Inediti - Maria Rosaria Madonna

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Inediti - Maria Rosaria Madonna poesie inedite con nota di Giorgio Linguaglossa

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Maria Rosaria Madonna

Inediti

Poesia 2.0, 2012

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Titolo: Inediti Testi di: Maria Rosaria Madonna Fonti: Inediti Il presente documento non è un prodotto editoriale ed è da intendersi a scopo illustrativo e senza fini di lucro. Tutti i diritti riservati all’autore. Poesia2.0

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Nota introduttiva Presento qui una scelta di poesie di Maria Rosaria Madonna, nata a Palermo nel 1947 e morta nel 2002. In vita ha pubblicato un solo libro, Stige nel 1992. Alcuni suoi inediti uscirono nel 1998 nel n. 28 del quadrimestrale di letteratura «Poiesis». Di Madonna ho scritto a più riprese parlando della sua poesia come una delle maggiori del Novecento. Attualmente sono alla ricerca di un editore disposto a pubblicare Tutte le poesie (1985-2002). Nel frattempo, il modo migliore per ricordare la poetessa scomparsa è far conoscere in qualche modo la sua poesia. Nel mio libro Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana (1945-2010) (EdiLet, Roma, 2011 pp. 400), scrivo: «L’importanza della poesia di Maria Rosaria Madonna della quale è stata pubblicata soltanto la raccolta Stige (1992), altre poesie postume sono state pubblicate nel numero 34/35 di «Poiesis» nel 2006, la possiamo apprezzare adeguatamente se la consideriamo come spartiacque della poesia monadologica, erede ad un tempo della tradizione

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modernista e dell’anti-tradizione del post-sperimentalismo. Nella poesia di Madonna le due tradizioni vengono a fondersi in una koiné originalissima, uno “pseudolatino” “davvero originale e ispirato” come scrive Amelia Rosselli nella prefazione al volume. Già nel 1992 nella nota in premessa al volume, parlavo di “impressionismo degli elementi astratti”, con “una vigorosa opera di sfrondamento di tutto ciò che è realtà empirica, una sottrazione di ogni realtà individuale-esistenziale. Leggendo queste poesie noi non ci chiediamo il perché della sofferenza, non ci importa, godiamo soltanto dei paesaggi astratti, degli accadimenti stilizzati. La materia della vita è stata interamente plasmata dal processo di stilizzazione, di distillazione. Il pubblico al quale questa sottile lirica si riferisce è un pubblico astratto, verosimilmente inesistente, un pubblico dal quale è scomparso il bisogno di interrogarsi sugli avvenimenti della lirica, forse per eccesso di sangue, per eccesso di realtà, per eccesso di potenza dei nostri organi ricettivi, così che non siamo più in grado di recepire le onde hertziane come i raggi ultravioletti. L’essenza di questa come della nuova lirica sembra essere la prevalenza del fuggevole sul durevole, dell’effimero sullo stabile… è una poesia che accoglie il silenzio come unica condizione di esistenza, una poesia che non tende all’autenticità, ormai dissolta nel mondo ed inutilizzabile al pari di un reperto di ingegneria del neolitico”.

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L’aspetto profondamente innovativo è nell’aver ideato una combustione a caldo di una linguisticità artificiale e nella velocità iperbolica delle connessioni lessematiche e fonologiche, tale da renderci una poesia ad altissima tensione metaforica e iperbolica, una esperienza linguistico-emotiva assolutamente singolare ed originale nel panorama della poesia italiana contemporanea».

Giorgio Linguaglossa

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da STIGE (1992)

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Veniat sua jurisdictione terribilis Supra mea culpa tollita, veniat Sua maledictione supra mea carne bollita, veniat Arcangelo superno supra mea jocundissima ferita, veniat mea glabra infernalia supra infermità condita, veniat mea liquidissima suspicione supra intentione amarissima, veniat asprissima dipartita post meo iocundo delitto.

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Si cum tuo licore nel mio core versato, si cum tuo livore sul mio onore posato, si cum tuo stiletto in mio diletto infernato, si cum tua malia in mia regalia instanato, si cum mea trebile ardua Canossa supra tue ossa annerato, sic transeat mea amaritudo. Interceda tunc lux sancta et benefica affinché lo mattino more ustorio vampa infuocata discacci l’ombra e mora lo demonio dello inferno! io sempiterno dolzore amo e rinsavisco e marcisco e porto lo crocefisso sulle spalle leggero come l’albero di betulla

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INEDITI (1992-2002)

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Il merlo gracchiò sul frontone d’un tempio pagano il mare sciabordando entrò nel peristilio spumoso e le voci fluirono nella carta assorbente d’una acquaforte. E lì rimasero incastonate. Due monete d’oro brillavano sul mosaico del pavimento

dove un narciso guardava nello specchio d’un pozzo la propria immagine riflessa e un satiro danzante muoveva il nitore degli arabeschi e degli intarsi.

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È un nuovo inizio. Freddo feldspato di silenzio. Il silenzio nuota come una stella e il mare è un aquilone che un bambino tiene per una cordicella. Un antico vento solfeggia per il bosco e lo puoi afferrare, se vuoi, come una palla di gomma che rimbalza contro il muro e torna indietro.

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Con rumore di carrucola venne giù il temporale. Città lituana, nitida e trasparente come un merletto di Murano.

«Ricordi?»; «sì, la ricordo come un altoparlante che abbia inghiottito la voce… non più di un secolo di luce fa. Forse più, forse meno…».

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Sono arrivati i barbari «Sono arrivati i barbari, console! - dice un messaggero

che è giunto da luoghi lontani - sono già alle porte della città!». «Sono arrivati i barbari!», gridano i cittadini nell’agorà. «Sono arrivati, hanno lunghe barbe e spade acuminate e sono moltitudini», dicono preoccupati i cittadini nel Foro.

«Nessuno li potrà fermare, né il timore degli dèi né l’orgoglio del dio dei cristiani, che del resto essi sconoscono…». E che farà adesso il console che i barbari sono alle porte? Che farà il gran sacerdote di Osiride? Che faranno i senatori che discutono nel senato con il mantello bianco e le dande di porpora? Che cosa chiedono i cittadini di Costantinopoli al console? Chiedono salvezza? Lo imploreranno di stipulare patti con i barbari? «Quanto oro c’è nelle casse?» chiede il console al funzionario dell’erario «e qual è la richiesta dei barbari?». «Quanto grano c’è nelle giare?» chiede il console al funzionario annonario «e qual è la richiesta dei barbari?». «Ma i barbari non avanzano richieste, non formulano pretese»

risponde l’araldo con le insegne inastate. «E che cosa vogliono da noi questi barbari?», chiedono i senatori al console. «Chiedono che gli si aprano le porte della città senza opporre resistenza» risponde il console avvolto nella sua toga scarlatta. «Davvero, tutto qui? – si chiedono stupiti i senatori – e non ci sarà spargimento di sangue? Rispetteranno le nostre leggi?

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Che vengano allora questi barbari, che vengano… Forse è questa la soluzione che attendevamo. Forse è questa».

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La luna splende di un lilla sempre più tenue un cono di luce intenso e fragile. Io sono nuda davanti allo specchio. Sono l’amante del Faraone, le ancelle mi preparano all’udienza con il dio vivente. La sfera della luna rotola nel cielo come un carro trainato da schiavi fenici. Forse anch’io sono intensa e fragile. Tra me e il dio c’è una distanza d’aria. C’è soltanto aria che puoi toccare come una palla da basket.

Tra me e il dio non ci sono parole. Non c’è bisogno di parole. Isotopi delle parole i sospiri come ondate successive di un mare sconosciuto.

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Era lì, sotto una pila di giornali vecchi, album, atlanti in disuso. Una lettera, la calligrafia minuta, assiepata, disordinata, irregolare come di chi abbia fretta di prendere l’autobus; mi dicevi, tra le altre cose, che avevi dimenticato gli occhiali in frigorifero, le chiavi di casa nell’oblò della lavatrice e altre sciocchezze senza importanza. C’era scritto che eri andato in America (una sorta di esilio!) e che lì avevi preso una moglie americana e poi eri ritornato da dove eri partito. «Beh, davvero un bel periplo», mi sono detta… tra l’altro, c’era scritto che lavoravi per i servizi segreti di non so quale nazione e altre corbellerie… «Sei sempre stato un buffone», ho pensato. In fondo alla lettera c’era una cancellatura: tutto un rigo. «Ecco, tutte quelle parole cancellate! – mi sono chiesta – che cosa c’è dietro, sotto le parole che tu non volevi far vedere? E perché? Perché?».

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Sai, nel dottor Zivago c’è il protagonista chiuso nella casa gelida immersa nella neve… fuori delle finestre l’ululato dei lupi. È un poeta. – che cosa fa? – fa quello che fanno tutti i poeti: scrive poesie. Scrive poesie, poesie, poesie. Si deve sbrigare perché tra poco le guardie rosse lo verranno a prendere. Davvero, c’è così poco tempo per scrivere poesie.

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Dicono i più che la poesia debba attingere al dizionario delle parole morte. Ecco, ci sono parole impossibili: – difficili da pronunciare – una di queste è anima altre sono: amore, cuore, dolore – con annesse rime – altre ancora: bello, brutto, sole, primavera, mare azzurro... (con tutto ciò che di sordido c’è al loro interno… ) e poi… numerose altre: infinito, empireo, angeli cherubini farseschi, santità, diavoli… ma sarebbe ben lungo l’elenco. Se tu lettore vuoi sincerartene non c’è che aprire a caso il dizionario delle parole morte e gettarci un’occhiata.

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Tutto questo favellare, tutto questo balbo balbutire, mi è ostico - lo capisci? La lingua dei famuli - lo capisci? La detesto.

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In quella posizione del quadrante tra la lancetta delle ore e quella dei minuti è convenuto il destino con la sua strada ferrata dove passano i convogli dei treni merci.

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C’è chi dice che il mondo sarà salvato dai ragazzini c’è chi dice che sarà salvato dai santi c’è chi dice che il mondo sarà salvato da una poesia… Io invece penso che il mondo non sarà salvato affatto. Non ci sarà nessuno a salvare il mondo. E questa sarà la sua salvezza.

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Gli angeli sono come gli uccellini volano via al primo battere delle mani, i dèmoni invece stanno immobili appollaiati sui rami degli alberi emettono il loro singhiozzo disperato. Essi non possono fuggire… maledetti dall’eternità sono condannati a star fermi. Per sempre.

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Ci sono parole che dormono il loro sonno eterno e non è bene svegliarle. Ci sono altre parole invece che improvvisamente risorgono a vita nuova dopo un sonno eterno… magari in un’altra lingua, un altro mondo… E questa è la vera resurrezione della carne… la sola, unica e vera.

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Tu mi chiedi ancora una volta di tornare al nostro problema principe: «quale sia l’origine del male». «Ebbene, ed io ti rispondo che se al male aggiungiamo altro male e al bene aggiungiamo altro bene, non per questo avremo più male o più bene, ma ciò non deve farci recedere di un millimetro dal nostro proposito». Sì, mio caro lettore, dobbiamo amare le stelle e andare a passeggio con Dante e i personaggi del suo Inferno piuttosto che tra i beati del Paradiso. Sì, mio stimato lettore, il male esiste e resiste a tutte le intemperie… Ed ora un aneddoto. Sai come si salvò un tenente italiano fatto prigioniero dai tedeschi? All’ufficiale della Wermacht che lo interrogava rispose recitando il primo canto della Commedia… parlava senza fermarsi della selva oscura che nel pensiero rinnova la paura e delle tre fiere che gli sbarravano il passo… E così si salvò dalla deportazione in un lager. Dunque, è vero, stimato amico lettore che la poesia salva la vita e riscatta il mondo e sono nel falso e nella menzogna coloro che dicono altro. Tienilo a mente, o lettore, tu che sei saggio e sai distinguere la verità dalla menzogna. E così sia.

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