Inferenze Ampliative

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Fisica, Matermatica

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Emiliano Ippoliti

Inferenze Ampliative

Visualizzazione, analogia e rappresentazioni multiple

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Emiliano Ippoliti Inferenze ampliative

Visualizzazione, analogia e rappresentazioni multiple © 2008 Emiliano Ippoliti

Copertina: progetto grafico Studio Ippoliti

ISBN:

978-1-4092-0101-4

Finito di stampare nel mese di Marzo 2008 Stampato e distribuito da:

Lulu Press, Inc. 860 Aviation Parkway, Suite 300 Morrisville, North Carolina 27560

U.S.A.

http://www.lulu.com

Proprietà letteraria riservata. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico, senza l’esplicita autorizzazione dell’Autore.

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Indice del volume

Introduzione 7 Capitolo 1. Le inferenze ampliative 11

1. Premessa 11 2. Definizione 12 3. Non-monotonicità 13 4. Probabilità 15

5. Sensibilità alla rappresentazione 17 Capitolo 2. Visualizzazione e ampliatività 21

1. Premessa 21 2. Rappresentazioni visuali ampliative 26 2.1. Visualizzazione di polinomi di secondo grado a valori

interi 31

2.2. Una prima congettura 35 2.3. Visualizzazione di serie intere pari e dispari 36 2.4. Una seconda congettura 40 3. Osservazioni conclusive 42 Capitolo 3. Rappresentazioni multiple e ampliatività 45

1. Premessa 45 2. Molteplicità di rappresentazioni 46 2.1. Rappresentazioni multiple e topologia algebrica 49 2.2. Rappresentazioni multiple e teoria dei nodi 51 2.3. Rappresentazioni multiple e teoria delle trecce 59 3. Rappresentazione e oggetti matematici 65

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Indice del volume

6

Capitolo 4. Analogia e ampliatività 67

1. Premessa 67 2. Definizione 69 3. Probabilità e analogia 72 4. Analogia, rappresentazione e scoperta 76 5. Analogie multiple 83 6. La concezione euristica dell’analogia 87

Capitolo 5. Ampliatività e verità 99

1. Il problema della verità 99 2. Plausibilità e ampliatività 101 2.1. Caratterizzazione della plausibilità 102 2.2. Caratterizzazione dell’inferenza 104 3. Ampliatività e conoscenza 107 Bibliografia 117

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Introduzione

Questo volume fornisce un’analisi delle inferenze ampliative e un

percorso tra i metodi di ampliamento della conoscenza. Esso di-

scute sia le proprietà generali di questa forma di ragionamento (v.

Cap. 1) sia tre sue significative articolazioni, con un particolare

riferimento alla matematica. Il testo analizza inoltre alcuni aspetti

epistemologici sollevati dalla natura di queste inferenze in rela-

zione alla verità (v. Cap. 5).

Il volume è il risultato sia di una rielaborazione e di un appro-

fondimento di contributi che sono apparsi in sedi diverse (v. Cap.

2 e Cap. 4), sia di contributi originali (v. Cap. 1 e Cap. 3), i quali

sono legati da una comune linea di congiunzione: lo studio dei

metodi e dei processi mediante i quali produrre davvero nuova

conoscenza. Il testo affronta dunque il problema della scoperta

scientifica, ossia della costruzione e del raffinamento di metodi

mediante cui porre e risolvere problemi e indagare le proprietà

degli oggetti matematici.

La tesi sostenuta in questo testo è che la conoscenza matema-

tica avanza, si amplia, mediante una moltiplicazione di punti di

vista intorno all’oggetto indagato. Per l’esattezza sostengo che

esiste una relazione feconda tra la nozione di rappresentazione e

quella di ampliatività, in quanto il processo di continua moltipli-

cazione dei punti di vista avviene proprio mediante la costruzione

e la combinazione di nuove e diverse rappresentazioni. Da un lato

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la costruzione e la combinazione di molteplici rappresentazioni

porta a un ampliamento della nostra conoscenza, dall’altro

l’ampliamento della conoscenza produce la possibilità di istituire

nuove e molteplici rappresentazioni di un oggetto, e così via

all’infinito. Questo continuo movimento è alla base dei più rile-

vanti conseguimenti della matematica.

Sosterrò questa tesi esaminando tre tipi d’inferenza ampliativa

– la visualizzazione, l’analogia e la combinazione di rappresenta-

zioni – e facendo ricorso a casi tratti dalla teoria dei numeri e dal-

la topologia, in particolare dalla teoria delle trecce e dalla teoria

dei nodi, i quali sono domini nei quali la moltiplicazione euristica

di punti di vista mediante l’uso di diverse rappresentazioni è par-

ticolarmente evidente e feconda.

Il testo intende dunque offrire un contributo allo sviluppo di

una concezione euristica della matematica e della filosofia della

scienza.

La concezione euristica (v. Cellucci 2002) può essere fatta ri-

salire almeno a Descartes, il quale teorizza espressamente la ne-

cessità di una logica della scoperta, ossia di un metodo in grado

di favorire la scoperta. Secondo la versione moderna della conce-

zione euristica, il compito della matematica e quello della filoso-

fia della matematica non differiscono affatto, in quanto la loro

questione centrale è la scoperta, ossia l’indagine sui modi in cui

la conoscenza matematica avanza e mediante i quali la scoperta

può essere razionalmente perseguita. La filosofia della matemati-

ca deve dunque mirare all’ideazione e al raffinamento dei metodi

mediante cui porre e risolvere problemi e mediante cui investiga-

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re gli oggetti matematici.

Come tento di mostrare nel corso del volume, la matematica

avanza, articola il suo processo di ampliamento della conoscenza,

mediante la moltiplicazione e interazione di diverse rappresenta-

zioni di un oggetto o di un problema matematico.

La costruzione, moltiplicazione e combinazione di diverse

rappresentazioni sono strumenti essenziali per il processo di am-

pliamento poiché esse permettono di introdurre nel corso del pro-

cesso inferenziale informazioni e dati che non sono contenuti nel-

le premesse e che sono in qualche modo esterni all’oggetto e al

problema esaminato. Questa caratteristica, definibile come sensi-

bilità alla rappresentazione (sensitivity to representation), è cosi

cruciale nella matematica, come argomenterò, in virtù della natu-

ra stessa della matematica e dei suoi oggetti.

Questo libro pertanto presenta:

- una filosofia della matematica nella quale la scoperta è trat-

tata come un processo razionale e analitico (in un certo senso di

analitico), logicamente e temporalmente non separabile dalla fase

della giustificazione, che procede mediante una continua costru-

zione di molteplici rappresentazioni di oggetti matematici, che

originano una moltiplicazione di punti di vista sull’oggetto che

produce nuova conoscenza.

- una trattazione dell’inferenza ampliativa e degli oggetti ma-

tematici basata su una concezione euristica della matematica (v.

Cellucci 2002), che considera le entità matematiche come ipotesi

per porre e risolvere problemi.

Sebbene questo approccio sia sviluppato in riferimento alla

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Introduzione

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matematica, ritengo che sia applicabile e si adatti anche alla trat-

tazione di altri domini scientifici.

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Le inferenze ampliative

1. Premessa

La nozione di ampliatività e di inferenze ampliative rappresenta-

no una frontiera della ricerca logica. Il loro studio e la loro analisi

permettono di indagare e render conto dei processi di reale am-

pliamento della conoscenza, ossia dei processi che consentono di

porre e risolvere problemi mediante l’ideazione e il raffinamento

di metodi per costruire e valutare ipotesi e per indagare gli ogget-

ti matematici. Le inferenze ampliative, infatti, servono per scopri-

re e valutare ipotesi mediante processi che introducono e veicola-

no informazioni e dati che non sono contenuti nel problema af-

frontato o nell’oggetto indagato e che servono a moltiplicare i

punti di vista e le sue possibili rappresentazioni al fine di genera-

re nuova conoscenza. In questo senso, dunque, queste inferenze si

distinguono in modo essenziale dalle inferenze non-ampliative, le

quali non introducono nuova informazione e non moltiplicano i

punti di vista intorno ad un dato oggetto o problema, e anzi ri-

mangono per definizione chiuse all’interno di un particolare pun-

to di vista.

La tesi sostenuta in questo testo è che la conoscenza matema-

tica, e in certo senso la conoscenza in generale, si estende e si

amplia mediante un processo di continua moltiplicazione dei pun-

ti di vista intorno ad un oggetto. Inoltre sostengo e argomento che

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questa moltiplicazione di punti di vista avviene mediante la con-

tinua costruzione di nuove rappresentazioni dell’oggetto indaga-

to. Certo non per tutti gli oggetti questo processo di moltiplica-

zione può essere messo in atto e iterato, e anzi esistono oggetti

per i quali si possono costruire ben poche rappresentazioni e per i

quali si possono dare ben pochi punti di vista (come i numeri na-

turali), ma in generale questo processo è responsabile degli avan-

zamenti più profondi e della crescita della conoscenza della ma-

tematica.

2. Definizione

Con la nozione di ampliatività e di inferenza ampliativa ci si rife-

risce a una proprietà essenziale del ragionamento. Una definizio-

ne comunemente accettata di questo tipo di inferenza è di istituire

un nesso tra il contenuto della conclusione e quello delle premes-

se per effetto del quale il primo non è incluso nel secondo, alme-

no non per intero.

In altre parole le inferenze sono ampliative quando «il conte-

nuto informativo della conclusione non è interamente contenuto

in quello delle premesse»1, quando l’informazione della conclu-

sione che non è presente nelle premesse o nei dati da cui è stata

inferita, e pertanto esse estendono l’informazione fornita nelle

loro premesse.

Quindi le inferenze ampliative (p. es. le inferenze induttive o

1 Boniolo-Vidali 1999, 222.

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le inferenze analogiche) sono davvero in grado, per via della loro

stessa natura, di estendere e generare nuova conoscenza, in quan-

to introducono qualcosa di esterno durante il processo inferenzia-

le. Esse differiscono dunque dalle inferenze non ampliative (ossia

quelle deduttive), le quali non sono in grado di estendere davvero

la nostra conoscenza, nel senso che tutto ciò che da esse deriva è

contenuto nelle informazioni e nei dati forniti nelle premesse.

Inoltre le inferenze ampliative «non costituiscono un insieme

chiuso, dato una volta per sempre, bensì sono un insieme aperto

che può essere sempre di nuovo ampliato mano a mano che si svi-

luppa la ricerca»2.

Esse hanno un ruolo cruciale nei processi di problem-solving e

di scoperta in quanto contribuiscono a modellare lo spazio com-

binatorio delle ipotesi (ossia lo spazio di ricerca che racchiude le

possibili combinazioni tra dati e informazioni che possono dare

luogo a ipotesi esplicative), espandendolo e contraendolo ad ogni

passo del percorso inferenziale in vista della ricerca di una solu-

zione del problema dato.

3. Non-monotonicità

La non monotonicità3 è una delle principali caratteristiche delle

inferenze ampliative. Tali inferenze, infatti, sono caratterizzate e

definite mediante la violazione di una delle condizioni più forti

2 Cellucci 2008, 335. 3 v. Antonelli 2004 e Gelfond - Watson 2003.

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della logica classica, nota appunto come la monotonicità.

La monotonicità asserisce la validità della seguente relazione:

se Γ ϕ e Γ ⊆ Δ, allora Δ ϕ.

Dunque un'inferenza è monotonica quando, nel caso in cui la

conclusione ϕ di una inferenza è conseguenza di un insieme di

premesse Γ, allora essa è una conseguenza di qualsiasi insieme di

premesse Δ che contenga Γ quale suo sottoinsieme. Questa con-

dizione, pertanto, sostiene che una conclusione non può essere

invalidata dall’ingresso di nuova informazione: quando si è giunti

a una conclusione ϕ per via deduttiva partendo da Γ, questa ri-

mane vera una volta per tutte, indifferentemente dalle proposi-

zioni che possiamo aggiungere all’insieme delle premesse Γ. Da

ciò segue che il numero delle proposizioni valide aumenta appun-

to monotonicamente rispetto all’incremento delle premesse ag-

giunte a Γ, nel senso che all’aumentare delle premesse aumenta-

no anche le conseguenze che ne possono essere derivate.

La violazione della condizione di monotonicità nel corso dei

ragionamenti permette invece di trattare situazioni in cui una

conclusione può essere rivista alla luce dell’ingresso di nuove

premesse o informazioni. Tali conclusioni hanno dunque uno sta-

tuto diverso, in quanto non sono verità definite e indubitabili, ma

sono proposizioni plausibili4. Se le conclusioni possono essere

invalidate dall’aggiunta di nuove premesse, allora il numero delle

asserzioni valide non solo può non aumentare, ma può anche di-

minuire (o presentare delle oscillazioni). Quindi nel corso 4 v. p. es. Ippoliti 2007 e Cellucci 2008.

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dell’articolazione di inferenze ampliative, l’insieme delle propo-

sizioni accettate non cresce monotonicamente perché «inizial-

mente la conoscenza di sfondo più un insieme di credenze accet-

tate può implicare una conclusione s. Poco dopo aver appreso che

la proposizione r è vera, la conoscenza di sfondo e le credenze

accettate combinate con r potrebbero non implicare più s»5. In tal

caso si può anche arrivare a dover rimuovere s dall’insieme delle

proposizioni accettate.

4. Probabilità

Le inferenze ampliative sono spesso associate alla probabilità, nel

senso che esse, pur non essendo vere, sono considerate probabili.

Per esempio la descrizione dell’analogia (v. Cap. 4) come una

forma d’inferenza «ampliativa e probabile»6 è largamente condi-

visa, in quanto «gli argomenti analogici non devono essere classi-

ficati come validi o invalidi, in questi casi tutto ciò che si può

richiedere è la probabilità»7.

Questo tentativo di fornire una giustificazione in termini pro-

babilistici della inferenza ampliativa è problematico e, in ultima

analisi, inadeguato.

L’inferenza ampliativa si basa infatti su considerazioni di ca-

rattere materiale e dipendenti dal dominio, e si sottrae a un pro-

5 Elio 2002, 4. 6 Weitzenfeld 1984, 1. 7 Copi 1961, 466.

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cesso d’analisi e di riduzione alla nozione e teoria della probabili-

tà.

Infatti, non a caso, sia la teoria classica della probabilità sia

quella moderna hanno fallito nel dare una descrizione soddisfa-

cente e una giustificazione dell’inferenza analogica e quindi, per

estensione, esse non sono in grado di offrire una descrizione sod-

disfacente e una giustificazione dell’inferenza ampliativa. Ciò è

dovuto a più di una ragione. In primo luogo l’inferenza ampliati-

va è un concetto qualitativo, perché è una forma di comparazio-

ne, mentre la probabilità è un concetto quantitativo, perché è ba-

sata sulla quantificazione e sulla enumerazione. Le ragioni che

motivano un’inferenza ampliativa non sono e non possono essere

di natura probabilistica: esse può avere una probabilità molto

bassa (v. Cap. 4), anche prossima allo zero, eppur essere giustifi-

cata e, viceversa, ricevere un valore probabilistico molto alto ed

essere ingiustificata.

In particolare l’affermazione che la natura del legame tra le

premesse e la conclusione di una inferenza ampliativa non può

essere spiegata mediante la teoria della probabilità ha almeno due

sensi.

In primo luogo molte ipotesi formate mediante inferenze am-

pliative si basano su un numero limitato di osservazioni e si rife-

riscono a un numero molto elevato di casi (anche infiniti), per cui

il rapporto tra casi favorevoli e casi possibili è tale da conferire

all’ipotesi un valore probabilistico molto basso o prossimo allo

zero.

In secondo luogo molte inferenze ampliative, come l’analogia,

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si basano su un numero di dissimilarità tra i domini oggetti di

transfer che supera quello delle similarità e quindi, di nuovo: il

loro rapporto conferisce una probabilità molto bassa alla conclu-

sione ma essa è motivata (ad esempio perché avviene su proprietà

rilevanti8). Al contrario, inferenze basate sul conforto di un nu-

mero molto alto di similarità tra i domini comparati (e quindi su

un’alta probabilità) possono rivelarsi non solo non motivate, ma

palesemente scorrette o non-informative.

Ma il fatto che la logica e la teoria della probabilità non siano

adeguate a rendere conto dell’essenza dell’ampliamento della

conoscenza ha un motivo specifico: l’inferenza ampliativa è, in-

fatti, soggetta al paradosso dell’inferenza9. Pertanto non è possi-

bile avere un’inferenza che goda contemporaneamente della pro-

prietà della correttezza e dell’ampliatività10, ossia che sia tale che

le sue premesse conferiscano validità e certezza alla conclusione

candidata e al contempo estenda davvero le nostre conoscenze. Il

legame istituito tra le premesse e la conclusione di una inferenza

ampliativa non è infatti di natura probabilistica, ma è semplice-

mente plausibile.

5. Sensibilità alla rappresentazione

8 Cfr. Ippoliti 2006 e Ippoliti 2007, Cap. 5. 9 Cfr. Cellucci 2002, 167-168. 10 Per una analisi approfondita della relazione tra la nozione di correttezza e

quella di ampliatività di un’inferenza cfr. Cellucci 2002, 165-169.

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Un’altra proprietà costitutiva dell’inferenza ampliativa e del pro-

cesso di ampliamento della conoscenza è la sensibilità alla rap-

presentazione. Con il termine rappresentazione qui intendiamo un

modo di organizzare e codificare l’informazione e i dati necessari

a trattare un oggetto o un problema matematico (come la visua-

lizzazione, la formalizzazione, la definizione ma anche la sempli-

ce notazione). Con la nozione di sensibilità si intende la dipen-

denza del processo di ampliamento della conoscenza da certi fat-

tori (o insieme di fattori) che intervengono in tale processo.

Con la proprietà della sensibilità alla rappresentazione mi rife-

risco dunque alla dipendenza che esiste tra i modi di rappresenta-

zione e la trattazione di un problema o un oggetto matematico.

Una differenza anche piccola nella rappresentazione scelta può

condurre a trattazioni completamente differenti del problema o

dell’oggetto indagato. Pertanto due modi di rappresentazione

possono generare due diverse ipotesi o soluzioni di uno stesso

problema e le proprietà che possono essere ascritte ad un certo

oggetto matematico sensibilmente dipendono dalla rappresenta-

zione che ne diamo.

Il processo di costruzione di nuove rappresentazioni e la loro

combinazione strutturata veicola e introduce informazioni tra loro

diverse e le organizza in modi diversi.

Questo processo di costruzione di rappresentazioni è forte-

mente basato sulle inferenze ampliative, come l’analogia, che

consente di trasferire risultati, strumenti e metodi a livello sia

intra-domini sia inter-domini. Quindi tra ampliatività e sensibilità

alla rappresentazione esiste una reciproca dipendenza: le inferen-

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ze ampliative permettono di costruire nuove rappresentazioni e,

viceversa, l’insieme delle rappresentazioni cui possiamo avere

accesso permettono di strutturare il processo inferenziale amplia-

tivo.

Inoltre diversi modi di rappresentazioni dipendono dalla cono-

scenza esistente, nel senso che le rappresentazioni cui possiamo

avere accesso e che possiamo costruire dipendono dal corpo di

conoscenza esistente in quel momento. Dunque la scoperta e la

soluzione di problemi, a loro volta, dipendono dalla conoscenza

esistente e dal contesto in cui hanno luogo. Esse sono quindi sto-

ricamente situate, e dipendono strettamente dall’insieme delle

conoscenze disponibili ad un certo tempo t e dalla loro relativa

strutturazione interna. Al crescere della conoscenza esistente e

della sua strutturazione interna, lo spazio combinatorio delle ipo-

tesi viene rimodellato in modo tale che certe rappresentazioni

possono essere costruite e trasferite mediante le inferenze amplia-

tive a diversi oggetti. Questo fatto, per inciso, spiega perché al-

cune scoperte o soluzioni di problemi avvengono in certi contesti

e in certi momenti (talvolta alcune scoperte o soluzioni sono otte-

nute del tutto indipendentemente quasi contemporaneamente), e

spiega anche perché alcune ipotesi ritenute plausibili in un certo

contesto e ad un certo momento, cessano di esserle in contesti e

periodo diversi (e viceversa).

Dunque la sensitività alla rappresentazione è una caratteristica

così cruciale dell’inferenza ampliativa che la semplice ideazione

di una nuova rappresentazione (anche di una semplice notazione)

può significare produzione di nuova conoscenza.

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Visualizzazione e ampliatività

1. Premessa

La visualizzazione è tradizionalmente considerata1 come un effi-

cace mezzo di scoperta, che può avere un carattere sia integrativo

sia alternativo a stili di ragionamento formali e deduttivi. Essa

può dunque sia accompagnare, sia porsi come alternativa alla

formalizzazione e alla deduzione.

Tra gli strumenti di ampliamento della conoscenza la visualiz-

zazione occupa un posto di rilievo: essa è infatti sia una forma di

inferenza sia un tipo di rappresentazione. La visualizzazione (in-

tendendo in questa sede in via del tutto generale sia la visione, sia

il ragionamento basato sulle immagini sia le varie tecniche di

visualizzazione) è uno strumento (v. Mancosu 2005) decisivo nei

processi di ampliamento della conoscenza. In questa sede sosten-

go e argomento che essa consente davvero di estendere la cono-

scenza, e non semplicemente che sia un mezzo che accompagna

la via analitico-formale, e sostengo che sia un mezzo euristico e

non semplicemente un correlato didattico o esplicativo, che si

struttura secondo proprie e irriducibili forme di codificazione e

organizzazione dei dati e dell’informazione.

1 v. p. es Hadamar 1945.

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La visualizzazione offre un metodo per indagare oggetti e ri-

solvere problemi in quanto permette di costruire nuove rappre-

sentazioni di oggetti (ossia di codificazione e organizzazione dei

dati e delle informazioni che lo caratterizzano) e di produrre ipo-

tesi esplicative anche in domini molto astratti della matematica.

La visualizzazione, non a caso, non solo trova applicazione e gio-

ca un ruolo euristico decisivo in un numero crescente di domini

anche molto astratti come la teoria dei numeri2, ma solleva pro-

fonde questioni metodologiche, epistemologiche e filosofiche3.

La visualizzazione ricorre infatti a processi inferenziali propri

che possono differire sostanzialmente da quelli che caratterizzano

stili di ragionamenti assiomatico-formali: questi processi sono in

grado di produrre un’organizzazione dei dati e delle informazioni

mediante cui scoprire proprietà di oggetti indagati e formulare

congetture feconde. Questi processi non introducono semplice-

mente nuova informazione, esterna al problema dato o

all’oggetto indagato, ma contribuiscono a una nuova interpreta-

zione, dall’interno, dell’oggetto indagato e del problema da risol-

vere. In qualche modo costruiscono un nuovo oggetto e assem-

blano un nuovo problema.

Come abbiamo già accennato, il processo euristico è sensibile

alla rappresentazione scelta, per cui le proprietà individuabili di

un oggetto e le ipotesi candidabili per risolvere un problema di-

pendono dall’insieme di rappresentazioni scelte e dal modo in cui

2 v. p. es. Borwein - Jörgenson 2001, Goetgheluck 1993, Zenkin -1990. 3 v. p. es. Giaquinto 1992, 1993, 1994 e 2007, Brown 1997 e 1999, Horgan 1993, Cel-

lucci 2008.

Page 23: Inferenze Ampliative

le si combina durante il processo di ampliamento della conoscen-

za. Nella matematica questa dipendenza è particolarmente marca-

ta, e infatti «la storia della matematica è segnata da molti consi-

derevoli sviluppi basati sulla visualizzazione. Per esempio

l’introduzione di Descartes delle coordinate cartesiane è forse il

più importante passo in avanti nella matematica del millennio»4.

In questo caso, infatti, la costruzione di una rappresentazione

visuale di oggetti algebrici (ossia l’interpretazione di equazioni

come curve in una data dimensione e, viceversa, la costruzione di

immagini algebriche per oggetti geometrici), ha infatti permesso

a Descartes, e separatamente a Fermat, di produrre cruciali sco-

perte matematiche e di risolvere problemi di lungo corso median-

te una nuova codificazione della conoscenza, che istituisce un

legame tra due differenti discipline – come la geometria e

l’algebra.

Ancora, nella teoria dei numeri è ormai manualistico il caso

dei numeri figurati (ossia i numeri triangolari, i numeri quadrati, i

numeri pentagonali, etc.), la cui visualizzazione ha giocato un

ruolo decisivo nella scoperta di Pitagora di molte proprietà arit-

metiche.

La tesi qui proposta e sostenuta è che la visualizzazione non

rappresenta un modo più diretto e “intuitivo” per accedere ad una

conoscenza che sarebbe comunque raggiungibile mediante la via

assiomatico-formale, ma piuttosto che essa si configura come un

mezzo per ottenere conoscenza che non sarebbe accessibile me-

diante altri metodi e sistemi di rappresentazione della conoscen- 4 Borwein – Jörgenson 1997, 898.

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za.

Ovviamente esistono limiti intrinseci della visualizzazione: il

numero dei dati che può essere visualizzato, le poche dimensioni

cui si può avere accesso, la natura empirica e sensoriale delle

immagini. Essi pongono profondi limiti teorici e pratici all’uso

della visualizzazione, i quali possono condurre a errori e inferen-

ze fallaci5.

Su questa base Giaquinto6 solleva varie obbiezioni sull’uso

della visualizzazione, la quale sembra in grado di portare alla

mente solo casi singoli ed esempi particolari, che non sono in

grado di raggiungere l’astrattezza e la generalità per produrre

nuova, rilevante conoscenza matematica.

Giaquinto sostiene pertanto che la visualizzazione può ricopri-

re un ruolo nella matematica nel senso che permette esprimenti

mentali e può far emergere sia schemi (di operazioni o prove ana-

litiche) sia la possibilità di certe relazioni almeno nell’aritmetica

e nell’analisi reale elementare. A tal fine analizza due esempi

famosi, come il teorema del punto fisso e il teorema del valore

intermedio, per mostrare come il pensiero visuale – il visual thin-

king – sebbene non possa essere considerato un metodo di sco-

perta, possa comunque essere uno stimolo alla scoperta – la quale

può comunque essere raggiunta per via assiomatico-formale.

Ma la possibilità che in linea di principio ogni oggetto o pro-

blema matematico sia suscettibili di una qualche forma di rappre-

5 v. p. es. Brown 1997, dove si discutono i limiti della visualizzazione di quattro cerchi

in dimensione n, con n>10. 6 v. Giaquinto 1993 e 1994.

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sentazioni visuale non può essere esclusa, poiché con l’avanzare

della conoscenza matematica è possibile istituire sempre nuove

relazioni e rappresentazioni tra domini fino a quel momento ri-

masti del tutto o parzialmente separati. Ciò non significa ovvia-

mente che ogni oggetto matematico possiede una specifica rap-

presentazione visuale, ma piuttosto che è possibile, in un qualche

modo che dipende dall’avanzare della conoscenza matematica e

dalle molteplici rappresentazioni che se ne possono dare, fornire

una espressione visuale e grafica di oggetti e problemi matemati-

ci.

In fondo, come osserva la Grosholz (v. Grosholz 2007), la

stessa formalizzazione può in ultima analisi essere considerata

come un particolare tipo di rappresentazione.

Nei paragrafi che seguono mostrerò mediante alcuni semplici

esempi tratti dalla teoria dei numeri come la visualizzazione

svolga un ruolo euristico essenziale, e analizzerò come essa non

sia un semplice correlato di un approccio assiomatico-formale

alla matematica, ma uno strumento di reale ampliamento della

conoscenza.

La scelta della teoria dei numeri non è causale, se si pensa che

Giaquinto (v. Giaquinto 1993) sostiene che i numeri sembrano

essere oggetti puramente astratti, entità che non sono visualizza-

bili neanche in potenza. In realtà è possibile mostrare come

un’opportuna rappresentazione visuale di oggetti numerici sia

non solo capace di ampliare la nostra conoscenza permettendo di

cogliere proprietà e relazioni nuove, ma di fare ciò superando i

limiti di un approccio basato su stili di ragionamento formalisti e

Page 26: Inferenze Ampliative

deduttivi.

2. Rappresentazioni visuali ampliative

La costruzione di nuove rappresentazioni, in questo caso di carat-

tere visuale, è uno strumento così decisivo nell’ampliamento del-

la conoscenza che anche su oggetti apparentemente semplici e a

lungo studiati è possibile gettare nuova luce, arrivando a indivi-

duare nuove proprietà.

Per esempio il matematico russo A. Zenkin (v. Zenkin 1991) è

riuscito a scoprire nuove proprietà dei numeri quadrati 1, 4, 9, 25,

..., f(x) = x2, x∈ , facendo ricorso ai cosiddetti pitogrammi, una

forma di rappresentazione grafica al computer nota come Cogni-

tive Computer Graphics (CCG) – Computer Grafica Cognitiva.

Una possibile estensione dei suoi risultati può essere data in varie

forme utilizzando proprio tale forma di rappresentazione (v. p. es.

Ippoliti 2002a e 2002b).

I pitogrammi non sono altro che un modo nuovo di visualizza-

re le proprietà di oggetti numerici – una codificazione nuova del-

la conoscenza. Essi permettono di individuare nuove proprietà e,

come vedremo, di formulare congetture fornendo un mezzo per

ampliare la conoscenza su oggetti numerici attraverso la costru-

zione di una nuova rappresentazione, che non fa altro che orga-

nizzare e codificare i dati e le informazioni in un modo nuovo.

Essi visualizzano e dispongono in uno spazio bidimensionale un

insieme discreto di dati, creando un oggetto visuale che può esse-

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re studiato interattivamente e in una sorta di ambiente geometrico

virtuale. Dunque i pittogrammi creano immagini e rappresenta-

zioni geometriche di oggetti della teoria dei numeri.

Per costruire un pittogramma è necessario innanzitutto proce-

dere ad una trasformazione della serie, ossia la sequenza mono-

dimensionale 1, 2, 3, 4, 5,..., n, n∈ , nella forma modulare e

bidimensionale rappresentata nella Figura 1.

Figura 1. Griglia di un pitogramma

Si definisca il modulo del pitogramma (abbreviato mod) la

quantità di celle numeriche in ogni stringa orizzontale. Dunque

nell’esempio offerto in Figura 1 abbiamo che mod = 5.

A questo punto è possibile scegliere una qualsiasi proprietà

dei numeri naturali espressa da un predicato P(n), e visualizzarla

su un pitogramma in base alla seguente regola:

- se P(n) è vero, allora il colore della n-sima cella è, dicia-

mo, nera,

altrimenti,

Page 28: Inferenze Ampliative

- se P(n) è falsa, allora il colore è, diciamo, giallo.

Ora, sia P(n) il predicato che esprime la proprietà "essere o non

essere il quadrato di un numero naturale", n = x2: allora per mod

= 5, otteniamo il pitogramma mostrato in Figura 2:

Figura 2. Costruzione del pitogramma dei numeri quadrati

Innanzitutto è possibile osservare come questa rappresentazione

visuale è in grado di mostrare la doppia connessione tra due prin-

cipali proprietà degli oggetti numerici, quali la proprietà additiva

e quella moltiplicativa. La prima è infatti espressa dal colore dei

pitogrammi, la seconda dalla posizione, dal momento che tutti i

Page 29: Inferenze Ampliative

numeri naturali n, per i quali si ha che n = (k*mod)+j, con j<mod,

si trovano nella stessa j-esima colonna del pitogramma.

Facendo variare la dimensione del modulo, si ottengono di-

verse configurazioni e rappresentazioni dello stesso oggetto nu-

merico espresso dal predicato P(n), le quali consentono di indivi-

duare proprietà e formulare congetture. Inizialmente si possono

ottenere configurazioni disordinate di punti (gialli e neri), ma

spesso i pitogrammi possono rivelare strutture che, se adeguata-

mente interpretate, possono evidenziare modelli e proprietà inte-

ressanti.

Per adeguatamente interpretate intendo che tali modelli o pro-

prietà non sono dati grezzi, ma piuttosto che essi emergono da

analogie e legami tra le configurazioni visualizzate dai pito-

grammi e quelle di altre discipline scientifiche. Come osserva

Brown (v. Brown 1997), la visualizzazione e l’interpretazione di

oggetti matematici richiedono infatti uno “sguardo metaforico”.

Proprio facendo ricorso ad una opportuna interpretazione ba-

sata sulla visualizzazione CCG, Zenkin ha scoperto una proprietà

dei numeri quadrati la quale rivela una trasformazione non nota

nella matematica moderna.

Infatti, per mod = 16, come è possibile osservare nella Figura

3, la singola ma infinita parabola x2 – visualizzata nella Figura 3

(a), – si trasforma in una famiglia infinita di parabole finite, come

mostrato nella Figura 3 (b) e (c). Questo nuovo oggetto geometri-

co può essere espresso analiticamente, come è facilmente verifi-

cabile – nel modo seguente:

Page 30: Inferenze Ampliative

Y*(n) = (8n ± k)2 , n∈ , k = 0, 1, 2, 3, 4.

Come mostrato in Figura 3, ogni parabola della famiglia è costi-

tuita da nove punti, che sono quadrati di successivi numeri natu-

rali.

Figura 3. Pitogramma dei numeri quadrati

Per formalizzare ed esprimere analiticamente la famiglia basta

associare al pitogramma un sistema locale di coordinate, come

mostrato nella Figura 4. Quindi abbiamo che Y*(n) = (8n ± k)2 ,

n∈ , k = 0, 1, 2, 3, 4, e dove ogni punto n esprime una parabo-

la. Infatti il valore di Y*(n) non è un semplice numero, ma è la

sequenza dei seguenti nove quadrati di numeri naturali successi-

vi: (8n-4)2, (8n-3)2, (8n-2)2, (8n-1)2, (8n)2, (8n+1)2, (8n+2)2,

(8n+3)2, (8n+4)2 con n ∈ .

Quindi la famiglia infinita di parabole finite viene espressa

Page 31: Inferenze Ampliative

dalla seguente sequenza infinita di parabole composta da nove

punti:

Y*(0), Y*(1), Y*(2), Y*(3), ..., Y*(n).

Figura 4. Sistema locale di coordinate del pitogramma

2.1. Visualizzazione di polinomi di secondo grado a valori interi7

Un cambio di rappresentazione è dunque in grado di rivelare pro-

prietà che non sono individuabili per via analitica, e il risultato di

Zenkin mostra come la stessa struttura geometrica di un oggetto

della teoria dei numeri – ossia la parabola, – emerga sia nel piano

cartesiano sia nella rappresentazione basata sulla visualizzazione

CCG. Inoltre esso mostra una particolare e nuova connessione tra

finito e infinito all’interno dell’oggetto indagato.

Tale rappresentazione organizza e codifica i dati e le informa-

zioni in modo diverso e ottiene risultati nuovi e diversi. Dunque

questo semplice risultato mostra come gli oggetti matematici e i

7 Ringrazio il prof. Zenkin per i suoi suggerimenti e il dott. Rustichelli per la

collaborazione nello sviluppo del software di visualizzazione CCG su Linux.

Page 32: Inferenze Ampliative

processi di ampliamento della loro conoscenza siano sensibili alla

rappresentazione. Cosa sia un oggetto matematico e come sia

possibile estendere la conoscenza che ne abbiamo dipende

dall’insieme di rappresentazioni che ne possiamo dare e dai modi

in cui possiamo combinarle.

Ovviamente è possibile sottoporre altri oggetti matematici alla

visualizzazione CCG e ottenere risultati che possono condurre a

scoprire nuove proprietà e formulare congetture. In ciò che segue

intendo mostrare proprio questo.

Per esempio, si prendano in esame i numeri eteromechi8 e i

numeri planici9, serie numeriche rispettivamente espresse dalle

equazioni n = x2 - x e n = x2 + x. Entrambe le serie sono geome-

tricamente delle parabole e sono casi particolari di polinomi della

forma f(x) = ±ax2 ± bx ± c, ossia polinomi di secondo grado.

Osserviamo il comportamento di polinomi per soli valori inte-

ri (ossia che generano serie numeriche di numeri interi positivi), e

quindi che soddisfano la condizione x > b, x2 > c, -ax2 < ± bx ± c,

ax2 > ±bx ± c. Quindi x2 + x and x2 – x esprimono la stessa serie

numerica e in generale polinomi duali che generano serie nume-

riche di interi positivi esprimono la stessa serie (p. es. x2 + 4x

genera la stessa x2 - 4x, in quanto consideriamo, per il secondo,

solo i valori di x > 4).

Per costruire il pitogramma di queste due serie numeriche si

8 Sono detti eteromechi i numeri che sono il prodotto di due numeri consecutivi, ossia

n=(x-1)x. 9 Sono detti planici i numeri che sono composti dalla somma di un numero e del suo

quadrato, ossia n=x+x2.

Page 33: Inferenze Ampliative

definisca dunque il predicato P(n) = “essere o non essere un nu-

mero planico/eteromeco". Facendo variare il valore del modulo

otteniamo diverse rappresentazioni di questi oggetti numerici,

dalle quali possiamo tentare di scoprirne nuove proprietà. In par-

ticolare per mod = 14, come mostrato nella Figura 5, anche que-

sta serie si trasforma in una famiglia infinta di parabole finite,

ognuna composta da 8 punti che sono successivi numeri planici

(eteromechi), tale che per ogni n∈ , k = 0, 1, 2, 3, si ha che

Y*(n) = (7n ± k)2 + (7n ± k), o (7n ± k)2 - (7n ± k).

Figura 5. Pitogramma dei numeri planici/eteromechi

Come si può vedere, ancora una volta otteniamo una rappresenta-

zione simile a quella dei numeri quadrati, che esibisce la stessa

connessione tra finito e infinito che si presenta nei pitogrammi

dei numeri quadrati.

Page 34: Inferenze Ampliative

Questo secondo risultato ottenuto sulla base della visualizza-

zione CCG suggerisce la possibilità di estendere lo studio visuale

a serie di numeri naturali che possono essere espresse in generale

da parabole, ossia polinomi di secondo grado a valori interi, n =

ax2 ± bx ± c. Nella Tabella 1 ho riassunto alcuni risultati ottenuti

mediante la visualizzazione di tali polinomi, per i quali esiste

sempre un valore del modulo per il quale si verifica la trasforma-

zione esibita dai numeri quadrati e dai numeri planici ed etero-

mechi.

serie P(n) mod equazione punti struttura

y = x2+x 14 Y*(n)=(7n ± k)2+ (7n ± k) ,

n∈ , k = 0,1,2,3 e, per

n≥1, -k= 4

8

Famiglia infinita

di parabole finite

y = x2- x 14 Y* (n)=(7n ± k)2- (7n ± k),

n∈ , k = 0,1,2,3 e, per

n≥1, -k= 4.

8

Famiglia infinita

di parabole finite

y = x2+2x 16 Y*(n)=(6n± k)2+ 2(6n±k),

n∈ , k = 0,1,2,3

9 Famiglia infinita

di parabole finite

Y =x2+x+2 10 Y*(n)=(4n ± k)2+ (4n ± k) +

2 , n∈ ,k = 0,1,2 e, per

n≥1, +k = 3.

6 Famiglia infinita

di parabole finite

Y = x2+x+1 14 Y*(n)=(7n ± k)2+ (7n ±k) +

1, n∈ , k = 0,1,2,3 e, per

n≥1, - k = 4.

8 Famiglia infinita

di parabole finite

Y = ax2 16a Y*(n)=(a8n - k)2, n∈ ,

k = 4, 3, 2,1 ,0

8a Famiglia infinita

di parabole finite

... ... ... ... ...

Tabella 1

Page 35: Inferenze Ampliative

2.2. Una prima congettura

I risultati riportati nella Tabella 1, ottenuti mediante la visualiz-

zazione CCG, suggeriscono la seguente congettura:

data una qualsiasi serie di numeri naturali generata da

polinomi della forma n = ax2 ± bx ± c, esiste sempre

un valore del modulo tale che esiste una famiglia infi-

nita di parabole finite, ognuna di j ± k punti, che può

essere espressa da una equazione della forma a(jn ±

k)2 + b(jn ± k) + c , con a, b, c, j, k, n, x∈ .

Ciò equivale a dire che tale congettura sostiene che sia sempre

possibile esprimere una serie numerica n = ax2 ± bx ± c nella

forma a(jn ± k)2 + b(jn ± k) + c, e rappresentare la singola, infini-

ta, parabola del piano cartesiano come una famiglia infinita di

parabole finite nei pitogrammi.

Ossia:

(I) ∀P(n), P(n)=(ax2 ± bx ± c), dove a, b, c,

x∈ , ∃q tale che, per mod=q, esiste una

famiglia infinita di finite ax2 ± bx ± c della

forma Y*(n) = a(jn ± k)2 + b(jn ± k) + c, do-

ve j ± k è il numero dei punti di ogni singola

finita ax2 ± bx ± c.

È interessante osservare fin d’ora che tale trasformazione si veri-

Page 36: Inferenze Ampliative

fica invertendo la relazione tra finite e infinito, e vedremo nei

paragrafi successivi come questo fatto giochi un ruolo essenziale

nella formulazione di una seconda congettura.

2.3. Visualizzazione di serie intere pari e dispari

Si esamini ora visualmente per mezzo dei pitogrammi la serie dei

numeri naturali 1, 8, 27, ..., f(x) = x3, x∈ , usando dunque il

predicato P(n)= "essere o non esser un numero cubico".

Per mod = 18, come è possibile osservare nella Figura 6, si ot-

tiene un risultato davvero interessante: come nel caso di x2, infat-

ti, abbiamo una struttura finita iterata infinitamente.

Figura 6. Pitogramma dei numeri cubici

Page 37: Inferenze Ampliative

La struttura iterata è, ancora una volta, la stessa che si presenta in

forma infinita nel piano cartesiano, ossia una cubica. Questa

struttura può essere espressa, nel sistema di coordinate locali,

mediante l’equazione Y*(n) = (6n - k)3, n∈ , k = 5, 4, 3, 2, 1, 0,

dove ogni cubica n ha sei punti, che sono cubi di successivi nu-

meri naturali, (6n-5)3, (6n-4)3, (6n-3)3, (6n-2)3, (6n-1)3, (6n)3.

Quindi mediante un cambio di rappresentazione, dalla serie

dei numeri cubici 1, 8, 27,..., x3 otteniamo una famiglia infinita di

cubiche finite. Pertanto per n=2 e n=3, si possono individuare due

simili e interessanti risultati per la serie dei numeri naturali della

forma xn , con x, n∈ .

La visualizzazione CCG di valori successive di n in xn mostra

come sia possibile formulare una successiva congettura.

Si consideri innanzitutto il caso n=4, visualizzandolo median-

te pitogrammi in base al predicato P(n) = "essere o non essere il

bi-quadrato di un numero naturale". Nella visualizzazione della

serie dei bi-quadrati 1, 16, 81, 256, ... , x4, x∈ , per mod=48,

(vedi Figura 7A) si ottiene ancora una configurazione simile alla

precedente: una famiglia infinita di parabole finite – che presen-

tano ovviamente una concavità più grande di quella della serie

dei numeri quadrati, – ognuna composta da 7 punti di successivi

bi-quadrati di numeri naturali:

(4n - 3)4, (4n - 2)4, (4n - 1)4, (4n)4, (4n + 1)4, (4n + 2)4, (4n + 3)4.

Tale famiglia è espressa, nel sistema locale di coordinate del pi-

togramma, dall’equazione Y*(n) = (4n ± k)4, n∈ , k = 0, 1, 2, 3.

Procedendo per valori interi di n, per n = 5 e con P(n) = "esse-

re o non essere la quinta potenza di un numero naturale", si ottie-

Page 38: Inferenze Ampliative

ne una rappresentazione simile a quella per n = 3 (vedi Figura

7B).

La serie delle quinte potenze dei numeri naturali 1, 32, 243,

1024, ... , x5, x∈ , per mod=25, esibisce di nuovo una struttura

composta da una famiglia infinita di strutture simili alle cubiche,

ognuna composta da 5 punti, che sono successive quinte potenza

di numeri naturali, (5n - 4)5, (5n - 3)5, (5n - 2)5, (5n - 1)5, (5n)5,

che è espressa in via analitica dall’equazione Y*(n) = (5n - k)5,

n∈ , k = 4, 3, 2, 1, 0. In particolare la serie in questione si arti-

cola secondo il decorso tipico delle funzioni cosiddette dispari:

questo insieme di osservazioni effettuate mediante la visualizza-

zione CCG, riassunti nella Tabella 2, suggerisce la congettura del

paragrafo che segue.

Figura 7A. Pitogramma dei numeri bi-quadrati

Page 39: Inferenze Ampliative

Figura 7B. Pitogramma delle quinte potenze

serie P(n) mod equazione punti struttura

Y = X2 16 Y*(n) = (8n ± k)2,

n∈ , k = 0,1,2,3,4

9 Struttura pari: famiglia infi-

nita di parabole finite - Fig. 3

Y = X3 18 Y*(n) = (6n - k)3,

n∈ , k =

5,4,3,2,1,0

6 Struttura dispari: famiglia

infinita di cubi finite - Fig. 6

Y = X4 48 Y*(n) = (4n ± k )4,

n∈ , k = 3,2,1,0

7 Struttura pari: famiglia infi-

nita di parabole finite Fig. 7a

Y = X5 25 Y*(n) = (5n - k)5,

n∈ , k = 4,3,2,1,0

5 Struttura dispari: famiglia

infinita di quinte potenze

finite - Fig. 7b

... ... ... ... ...

Tabella 2

Page 40: Inferenze Ampliative

2.4. Una seconda congettura

Le funzioni pari e dispari, ossia le funzioni f(x) = xn, x, n∈ , per

n > 1 e rispettivamente con n = 2p e n = 2p+1, come noto presen-

tano un preciso e distinto andamento sul piano cartesiano, come

mostrato nella Figura 8.

Figura 8. Rappresentazione cartesiana di funzioni pari e dispari

Per n = 2, 3, 4, 5 abbiamo visto che esiste almeno una rappresen-

tazione nel piano CCG che trasforma la singola, infinita struttura

cartesiana in una famiglia infinita di strutture finite che hanno lo

stesso andamento di quella cartesiana.

Sembra quindi del tutto plausibile, ossia compatibile con i dati

esistenti, supporre che tale trasformazione si verifichi per ogni

serie pari e ogni serie dispari.

Page 41: Inferenze Ampliative

Ciò significa che è ipotizzabile che sia sempre possibile rappre-

sentare una singola, infinita, serie pari/dispari di numeri naturali

sotto forma di una famiglia infinita di strutture finite rispettiva-

mente pari e dispari, esprimibili analiticamente nella forma Y*(n)

= (an ± k)N con N, a , k, n∈ , dove a ± k è il numero dei punti

della singola struttura finita. Più rigorosamente questa congettura

può essere espressa nel modo seguente:

(II) ∀P(n) = xn, con x, n∈ , ∃q t.c. per mod=q, ∃

famiglia infinita di finite xn della forma Y*(n)

= (an ±k)N con N, a, k, n∈ , e dove a ± k =

numero dei punti delle singole, finite xn, le

quali hanno, per n = 2p e n = 2p+1, rispetti-

vamente una struttura pari e dispari.

È possibile osservare come le due congetture formulate presenta-

no caratteristiche simili. In primo luogo entrambe hanno una

forma esistenziale: esse ipotizzano che esista almeno un valore

del modulo per il quale la proprietà è soddisfatta. Ovviamente

l’indagine visuale di proprietà di oggetti della teoria dei numeri

può assumere una forma universale, per esempio ricercando inva-

rianti che occorrono in ogni pitogramma (la congettura avrà dun-

que in questo caso la forma “per ogni valore del modulo, esiste

una etc. etc.”). Esempi di questo genere di osservazioni e risultati

mediante la visualizzazione CCG nel dominio della teoria dei

numeri sono date da Zenkin (v. Zenkin 1991).

In secondo luogo la loro formulazione dipende, come abbiamo

Page 42: Inferenze Ampliative

visto, in modo essenziale dalla visualizzazione, che codificando e

organizzando in modo diverso i dati e le informazioni, e introdu-

cendo nuova informazione, consente di costruire e rintracciare

relazioni in modelli spaziali, permettendo di ampliare la cono-

scenza intorno a certi oggetti mediante una nuova interpretazione

dell’oggetto stesso e moltiplicandone i punti di vista: infatti i pi-

togrammi forniscono un’immagine geometrica di entità numeri-

che. Il conseguimento di questa nuova conoscenza sarebbe stata

impossibile mediante stili di ragionamento di tipo formale-

deduttivo.

3. Osservazioni conclusive

I semplici risultati e le congetture ottenute nei paragrafi prece-

denti sono il prodotto di un approccio che si basa su una moltipli-

cazione dei punti di vista intorno ad oggetti della teoria dei nume-

ri. Tale approccio sostanzialmente procede nel modo seguente:

considera un oggetto della teoria numeri – i numeri quadrati, pla-

nici, etc. espressi da un predicato P(n) – e la loro ben nota inter-

pretazione nel piano cartesiano, che offre una certa rappresenta-

zione delle proprietà di questi oggetti. Quindi procede a costruire

una nuova rappresentazione di tali oggetti introducendo un nuovo

sistema di visualizzazione – i pitogrammi appunto. Questa appa-

rentemente semplice operazione trasforma l’oggetto iniziale in

una nuova entità di natura geometrica che può essere indagata e

interrogata visualmente e graficamente, in base a principi orga-

Page 43: Inferenze Ampliative

Inferenze ampliative

43

nizzativi come la simmetria, la connessione, le analogie spaziali,

etc. – che fanno emergere nuove relazioni e dati visuali.

L’interazione con questa nuova rappresentazione e questi

nuovi dati visuali permette di individuare proprietà non note e di

procedere ad un tentativo di generalizzazione mediante la formu-

lazione di congetture.

A questo punto, associando un sistema locale di coordinate, è

possibile tornare agli oggetti iniziali ed esprimere analiticamente

(ossia mediante equazioni) i risultati ottenuti. Questi risultati tut-

tavia non avrebbero potuto essere ottenuti mediante un approccio

deduttivo-formale, poiché non esiste alcuna relazione che ci con-

sente di passare dall’iniziale serie numerica a quella finale otte-

nuta mediante la rappresentazione CCG utilizzando passaggi de-

duttivi e formali. La visualizzazione CCG introduce infatti nuova

informazione e organizza e codifica in modo nuovo l’oggetto in-

dagato.

Dunque la visualizzazione non solo non è un via succedanea o

un semplice correlato di vie più rigorose, che si limita ad accom-

pagnare stili di ragionamento deduttivi e certi, ma è un mezzo

proprio per porre e risolvere problemi e per scoprire nuove pro-

prietà e formulare ipotesi.

Page 44: Inferenze Ampliative
Page 45: Inferenze Ampliative

3

Rappresentazioni multiple e ampliatività

1. Premessa

In questo capitolo analizzo in profondità una proprietà essenziale

delle inferenze ampliative, quale la sensibilità alla rappresenta-

zione, e sostengo che l’attività della scoperta matematica e della

soluzione di problemi dipendono dalla costruzione, moltiplica-

zione e combinazione delle diverse rappresentazioni (disponibili

o costruibili) di entità matematiche. A tal fine mi avvalgo di al-

cuni esempi tratti dalla topologia, in particolare dalla topologia

algebrica (il gruppo fondamentale), dalla teoria delle trecce e dal-

la teoria dei nodi, che sono domini nei quali la sensibilità alla

rappresentazione è particolarmente evidente e feconda, dal mo-

mento che su uno stesso problema o sulla trattazione di uno stes-

so oggetto matematico convergono e interagiscono, richiamando-

si a più domini e metodi – come per esempio la geometria,

l’algebra, il calcolo combinatorio e metodi algoritmici – diverse

rappresentazioni.

La tesi sostenuta in questo libro è che la conoscenza matema-

tica, usando una metafora, avanza mediante una continua costru-

zione e moltiplicazione di differenti rappresentazioni degli ogget-

ti matematici, le quali offrono diversi punti di vista dalla cui inte-

razione e combinazione emerge la produzione di nuova cono-

Page 46: Inferenze Ampliative

scenza. Ciò significa che molte parti della matematica emergono

e si accrescono in relazione con altri domini scientifici. Ad esem-

pio alcuni sviluppi recenti della teoria dei grafi, la cosiddetta teo-

ria dei grafi spaziali virtuali (virtual spatial graph theory), è mo-

tivata proprio dalla trattazione di problemi biologici, nella fatti-

specie l’associazione delle proteine con le membrane.

Rappresentazioni diverse veicolano, organizzano e combinano

informazioni differenti che provengono da domini distinti. Queste

rappresentazioni, a parte rari casi, non sono affatto isomorfe, e

quindi i modi in cui esse sono costruite e combinate è essenziale

per l’ampliamento della conoscenza matematica. La rappresenta-

zione di un oggetto matematico è infatti intrinsecamente incom-

pleta e parziale, e tale risulta essere anche ciò che segue da questa

rappresentazione. Quindi diverse rappresentazioni, come abbia-

mo già visto nel caso della visualizzazione nel corso del capitolo

precedente, permettono di scoprire differenti proprietà, fanno

emergere aspetti diversi circa l’oggetto indagato e suggeriscono

ipotesi diverse per risolvere un problema.

2. Molteplicità di rappresentazioni

La costruzione e la combinazione di molteplici rappresentazioni

sono alla base della scoperta e del problem-solving matematico.

Come osserva Emily Grosholz1, in matematica l’idea di rap-

presentazione viene spesso espressa in termini di isomorfismo, 1 Grosholz 2007, 21.

Page 47: Inferenze Ampliative

ossia di una relazione riflessiva e simmetrica tra strutture (intese

quali insiemi di proposizioni in un linguaggio oggetto).

Ad esempio Hersh (v. Hersh 2007) e Byers (v. Byers 2007)

sostengono che la nozione di “equivalenza isomorfica” sia uno

strumento essenziale per la produzione di conoscenza matematica

in quanto consente di passare da un contesto all’altro della mate-

matica, di usare in modo controllato e persino algoritmico

quell’ambiguità che è alla base della fecondità e ricchezza della

matematica.

Tuttavia, come sottolinea la Grosholz, questa idea di rappre-

sentazione è fondamentalmente sbagliata. La giustapposizione e

sovrapposizione di rappresentazioni non isomorfe è il vero moto-

re della produzione di conoscenza matematica e della sua cresci-

ta. Inoltre l’attività di costruzione di rappresentazioni implica

l’organizzazione, l’invenzione e attività creative che svolgono un

ruolo produttivo nella costruzione e strutturazione dell’entità rap-

presentata. Dunque la rappresentazione implica sempre una inter-

pretazione, che contribuisce a riorganizzare dall’interno l’oggetto

che si vuole rappresentare, a produrre un nuovo assetto

dell’insieme di dati e delle informazioni che lo caratterizzano.

Anche la Grosholz si riferisce alla nozione di ambiguità quale

fattore di produzione e crescita della conoscenza matematica,

precisando che per ambiguità2 intende la sovrapposizione e giu-

stapposizione di una varietà di modi di rappresentazione che ori-

ginano una polisemia in grado di generare intuizioni e scoperte, e

non confusione. La costruzione di una nuova rappresentazione, 2 Cfr. Grosholz 2007, 4.

Page 48: Inferenze Ampliative

utilizzando la terminologia messa a punto ancora dalla Grosholz,

produce degli “ibridi”, ossia delle entità che affrontano problemi

e trattano oggetti da una prospettiva nuova, che nasce

dall’incontro di diversi domini o ambiti disciplinari e che utilizza

le conoscenze, i risultati, i metodi messi a punto in ogni singolo

dominio.

Dunque la costruzione di una nuova rappresentazione di una

entità matematica di per sé può costituire produzione di nuova

conoscenza, in quanto permette di stabilire relazioni (ad esempio

la dipendenza, l’equivalenza, etc.) tra modi di rappresentazioni

differenti, consentendo, per esempio, riduzioni o generalizzazio-

ni.

In questo testo e in quanto segue si vuole mostrare come piut-

tosto che l’ambiguità, è l’istituzione di rappresentazioni multiple

che permette di porre nuove domande sugli oggetti indagati e

scoprirne proprietà, ampliando la nostra conoscenza. Inoltre que-

sto processo è potenzialmente senza fine. Questa moltiplicazione

di rappresentazioni, che dà luogo ad una moltiplicazione dei punti

di vista intorno all’oggetto, non affonda le radici nell’ambiguità,

ma deriva dalla natura stessa della matematica, che non dà una

conoscenza assoluta dell’oggetto, ma gira «intorno all’oggetto,

moltiplicando senza fine i punti di vista, o meglio, passando da

un punto di vista ad altri sempre più penetranti, cioè da una solu-

zione del problema ad altre sempre più approfondite, per cercare

di completare una rappresentazione dell’oggetto che tuttavia ri-

marrà sempre incompleta»3.

3 Cellucci 2008, 222.

Page 49: Inferenze Ampliative

Questa irriducibile, costitutiva incompletezza del processo di

rappresentazione degli oggetti matematici che produce la molti-

plicazione dei punti di vista è la ragione della fecondità

dell’attività matematica.

2.1. Rappresentazioni multiple e topologia algebrica

Alla base della nascita stessa della topologia algebrica c’è la co-

struzione di una nuova rappresentazione, che origina un nuovo

punto di vista mediante l’ibridazione di due oggetti apparente-

mente distinti.

La nozione che sta alla base di questa teoria, ossia quella di

gruppo fondamentale introdotta da Poincarè (v. Poincarè 1895),

infatti, corrisponde alla costruzione di una immagine algebrica di

un oggetto geometrico, ossia di una nuova rappresentazione la

quale produce un punto di vista fecondo attraverso cui porre e

risolvere problemi relativi ad un certo dominio (la topologia) me-

diante l’introduzione di informazioni e metodi di un altro domi-

nio (l’algebra).

In particolare, la teoria dell’omotopia tratta le questioni topo-

logiche creando delle rappresentazioni e riduzioni all’algebra:

essa associa agli spazi topologici (una nozione topologica) vari

gruppi (una nozione algebrica), che sono invarianti algebrici.

Il gruppo fondamentale, introdotto da Poincarè, altro non è

che il primo gruppo di omotopia. Dato uno spazio topologico X e

dato un suo punto, diciamo x0, il gruppo fondamentale descrive

Page 50: Inferenze Ampliative

l’insieme di tutte le classi di omotopia di circoli (loops), aventi il

punto base x0, ed è denotato con 1 0( , )X xπ (o più semplicemen-

te 0( , )X xπ ). Esso si comporta come un gruppo e quindi permette

di trattare questi semplici oggetti topologici (i circoli) mediante la

teoria dei gruppi, una branca dell’algebra.

Da questa nuova rappresentazione di un oggetto topologico

segue la produzione di nuova conoscenza, e la possibilità di porre

e risolvere problemi all’interno della topologia mediante stru-

menti e concetti algebrici.

Il gruppo fondamentale, innanzitutto, permette infatti di co-

struire una teoria che consente di distinguere differenti categorie

di superfici bi-dimensionali: Poincarè ha mostrato infatti come

qualsiasi superficie bidimensionale che ha lo stesso gruppo fon-

damentale della superficie bidimensionale di una sfera sia topo-

logicamente equivalente ad una sfera. Inoltre egli ha posto la

congettura che questo risultato valga anche per varietà tridimen-

sionali e in seguito si è arrivati ad estendere tale congettura a casi

di dimensioni più alte.

Inoltre questo strumento consente di trattare problemi e ogget-

ti di altre discipline. Per esempio, il gruppo fondamentale è usato

nella teoria dei nodi dal matematico austriaco Wirtinger per di-

mostrare che il nodo a trifoglio è davvero annodato (egli dimostra

infatti nel 1905 che il gruppo fondamentale del trifoglio è il

gruppo simmetrico su tre elementi). In modo ancor più significa-

tivo questo concetto viene generalizzato sempre da Wirtinger per

costruire il gruppo fondamentale di un link arbitrario (questa pre-

sentazione del gruppo fondamentale è infatti nota come la presen-

Page 51: Inferenze Ampliative

tazione di Wirtinger).

Dunque un cambio di rappresentazione si rivela essere la radi-

ce concettuale della topologia algebrica e un significativo avan-

zamento nella conoscenza matematica. Una volta che è stato

creato un modo di produrre immagini algebriche di oggetti topo-

logici, è possibile indagare questi ultimi, e porre e risolvere pro-

blemi attraverso la conoscenza e le tecniche note per i primi.

Chiaramente questo intero processo è sensibile alla rappresen-

tazione, in quanto i problemi che possono essere posti e risolti, le

proprietà che possono essere scoperte, dipendono fortemente dal-

le rappresentazioni costruite.

2.2. Rappresentazioni multiple e teoria dei nodi

La «teoria dei nodi fornisce un esempio particolarmente ricco di

come differenti notazioni – differenti forme di rappresentazione –

individuino differenti aspetti di uno stesso soggetto»4.

Inoltre è interessante osservare che la teoria dei nodi fornisce

un esempio particolarmente significativo del legame tra matema-

tica, intesa quale attività di soluzione di problemi, e trattazione

dei problemi fisici e biologici.

Infatti le origini della teoria dei nodi affondano proprio nella

trattazione di problemi fisici, in particolare la questione della

struttura degli elementi costituenti la materia (gli atomi). Tait

iniziò a sviluppare la teoria dei nodi proprio nel tentativo di co- 4 Brown 1999, 64.

Page 52: Inferenze Ampliative

struire matematicamente una tavola di elementi che si accordasse

con la teoria atomica di Thomson – Lord Kelvin , – ossia l’idea

che gli atomi fossero vortici. L’intero progetto è crollato, ma la

teoria dei nodi ha continuato ad essere sviluppata mediante un

continuo processo di ibridazione che ha portato a rappresentare i

nodi in molti modi diversi e ad estendere la conoscenza matema-

tica di questi oggetti.

La teoria non è rimasta ancorata ai problemi da cui ha avuto

origine, ma è tornata nel corso del tempo ad essere applicabile a

problemi di natura fisica o biologica. Il fatto che la teoria dei no-

di, dopo un così lungo tempo, sia tornata ad essere usata per trat-

tare problemi fisici e biologici dimostra che il processo di conti-

nua moltiplicazione dei punti di vista intorno alla nozione di nodo

e la sua evoluzione genera entità astratte che possono essere uti-

lizzate quali ipotesi per trattare problemi diversi. Sono dunque i

problemi ad essere reali ed esistere, non gli oggetti matematici

che vengono ipotizzati e sviluppati per affrontarli. Gli oggetti

matematici hanno infatti una esistenza e una natura ipotetica.

Nella costruzione e sviluppo della teoria dei nodi entrano in

gioco una molteplicità di rappresentazioni e metodi. Essa, infatti,

muove dalle proprietà geometriche dei nodi; procede quindi alla

loro rappresentazione piana (proiezione), e sviluppa una notazio-

ne che consente una loro trattazione algebrica e combinatoria al

fine di ampliare la conoscenza matematica (nuove informazioni e

dati) intorno a questi oggetti. Nel corso di questo processo di

moltiplicazione di punti di vista si forniscono nuove e diverse

definizioni, notazioni, codifiche della nozione di nodo e di alcune

Page 53: Inferenze Ampliative

sue principali proprietà. Di volta in volta, come vedremo un po’

più in dettaglio, questo processo di costruzione di nuove e diverse

rappresentazioni è motivata dal tentativo di soluzione di proble-

mi, sia generali sia locali, e dipende (ed è indirizzata) dalla cono-

scenza esistente in quel momento che fa da sfondo alla ricerca.

Ad esempio, come vedremo nel caso della teoria dei nodi e della

teoria dei grafi, la definizione stessa di nodo è continuamente

sottoposta a revisione in relazione allo sviluppo di altri oggetti e

domini matematici (come i link). Si tenta di rappresentare il nodo

come un oggetto (nella fattispecie si costruisce la rappresentazio-

ne di un nodo sotto forma di grafo planare mediale) che possa

essere trattato come una entità di una teoria all’interno della quale

si dispone di conoscenze e risultati che possono risolvere ai pro-

blemi e scoprire proprietà intorno ad esso. Chiaramente con la

crescita della conoscenza matematica e delle sue teorie questo

processo diventa sempre più sensibile e articolato: maggior è il

numero di teorie di cui disponiamo (e dei risultati all’interno di

ogni teoria), più rappresentazioni possiamo costruire e quindi più

ricco e articolabile è il processo di moltiplicazione dei punti di

vista che è il motore del processo di ampliamento della cono-

scenza matematica. Questo processo è così fecondo perché l’uso

di rappresentazioni multiple (ad esempio il nodo come un oggetto

geometrico – curva nello spazio –, come un oggetto algebrico –

gruppo –, come un oggetto combinatorio – una matrice –, come

oggetto aritmetico – un numero –) consente di scoprire proprietà

e risolvere problemi di volta in volta non accessibili o risolvibili

da una sola rappresentazione, mettendo in gioco le conoscenze di

Page 54: Inferenze Ampliative

più domini, come abbiamo già sottolineato anche nel caso della

visualizzazione nel Cap. 2, dove i pitogrammi permettono di tro-

vare alcune proprietà non accessibili da una codificazione assio-

matico-formale o analitica degli oggetti della teoria dei numeri.

Il principale obiettivo della teoria dei nodi è quello di risolve-

re il problema della enumerazione e classificazione dei nodi. Nel

tentativo di risolvere questo problema, nella teoria dei nodi si

procede alla costruzione di nuove rappresentazioni ed entità volte

a istituire il maggior numero possibile di connessioni con la co-

noscenza esistente al fine dilatare lo spazio combinatorio delle

ipotesi.

La definizione stessa di nodo è un processo rappresentativo

che non è affatto asettico. Infatti la definizione di un oggetto ma-

tematico (come osserva e argomenta Cellucci5) non è affatto un

primum e un datum, ma è risultato e processo, che avviene sulla

base della conoscenza esistente e con il fine di rendere trattabile

un oggetto con gli strumenti conoscitivi di cui si dispone. Al va-

riare della conoscenza esistente, infatti, la definizione di un’entità

matematica può essere sottoposta a revisione per consentire una

sua trattabilità alla luce della conoscenza che si è andata co-

struendo in alti domini nel corso del tempo.

Per esempio Fox6 procede alla produzione di una nuova defi-

nizione di nodo proprio nel tentativo di legare questo oggetto

semplicemente geometrico alla topologia, ai risultati e alle tecni-

che che nel frattempo questa disciplina aveva sviluppato. 5 v. Cellucci 2008. 6 v. Fox 1957.

Page 55: Inferenze Ampliative

Nella fattispecie, Fox provvede a passare da una definizione

di nodo quale curva poligonale in ad una definizione di nodo

quale insieme di curve in una 3-varietà (3-manifold) compatta.

3

Questa operazione, basata su un cambio di rappresentazione, è

feconda e porta ad un processo di ampliamento della conoscenza

poiché, mettendo in connessione la nozione di nodo con il resto

della topologia, e permette di giungere alla costruzione di nuovi

invarianti geometrici, i quali forniscono un avanzamento nella

soluzione del problema della classificazione dei nodi.

Ma è possibile definire un nodo in molti modi diversi, per e-

sempio come un gruppo, oppure rappresentarlo in modo tale da

renderlo un grafo planare.

Questa operazione permette di introdurre nella teoria dei nodi

informazione e dati non presenti fino a quel momento (relativi

alla teoria dei grafi o all’algebra dei gruppi). Questa possibilità di

istituire switch tra diverse rappresentazioni è centrale per la cre-

scita della conoscenza non solo perché permette di trasferire

all’interno del dominio indagato (la teoria dei nodi) risultati, me-

todi e tecniche di altri domini (la teoria dei gruppi o la teoria dei

grafi planari), ma perché crea una nuova entità matematica poli-

valente che consente un trasferimento di conoscenza anche nella

direzione opposta, ossia dal dominio indagato agli altri domini.

Per esempio risultati della teoria dei nodi sono stati utilizzati per

ampliare la conoscenza sui grafi, come nel caso del teorema di

Lien – Watkins7.

La possibilità di istituire una relazione tra teoria dei nodi e 7 v. Lien - Watkins 2000.

Page 56: Inferenze Ampliative

teoria dei grafi può essere fatta risalire alla nascita stessa della

teoria dei nodi, in quanto già lo stesso Tait aveva sviluppato una

rappresentazione di nodi come grafi planari. Lo sviluppo di que-

sta idea apre un nuovo e fecondo punto di vista sia sugli oggetti

della teoria nodi sia sugli oggetti della teoria dei grafi, permet-

tendo di rappresentare nodi come grafi (e viceversa) e di effettua-

re operazioni sui grafi proprie dei nodi (come le mosse di Reide-

meister). Mi soffermerò su questa connessione per mostrare la

fecondità e il carattere ampliativo delle rappresentazioni multiple

nella teoria dei nodi.

La possibilità di interpretare nodi come grafi planari passa at-

traverso la costruzione di una preliminare forma di rappresenta-

zione e notazione. Primi di poter trattare un nodo come un grafo,

infatti, bisogna innanzitutto proiettare un nodo (ossia un oggetto

geometrico tridimensionale) sul piano, creandone una rappresen-

tazione bidimensionale, e poi si deve sviluppare un modo per co-

dificare simbolicamente gli incroci della proiezione del nodo.

Chiaramente questo processo codifica solo una parte dell’in-

formazione e dei dati contenuti in un nodo inteso quale oggetto

tridimensionale, ma questa rappresentazione incompleta è volta a

risolvere un certo problema, quello dell’equivalenza tra nodi, co-

struendo un’entità polivalente adeguata per quel problema.

La costruzione della teoria dei nodi per opera di Tait, Gauss e

Maxwell prende le mosse proprio da questo molteplice cambio di

rappresentazione.

Un grafo G è formalmente definito come G = (V, E), ossia una

coppia di (multi)insiemi: V è l’insieme dei vertici ed E è il (mul-

Page 57: Inferenze Ampliative

ti)insieme dei lati, il quale consiste di sottoinsiemi di V a 1 o 2-

elementi. Una caratteristica topologicamente interessante dei gra-

fi in questa sede è la planarità. Un grafo è planare, brevemente,

quando può essere rappresentato sul piano in modo che i suoi lati

si intersecano solo ai vertici.

Figura 9. Alcuni grafi fondamentali

Ad esempio nella Figura 9 il grafo K3 è planare, così come K4.

Anche G1 è planare, in quanto isomorfo a K4, mentre i grafi K5 e

K3,3 non sono planari.

Per costruire l’entità polivalente che permetta di trattare nodi

mediante grafi, e viceversa, la proprietà della planarità è essen-

ziale. Per poter trattare un nodo come un grafo è infatti necessario

costruirne un’altra rappresentazione, nota come grafo mediale

della proiezione del nodo. Questa rappresentazione si ottiene par-

tendo dalla proiezione di un nodo. La proiezione del nodo divide

il piano in una serie di regioni, che vengono “colorate” con la

procedura della colorazione a scacchi, ossia colorando le regioni

confinati alternativamente con due (soli) colori (v. Figura 10).

Page 58: Inferenze Ampliative

Figura 10. Colorazione a scacchi di un nodo a trifoglio

Una volta che si è costruita la colorazione a scacchi della proie-

zione di un nodo, è possibile costruirne un grafo, noto come gra-

fo mediale della proiezione del nodo.

Il grafo mediale si ottiene ponendo un vertice in ogni regione

scura (la scelta della colorazione è chiaramente arbitraria) e quin-

di aggiungendo un lato tra essi se e solo se esiste un incrocio che

connette le regioni alle quali i vertici corrispondono, e assegnan-

do un valore positivo o negativo in base all’inclinazione delle

stringhe in corrispondenza degli incroci (v. Figura 11).

Figura 11. Grafo mediale del nodo a trifoglio

Questo processo di costruzione di una nuova rappresentazione

Page 59: Inferenze Ampliative

permette di ampliare la conoscenza sui nodi, consentendo lo stu-

dio di alcune proprietà interessanti, quali ad esempio la chiralità

o amfichiralità, proprio mediante i metodi della teoria dei grafi

planari.

2.3. Rappresentazioni multiple e teoria delle trecce

La teoria delle trecce è un esempio paradigmatico della fecon-

dità e del carattere ampliativo delle rappresentazioni multiple. La

nascita e sviluppo di questa teoria è infatti incentrata sulla costru-

zione di entità polivalenti che mettono in gioco rappresentazioni

geometriche, algebriche, metodi algoritmici (per esempio per ri-

solvere il problema della classificazione), calcolo combinatorio,

analisi complessa, etc.

La teoria delle trecce, infatti (v. Artin 1925 e 1947) muove

dalla trattazione di un oggetto geometrico tridimensionale (v. Fi-

gura 12) – una treccia viene considerata come un oggetto nello

spazio euclideo, un insieme di curve, o stringhe, che si intreccia-

no – e quindi costruisce la sua proiezione sul piano (il diagram-

ma della treccia, v. Figura 13).

Figura 12. Una treccia nello spazio euclideo

Page 60: Inferenze Ampliative

Questo cambio di rappresentazione, con il passaggio da tre a

due dimensioni, costituisce un primo passo euristico decisivo:

costruendo un modo di rappresentare un oggetto tridimensionale

in due dimensioni che preserva una quantità di informazione in

grado di ricostruire la treccia, si produce un modo per generare

trecce da semplici elementi costituenti.

Figura 13. Diagramma di una treccia

La teoria si avvale di un ulteriore cambio di rappresentazione

per effettuare un altro decisivo passo euristico, con il quale e-

stendere la polivalenza dell’entità matematica indagata. Essa pro-

cede infatti alla costruzione del gruppo trecce, un oggetto alge-

brico, meglio noto come il gruppo di n-treccia di Artin (v. Artin

1925). Questo passaggio è particolarmente significativo poiché

l’aspetto costruttivo e attivo dell’ideazione di una nuova rappre-

sentazione è evidente. Al fine di rendere possibile trattare alla

luce della nozione di gruppo e delle sue proprietà una treccia, si

deve infatti introdurre la 1n treccia (una serie di n-stringhe non-

Page 61: Inferenze Ampliative

intersecantesi, o parallele), ossia la treccia identità, che è

l’analogo dell’elemento identità e di un gruppo nell’algebra. Al

fine di rendere possibile l’introduzione di nuova informazione, si

rimodella dunque l’oggetto indagato in modo che sia suscettibile

di una rappresentazione algebrica e del conseguente trasferimento

di conoscenze, metodi e risultati. Questa operazione dunque in-

duce una nuova organizzazione e codificazione dell’informazione

circa l’oggetto indagato, e permette di indagarlo ponendo e risol-

vendo problemi e formulando ipotesi.

Per esempio, mediante una rappresentazione algebrica del

diagramma delle trecce è possibile costruire e indagare alcune

sue proprietà come la moltiplicazione tra trecce, scoprendo come

essa sia associativa, ma non commutativa, e dunque arrivando al

risultato che le trecce non costituiscono un gruppo abeliano.

Inoltre, come già mostrato nell’articolo di Artin, mediante

l’algebra è possibile porre alcuni problemi fecondi e ottenere al-

cune risposte circa le trecce, la loro struttura e le loro proprietà.

Una volta che il processo di associazione di un gruppo Bn al dia-

gramma della treccia è stato ultimato, e dopo aver mostrato che è

possibile dare una presentazione finita per questo gruppo median-

te un generatore noto come il generatore di Artin, si è nelle con-

dizioni di produrre nuova conoscenza sulle trecce e sulla loro

struttura semplicemente indagando le proprietà del gruppo che le

rappresenta. Questa rappresentazione è parziale e incompleta,

poiché codifica solo una parte dell’informazione e dei dati

dell’iniziale oggetto tridimensionale, ma è motivata dal tentativo

di introdurre nuova informazione e conoscenze per indagare

Page 62: Inferenze Ampliative

l’oggetto e le sue proprietà alla luce di un problema specifico,

quale l’equivalenza tra trecce.

Per esempio mediante il gruppo Bn è possibile:

- determinare tutti gli automorfismi del gruppo di trecce;

- determinare con quali trecce è una data treccia commutativa;

- stabilire per due trecce qualsiasi se esse possono essere tra-

sformate l’una nell’altra mediante un automorfismo interno

del gruppo;

- trovare sottogruppi di Bn che hanno una particolare interpre-

tazione geometrica;

Pertanto il gruppo treccia si rivela un modo estremamente fe-

condo e ampliativo di rappresentare una treccia, in grado di pro-

durre nuovi e fecondi risultati.

In particolare il gruppo treccia permette di porre e risolvere

sia il cosiddetto problema della “parola” sia quello della “coniu-

gazione”. Questi sono due risultati molto rilevanti. La soluzione

del problema della parola permette infatti di avere un metodo

(nella fattispecie un algoritmo), per stabilire se due n-trecce qual-

siasi siano equivalenti o meno. Da questo risultato possiamo otte-

nere una classificazione completa delle trecce.

La soluzione del problema della coniugazione avviene attra-

verso la costruzione di un esplicito algoritmo e si rivela molto

importante poiché è un risultato che può essere esportato fuori

dalla teoria delle trecce, per esempio per classificare i link me-

diante una opportuna rappresentazione delle trecce in termini di

link. Questo passaggio è garantito dal teorema di Alexander (v.

Alexander 1923), il quale stabilisce che qualsiasi nodo o link in

Page 63: Inferenze Ampliative

S3 può essere rappresentato da una treccia chiusa. Ovviamente

ciò richiede un ulteriore adattamento della nozione di treccia.

La costruzione di una nuova, ulteriore rappresentazione

dell’oggetto treccia è al centro di altri significativi avanzamenti

nello studio delle proprietà di questa entità matematica. La co-

struzione di permutazioni di trecce, trattando il diagramma della

treccia come un oggetto algebrico-combinatorio, permette infatti

di trovare invarianti delle trecce, creando un successivo fecondo

punto di vista.

Si consideri un gruppo β ∈ Bn. Qualunque sia la struttura

dell’oggetto geometrico che rappresenta, esso è tale che i-esima

stringa della treccia unisce Ai a Bj(i), per 1 ≤ i ≤ n. Si definisce

dunque la permutazione tra trecce, π: Bn → Sn, dove Sn è il grup-

po simmetrico su n elementi, come:

1 2 nπ( ) := ... ...

j(1) j(2) j(n)β

⎛ ⎞⎜ ⎟⎝ ⎠

Quindi si è costruito un modo di associare ad ogni n-treccia β,

una permutazione unica dei numeri 1, 2, ..., n con β, che esprime

il modo in cui le stringhe di β permutano i punti di partenza della

treccia con i punti finali.

Ancora una volta l’immagine di β creata mediante π codifica

solo parzialmente e in modo incompleto l’informazione della

treccia. Si può infatti facilmente verificare che, dato un qualche ρ

∈ Sn, esistono molte differenti n-trecce che possono essere asso-

ciate a ρ mediante π. Questa rappresentazione è funzionale alla

costruzione di una nozione, quale quella di invariante di una

treccia, che permette di rispondere in modo efficace alla questio-

Page 64: Inferenze Ampliative

ne dell’equivalenza tra due trecce, ossia di stabilire se due trecce

non sono equivalenti, anche se bisogna sottolineare che non è

possibile usare questo strumento per stabilire in generale se due

trecce siano equivalenti.

Ora, sia X un insieme e data f una funzione f: Bn → X, diciamo

che f è un invariante di treccia se β β’ f(β) = f(β′). L’idea

che motiva questa nozione è quella di assegnare qualche elemen-

to di X ad ogni β Bn in modo tale che due trecce qualsiasi equi-

valenti siano assegnate allo stesso elemento. Pertanto questa fun-

zione è invariante rispetto alla relazione di equivalenza.

La rappresentazione usata nella trattazione di un problema o

di un oggetto matematico è dunque decisiva per investigarne le

proprietà. Se si cambia rappresentazione, si possono porre do-

mande diverse e ottenere risposte differenti rispetto a quelle cui si

può avere accesso mediante un’altra rappresentazione.

La sensibilità alla rappresentazione, ad una molteplicità di

rappresentazioni, è dunque particolarmente evidente nella teoria

delle trecce. Di volta in volta si costruisce una diversa o nuova

rappresentazione in base ai problemi che si vuole porre e risolve-

re, alle proprietà di cui si vuole dare conto. Tali rappresentazioni,

pur essendo incomplete e parziali, svolgono un ruolo euristico

decisivo poiché introducono nuova informazione mediante cui

possiamo ampliare l’insieme delle conoscenze disponibili su un

certo ente matematico.

In un certo senso, dunque, la rappresentazione crea l’oggetto e

le sue proprietà.

Page 65: Inferenze Ampliative

3. Rappresentazione e oggetti matematici

Tra rappresentazione e oggetti matematici esiste una correlazione

precisa e stretta. La sensibilità alla rappresentazione è una carat-

teristica essenziale degli oggetti matematici e deriva dalla natura

stessa della matematica, che procede mediante una moltiplicazio-

ne dei punti di vista intorno ad uno “stesso oggetto” basata sulla

produzione di sue diverse rappresentazioni. Questo processo di

moltiplicazione dei punti di vista è potenzialmente infinito, poi-

ché gli oggetti matematici sono sempre suscettibili di nuove in-

terpretazioni e nuove rappresentazioni. Questa sensibilità a sem-

pre nuove rappresentazioni degli oggetti della matematica, questo

loro intrinseca suscettibilità, deriva dalla loro natura e dalla natu-

ra della matematica. Come abbiamo visto nel capitolo precedente,

la costruzione di una nuova rappresentazione e la conseguente

produzione di un nuovo punto di vista fa sì che si proceda ogni

volta ad una organizzazione e codificazione dall’interno (median-

te una nuova definizione, o la costruzione di una sua immagine

all’interno di un altro dominio) dell’oggetto trattato. L’oggetto

non rimane dunque “lo stesso”, non si tratta dello stesso oggetto

semplicemente, perché non esiste qualcosa come un’entità mate-

matica fissata di per sé e univoca.

Gli oggetti matematici, come abbiamo visto in questo capitolo

e come avremo modo di vedere nel corso del successivo, sono

semplicemente ipotesi per risolvere i problemi. Hanno uno statu-

to e una esistenza meramente ipotetica e la loro sensibilità alla

rappresentazione ne è una prova diretta.

Page 66: Inferenze Ampliative

Capitolo3. Rappresentazioni multiple e ampliatività

66

Sono i problemi che questi oggetti cercano di affrontare e ri-

solvere che sono pratici, problemi che esistono e nascono da que-

stioni fisiche e biologiche. Per esempio, come abbiamo visto, la

teoria dei nodi è nata come tentativo di fornire una trattazione e

una risposta a problemi della fisica, in particolare la natura degli

elementi costituenti della materia. Per questo motivo gli oggetti

della matematica che sembrano anche molto astratti possono ave-

re applicazione ed efficacia nella trattazione del mondo fisico e

biologico, in quanto la loro “astrattezza” è il risultato di questo

continuo processo di moltiplicazione dei punti di vista cui sono

sottoposti. È per questo motivo che gli oggetti della matematica

dipendono dal linguaggio e dalla rappresentazione adottata, e

proprio in questo risiede la fecondità della matematica.

Che gli oggetti della matematica non siano univoci e fissati di

per sé e, che siano intrinsecamente suscettibili di sempre ulteriori

rappresentazioni, può far pensare che essi siano entità così pro-

duttive e feconde in quanto ambigue8. Tuttavia l’uso del termine

ambiguità sembra rimandare all’idea che esista una realtà mate-

matica univoca, che una data rappresentazione non riesce a ritrar-

re con fedeltà e chiarezza. Invece la tesi sostenuta in questo libro

è che non c’è ambiguità in matematica: la produzione di rappre-

sentazioni procede ogni volta a costruire e organizzare

dall’interno gli oggetti che definisce e rappresenta, creando una

moltitudine di entità che possono essere messe in relazione tra

loro per risolvere problemi e ampliare la nostra conoscenza.

8 V. p. es. Byers 2007, Grosholz 2007, Hersh 2007.

Page 67: Inferenze Ampliative

4

Analogia e ampliatività

1. Premessa

Il continuo processo di costruzione e combinazione di differenti

rappresentazioni si basa sulle inferenze ampliative. In particolare

in questo capitolo sostengo che l’analogia gioca un ruolo centrale

in questo processo. Essa è infatti una forma di inferenza che con-

sente di costruire sempre nuove rappresentazioni di oggetti ma-

tematici e di passare dall’una all’altra mediante passaggi inferen-

ziali audaci ma plausibili.

Questa forma d’inferenza è dunque uno strumento essenziale

e fecondo per modellare lo spazio combinatorio delle ipotesi (os-

sia lo spazio di ricerca che racchiude le possibili combinazioni tra

dati e informazioni che possono dare luogo a ipotesi esplicative),

contraendolo o espandendolo in base all’oggetto della ricerca,

come avremo modo di sottolineare nei paragrafi seguenti.

Dunque l’analogia amplia la conoscenza estendendo la capaci-

tà di costruire nuove e diverse rappresentazioni di oggetti mate-

matici, consentendo di stabilire interazioni tra contesti differenti,

sia a livello inter-dominio sia a livello intra-dominio. L’analogia

costituisce una modalità privilegiata per produrre nuove rappre-

sentazioni di oggetti matematici, di estendere continuamente la

loro polisemia perché introduce sempre nuova informazione e

Page 68: Inferenze Ampliative

dati da altri domini.

Ovviamente esistono molte possibili analogie che possono es-

sere costruite e che danno origine a ipotesi tra cui bisogna opera-

re una scelta. Il criterio per effettuare questa scelta, come abbia-

mo già sottolineato nel Cap. 1, e come argomenteremo più detta-

gliatamente in seguito, non può essere di natura probabilistica,

ma deve riferirsi ad una nozione diversa, quale la plausibilità1.

Tra analogia e rappresentazione esiste una relazione bi-dire-

zionale, in quanto da una parte l’analogia produce nuove rappre-

sentazioni consentendo di trattare un oggetto come se fosse un

altro, dall’altra parte molteplicità di rappresentazioni possono

essere messe in gioco per costruire un’analogia, anche analogie

multiple.

La forza dell’inferenza analogica risiede nella sua capacità di

assimilare enti che possono essere dissimili anche sotto molti

punti di vista e di superare queste difformità, di produrre ipotesi e

conoscenze “ampliate” in questo modo.

L’analogia è inoltre una forma d’inferenza ampliativa dalle

caratteristiche tali da porre un problema rilevante per la filosofia

della scienza e che ha profonde implicazioni metodologiche ed

epistemologiche.

Il capitolo analizza mediante alcuni esempi le principali carat-

teristiche dell’analogia, e il ruolo che essa svolge sia nei processi

di scoperta sia nei processi di giustificazione, mostrando come la

sua versione parallela rappresenti un argomento forte contro la

distinzione tra contesto della scoperta e della giustificazione, e 1 Cfr. Ippoliti 2007, Cap. 5.

Page 69: Inferenze Ampliative

che getta nuova luce sulla natura delle inferenze ampliative. Nel

capitolo inoltre, in linea con l’approccio dell’intero libro, argo-

mento a favore di una concezione euristica dell’analogia, senza

tralasciare di analizzare i limiti intrinseci di questa forma

d’inferenza e, più in generale, delle inferenze ampliative.

2. Definizione

L’analogia può essere concepita sotto varie forme, che sono co-

munque riconducibili a due concezioni fondamentali.

Essa può essere concepita come una forma di similarità, nella

fattispecie una «similarità a un livello più profondo e concettua-

le»2. Ad esempio Polya (v. Polya 1954) ne analizza molti esempi

tratti dalla matematica ma anche dalla fisica e dalle scienze spe-

rimentali. In tali domini l’analogia non solo è ovviamente un pre-

zioso strumento didattico, ma anche un potente mezzo euristico:

essa infatti «sembra aver un ruolo in tutte le scoperte, ma in alcu-

ne fa la parte del leone»3. Al contempo l’analogia funge da stru-

mento di valutazione e giustificazione della conoscenza, in quan-

to permette di corroborare una conoscenza o un’ipotesi esplicati-

va.

Essa può essere sia uno strumento per provare e giustificare

ipotesi e conoscenze (p. es. nella dimostrazione automatica di

2

Polya 1954, I, 13. 3

Ivi, 17.

Page 70: Inferenze Ampliative

teoremi o mediante modelli di conferma d’ipotesi4) sia un mezzo

per ottenere nuova conoscenza (p. es. nei processi di generazione

di ipotesi e congetture). Queste due caratteristiche, da un punto di

vista filosofico, sono tradizionalmente attribuite a due contesti

considerati separati e indipendenti sia da un punto di vista logico

sia da un punto di vista temporale, quali il contesto della scoperta

e il contesto della giustificazione. Questa doppia valenza

dell’analogia rappresenta la caratteristica più controversa e allo

stesso tempo più feconda di questa forma d’inferenza ampliativa.

L’analogia è inoltre una forma d’inferenza ampliativa che di-

pende in modo essenziale dal contesto, ossia dall’insieme delle

conoscenze esistenti e dei dati disponibili a partire dai quali viene

costruita.

Il problema fondamentale della conoscenza prodotta

dall’inferenza analogica è quello sollevato da ogni forma di ra-

gionamento volta a trattare la questione dell’ampliamento della

conoscenza: la determinazione di criteri che consentano di speci-

ficare un insieme di ragioni per ritenere giustificate le conclusioni

che candida. Nella fattispecie l’analogia pone il cosiddetto pro-

blema logico dell’analogia, in breve LPA, ossia il tentativo di

«trovare un criterio che, se soddisfatto da una particolare inferen-

za analogica, stabilisca in modo sufficiente la verità della conclu-

sione proiettata sull’obiettivo»5.

La definizione stessa dell’analogia rappresenta un problema.

4 P. es. quelli sviluppati da Polya (v. Polya 1954). 5

Davies 1988, 229.

Page 71: Inferenze Ampliative

L’ortodossia prevalente6 converge nel definire l’analogia una

forma di comparazione mediante cui è possibile operare un tra-

sferimento (transfer) di una proprietà o un’informazione nota da

un dominio d’origine sufficientemente conosciuto – la fonte – a

un dominio di destinazione – l’obiettivo – almeno parzialmente

non conosciuto, mediante una relazione d’associazione d’oggetti,

di relazioni e di proprietà tra la fonte e l’obiettivo. L’ortodossia

prevalente è inoltre caratterizzata da due principali concezioni

dell’inferenza per analogia, la concezione induttivista e la conce-

zione strutturalista. Come vedremo entrambe queste concezioni

sono inadeguate a render conto dell’analogia poiché non colgono

il suo carattere eminentemente rappresentativo e ampliativo.

La concezione induttivista è sostenuta ad esempio da Keynes7

e da Polya e considera l’analogia come una forma d’induzione, in

particolare un’induzione su attributi o proprietà. Essa è una forma

di generalizzazione – al limite una generalizzazione a partire da

un singolo caso – ottenuta dalla congiunzione di somiglianze ma-

teriali tra domini.

La concezione strutturalista è sostenuta ad esempio da Wei-

tzenfeld8 e considera l’analogia come un processo d’associazione

tra relazioni causali di alto livello – dove per alto livello si inten-

de anche relazioni tra relazioni – tra la fonte e l’obiettivo. Essa è

in linea di principio riconducibile ad una forma di isomorfismo,

che consente di trasportare tout court strutture e relazioni dalla

6

Cfr. Black 1962, e cfr. anche Hesse 1966, Melis - Veloso 1998. 7

Cfr. Kaynes 1921. 8

Cfr. Weitzenfeld 1984.

Page 72: Inferenze Ampliative

fonte all’obiettivo.

Dunque le due concezioni concordano sulla rilevanza della

similarità generale tra i domini ai fini del transfer analogico, e si

distinguono in quanto la seconda è basata sulla corrispondenza

tra relazioni (e non semplicemente sulla corrispondenza tra attri-

buti, come avviene per la concezione induttivista).

La concezione strutturalista, per l’esattezza, si richiama al

principio di sistematicità, il quale asserisce che un’analogia è

giustificata quando crea un’associazione tra relazioni d’alto grado

molto strutturate, che usualmente sono quelle causali. Inoltre en-

trambe le concezioni ritengono di poter offrire una soluzione a

LPA, anche se facendo ricorso a strumenti diversi (come per e-

sempio la nozione di grado di similarità o quella di strutture de-

terminanti9).

3. Probabilità e analogia

La descrizione dell’analogia come una forma d’inferenza «am-

pliativa e probabile»10 è comunemente accettata sulla base del

fatto che «gli argomenti analogici non devono essere classificati

come validi o invalidi, in questi casi tutto ciò che si può richiede-

re è la probabilità»11.

Tale descrizione e giustificazione dell’analogia, tuttavia, è

9 v. Davies 1988. Per una analisi di questi strumenti v. Ippoliti 2006. 10

Weitzenfeld 1984, 1. 11

Copi 1961, 466.

Page 73: Inferenze Ampliative

problematica e si rivela non sostenibile. L’analogia necessita in-

fatti l’analisi di considerazioni materiali e dipendenti dal domi-

nio, che sono tali da sottrarla a un processo di riduzione alla teo-

ria della probabilità. Nella fattispecie si può osservare che «né la

teoria classica della probabilità né quella moderna sono state in

grado di dare una descrizione soddisfacente e una giustificazione

dell’inferenza per analogia»12. Ciò è dovuto ad un insieme di ra-

gioni. In primo luogo l’analogia è un concetto di natura qualitati-

va, perché è una forma di comparazione, mentre la probabilità è

un concetto di natura quantitativa, perché è basata sulla quantifi-

cazione, sull’enumerazione e sulla successiva istituzione di rap-

porti numerici. Le ragioni che motivano un’inferenza analogica

non sono e non possono essere di natura probabilistica. Infatti a

rigore essa può avere una probabilità molto bassa, anche prossi-

ma allo zero, eppur essere giustificata e, al contrario, presentare

una probabilità molto alta e non essere giustificata.

Che il legame tra le premesse e la conclusione di un’analogia

non può essere giustificato facendo ricorso alla teoria della pro-

babilità è un’affermazione che ammette almeno due sensi:

- le ipotesi candidate per via analogica si basano su un nu-

mero anche molto ristretto di osservazioni e si riferiscono a un

numero molto vasto di casi, potenzialmente infinito, per cui il

rapporto tra casi favorevoli e casi possibili è tale da conferire

all’ipotesi un valore probabilistico molto basso o prossimo allo

zero.

- le inferenze analogiche si possono basare su un vasto nume- 12

Carnap 1950, 569-570.

Page 74: Inferenze Ampliative

ro di dissimilarità (o analogie negative) tra i domini oggetti di

transfer il quale supera di gran lunga quello delle similarità (o

analogie positive) e quindi, di nuovo, il loro rapporto conferisce

una probabilità molto bassa alla conclusione, anche se essa è mo-

tivata (ad esempio perché avviene su proprietà rilevanti). Al con-

trario, inferenze basate su un supporto proveniente da un numero

elevato di similarità tra i domini oggetti di comparazione (e quin-

di su un alto valore probabilistico) possono rivelarsi non motiva-

te.

Quindi la probabilità non è essenziale e utile sia nella costru-

zione, sia nella valutazione, sia, ancora, nella scelta tra varie ipo-

tesi plausibili. Non è infatti possibile ricorrere alla probabilità

neanche per effettuare la scelta tra varie ipotesi ottenute per via

analogica al fine di risolvere un problema. L’ipotesi che ha un

alto valore probabilistico potrebbe non essere quella giusta per

risolvere il problema. Tale scelta, ancora una volta, deve avvenire

sulla base della plausibilità di un’ipotesi, ossia di una sua valuta-

zione qualitativa.

La teoria della probabilità non è uno strumento adeguato a

rendere conto della complessità e dell’essenza del processo

d’inferenza analogica per un semplice motivo: una soluzione di

LPA non può essere data poiché l’analogia, in quanto inferenza

ampliativa, è soggetta al cosiddetto paradosso dell’inferenza13.

Pertanto non è possibile avere una vera analogia, ossia non ri-

dondante, che sia al contempo corretta e ampliativa14, ossia tale

13

Cfr. Cellucci 2002, 167-168. 14

Per una discussione approfondita della relazione tra correttezza ed ampliatività cfr.

Page 75: Inferenze Ampliative

che le sue premesse conferiscano un qualche grado di certezza

alla conclusione candidata e al contempo estenda davvero le no-

stre conoscenze.

Il legame che un’inferenza analogica istituisce tra premesse e

conclusione è semplicemente plausibile, in un senso che non è

riconducibile alla probabilità. In particolare, l’analogia è plausibi-

le nel senso che deve essere compatibile con i dati e la conoscen-

za esistente.

Il fatto che l’inferenza candidata per via analogica non riceva

affatto un sostegno probabilistico dalle sue premesse è avvalorato

dal fatto che i criteri utilizzati per giustificare l’inferenza analogi-

ca non riescono ad assolvere questo compito se non banalizzan-

dola e rendendola «ridondante»15. Ossia a meno che non si riduca

l’analogia ad una forma di isomorfismo tra strutture (e quindi si

riduca de facto il trasferimento analogico a una forma di dedu-

zione), non esiste una giustificazione del salto analogico16. Dun-

que non è possibile pensare di giustificare in termini probabilisti-

ci l’inferenza analogica, sia essa intesa come mezzo per generare

ipotesi, sia essa intesa come mezzo per sostenere un’ipotesi o una

congettura. L’analogia, proprio in quanto ampliativa, è senza

dubbio utile, fertile e feconda, ma non fornisce alle conclusioni

Cellucci 2002, 165-169. 15

Juthe 2005, 1. 16

Almeno non in termini internalisti, ossia senza far riferimento alla realtà. Per una

analisi approfondita circa l’impossibilità di una giustificazione di natura internalista

dell’inferenza deduttiva e non deduttiva cfr. Cellucci 2006; per una analisi circa

l’impossibilità di giustificare l’analogia mediante i criteri di similarità, tipicità e determi-

nazione cfr. Ippoliti 2006.

Page 76: Inferenze Ampliative

che candida un supporto di tipo probabilistico.

4. Analogia, rappresentazione e scoperta

Le analogie possono essere costruite mediante l’uso di rappresen-

tazioni multiple. Nel caso che esamineremo nei paragrafi seguen-

ti un problema della teoria dei numeri è risolto mediante una

combinazione di due distinte rappresentazioni (algebrica e geo-

metrica), la quale genera l’analogia che produce l’ipotesi risolu-

trice. Da questa analogia basata su rappresentazioni multiple di

una certa entità matematica, le quali trasferiscono nuova infor-

mazione all’interno del problema trattato, segue la produzione di

nuova conoscenza e la scoperta di nuove proprietà e ipotesi.

L’analogia gioca un ruolo essenziale nel processo di scoperta

e ampliamento della conoscenza matematica. L’esempio cui ri-

corro in questa sede per discutere la relazione tra analogia e am-

pliatività è stato oggetto di varie analisi17 ed «è d’interesse stori-

co e di gran lunga più bello di qualsiasi esempio molto elementa-

re al quale si possa pensare»18.

L’esempio in questione è la soluzione del matematico svizze-

ro Eulero al problema di Mengoli19, che oggi definiremmo come

17

Cfr. Polya 1954, van Bendegem 2000, Bartha 2002, Corfield 2003 cap. 4, Ippoliti

2006 e 2007. 18

Polya 1954, I, 17. 19

Cosiddetto in quanto originariamente formulato dal matematico italiano Pietro Men-

goli nella sua opera Novae quadraturae arithmeticae (1650).

Page 77: Inferenze Ampliative

la determinazione del valore ζ(2).

Tale soluzione è ottenuta facendo ricorso a una doppia analo-

gia ed è fondata su un passaggio ampliativo, per sua natura «au-

dace e scorretto da un punto di vista logico»20. Essa, per ammis-

sione dello stesso Eulero, si avvale di un procedimento che non

era mai stato praticato prima e la cui attendibilità andava quindi

verificata attraverso il confronto con la conoscenza esistente.

La soluzione data da Eulero a questo problema è particolar-

mente rilevante per discutere il ruolo dell’inferenza ampliativa e

della rappresentazione nella matematica. Il problema è quello che

riguarda la determinazione del valore della somma infinita

dell’inverso dei quadrati:

(MP) 2 21

1 1 1 1 11 ...4 9 16 nn n

=

?+ + + + + = =∑ .

Nei paragrafi che seguono fornisco pertanto un’analisi del

processo di soluzione di Eulero che si discosta da quelle proposte

dalla letteratura sull’argomento, che evidenzia il ruolo e la natura

euristica dell’analogia, e la quale soprattutto getta luce sulle mo-

dalità per cui l’analogia è uno strumento d’ibridazione che si av-

vale di rappresentazioni multiple per produrre, attendendoci alla

nostra metafora iniziale, una moltitudine di punti di vista intorno

all’oggetto trattato.

Il processo di soluzione di Eulero muove dal tentativo di ri-

durre il problema a un risultato noto analogo, ossia tale da soddi-

sfare alcune delle condizioni di risolvibilità del problema ricavate

20

Polya 1954, I, 21.

Page 78: Inferenze Ampliative

dalla sua preliminare analisi (in un certo senso di analisi21).

Pertanto la questione se il problema di Mengoli sia risolvibile

o meno è ridotta alla ricerca di tale risultato noto, o meglio ad una

combinazione di risultati noti, tali da soddisfare le seguenti con-

dizioni:

(a) sia rappresentabile nella forma di una serie infinita;

(b) sia rappresentabile nella forma di una somma del tipo:

2 2 21 2 1

1 1 1 1...n

2x x x x+ + + + ;

(c) le variabili in (b) siano tali che x1=1, x2=2 , … , xn = 2n

L’obiettivo del processo di soluzione del problema diventa dun-

que la generazione di una serie dal valore noto che sia in grado di

soddisfare, mediante opportune rappresentazioni, le condizioni

(a) - (b) - (c). Pertanto (MP) è risolvibile se è possibile trasfor-

marlo in serie infinita della forma (b) - (c) il cui valore sia noto.

Per poter effettuare tale ricercare e dunque costruire una

ipotesi adeguata per risolverlo è possibile estendere le

informazioni e i dati contenuti nel problema mediante una

espansione dello spazio combinatorio delle ipotesi (ossia lo

spazio di ricerca che racchiude le possibili combinazioni tra dati e

informazioni che possono dare luogo a ipotesi esplicative), che

aggiunga conoscenza oltre quella accessibile all’interno della

teoria dei numeri. L’analogia svolge proprio questa funzione di

modellazione ed espansione/contrazione dello spazio combina-

21 v. Cellucci 1998 e 2002.

Page 79: Inferenze Ampliative

torio delle ipotesi, introducendo mediante il transfer analogico

nuovi dati e informazioni che possono essere utilizzati per

costruire le varie ipotesi volte a risolvere il problema. Lo spazio

combinatorio delle ipotesi è delimitato dalle condizioni di

risolubilità (ossia a–b–c) del problema individuate per mezzo

dell’analisi, che permettono di effettuare una scelta tra le infinite

possibili ipotesi che possono essere generate per risolvere il

problema.

A questo punto il processo di ricerca ricorre ad una

interazione con il corpo di conoscenze esistente al tempo di

Eulero (nella fattispecie l’algebra) e permette di trovare

un’equazione algebrica che soddisfa la proprietà (b) – istituendo

un’analogia positiva, – ma non la proprietà (a) (non è una serie

infinita) – fornendo un’analogia negativa. Tale equazione è:

1 0 2 2 2 21 2 1

1 1 1 1(d) ...n

b bx x x x

⎛ ⎞= + + + +⎜ ⎟

⎝ ⎠

la quale deriva da:

2 2

0 2 21 2

(e) 1 1 ... 1n

2

2

x x xbβ β β

⎛ ⎞⎛ ⎞⎛ ⎞− − −⎜ ⎟⎜ ⎟⎜ ⎟

⎝ ⎠⎝ ⎠ ⎝ ⎠

Per b0≠0, (e) esprime la relazione tra i coefficienti e le radici di

un’equazione algebrica generica, ossia:

(f) b0 – b1x2 + b2x4 - …+ (-1)n bnx2n+1,

la quale ha la proprietà (g) di avere 2n radici β1, -β1, β2 , -β2 , … ,

βn , -βn.

Sulla base delle similarità e dissimilarità riscontrate (ma non

Page 80: Inferenze Ampliative

sulla base di una loro comparazione quantitativa e quindi

riconducibile alla probabilità), Eulero può compiere un primo

salto inferenziale: formula infatti per analogia l’ipotesi (I) che

una proprietà, ossia (d), che è valida per casi finiti valga anche

per casi infiniti. Questo processo di riduzione permette di

rappresentare il problema iniziale sotto forma algebrica. Questa

rappresentazione è ovviamente parziale e incompleta e non si

basa su isomorfismo tra due entità, in quanto sono presenti alcune

analogie negative. Esse ha l’effetto di introdurre nuova

informazione, che consente di produrre una rappresentazione

dell’oggetto iniziale (MP), che è plausibile e che è suscettibile di

ulteriore trattazione.

Quindi il problema iniziale è ora ridotto alla ricerca di una

funzione di tipo (d) che sia in grado di soddisfare le condizioni (f)

- (g) - (c).

Questa nuova ricerca richiede una nuova espansione dello

spazio combinatorio delle ipotesi, che si attua mediante una

successiva interazione con il corpo della conoscenza esistente, la

quale permette a Eulero di individuare l’esistenza nella tri-

gonometria di una serie infinita di tipo (d) che può essere

rappresentata come una funzione di tipo (f), il cui valore è noto.

Essa è lo sviluppo in serie di potenze di sin(x) = 0, che è uguale a:

3 3 7

... 0,1 3! 5! 7!x x x x− + − + =

che ha 2n+1 radici: 0, π , -π , 2π , -2π , … , nπ , - nπ.

A questo punto è possibile effettuare una nuova trasformazio-

ne dello sviluppo in serie di potenze di sin(x) in un’equazione

Page 81: Inferenze Ampliative

algebrica infinita analoga a (b) semplicemente dividendo i due

membri dell’equazione per x, ovvero per il fattore lineare che

corrisponde alla radice 0 (ossia per il valore 1):

2 4 6sin 1 .3! 5! 7!

x x x xx

..= − + − + .

Otteniamo in questo modo un’equazione di tipo (f) con 2n radici

π, -π, 2π, -2π, …, nπ, -nπ, che si accorda con la condizione (c).

Ancora una volta, questa rappresentazione di (MP) è incom-

pleta e parziale e non è un isomorfismo, in quanto presenta delle

analogie negative. Ma introduce nuova informazione nel proble-

ma, ampliandone la nostra conoscenza e la sua trattabilità.

Infine, di nuovo per analogia, (ossia sulla base delle similarità

riscontrate), Eulero compie il secondo e decisivo salto

inferenziale: ipotizza (II) che proprietà – quali (e) e (d) – che

sono valide per equazioni algebriche, siano valide anche per

equazioni non algebriche (nella fattispecie trigonometriche). Ciò

gli permette di compiere il passaggio decisivo per la soluzione

del problema, rappresentando sin 0x

x= , in accordo con (e), come

il prodotto infinito:

(III) 2 2 2

2 2 21 1 14 9

x x xπ π π

⎛ ⎞⎛ ⎞⎛ ⎞− − −⎜ ⎟⎜ ⎟⎜ ⎟

⎝ ⎠⎝ ⎠⎝ ⎠...

ossia, in accordo con (d),

2 2 2 2

1 1 1 1 1 ...3! 4 9 16π π π π= + + + .

Da qui, semplicemente moltiplicando per 2π entrambi i membri

Page 82: Inferenze Ampliative

dell’uguaglianza, otteniamo il valore che risolve il problema ini-

ziale (MP):

(S) 2 2

2

1 1 1 11 ...4 9 16 3! 6n

π π+ + + + + = = .

Ovviamente questa non è in senso stretto la soluzione del pro-

blema di Mengoli. Il valore candidato 2

è un valore plausibile

supportato da una doppia inferenza analogica, ottenuta mediante

la combinazione di differenti rappresentazioni dell’oggetto inizia-

le. Questa inferenza semplicemente mostra come dalle ipotesi (I)

e (II) ricavate per via analogica segue la validità dell’asserzione

(S), ossia si ha che:

2

2

1 1 1 1( ) ( ) 1 ...4 9 16 6

I IIn

π∧ → + + + + + = .

La questione relativa alla validità delle ipotesi (I) e (II), e della

loro estensione, costituisce a sua volta un altro problema da risol-

vere. Le ipotesi (I) e (II) candidano pertanto una soluzione del

problema mediante inferenze che sono basate su passaggi audaci

e scorretti: infatti «da un punto di vista strettamente logico, essa

era apertamente una fallacia: egli (Eulero, NdA) aveva applicato

una regola a un caso per il quale la regola non era stata fatta, una

regola per equazioni algebriche a una equazione che non è alge-

brica. Da un punto di vista strettamente logico, il passaggio di

Eulero non era giustificato»22.

Al fine di provare la correttezza di tali ipotesi, è prima neces-

22

Ivi, 21.

Page 83: Inferenze Ampliative

sario dimostrare la correttezza del passaggio dal finito all’infinito

nel caso delle somme (I), e quindi la correttezza del passaggio

dall’algebra alla trigonometria (II). Tuttavia una tale prova non

può ovviamente essere data in via generale: le ipotesi (I) e (II)

sono basate su inferenze ampliative, che non sono giustificate nel

senso in cui lo sono quelle non-ampliative. La loro validità può

infatti essere solo di carattere locale, relativa a casi particolari che

soddisfano precise condizioni23.

L’analogia è dunque usata in questo caso come mezzo

d’ibridazione24, ossia come un processo che permette di trattare

in modo multivalente e polisemico un oggetto, il quale viene sot-

toposto ad un processo di moltiplicazione di punti di vista (si pas-

sa dalla teoria dei numeri all’algebra e alla trigonometria) con la

conseguente produzione di sue nuove rappresentazioni (ossia or-

ganizzazione e codifica dell’informazione e dei dati che lo strut-

turano) che estendono davvero la conoscenza.

5. Analogie multiple

L’inferenza analogica presenta un’ulteriore caratteristica partico-

larmente rilevante delle inferenze ampliative, che ha ripercussioni

sia sulla metodologia della scienza sia su alcuni cardini della filo-

sofia della scienza tradizionale. Essa è infatti una forma di ragio-

namento parallelo: il processo inferenziale cui può dar luogo si

23

Cfr. p. es. Hardy 1906 per una trattazione dei limiti dell’ipotesi (I). 24

Cfr. Grosholz 2000, 81-91, e Cellucci 2002, 285-291.

Page 84: Inferenze Ampliative

può articolare sulla base di una molteplicità di fonti, ossia me-

diante «analogie in cui più di una fonte analoga è usata per ragio-

nare su un obiettivo analogo»25, perché «una conclusione analo-

gica da molti casi paralleli è più forte di una da pochi casi»26, o

da uno solo. Infatti l’analogia singola non che è «il più semplice

o almeno più comune caso di ragionamento analogico»27, e rap-

presenta «il principale soggetto delle attuali teorie cognitive e

modelli computazionali del ragionamento analogico»28. La ver-

sione classica dell’analogia è pertanto solo un caso particolare

dell’analogia multipla, ossia quella in cui una sola fonte è utiliz-

zata nel processo inferenziale.

Il ragionamento parallelo è una forma di ragionamento in cui

più processi inferenziali concorrono sia sincronicamente sia asin-

cronicamente alla produzione di conclusioni su un dato proble-

ma, le quali sono poi unificate in un'unica conclusione. Nel caso

dell’analogia multipla, infatti, più fonti possono essere utilizzate

sia sincronicamente sia asincronicamente nel processo inferenzia-

le e i loro risultati possono essere unificati mediante un'unica

conclusione.

Il processo d’unificazione è un processo che compone le varie

conclusioni candidate, e quindi è non-meccanico e problematico,

e richiede una valutazione delle varie componenti in gioco. Le

conclusioni candidate dalle singole fonti analoghe possono infatti

25

Shelley 2003, 3. 26

Polya 1957, 43. 27

Shelley 1999, 144. 28

Ibid.

Page 85: Inferenze Ampliative

essere tra loro in disaccordo sia parziale sia totale: ciò richiede un

processo di cooperazione e negoziazione sia tra le fonti sia tra le

varie conclusioni che esse candidano. Questo processo di compo-

sizione può implicare la revisione o lo scarto di una conclusione

candidata a partire da una certa fonte, o un indebolimento della

conclusione finale. Per esempio una conclusione analogica da più

fonti può essere indebolita assumendo una forma disgiuntiva, in

cui i vari disgiunti sono le conclusioni candidate da più o al limite

da tutte le fonti impiegate29. Ossia se per risolvere un problema p

si usa una molteplicità di fonti analoghe f1, f2,…, fn che candidano

rispettivamente le conclusioni c1, c2,…, cn, allora la conclusione

per analogia multipla può assumere la forma c1 ∨ c2 ∨…∨ cn.

È opportuno sottolineare che l’analogia multipla30 non è una

semplice concatenazione d’analogie singole «nel senso che solo

una fonte analogica è usata nella comparazione»31, ma è una

comparazione in cui più fonti, contemporaneamente, interagisco-

no in modo strutturato a candidare la conclusione per l’obiettivo

analogo. Ciò significa che la quantità di fonti disponibili non è

tutto per l’analogia multipla: anzi «la qualità è ancora più impor-

tante, qui, della quantità. Analogie dal taglio chiaro hanno un pe-

so maggiore di vaghe similarità, istanze assemblate sistematica-

mente contano di più di collezioni casuali di casi»32. L’aspetto

qualitativo è essenziale perché, come abbiamo visto, una valuta-

29

Cfr. p. es. Talaly 1987. 30

Cfr. Shelley 1999, 2002a, 2002b, 2003. 31

Shelley 2003, 4 32

Polya 1957, 43.

Page 86: Inferenze Ampliative

zione quantitativa o probabilistica dell’inferenza ampliativa, e

dell’analogia, è insostenibile.

L’analogia multipla mostra in modo esemplare come

l’inferenza ampliativa possa essere contemporaneamente sia uno

strumento di scoperta sia uno strumento di giustificazione. In al-

cuni processi d’inferenza per analogia multipla, infatti «la stessa

analogia può servire entrambi gli scopi»33. Come osserva Shel-

ley34, si danno casi di scoperte scientifiche in cui l’analogia mul-

tipla interviene sia nel processo di generazione dell’ipotesi, sia

nel processo di conferma dell’ipotesi generata. In alcuni di questi

casi la stessa analogia arriva a fungere sia da strumento di gene-

razione dell’ipotesi sia da strumento di conferma della stessa.

Quindi se si accetta il fatto che il compito dell’analogia è

quella di fornire credibilità all’ipotesi candidata, nel senso che

essa misura quanto credibile è «che qualsiasi successiva fonte

analoga che aderisce al target sosterrà la stessa conclusione so-

stenuta dalle precedenti fonti»35, e si conviene nel ritenere questa

pratica come legittima, allora ne segue che la distinzione

dell’empirismo logico «di scoperta e giustificazione quali fasi

indipendenti della ricerca deve essere abbandonata»36. Quindi

non solo l'inferenza analogica, soprattutto nella sua versione mul-

tipla, non fornisce alcun sostegno probabilistico alla conclusione

che candida (sia che essa intervenga nella fase della scoperta sia

33

Shelley 2003, 86 34

Cfr. Shelley 2003, par. 4.3. 35

Ivi, 29. 36

Ivi, 134.

Page 87: Inferenze Ampliative

nella fase della giustificazione), ma inficia quest’ultima distin-

zione.

L’analogia per ragionamento parallelo è dunque un argomento

contro questa «rappresentazione distorta»37 e mostra come «la

scoperta non si colloca in una prima fase della ricerca matematica

a cui poi ne fa seguito un’altra, quella della giustificazione, ma

copre l’intero suo arco»38. La scoperta non è infatti un processo

casuale, ma è la generazione di ipotesi plausibili, cioè compatibili

con la conoscenza esistente, e «per vedere se le ipotesi sono

compatibili con la conoscenza esistente si devono esaminare le

ragioni pro e contro di esse»39. Poiché questo esame viene effet-

tuato sulla base di prove che avvalorano le ipotesi o le discredita-

no, i processi che intervengono nella fase di scoperta sono inse-

parabili da quelli che intervengono nella fase di giustificazione.

6. La concezione euristica dell’analogia

La soluzione di Eulero del problema di Mengoli è ottenuta facen-

do un uso dell’analogia che si accorda con una concezione alter-

nativa a quella induttivista e strutturalista, nella fattispecie la

concezione euristica. La concezione induttivista e la concezione

strutturalista non sono infatti in grado di render conto dell’am-

piezza e complessità del processo d’inferenza analogica. La con-

37

Cellucci 2002, 147. 38

Ivi, 146. 39

Ibid.

Page 88: Inferenze Ampliative

cezione euristica invece tratta l’analogia da un punto di vista

nuovo, ossia non volto a rintracciare le basi della certezza del

processo analogico, ma che considera il paradosso dell’inferenza

come costituivo della teoria dell’analogia e dell’inferenza amplia-

tiva in generale. Essa non ha dunque la pretesa di risolvere la ten-

sione tra correttezza e ampliatività, ma la pone a fondamento di

una trattazione che dà conto in profondità del processo

d’inferenza analogica. Da ciò segue che il compito di una rifles-

sione sull’analogia, e sull’inferenza ampliativa, non è la soluzio-

ne di LPA (che per altro non può essere data), ma lo sviluppo e il

raffinamento di metodi per indagare oggetti e risolvere problemi,

ossia di strumenti per generare ipotesi esplicative e congetture.

La concezione euristica analizza l’analogia quale strumento di

modellazione dello spazio combinatorio delle ipotesi, che opera

all’interno del metodo analitico, in particolare nella versione data

da Cellucci40, e secondo le dinamiche proprie dei sistemi concet-

tuali aperti41, che le conferiscono superiori capacità inferenziali.

Il metodo analitico è uno strumento mediante cui ridurre un

problema dato ad alcune condizioni di risolubilità, che delimitano

lo spazio combinatorio di ricerca delle ipotesi. Nel processo di

analisi si arriva dunque a ridurre il problema ad un nuovo pro-

blema, lasciando alle inferenze ampliative il compito di generare

ipotesi plausibili che si accordino con queste condizioni. Una

volta che la riduzione è stata operata, si apre infatti il processo di

ricerca e costruzione di ipotesi e congetture per risolverlo: il me-

40

Cfr. Cellucci 1998 e 2002. 41

Cfr. Cellucci 1998, 309-346.

Page 89: Inferenze Ampliative

todo analitico non é un metodo per trovare le ipotesi. Tale pro-

cesso, che procede dal basso verso l’alto (dal problema alle ipote-

si), si articola secondo i caratteri propri dei sistemi concettuali

aperti42 e si avvale di inferenze ampliative, di procedimenti per

tentativi ed errori, mediante una molteplicità di rappresentazioni

non necessariamente isomorfe che trasformano l’oggetto iniziale

all’interno dello spazio combinatorio così delimitato.

L’analogia è in grado di far fronte a tale esigenza in quanto è

un’inferenza ampliativa che fornisce un metodo (non algoritmi-

co) per generare ipotesi che si accordano con le condizioni di ri-

solubilità e la conoscenza esistente in un sistema concettuale a-

perto.

La soluzione di Eulero al problema di Mengoli si accorda con

questo processo. In particolare, nonostante non sia possibile rico-

struire l’intero processo che ha condotto il matematico svizzero

alla formulazione delle ipotesi (I) e (II), la struttura della sua so-

luzione è tale da rispondere a pieno alla concezione euristica

dell’analogia. Infatti è possibile osservare le seguenti caratteristi-

che del processo di soluzione della serie (MP):

1) il processo di soluzione è di natura bottom-up, dal problema

alle ipotesi, in particolare dalla serie (MP) all’ipotesi (III) – ossia

la rappresentazione di sin x come un prodotto infinito.

2) Il metodo analitico è il mezzo mediante cui individuare le

condizioni di risolubilità del problema iniziale. In particolare esso

lo riduce a un altro problema, nel senso che «non mira a stabilire 42

Cfr. Cellucci 1998, 299-304 e 339-346.

Page 90: Inferenze Ampliative

definitivamente la risolubilità di un problema, ma solo di ridurlo

a un’ipotesi»43. Nella fattispecie il problema di Mengoli viene

ridotto all’ipotesi (III) mediante la ricerca di un risultato noto che

soddisfi le condizioni (a) - (b) - (c).

3) Le ipotesi sono costruite mediante inferenze non-deduttive,

come l’analogia e l’induzione, e per tentativi ed errori. Esse ov-

viamente non sono necessariamente corrette, ma «una volta as-

sunte, si vede se conducono a una soluzione del problema»44.

Infatti l’analogia, mediante una multipla interazione con il corpo

di conoscenze esistenti (in particolare l’algebra e la trigonometri-

a), consente di produrre ipotesi, (I) - (II) - (III), che soddisfano

alcune delle condizioni di risolubilità e conducono a una soluzio-

ne, ma che non sono corrette, come osserva già lo stesso Eulero.

4) Le ipotesi sono costruite e introdotte mediante l’interazione

con altri sistemi. Tale interazione è essenziale per la soluzione di

problemi: il sistema iniziale fa appello ad altri sistemi presenti

nell’ambiente (nella fattispecie l’algebra e la trigonometria) per

aumentare la propria informazione ed espandere lo spazio combi-

natorio delle ipotesi. L’informazione aggiuntiva può consistere in

risultati (lemmi) o ipotesi. Ciò conferisce al metodo analitico su-

periori capacità inferenziali perché non deve far appello nel corso

della soluzione solo alle informazioni del sistema cui appartiene

il problema iniziale.

5) Il processo di soluzione è storicamente situato e dipende

dal contesto nel quale viene prodotto, nel senso che le ipotesi che

43

Cellucci 1998, 299. 44

Ivi, 301.

Page 91: Inferenze Ampliative

è in grado di generare dipendono dalla conoscenza esistente. Al

variare del contesto possono variare non solo le ipotesi prodotte

(e le soluzioni proposte), ma può variare anche la loro plausibili-

tà.

6) Il processo di soluzione è sensibile alla rappresentazione.

Anche nel caso di due enunciati equivalenti, il fatto di usare una

rappresentazione piuttosto che un’altra può rivelarsi decisivo nei

processi di problem-solving o di scoperta: tale scelta consente

interazioni con sistemi di conoscenze che altrimenti sarebbero

rimate inibite. Per esempio Feynman sottolinea che rappresenta-

zioni distinte della stessa legge fisica, benché identiche da un

punto di vista logico, possono innescare immagini mentali diver-

se e permettere nuove scoperte45. Anche se il mio argomento non

è di natura psicologica e l’equivalenza logica è un caso particola-

re di rappresentazione, similmente, nel caso della soluzione di

Eulero di (MP), le analogie, innescando una serie di trasforma-

zioni altrimenti non istituibili, consentono quel cambio di rappre-

sentazione di (MP) in sinx quale prodotto infinito, che permette

di candidare una soluzione che altrimenti sarebbe rimasta inac-

cessibile.

7) Le ipotesi formulate sono condizioni ed entità volte a risol-

vere problemi specifici, non tutti i problemi. Infatti le ipotesi (I) e

(II) sono adeguate a trattare e risolvere solo problemi specifici e

locali, della forma46 di quello di Mengoli, per esempio la serie di

Leibniz.

45

Cfr. Feynman 1967. 46

ossia che rispetta le condizioni (a) – (b) – (c).

Page 92: Inferenze Ampliative

8) Lo spazio combinatorio delle ipotesi è sensibile all’ordine.

L’ordine d’introduzione delle ipotesi è infatti utile e anche essen-

ziale per la soluzione del problema perché due soluzioni possono

essere differenti anche quando usano le stesse ipotesi ma in un

ordine differente. Un diverso ordine di introduzione modella in-

fatti in modo diverso lo spazio combinatorio delle ipotesi, orga-

nizzando e assemblando i dati e le informazioni disponibili in

modi diversi. Nella fattispecie l’ordine delle ipotesi (I) e (II) è

utile ed essenziale per la soluzione di (MP). In primo luogo

l’ordine è utile poiché l’ipotesi (I) estende la ricerca di risultati

noti alle somme infinite, l’ipotesi (II) concentra tale ricerca

all’interno delle somme trigonometriche. In secondo luogo è es-

senziale in quanto invertendo l’ordine non si produce lo stesso

risultato: non è possibile iniziare la ricerca all’interno delle som-

me trigonometriche se prima non si è ipotizzato che le somme

infinite godano di (alcune) proprietà delle somme finite.

9) L’analogia è uno strumento d’ibridazione. Mediante l’infe-

renza analogica Eulero riesce a trattare la serie (MP) - ossia un

oggetto aritmetico - allo stesso tempo come un oggetto algebrico

e come un oggetto trigonometrico nel sorso del processo di ricer-

ca della soluzione. Sebbene l’analogia sia esplicitamente imper-

fetta, essa non fuorvia Eulero poiché tenendo ben presenti le dif-

ferenze tra oggetto trigonometrico e oggetto algebrico, egli può

arrivare alla formulazione della sua ipotesi risolutrice. Inoltre

l’ibrido generato dalle due analogie, l’ipotesi (III), assume un

ruolo cruciale per la crescita della conoscenza: infatti esso per-

mette di risolvere altri problemi, per esempio permette di ottenere

Page 93: Inferenze Ampliative

una soluzione della serie di Leibniz in modo diverso.

10) Le ipotesi devono essere plausibili, nel senso che si devo-

no accordare con la conoscenza esistente, mediante un processo

di loro valutazione che comporta uno scambio interattivo con la

conoscenza esistente. Infatti, innanzitutto, l’ipotesi (III) è ade-

guata, ossia permette di risolvere il problema di Mengoli. Ma ciò

non è ovviamente sufficiente: infatti «un’ipotesi può permettere

di risolvere un problema pur essendo falsa, anzi proprio perché è

falsa. Per evitare che ciò accada, si deve confrontare l’ipotesi con

la conoscenza esistente e verificare che si accordi con essa»47. In

particolare l’ipotesi (III) si accorda sia con la conoscenza esisten-

te al tempo di Eulero sia con quella successiva48. Inoltre

l’analogia svolge un ruolo nel processo di valutazione, ossia nel

confronto con la conoscenza esistente, quando viene utilizzata

per stabilire la plausibilità dell’ipotesi.

11) Il processo di soluzione di un problema e di ampliamento

della conoscenza è potenzialmente infinito. Ogni ipotesi costruita

durante tale processo rimanda ad altre ipotesi e non esistono ipo-

tesi ultime. Nel caso di (MP) l’ipotesi (III) dipende dalle ipotesi

(I) e (II), che a loro volta dipendono da altre ipotesi e così via

potenzialmente all’infinito. Il processo attraverso cui le ipotesi

vengono fondate su altre ipotesi può essere interrotto temporane-

amente, e a quel punto le ipotesi diventano la base per la soluzio-

ne del problema.

12) Il processo di soluzione di un problema e di ampliamento

47

Cellucci 1998, 301. 48 Cfr. Ippoliti 2007.

Page 94: Inferenze Ampliative

della conoscenza si articola mediante una continua moltiplicazio-

ne dei punti di vista, e si avvale di rappresentazioni multiple

(nuove e diverse organizzazioni e codificazioni dell’informazione

e dei dati che lo caratterizzano) per produrre dall’oggetto dato

quelle polivalenze in grado di renderlo suscettibili di sempre

nuove trattazioni.

In conclusione possiamo osservare come la concezione euri-

stica fornisce una trattazione dell’analogia che dà conto della sua

dinamica interna e delle sue caratteristiche. Tale concezione, ri-

conoscendo come costitutivo dell’analogia il paradosso

dell’inferenza, non mira alla ricerca di una soluzione di LPA ma

si concentra sullo studio del ruolo euristico dell’analogia. Inoltre

essa muove dall’osservazione che la separazione tra contesto del-

la scoperta e contesto della giustificazione sia insostenibile e in

ultima analisi inutile, e analizza come l’analogia (intesa sia come

ricerca di ulteriori fonti analoghe, sia come soluzione di problemi

analoghi) svolga un ruolo, soprattutto nella sua versione paralle-

la, sia nella costruzione sia nella valutazione di argomenti e ipo-

tesi.

Anche se l’analogia è un efficace strumento euristico, essa

presenta dei limiti cui bisogna prestare attenzione quando vi si

ricorre. Questi limiti sono insiti nella sua natura ampliativa.

Infatti l’analogia da una parte è talmente utile, feconda e ferti-

le, che la sua ubiquità e fruttuosità nei processi di formazione

d’ipotesi e di ampliamento della conoscenza è talmente « ovvia

Page 95: Inferenze Ampliative

che difficilmente necessita di essere sottolineata»49. Dall’altra

esse è pericolosa50 e denuncia precisi limiti strutturali51, i quali

devono spingerci ogni volta a «trattarla con attenzione»52.

Innanzitutto l’analogia, come abbiamo già sottolineato, dipen-

de dal contesto (la conoscenza esistente ad un certo istante t), e

quindi non è possibile sapere in modo conclusivo se sia giustifi-

cata o meno, ossia se possano sopraggiungere condizioni e in-

formazioni che inibiscano o favoriscano la costruzione di argo-

menti analogici. L’evoluzione del contesto, ad esempio della co-

noscenza e dei risultati noti su due sistemi di conoscenza a un

dato istante t, potrebbe autorizzare inferenze analogiche che pre-

cedentemente non erano possibili, o viceversa. Ciò rappresenta

una ricchezza, ma anche un preciso limite dell’inferenza basata

sull’analogia. Un limite che probabilmente attiene a tutta la cono-

scenza.

In secondo luogo l’analogia, proprio per questo motivo, gode

di un'efficacia solo locale, come mostra con particolare evidenza

il caso dell’analogia finito-infinito per le somme nella soluzione

di Eulero del problema di Mengoli.

Inoltre l’analogia è una forma di inferenza ampliativa di carat-

tere conservativo: essa amplia la conoscenza in un modo ristretto,

ossia suggerendo che ciò che non è noto si comporta come ciò

49

Bunge 1967, 265. 50

Cfr. Poya 1954, I, 34 e 221-222. 51

Cfr. p. es. Bunge 1967, Vogt - Aras - Balzer 2004, Marchildon 2006. 52

Parker 2003, 200.

Page 96: Inferenze Ampliative

che è già noto. Come sottolinea Bunge53, essa conviene sempre

perché è comunque informativa, in quanto permette in ogni caso

di conoscere qualcosa di nuovo sul dominio indagato. Esistono

infatti due possibili esiti del processo analogico.

Se l’ipotesi analogica supera i test di confronto con la cono-

scenza esistente, e quindi è plausibile, si produce conoscenza del

fatto che i due domini sono simili sotto certi aspetti. Se al contra-

rio l’ipotesi candidata per via analogica non supera i test di con-

fronto con la conoscenza esistente, allora sapremo che è necessa-

rio ricorrere a qualcosa di davvero nuovo per trattare i fenomeni

indagati. Nessuna analogia è dunque davvero cattiva, se non si è

acritici.

È opportuno sottolineare che nel primo caso, ossia di supera-

mento del test di confronto, l’analogia può naturalmente andare

ancora incontro a limitazioni54, la quali possono ancora essere

istruttive e fruttuose, poiché consentono di comprendere fino a

che punto la conoscenza proiettata dall’analogia su un dominio

parzialmente ignoto è ulteriormente estendibile o quali siano le

ulteriori dissimilarità tra i due sistemi di conoscenze comparati.

Il limite intrinseco dell’analogia nasce dal fatto che è proprio

ciò che è davvero nuovo, nel senso che amplia in modo radicale

la nostra conoscenza (che è differente da ogni proprietà o struttu-

ra di cui abbiamo già conoscenza), che non può essere scoperto e

trattato anche solo in linea di principio mediante l’analogia.

Inoltre l’analogia soffre di un altro limite, di natura diacroni-

53

Bunge 1967. 54

Cfr. p. es. Moore 2005.

Page 97: Inferenze Ampliative

Inferenze ampliative

97

ca: infatti inizialmente può avere successo ed essere fruttuosa,

per poi rivelarsi un vero e proprio non-senso, e alimentare uno

stallo teorico. Per esempio, come sottolinea dettagliatamente

Bunge, un caso particolarmente interessante è quello

dell’analogia tra sistemi quantistici e le particelle e le onde clas-

siche, che «è diventata una vera e propria barriera che impedisce

una interpretazione coerente della teoria»55.

Un’analogia inizialmente fruttuosa può pertanto diventare un

non-senso, che finisce per ostacolare il processo di crescita e am-

pliamento della conoscenza. Dunque «le analogie sono destinate

a collassare anche se inizialmente fertili»56. L’unico modo per

superare questi limiti è sottoporre le entità ottenute mediante in-

ferenze analogiche, e più in generale ampliative, ad un continuo

processo di moltiplicazione dei punti di vista, che produce una

molteplicità di valenze e polisemie capaci di renderle suscettibili

di sempre nuove trasformazioni e trattazioni.

L’esistenza di tali limiti non deve comunque spaventare: essi

evidenziano come l’incertezza sia costitutiva di ogni conoscenza

che sia davvero ampliativa e come non esista un processo infe-

renziale e conoscitivo giustificato in modo conclusivo e oltre o-

gni ragionevole dubbio. Come vedremo nel prossimo e conclusi-

vo capitolo, è proprio l’idea e la fede in una conoscenza al riparo

di ogni dubbio a essere illusoria e intrinsecamente limitata.

55

Ivi, 265. 56

Ibid.

Page 98: Inferenze Ampliative
Page 99: Inferenze Ampliative

5

Ampliatività e verità

1. Il problema della verità

In questo capitolo conclusivo analizzo in primo luogo il rapporto

tra la nozione di ampliatività e quella di verità, il quale mi per-

mette di chiarire lo statuto dell’inferenza ampliativa e di argo-

mentare come una sua attenta analisi motivi un ripensamento del-

la caratterizzazione della nozione di inferenza. Quindi analizzo la

natura della conoscenza prodotta dall’inferenza ampliativa, e so-

stengo la tesi che tale conoscenza non è un surrogato di quella

prodotta dal ragionamento dimostrativo.

La presunta simmetria tra inferenza ampliativa e inferenza

non-ampliativa rispetto alla verità, sostenuta dalla concezione

standard dell’inferenza, è in un senso preciso insostenibile.

Essa si basa infatti sull’assioma che esista una separazione tra

conoscenza vera, ottenuta mediante inferenze deduttive (ossia

non-ampliative), e conoscenza solo plausibile, ottenuta al massi-

mo mediante inferenze ampliative, e che la seconda sia in qual-

che modo un correlato e un surrogato della prima, uno strumento

cui si deve ricorrere quando e fino a che non sia possibile deter-

minare la verità.

L’obiettivo di questo capitolo è quello di mettere in discussio-

ne tale assioma e la posizione che ne discende, mostrando come

Page 100: Inferenze Ampliative

questo si basa su ipotesi e argomenti che non raggiungono il loro

scopo.

A tal fine introduco la nozione di plausibilità per caratterizza-

re la nozione di inferenza, e confuto le basi della separazione tra

vero e plausibile mediante una caratterizzazione più primitiva

dell’inferenza, dissolvendo l’idea della verità quale strumento

adeguato a render conto in profondità della conoscenza e della

ricerca scientifica. In conclusione sostengo la tesi che l’utilizzo

della plausibilità in luogo della verità quale strumento per caratte-

rizzare l’inferenza sia ampliativa sia non ampliativa non fa venir

meno la possibilità della conoscenza, e quindi non comporta lo

scetticismo.

La tesi dell’asimmetria tra inferenze ampliative e inferenze

non-ampliative rispetto alla verità dipende dall’ipotesi, accettata

da molte moderne teorie della conoscenza1, che esiste una cono-

scenza certa e indubitabile, che è quella ottenuta con il ragiona-

mento dimostrativo, cui si contrappone una solo incerta e provvi-

soria, che è quella appunto ottenibile per mezzo dell’inferenza

ampliativa, la quale è al massimo plausibile. Per esempio Polya2

è un esponente significativo di questo punto di vista. Egli muove

apertamente dall’ipotesi che esista una discontinuità tra il ragio-

namento dimostrativo e il ragionamento non dimostrativo (quello

basato su inferenze ampliative) rispetto alla verità, che la mate-

matica avrebbe la capacità di esibire in modo esemplare.

La discontinuità nasce dal fatto che, secondo questa tesi, il ra-

1 Per una analisi di questa concezione v. Cellucci 2008. 2 v. Polya 1954.

Page 101: Inferenze Ampliative

gionamento non-ampliativo (deduttivo) è in grado di giustificare

in modo certo e conclusivo le nostre conoscenze tramite processi

inferenziali che preservano la verità. Esso «è definitivo, conclusi-

vo, meccanico» mentre il ragionamento ampliativo è al massimo

plausibile, quando non produce falsità, ed è «provvisorio, specifi-

camente umano»3. Il ragionamento ampliativo è inoltre difettoso

e un surrogato del ragionamento dimostrativo, in quanto non è in

grado di giustificare in modo definitivo le conclusioni ottenute

perché non gode della proprietà di preservare la verità nel corso

del processo inferenziale. Queste due forme di conoscenza, di

conseguenza, sono contraddistinte da una profonda asimmetria: le

loro conclusioni, infatti, «sono su livelli logici differenti»4 in

quanto quelle del ragionamento dimostrativo «sono sullo stesso

livello delle premesse»5, mentre in quelle ampliative la conclu-

sione non ha lo stesso status o la stessa forza delle premesse. Tale

asimmetria è una delle principali ragioni su cui risiede la classica

separazione logica e temporale tra scoperta e giustificazione, tesi

che, sotto altri aspetti, abbiamo già avuto modo di mettere in di-

scussione occupandoci dell’analogia multipla.

2. Plausibilità e ampliatività

La tesi dell’asimmetria tra ampliatività e non-ampliatività rispetto

3

Polya 1968, II, 115. 4

Ivi, 113. 5

Ivi, 115.

Page 102: Inferenze Ampliative

alla verità fa capo all’assunzione che la prima deriva la sua cer-

tezza da una fonte della conoscenza indubitabile e infallibile e

che è garantita da un metodo, quello assiomatico-deduttivo, che

la preserva nel corso del ragionamento, mentre la seconda è in-

certa e fallibile in quanto caratterizzata da premesse o metodi

incerti, ossia tali non solo da non preservare la verità, ma capaci

al massimo di conferire solo un qualche grado di sostegno alle

sue conclusioni, quando non generano vere e proprie falsità.

L’inferenza ampliativa, secondo questa posizione, può aspirare al

massimo alla produzione di conoscenza plausibile, una forma di

conoscenza surrogata rispetto a quella deduttiva, che non dà ac-

cesso ad una vera e propria forma di conoscenza.

Tuttavia questa assunzione, come vedremo, è insostenibile al

vaglio di un rigoroso esame filosofico delle sue ragioni. Questo

esame muove da una riconsiderazione del ruolo della plausibilità

nella conoscenza e della nozione di inferenza, ossia di cosa debba

intendersi per inferenza.

2.1. Caratterizzazione della plausibilità

La plausibilità è una nozione complessa6, che può essere comun-

que caratterizzata come una forma di compatibilità con la cono-

scenza esistente, nel senso che un’ipotesi è plausibile quando at-

traverso una comparazione delle ragioni a favore e contro

l’ipotesi sulla base della conoscenza esistente, «le ragioni a favo- 6 v. Ippoliti 2007.

Page 103: Inferenze Ampliative

re prevalgono su quelle contro di essa»7. Questa nozione si basa

dunque su un processo qualitativo, che non ha una natura né sog-

gettiva né psicologica. Essa dipende in modo essenziale dal con-

testo e dalla conoscenza esistente all’interno della quale viene

prodotta la valutazione.

Poiché l’insieme delle conoscenze esistenti è in continua evo-

luzione, il processo di confronto dell’ipotesi ottenuta mediante

inferenze ampliative con la conoscenza esistente può avere esiti

diversi a seconda del contesto cui fa riferimento a un dato tempo

t: un’ipotesi plausibile in un certo contesto c a un dato tempo t

può risultare non più tale a un tempo successivo t+. E viceversa.

Di conseguenza varia anche la possibilità di istituire inferenze

ampliative, che dipendono a loro volta dai dati e dall’insieme di

conoscenze di cui disponiamo e che intervengono nel corso della

modellazione dello spazio combinatorio delle ipotesi.

Inoltre esiste una precisa separazione tra la nozione di plausi-

bilità e quella di probabilità.

In primo luogo la conclusione di un'inferenza non-deduttiva

può non essere probabile, e «tuttavia può essere plausibile, anzi,

può persino essere più plausibile delle sue premesse»8. Nel caso

delle conclusioni di un’inferenza probabilistica, invece, non solo

esse sono o equi-probabili o meno probabili delle loro premesse,

ma soprattutto, come abbiamo visto nel capitolo precedente oc-

cupandoci dell’analogia, un’ipotesi può risultare plausibile anche

quando la sua probabilità è molto bassa o virtualmente nulla. La

7

Cellucci 2005, 147. 8

Ibid.

Page 104: Inferenze Ampliative

formulazione di molte ipotesi per mezzo di inferenze ampliative

avviene infatti sulla base di un numero anche molto piccolo di

osservazioni (al limite anche di una sola) e si può riferire a un

numero anche infinito di casi, per cui il rapporto tra casi favore-

voli e casi possibili è tale da assegnare all’ipotesi un valore pro-

babilistico molto basso o prossimo allo zero.

Inoltre in molte inferenze plausibili il numero delle ragioni

adducibili contro la candidatura della conclusione può anche su-

perare di gran lunga quelle a favore, e quindi determinare ancora

una probabilità molto bassa, e questa essere comunque motivata.

Viceversa, inferenze plausibili basate sul conforto di un numero

elevato di ragioni a favore possono rivelarsi non solo non motiva-

te, ma palesemente scorrette.

Pertanto probabilità e plausibilità non concordano in almeno

due sensi:

- la probabilità non fornisce un criterio per formare ipotesi

plausibili;

- la probabilità non può neanche essere una guida affidabile

nella scelta tra diverse ipotesi plausibili.

2.2. Caratterizzazione dell’inferenza

La caratterizzazione dell’inferenza adottata in questo testo si basa

su una concezione contenutistica, in particolare di natura esterna-

lista, che è l’unica adottabile da una concezione euristica. Essa è

motivata dall’esigenza di fornire una risposta ai limiti della carat-

Page 105: Inferenze Ampliative

terizzazione standard dell’inferenza9, i quali derivano principal-

mente dal fatto che, come osserva Cellucci, questa «non offre

alcuna spiegazione del ruolo che l’inferenza deduttiva gioca nella

conoscenza»10. Invece un’adeguata giustificazione delle inferen-

ze deduttive e non-deduttive richiede la costruzione di una spie-

gazione del ruolo che esse svolgono nella conoscenza. Questo

compito necessita dunque un ripensamento degli scopi della logi-

ca sia deduttiva sia non-deduttiva.

Innanzitutto la definizione, propria della caratterizzazione

standard, dell’inferenza semplicemente come il passaggio da un

insieme di proposizioni a un’altra proposizione, presenta dei limi-

ti. Infatti l’inferenza può essere più propriamente definita come il

passaggio da una quantità di dati a un altro dato, a meno che non

si vogliano escludere forme d’inferenza, tra le quali per esempio

possiamo annoverare quelle compiute dai neonati o dagli animali

o quella basate sulla visione, che non sono di natura strettamente

proposizionale.

In secondo luogo la distinzione delle inferenze in deduttive e

non-deduttive proposta dalla concezione standard, basata sulla

proprietà della preservazione della verità, è inadeguata perché si

avvale di una proprietà derivata. La preservazione della verità,

infatti, non è una caratteristica primitiva dell’inferenza, ma segue

dalla proprietà oggetto d’analisi di questo testo, ossia

l’ampliatività.

Come abbiamo visto all’inizio di questo libro, un’inferenza è

9 Cfr. p. es. Popper 1979. 10

Cellucci 2006, 222.

Page 106: Inferenze Ampliative

non-ampliativa semplicemente quando la sua conclusione non

contiene nulla che non sia già contenuto nelle premesse, nel sen-

so che essa rende esplicito nella conclusione ciò che è già impli-

cito nelle premesse, dove per contenuto di una proposizione si

intende l’informazione contenuta in essa.

Dall’altra parte un’inferenza è invece ampliativa quando il

contenuto delle premesse non è già implicito ed esplicitabile nelle

premesse, e quindi esse introducono informazione che è davvero

nuova rispetto a esse, ossia nuova rispetto ai dati.

Questa distinzione si basa su una nozione di contenuto diversa

da quella adottata dalla concezione standard11, in quanto tale no-

zione non viene più espressa semplicemente e unicamente in ter-

mini proposizionali, ma sulla base della nozione di informazione

non-proposizionale, e quindi su un concetto complesso d’infor-

mazione.

Alla luce di questa caratterizzazione delle inferenze facente ri-

ferimento a una proprietà più primitiva, bisogna considerare da

una parte le inferenze deduttive come semplicemente non-

ampliative, e la proprietà della preservazione della verità come

una semplice conseguenza della non-ampliatività, e considerare

dall’altra parte le inferenze non-deduttive come semplicemente

ampliative.

Da ciò segue che, da una parte, le inferenze deduttive sono de-

finibili non come tali da preservare la verità, ma come non-

ampliative, e dall’altra parte che le inferenze non-deduttive non

come quelle le cui premesse forniscono solo qualche grado di 11 Cfr. p. es. Popper 1979.

Page 107: Inferenze Ampliative

conferma alle conclusioni, ma come ampliative. Questa caratte-

rizzazione dell’inferenza consente di render conto del ruolo svol-

to dalle inferenze nella nostra conoscenza, offrendo un ripensa-

mento degli stessi scopi della logica sia nella sua forma deduttiva

sia nella sua forma non-dedutiva.

Sulla base di tale caratterizzazione si può infatti riconsiderare

il ruolo delle inferenze deduttive e non-deduttive nel modo se-

guente:

- il ruolo delle inferenze deduttive, in quanto non-ampliative,

può essere meglio descritto non come quello di preservare, nel

corso dei passaggi inferenziali, la verità, ma piuttosto la plausibi-

lità, rendendo esplicita informazione implicita nelle premesse;

- il ruolo delle inferenze non-deduttive, in quanto ampliative,

è quello di modellare lo spazio combinatorio delle ipotesi, ossia

di trovare ipotesi adeguate alla soluzione dei problemi partendo

dalle informazioni e dai dati disponibili, ossia ipotesi plausibili.

Conseguentemente si ha che lo scopo della logica deduttiva è

quello di ottenere conclusioni plausibili da premesse plausibili,

mentre lo scopo della logica non-deduttiva è quello di fornire

strumenti per trovare ipotesi adeguate alla soluzione di problemi

partendo dai dati disponibili e dalla conoscenza esistente.

3. Ampliatività e conoscenza

Sulla base di quanto detto finora è possibile costruire un argo-

mento che mostra come l’ipotesi dell’asimmetria tra verità e am-

Page 108: Inferenze Ampliative

pliatività si riveli, in un senso preciso, difettosa e insostenibile.

Per poter stabilire la verità di una qualsiasi conclusione da un

dato insieme di premesse, bisogna infatti poter fornire una dimo-

strazione di entrambi i seguenti e nell’ordine in cui compaiono:

1) tali premesse sono vere;

2) esistono metodi che preservano questa proprietà nel corso

dei processi inferenziali.

Per poter assolvere questo compito è necessario, a sua volta,

poter individuare:

1) una fonte conoscitiva che sia certa e non ingannevole, tale

da garantire la verità delle premesse da cui segue la nostra cono-

scenza;

2) una forma di ragionamento capace di trasmettere la verità

dalle premesse alle conclusioni.

Tuttavia non è possibile soddisfare questi due obiettivi. Infatti

non è possibile soddisfare il primo e di conseguenza, come ve-

dremo, viene meno la possibilità di soddisfare anche il secondo.

Infatti, in primo luogo, non si dà qualcosa come una fonte co-

noscitiva in grado di sottrarre all’incertezza gli oggetti della co-

noscenza, ma tali fonti sono difettose e fallaci, o richiedono pro-

cedure non fattibili. Non esistono proposizioni prime immedia-

tamente vere in grado di garantire la verità della nostra conoscen-

za.

Per poter dimostrare che esiste una tale fonte, e di conseguen-

za proposizioni di questa natura, bisognerebbe infatti essere in

grado di poter fornire dimostrazione di uno dei seguenti due fatti:

- è possibile dar conto dell’esistenza di una facoltà (p. es.

Page 109: Inferenze Ampliative

l’intuizione intellettuale o sensibile) da cui scaturisce la verità di

queste proposizioni prime;

- esiste ed è fattibile una procedura atta a fissare la verità di ta-

li proposizioni.

Tuttavia, ancora, non è possibile fornire un argomento conclu-

sivo a favore di nessuna di queste due asserzioni.

Nel primo caso non è possibile dar conto di alcuna facoltà cer-

ta e indubitabile in grado di cogliere la verità di un oggetto cono-

scitivo in modo infallibile e oltre ogni ragionevole dubbio. Anzi

non solo come dimostrano gli errori prodotti dall’intuizione sen-

sibile e intellettuale in diversi ambiti scientifici tali fonti conosci-

tive sono difettose e ingannevoli, ma la loro giustificazione si

basa su argomentazioni circolari12.

Il secondo caso invece è leggermente diverso, in quanto è una

questione che ammette almeno in linea di principio una soluzio-

ne. Infatti c’è una procedura in grado di fissare la verità di una

proposizione o un insieme di proposizioni: la verifica di tutte le

sue conseguenze. Se tutte le proposizioni Pn che seguono da una

data proposizione A sono vere, allora A sarà vera.

Tuttavia anche se in linea di principio questo è un compito

possibile, non è umanamente fattibile. A conforto di questa asser-

zione si può addurre un risultato che è una semplice conseguenza

del teorema d’incompletezza di Gödel. Esso asserisce che il nu-

mero di Gödel delle conseguenze logiche dell’aritmetica di Peano

del secondo ordine non è ricorsivamente enumerabile. Dunque,

poiché non esiste una procedura algoritmica per assolvere questo 12

Cfr. Cellucci 2006, par. 2.

Page 110: Inferenze Ampliative

compito, allora a maggior ragione esso non è fattibile all’interno

dei limiti dell’universo fisico a noi noto.

Dobbiamo pertanto concludere che non disponiamo di un mo-

do per poter decretare se le premesse da cui dipende la nostra

conoscenza siano vere. Esse sono tuttavia plausibili, nel senso di

compatibili con i dati esistenti, e tale risulta dunque essere la co-

noscenza che segue da esse, la quale è sempre provvisoria e falli-

bile. Ciò vale per tutte le forme di conoscenza, compresa la ma-

tematica. Le premesse da cui dipendono i suoi risultati non sono

affatto certe e vere, ma hanno uno statuto e una esistenza ipotetici

e plausibili nel senso appena specificato, che le assimila a tutte le

altre forme di conoscenza scientifica.

Dunque la matematica non è in discontinuità con le altre for-

me di conoscenza, ma ha esattamente lo stesso statuto epistemo-

logico, dà accesso allo stesso tipo di conoscenza (che è poi la co-

noscenza scientifica in generale).

Anche se quanto dimostrato è sufficiente a stabilire la non so-

stenibilità della tesi dell’asimmetria tra ampliatività e verità, af-

fronto ora brevemente il secondo punto del programma, ossia

l’individuazione di forme di ragionamento in grado di preservare

la verità, e mostro come anche questo obiettivo sia irrealizzabile.

La preservazione della verità, come abbiamo visto, non è una

proprietà primitiva dell’inferenza, ma discende dalla ampliatività

ed è dunque inadeguata a renderne conto. Inoltre mentre la giusti-

ficazione dell’inferenza fornita dal punto di vista standard richie-

de la nozione di verità e si basa su argomentazioni circolari13, la 13

Cfr. ancora Cellucci 2006, par. 2.

Page 111: Inferenze Ampliative

giustificazione di carattere contenutistico adottata in questa anali-

si si basa sulla plausibilità, ed è motivata dal ruolo che le inferen-

ze svolgono all’interno della conoscenza.

Le inferenze deduttive, infatti, sono giustificate non perché

preservano la verità, ma perché preservano la plausibilità, perché

a partire da ipotesi plausibili non fanno altro che esplicitare

l’informazione contenuta in essa.

Il ragionamento deduttivo non può essere caratterizzato, come

fa per esempio Polya, semplicemente come preservante la verità,

poiché le premesse sulle quali è basata la nostra conoscenza non

sono vere ma solo plausibili: le inferenze deduttive non preserva-

no la verità perché non c’è alcuna verità da preservare, ma solo la

plausibilità. La giustificazione delle inferenze deduttive, dunque,

è semplicemente una conseguenza della loro non-ampliatività.

Infatti «la loro conclusione è una mera riformulazione del conte-

nuto delle premesse e, pertanto, se le loro premesse sono compa-

tibili con i dati esistenti, tale sarà anche la conclusione»14. Ciò

non toglie nulla alla loro utilità, in quanto il processo di riformu-

lazione del contenuto delle premesse può rendere esplicita infor-

mazione che è solo implicita nelle premesse e ciò permette di

facilitare «il confronto delle premesse con i dati esistenti, e quin-

di stabilendo la loro plausibilità, esaminando le loro conseguen-

ze»15.

Dall’altra parte le inferenze non-deduttive sono giustificate in

virtù del fatto che permettono di trovare ipotesi per risolvere pro-

14

Cellucci 2006, 227. 15

Ibid.

Page 112: Inferenze Ampliative

blemi a partire dai dati disponibili e dalla conoscenza esistenza.

Sebbene sia ovvio che nulla è in grado di garantire che le ipotesi

così trovate siano plausibili, in quanto le inferenze non-deduttive

possono essere - e sono - fonti di falsità, solo le inferenze non-

deduttive permettono di trovare ipotesi, tra le quali bisognerà ef-

fettuare una scelta mediante un’attenta valutazione delle ragioni a

favore e le ragioni contro ognuna di esse.

Pertanto sia le inferenze deduttive sia quelle non-deduttive

non sono in grado di produrre conoscenza di per sé, dal loro in-

terno per così dire. Nel caso delle inferenze deduttive, per poter

valutare la plausibilità delle loro premesse è necessario procedere

ad una comparazione con la conoscenza esistente, e quindi con

qualcosa di esterno a esse. Nel caso delle inferenze non-

deduttive, una volta prodotte le ipotesi a partire dai dati disponi-

bili, è necessario valutarne la plausibilità, ossia compararle con la

conoscenza esistente, quindi, ancora, con qualcosa di esterno a

esse. Sulla base di ciò possiamo osservare che le inferenze dedut-

tive sono giustificate nel senso in cui lo sono le inferenze non-

deduttive, «ossia mediante una giustificazione esternalista, che fa

riferimento al loro ruolo nella conoscenza e quindi alla realtà»16.

Dunque le conoscenze che scaturiscono da queste forme di in-

ferenza non sono essenzialmente differenti e non possono essere

poste su piani di alternatività o subordinazione.

Sulla base di questa caratterizzazione sia della nozione di infe-

renza sia della nozione di plausibilità viene a cadere l’asimmetria

e l’eterogeneità tra verità e ampliatività, e, con essa, l’illusione di 16

Ivi, 232.

Page 113: Inferenze Ampliative

una conoscenza al riparo da ogni forma di dubbio o incertezza.

L’ampliatività, pertanto, non fa altro che esibire il carattere più

profondo dell’impresa conoscitiva dell’essere umano, eviden-

ziandone tutti i rischi e le debolezze.

Tutte le nostre premesse sono incerte, provvisorie e plausibili

e i nostri metodi sono al massimo in grado di preservare tale

plausibilità e quindi non sottraggono in modo definitivo nessun

oggetto conoscitivo all’incertezza e al dubbio.

Pertanto non esistono inferenze che danno accesso a cono-

scenze certe, contrapposte a conoscenze solo plausibili cui si ar-

riva per via ampliativa, ma tutte le nostre conoscenze sono incer-

te e al massimo plausibili, nel senso che ogni nostra teoria è un

insieme di ipotesi plausibili, non vere.

Ed è per questo motivo che tali conoscenze sono sempre su-

scettibili di nuove rappresentazioni e di un processo di moltipli-

cazione dei punti di vista intorno ai loro oggetti: è sempre possi-

bile organizzare e codificare i dati e le informazioni che essi vei-

colano in modi nuovi, che producono nuove rappresentazioni che

possono essere messe in relazione con la conoscenza di cui di-

sponiamo.

Quindi non solo nulla può metterci al riparo dalla possibilità

che esse si rivelino false, ma soprattutto esimerci dal compito di

incessante ricerca e approfondimento delle ipotesi che sostengo-

no le nostre conoscenze e che dobbiamo essere pronti a rivedere

e, quando è il caso, abbandonare.

È opportuno sottolineare che il dissolvimento della nozione di

verità quale strumento per caratterizzare la conoscenza, e

Page 114: Inferenze Ampliative

l’utilizzo in suo luogo di quella di plausibilità, non implica lo

scetticismo, ossia l’idea che la conoscenza non sia possibile. Né

implica un anything goes, l’assunzione di una posizione alla Fe-

yerabend.

La concezione euristica è molto più semplicemente il risultato

di una posizione che riconosce che la nozione di verità non gioca

un ruolo decisivo all’interno dei processi che producono nuova

conoscenza e che ne consentono l’ampliamento e l’avanzamento.

Non a caso la nozione di verità, nelle varie forme in cui è pensata

storicamente e concettualmente, non è uno strumento adeguato a

fornire una spiegazione della conoscenza e della ricerca scientifi-

ca. Essa non solo non riesce a render conto dei principali stru-

menti della conoscenza (come l’inferenza), ma si è anche rivelata

inessenziale ai fini della nascita e dello sviluppo della scienza

moderna17. La plausibilità invece gioca un ruolo decisivo e attivo

nella conoscenza, perché fornisce strumenti per valutare, estende-

re e raffinare le ipotesi che sostengono la conoscenza.

L’ampliatività non è dunque un surrogato o un semplice corre-

lato della verità, uno strumento da utilizzare provvisoriamente in

luogo della verità fino a quando essa non possa venir determina-

ta, ma è l’obiettivo principale della conoscenza umana, l’oggetto

della continua tensione e dello sforzo conoscitivo dell’uomo.

L’affermazione che la conoscenza è plausibile e non vera non

richiede di sostenere la tesi che la conoscenza non sia possibile,

ma si basa semplicemente su una diversa caratterizzazione dei

17

Per un’analisi delle varie forme in cui la nozione di verità è stata pensata e della sua

irrilevanza per lo sviluppo della scienza moderna cfr. Cellucci 2008.

Page 115: Inferenze Ampliative

Inferenze ampliative

115

suoi oggetti. Essa richiede invece di abbandonare l’idea che esista

qualcosa, come la verità appunto, in grado di sottrarre definiti-

vamente la conoscenza a ogni ragionevole dubbio e riconosce

l’incertezza come costitutiva e ineliminabile di ogni nostra cono-

scenza, sviluppando e perfezionando strumenti per gestirla e limi-

tarla.

L’incertezza, la provvisorietà e la fallibilità delle conclusioni

prodotte dalle inferenze ampliative non producono una conoscen-

za surrogata, o una assenza di conoscenza, ma sono il prodotto di

un pensiero che ha raccolto e raccoglie ogni volta la sfida cono-

scitiva che i nostri limiti ci pongono di fronte, limiti che le infe-

renze ampliative contribuiscono a superare, a tentare continua-

mente di espandere.

Page 116: Inferenze Ampliative
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