INDIPENDENZA ! N - dosselli.it · do ciò come diritto alla libertà; si festeggia la sconfitta...

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n.39 ANNO VII QVADERNI DI STORIA 31/05/2009 INDIPENDENZA ! N.12 Prefazione di Filippo Giannini Francesco Fatica, Maurizio Barozzi (da “Rinascita”), Manlio Sargenti ( da “Repubblica Sociale” 1944), Anonimo, B.n. Angelo, Antonio Pennacchi (da”Fascio e Martello, viaggio per le città del Duce”), Alessandro Mezzano, e una nota di Merimar sui fatti in terra afghana 1

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n.39 ANNO VII QVADERNI DI STORIA 31/05/2009

INDIPENDENZA !N.12

Prefazione di Filippo GianniniFrancesco Fatica, Maurizio Barozzi (da “Rinascita”), Manlio Sargenti ( da “Repubblica

Sociale” 1944), Anonimo, B.n. Angelo, Antonio Pennacchi (da”Fascio e Martello, viaggio per le città del Duce”), Alessandro Mezzano,

e una nota di Merimar sui fatti in terra afghana

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Prefazione

Prima di raccontarvi la guerra, cioè l’epilogo consequenziale le manovre del Grande Capitale Apolide, dedichiamo questo Qvaderno a cercare (i tentativi di spiegazione del Fascismo hanno riempito migliaia di libri, e quindi noi cerchere-mo di darvene alcune pennellate senza pretendere di esaurire il tema) di rac-contarvi cosa fu il Fascismo, cosa si agitò in esso, e quali furono le aspirazioni di Benito Mussolini e di chi con fede ed idealismo continuò a credere nella sua rivoluzione e morì con lui per esse; e anche di chi ostacolò il suo progetto e di chi lo tradì. E infine perché, insieme al Nazionalsocialismo tedesco, venne com-battuto dalla grande finanza e perché, ancora oggi, il suo ricordo viene tanto te-muto dal potere.A differenza del solito, lascerò la prefazione ad un uomo che si distingue spes-so per lucidità di analisi e sempre per coerenza ideale, Filippo Giannini. Il suo ritratto del mondo moderno ci pare perfetta ad introdurre un numero dedicato ad un altro mondo, quello fascista, quello che alcuni uomini (e non solo in Italia) cercarono di costruire, seguendo dei principi e non delle convenienze. Ma prima della prefazione, le parole di Mussolini pochi giorni prima di morire; un piccolo stralcio dall’intervista che rese ad un giornalista alessandrino, Gian Gaetano Cabella, il 20 aprile 1945:

“ (…)Ho qui delle tali prove di aver cercato con tutte le mie forze di im-pedire la guerra che mi permettono di essere perfettamente tranquillo e sereno sul giudizio dei posteri e sulla conclusione della storia. Ricordatevi bene: abbiamo spaventato il mondo dei grandi affaristi e dei grandi speculatori. Essi non hanno voluto che ci fosse data la possi-bilità di vivere. (…) Ezio Sangalli “Quando una città retta da democrazia si ubriaca, con l’aiuto di cattivi coppieri, di libertà, confondendola con la licenza, salvo a darne poi colpa ai capi accu-sandoli di essere loro i responsabili degli abusi e costringendoli a comprarsi l’impunità con dosi sempre più massicce d’indulgenza verso ogni sorta d’illega-lità e di soperchieria; quando questa città si copre di fango accettando di farsi serva di uomini di fango per poter continuare a vivere e ad ingrassare nel fan-go; quando il padre si abbassa al livello del figlio e si mette, bamboleggiando, a copiarlo perché ha paura del figlio, quando il figlio si mette alla pari del padre e, lungi dal rispettarlo, impara a disprezzarlo per la sua avidità; quando il cittadino accetta che, da dovunque venga, chiunque gli capiti in casa possa acquistarsi 2

gli stessi diritti di chi l’ha costruita e c’è nato; quando i capi tollerano tutto que-sto per guadagnare voti e consensi in nome di una libertà che divora e corrom-pe ogni regola ed ordine; c’è da meravigliarsi che l’arbitrio si estenda a tutto e che dappertutto nasca l’anarchia e penetri nelle dimore private? In un ambiente siffatto, in cui il maestro teme ed adula gli scolari e gli scolari non tengono in alcun conto i maestri; in cui tutto si mescola e confonde; in cui chi comanda finge, per comandare sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarne tutti i vizi; in cui la demagogia dell’ugua-glianza rende impraticabile qualsiasi selezione, ed anzi costringe tutti a misura-re il passo sulle gambe di chi le ha più corte; in un ambiente siffatto, diciamo, pensate voi che il cittadino accorrerebbe in armi a difendere la libertà, quella li-bertà, dal pericolo dell’autoritarismo? Ecco, secondo noi, come nascono e donde nascono le tirannidi. Esse hanno due madri. Una è l’oligarchia quando degenera, per le sue lotte interne, in sa-trapia. L’altra è la democrazia quando, per sete di libertà e per l’inettitudine dei suoi capi, precipita nella corruzione e nella paralisi. Allora la gente si separa da coloro cui fa colpa di averla condotta a tanto disa-stro e si prepara a rinnegarla prima con sarcasmi, poi con la violenza, che della tirannide è pronuba e levatrice. Così muore la democrazia: per abuso di se stessa. E prima che nel sangue, nel ridicolo”. Queste sono parole, scritte e pronunciate oltre 2.400 anni fa, da uno dei più grandi filosofi dell’umanità: il greco Platone. Chiediamo perdono al grande filo-sofo se, parafrasiamo il suo pensiero e lo facciamo nostro per riportarlo, quasi per intero, ai tempi nostri: quando ai giovani presentiamo un maramaldo e lo indichiamo come eroe e si condanna l’eroe tacciandolo per maramaldo; quando al giovane poniamo come meta assoluta il raggiungimento, con qualsiasi mezzo, della ricchezza; quando si deridono i doveri e si preten-dono tutti i diritti; quando ad un giovane esaltiamo le capacità di guada-gno di una prostituta, deridendo, di contro, il lavoro onesto; quando si confonde la solidarietà con la furbizia o l’imbecillità; quando gli stessi go-vernanti si vantano delle loro omosessualità e la trasformano in virtù; quando si permette di deridere il sacrificio di Cristo e dei martiri, avocan-do ciò come diritto alla libertà; si festeggia la sconfitta della propria Patria e di ciò si rende grazie al nemico; quando noi europei rinunciamo alla no-stra millenaria civiltà per accettare il rozzo e spaccone e immorale ameri-can style of living; quando si confonde il tradito con il traditore; quando si esaltano gli scempi compiuti sui cadaveri; quando tutto questo (e tanto altro ancora) si verifica, allora dobbiamo essere pronti ad accettare, anzi propugnare qualsiasi soluzione. Chi legge queste note forse ricorderà l’allegoria proposta da Platone, quella dello schiavo incatenato in una caverna con il volto rivolto perennemente verso il fondo. Egli vedrà riflesse le ombre del mondo esterno contro la parete, e per

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lui, che solo quelle ombre può vedere, soltanto quelle sono il mondo esterno, il mondo reale. Se riportiamo questa allegoria al tempo di oggi, non possiamo non osservare che per i giovani, che sono perennemente incatenati non in una caverna, ma di fronte ad un apparecchio televisivo, per loro, parimenti al povero schiavo, quel-lo che osservano e ascoltano è il mondo reale. Sicché da anni, il concetto di estetica, di valore, di virtù, di doveri, come noi li conoscevamo, tutto questo si è capovolto, è naufragato. E i giovani conoscono e si riconoscono nella violenza (Rambo insegna), corruzione, droga, godimento sfrenato, la virtù dell’omoses-sualità, la civiltà del dollaro, l’ambizione dei bambini di una certa area della pe-nisola di divenire capi mafiosi; e tanto, ma tanto altro ancora. D’altra parte que-ste sono le ombre che vengono propinate alla nostra gioventù, non più verso una parete di una grotta, ma dallo schermo della televisione. Ma l’effetto è lo stesso. Ecco, allora, spiegato i perché e i come è possibile dei fatti di Novi Ligu-re, quelli di Pietro Maso, o quello dei fidanzatini Doretta Graneris e Guido Badi-ni e di tanti altri simili. E noi dovremmo rimpiangere il crollo di un simile sistema? L’europeo che ha accettato di far entrare nelle proprie case l’american style of living, origine di tutte le nefandezze sopra denunciate, dovrebbe ricordare l’ammonimento del santone iraniano, Khomeini che, poco prima di morire ammonì: <La residenza di Satana è a New York>. Aveva tutti i torti? Filippo Giannini

Il mito dell’ “uomo nuovo” del Fascismo a Napoli e in Italia

Celebrando la Marcia su Roma il 28 otto-bre 1926, Mussolini aveva affermato la ne-cessità di rigenerare gli italiani «creeremo l’“italiano nuovo”, un italiano che non rasso-miglierà a quello di ieri. Poi verranno le ge-nerazioni di coloro che noi educhiamo oggi e creiamo a nostra immagine e somiglianza: le legioni dei balilla e degli avanguardisti»1. Tornò varie volte sull’argomento; il 14 no-vembre 1933 scriveva: «L’ideale del super-capitalismo sarebbe la standardizzazione del genere umano dalla culla alla bara. Il supercapitalismo vorrebbe che tutti gli uomini nascessero della stessa lunghezza, in modo che si potessero fare delle culle standardizzate; vorrebbe che i bambini desiderassero gli stessi giocattoli, 1 Benito Mussolini, Opera Omnia, La Fenice, Firenze, 1963, vol. XXII, p. 246.4

che gli uomini andassero vestiti della stessa divisa, che leggessero tutti lo stes-so libro(….)Oggi noi seppelliamo il liberismo economico. Noi abbiamo respinto la teoria del-l’uomo economico, la teoria liberale, e ci siamo inalberati tutte le volte che ab-biamo sentito dire che il lavoro è una merce.L’uomo economico non esiste, esiste l’Uomo integrale che è politico, che è eco-nomico, che è religioso che è guerriero».2

Seguendo questa linea di impegno rigeneratore il Fascismo si era imposto un ampio progetto di rivoluzione antropologica per creare l’“italiano nuovo”, un pro-getto di rivoluzione totale: spirituale, culturale e politica, per abbattere il regime liberale egoistico e asociale, degenerato e corrotto dalle pratiche di compro-messo, e di clientelismo, per eliminare l’individualistico coltivare il proprio «par-ticulare» dell’“uomo del Guicciardini”: impresa ardua, come aveva riconosciuto, già ancora prima, Francesco De Sanctis, perché «la razza italiana non è anco-ra sanata da questa fiacchezza morale, e non è ancora scomparso dalla sua fronte quel marchio, che ci ha impresso la storia, di doppiezza e di simulazio-ne».Il difficile sforzo del Fascismo per rigenerare il carattere nazionale partiva quindi dalla rieducazione del popolo, sia attraverso una attenta e ben studiata propa-ganda, usando anche strumenti efficaci come la radio, il cinema, il teatro di massa3, sia, in particolare, rivolgendosi ai giovani le cui coscienze più facilmen-te potevano accogliere le impronte delle nuove idee, e questo avveniva a Napoli e in tutta la Campania, come avveniva in tutta Italia. In un rinnovato clima di unitarietà si inseriva, ovvia-mente, la lotta ad ogni deteriore forma di campa-nilismo. In seguito fu creato il ministero della Cultura popolare, (maggio 1937) che si impegnò nella difficile impresa di una vera e propria ri-strutturazione del carattere nazionale anche rifa-cendosi al modello suggestivo e trainante della romanità imperiale – cosa da molti oggi criticata sarcasticamente come “romanità di cartapesta” - che trovava però materialmente a Napoli e in tutta la Campania un rifiorire di at-tività archeologiche che davano tono alla propa-ganda e contribuivano a rialzare il prestigio della Nazione nel mondo, ma arricchivano anche il pre-stigio di Napoli. Bisogna però aggiungere che il mito della romanità era concepito e interpretato dal Fascismo come un mito d’a-zione per il futuro, come modello di organizzazione in cui l’uomo si identificava 2 Benito Mussolini, scritti da “Dottrina del Fascismo”, vol. VIII, pag.259 sgg. Dopo la crisi del 1929, l’“italiano nuovo” avrebbe salvato i popoli dell’Occidente dal pericolo di degenerazione.3 Per portare il teatro nei piccoli centri si faceva circolare il cosiddetto “Carro di Tespi”.

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Emilio Gentile, storico e scrittore di fama interna-

zionale.

con lo Stato e dallo Stato riceveva il significato e il senso della sua esistenza in-dividuale. Ha scritto Emilio Gentile: «Il mito dell’“italiano nuovo”, come aspetto propriamente nazionale del mito palingenetico dell’”uomo nuovo”, non fu un espediente della propaganda fascista, ma era fortemente radicato nella cultura di Mussolini e del fascismo». E ancora: «Questo mito, anche quando si richia-mava alla romanità, non aveva nulla di tradizionalista, ma era, al contrario, pret-tamente modernista. Il mito dell’“italiano nuovo”, infatti, era associato a quel che ho chiamato il mito della “conquista della modernità”, intesa come aspira-zione della nazione italiana a raggiungere e superare le nazioni più sviluppate e progredite»4.

Capitale importanza si diede quindi all’educazione dei giovani. In questo campo il Fascismo si mostrò intransigente e integralista, specialmente nei confronti dell’Azione cattolica, temibile organizzazione capillare concorrente, ma gli scre-zi che pure avvennero a Napoli, come in tutta Italia, furono appianati dal mo-mento in cui, con i Patti Lateranensi, lo Stato si impegnò a finanziare largamen-te la Chiesa, sia come strumento dell’organizzazione di consenso, ma anche ri-conoscendole una funzione educativa e moralizzante. A Napoli, con l’oculata, e per tanti versi patriottica, presenza del cardinale Ascalesi, le due organizzazioni concorrenti riuscirono a convivere serenamente. Il Partito Nazionale Fascista

usava largamente una litur-gia parallela, una religiosità laica della nazione e dello Stato5. Le parate, le aduna-te, la mobilitazione delle masse, le divise, le bandie-re, i gagliardetti, le bande musicali, erano tutte manife-stazioni di una teatralità par-tecipata, che ben si confa-ceva al carattere passionale del popolo campano e spe-cialmente di quello napole-tano.

Per inquadrare i giovani fu creata, in un primo momento, l’Opera Nazionale Ba-lilla (ONB), che nell’ottobre 1937 fu riordinata, potenziata e rinominata Gioventù Italiana del Littorio (GIL). In Campania e soprattutto a Napoli, furono realizzati edifici per la gioventù, palazzine per la Gil, (un bell’esempio di architettura, an-cora funzionate, anche se purtroppo oggi destinato al servizio della Nato, è il monumentale palazzo della Gil di Bagnoli, L’ex Collegio “Costanzo Ciano”6; al-tro esempio di buona architettura tra tanti è l’edificio della “colonia di Agerola”). 4 Emilio Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 242.5 Giordano Bruno Guerri nel suo “Fascisti”, (Mondadori, 1996) traccia un’acuta e con-vincente interpretazione del fascismo in chiave di "sacralizzazione della politica".6

Saggio ginnico della GIL, il 25 maggio 1941 al Foro Mussolini.

Ma ovviamente furono costruiti anche edifici scolastici, impianti sportivi, collegi, palestre. I saggi ginnici negli stadi, i campeggi, lo sport di massa , i “Ludi Iuveniles”, i “Lit-toriali”, le “colonie” marine e montane, con il loro aspetto coreografico, ludico e liturgico, servirono ad amalgamare e irreggimentare le energie e le intelligenze giovanili e ad entusiasmare le masse mobilitate per assistervi. A Napoli, in Campania, in tutto il Meridione fervevano le attività, era sempre più raro incon-trare per strada uno scugnizzo dedito a qualche faccenda illecita; l’obbligo della frequenza delle scuole venne fatto rispettare con le buone o con le cattive e consolidato; il lavoro minorile non era più tollerato, vennero fondate istituzioni per la rieducazione dei minori, per ospitare l’infanzia abbandonata. Fu fondata l’ONMI, l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia per la tutela e l’assistenza della madre e del fanciullo e si organizzò l’Opera Nazionale Dopolavoro (OND) per programmare un sano tempo libero per i lavoratori, educandone nel contempo le coscienze in senso fascista. Si curò in modo particolare lo sviluppo del carat-tere ardimentoso dei giovani, educandoli alla disciplina civile ed a operante mili-zia. Il “mito della giovinezza” postulava l’esistenza di peculiari qualità rigenera-trici delle nuove generazioni: i giovani come nuova classe dirigente, la nuova aristocrazia, avanguardia dei nuovi italiani “costruttori dell’avvenire”7. Ma è pur vero che ci furono, tra i fascisti, anche intellettuali reazionari e tradizionalisti le-gati ai valori classici di Dio, Patria e famiglia, modelli che «si adattavano alla struttura fondamentale dello Stato […] ma essi non rappresentavano intera-mente, né esaurivano in sé, il mito fascista dell’“uomo nuovo”, che traeva impulso principale dalla volontà di forgiare un nuovo carattere italiano animato dal sentimento dinamico dell’esistenza moderna, proiettato verso la conquista del futuro»8.

La campagna antiborghese impostata dal regime nell’ultimo scorcio degli anni trenta, si è voluta collegare alla ripresa delle tematiche sociali e rivoluzionarie del primo fascismo, espresse dal fascismo “di sinistra”, dal sindacalismo fasci-sta o dagli universitari fascisti.Secondo Pierre Milza con la campagna antiborghese si voleva sostituire all’indi-viduo decadente prodotto dalla cultura borghese un «”uomo nuovo”dinami-co, virile, deciso, efficace, pronto a qualunque sacrificio, indurito da un’e-ducazione spartana e dagli effetti sublimati del rigore autarchico»9

6 Collegio per i figli del popolo per ospitare tremila ragazzi napoletani (maschi e femmi-ne) e addestrarli come operai specializzati7 Francesco Tommaso Martinetti, Teoria e invenzione futurista, a cura di L. De Maria, Milano, 1968, p. 32.8 Emilio Gentile, Fascismo, cit., p. 256.9 Riportato da Emilio Gentile, op. cit., p. 236.

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I giovani adolescenti ancora prima di maturare venivano istruiti nel servizio pre-militare. A Napoli c’erano i marinaretti e i premari-nari, che si organizzava-no per servire la Patria in Marina e i preavieri che si preparavano a servire la Patria in Aviazione, per questi ultimi si svolgeva-no anche corsi di volo a vela, si poteva conseguire il brevetto “A” di volo a vela e, a Montecorvino Rovella (SA), il brevetto “B” di pilota di volo a vela. Il servizio premilitare era previsto, ovviamente, an-che per chi non aveva scelto il mare o il cielo per

combattere quando la Patria chiama. A Napoli, i marinaretti ed i premarinari avevano la loro sede in una fresca palazzina, che si affacciava sulla darsena del Molosiglio, dove erano ormeggiate le lance con le quali uscivano in mare vogando di gran lena. I giovani delle università erano organizzati nei Gruppi Universitari Fascisti (GUF) che erano stati fondati fin dal marzo 1920 e che si svilupparono in segui-to come centri di mobilitazione di giovani intellettuali per la fascistizzazione del-le università. Ai giovani del Guf era lasciata una certa libertà di critica rivoluzio-naria per un ruolo più intraprendente e dinamico nel P.N.F., Organo del Guf di Napoli era il battagliero e fascistissimo settimanale “IX maggio”, su cui scriveva Vito Videtta, poi assassinato vigliaccamente da partigiani nelle “radiose giornate” di sangue a Mila-no, dove si era recato per aderire alla R.S.I. ma anche tanti altri entusiasti giovani napoletani e di tutta la Campania. Tra i più assidui collaboratori spiccavano Antonio Ghirelli e Giorgio Napolitano10, anch’esso regolarmente iscritto al Guf. Le raccolte del “IX maggio” furono fatte sparire molto “oppor-tunamente” da biblioteche, emeroteche, e istituti culturali di tutta Italia. Su un binario parallelo, nel 1930 Niccolò Giani aveva fondato nell’università di Milano la “Scuola di Mistica Fascista” (SMF) che ebbe tra i seguaci e i docenti intellettuali di primo piano in tutta Italia, ma anche a Napoli e in Campania. Coerentemente con le loro idee andarono quasi tutti 10 Si, proprio l’attuale Presidente della Repubblica.8

Giorgio Voltagabbana

Giovani "traviati" dalla disciplina, valore aborrito dai democratici vincitori della guerra

volontari in guerra; Niccolò Giani cadde in Albania; caddero in combattimento anche i docenti Guido Pallotta e Berto Ricci e molti altri di questi giovani militan-ti (cinque le Medaglie)

Nonostante il Fascismo abbia ostentato l’esal-tazione della vi-rilità, riservan-do alla donna, in generale, il ruolo tradizio-nale di sposa, madre e educa-trice, pur tutta-via i Fasci fem-minili assunse-ro una funzione importante nel-l’ambito dell’or-ganizzazione e della mobilitazione delle masse. Alla donna, in

quanto educatrice militante del partito, era assegnato il compito di contribuire all’educazione dell’“uomo nuovo”, impegnandosi nelle organizzazioni del P.N.F., e quindi assumendo un suo ruolo vitale nella vita pubblica del regime. In tal modo il ruolo della madre e della sposa, della “donna nuova”, subiva una so-stanziale trasformazione rispetto al modello tradizionale di concezione cattolica. Particolare attenzione fu riservata alla famiglia, sostenendo con adeguati prov-vedimenti amministrativi le famiglie numerose, nel piano della campagna demo-grafica11. A Napoli e in Campania i Fasci femminili ebbero ben presto un notevole svilup-po, partecipando attivamente e passionalmente alla vita del regime.Attraverso l’organizzazione e la mobilitazione permanente delle masse il Fasci-smo mirava alla trasformazione del carattere degli italiani per creare quell’“ita-liano nuovo”, militante e disciplinato, che doveva “credere, obbedire, combatte-re”, nel seno di una ristabilita e rinvigorita Comunità Nazionale, di contro all’indi-vidualismo egoista delle democrazie capitaliste. Anche la Campania, e Napoli in primo luogo, hanno dato concretamente il loro contributo alla Patria in “uomini nuovi” che ebbero la ventura di partecipare da volontari prima alla guerra d’Africa per la conquista dell’Impero in Africa Orien-tale e poi anche alla guerra di Spagna, per la difesa dei valori del cristianesimo 11 Oggi dovrebbe essere facile riflettere come l’aver annientato, anzi addirittura invertito la campagna demografica, sia stato utile strumento di imbastardimento della popolazio-ne e, in definitiva quindi, strumento di asservimento politico all’egemonia degli Usa.

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e della civiltà latina e in seguito parteciparono alla seconda guerra mondiale, fino alla militanza nelle Forze Armate della Rsi. Ha scritto Luigi Emilio Longo: «La rivoluzione fascista doveva rappresenta-re una produzione continua di valori e non poteva non tradursi in un’etica del sacrificio, avente come presupposto la consapevolezza della durezza della vita, intesa […] come lotta»12.

Per il tenace volere e la capacità realizzatrice del regime fascista, Napoli acqui-sì il ruolo nuovo di regina del Mediterraneo e di porto dinamico per le comunica-zioni con l’Africa; l’impegno del popolo napoletano in politica era inteso come milizia permanente nella realizzazione di opere grandiose. L’“italiano nuovo” come lavoratore, nella triplice funzione dell’uomo fascista come cittadino, solda-to e produttore.13

Il fascista Alfredo Rocco, virgulto di una precorritrice rinascita del popolo, era nato a Napoli, fu uno dei grandi giuristi - dal nostro punto di vista certo il più grande – che nel 1925 fu chiamato da Mussolini a reggere il Dicastero della Giustizia e in tale veste varò il Nuovo Codice Penale, tuttora in vigore, pur con numerose modifiche, ed il Nuovo Codice di Procedura Penale, che è stato abro-gato nel 1990.Il “Codice Rocco” contribuì efficacemente al ripristino della giustizia e della sicu-rezza non soltanto a Napoli e in Campania, ma in tutta Italia. A Napoli, tra le due guerre, si poteva lasciare aperta la porta di casa, lo ricordano bene i fortu-nati che ebbero la ventura di viverci. Il codice fascista ebbe la sua parte valida nella costruzione rigorosa dell’homo novus. Rocco, grande esponente, del Fa-scismo napoletano, aveva scritto: «La Nazione non è una collettività amorfa di individui, una massa di atomi dispersi, ma è un organismo che funzio-na a mezzo di altri organi, i quali in una società economica a base indu-striale, sono le collettività organizzate.Queste collettività trovano, nel campo della produzione, la loro massima espressione nel sindacato e nel principio corporativo, per cui alla pura e brutale lotta senza limiti e senza consapevolezza, e al puro brutale contra-sto degli interessi di classe e di categoria, si comincia a sostituire l’idea della collaborazione. […] Allora senza aver sparato un colpo di fucile, avremo fatto una grande rivoluzione».La grande umanità che traspare dalle parole di Alfredo Rocco è indice e testi-monianza dello spirito di solidarietà, che animava la rivoluzione fascista, e che trovava piena corrispon-denza nella sollecita e paterna umanità del Duce. Umanità e consenso nutriti e profondamente sentiti,

12 Luigi Emilio Longo su “Historica nuova”, Anno III, N° 9, p. 15.13 Per il mito dell’“uomo nuovo” come lavoratore si veda Giuseppe Parlato, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, Il Mulino, Bologna, 2000.10

di riscontro, nella riconoscente partecipazione e nell’affiatamento affettuoso e sentimentale del popolo napoletano. Quando, per sostenere lo sforzo del Governo per la conquista dell’Impero, si chiese ai cittadini di donare oro alla Patria, la risposta di Napoli, della Campa-nia, del Meridione tutto, fu generosa ed entusiasta; fu corale la resistenza alle “Sanzioni economiche” inflitteci dalla Società delle Nazioni,(nel dopoguerra sostituita dall’ QNU) con la mobilitazione plebiscitaria delle nazioni e delle log-ge massoniche vassalle di Londra, e corale fu l’impegno del mondo del lavoro nella trasformazione della produzione in economia autarchica: un popolo mobili-tato in “disciplina civile e operante milizia”; una rivoluzione graduale e progredi-ta, “senza colpi di fucile”. Era questo un atto di ribellio-ne “inaudita” contro il regime egemonico che teneva le nazioni povere dipendenti dalla plutocrazia(dal vocabolario della lingua italiana, Zingarelli: “predominio politico di individui o gruppi detentori di grandi ricchez-ze”) : era “la lotta del sangue contro l’oro”. Ancora peggio, l’Italia aveva imposto il controllo dello Stato sulla Banca d’Italia14fino allora organismo provato di inte-resse capitalistico.

Ma la finanza ultramiliardaria di Wall Street e della City di Londra non poteva non reagire di fronte al pericolo che anche altre nazioni tentassero di affran-carsi dalla pesante egemonia del grosso capitale, dalla tirannia della confra-ternita dell’“International Banking Fraternity”.

Già dall’aprile 1907 Thomas Woodrow Wilson15 era stato tracotantemente esplicito e sfacciato in una serie di lezioni tenute alla Columbia University:

“Dal momento che il commercio ignora i confini nazionali e il produttore preme per avere il mondo come mercato, la bandiera della sua nazione deve seguirlo, e le porte delle nazioni chiuse devono essere abbattute... Le concessioni ottenute dai finanzieri devono essere salvaguardate dai ministri dello stato, anche se in questo venisse violata la sovranità delle nazioni recalcitranti... Vanno conquistate o impiantate colonie, affinché al mondo non resti un solo angolo utile trascurato o inutilizzato.”

L’“International Banking Fraternity” scatenò le demoplutocrazie e i merce-nari di mezzo mondo contro le nazioni proletarie e fu la seconda guerra mondiale: fase tragicamente sanguinosa e disperata della lotta del sangue contro l’oro.

14 Banca privata, contrariamente a quel che si lasciava e si lascia credere.15 Presidente degli Stati Uniti d’America, intervenne poi a Versailles per mutilare traco-tantemente la vittoria dell’Italia.

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Alfredo Rocco

Per frantumare l’unità del popolo italiano, per disfare l’italiano nuovo, si istigò la subdola manovra della Corona e dei generali monarchici e massoni, e furo-no poi finanziati partiti politici al soldo degli invasori; venne dilaniata la Nazio-ne; il sistema democratico è simbiotico al capitalismo.Ma questa è un’altra storia che travalica i limiti del periodo che ci si è proposto di analizzare.

Francesco Fatica

Mussolini e la massoneria

Introduzione

Per capire meglio quale immenso e difficilissimo compito si apprestava a ten-tare di svolgere Mussolini con la rivoluzione fascista, occorre tenere presente che anche all’interno del Fascismo stesso, si annidavano nicchie reazionarie per nulla disposte a prendere sul serio il suo carattere rivoluzionario, ma pronte invece ad approfittare del potere totalitario per continuare i loro affari. Queste serpi, sabotarono il tentativo fascista di creare un italiano nuovo in una Comunità di destino, ma nonostante le loro congiure, ancora oggi, a 65 anni dalla fine della guerra, si erge maestosa, che lo si voglia ammettere o no, la figura di un grande statista e di un grande precursore che morì nel ten-tativo di fare un’Italia grande e libera. Ma il suo esempio è rimasto e germoglia.

Ezio Sangalli

Tutti coloro che si sono impegnati nelle ricerche storiche su Mussolini, esa-minando un excursus di circa cinquanta anni di politica del rivoluzionario ro-magnolo, si sono trovati di fronte a molti aspetti contraddittori o comunque di non facile interpretazione e questo per il semplice motivo che Mussolini era un politico, per giunta pragmatico, per cui i compromessi, le manovre e le in-tuizioni politiche, nelle necessità del momento, erano un arma essenziale e ampiamente praticata.Egli era anche un maestro nel gestire queste situazioni convinto che comun-que l'importante fosse tenere in mano le leve del potere per attuare cambia-menti rivoluzionari fatti di lente tappe riformatrici attraverso l'opera legislativa del suo governo e l'entusiasmo popolare che con il suo carisma riusciva a suscitare.

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Ma al di là di questo pragmatismo, di questo suo operare politico, in un certo senso svincolato dalle strette osservanze ideologiche, nella vita di Mussolini (la sua fase socialista, quella interventista, il fascismo sansepolcrista, quello nazionalista e di destra del 1921-'24, il ventennio di Regime e la RSI), si indi-vidua sempre e comunque che il suo pensiero e il suo operato hanno una inequivocabile costante che si può riassumere nel presupposto, incon-ciliabile con la massoneria e gli interessi dell'Alta Finanza, di una con-cezione dello Stato in cui i fattori etici e politici sono preminenti rispet-to a quelli economici e finanziari.

È questo un "crimine" che l'Alta Finan-za internazionale e massonica non perdonerà mai al Duce e che lo porte-rà a piazzale Loreto.

Detto questo cerchiamo ora di riassu-mere quella parte della vita politica di Mussolini che può essere confrontata con un certo ruolo massonico.

Lo faremo attraverso una realistica rievocazione storica rifuggendo dalle favolette edulcorate e agiografiche della propaganda politica e dalle trascrizioni storiografiche ad uso e consumo degli interessi di regime. Per ragioni di spazio non potremo portare documen-tazioni, spiegazioni e analisi approfondite a comprova di quanto andiamo ad esporre, ma chi sa e chi ha studiato questa parte di storia, sa anche che le cose e i fatti stanno proprio come noi li andremo ad esporre.

Premettiamo intanto, per anticipare eventuali critiche ed obiezioni, di fronte ad una esposizione nuda e cruda della storia, il non indifferente particolare che la grande politica e le rivoluzioni, non si fanno senza i soldi (tanti) e i sol-di se non ci sono o si espropriano armi alla mano, o ci si fa finanziarie. E chi ti finanzia lo fa per paura o per interesse. Le collusioni trasversali e l'illegalità rispondono a leggi storiche ricorrenti e inevitabili.Mussolini, come noto, già socialista, ma non inquadrabile nella stretta osser-vanza marxista, rompe con i socialisti nel momento in cui, di fronte alla guer-ra europea e al disfacimento della II Internazionale, ha l'intuizione che un processo rivoluzionario, comunque socialista, possa attuarsi attraverso le for-ze e le energie che la guerra stessa aveva messo in moto, tra l'altro, spaz-zando definitivamente via quel "socialismo da saghe paesane" e quello barri-cadiero a parole, da sempre inconcludenti.

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Mussolini nel 1907 schedato dalla polizia come sovversivo e anarchico

Da qui la scelta "interventista" (che si riallaccia giocoforza alla nostra storia risorgimentale) e la rottura drastica con i vecchi compagni, scelta che com-porta anche l'inevitabile presupposto di una ricomposizione tra i valori del combattentismo, quelli sociali e quelli nazionali (in pratica un Socialismo da realizzarsi nella Nazione, spurgandolo da tutti gli orpelli e le utopie di caratte-re internazionalista).

Nella scelta interventista e poi successivamente in quella "sansepolcrista" del marzo 1919, si faceva leva sulla valorizzazione di Vittorio Veneto, appog-giandosi quindi a reminiscenze risorgimentali di stampo massonico, ma vo-

lenti o nolenti era "quella" la nostra storia patria dalla quale partire, per innescare un programma ambizio-so di rinascita nazionale.Come sempre accade nella storia, a fronte di grandi eventi, grandi uomini ed energie nuove, vanno a destarsi interessi eterogenei che tendono a utilizzare il "fatto nuovo" per determinati scopi.La massoneria, una delle grandi forze storiche che, volenti o nolen-ti, a partire dalla rivoluzione ameri-cana aveva sempre messo lo zampino nella storia dell'umanità e

buona parte aveva avuto nelle cause che portarono alla Grande Guerra (qui nell'ottica di eliminare definitivamente dalla scena europea le ultime vestigia di "trono e altare" e porre i presupposti per realizzare gli atavici ideali di una Repubblica Universale), non si lasciò sfuggire l'occasione che l'azione mus-soliniana gli presentava.

Con l'evidente scopo di portare l'Italia in guerra contro gli Imperi Centrali, at-traverso quel grande faccendiere che al tempo era il direttore de "il Resto del Carlino", Filippo Naldi, gli ambienti massonici intesero partecipare al finanzia-mento de "il Popolo d'Italia" di Mussolini che ben rispondeva a questi scopi. La stessa cosa si ripresentò quando, a prima guerra mondiale conclusa, l'a-bilità politica di Mussolini, il suo carisma e il suo pragmatismo politico, indus-sero i massoni a puntare su di lui, sul suo fascismo interventista di sinistra, al fine di farne un piccolo e locale Napoleone atto a scardinare nel paese i set-tori più ostici alla massoneria (con Napoleone, volente o nolente, la masso-neria esportò le sue idee e la sua presenza, dappertutto in Europa).

Mussolini, da buon rivoluzionario, prese tutto quello che poteva prendere e che gli poteva tornare utile per la sua azione politica, ma la storia dimostrerà

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Mussolini ad una manifestazione per l'in-tervento

comunque che per Mussolini (alquanto lontano dagli ideali massonici), come per tanti altri grandi rivoluzionari, i necessari e inevitabili finanziamenti e gli appoggi trasversali (come saranno poi quelli degli agrari e degli industriali spaventati dalle violenze dei "rossi") furono sempre e solo un mezzo, un mezzo che lo poté a volte condizionare, ma mai piegare definitivamente agli interessi di parte.

Molti ricercatori storici si sono spesso meravigliati nel costatare come all'atto di nascita del fascismo e anche negli anni successivi (nonostante l'incompati-bilità tra fascismo e massoneria, richiesta da Mussolini nel 1923), si trovi una assoluta maggioranza di massoni nelle fila fasciste.Orbene, bisogna allora considerare il panorama italiano post risorgimentale

dal quale nasce l'epoca storica in cui ebbe a operare Mussoli-

ni.È un fatto che, agli inizi del secolo XX in Italia, quasi tutti coloro che volevano o dovevano fare politica e non erano clericali o legati a vecchie e oramai de-cadenti aristocrazie, ovvero degli ultra conservatori, erano massoni, laddove la Massoneria era al centro del pensiero culturale "illuminato" del tempo.

Senza esagerare possiamo affermare che Massonica, o comunque non anti-tetica alla massoneria, era tutta la nostra finanza che conta; alla massoneria si doveva, nel secolo precedente, la nascita e lo sviluppo della imprenditoria italiana, ecc., e forti presenze massoniche si potevano contare in tutti i settori più importanti delle Istituzioni e della società, come la diplomazia, la Magi-stratura, l'Esercito, casa Savoia, e così via. E questa diffusa presenza mas-sonica comportava anche una implicita invadenza, culturale ed economico fi-nanziaria, anglo-francese nella nostra società.

Erano così massoni anche molti dirigenti e capi storici della sinistra socialista (la prima camera del Lavoro fu fondata nel 1891 dal massone Osvaldo Gnoc-chi Viani) e massone fu Andrea Costa il primo socialista ad entrare al parla-mento, così come Antonio Labriola. Massoni erano vari esponenti del movi-

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Andreotti e Gelli, i Maestri

Berlusconi e Veltroni, giovani massoni

mento anarchico (come Micaeil Bakunin, in Italia tra il 1865 e 1867), delle Unioni Sindacali fondate dai "fratelli" Filippo Corridoni, Cesare Rossi, Michele Bianchi, Alceste De Ambris ed Edmondo Rossoni, nonché la maggior parte di coloro che il 23 marzo del 1919 in piazza S. Sepolcro a Milano, attorno a Mussolini, avevano dato vita ai Fasci di Combattimento.

Tanto per avere qualche informazione in più, è bene sapere che la sala della riunione di Piazza San Sepolcro 9, venne messa a disposizione dall'indu-striale massone Cesare Goldmann, quindi alla storica riunione intervennero i "fratelli" Eucardio Momigliano, Camillo Bianchi e Pietro Bottini. Poi Michele Bianchi, affiliato a Piazza del Gesù, come Ambrogio Binda (medico di Mus-solini), Federico Cerasola di Palazzo Giustiniani, come Roberto Farinacci (che poi nel 1921 passò alla massoneria di Piazza del Gesù). Altri massoni erano Decio Canzio Garibaldi e Mario Giampaoli, Luigi Lanfranconi, Giovanni Marinelli, Umberto Pasella, Guido Podrecca (direttore de "l'Asino") e Cesare Rossi.

Nel 1922 il quadrunvirato che aveva avuto il compito di orga-nizzare e comandare la marcia su Roma: Balbo, De Vecchi, De Bono e Bianchi, era prati-camente costituito tutto da massoni anche se, più che al-tro, in Balbo e Bianchi oramai prevalevano gli interessi e la coscienza del fascismo.Questo è quello che al tempo passava il convento e non sarà poi un caso che per i perso-naggi coinvolti a vari titoli nel caso Matteotti sarà ve-ramente difficile trovare qualcuno che non sia affiliato alla setta visto che quel delitto, in un colpo solo, si prefiggeva di mettere a tacere il deputato so-cialista che minacciava di denunciare grossi scandali di un putrido «ambiente politico affaristico» (come disse Mussolini al socialista Carlo Silvestri) e un capo di governo che con la sua pretesa di imprimere un carattere dirigista alla politica governativa, di aprire ai socialisti unitari, ai confederati e ai popo-lari le porte del governo e di accarezzare, già dal 1923, l'idea di ricomporre il dissidio tra stato e Chiesa, si era posto di traverso proprio al mondo masso-nico e finanziario.

E se questo allora passava il convento, proprio con questo ambiente storico e materiale umano di non eccelse qualità "guerriere", Mussolini doveva fare i

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Da sin.: Bianchi, De Bono, Mussolini, De Vecchi e Balbo.

conti e non ci si può quindi meravigliare delle profonde contraddizioni che pur vengono a riscontrarsi nell'esame complessivo del suo operato.

A chi spesso gli chiedeva perché non avesse fatto piazza pulita di pesi morti e traditori, ovvero non avesse portato la rivoluzione fascista alle estreme conseguenze, Mussolini soleva rispondere che con il fango non si fanno le ri-voluzioni (ma non usava la parola "fango"...).

Il 25 luglio e l'8 settembre non avverranno a caso!

Riassumiamo ora brevemente alcuni pas-saggi storici.

Come abbiamo visto Mussolini aveva creato il Fascismo nel marzo del 1919 sul-la scia dell'interventismo, della difesa e valorizzazione di Vittorio Veneto e sull'in-tuizione di un socialismo da realizzare nel-la nazione.

Ma il fascismo era anche sorto come rea-zione violenta ad un possibile avvento ri-voluzionario del bolscevismo italiano e an-che questo fatto avrà ben presto il suo peso negli avvenimenti successivi.

Consequenziale alla sua storia di sociali-sta, massimalista prima e nazionale poi, egli ne impiantò il programma originario (sansepolcrista) sui dettami ideali di un «interventismo di sinistra».

Questo primogenito fascismo di sinistra, però, per altro sconfitto alle elezioni del novembre 1919, si rivelò ben presto inadeguato nel processo rivoluziona-rio.La necessità di far avanzare il movimento fascista e di provare a prendere il potere portò quindi Mussolini, già dal maggio del 1920, a rettificare le posi-zioni politiche del fascismo, rispetto all'atteggiamento verso la borghesia e alla sua pregiudiziale repubblicana che si cominciò infatti ad accantonare. Questa nuova politica spostò gradualmente il fascismo su posizioni di destra, predisponendolo ad utilizzare gli appoggi di agrari e capitalisti vari al tempo spaventati dalle violenze dei rossi.

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Mussolini venne arrestato in gran segreto all'uscita dalla resi-denza reale, dove il re lo aveva

attirato

Al contempo, inevitabilmente, le file fasciste si riempirono di elementi della più disparata origine ed estrazione ideale e sociale, provenienti prevalente-mente dalla media borghesia tanto che ci fu chi definì quella fascista, la «ri-voluzione delle classi medie».

Il congresso fascista di Roma del novembre 1921 sancì quindi la svolta a de-stra, già da tempo in atto, del fascismo stesso e successivamente porto al-l'apparentamento con i nazionalisti.

Abbiamo poi i governi di Mussolini post marcia su Roma, nei quali si impose, per necessità nazionali, una decisa economia li-berista e successivamente il fallimento, a causa del delitto Matteotti, del suo tentativo di apertura a sinistra (dove attraverso un equilibrato corporativi-smo avrebbe voluto realizzare una specie di so-cialismo), e si finì inevitabilmente nel regime totali-tario.Durante il ventennio, la diarchia con casa Savoia, gli equilibri di potere raggiunti e le necessità del paese, proiettato verso una sua espansione na-zionale e internazionale a tutti i livelli, imposero una politica "conservatrice", temperata dal Duce con profonde riforme sociali, a carattere popolare e la realizzazione di grandi opere pubbliche.

Non crediamo di esagerare se affermiamo che senza il forte impulso riformista e creativo del fascismo, l'Italia sarebbe rima-sta un paese profondamente arretrato come certi stati balcanici.

Come sappiamo, infine, per le note vicissitudini belliche e la resa dei conti alla quale si pervenne con tutto un mondo non fascista o fascista per interes-si, solo con la Repubblica Sociale Italiana Mussolini potrà finalmente realiz-zare quelle profonde riforme sociali che aveva sempre avuto in mente, come ad esempio, ma non solo, la socializzazione delle aziende e del grande com-mercio e il controllo statale del mercato azionario.

In definitiva l'operato di Mussolini, una volta andato al governo con la marcia su Roma, e preso atto di tutte le carenze complessive della Nazione (e del fascismo stesso), delle "invadenze" che potevano condizionare il fascismo e l'apparato statale, fece di necessità virtù e realisticamente cercò di coinvolge-re tutte le componenti della nazione, anche se antitetiche, ostiche ed etero-genee, su un progetto di rinascita nazionale, puntando sia sulle ambizioni personali di quanti venivano chiamati a collaborare e sia sulla possibilità che

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Giacomo Matteotti

di fronte ai grandi compiti e alle grandi tensioni ideali, i settarismi, i "grembiu-lini" massonici ed i particolarismi potessero essere posti in secondo piano. Una prassi tattica ideale, questa di Mussolini, che con alcuni valenti e onesti personaggi funzionò senz'altro (per esempio il futuro ministro Carlo Biggini, molto stimato dal Duce seppur massone), ma con lo scoppio della seconda guerra mondiale, la geopolitica italiana in contrasto con quella britannica e l'andamento negativo della guerra e soprattutto con l'immediato "richiamo al-l'obbedienza" proveniente dai "fratelli d'oltreoceano", la quasi totalità dei masso-pseudo fascisti, ma non solo loro, non ci pensarono su due volte a gettare a mare Musso-lini e la Patria.

Comunque, mano a mano che il fascismo si sta-va dando una sua ideologia, divenendo al con-tempo anche partito di governo, affermando quindi il senso dello Stato e la sua autorità, la massoneria che aveva considerato il fascismo come un fenomeno da utilizzare transitoriamen-te prese (in testa il Grande Oriente di Palazzo Giustiniani, di Domizio Torrigiani, Gran Maestro dal 1919) a rivoltarsi contro il fascismo stesso e sopratutto contro Mussolini. Il dissenso aprì nel paese forti tensioni tanto che Mussolini,

come già aveva fatto nel PSI, al tempo in cui era socialista, a febbraio del 1923 impose l'in-compatibilità tra il fascismo e la Massoneria (l'e-nunciazione, peraltro, rimase sulla carta, ma comportò una situazione imbarazzante e poten-zialmente nociva per i "fratelli"). Le Logge ven-nero poi sciolte per legge nel novembre del 1925 e il Gran Maestro Torrigiani di Palazzo Giustiniani, legato alle Logge anglo-americane, arrestato il 24 aprile del 1926, finì al confino a Lipari.

A questo proposito è bene ricordare che nel 1908, si era prodotta una scis-sione nel Grande Oriente, dalla quale era nata la massoneria di Piazza del Gesù (filiazione della Grande Loggia di Francia) che anni dopo ebbe come Gran Maestro Raul Vittorio Palermi.

La massoneria di Raul Palermi, costituì all'epoca un fenomeno a parte, visto che cercò sempre il compromesso con il fascismo. Anzi il Palermi, di cui la maggior parte degli esponenti fascisti erano iscritti alla sua loggia, si prese la briga di "elevare" il Duce a Gran maestro onorario, e quando a novembre del

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G. Garibaldi, Gran Mae-stro dell'Ordine Massoni-co di rito scozzese, ribat-tezzato "l'Eroe dei Due

Milioni". Unì l'Italia per conto della grande finanza

capitalista.

1925 venne decretato lo scioglimento delle sette massoniche, egli si adeguò sciogliendo tutte le "officine" di Piazza del Gesù e ricostituendole con "fratelli" disponibili verso il regime fascista. Il 2 dicembre poi, il Palermi convocò il Su-premo Consiglio e decise di cessare ogni attività massonica, proclamando la fedeltà dei "fratelli" verso il Duce.

Malgrado questo, tempo dopo, la sede di Piazza del Gesù venne saccheggiata dai fascisti, sembra per ordine del nazionalista Federzoni (cfr. F. Pinotti, "Fratelli d'Italia", Bur 2007).

Molti gerarchi e capi fascisti dovettero scegliere, se stare con la massoneria o con il fa-scismo, ma mentre alcuni (vedi Farinacci e Bianchi) ave-vano da tempo già scelto il fa-scismo con convinzione, altri lo fecero solo per opportuni-smo. Note sono le vendette massoniche verso Mussolini che si possono riscontrare an-che nella ispirazione di alcuni attentati da lui subiti nei primi anni del regime totalitario. Fatto sta però che, con l'av-vento della dittatura, la Massoneria ben presto ritenne più conveniente entra-re in "sonno" e così continuare a gestire segretamente uomini e importanti settori della società, tanto più che Mussolini, all'occorrenza, non disdegnava di utilizzare elementi di alta levatura tecnica (come per esempio farà con Al-berto Beneduce all'IRI) pur se massoni.

Mussolini, come ben sottolineò Bruno Spampanato, per l'interesse nazionale, quando trovava una persona qualificata tecnicamen-te, non andava tanto per il sottile e faceva carte false per accaparrarselo.

La massoneria si sveglierà dal "sonno" quando, compatta, dovrà rispondere alla "chiamata d'ol-treoceano" per sabotare la guerra del 1940 e silu-

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Roberto Farinacci, cremonese; uno dei fascisti più intransigenti, fedele sino all'ultimo, ven-ne fucilato da partigiani comunisti il 28 aprile 1945. Rifiutò di farsi bendare e pretese di es-sere fucilato al petto, ma ciò gli fu rifiutato.

Ciononostante Farinacci riuscì a divincolarsi e a girarsi così i partigiani spararono in aria, alla seconda scarica riuscì nuovamente a gi-

rarsi venendo colpito al petto. Prima di mori-re le sue ultime parole furono "viva l'Italia".

rare definitivamente Mussolini l'odiato avversario delle Logge massoni-che e della grande Finanza cosmopolita.

Il Duce, in ogni caso, era ben conscio di tutto questo ed in parte anche delle cause che stavano dietro il secondo conflitto mondiale. In uno dei suoi ultimi scritti, da alcuni messo in dubbio, ma comunque rispondente allo stile ed al pensiero di Mussolini, si può leggere quanto segue:«Tra le cause principali del tracollo del fascismo io pongo la lotta sorda ed implacabile di taluni gruppi industriali e finanziari, che nel loro folle egoismo temevano ed odiano il fascismo come il peggior nemico dei loro inumani interessi. Devo dire per ragioni di giustizia che il capitale italiano, quello legitti-mo, che si regge con la capacità delle sue imprese, ha sempre compre-so le esigenze sociali, anche quando doveva allungare il collo per far fronte ai nuovi patti di lavoro».

Ed ancora, in una sua sottolineatura a matita, come era uso fare, di un di-scorso di Churchill ai Comuni del maggio 1944, Mussolini evidenziò quanto segue: «La giustizia dovrà essere fatta ed il castigo cadrà sui malvagi e sui crudeli. Gli sciagurati che hanno macchinato per soggiogare prima l'Europa e quindi il Mondo devono essere puniti. Così dovranno esserlo anche i loro agenti che in tante nazioni hanno perpetrato orribili delitti. Essi devono essere condotti ad affrontare il giudizio delle popolazioni che hanno oltraggiato, sulle stesse scene delle loro atrocità».Non è un caso che quel Filippo Naldi, personaggio di grosso spessore e a suo tempo ponte tra Mussolini e i finanziamenti al Popolo d'Italia nel 1914, poi implicato nell'affaire massonico - affaristico del delitto Matteotti, lo ritrove-remo dopo l'8 settembre del 1943 a fianco dei governi Badoglio e Bonomi e degli Alleati, quasi a suggellare, con il suo svolazzare laddove ci sono inte-ressi massonici, il profondo abisso che divideva il Duce da questa setta.Crediamo con queste sintetiche note di aver dato un certo contributo alla chiarificazione storica della nostra recente vicenda nazionale.

Da “Rinascita” 4 novembre 2008 Maurizio Barozzi

LA TRASFORMAZIONE DELLA STRUTTURA ECONOMICA E SOCIALE NELLA R.S.I.

“Socializzazione o So-21

Alberto Beneduce

cialismo?”«Un punto rimane certo, almeno per noi, ed è rappresentato dal trinomio di Mus-solini, Italia, Repubblica, Socializzazione. E sopra tutto all’ultimo punto occorre te-ner fede, per costruire su di esso il no-stro futuro, oltre tutte le vuote polemiche che contraddistinguono il nostro presen-te». Sono parole recenti di Manlio Sar-genti, figura di primissimo piano nell’ela-borazione della dottrina sociale del Fa-scismo repubblicano, Capo di Gabinetto del Ministro dell’Economia Corporativa Angelo Tarchi, e direttore dal Settembre 1944 al Marzo 1945 della rivista “Repub-blica Sociale”. In queste pagine abbiamo già trattato l’argomento ‘socializzazione’ - anche se saltuariamente - che oggi ri-prendiamo e intendiamo sviluppare in futuro, iniziando col riproporre l’articolo firmato da Manlio Sargenti nel numero Novembre-Dicembre 1944 di “Re-pubblica Sociale” titolato “Socializzazione o Socialismo?”. Date le sue dimen-

sioni, non ci è però possibile pubbli-carlo integralmente, ma confidiamo comunque di assolvere il compito che ci siamo proposti riportandone ampi stralci. «La socializzazione altro non è se non la realizzazione italiana, umana, nostra, effettuabile del socialismo” Mus-solini

“Il Corporativismo è tutto il Fasci-

smo? Fu questione fra le più dibattu-

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Una rarissima immagine di Manlio Sargenti, una vita vissuta al servizio dell'ideale socialista che il Fascismo

voleva incarnare.

te per molti anni durante il passato ventennio, variamente risolta, più volte ar-chiviata come inutile bizantinismo e pure continuamente risorgente, poiché sin-tetizzava, in ultima analisi, il problema della definizione del contenuto e del pro-gramma sociale della rivoluzione. Ora, mentre pure il tempo non è certo propi-zio a ricerche di definizioni formali, la stessa esigenza di chiarire questo conte-nuto e questo programma fa porre, sotto altra forma, un problema sostanzial-mente simile: la socializzazione è socialismo? (…) E veniamo, dunque, al concreto: veniamo cioè a definire uno dei termini che vanno posti al confronto: il contenuto della nostra socializzazione. Questo con-tenuto non è difficilmente individuabile, dal momento che lo abbiamo dinanzi consacrato e concretato in un testo di legge;e non è, direi, complicato ed astru-so se si può ridurre, come a me sembra che si possa, tutto a due principi fonda-mentali.1) Riconoscimento del valore dell’iniziativa individuale; da cui deriva come co-rollario che normalmente l’attività produttiva continua ad essere svolta dai sin-goli e non viene assunta dallo Stato se non quando si ritenga che l’iniziativa in-dividuale non sia sufficiente o che motivi di ordine politico lo consiglino (statiz-zazione delle industrie appartenenti a settori-chiave), e che, sempre normal-mente, la proprietà dei mezzi di produzione resta al singolo.2) Ma l’iniziativa non è più solo iniziativa del capitale e la proprietà dei mezzi di produzione non è più decisiva nella determinazione del processo produttivo: in questo ha parte fondamentale il lavoro, in tutte le sue forma, da quelle organiz-zative e direttive a quelle esecutive; ed al lavoro in quanto tale deve essere affi-data la gestione dell’impresa e la disciplina della produzione; da cui poi deriva la conseguenza che il lavoro debba anche partecipare agli utili che dalla gestio-ne dell’impresa, ed in genere dalla produzione, derivano. Per chi ben guardi, in questi due principi, di così semplice enunciazione, è contenuto in nuce tutto un programma di politica economica e sociale. Ed infatti in essi è il riconoscimento della iniziativa individuale, ma è anche l’affermazione della necessità di un programma produttivo, di un piano; poiché la produzione non è e non può essere condotta più in base all’esclusivo arbitrio indivi-duale e in vista dell’utile individuale, che sono poi l’arbitrio e l’utile del capitalista; ma deve rispondere alla volontà ed all’interesse di tutti i fattori che intervengono nel processo produttivo, cioè della collettività produttri-ce. Per cui la partecipazione del lavoro parte dall’impresa, ma non si ferma ad essa, bensì diviene partecipazione a tutta la disciplina del processo produttivo attraverso la partecipazione agli organi dello Stato a ciò destinati. E la distribu-zione degli utili dell’impresa non è, a sua volta, fine a sé stessa, ma si dilata in un più vasto principio che si pone a base della distribuzione di tutto il comples-so del reddito nazionale, con obiettivo il raccorciamento delle distanze fra reddi-ti massimi e minimi ed il miglioramento delle condizioni di vita delle categorie più basse di redditieri. Ora questo programma economico-sociale su quali principi filosofico - politici, trova, a sua volta, la base? Il quesito è più arduo di quello posto inizialmente,

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sia perché ci porta su un piano più elevato di indagine, sia perché alla risposta non si offrono elementi concreti, desumibili da un testo di legge, onde essa deve per necessità rifarsi a posizioni e convinzioni personali. (…) Un punto, tuttavia, sembra chiaro: che non si possa parlare, per noi, di marxi-smo, né nella teoria né nella prassi. Se è vero … che la nostra posizione teore-tica è rigidamente spiritualistica, se è vero che noi affermiamo il valore della personalità, della libertà, dell’iniziativa in-dividuale, se consideriamo la società non materialisticamente, come somma di indi-vidui, ma come realtà a se stante, quale sola può essere costruita dallo spirito, se i problemi economici e sociali ci appaio-no non come il prius di ogni realtà, come l’unica concreta realtà, ma anzi dominati, nella loro impostazione e nel-la loro soluzione, da premesse ideali. Se tutto questo è vero, risulta chiaramente che non ci è possibile accettare nessuno dei fondamenti filosofici del marxismo: mate-rialismo storico, determinismo, teoria della lotta di classe, anche a prescindere, per ora, da ogni approfondito esame dell’intima contraddittorietà di quei fonda-menti per chi ne accetti il presupposto materialistico. Come pure noi non pos-siamo accettare come tali quelle pretese “leggi” economiche che il marxismo ha posto a fondamento della sua costruzione scientifica. (…) In effetti, il cardine dell’esperimento bolscevico è nella abolizione della pro-prietà privata dei mezzi di produzione; la nostra esperienza è fondata sul man-tenimento della proprietà. Differenza che non è accidentale o secondaria, ma che investe tutta la nostra posizione dottrinale, in quanto, per noi, il manteni-mento o l’eliminazione della proprietà privata non ha l’importanza prevalente che ad essa attribuisce il marxismo, nella sua posizione materialistica: ciò che a noi importa è l’affermazione del valore della personalità umana, la quale vale in quanto agisce e (sul piano economico) produce; onde la preminente importanza del lavoro. Perciò a noi basta svalutare la proprietà dei mezzi di produzio-ne affermando che questa non è e non deve essere se non strumento nel-le mani dell’individuo lavoratore e produttore, al servizio della collettività produttrice. Da ciò un’altra importante differenziazione fra noi e il comunismo sovietico: ché, mentre, riaffermato il valore della personalità, la disciplina del processo economico, il piano, è per noi frutto di un’attiva partecipazione dei produttori alla sua formazione (corporativismo), per la prassi sovietica il lavora-tore non è che una particella di un gigantesco meccanismo produttivo, rigida-mente disciplinato dall’alto da una burocrazia statale non meno autocratica ed oppressiva di quella di un qualsiasi Stato capitalista.

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Avidità materialista

Ma se la nostra socializzazione non è sul piano del marxismo, essa non è nep-pure, per dottrina e per metodo, su quello delle filiazioni, più o meno revisionistiche, del marxismo stesso. Non è, in prima li-nea, sul piano del socialismo di Stato … In linea di metodo, la rivoluzione, cioè la trasformazione della struttura economica e sociale, non può essere opera paterna-listica della burocrazia statale … La rivo-luzione deve essere compiuta dalle forze del lavoro che, muovendo dalla consape-volezza delle proprie possibilità e del fine da raggiungere, devono formare la nuova

realtà sociale ed esprimere, sul piano politico, attraverso la propria organizza-zione, la nuova organizzazione dello Stato. Né, come fine da raggiungere, ci si può proporre uno Stato autoritario, proprietario dei mezzi di produzione; una or-ganizzazione, cioè, che dal socialismo di Stato scivolerebbe inevitabilmente nel capitalismo di Stato. L’aver riaffermato il valore della personalità, e quindi dell’i-niziativa individuale esclude che lo Stato possa configurarsi per noi in questa forma. Né, d’altra parte, possiamo accettare l’idea di uno Stato che sia il risulta-to di una lotta di classi e l’espressione, nella sua organizzazione, nei suoi poteri e nella sua azione, del predominio di una “classe”, supposta vinci-trice di tale lotta. Non che ci seduca un’idilliaca visione conciliazionistica, il luogo, divenuto comune negli anni trascorsi, dell’equo contemperamento de-gl’interessi contrapposti delle categorie. Ci rendiamo conto che, nell’at-tuale struttura sociale, la plutocrazia capitalistica userà di tut-ti i suoi mezzi per contrastare la creazione di un ordine socia-le fondato sui diritti del lavoro, e che questo ordine, come ogni altra conquista umana, non potrà che scaturire dal contrasto e dalla lotta Ma questa non è lotta di classe, per noi, che non possiamo identificare il mondo del lavoro in una classe, materialisticamente concepita e individuata, e lo concepiamo, al contrario, come la manifestazione più completa della personalità umana nella sua attività produttiva; per cui lavoratore è e deve essere ogni membro della collettività, e la qualifica di lavoratore non riveste alcun carattere classi-sta. Né, d’altra parte, la lotta anti-capitalista può risolversi, secondo i postulati co-munisti, nel predominio della “classe” lavoratrice, sia perché tale assunto appa-re contraddittorio alla luce dello stesso postulato della lotta di classe, la quale se è concepita - come lo è dal marxismo - quale giustificazione e molla della storia umana, non può, d’un tratto, miracolosamente annullarsi e perdersi senza che la stessa storia dell’umanità giunga ad una immobilità definitiva; per cui lo

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Stato comunista si presenta come un mito irrealizzabile sul piano umano, come un paradiso terrestre a cui l’umanità potrebbe giungere solo per conchiudere in una perfetta beatitudine il ciclo della sua vita e della sua lotta; e sia perché, come si è detto, il lavoro non è il denominatore comune di una “classe”, ma è l’attributo di tutta la collettività umana. Lo Stato del Lavoro è, perciò, nel nostro pensiero, lo Stato di tutti i lavoratori, del braccio e della mente, senza distinzione, fra questi, di classe e senza alcun attributo classistico, è, insomma, lo Stato corporativo. Siamo tornati, così, a quell’interrogativo dalla cui rievocazione abbiamo preso le mosse, osservando come il problema di oggi –se la socializzazione ci immetta sul piano del sociali-smo- non sia che un diverso porsi del problema altra volta dibattuto, se il Fasci-smo fosse tutto nel corporativismo. E potremmo conchiudere, attraverso un’ar-gomentazione sillogistica, che la socializzazione è ancora, come tutto il Fasci-smo, sul piano corporativo.”

Manlio Sargenti

Dall’articolo del numero Novembre-Dicembre 1944 di “Repubblica Socia-le”

".........Se il popolo italiano avesse l'ardire di trapassare senza esitazioni e senza conciliazioni da un regime rappresentativo bugiardo a una forma di rappresentanza sincera che rivelasse ed innalzasse i produttori sinceri della ricchezza nazionale contro i parassiti e gli inetti dell'odiosa casta politica non emendabile, le sette e sette vittorie dell'Alpe, del Carso e del Piave impallidi-rebbero davanti a questa meravigliosa vittoria civile...........In tutta l'Europa, in tutto il mondo, il potere politico è al servizio dell'alta banca meticcia, è sot-tomesso alle imposizioni ignobili dei rubatori e dei frodatori costituiti in con-sorzio legale. Neppure nel peggior tempo dei barbareschi e dei negrieri le genti furono mercanteggiate con così fredda crudeltà. Le Nazioni sono cose

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da mercato. La vita pubblica non è se non un baratto immondo esercitato nel cerchio delle istituzioni sterili e delle leggi esauste...."Tratto dal discorso che Gabriele D’Annunzio tenne ai suoi arditi a Fiume d’Italia, il 24 luglio 1920.

San Severo … Arrivano i nostri Racconto italiano di cappa e bastone, senza capo ne coda, raccolto

anonimo e pubblicato dai Qvaderni.

Nella mattina assola-ta, ‘u sèntron sasso-so (pomposamente chiamato strada dai castrensi) che si ri-partiva nei vicoli citta-dini, che mai aveva-no conosciuto le flui-dificanti proprietà del catrame, era percor-so da una festosa in-vasione di nera gio-ventù, avanguardia fascista che mimava,

con le forze che aveva, la marcia su Roma di oltre sei mesi prima, con effetti da operetta, anche se con intenzioni serie e marziali.

Sapevano bene di arrivare in ritardo, ma in quei posti la Storia era da sempre in ritardo e gli uomini avevano sviluppato la singolare capacità di osservarla pas-sare disincantati, come nella moviola un po’ sfocata di un vecchio film. Gli scar-si contadini, che zappavano pezzi di terra non propri, avevano colto l’occasione per salutare la carovana lungo la scalata al paese, appoggiandosi in bilico sui loro attrezzi e aspirando manciate di tabacco scadente. In campagna vigeva ancora la norma non scritta di salutare qualsiasi cosa si muovesse: come la-sciarsi scappare un’occasione tanto ghiotta?

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La capitanava un drappello di tre persone; la prima, alla testa del gruppo, si chiamava Severo Albanese e fungeva, almeno negli intenti, da esploratore e apripista: venticinque anni, nome di battaglia Folgore, una calvizie incipiente esaltata più che mascherata dal taglio a zero dei capelli, lineamenti scolpiti dal bulino di un artista pazzoide, fazzoletto nero al vento e abiti contadini della fe-sta. Cavalcava una scoppiettante Guzzi che doveva aver visto tempi assai mi-gliori e che lo aveva fatto spesso penare lungo la tortuosa salita verso il paese.Diverse volte aveva, infatti, raccomandato l’anima al Padreterno in modo che la motocicletta non si spegnesse sul più bello della salita, risparmiandogli una so-nora figura di merda.

La giaculatoria aveva pro-dotto qualche risultato, al-meno fino a quel momen-to.

Seguiva, a ruota, una stra-na accoppiata di personag-gi su sidecar; alla guida la spalla che ogni capo avrebbe voluto al proprio fianco, un armadio travesti-to da essere umano, nero come una notte dipinta di pece sia nel vestiario sia nel colore della pelle sia nei capelli.

Il suo nome era Michele Mastrantonio, ma se qualcuno glielo avesse chiesto avrebbe risposto con il tipico repertorio della gutturalità dell’Homo Daunus ov-vero una salsa mista di gestualità partenopea, proverbialità baresi e vocalismi chiusi abruzzesi; il tutto condito da incomprensibili sannitismi. Un qualcosa, in sintesi, che rendeva l’espressività del suo eloquio pari a quella di una parete appena verniciata.

Forse per questo preferiva stare zitto, in disparte, pronto solo a minacciare o a menar le mani a comando, arte in cui eccelleva.

Aveva scelto come nome di battaglia – visto che Folgore, che tanto gli piaceva, era già occupato – quello di Elettro, facendo tragicomica confusione di genere dal femminile al maschile. Si trattava, comunque, di un netto passo avanti ri-spetto al soprannome che aveva da piccolo di ‘u tartagghìone, pertanto, costi-tuiva il suo piccolo, personale vanto.

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Squadra d'azione "La Beffarda" di Pisogne (BS)

La persona dentro la carrozzella del sidecar era, ovviamente, il capo del drap-pello di testa.

Anzi era il capo e basta.

La ciurma, infatti, che lo seguiva, sembrava pronta ad una nuova Marcia su Roma. Era infatti composta da una decina di personaggi eterogenei variamente vocianti, tutti rigorosamente non motorizzati, in sella a biciclette con ruote ova-lizzate da centinaia di chilometri di sassi e asperità varie. Quel che restava dei colori dei tubolari era stato frettolosamente nascosto da una marziale mano di nero, neanche troppo deciso.

Il composito gruppo, visto da una certa distanza, dava l’impressione di un’on-deggiante e imprecante processione di neri lupi selvatici, che avessero appena

deciso di riunirsi in branco e farsi ribelli.

Il capo era Carmelo Fattizio, ma non aveva scelto uno pseudonimo: aveva decisamente cambiato nome e si faceva chiamare Benito Fattizio. Lo scalpo rosso acceso e gli occhi azzurri tradivano la natura normanna del ceppo da cui discendeva. Era l’unico del gruppo a portare occhiali, eviden-ziando, in tal modo, una certa superiorità intellet-tuale sulla massa informe che lo attorniava. In realtà, a fargli guadagnare l’aria intellettuale erano bastati due esami complementari malamente ten-tati alla Regia Facoltà di Magistero dell’Università Federico II di Napoli.

Particolare rivelatore del comando era il suo ve-stiario uniformemente nero, con un fez blu notte a tentare di mascherare il campo di carote sulla te-

sta, che tanto stonava con il suo colore preferito. Camicia nera, pantaloni neri con lo sbuffo e stivali impeccabilmente neri ne facevano un federale fatto e fini-to. Il soprannome che, prima della conversione ai fulgidi ideali nazionalsocialisti, i sanseveresi gli tributavano in massa, oscillava tra squagghiachiumm[3] e spaccachiazz[4], a sottolinearne il carattere di perdigiorno.

Aveva in mano un bastone da passeggio e un grosso megafono, residuo ante-bellico. La statura non eccezionale era compensata da un’attitudine al comando senza pari e da una spiccata capacità organizzativa. Indistinti pensieri di rivolu-zioni e scazzottate affollavano la testa, come in una giostra delle ambizioni.

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Il sidecar in cui affondava, ben più che comodamente, era ingombro anche di un’imbarazzante riproduzione di fascio littorio; poco più che un pezzo di cartone attaccato ad una mazza di scopa. Questa era stata gentilmente messa a dispo-sizione dalla madre del capo, che, a dirla tutta, aveva sonoramente protestato con il figlio per la sottrazione - anche se per alti fini - dell’attrezzo domestico.

Anche il sidecar era stato verniciato di fresco, con una mano di nero grossolano e dipinto di naif teschi di morto, più spaventosi per la fattura che per le intenzio-ni (in)espressive dell’ignoto artista. Il fatto che la vernice non fosse stata stesa perfettamente e non si fosse aspettato il giusto tempo per farla asciugare, tra-spariva dalle scrostature color salmone che riaffioravano come bolle d’aria pro-venienti dagli abissi del mare, quasi in cerca di un’identità repressa più che ne-gata: soprattutto dove gli stivali di Benito avevano sonoramente colpito, appena qualche tornante prima, per far ripartire la motocarrozzetta, accompagnando il

gesto con un sequela di improperi tali da far tra-ballare buona parte del pantheon cattolico.

Con la forza della di-sperazione e con la fede salda negli ideali fascisti, il codazzo se-mimotorizzato aveva guadagnato, metro dopo metro, la piazza principale del paese, giusto in tempo perché Severo detto Folgore

si accorgesse che, no-nostante il funzionamento ai limiti della decenza del motore, la benzina fosse inesorabilmente terminata.

Ne aveva avuta avvisaglia già alle prime case dell’abitato, ma, spaccone come sempre, aveva caracollato acrobaticamente in modo da sfruttare la più piccola goccia di benzina agricola rimasta, sincronizzando lo spegnimento del motore con l’ultima stilla di carburante ……………

[3] Sciogli piombo, ovvero persona che fa cose inutili e banali.

[4] Detto di persona che ama passeggiare a tutte le ore del giorno presso la piazza principale del paese, spaccandola (in due). Mutuato forse dalla cultura dell’agorà greca, ha col tempo assunto caratterizzazioni affatto negative.

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Squadristi milanesi, 1921

BRIGATA NERA, primavera 1945Racconto di guerra e di vita di un milite fascista. A vedere il rifugio in mezzo al prato, le nostre monta-gne sullo sfondo, il cielo primaverile, uno non direb-be che c'è una guerra. C'è gente seduta ai tavoli fuori, vestiti da montanari come nei quadri con le scodelle di legno e il fiasco di vino. Noi siamo affamati, ci avviciniamo, il peso della marcia nelle gambe e quel-lo dei MAB sulle spalle.Ci vedono e cala il silenzio, non vogliamo fare del male alla nostra gente, ma abbiamo le armi e c'è la guer-ra, è normale che abbiano paura.Per non disturbarli entriamo dentro, ci sediamo a un tavolino mentre un paio di persone escono. Puzziamo di morte, l'abbiamo attaccata alle nostre divise nere, ai teschi e tibie che portiamo come pirati. E noi stessi siamo già morti in quanto la guerra è persa; lo so, possono menarmela tutto il giorno col contrat-tacco imminente e le armi segrete che stanno per essere rovesciate sugli inva-sori, la realtà è che quando i tuoi ti fanno il vuoto attorno e ti guardano come se fossi scappato da un manicomio vuol dire che la guerra è persa, punto.Siamo affamati e in quattro non abbiamo una lira, Spaggiari, che è il capo pattu-glia, mette una granata sul tavolo e si rivolge alla moglie dell'oste, che sembra più sveglia.

" Da mangiare e da bere ! "

Veloce come il vento ci porta una bottiglia di grignolino e i bicchieri, poi arrivano il pane e il battuto di lardo col pepe, per un attimo la guerra torna lontana.Ci siamo rilassati, il vino e la stanchezza hanno fatto il loro lavoro, abbiamo la-sciato che le armi cadessero a terra, quel che è successo dopo è stato merita-to.

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Giovani militi delle Brigate Nere

" Fascisti ! Alzate le mani o sparo !! "

Era li sulla soglia, uno in abiti civili, cercava inutilmente di fare una faccia fero-ce, ma aveva un mitra. Le nostre armi erano a terra. Se ci fossimo chinati per prenderle sarebbe partita la sventagliata e non c'erano ripari. Mi giro verso gli altri tre con me. Si sono già arresi, non hanno ancora tro-vato il coraggio di muovere le braccia per alzarle, ma hanno la resa scritta in faccia. Si erano già arresi dentro, anche prima che quel partigiano spuntasse fuori. L'ho capito in un lampo, ed è questa la cosa che più mi ha fatto salire la rabbia. E' per questo che mi sono alzato dalla sedia e sono andato verso di lui con le braccia non alzate, ma aperte, mettendomi tra la bocca del mitra e gli altri ca-merati." Tu non hai le palle per sparare. "

Ha in mano la mia vita, eppure è lui a tremare, anche a distanza sento la puzza dell'alito che viene a tutti quando si secca la gola, il mio non deve essere diverso.Non è neanche giovane, un mingherlino sulla cinquanti-na col gilettino di lana e gli occhiali di tartaruga. Il mae-stro di scuola del paese? L'avvocato? Sa di Azione Cat-tolica e di disinfettante, e io ora sono davanti a lui con le braccia in croce, come Cristo che versa il proprio san-gue per la salvezza degli altri. Io che in tutta la vita non ho mai messo piede in una chiesa.E non sento paura, solo pietà e ribrezzo, voglio morire, si, perché da morto i partigiani non mi potranno tortura-re. Perché la vedo la tortura in quei pozzi di paura che

sono i suoi occhi, lui che sta facendo l'eroico catturatore di camicie nere, vedo nei suoi occhi quel che succederebbe se io fossi legato e lui potesse avvicinar-si, e preferisco una raffica veloce.

" Tira quel grilletto, merda, ti faccio vedere che differenza c'è tra te e un uomo. "Lui chiude gli occhi e tira il grilletto, anche io li chiudo, sento la raffica, un gran casino, l'odore della polvere da sparo. Però sono ancora in piedi, o forse non mi sono accorto di essere caduto.

" Ocio Angelo, spostati !! "

Di puro istinto mi butto di lato, sento una raffica diversa, è un MAB questo. Tor-na la vista, come se il film della mia esistenza si fosse incantato per un attimo e ora riprendesse a scorrere. C'è il partigiano a terra, boccheggia come un pesce gatto, il sangue si sta già spargendo per il pavimento. Più in alto il soffitto è tutto

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butterato… sto coglione non è stato capace di dominare il rinculo... la sua raffi-ca mi è passata sopra la testa. Mi ha negato la morte eroica, per una volta che ero pronto.Raccolgo il suo mitra, è uno Sten, una cosa brutta fatta di alluminio stampato, produzione in serie senza alcuna qualità, i nostri MAB vecchio modello sono meglio.Anche il calcio è metallico, per un attimo immagino la vibrazione che si propa-gherebbe al mio braccio se lo usassi per aprire la testa della cosa che sta ran-tolando ai miei piedi.Ma in quella maniera metterei fine alla sua sofferenza, decido piuttosto di igno-rarlo, prendo lo Sten per la can-na, lo sfascio contro una colon-na di legno scheggiandola pro-fondamente. E' vero, un'arma in più anche se brutta tornava utile, sbattendola in quella maniera potevano parti-re dei colpi e ferire gli altri, o me, non era il caso di fare più danni alla stanza del povero oste che ci aveva offerto il pranzo.Non me ne può fregare di meno. Spaggiari mi tocca la spalla.

" Adesso basta Angelo, usciamo. "

Si esce, tre col MAB e uno con la bomba a mano pronta. Siamo ancora vivi, ma per quanto? Ci saranno altri partigiani? Ci prenderanno adesso o fra un mese? E soprattutto avrò una morte pulita come potevo averla oggi o mi cattureranno vivo? Panizzi non sapendo cosa dire si mette a cantare a bassa voce.

" Ci sparano alle spalle per le strade, che di venirci avanti hanno paura... "

Non importa più nulla, anche se la guerra è persa, ora che ho potuto vedere chi sarà a ereditare la nostra Italia. Ora so perché combatto e non mi fermerò fino all'ultimo respiro.

Angelo

I Rurali di Littoria di Antonio Pennacchi 18/9/2008

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Al Venesian

In recenti conversazioni con Mia Fuller – un’antropologa americana che s’inte-ressa di queste cose; ovvero di fascismo e colonizzazione, non di fogne o alli-gatori – è riemersa la vexata quaestio dell’isolazionismo che avrebbe impronta-to la politica rurale del fascismo: i contadini andavano tenuti isolati, ognuno per suo conto e che si parlassero il meno possibile. A dire la verità la questione non è affatto vessata – è vessata solo da noi due: tutta la letteratura sembra darla per scontata – per loro è un fatto certo: ci metterebbero la mano sul fuoco come Muzio Scevola. Io gli ci metterei pure l’altra: «Brucia, vaffallippa». […]È una leggenda metropolitana, questa è la verità: l’isolamento dei rurali è una

leggenda metropolitana come i cocco-drilli di New York. Non è vero niente.Ma veniamo al dettaglio.In Agro Pontino – nel 1932-34 – la grandezza media dei poderi Onc (Opera Nazionale Combattenti) che venivano assegnati ai contadini dallo Stato, è intorno ai 15 ettari. Vanno da un minimo di 9 o 10 per i terreni di medio-mediobuona fertilità, ad un massimo di 20 in quelli argillosi o sab-biosi. Le fonti in effetti parlano anche

di un minimo di 4 ettari, riferendosi però ai soli 5 o 6 poderi sperimentali ad al-tissima specializzazione, più vivai che poderi veri e propri.Il casale – fornito di stalla, pozzo, fienili, forno, «passi-comodi» e locali di abita-zione su due piani notevolmente superiori agli standard dell’epoca – non è col-locato al centro ma su di un lato perimetrale, sulla strada interpoderale. Proprio di fronte al casale è collocato, di norma, il podere dirimpettaio. «Ma come?», dice: «E l’isolamento-segregazione? Non dovrebbero stare ognuno per suo conto?». Ahò, vallo a dire alla Ghirardo.È da notare che con il termine «podere» – che propriamente si-gnificherebbe solo l’insieme del-l’appezzamento di terreno messo a coltura – si è qui denominato particolarmente, fin dall’inizio del-la colonizzazione, il corpo di fab-brica del casale. In realtà nean-che l’intero corpo e tutti i fabbrica-ti, ma la sola casa di abitazione: «Tacà al podere ghe xè la stala». Probabilmente il traslato è dovuto, in via originaria, al forte impatto emotivo e simbolico operato dalla

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Littoria (Latina), cartolina dell'O.N.C.

Uno dei poderi costruiti nel Pontino

grande scritta in rilievo che era posta sulla facciata di ogni casale: «O.N.C. – ANNO X E.F. – PODERE N. 576» (E.F. sta per Era Fascista e il numero del po-dere, evidentemente, cambiava di caso in caso). È quel «Podere» scritto sopra la casa, che porta a chiamare la casa «podere». In ogni modo questi poderi erano posti a coppia, sulla strada, e ogni 250 metri, mediamente, ce n’era una coppia. Nel raggio di 500 metri quindi, almeno sei famiglie. E non famiglie d’a-desso, ma quelle dell’Onc, con almeno quindici o venti persone l’una. Nel rag-gio di un chilometro fanno dieci famiglie: tra le cento e le duecento persone. Certo non erano le Bahamas: «Quando son rivà, credeva de morìr: ma qui ghe xè il deserto, agò dito», raccontava nonna Zago, la nonna di mia moglie. Non c’era un albero in giro, per chilometri e chilometri. Solo ‘ste piantine d’eucalyp-tus appena messe – sulla strada – alte nemmeno un metro. Ma la socializzazio-ne l’hanno fatta subito. I veneti. Ma pure gli eucalyptus. Innanzitutto non furono portati giù a casaccio. L’Opera – insieme naturalmente al Commissariato per le migrazioni interne, col quale avrà negli anni rapporti via via sempre più burra-scosi che contribuiranno non poco alla «cacciata» di Cencelli – pretese che le famiglie venissero selezionate accuratamente; anche se la cosa non sempre accadde. Nella loro allocazione fu tenuto conto dei posti di provenienza – sulla via Santa Croce per esempio, dove abito, erano tutti trevisani – e se anche è rara la vicinanza di famiglie che avessero già intrattenuto precedentemente rap-porti tra di loro, in ogni caso era garantita una certa omogeneità. E li facevano partire ed arrivare tutti insieme, a scaglioni. Li concentravano per area di prove-nienza nelle singole stazioni, dove c’erano i banchi ristoro dei Fasci femminili. Li mettevano sullo stesso treno – armi, bagagli, masserizie ed animali – e li porta-vano a Cisterna, o a Littoria Scalo, o Terracina. Partivano la sera e arrivavano la mattina. E già in treno facevano conoscenza. All’arrivo ritrovavano il Fascio femminile coi banconi del caffelatte, della polenta e della grappa. Li caricavano sui camion e li scaricavano nei poderi: una famiglia alla volta, man mano che arrivavano sui poderi. Sono partiti ed arrivati assieme. In mezzo al deserto, come diceva nonna Zago. Per colonizzarlo. E questo partire ed arrivare assie-me non ti sembra proprio, già da solo, un bel «rito fondante»? Non ti ricorda – che ne so? – una cosa chiamata Mayflower? E comunque tutti, ma proprio tutti, raccontano che la prima cosa che hanno fatto – dopo avere scaricato le masse-rizie, guardato in ogni angolo il loro nuovo podere, perlustrata la terra e siste-mati i letti e le brande – è stata andare in giro per il resto dei poderi a vedere come s’erano sistemati tutti gli altri Pilgrim Fathers come loro. […]

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Fin da subito i nuovi coloni hanno cominciato a scambiarsi le giornate e i mezzi agricoli. Lavori come la mietitura – ma anche il diserbaggio del grano, con la zappa – la raccolta del co-tone quando s’è piantato e soprattutto della barbabie-tola da zucchero, si sono sempre fatti assieme. Pri-ma si andava tutti in un podere – tutte le famiglie – e poi si passava in quel-l’altro. Fino a ieri, fino a meccanizzazione avanza-ta. Ad oggi, si può dire che il grano e le barbabie-tole nessuno li mette più e si fa tutto a macchina. Ma ancora oggi la raccolta del kiwi si fa insieme – e la vendemmia – e prose-gue, costante, lo scambio gratuito delle giornate e dei mezzi meccanici. No socializzazione? Ma vai a ve-dere tutta questa gente in fila che canta, ciàcola e cava le bietole.

Poi s’erano portati dal Veneto la tradizione del filò, cioè quella di riunirsi tutti a sera, dopo cena, in un podere – ora uno, ora l’altro – a raccontarsi le fòle e roba varia al lume di candela o di petrolio: d’inverno in stalla, assieme alle bestie per-ché ci faceva più caldo; d’estate in strada, seduti sulle spallette dei ponti in pie-tra viva con cordolo di cemento che ancora punteggiano il panorama. Questo rito tradizionale veneto del filò si è immediatamente esteso – in tutta la sua for-za aggregativa – anche a quelli che al paese loro non l’avevano, abitando, in Emilia o Friuli, raggruppati nei piccoli centri urbani. Al filò si aggiunge – come ulteriore e forte rito integrativo - aggregativo – il ballo sull’aia.

Anche il ballo inteso in senso stretto – consuetudinario, relazionale e di pura espressione artistica – non è un portato di tutte e tre le regioni di provenienza (Veneto, Friuli e Ferrarese), appartenendo in origine ai soli ferraresi. Ma in Agro

Pontino si estende immediatamen-te all’intera nuova comunità «vene-to-pontina» e si qualifica – insieme all’uso della bicicletta anche da parte delle donne, con la conse-guente messa in mostra di porzioni di gambe assolutamente fino allora mai viste da queste parti – come

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Valentino O. Cencelli, in mezzo,Commissario del-l'O.N.C.

I contadini e gli operai di Borgo Podgora davanti alla chiesa del "Villaggio operaio a

Sessano"

segno «morale» distintivo dalle popolazioni autoctone. I lepini chiamano tuttora i veneti «cispadani» o «polentoni», venendone richiamati «marocchini». Tuttora. Per gli abitanti dei Lepini, le donne dei veneti sono un po’ puttane, sia perché vanno in bicicletta mostrando le gambe sia perché, a Sezze, se fai un giro di ballo una volta con una, poi te la devi sposare. Queste invece ballano con tutti e i loro maschi – «Sti cispadani becchi» – non dicono niente. Così non sono infre-quenti – nei balli più grossi nelle sale, nelle feste e nelle trebbiature, specie nei borghi «di margine» – fraintendimenti che portano a risse, anche con coltellate, tra le due «etnie». Prassi che si è consolidata e protratta fino alla fine degli anni Settanta. Al «Milleluci» di Borgo Podgora ogni sabato erano scazzottate e qual-che volta pure schioppettate, come peraltro a Borgo Grappa, Pasubio eccetera. Questo non significa che non si instaureranno gradualmente rapporti di convi-venza: i matrimoni misti – che ne sono il primo e più importante segno – inizie-ranno già a meno di una decina d’anni dalla colonizzazione, già negli anni Qua-ranta. Ma manterranno sempre caratteri di tipo «imperialistico».La prima fase di questi matrimoni difatti – fino agli anni Sessanta – si svolge ri-gorosamente a senso unico: è il maschio veneto che sposa la donna dei Lepini e la porta a vivere in pianura, nel podere. Qui lei impara a parlare in veneto – in dialetto quindi, non in italiano – e parla soltanto quello. Deve letteralmente di-smettere o dimenticare – come mia zia Edilia che veniva da Norma o mia suo-cera da Itri – il dialetto del suo paese. Eppure non basta.

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Nella tassonomia della superfami-glia di tipo patriar-cale del podere, per esempio, l’ulti-ma nuora che en-tra in casa non ha nome proprio: ella si chiama sempli-cemente «la spo-sa» o «Sposa», e quando qualcuno del podere va al Borgo e si mette a fare quattro chiac-chiere, la gente gli chiede sempre: «Come stàla la spo-sa?». Riprenderà a chiamarsi con il suo vero nome proprio – Rosa, Maria o Elisabetta – solo quando, grazie ad un nuovo matrimonio, entre-rà in podere una nuora nuova. Ma se questa non arriva e non si sposa più nes-suno, lei si chiamerà «Sposa» per tut-ta la vita e fin dopo la morte. Solo di mia suocera o di mia zia Edilia – o delle altre indigene venetizzate come loro, anche dopo che avrebbero potu-to laurearsi in Filologia veneto-arcaica – la gente del Borgo chiedeva: «Come stàla la marochìna?». A mia suocera ancora rode perché il termi-ne, evidentemente, non implicava connotazioni di tipo estremamente laudativo.

Antonio Pennacchi (scrittore antifascista)Tratto da “Fascio e martelloViaggio per le città del Duce”

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Costruzione di Pomezia, 1938

Alberese (Grosseto): 14 ottobre 1923. Occupazione da parte dell’O.N.C. dell'immensa tenuta degli Asburgo e Lorena , usurpata per anni dal Duca Lante della Rove-

re Pietro di Bagnaia» (M. INNOCENTI '98, p.79)

Sino alle bonifiche fasciste, varie zone d’Italia erano paludose ed infestate dalle febbri malariche. In Italia agli inizi del 1900 vi erano 15.000 morti l’anno per malaria.Lo Stato Fascista nella sua opera di bonifica e di costruzione di centri abitati, sconfisse la febbre malarica, togliendo l’Italia dallo stato di paese del terzo mondo.Dal 1922, anno di assunzione del potere da parte del Fascismo, sino al 1943, in Italia si costruirono 160 tra città, borghi e centri rurali.In Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia, Friuli, Lazio, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia e Trentino, ma anche in Istria e Dalmazia, lo Stato Fascista porto civiltà e lavoro, dando impulso all’agricoltura ed alla comunicazione tra italiani.La maggior parte di questi centri abitati esistono tutt’ora e si sono sviluppati e ingranditi, alcuni diventando vere e proprie città come Littoria (l’odierna La-tina) o Carbonia in Sardegna.In Italia durante il periodo fascista, vennero espropriati ai grandi latifondi ed assegnati in proprietà ai piccoli contadini 2.239.059 di ettari di terreno con una media a podere di circa 15 ettari

Nel periodo tra il 1951 e il 1961, con la riforma agraria democristiana, 760.941 ettari, con una media a podere di circa 6 ettari

La Rivoluzione mussoliniana e la Trasformazione dell’Italia in Nazione

moderna, civile e rispettataMahatma Gandhi: "..Il Duce è uno statista di primissimo ordine, completamen-tedisinteressato."Il gran Mufti di Gerusalemme proclama (1938) Mussolini "difensore dell'Islam" e gli consegna la simbolica spada dell'Islam.Vladimir Ulianov, detto Lenin :"..sono certo che per causa sua e delle idee che lui ha, il marxismo sarà un giorno battuto e definitivamente rovinato.."

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Josip Vissarianovich detto Stalin :"..con la morte di Mussolini, scompare un grande uomo politico cui si deve rimproverare di non aver messo al muro i pro-pri avversari politici.."Winston Churchill: "..così finirono i ventuno anni della dittatura di Mussolini in Italia durante iquali egli aveva salvato il popolo Italiano dal Bolscevismo per portarlo in una posizione inEuropa quale l'Italia non aveva mai avuto prima.."Anthony Eden ( fautore delle sanzioni): "..Mussolini è il grande legislatore dei nostri tempi. Le leggi del Duce e dei suoi fedeli sono una pietra miliare nell'evo-luzione mondiale.."E. Delano Roosevelt : "..sono rimasto davvero ammirato dal modo come (Mus-solini) concepisce e risolve i maggiori problemi del giorno.."R.Kiplyng agli Italiani: "..sappiate amare questo vostro meraviglioso fratello che protegge il vostro avvenire.. pensate che per l'Italia egli è tutto.."G.B.Shaw : "..il popolo aderisce a Mussolini perché lo considera indispensabi-le.."Stanley Baldwin, primo ministro Britannico: " non credo che in Europa vi siano uomini eccezionali come Mussolini.."Claude Ferrère, Accademico di Francia: "..il bene che Mussolini ha fatto all'I-talia è, malgrado tutto, incommensurabile.."Richard Strauss: "..se dovessi sintetizzare il mio pensiero col minor numero di parole non troverei che queste: Mussolini è unico.."Igor Stravinskij: "..non credo che alcuno abbia per Mussolini una venerazione maggiore della mia.."H.S. Harmswort, Lord Rothermere: "..Mussolini è la più grande figura della nostra età e probabilmente dominerà il XX secolo.."

Ma, al di là delle opinioni, seppu-re suffragate da prove, lasciamo la parola ai fatti:Quello che segue è un elenco, frammentario ed incompleto, ma significativo, delle principali Leg-gi, riforme ed opere che furono realizzate dal Fascismo e che cambiarono il volto della società Italiana ottenendo al regime ed a Benito Mussolini quel consenso popolare quasi totale che oggi la cultura e la storiografia ufficiali si

affannano a disconoscere o comunque a sminuire, ma che chiunque ha vissuto quei tempi e non è in malafede, conosce bene e non può negare!

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Bambini in colonia estiva salutano il Duce

1° Parchi Nazionali:Gran Paradiso: RDL n° 1584 del 03 -12-1922Abruzzo: RDL n° 257 del 12 -'7- 1923Circeo: Legge n° 285 del 25 - 01-1934Stelvio: Legge n° 740 del 24 - 04 - 1935

2° Tutela lavoro Donne e Fanciulli:Legge promulgata il 26-04-1923 con Regio Decreto n° 653E' una delle prime Leggi sociali del Fascismo che nasce solo sei mesi dopo la marcia su Roma del 28 Ottobre 1922 ed è chiaramente indicatrice di quella che sarà la politica sociale degli anni futuri del regime.

3° Assistenza ospedaliera per i poveri:Legge promulgata il 30-12-23 con Regio Decreto n° 2841Questi provvedimenti legislativi saranno in seguito perfezionati, anche mettendo a frutto le esperienze fatte nel frattempo, e mutati in Leggi organiche definitive come l'istituzionedell'INFAM ( Istituto Nazionale Fascista Assistenza Malattie).

4° Assicurazione Invalidità e Vecchiaia:Legge promulgata il 30-12-23 con Regio Decreto n° 3184La Legge decreta il diritto alla pensione d'invalidità e vecchiaia tramite un'assi-curazione obbligatoria al cui pagamento concorrono sia i lavoratori che i datori i di lavoro.

5° Riforma della scuola (Gentile).R.D.L. n° 1054 del 6 Maggio 1923Una legge che cambiò radicalmente la scuola italianaLa data di promulgazione, solo otto mesi dopo la Marcia su Roma, essendo Giovanni Gentile Ministro dell'educazione Nazionale del primo governo Mussoli-ni, indica chiaramente l'attenzione particolare del Fascismo al problema della scuola.La riforma Gentile è ancora oggi alla base del sistema scolastico italiano.

6° Acquedotti Pugliese, del Monferrato, del Perugino, del Nisseno e del VelletranoIn una economia ancora fortemente agricola, era di vitale importanza la disponi-bilità di acqua a sufficienza per irrigare le culture e per dare da bere alle perso-ne ed agli animali.Attualmente queste zone sono servite dagli stessi acquedotti. L'Acquedotto Pu-gliese è il più grande acquedotto del mondo vantando un totale complessivo di opere di circa undicimila chilometri con una portata media di 4.000 litri al secon-do. I Comuni serviti sono 444.

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7° Legge sulla riduzione dell'orario di lavoro a 8 ore giornaliere.RD n° 1955 del 10 Settembre 1923Nessuna regolamentazione legislativa vigeva nel mondo del lavoro che stabilis-se la durata della giornata lavorativa, il concetto degli "Straordinari" pagati, la particolare situazione dei giovani che erano al loro primo approccio con il mon-do del lavoro per imparare un mestiere e che venivano regolarmente sfruttati come orari e come salari.L'età minima di 14 anni al disotto della quale era illegittimo avviare un ragazzo al lavoro, era già stata stabilita per legge nell'Aprile del 1923, sei mesi dopo l'a-scesa al potere di Mussolini.

8° Opera Balilla e Colonie marine e montane per i ragazzi:Nell'ambito dell'organizzazione del Partito Nazionale Fascista (P.N.F.) di cui farà organicamente parte, nasce nei primi anni del Regime Fascista, l'Opera Nazionale Balilla, poi trasformata in Gioventù Italiana del Littorio (G.I.L.), che nasce per educare fisicamente e moralmente la gioventù Italiana dai sei ai ven-tuno anni.Con questo provvedimento, il Fascismo attuò una rivoluzione significativa sot-traendo alla chiesa, anche al di fuori dalla scuola, l'educazione della gioventù che divenne di pertinenza dello Stato.La Gioventù Italiana del Littorio (G.I.L.), svolse un'azione capillare di disciplina ginnico - sportiva, costruendo palestre, piscine ed impianti sportivi, istituendo scuole per istruttori ginnici, organizzando campeggi, colonie, e gare provinciali, regionali e Nazionali. La G.I.L. realizzò il compito di allontanare dalle strade i ra-gazzi, di far loro praticare ginnastica salutare, di educarli al rispetto dello Stato ed all'amore della Patria e di creare una nuova generazione d'Italiani, dalle Alpi alla Sicilia, che seppe poi dimostrare quanto aveva assimilato dei valori inse-gnati in moltissime occasioni ed in molti episodi della guerra e della Repubblica Sociale Italiana.

9° Opera Nazionale Dopolavoro:Quasi in parallelo a ciò che per i giovani era la G.I.L., nasce per i lavoratori l'O.N.D. con il proposito di portare cultura e svago tra la classe operaia che nel passato era stata costretta ad una abbruttente vita fatta esclusivamente di lavo-ro, di sacrifici e d'ignoranza.L'O.N.D. organizza:Circoli ricreativi che, senza scopo di lucro, offrono ai lavoratori un ritrovo econo-mico e dignitoso per trascorrere qualche ora di svago. Sedi per teatri popolari, i “Carri di Tespi", compagnie teatrali itineranti che ope-rano su tutto il Territorio.Corsi di recupero scolastico per analfabeti e semianalfabeti.Biblioteche popolari.Gite turistiche e culturali con accesso a spettacoli teatrali di prosa e di lirica.

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Treni Popolari.

10° Sviluppo delle centrali Idroelettriche ed elettrificazione della rete ferro-viaria

11° Istituzione della Reale Accademia d'Italia:RDL n°87 del 07 Gennaio 1926Nel quadro del progetto di risollevare la Nazione da quello spirito di rassegnata sudditanza e di provincialismo culturali che aveva contraddistinto secoli di sto-ria, prima e dopo l'unità, in cui l'Italia era stata, come disse padre Dante "..non Donna di Province, ma bordello..".

12° Bonifiche dell'Agro Pontino, dell'Emilia, della bassa Padana, di Colta-no, della Maremma Toscana, del Sele e della Sardegna e colonizzazione del latifondo Siciliano:Dai 2.000.000 ettari sotto bonifica nel 1930, si arriva ad oltre 5.000.000 nel 1938. Il massimo dello sforzo viene realizzato tra gli anni 1929 e 1932, quelli della "Grande crisi mondiale".Al risanamento dell'Agro Pontino, si debbono aggiungere le importanti bonifiche dell'Emilia e della bassa valle Padana, quelle di Coltano, vicino a Livorno, della Maremma Toscana, del Sele e di alcune zone della Sardegna.Un'altra importante e significativa opera viene iniziata, già in tempo di guerra, in Sicilia con la costituzione dell' Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano, con uno stanziamento di 1.000.000.000. di lire di allora.Entro il 1943, prima dell'arrivo in Sicilia dei "liberatori USA", favoriti ed accom-pagnati dai "picciotti" e dai "pezzi da novanta" di quella mafia che il Fascismo aveva costretto in carcere od alla fuga in America, l'Ente aveva realizzato otto Borghi in otto province dell'isola: Borgo Fazio (Trapani), Borgo Gattuso (Cal-tanissetta), Borgo Cascino (Enna), Borgo Rizza (Siracusa), Borgo S. Giu-liano (Messina), Borgo Lupo (Catania), Borgo Schirò (Palermo), Borgo Bonsignore (Agrigento).

13° Attribuzione della facoltà d'indagine alla Polizia Tributaria:RDL n° 63 del 03 Gennaio 1926Viene da sorridere nel considerare a cosa potesse servire una polizia Tributaria cui era inibita la facoltà d'indagare, tanto che fu necessaria un'apposita Legge per poterlo fare efficacemente.

14° Opera Nazionale Fascista Maternità ed InfanziaLegge promulgata il 10 Dicembre 1925 con R.D. n° 2277 e regolamentata con R.D. n° 718 del 15 Aprile 1926Nella nuova società, la cura e l'importanza delle donne e dei fanciulli , insita nella dottrina Fascista, assume l'importanza di istituzione mediante la fondazio-ne dell'Opera Nazionale Maternità ed Infanzia che vuole dare e darà un concre-

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to supporto alla fondamentale cellula umana e sociale che è la famiglia, intesa non come generatrice di forza di lavoro e di consumo come nel mondo materia-lista del capitalismo e del marxismo, ma come culla e nucleo vitale delle tradi-zioni della storia e del futuro della Nazione e dello Stato.Le competenze ed i compiti principali dell'ONFMI sono:Coordinamento delle istituzioni assistenziali per la maternità ed infanzia già esistenti con compito di vigilanza, ispezione e controllo e loro finanziamento .Creazione di nuovi istituti di varia natura per omogeneizzare il panorama di assistenza su tutto il territorio Nazionale, strutturandone l'organizzazione a livel-lo Nazionale, Regionale, Provinciale e Comunale in modo tale da avere una completa capillarità d'intervento.Fondazione di asili, consultori ed ambulatori medici e di patronati d'assisten-za.Organizzazione di corsi d'informazione sull'igiene pre e post natale nei con-sultori e nelle scuole femminili.Assistenza e protezione delle gestanti e delle madri bisognose e dei loro bambi-ni.Assistenza ai bambini di qualsiasi età appartenenti a famiglie bisognose e dei minorenni fisicamente o psichicamente anormali o abbandonati.Organizzazione della profilassi per la prevenzione della TBC e la lotta contro le malattie infantili.Controllo e denuncia al tribunale delle inosservanze al lavoro minorile.Protezione dei minori allevati in ambienti fisici o morali inadeguati.Assistenza ai minorenni abbandonati, traviati o delinquenti.

15° Assistenza illegittimi, abbandonati od esposti:Legge promulgata il 08-05-1927 con R.D.L. n° 798Con questa legge lo Stato si assume la responsabilità di provvedere a quei bambini non desiderati che erano prima senza tutela ed alla mercé della carità privata e quindi considerati persone di seconda categoria.

16° La Carta del lavoro:Pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n° 100 del 30 Aprile 1927.E' la "Costituzione" del mondo del lavoro che puntualizza il rapporto fondamen-tale tra esso ed il Fascismo e dichiara, istituzionalizzandoli, i principi basilari a tutela dei lavoratori e la preminenza, nello Stato Fascista, dell'interesse priorita-rio che lega gli obiettivi dello Stato a quelli del lavoro e dei lavoratori.Ecco alcune, e solo alcune, delle principali enunciazioni, tradotte puntualmente in Leggi dello Stato prima o dopo la dichiarazione della Carta del lavoro:Obbligatorietà della stipula di Contratti collettivi di categoria.Istituzione della Magistratura del lavoro a livello di Corte d'Appello, con un Presidente e due consiglieri di Corte d'Appello più due cittadini scelti in un albo di esperti del settore industriale coinvolto nel giudizio di specie.

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La Magistratura del lavoro aveva il compito di dirimere le controversie tra le va-rie associazioni del lavoro o tra i singoli lavoratori ed i datori di lavoro interpre-tando, oltre alle situazione previste nel codice civile, anche quelle comprese nei Contratti Collettivi di lavoro che assumevano la validità di Leggi dello Stato.Istituzione dell'albo degli esperti del settore produttivo, divisi per competenze, che affiancano i magistrati di Corte d'Appello nell'ambito delle cause discusse dalla Magistratura del lavoro.Diritto alle ferie annuali.Istituzione della indennità di liquidazione di fine rapporto.Istituzione degli uffici di collocamento Statali.Disciplina e riconoscimento giuridico dei Contratti collettivi di lavoro ( Legge n° 563 del 03- 04-1926) che assumono così il valore dei Leggi dello Stato.Perfezionamento e miglioramento delle assicurazioni in favore dei lavoratori ed in particolare l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, l'assicurazione per la Maternità, l'assicurazione per le malattie professionali, l'assicurazione contro la disoccupazione, assicurazioni speciali per i giovani, casse mutue per malattie.Istituzione dei corsi professionali sia per l'apprendistato che per il migliora-mento delle capacità professionali dei lavoratori.

17° Esenzioni tributarie per le famiglie numerose:Legge promulgata il 14-06-1928 con Regio Decreto n° 1312

18° Rete Stradale ed Autostradale, Ferrovie e Porti:Nel 1928 viene costituita l'Azienda Autonoma Strade Statali (A.A.S.S.) con il compito di costruire la rete primaria stradale per complessivi 20.000 chilometri.Nel 1930 viene unificata la segnaletica stradale e viene approvato il primo Codi-ce Stradale.Tra il 1925 ed il 1935 si costruiscono le principali Autostrade: Milano - laghi, Mi-lano - Bergamo, Roma - Ostia, Napoli - Pompei, Bergamo - Brescia, Milano - Torino, Firenze - mare, Padova - Mestre e Genova-Serravalle, per complessivi 500 chilometri.Tra il 1920 ed il 1940, la rete ferroviaria viene notevolmente rafforzata con circa 2000 nuovi chilometri e si procede alla elettrificazione generale mentre nelle tratte non elettrificate appaiono le famose "Littorine".Tra il 1923 ed il 1926, si ampliano e si modernizzano i Porti di Livorno, Genova, Napoli, Marghera, Civitavecchia e Ravenna.

19° Creazione delle aree Industriali:Il regime, servendosi sia dell'apparato amministrativo dello Stato che di specifici Enti creati appositamente come I.R.I. ( Istituto per la Ricostruzione Industriale) e l'I.M.I. ( Istituto Mobiliare Italiano) vara un piano di sviluppo industriale che prevede l'istituzione delle Zone Industriali.

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20° Patti Lateranensi:Firmati l'11 Febbraio 1929 i patti Lateranensi furono, per Mussolini e per molti Fascisti, una sgradevole necessità politica cui aderirono "ob torto collo"..Data la sua natura, non certo confessionale, non era nelle corde del regime il fare alla Chiesa Cattolica le concessioni che i patti comportarono, ma decenni di logoranti contrasti che caratterizzavano i rapporti tra Stato e Chiesa sino dal-la unificazione Nazionale conclusasi con la "breccia di porta Pia", dovevano es-sere sanati ad ogni costo. D'altra parte, nessuna concessione, nessun compro-messo fu fatto sulle prerogative essenziali dello Stato soprattutto per quanto ri-guardava l'educazione dei giovani che anzi rimase allo Stato con l'abolizione delle associazioni Cattoliche ( Boys Scouts ed Azione Cattolica) e con il raffor-zamento della scuola pubblica.

21°Legge sull'Assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali e Legge istitutiva dell'INFAIL ( Istituto Nazionale Fascista Infortuni sul La-voro):Leggi promulgate rispettivamente il 13-05-1929 con Regio Decreto n° 928 ed il 23 -03 1933 con Regio Decreto n°264

22° Istituzione del Libretto di Lavoro RD n°112 del10-01-1935

23° Legge istitutiva dell' I.N.F.P.S.Legge promulgata il 04-10-1935 con Regio Decreto n° 1827Questa Legge nasce come compendio, completamento e ristrutturazione orga-nica di leggi sociali della stessa materia già promulgate sin dal 1923 come quel-la nata dal R.D. n° 3184 del 30-12-23, "assicurazione invalidità e vecchiaia" o quella emanata in pari data con R.D. n° 3158, "assicurazione contro la disoccu-pazione"

24° Riduzione dell'orario di lavoro a Quaranta ore settimanali:R.D. n° 1768 del 29 Maggio 1937Non appena le condizioni generali dell'economia e dell'industria Italiane lo per-mettono, il Fascismo continua la marcia intrapresa sin dal 1923 in direzione del-la riforma globale del mondo del lavoro investendo parte del vantaggio econo-mico riscontrato, nella ulteriore diminuzione dell'orario di lavoro e sottolineando il principio che il lavoro ed il profitto debbono essere strumenti e non fini della società. Questa Legge, conosciuta più genericamente come "Sabato Fascista", è un ulteriore passo in avanti nella "Umanizzazione" del lavoro.

25° Legge istitutiva dell'ECA (Ente Comunale di Assistenza):Legge promulgata il 03-06-1937 con Regio Decreto n° 847 G.U. del19-06-1937

26° Assegni Famigliari:Legge promulgata il 17-06-1937 con Regio Decreto n° 1048

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28 Case Popolari, Legge T.U. con R.D. n°1165 del 28 Aprile 1938, G.U. supplemento n° 177 del 5 Maggio 1938. Con questa legge, Testo Unico, si riordinano le precedenti leggi relative alle Case Popolari di varia natura ed in particolare quelle dell'Istituto Autonomo Case Popolari già istituito sin dal 1924.Mai nessuno, prima dell'avvento del Fascismo, aveva considerato il problema di dare ai lavoratori una casa dignitosa, con affitti che fossero adeguati ai salari e con la possibilità di diventarne proprietari tramite l'acquisto a riscatto.Con l'Istituto Autonomo delle Case Popolari (I.A.C.P.), il Fascismo istituzionaliz-zò un piano organico nazionale per dare a tutti i lavoratori una casa.Purtroppo, nel dopo guerra, i caritatevoli governi Democristiani, senza opposi-zione delle sinistre, fecero strame dell'Istituto Autonomo Case Popolari sino a ridurlo quasi ad un nulla deficitario a tutto vantaggio dei guadagni dei "palazzi-nari rampanti".

29° Riforma dei Codici e rinnovamento legislativo:Uno dei grandi problemi che si presentarono subito all'attenzione del Governo Mussolini, fu la caoticità, le sovrapposizioni e le carenze del sistema legislativo per cui fu necessario porre mano ad un'imponente opera di rinnovamento, so-stituendo i codici che risalivano all'unità d'Italia ed introducendo nuove normati-ve in materie trascurate in precedenza dal legislatore.Con il RD n° 1398 del 19-10-1930 fu varato il nuovo Codice Penale mentre con il coevo RD n° 1399 del 19-10-1930 fu approvato il nuovo Codice di Pro-cedura Penale. Questi due Codici presero il nome dal Ministro della Giustizia ed insigne giurista Alfredo Rocco, e sono tutt’ora in vigore.

31° Legge istitutiva dell'assistenza sanitaria gratuita, INAM:Legge promulgata il 11-01-1943 con Regio Decreto n° 138, G.U. n° 77 del 03-04-1943Il nome originale dell'ente era: "Mutualità Fascista - Istituto per l'assistenza di malattia ai lavoratori".Naturalmente tale nome fu subito cambiato, con apposito Decreto Luogotenen-ziale del 1946 in Istituto Nazionale Assistenza Malattie ( INAM), in ossequio al solito stupido e farisaico concetto di mimetismo storico, nel tentativo di cancel-lare l'identità politica della promozione della Legge.l'assistenza dell'Ente comprende:a) assistenza sanitaria generica, domiciliare ed ambulatorialeb) assistenza farmaceuticac) assistenza specialistica ambulatorialed) assistenza ospedalierae) assistenza ostetricaf) assistenza pediatricag) assistenza integrativa

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h) una indennità di malattia

32° Socializzazione ( R.S.I.):E' la più rivoluzionaria, la più geniale, la più popolare delle riforme del Fasci-smo, fortemente voluta da Benito Mussolini e divenuta possibile in Repubblica Sociale Italiana quando le circostanze lo avevano liberato dai laccioli dei Savo-ia, del capitalismo e della Chiesa Cattolica;

33° Lotta alla Mafia.In una Sicilia condizionata dal latifondo e da una mafia ancora di natura pretta-mente "rurale", il regime intraprese una lotta senza quartiere alla delinquenza organizzata senza alcun riguardo per nessuno. Il governo di Benito Mussolini fu il primo ad emanare una Legge che contemplava l'esproprio del latifondo e la sua poderizzazione ed il primo ad intraprendere con grande determinazione una lotta contro la mafia che fu ridotta al lumicino e costretta nelle carceri od a rifugiarsi negli U.S.A.Al prefetto Mori, a suo tempo incarceratore di squadristi in Emilia Romagna, ma ottimo elemento di Polizia e fedele servitore dello Stato, fu data "carta bianca" per agire e l'incondizionato appoggio del governo ed i risultati non si fecero at-tendere. Già due volte, prima dell'avvento del Fascismo al potere, Mori era sta-to in Sicilia, ma la connivenza della vecchia politica con la mafia lo aveva im-pantanato nella palude della Sicilianità gattopardesca, opponendogli quel "muro di gomma" che il fitto intreccio d'interessi tra mafia e società civile sa costruire anche oggi attutendo e neutralizzando l'azione delle forze al servizio dello Sta-to.Con azioni di polizia su vasta scala che a volte, come nella "liberazione" della cittadina di Gangi, assunsero la fisionomia di vere e proprie azioni militar i, il prefetto Mori intraprese una lotta senza quartiere contro la mafia che, per la pri-ma volta dovette fare i conti con lo Stato che aveva sempre ignorato, irretito ed invischiato.Indagini approfondite e dettagliate anche nella pubblica amministrazione scopri-rono i vasti legami tra mafia e politica ed epurarono uffici e consigli comunali.Alle retate del prefetto Mori seguirono, specie tra il 1928 ed il 1929, moltissimi processi e moltissime condanne ed una copiosa documentazione dimostra l'in-teresse personale di Benito Mussolini che seguiva e sollecitava continuamente l'azione della magistratura e delle forze dello Stato.

Tratto da “I danni del Fascismo” di Alessandro Mezzano

N.B.: Questi dati, esposti in dettaglio nella loro interezza, sia per modalità at-tuative e scopi materiali ed etici che perseguivano, sono consultabili nel libro di Alessandro Mezzano, “I danni del Fascismo”, consultabile e scaricabi-

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le gratuitamente digitando “I danni del Fascismo” su GOOGLE, e poi entran-do nel sito che lo offre.

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Nota di Merimar:51

Eroe è colui che sacrifica coscientemente la propria vita per salvare quel-la degli altri. Un esempio:Salvo D'Acquisto, che offrì il proprio corpo al fuoco delle armi dei Tedeschi per salvare altre persone che, altrimenti, sa-rebbero state fucilate per rappresaglia.In tutti gli altri casi, incluso quello recente di Kabul, si parla di Caduti.Di persone, cioè, che non volevano morire ma che hanno trovato la morte loro malgrado.Molte persone, inoltre, confondono la forma con la sostanza.Non basta, infatti, che una Brigata si chiami "Folgore" per parlare di ca-merati. Non basta un basco amaranto per definire chi lo porta un nostro simile. Non basta lo stesso inno per confondere la "Folgore" di oggi con quella di El Alamein o con il Reggimento Folgore della Repubblica Sociale

Italiana.Ci troviamo di fronte ad una differenza tombale poiché la "Folgore " di oggi combatte per porta-re con la forza la democrazia e la "libertà" in paesi che non riconoscono queste forme di go-verno, mentre quella di 67 anni fa combatteva per far diventare grande l'Italia e quella di 65 anni fa giurava come potete leggere di seguito.Poiché non mi risulta che gli attuali "folgorini" abbiano fatto questo tipo di giuramento, per me non sono altro che militari al servizio di questo Stato che è l'espressione della repubblica nata dalla "resistenza".Pertanto chi si sente intimamente fascista o, co-munque, condivide i Valori ai quali il Fascismo

fa riferimento non può considerare gli attuali "folgorini" dei camerati.Può anche darsi che qualcuno di costoro abbia bazzicato i nostri ambien-ti, può darsi che a titolo personale qualche paracadutista possa definirsi un camerata, come quel militare che nella caserma di Nassiria aveva at-taccato al muro una bandierina di combattimento della RSI.Ma questo fa parte del grande equivoco in cui sono caduti molti giovani di alcuni decenni fa ed altri ancora oggi, poiché mettono il loro modo di es-sere con i loro valori al servizio di un sistema di governo che per anni ed anni ha fatto strame di questi valori.In ogni caso i Valori se non sono strettamente connessi alle finalità non hanno alcun interesse per noi.Forse che, mi chiedo e vi chiedo, le finalità di questo Stato, di questa re-pubblica, di questi governi hanno qualcosa a che vedere con le nostre fi-nalità?

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CHURCHILL ALLA CAMERA DEI DEPUTATI il 21.11.42 (c’era-

no ancora uomini che combattevano nel deserto). “DOBBIA-

MO DAVVERO INCHINARCI DAVANTI AI RESTI DI CIO’ CHE RIMANE DEI LEONI DELLA FOLGORE”

BBC l'11 novembre "...i resti della divisione Folgore hanno resisti-

to oltre ogni limite delle possibilità umane. Gli ultimi superstiti sono stati raccolti esanimi e con le armi in pugno. Nessuno si è arreso; nessuno si è fatto disarmare"

El AlameinPiù di un attacco unico, nel settore Folgore, si può parlare di una serie di offensive che determinarono 4 scontri principali distinti, il primo il 23 otto-bre a "quota 105" nel settore centrale, il secondo a nord, presso Naqb Rala, il 24, il terzo ancora a quota 105 nei giorni 24 e 25 e l'ultimo a sud, nei giorni 25, 26 e 29 ottobre, sul saliente di Deir el Munassib dove erano gli uomini del 187°. Ai ripetuti attacchi degli inglesi, i paracadutisti rispo-sero con incredibile determinazione ed energia, respingendo ogni tentati-vo di sfondamento ed infliggendo al nemico gravi perdite. I ragazzi della Folgore, provati già da diversi giorni di lotta e dalla dissenteria, attendono sempre più esausti e radi ma impassibili. In lontananza si sentono i carri inglesi sferragliare e dietro loro la fanteria come ha stabilito Montgomery. Le tattiche come abbiamo già visto erano rigidamente studiate a tavolino. Prevedevano un forte tiro preparatorio d'artiglieria e poi, dopo l'allunga-mento del tiro, un'avanzata (a sminamento effettuato) a ranghi serrati di formazioni molto consistenti di fanteria, precedute da carri armati. I para-cadutisti si opposero a questa tattica rendendosi invisibili, schiacciati nelle buche, col carro che passava sopra di loro. Ne uscivano poi per col-pire sia il carro con Molotov o mine magnetiche che la fanteria che segui-va. Lo scompiglio e lo sconforto, che a tavolino non avevano imparato, si creava tra gli attaccanti che erano costretti a desistere.

Il Duce I

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I Reparti Italiani impegnati nella battaglia di El Alamein erano suddivisi nei tre Corpi d'Armata X, XX e XXI.

Il Decimo, schierato più a sud dalla depressione di El Quattara compren-deva le divisioni Pavia(17^), Folgore(185^) e Brescia(27^).

Il Ventesimo comprendeva la Bologna(25^) e la Trento(102^).

Il Ventunesimo le divisioni corazzate Ariete(132^) e Littorio(133^) e la Divi-sione motorizzata Trieste(101^).

Reggimenti bersaglieri, battaglioni genio e gruppi d'artiglieria completava-no i supporti dei Corpi d'Armata che avevano al loro interno anche Grandi Unità tedesche come la 2^ Brigata Paracadutisti (Ramcke) inserita nel X

Corpo e la 164^ Divisione Leggera che completava il XX.

TESTIMONIANZE DEL NEMICO

Quando si parla della battaglia di El Alamein si pensa subito a due nomi: Rommel e Fol-gore. La divisione paracadutisti italiana si batté valorosamente, ma anche le altre nostre divisioni si comportarono altrettanto valorosamente. Queste testimonianze rivolte in modo specifico ai combattenti della Folgore, desideriamo dedicarle a tutti i soldati italiani che sacrificarono la loro vita in terra d'Africa combattendo con mezzi inferiori un nemico dieci volte superiore.

"gli italiani si sono battuti molto bene. la divisione paracadutisti folgore ha resistito al di là di ogni possibile speranza". (Radio Cairo, 8 Novembre 1942)

"la resistenza opposta dai resti della divisione folgore e' stata ammirevole". (Reuter Londra, 11 Novembre 1942)

"gli ultimi superstiti della folgore sono stati raccolti esanimi nel deserto. la folgore e' ca-duta con le armi in pugno". (B.B.C. Londra, 3 Dicembre 1942)

"dobbiamo davvero inchinarci davanti ai resti di quelli che furono i leoni della folgore". (B.B.C. Londra, Discorso del 1° Ministro Churchill, alla camera dei comuni)

Il Sacrario dei caduti italiani Ad El Alamein

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AMERICA:

la più grande produttrice, esportatrice e utilizzatrice al mondo di

ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA

Dalle atomiche sul Giappone, al Napalm sui villaggi vietna-miti; dai proiettili all'uranio dei Balcani, alle bombe al fosfo-ro sulle città irachene; dai gas nervini forniti a Saddam, alle armi vendute ai dittatori di mezzo mondo ... Questa è l’A-merica, un paese che pretende di controllare i destini del mondo e di imporre, con le buone o con le cattive, il suo

modello di “civiltà”.

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EUROPA RISORGI

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