosi di HCV?

6) Le biopsie epatiche vengono ripetute nel tempo?

7) Sono biopsie epatiche per cutanee o transgiugulari?

8) I pazienti con insufficienza renale/uremia vengono trattati con interferone?

9) Quali sono le indicazioni all’uso dell’interferone?

10)Quale tipo di interferone viene usato?

11)Viene impiegata la ribavirina?

12)A quale dosaggio?

13)Chi da l’indicazione alla terapia antivirale?

14)Il paziente anti-HCV positivo riceve organi HCV positivi?

15) I pazienti con anti-HCV positività vengono sottoposti a terapia con interferone dopo il trapian-to di rene?

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117) Protocollo CNT per l’utilizzo di donatori HCV+ in riceventi trapianto di rene HCV+. CNT, 1 Agosto 2003, sitowww.cnt.org

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INFEZIONE DA HCV IN CORSO DI TRATTAMENTO DIALITICO E DOPO TRAPIANTO DI RENE

118) I. Dalladetsima, M. Psichogiou, V. Sypsa, E. Psimenou, A. Kostakis, A. Hatzakis, J.N.Boletis. The course of hepa-titis C virus infection in pretransplantation anti-hepatitis C virus-negative renal transplant recipients: a retrospec-tive follow up study. Am J Kidney Dis 2006; 47: 309-316.

119) F. Fabrizi, S. Bunnapradist, G. Lunghi, P. Martin. Transplantation of kidneys from HCV-positive donors: a safestrategy? J Nephrol 2003; 5: 617-628.

120) S.N. Natov. Transmission of viral hepatitis by kidney transplantation: donor evaluation and transplant policies.Transpl Infect Dis 2002; 4: 124-131.

121) J.M. Morales, M. Campistol, G. Castellano, A. Andres, F. Colina, A. Fuertes, G. Ercilla, M. Bruguera, J. Andreu,P. Carretero. Transplantation of kidneys from donors with hepatitis C antibody into recipients with pre-transplan-tation anti-HCV. Kidney Int 1995; 47: 236-240.

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127) Criteri generali per la valutazione della idoneità del donatore. CNT, 1 Marzo 2005, sito www.cnt.org

128) J.M. Morales, J.M. Campistol, A. Andres, B. Dominguez-Gil, N. Esforzado, F. Oppenheimer, J.L. Rodicio. Use ofkidney from anti-HCV positive donors. Transplant Proc 2001; 33: 1776-1777.

129) P. Farci, H.J. Alter, S. Govindarajan, D.C.Wong, R. Engle, R.R. Lesniewski, I.K. Mushahwar, S.M. Desai, R.H.Miller, N. Ogata. Lack of protective immunity against reinfection with hepatitis C virus. Science 1992; 258: 135-140.

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Il documento è stato redatto dai membri della Commissione AISF:

Alessandra Mangia (coordinatore), Patrizia Burra, Alessia Ciancio, Stefano Fagiuoli,

Maria Guido, Antonio Picciotto, e Fabrizio Fabrizi

Il documento è stato realizzato con il contributo del “Gruppo di Cooperazione A.I.S.F.-Industrie”

Astellas Pharma S.p.A., Bristol Myers-Squibb S.r.l., Gilead Sciences S.r.l., GlaxoSmithKline S.p.A., Hardis S.p.A.,

I.B.I. - Istituto Biochimico Italiano Giovanni Lorenzini S.p.A., Novartis Farma S.p.A., Roche S.p.A.,

Schering-Plough S.p.A., Siemens Medical Solutions Diagnostics S.r.l., Therabel GiEnne Pharma S.p.A.