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INDICE

INTRODUZIONE .......................................................................................................... pag. 3

FILIPPO MARIA FERRO

Il mio percorso al Gemelli (1966 – 1993) / il prof Paolo Pinelli

e l’apertura della Clinica di Malattie Nervose e Mentali............................................... pag. 5

GUIDO GAINOTTI

Il Prof. Macchi e l’integrazione fra Neurologia Clinica e Neuroscienze....................... pag. 10

MARINA BENTIVOGLIO

Circuiti neuronali e vetrini - Riflessioni e ricordi ......................................................... pag. 16

PAOLO BERGONZI

La Neurofisiologia clinica: un ausilio diagnostico in Neurologia................................. pag. 20

VINCENZO DI LAZZARO

Dalla psicologia sperimentale alla stimolazione cerebrale:

più di un quarto di secolo di percorso............................................................................ pag. 23

DOMENICO GAMBI*

Brevi ricordi dei primi tempi della Clinica neurologica................................................ pag. 29

MARCO ONOFRJ

Un'esperienza breve ma indelebile................................................................................. pag. 31

SALVATORE MAZZA

Cinquant'anni...e sembra ieri......................................................................................... pag. 36

LUCA PADUA

Un'isola, la Vita, una casa, una sceneggiatura: la Clinica Neurologica ...................... pag. 40

PAOLO ZOLO

Il sessantotto: una brezza alfine anche sulla Neurologia............................................... pag. 41

CATERINA SILVERI

I 50 anni dell’Istituto di Neurologia dell’Università Cattolica:

una breve riflessione....................................................................................................... pag. 44

PAOLO BARTOLOMEO

L’Istituto di Clinica Neurologica dalla neuropsicologia

alle neuroscienze cognitive – e ritorno .......................................................................... pag. 46

ANTONIO DANIELE Il vivace mondo della Neurologia dell'Università Cattolica:

un viaggio nei ricordi ..................................................................................................... pag. 49

CAMILLO MARRA

Dal Laboratorio di Neuropsicologia Sperimentale

alla Clinica della Memoria............................................................................................. pag. 53

CARLO MASULLO

Alla ricerca della connessione perduta .......................................................................... pag. 55

AMELIA EVOLI

Ricordi della Clinica Neurologica .................................................................................. pag. 57

SERENELLA SERVIDEI

Amarcord ......................................................................................................................... pag. 59

CIRIACO SCOPPETTA

Malattie neuromuscolari ai tempi dei pionieri ............................................................... pag. 62

GIROLAMO DI TRAPANI

I miei maestri .................................................................................................................. pag. 65

PAOLO MARIA ROSSINI

Riflessioni conclusive ..................................................................................................... pag. 67

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Introduzione

Cinquant’anni fa, veniva inaugurato, all’interno del nascente Policlinico Gemelli, sede romana

dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, l’Istituto di Clinica delle Malattie Nervose e Mentali,

successivamente trasformato in Istituto di Neurologia. Il presente volumetto si propone di rievocare

quell’evento e gli sviluppi successivi dell’Istituto, con una serie di contributi forniti da Colleghi che

hanno vissuto all’interno dell’Istituto una parte significativa della loro vita, a partire dalla

formazione universitaria fino all’attività clinica, didattica e di ricerca, che costituiscono il cuore

pulsante di ogni Istituto Universitario. Anche se 50 anni non sono un periodo di tempo

particolarmente lungo, bisogna riconoscere che si è trattato di 50 anni ‘speciali’, in cui ne abbiamo

visto di tutti i colori ed a tutti i livelli, a cominciare da quello planetario, in cui siamo passati dalla

guerra fredda alla caduta del muro di Berlino, allo sbarco dell’uomo sulla Luna, all’espansione

economica e politica della Cina, all’emergere del terrorismo islamico ed alle grandi migrazioni, con

l’emergere dei nazionalismi e populismi degli ultimi anni.

Ma anche a livello del nostro ’microcosmo’ non si può dire che le novità siano mancate: dall’esame

obiettivo, guidato da ipotesi cliniche, siamo passati all’iperspecializzazione e tecnologizzazione di

tutte le branche della Medicina (da cui sono almeno in parte derivati il grande sviluppo del nostro

Policlinico e la suddivisione dell’Istituto di Clinica delle Malattie Nervose e Mentali nei due Istituti

di Neurologia e Psichiatria). Inoltre, queste modifiche dell’assistenza sanitaria hanno portato

all’introduzione dei DRG (che penalizzavano finanziariamente le strutture di alta specializzazione,

come il nostro Policlinico) ed alla conseguente necessità di velocizzare i ricoveri Ospedalieri, fino

alla recente distinzione fra Facoltà di Medicina e Fondazione Policlinico Gemelli.

Il ruolo della Neurologia e le modalità di ‘fare clinica’ in ambito neurologico sono molto cambiati;

basta ricordare l’impatto incredibile che le neuroimmagini (sia strutturali che funzionali) hanno

avuto nella gestione del Malato neurologico. Naturalmente tutti questi cambiamenti hanno avuto

importanti ripercussioni (positive e negative) sulla vita dei medici che lavoravano, con varie

responsabilità, all’interno del nostro Istituto. Una parte dei contributi che troverete all’interno di

questo volumetto sarà, quindi, dedicato alla rielaborazione del come questi mutamenti sono stati

accolti e vissuti. Un’altra parte sarà dedicata al ricordo di figure eminenti, come il Prof. Pinelli, il

Prof. Macchi ed il Prof. Gambi, che sono, purtroppo, venuti a mancare, dopo aver costruito la

fisionomia del nostro e di altri Istituti, e di cui sentiamo ancora dolorosamente l’assenza, soprattutto

per la passione per la propria professione ed in “fuoco sacro” per la ricerca scientifica che hanno

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saputo trasmettere a molti dei loro (allora) giovani Collaboratori. In molti dei contributi raccolti in

questo libro verrà infatti rievocato il loro modo di essere maestri di scienza e di vita, ricordando,

oltre alla loro umanità, i fondamentali indirizzi didattici, assistenziali e di ricerca che essi hanno

dato all’organizzazione ed al funzionamento del nostro Istituto. Infine, molti contributi hanno

focalizzato l’attenzione sugli ‘amici e compagni di strada’, appartenenti ai vari ambiti assistenziali e

di ricerca che si sono venuti sviluppando nel tempo, fornendone descrizioni in cui la nostalgia si

associa alla vivacità ed alla leggerezza. Ancora oggi, sulla scia dei nostri ‘Padri fondatori’ ed in

controtendenza con quanto sta accadendo nel resto d’Italia, la Clinica Neurologica della nostra

Università e del nostro Policlinico è una delle più grandi del Paese, sia in termini di staff e di attività

clinica che di produzione scientifica.

La struttura che abbiamo cercato di dare a questo ‘zibaldone’ si basa su due contributi iniziali, in cui

Ferro e Gainotti illustrano rispettivamente la fondazione dell’Istituto da parte del Prof. Pinelli e

l’integrazione fra neurologia clinica e neuroscienze voluta dal Prof Macchi. A questi contributi

‘generali’ seguono gruppi più specifici di contributi dedicati agli sviluppi della Neuroanatomia

(Marina Bentivoglio), della Neurofisiologia Clinica (Bergonzi, Di Lazzaro, Gambi, Onofrj, Mazza,

Padua, Zolo), della Neuropsicologia (Silveri, Bartolomeo, Daniele) - con particolare riferimento per

le Demenze (Marra, Masullo), o di forme specifiche della patologia neurologica, come la miastenia

e le malattie neuromuscolari (Evoli, Scoppetta, Servidei e Ricci), o le sindromi cefalalgiche (Di

Trapani). Non possiamo e non dobbiamo dimenticare i nostri molti giovani, che benissimo hanno

fatto in sedi cliniche e di ricerca internazionale. Non possiamo e non dobbiamo dimenticare i nostri

Colleghi che non ci sono più, ma che in qualche modo saranno presenti con noi nella celebrazione

che si terrà sabato 3 Dicembre nell’ Aula Brasca del nostro Policlinico.

Speriamo che la lettura di questo volumetto e la visione delle fotografie che illustrano il ‘come

eravamo’ rappresenti un piacevole momento di ricordo per i meno giovani e di riscoperta delle

proprie radici cliniche ed accademiche per i più giovani

Guido Gainotti e Paolo Maria Rossini

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Filippo Maria Ferro

Il mio percorso al Gemelli (1966 – 1993) / il prof Paolo Pinelli e

l’apertura della Clinica di Malattie Nervose e Mentali

Nella primavera del 1966 il prof Paolo Pinellii venne a Roma per insegnare Clinica delle Malattie

Nervose e Mentali presso l’Università Cattolica, la cui titolarità era ancora a nome del prof Carlo

Berlucchiii dell’Università di Pavia. Arrivarono quindi, nell’imminenza dell’apertura dell’attività

clinica, dalla casa madre pavese, Pietro Tonali in maggio e lo scrivente all’inizio di settembre. I

ricoveri nella Neurologia del Policlinico Gemelli iniziarono a metà settembre: il reparto era sito al

terzo piano nell’ala (quella prospiciente il parcheggio personale); seguivamo anche qualche

paziente ai Solventi 1. Ricordo le due suore caposala che mi furono particolarmente vicine: suor

Donata e suor Giuliana. In breve tempo il lavoro clinico si intensificò. Nel novembre si aggiunse

Giovanni Gandiglio, allievo del prof Bergamini all’Università di Torino. Nella primavera del 1967

si aggregò Domenico Gambi, allievo del prof Lugaresi all’Università di Bologna; e dopo un anno

circa venne dalla Neurochirurgia di Bologna Francesco Simone. Per qualche tempo condivise il

nostro cammino anche Giovanni Pelliccioli di Brescia. Questo primo gruppo, così costituito, rimase

a lungo stabile, animato da un rapporto fraterno. Spesso si cenava insieme in una osteria sulla Pineta

Sacchetti (non più esistente). Un ricordo significativo: il prof Bergamini, vedendoci insieme a un

congresso, vestiti ciascuno di un fresco blu, ci chiese con ironia se la Cattolica ci avesse fornito la

divisa di primavera. Ben presto si aggiunsero figure nuove di laureati, da subito parte viva del

nostro gruppo: Luigi Anepeta, Salvatore Mazza, Pietro Bria, Francesco Pinto; e ancora, via via,

Girolamo Di Trapani, Pasquale David, Alfredo Laudisio, Sandro Carecchi. Giulio Maira e Concezio

di Rocco dopo breve tempo passarono alla Neurochirurgia nel frattempo aperta dal prof Gianfranco

Rossi. Il prof Pinelli sviluppò le linee di ricerca neurofisiologicheiii

, in modo particolare

l’elettromiografia che aveva approfondito presso Fritz Buchtaliv

a Copenhagenv e che si affermò

come un’area di eccellenza. Numerosi dei pazienti indirizzati alle nostre cure soffrivano di

miastenia e di patologie neuromuscolari. Era la stagione d’oro della neurofisiologia applicata alla

clinica e Paolo Pinelli costituiva in Italia un’avanguardia con Ludovico Bergamini a Torino e Hayr

Terzian a Verona: tre “moschettieri” a cui si aggiungeva Elio Lugaresi a Bologna. Numerosi

accorrevano a frequentare il laboratorio di elettromiografia, ricordo in particolare Antonio Fiaschi

allievo di Terzian. Anch’io mi occupavo di tale area, mi orientai tuttavia alla neurofisiopatologia e

alle tecniche di poligrafia, usufruendo del laboratorio organizzato da Mario Bertini nell’Istituto di

Psicologia, e studiai alcuni casi di mioclono-epilessia con Domenico Gambi e Salvatore Mazzavi

.

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Già in questa fase mi dedicavo alla psichiatria; e l’incontro con Bruno Callieri, che svolgeva la

consulenza prima del nostro arrivo, mi confermò un’inclinazione già matura nei miei anni pavesi

sotto l’influenza di G.E. Morsellivii

e nello scambio con Eugenio Borgna. Approfondii, in profonda

intesa ed elettiva affinità con Giovanni Gandiglio, l’attenzione per la psicopatologia e il nostro

interesse si estese ad un piccolo gruppo: Pietro Bria, Luigi Anepeta e Sergio De Risio, e ancora

Emilia De Rosa, Ettore Zerbino e Caterina Fischetti. L’indirizzo che seguivamo era nuovo rispetto

agli schemi classici vigenti, si ispirava alla fenomenologia ed a concezioni psicodinamiche;

eravamo attenti a cogliere quanto si stava muovendo nello stagnante panorama istituzionale ligio ad

un organicismo di vecchia data. Ci toccò in sorte di svolgere un ruolo importante a favore del

cambiamento culturale, in quegli molto vivace e animato da forti tensioni. I giovani, che si

riunivano intorno a Franco Basaglia e alla corrente dell’antipsichiatria, erano rifiutati dalle scuole di

specializzazione; e allora, con l’avallo del prof Pinelli e del prof Ancona, ci prendemmo la

responsabilità di accogliere le loro domande di formazione. Fu così possibile per loro crescere nel

clima da noi elaborato ed al contempo portarvi la novità delle loro esperienze sul campo: molti di

loro hanno giocato un ruolo importante nel cambiare il panorama dell’assistenza psichiatrica in

Italiaviii

. Con Giovanni Gandiglio mi occupai di sindromi psicotiche, soprattutto di quadri deliranti,

di manifestazioni psicopatologiche dell’epilessia e di disturbi della psicologia femminile (quadri

gravidici e “puerperali”, anoressia mentale)ix

, e insieme svolgemmo ancora ricognizioni di realtà

manicomiali e dei relativi territori coerenti alle nuove prospettivex. In parallelo, Domenico Gambi, a

seguito di un soggiorno londinese, apriva nel 1970 l’area della Neuropsichiatria infantile in cui

confluirono Maria Giulia Torrioli, Francesco Pinto, Chiara Stefanini e in seguito Marco Onofrj.

Dopo sette anni il prof Pinelli rientrò a Pavia e si aprì un periodo nuovo, con la venuta da Perugia

del prof Giorgio Macchi nel 1972 e dei suoi allievi Guido Gainotti e Paolo Bergonzi. L’intesa con i

nuovi colleghi fu rapida e vivificante, la Clinica si allargò negli interessi clinici e si arricchì di

prospettive di ricerche.

Il prof Macchi ebbe un peso decisivo nelle mie scelte, mi orientò alla Psichiatria e, avendo

Gandiglio optato per la carriera ospedaliera e poi per la Facoltà di Psicologia della Sapienza, mi

affidò la gestione dei pazienti psichiatrici mettendo a mia disposizione alcune stanze di degenza (già

allora si era ventilata l’apertura di un reparto dedicato, aggiornato sempre dall’Amministrazione

sine die). Si avviò un’esperienza di viva sperimentazione clinica: il prof Macchi mi sosteneva con

stima e fiducia affettuose, mi faceva svolgere le lezioni di Psichiatria e mi invitò a collaborare al

suo manualexi

. In quel giro d’anni ci confrontammo con la patologia emergente delle

tossicodipendenze: il prof Macchi mi invitò di pensare un progetto di gestione, e diede poi

l’incarico a Enrico Tempesta, farmacologo, di organizzare un servizio dedicato, che vide attivi

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Massimo Di Giannantonio, Luigi Janiri e Gianluigi Conte, colleghi tutti con cui avrei condiviso

momenti di rilievo della mia esperienza. Intanto il binomio tra Malattie “nervose” e “mentali”,

prospettato da Wilhelm Griesinger a Berlino nel 1865, si esauriva e, con le nuove norma legislative,

si pose la necessità di una scelta dolorosa: dal 1 marzo 1980 entrai, con Pietro Bria, a far parte della

Psichiatria diretta dal prof. Leonardo Anconaxii

. Intensificai la mia cultura psicopatologica, sempre

attento al dibattito della fenomenologia, ma ora con un’estensione decisa ai grandi autori della

cultura psicoanalitica, facendo tesoro degli incontri con Ignacio Matte Blanco, Salomon Resnik e

sottoponendomi a esperienze di analisi personale con Fabrizio Napolitani e con Piero Bellanova

(un’altra analisi la intrapresi in seguito con Luciano Leppo). Determinante fu, per la maturazione

del mio pensiero psicopatologico, la frequentazione di Eugenio Gaddini e Renata De Benedetti

Gaddini (docenti nella nostra scuola di

specializzazione).

Per oltre dieci anni tuttavia la mia collaborazione

con l’antico gruppo di lavoro rimase continua e

feconda. Pietro Tonali proseguiva le linee tracciate

dal prof Pinelli, lo affiancavano Ciriaco Scopetta,

Ombretta Vaccario, Serenella Servidei e Amelia

Evoli. Lavoravo con Paolo Bergonzi e Salvatore

Mazza alla psicopatologia epiletticaxiii

. Studiavo le

dinamiche psicoterapeutiche di gruppo con Carlo

Caltagirone e Gabriele Miceli, allievi di eccellenza che si dedicavano alla neuropsicologia con

Guido Gainotti. Bergonzi e Gainotti furono interlocutori importanti per la mia crescita e sinceri

amici. Una fervida intesa nacque anche con Piero Borri, un allievo perugino di Macchi. Seguivo con

ammirazione il nuovo corso di ricerca, di autentica eccellenza, ora volto alla neuroanatomia e alla

neuropatologia, discipline nella quali il prof Macchi formò ricercatori di prestigio come Marina

Bentivoglio, Paolo Rossini, Marco Molinari. Altre linee di ricerca si aprivano con Maurizio

Pocchiari e Carlo Masullo. Insomma, un eletto gruppo di nuovi colleghi stimolanti. Il prof Macchi

sostenne la mia idea di un convegno volto a ripercorrere i momenti salienti del pensiero

psichiatricoxiv

. E con emozione partecipai al volume in suo onore, dove ricordai un caso clinico in

cui mi aveva sostenuto e illuminato con preziosi consiglixv

.

Così si svolse il mio percorso al Gemelli, testimone di due momenti intensi di snodo della

neurologia italiana e insieme di una mutazione “rivoluzionaria” della Psichiatria. Nel novembre

1993 mi trasferii quale professore di Psichiatria a Chieti; vi ritrovai gli amici Domenico Gambi e

Marco Onofrj; aprii un nuovo spazio di degenza, il reparto S.P.D.C. di Guardiagrele; e

Il Prof. Tonali con alla sua destra il Dott. Molinari Sgreccia in una cerimonia ufficiale del nostro Ateneo

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all’Università di Chieti rimasi sino al 2013. Ma questa è ancora un’altra storia. E tuttavia

quest’anno, chiamato dal prof Luigi Janiri a tenere dei seminari sulla storia della psicopatologia, ho

sentito accendersi i segni dell’antica fiamma, memorie intatte di una stagione della mia vita e della

nostra disciplina fervida di idee e di passioni.

Filippo Maria Ferro

i E’ lo stesso Pinelli a rievocare, sotto le pseudonimo di Marco Pisonimi, le vicende dei suoi sette anni in Cattolica,

cfr.: P. Pinelli, Elogio della malinconia, Milano 2008, pp. 173-181

ii Carlo Berlucchi (1897 – 1992) è stato un maestro della neurologia italiana, fedele allo spirito eminentemente clinico

della scuola pavese. E tuttavia ha inciso sulla psicopatologia con studi, per l’epoca decisamente innovatori, sui

fenomeni allucinatori e sui caratteri dei malati “sintonici” e “autistici”. Cfr.: F.M. Ferro, in Anthology of Italian

Psychiatric Texts (con Mario Maj), World Psychiatric Association, Paris 2003, pp. 319-322; ed. italiana, Genova –

Milano 2003, pp. 242-252

iii

Paolo Pinelli è stato un protagonista della neurologia italiana, nel momento di apertura della clinica classica alle

ricerche di neurofisiopatologia: cfr. un mio profilo, in stampa su “Rivista di Storia della Medicina” diretta da

Giuseppe Armocida.

iv Fritz Buchtal (1907 – 2003), faceva parte del famoso gruppo innovatore della neurofisiologia attivo alla Humboldt

Universität di Berlino. Emigrò per sfuggire al nazismo e divenne professore di Neurofisiologia a Copenhagen.

Essenziale il suo contributo: Einführung in die Elektromyographie, München / Berlin 1958.

v Altro importante referente della formazione danese fu Kund Krabbe (1885 – 1965), fondatore della rivista “Acta

Psychiatrica et Neurologica Scandinavica”.

vi Analysis of sleep in the progressive myoclonus epilepsy (con D. Gambi, S. Mazza), “European Neurology”, 3, 347-

364, 1970; Essential myoclonus in infancy (con D. Gambi, S. Mazza), “Riv. Pat. Nerv. Ment.”, 91, 357-369, 1970;

Elementi eegrafici e poligrafici differenziali nell’ambito delle epilessie miocloniche (Studio clinico di un caso di

sindrome di Ramsay Hunt) (con S. Mazza, D. Gambi), “Riv. Pat. Nerv. Ment.”, 93, 297-314, 1972

vii

G.E. Morselli (1900 – 1973), laureato a Pavia nel 1924, allievo a Milano di Carlo Besta, e Direttore dell’Ospedale

Psichiatrico di Novara dal 1935 al 1970. Psicopatologo di fama internazionale, si occupò dei mondi schizofrenici e in

modo pionieristica delle esperienze con sostante (mescalina). Cfr.: Il caso Elena. Un clinico e una donna nella

narrazione di una cura, con scritti di F.M. Ferro ed E. Borgna, Chieti 1994; il testo, antologizzato, è compreso in M.

Maj, F.M. Ferro (eds), Anthology of Italian Psychiatric Texts, Wordl Psychiatric Association, 2002, pp. 335-345; ed.

ital., Genova – Milano, 2003, pp. 252-259

viii

A specializzarsi erano colleghi che venivano dal Friuli Venezia Giulia e dall’Emilia, dove Franco Basaglia e

Giovanni Jervis avevano avviato le loro esperienze innovatrici. Ricordo in particolare, per i proficui scambi di idee,

alcuni giovani destinati a essere protagonisti della nuova cultura: Stefano Mistura, Enzo Sarli, Luigi Tagliabue,

Ernesto Venturini, Vincenzo Pastore, Giovanni Giovannini, Maria Ponsi, Roberto Boccalon, e ancora Stefano

Petriccioli ed Elena Granieri, Antonio Ferro, Assunta Signorelli, Andrea Buiatti e molti altri.

ix Sul valore dell’analisi fenomenologica nell’individuazione dei quadri maniacali cronici e nella definizione dei loro

rapporti con la psicosi maniaco-depressiva (con P. Tonali), “Arch. Psicol. Neurol. Psichiat.”, 29, 43-68, 1968;

Un’esperienza epilettica: analisi dal diario (con G. Gandiglio, D. Gambi), “Arch. Psicol. Neurol. Psichiat.”, 30, 167-184,

1969; I fenomeni psichiatrici della maternalità (con G. Gandiglio, G. Guercio), “Lav. Neuropsichiat.” 45, 73-126,

1969; Prospettive critiche in tema di allucinazioni e delirio (con G. Gandiglio), “Lav. Neuropsichiat.”, quaderno, 2, 1-

93, 1969

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x Riflessioni su teoria e prassi psichiatrica oggi (con G. Gandiglio), “Riv. Sper. Freniat.”, 227-250, 1970; Analisi

fenomenologica e antropologica di un ospedale psichiatrico (con G. Gandiglio), “Riv. Sper. Freniat.”, 94, 531-588,

1970; La famiglia e il suo malato mentale. Studio fenomenologico socio-dinamico e antropologico (nel contesto

rurale piemontese) del loro rapporto in riferimento al processo di istituzionalizzazione manicomiale (con G.

Gandiglio), “Riv. Sper. Freniat.”, 95, 465-522, 1971

xi Elementi di Psichiatria. Approccio psicodinamico alla clinica psichiatrica, in: G. Macchi: Neurologia, Manuale di

Medicina Interna diretto da P. Larizza, Padova 1981, 793-827

xii

Leonardo Ancona (1922 – 2008), allievo di padre Agostino Gemelli, insegnò prima Psicologia e quindi Psichiatria.

La mia conoscenza con lui risaliva al 1963 quando venne, in Collegio Borromeo a Pavia, a presentare il suo libro La

psicanalisi, testo nodale per l’introduzione di una nuova prospettiva in psicopatologia.

xiii Note per una psicopatologia relazionale dei pazienti epilettici e prospettive psicoterapeutiche in gruppo (con P.

Bergonzi, S. Mazza, P. Zolo), “Riv. Pat. Nerv. Ment.”, 96, 378-392, 1975; Contributo per una psicopatologia

relazionale del paziente epilettico (con P. Bergonzi, S. Mazza), “Riv. Sper. Freniat.”, 102, 1027-1033, 1978

xiv

Passioni della mente e della storia. Protagonisti e teorie della psichiatria italiana tra ‘800 e ‘900, eds M. Di

Giannantonio, G. Riefolo, M.C. Tonnini Falaschi, Milano, 1989

xv

Controversie sulla catatonia, in Neurologia e scienze di base/ scritti in onore di Giorgio Macchi (a cura di G.

Gainotti, M. Bentivoglio, P. Bergonzi, F.M. Ferro), Milano, 1989, pp. 819-832

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GUIDO GAINOTTI

Il Prof. Macchi e l’integrazione fra Neurologia Clinica e

Neuroscienze

I miei primi contatti con la Clinica Neurologica dell’UCSC risalgono al Novembre 1972, quando

sono arrivato al Gemelli al seguito del Prof. Macchi, che avevo conosciuto a Parma (dove mi ero

laureato) e con cui avevo collaborato a Perugia, dal 1965 al 1972 nella Clinica delle Malattie

Nervose e Mentali. Nel gruppo del Prof. Macchi avrei dovuto coprire il settore della Psichiatria (con

interessi di Psichiatria Dinamica) ma il Prof. Macchi, da buon Neuroanatomico voleva esser sicuro

che conoscessi bene l’organizzazione anatomo-funzionale del cervello, prima di avventurarmi nei

meandri della Psichiatria. Da questa richiesta del Prof. Macchi è nato il mio interesse per la

Neuropsicologia, che non mi ha mai abbandonato in tutti questi anni

e che continua a nutrire il mio interesse e la mia curiosità. Al

Gemelli, oltre al privilegio di condividere le attività assistenziali e di

ricerca con il Prof. Macchi, ho avuto la fortuna di avere un gruppo

di allievi di alta qualità, da Carlo Caltagirone a Gabriele Miceli, a

Paolo Bartolomeo, a Caterina Silveri a Camillo Marra, che hanno

raggiunto posizioni apicali in altre sedi universitarie o continuano a

sviluppare attività di ricerca e riabilitazione neuropsicologica nel

nostro Policlinico. Oltre a loro hanno collaborato alle attività di tipo

neuropsicologico, Antonio Daniele, Giampiero Villa, inizialmente

Carlo Masullo e recentemente Davide Quaranta

Prima di parlare più estesamente del Prof. Macchi e degli ‘allievi’

con cui ho avuto la fortuna di collaborare, vorrei, però, abbozzare

una carrellata generale sull’Istituto di Neurologia del Policlinico

Gemelli e sulle ragioni per cui esso si differenza dalla maggior

parte degli altri Istituti di Neurologia. A mio parere, la maggior parte degli altri Istituti Universitari

copre da un punto di vista assistenziale quasi tutti gli aspetti della Neurologia, ma focalizza la

propria ricerca su un numero ristretto di settori. Questo non avviene nell’Istituto di Neurologia del

Policlinico Gemelli, dove eccellenti gruppi di ricerca si sono formati (grazie in parte all’iniziativa

del Prof. Macchi ed in parte a quella del Prof. Tonali) per ogni livello della ricerca di base (da

quello della biologia molecolare a quello delle basi anatomiche delle funzioni cognitive), e per ogni

tipo di patologia clinica, dalle miopatie mitocondriali (Serena Servidei) alla miastenia (Amelia

Fig. 1 Una fotografia del Prof. Macchi riprodotta dal volume: Macchi G. Malattie del sistema nervoso (2° Edizione a cura di Minciacchi D e Gainotti G/ Piccin Nuova Libraria, Padova, 2006), previa autorizzazione dell’Editore

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Evoli), dalla distrofia muscolare (Enzo Ricci e Gabriella Silvestri), alle malattie neuromuscolari,

dalla SLA (Mario Sabatelli) all’elettromiografia (Mauro Lo Monaco) ed alle neuropatie

compressive (luca Padua), dalla Sclerosi a placche (dapprima con Angelo Massaro, poi con la

compianta Paola Batocchi ed ora con Massimiliano Mirabella) al Morbo di Parkinson ed agli altri

disturbi del movimento (dapprima con Alberto Albanese ed ora con Anna Rita Bentivoglio),

dall’epilettologia (dapprima con Paolo Bergonzi e Domenico Gambi, poi con Salvatore Mazza) ai

disturbi del sonno (dapprima con Gioacchino Mennuni, poi con Giacomo Della Marca), dalla

’stroke unit’ (con Vincenzo di Lazzaro) alle sindromi demenziali (con Caterina Silveri, Giampiero

Villa, Antonio Daniele e Camillo Marra). Nonostante questo abbia comportato una parcellizzazione

delle risorse umane, strumentali ed economiche, ognuno di questi gruppi ha pubblicato e continua a

pubblicare su riviste di ottimo livello e gode di buona reputazione a livello internazionale.

Tornando agli argomenti con cui avevo aperto questo mio contributo, devo dire che il rapporto con

il Prof. Macchi è stato fondamentale, non solo per la sua carica umana, ma anche per l’indirizzo

generale di tipo neurobiologico che ha impresso alle attività dell’Istituto, per la metodologia ‘a

spirale’ seguita nelle attività diagnostiche e per le sue concezioni sul ‘processo di

telencefalizzazione’. Tutti gli allievi del Prof. Macchi hanno dunque assorbito questo ‘modus

operandi’, riassunto da una massima di Leonardo, che egli teneva in evidenza nel suo studio e di cui

mi sono in seguito appropriato (probabilmente per un processo di inconscia identificazione) e che

recitava: ‘Quelli che s’innamoran di pratica sanza scienza son come il nocchiere ch’entra in navilio

sanza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada’.

Ma al rigore scientifico il Prof. Macchi associava un’umanità profonda ed articolata, che tutti quelli

che lo hanno conosciuto hanno avuto modo di apprezzare ripetutamente, ed una sorta di ironico

‘pessimismo della ragione’ che nella sua valutazione di molti aspetti della realtà si esprimeva con

affermazioni provocatorie del tipo: ‘Tornate sugli alberi!’, riferendosi naturalmente ai primi eventi

che hanno reso possibile il processo di ‘umanizzazione’. Queste ironiche affermazioni riflettevano,

da un lato, la sua convinzione che le motivazioni profonde del comportamento dell’uomo

contemporaneo non differiscono sostanzialmente da quelle dei nostri antenati o degli altri primati e,

da un altro lato, l’intuizione che il progresso e la civilizzazione hanno avuto un prezzo, di cui non

sempre ci rendiamo conto. Nelle ironiche affermazioni del Prof. Macchi, queste convinzioni erano,

comunque, sempre espresse in modo leggero e piacevolmente provocatorio, doti anche queste di cui

sentiamo profondamente il valore e la nostalgia, in un mondo ricco ed evoluto, ma conflittuale,

gridato ed abitualmente sopra le righe.

Tornando alla metodologia ‘a spirale’, che ispirava la sua attività diagnostica, essa consisteva nella

ricerca di una continua interazione fra gli aspetti clinici presentati dal malato e quanto era noto

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sull’organizzazione anatomo-funzionale del Sistema Nervoso e nella convinzione che, in caso di

discordanza, la ricerca di base dovesse cercare di colmare questa discrepanza. Per quanto riguarda il

‘processo di telencefalizzazione’, il Prof. Macchi lo concepiva non come la sovrapposizione di

funzioni nuove su strutture che rimanevano immodificate, ma come una ristrutturazione globale del

sistema nervoso, in cui l’avvento di funzioni o capacità nuove implicava un rimaneggiamento o una

riorganizzazione di quelle pre-esistenti. Per capire quanto queste idee rimangano attuali e

stimolanti, basta pensare al dibattito contemporaneo su come lo sviluppo del linguaggio

nell’emisfero sinistro possa aver ristrutturato le funzioni sensori-motorie e di riconoscimento non-

verbale a livello dell’emisfero destro. Oltre ad essere fortemente attratto dalla neurobiologia, il Prof

Macchi era anche un appassionato sportivo, essendo un ‘fan’ del Bologna e di Felice Gimondi.

Ricordo, ad es., un pomeriggio in cui non giunse puntuale a una seduta di esami di Neurologia (non

saprei precisare se a Perugia o al Gemelli) e questo destò una certa sorpresa, perché si trattava di un

comportamento del tutto inusuale per lui, ma la sorpresa si risolse quando il Prof. Macchi arrivò

trafelato, dicendo che Gimondi aveva compiuto una grande impresa in un tappone alpino del ‘Giro’

o del ‘Tour’.

Per quanto riguarda gli allievi che si sono

formati assieme a me nel Policlinico

Gemelli, con essi ho portato avanti filoni

di ricerca neuropsicologica che hanno

seguito (ed a volta aperto la strada) ad

indirizzi di ricerca che si andavano

sviluppando a livello internazionale. In un

primo periodo (che va

approssimativamente dal 1972 al 1985) la

nostra ricerca è stata caratterizzata da studi

di gruppo riguardanti soprattutto l’afasia,

la lateralizzazione emisferica delle

emozioni, l’aprassia costruttiva,

l’eminegligenza spaziale, le funzioni

‘cognitive’ del cervelletto e la neuropsicologia delle demenze. Le ricerche sull’afasia si sono

avvalse soprattutto della collaborazione con Gabriele Miceli, mentre quelle sulla lateralizzazione

emisferica delle emozioni e sulla neuropsicologia delle demenze sono state sviluppate in questo

periodo soprattutto in collaborazione con Carlo Caltagirone. Le ricerche sulle funzioni ‘cognitive’

del cervelletto sono state sviluppate da Caterina Silveri, in collaborazione con Marco Molinari.

Figura 2 Una foto degli anni ‘80 che riporta immagini dei ricercatori del gruppo di Neuropsicologia. Dall’alto a sinistra, nella fila superiore: Guido Gainotti, Patrizia D’Erme, Carlo Caltagirone, Arturo Grappone (un laureando) e Gabriele Miceli; nella fila inferiore Giampiero Villa, Maria Caterina Silveri, Daniela Tarquini e Maria Bonfante (Segretaria dell’Istituto)

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Successivamente, con l’avvento della ‘Neuropsicologia Cognitiva’, che è stata la metodologica di

ricerca seguita soprattutto da Gabriele Miceli, ma è stata utilizzatata anche da me e da Caterina

Silveri, i filoni di ricerca più seguiti hanno riguardato soprattutto i disturbi semantici specifici per

determinate categorie, le componenti ed i meccanismi dell’eminegligenza spaziale ed, in epoca più

recente, i disturbi di riconoscimento di persone. Lo studio dei disturbi semantici specifici per

determinate categorie è stato sviluppato soprattutto in collaborazione con Caterina Silveri, quello

relativo a componenti e meccanismi dell’eminegligenza spaziale ha coinvolto soprattutto Paolo

Bartolomeo, mentre lo studio dei disturbi di riconoscimento di persone note è stato sviluppato

soprattutto in collaborazione con Camillo Marra.

Negli ultimi decenni la ‘Neuropsicologia Cognitiva’, che richiedeva uno studio prolungato ed

esaustivo di singoli pazienti, ha esaurito il suo slancio non solo per ragioni intrinseche, ma anche

per i cambiamenti introdotti nel regime assistenziale con l’introduzione dei DRG, che

privilegiavano ricoveri brevi e ad alta intensità diagnostico-terapeutica. Contemporaneamente, i

cambiamenti demografici, con aumento esponenziale del numero dei pazienti anziani, ha portato in

primo piano il problema delle demenze e della loro diagnosi precoce. Un filone di ricerca

neuropsicologica che ha avuto grande rilievo anche nella nostra Clinica è stato quindi quello della

diagnosi differenziale fra le varie forme di demenza e dei criteri che permettono di identificare i

pazienti ad alto rischio di sviluppare una demenza nel giro di qualche anno. Fondamentale è stato da

questo punto di vista l’attività assistenziale e di ricerca svolta da Carlo Masullo e quella

assistenziale, organizzativa e di ricerca svolta da Camillo Marra, in collaborazione soprattutto con

Davide Quaranta. Un secondo importante filone di ricerca sulla diagnosi della malattia di Alzheimer

è stato sviluppato in collaborazione con il gruppo di Neurofisiologia Clinica diretto dal Prof.

Vincenzo di Lazzaro e si è basato sull’ipotesi che la tecnica dell’inibizione afferente permetta una

valutazione non invasiva dei circuiti colinergici corticali selettivamente compromessi nella malattia

di Alzheimer.

Fra i lavori più rappresentativi dei vari filoni di ricerca che hanno avuto un maggior numero di

citazioni (Ref. ISI Web of Science) potrebbero essere elencati i seguenti:

Lateralizzazione emisferica delle emozioni:

Gainotti, G. (1972). Emotional behavior and hemispheric side of the lesion. Cortex, 8(1), 41–55.

Ragioni: è stato il primo lavoro ad ipotizzare una dominanza dell’emisfero destro per le emozioni.

Numero di citazioni: 661.

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Afasia:

Miceli G, Silveri MC, Villa G, Caramazza A. (1984). On the basis for the agrammatic's difficulty in producing main

verbs. Cortex. 20(2):207-20.

Ragioni: è stato il primo lavoro ad ipotizzare un deficit selettivo dei verbi nell’agrammatismo.

Numero di citazioni: 330.

Eminegligenza spaziale:

Gainotti G, D'Erme P, Bartolomeo P (1991). Early orientation of attention toward the half space ipsilateral to the lesion

in patients with unilateral brain damage.J Neurol Neurosurg Psychiatry. 54(12):1082-89.

Ragioni: è stato uno dei primi lavori a mostrare che alla base dell’eminegligenza sinistra c’é un’orientamento

automatico dell’attenzione verso destra

Numero di citazioni: 147.

Bartolomeo P, D'Erme P, Gainotti G. (1994). The relationship between visuospatial and representational neglect.

Neurology. 44(9):1710-4.

Ragioni: è stato uno dei primi lavori a mostrare chiaramente la dissociazione fra forme percettive e forme

rappresentative di eminegligenza.

Numero di citazioni: 113.

Funzioni ‘cognitive’ del cervelletto:

Silveri, M.C., Leggio, M.G., Molinari, M. (1994) The cerebellum contributes to linguistic production: a case of

agrammatic speech following a right cerebellar lesion. Neurology, 44, 2047-2050.

Ragioni: è stato il primo lavoro ad ipotizzare che il cervelletto abbia funzioni non-motorie

Numero di citazioni: 198

Disturbi specifici per categoria:

Silveri, M. C., e Gainotti, G. (1988). Interaction between vision and language in category-specific semantic impairment.

Cogn. Neuropsychol. 5, 677-709.

Ragioni: é stata una delle prime descrizioni anatomo-cliniche di un paziente con deficit specifico per gli esseri viventi.

Numero di citazioni: 216

Daniele A, Giustolisi L, Silveri MC, Colosimo C, Gainotti G. ( 1994). Evidence for a possible neuroanatomical basis

for lexical processing of nouns and verbs. Neuropsychologia. 32(11):1325-41.

Ragioni: è stato il primo lavoro ad ipotizzare una diversa base anatomica per i nomi (lobo temporale) e per i verbi (lobo

frontale)

Numero di Citazioni 272

Gainotti G, Silveri MC, Daniele A, Giustolisi L. (1995). Neuroanatomical correlates of category-specific semantic

disorders: a critical survey. Memory. 3(3-4):247-64.

Ragioni: è stato uno dei primi lavori a identificare i correlati neuroanatomici di deficit specifici per gli esseri viventi e

per gli oggetti fabbricati dall’uomo.

Numero di citazioni 181

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Studio dell’inibizione afferente nelle demenze:

Di Lazzaro V, Oliviero A, Pilato F, Saturno E, Dileone M, Marra C, Daniele A, Ghirlanda S, Gainotti G, Tonali PA.

(2004). Motor cortex hyperexcitability to transcranial magnetic stimulation in Alzheimer's disease. J Neurol Neurosurg

Psychiatry, 75(4):555-9.

Ragioni: è stato uno dei primi lavori a dimostrare che la latenza dell’inibizione afferente è significativamente diminuita

nei pazienti con malattia di Alzheimer

Numero di citazioni 122

Disturbi nel riconoscimento di persone:

Gainotti G., Barbier A.L., Marra C. (2003). Slowly progressive defect in recognition of familiar people in a patient with

right anterior temporal atrophy. Brain, 126: 792-803

Ragioni: è stato uno dei primi lavori a descrivere un deficit multimodale nel riconoscimento di persone.

Numero di citazioni 111

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MARINA BENTIVOGLIO

Circuiti neuronali e vetrini

Riflessioni e ricordi

Durante il quarto anno dei miei studi alla Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica, quando

avevo deciso che mi sarei dedicata al sistema nervoso, il Professore di Farmacologia, Beniamino

Fischetti, mi disse “E’ arrivato un nuovo Professore di Neurologia, molto interessato a

problematiche di ricerca.” E così mi presentai al Prof. Giorgio Macchi e entrai come studente

interno in Clinica Neurologica nel 1972. Mi sono laureata nel 1974 e specializzata in Neurologia nel

1978. Dopo i primi passi nella carriera accademica, ho lasciato la Clinica Neurologica nel 1987 per

trasferirmi a Verona come Professore Associato di Anatomia e Istologia, cambiando, quindi,

disciplina, poiché i miei studi si erano sempre più indirizzati verso le scienze di base (Giorgio

Macchi, d’altra parte, aveva iniziato proprio in Anatomia la sua carriera).

Il periodo di studio e addestramento e poi di collaborazione scientifica (continuata per qualche anno

anche dopo il mio trasferimento) con Giorgio Macchi ha indubbiamento segnato la mia vita

professionale e, dunque, anche la mia vita personale.

Giorgio Macchi era un gentiluomo “all’antica” per me che uscivo dalle lotte studentesche del ’68;

così gentiluomo da essere disarmante: non c’era proprio bisogno di alcuna “contestazione”. Era

dotato di un entusiasmo contagioso per la ricerca, espresso con molta semplicità, aborrendo

qualsiasi forma di arroganza.

Non riusciva a nascondere la perplessità sul fatto di trovarsi a lavorare con una donna. Non era un

problema di maschilismo, era proprio una sincera perplessità, quasi uno stupore. Quando nel 1975

gli ho annunciato che mi sarei sposata, insieme agli auguri non poté fare a meno di commentare

“però adesso è finita”. Il giorno dopo le mie nozze andai in Clinica a lavorare. Non ha mai più fatto,

su questo, alcun commento.

A me Macchi ha insegnato che saper dire “non lo so” quando non si hanno risposte non è una

diminutio (come era in voga in molta accademia italiana) bensì una ricchezza e un incentivo. Mi ha

insegnato la perseveranza: mi aveva avviato da subito ad allestire un metodo, allora nuovo, per

studiare sperimentalmente le connessioni neuronali mediante il trasporto assonale di un tracciante

(la horseradish peroxidase, HRP, il primo tracciante retrogrado assonale, identificato all'inizio degli

anni 1970 e che sembra oggi preistorico...). Il metodo non riuscì per molti mesi (protocolli sbagliati,

reagenti scaduti...). Quando, finalmente, ottenni i primi risultati Giorgio Macchi si mise a battere le

mani così forte che sembrava le dovesse scorticare e continuava a guardare al microscopio quei

neuroni "marcati", ripieni di granuli scuri, come fossero pietre preziose.

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Ho imparato tanto da quelle lunghe, pazienti sedute al microscopio con Giorgio Macchi, che

viaggiava nel talamo con disinvoltura, snocciolando i nomi dei diversi nuclei che a me sembravano

tutti uguali. Non capivo se se li inventava o avevo io un difetto grave: proprio non vedevo i confini

fra le strutture. Poi, un giorno "ho visto", ho capito. Mi sono presentata alle sedute con Macchi

finalmente godendole. Credo che se ne sia accorto ed era felice e orgoglioso di avere un

interlocutore. Si perdeva in quei vetrini, che segnava a penna con tratti esageratamente spessi (Fig.

1). Vetrini che erano decisamente bruttarelli paragonati ai mille festosi colori di cellule e fibre

nervose che i software della nuova microscopia costruiscono. Grazie a quelle che chiamava "le

diavolerie", Macchi, ora, non avrebbe più bisogno di alcuna penna...

Profondamente convinto che i progressi in quelle che oggi sono le neuroscienze fossero la vera

chiave per un progresso anche nella neurologia clinica, mi mandò all’estero per addestrarmi nella

neuroanatomia sperimentale. Dovevo stare sei mesi alla Erasmus Universiteit di Rotterdam, in

Olanda, nel laboratorio di Hans (HGJM) Kuypers (1925-1989). Dopo quasi due anni non ero ancora

tornata. Macchi mi convocò: “è ora di rientare, altrimenti non si torna più”. Rientrai. In Clinica

l’atmosfera era festosa. E sono stata festosamente accolta tutte le volte che, per molti anni, sono

arrivata in visita da Verona.

I mutamenti nelle neuroscienze di base e cliniche

L’esplosione delle neuroscienze di base, la rivoluzione dell’imaging strutturale e funzionale non

solo nella diagnostica, ma anche nella conoscenza del cervello umano hanno segnato i miei anni di

lavoro con Giorgio Macchi. Il passaggio da una comunità ristretta di ricercatori che si conoscevano

tutti per lo più di persona ad una comunità globale di neuroscienziati di base e clinici, incrementata

vorticosamente dalla rivoluzione tecnologica e informatica in particolare, ha comportato una

revisione improvvisa e radicale della comunicazione scientifica: l’uso dell’inglese come esperanto

ineliminabile, il confronto competitivo con una miriade di nomi senza volto, l'aggiornamento su un

numero incredibile e crescente di pubblicazioni, la necessità di finanziamenti inimmaginabili in

Italia. Ma anche una spinta poderosa, cui Macchi non si è sottratto, partecipando con vera gioia e

molta freschezza a quei tumultuosi progressi.

Co-fondatore dell’Associazione Italiana di Neuropatologia, che ha assunto vieppiù un respiro

internazionale, impegnato nello studio di malattie neurodegenerative, incluso lo studio, fin

dall'inizio, di quelle che sarebbero diventate le “malatie da prioni”, nelle scienze di base Macchi ha

proseguito, a Roma, lo studio delle connessioni talamo-corticali e affrontato la revisione delle

afferenze alla corteccia cerebrale da regioni sotto-corticali sulla base delle nuove metodologie che

venivano via via introdotte, inserendosi, con i collaboratori fra i quali mi annovero, nella comunità

internazionale.

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La legacy

Giorgio Macchi teneva una scritta (da "Scritti Letterari" di Leonardo da Vinci) appesa dietro la sua

scrivania “Quelli che s’innamoran di pratica senza scienza, son come ‘l nocchiere, ch’entra in

naviglio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada.”

Fermamente convinto che un Dipartimento di Neuroscienze (un “Dipartimento d’Organo”, come lo

definiva) fosse l’unica strada da percorrere per progressi anche terapeutici, pioniere delle

neuroscienze di base come “traslazionali” (termine ora inflazionato), Giorgio Macchi ha

caparbiamente promosso un dialogo continuo fra neuroanatomia sperimentale e clinica,

neuropatologia sperimentale e clinica, neurologia, neuropsichiatria infantile, neuropsicologia,

neuroradiologia, neurochirurgia.

Lo studio del cosiddetto “talamo non specifico” e, in particolare, dei nuclei intralaminari del talamo

(Fig. 1), nel quale Giorgio Macchi ha fieramente combattuto il concetto erroneo di “proiezioni

corticali diffuse” a favore di una precisa organizzazione talamo-corticale che verrebbe oggi definita

“integrativa”, è stato vincente. Così come è stato vincente il concetto che su ogni area corticale

convergono afferenze da più di un nucleo talamico e che le proiezioni di ogni nucleo talamico

divergono verso più di un'area corticale, in entrambi i casi con gradienti di densità. Questi concetti

sono oggi negli Handbook sul talamo e nei libri di testo di neuroscienze.

Figura 1. A destra: Giorgio Macchi con Edward J. (Ted) Jones (1939-2011), celebre studioso del talamo che ha molto apprezzato (e citato) gli studi di Macchi, nel 1987. A sinistra: Vetrino con sezioni istologiche dell'encefalo di gatto (L, segno di lato: left), colorate con il metodo di Nissl, nel quale Macchi ha circondato a penna in nuclei intralaminari del talamo (nuclei chive del cosiddetto "talamo non specifico"), come usava fare per delimitare le strutture nelle quali ha effettuato, al microscopio, conte neuronali per lo studio della degenerazione retrograda dopo lesioni della corteccia cerebrale. Con questo approccio, paragonando i risultati di lesioni in diverse aree corticali, Macchi ha confutato il concetto di "proiezioni corticali diffuse" ad origine dai nuclei intralaminari del talamo.

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Inoltre, le metodologie via via introdotte hanno rivelato che il talamo non è l’unica stazione sotto-

corticale di afferenza alla corteccia cerebrale e il gruppo di Macchi, nonostante la passione per il

talamo, ha contribuito ai primi studi, che sembravano allora eretici, in questo ambito. Alle

proiezioni talamo-corticali si sono così aggiunte le proiezioni corticali ad origine dal claustro,

dall’amigdala, dal telencefalo basale oltre a quelle (già viste nei tardi anni 1960 con le metodiche di

istofluorescenza) ad origine dai gruppi neuronali monoaminergici (contenenti dopamina,

noradrenalina, serotonina) del tronco dell’encefalo. Una vera orchestra di regolazione

dell'attivazione della corteccia cerebrale e del comportamento che oggi viene definito “stato-

dipendente” (sonno e veglia), così come di imponente modulazione dei processi cognitivi elaborati

a livello corticale. Problematiche ancora oggi in prima linea nelle nuove frontiere delle

neuroscienze.

Personalmente, sono ancora impegnata nello studio sinaptico e funzionale, nella salute e nella

malattia, di reti neurali che sono oggi la “connettomica”. Nel talamo, mi sono spostata dalle ali dei

nuclei intralaminari alla sottile stringa dei nuclei della linea mediana. Tutto sommato: un tragitto

breve!

Marina Bentivoglio

Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento; Università di Verona

[email protected]

Sketch biografico

Professore di Istologia all’Università di Verona, è stata Vice-Presidente dell’Advisory Committee

del 6° Programma Quadro della Commissione Europea (Tematica “Scienze della Vita, Genomica, e

Biotecnologie della Salute”), Secretary General della International Brain Research Organization

(IBRO; la federazione mondiale delle società e associazioni di neuroscienze; 2007-2009),

Presidente della Società Italiana di Neuroscienze (SINS; 2008-2009). All'Università di Verona, ha

diretto la Scuola di Dottorato in “Scienze Ingegneria Medicina” (2010-2012) e il Dipartimento di

Scienze Neurologiche e del Movimento (2012-2015). Nel 2009 è stata eletta membro

dell’Academia Europaea e dal 2015 è Vice-Chair dell’”International Basic Science Programme

(IBSP)” dell’UNESCO.

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PAOLO BERGONZI

La Neurofisiologia clinica: un ausilio diagnostico in Neurologia

Al di là delle attività di reparto e di quelle ambulatoriali, penso che il gruppo di lavoro a cui ho

partecipato nel periodo di attività presso la Clinica Neurologica dell'Università Cattolica possa

essere definito come di “Neurofisiologia clinica del Sistema Nervoso Centrale”. Senza pretendere di

essere particolarmente preciso e facendo riferimento ai ricordi più che ai documenti, voglio

accennare alle esperienze cliniche e didattiche affrontate, oltre che alle linee di ricerca che abbiamo

cercato di portare avanti.

1. Dal punto di vista clinico, lavorare nell'ambito della Neurofisiologia clinica del sistema

nervoso centrale in Clinica Neurologica al Gemelli non si presentava certamente come una

attività di semplice/facile realizzazione e questo per svariati motivi: era già presente un

laboratorio di Neurofisiologia clinica di notevole spessore clinico e di ricerca, anche se

l'impostazione era prevalentemente rivolta verso il sistema nervoso periferico e comunque

era già guidato da un collega dell'Istituto, per cui non era possibile utilizzarlo in maniera

autonoma; l'altra difficoltà era dipendente dalla completamente differente modalità

organizzativa (ed amministrativa) del personale “tecnico”, molto meno gestibile (rispetto a

Perugia) nei confronti di una attività di ricerca che contemplava soprattutto, se non

sostanzialmente, un impegno notturno; differenti tentativi organizzativi, sia interni alla

Clinica neurologica che esterni a questa struttura e la ricerca di collaborazioni hanno poi

dato esiti sostanzialmente parziali, senza dubbio per carenze personali mie; ricordo tentativi

e contatti, più o meno brevi o prolungati, con la Psicologia/psichiatria, dove però

l'impostazione della ricerca sul sonno era rivolta ad approfondimenti del tutto differenti da

quelli neurofisiologici; con altri colleghi della Clinica Neurologica, che tuttavia,

comprensibilmente, avevano già impostato in maniera autonoma programmi di ricerca

personali che già assorbivano collaboratori e tempo; con colleghi della Neurochirurgia, con i

quali forse si sarebbe potuto incrementare la collaborazione, ma dove la gestione era

comunque tenuta in mano dal direttore e dove il lavoro di nostro interesse veniva

rigidamente programmato dal collega neurochirurgo volta a volta responsabilizzato. Alla

fine, quel po' di lavoro che si è riusciti a concretizzare dentro la Clinica Neurologica è stato

condotto in porto soprattutto grazie alla disponibilità di colleghi neurologi giovani e dotati di

entusiasmo, capacità e interesse.

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In proposito, ricordo che un bel poligrafo, rimasto poi inutilizzato per quanto riguardava la ricerca

sul sonno, venne fortunatamente impiegato nella ricerca neurofisiologica periferica (e l'attuale

direttore della Clinica neurologica penso che ne serberà ricordo).

A posteriori, credo che sia stata in buona parte questa situazione che alla fine, assieme ad altri

possibili programmi ed opportunità, ha portato a realizzare un buon gruppo di ricerca presso

l'Istituto di Troina, rimanendo comunque sempre sotto l'egida della Clinica Neurologica del

Gemelli, sia per la formazione degli specializzandi che per il lavoro clinico e di ricerca, che per la

partecipazione a convegni o congressi.

A latere, voglio ricordare che un'altra iniziativa, di tipo clinico, aveva preso avvio in seguito al mio

soggiorno all'Università di Mogadiscio; era stata condotta avanti nel piccolo laboratorio di

biochimica operante dentro la Clinica Neurologica e riguardava lo studio delle modalità

patogenetiche del coinvolgimento del sistema nervoso nella malattia di Hansen (anche questa

iniziativa avrebbe potuto portare a qualche buon risultato, ma si sarebbe dovuti ritornare in Somalia

e si sarebbe dovuto mantenere un buon rapporto con i colleghi, italiani, dell'Ospedale somalo).

Se cerco con il pensiero di andare a qualche simpatica vicenda o a qualche aneddoto di quel tempo,

mi accorgo che essi sono prevalentemente legati al periodo in cui il Reparto ricoverava anche

pazienti psichiatrici; ma gli aspetti interessanti/divertenti di questi brevi ricordi riguardano sia i

malati che i colleghi medici della Psichiatria (senza risparmiare il Direttore, simpaticissimo in

quelle occasioni) per cui è meglio non esplicitare nulla per iscritto. Ricordo comunque di avere

avvertito una mezza tentazione per optare per la Psichiatria in occasione della scelta del “barone

dimezzato” (credo che sia una citazione del prof. Vizioli).

Un altro ambito di ricordi riguarda la gestione, più o meno temporanea, di importanti personaggi o

politici o ecclesiastici ricoverati, per i quali mi è rimasta soprattutto o l'impressione di una fragilità

fisica e psicologica nonostante la valutazione pubblica che se ne faceva o la constatazione di alcuni

aspetti caratteriali/comportamentali che certamente non confacevano alla funzione rivestita (ma

verosimilmente proprio per questi motivi erano stati ricoverati). All'opposto, ricordo altri pazienti

tipicamente “romani”, di modesta estrazione e di modesto censo, ma ricchi invece dal punto di vista

umano e culturale, con i quali si passò, anche in compagnia di qualche collega della Clinica, alcune

serate “trasteverine” interessanti e divertenti.

2. Dal punto di vista della attività di ricerca, il gruppo ha svolto indagini fondamentalmente

nell'ambito della organizzazione ipnica, in riferimento alla fisiologia e alle alterazioni del

sonno in conseguenza di differenti patologie neurologiche: a) alterazioni specifiche

dell'organizzazione e della morfologia ipnica in riferimento a quadri clinici peculiari: in

pazienti con malattia di Parkinson, nelle registrazioni di base e in quelle eseguite in corso di

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terapia con levo-dopa; in pazienti con miastenia, nei quali è stata dimostrata una

modificazione dell'incidenza temporale della fase REM, all'interno del tempo di comparsa

delle fasi; b) analisi ed identificazione di pattern e morfologie poligrafiche differenti

all'interno di identiche fasi di sonno, nella ipotesi di una più analitica classificazione di stadi

ipnici simili; c) differente incidenza di pattern di attività epilettica focale nelle diverse fasi

del sonno, dipendentemente dalla eziopatogenesi (funzionale/lesionale) della attività

parossistica registrata; (questi due ultimi ambiti di studio non sono stati – colpevolmente –

approfonditi nel tempo ma hanno trovato sviluppo nel lavoro di altri gruppi di ricerca); d)

studio della incidenza dell'attività parossistica epilettica, alla ricerca di comportamenti

diversi della sua distribuzione all'interno delle diverse fasi del sonno dipendentemente da

collocazioni diverse del focolaio epilettogeno e/o da differenziazioni cliniche

apparentemente simili ma con differenziazione prognostica e con diversa sensibilità

terapeutica farmacologica (a questo proposito, vennero effettuati anche tentativi di

identificazione e quantificazione dell'attività parossistica con modalità automatica per

differenziare potenziali patologici comiziali da potenziali ipnici fisiologici e per

automatizzare la raccolta dei dati); e) è stato indagato il comportamento delle attività

parossistiche epilettiche nelle registrazioni notturne di base e successivamente a

deprivazioni di sonno totali o selettive di fase REM, allo scopo di accertare le modalità di

attivazione del sonno sull'epilessia in quanto tali o dipendentemente dal ruolo di singole fasi

ipniche; (a questo proposito ricordo, con soddisfazione, di avere ricevuto una lettera da

Dement – che non conoscevo – che si complimentava per queste indagini e spronava a

proseguire in questo ambito di studio; mi inviava un suo lavoro – che peraltro io conoscevo

già – in coll. con Cohen, pubblicato su Science 1965, sui risultati di uno studio analogo ma

condotto su conigli prima e dopo shock elettro-convulsivo); f) ricerche condotte su

organizzazione del sonno in soggetti con ritardo mentale: I) è stata studiata una correlazione

tra deficit di apprendimento e riduzione della fase REM in soggetti affetti da ritardo mentale

con eziopatogenesi diverse per la situazione deficitaria; II) è stata studiata l'efficacia di

terapie che migliorassero l'insonnia e l'organizzazione ipnica senza ridurre ulteriormente la

quantità di fase REM; sono state indagate modalità differenti di riabilitazione cognitiva e le

eventuali ricadute su incidenza di REM e su miglioramento delle performances cognitive;

III) è stato individuato e descritto un nuovo pattern EEG caratteristico di un tipo specifico di

ritardo mentale dipendente da patologia cromosomica.

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VINCENZO DI LAZZARO

Dalla psicologia sperimentale alla stimolazione cerebrale: più di

un quarto di secolo di percorso

Sono approdato all’Istituto di Neurologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore nel 1984

durante il IV anno del corso di studi in Medicina ed allora non potevo certo immaginare che vi sarei

rimasto per 28 anni! La scelta era maturata dopo aver seguito le Lezioni di Psicologia Sperimentale

tenute dal Professor Gainotti al II anno. Quelle lezioni, che spaziavano dalla asimmetria del planum

temporale degli uccelli alla prosopagnosia, avevano fatto nascere in me una fortissima curiosità e

passione per le neuroscienze. L’altro elemento propulsivo che mi aveva orientato verso la

neurologia era stata la lettura del libro “La conoscenza del cervello” di John Eccles che aveva

acceso in me l’interesse per la neurofisiologia, una disciplina in forte evoluzione e che ha

rappresentato una sorta di filo rosso che ha guidato tutta la mia attività sia clinica che di ricerca. In

rapporto a questo interesse specifico ed anche al desiderio di occuparmi in primis della diagnosi e

della terapia delle patologie neurologiche ho iniziato a frequentare con il Professor Tonali che,

rappresentava “l’anima” più clinica e neurofisiopatologica dell’Istituto e che si contrapponeva, in

qualche modo, a quella più speculativa e più orientata alla neuroscienze di base, neuroanatomia e

neuropsicologia in particolare, rappresentata dal Professor Macchi e dal Professor Gainotti. Tuttavia

all’interno di quel forte bipolarismo che ha sempre caratterizzato l’istituto e che vedeva da una parte

il “gruppo neurofisiologico/neuromuscolare” e dall’altra il “gruppo

neuroanatomico/neuropsicologico”, ritengo di essere un caso quasi unico in quanto pur essendo

fortemente radicato sul versante neurofisiopatologico, ho sempre mantenuto con il Professor

Macchi ed ancora di più con il professor Gainotti e con i suoi allievi, un rapporto di collaborazione

fondato su una sincera stima ed amicizia. Questa posizione anomala mi ha dato la possibilità di

occuparmi in autonomia di un territorio che era considerato al confine tra i due gruppi: la patologia

cerebrovascolare. Quindi con una specie di tacito accordo di tutti e sotto la forte spinta del professor

Tonali ho ricevuto, molto precocemente, una implicita delega a diventare il referente nel campo.

Questo ha rappresentato senza dubbio per me una grande opportunità e la base del mio successo

professionale insieme ad un’altra circostanza del tutto casuale e cioè, l’essere approdato nell’Istituto

lo stesso giorno in cui era arrivata la macchina per la registrazione dei potenziali evocati. Questa

metodica non suscitava grande interesse nei vari ricercatori dell’Istituto che erano già fortemente

orientati verso altre aree di ricerca. La tecnica era stata affidata al mio quasi coetaneo dott

Restuccia, tuttavia essendo necessario qualcuno di supporto, il professor Tonali mi chiese di

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affiancarlo fin dal mio primo giorno in Istituto. Proprio “Mimmo” Restuccia mi ha introdotto alla

neurofisiologia clinica aprendomi un campo di ricerca che sarebbe stato ricco di soddisfazioni.

La competizione che aleggiava in Istituto, in rapporto alla presenza di due anime fortemente

caratterizzate, non era certamente un dato negativo ma una formidabile spinta per tutti verso

l’eccellenza, c’era la possibilità continua di scambiare opinioni ed idee e tutti avevano diritto di

parola e di azione, anche i più giovani. Non dimenticherò mai quando, ancora studente del V anno,

in occasione di un importante congresso al quale tutti i medici della neurofisiopatologia erano stati

invitati a partecipare, ho fatto da solo il giro visite assumendomi la totale responsabilità del reparto

per alcuni giorni. Oggi questo sarebbe impensabile, in rapporto alla crescente attenzione per gli

aspetti medico-legali della nostra attività, ma per me rappresentò una grande manifestazione di

stima ed una grande occasione di crescita.

Bisogna riconoscere ai Professori Macchi, Gainotti e Tonali una grandissima capacità di coltivare

talenti: i loro allievi sono diventati ricercatori e clinici di fama internazionale nei rispettivi settori

come ad esempio (in ordine strettamente alfabetico e facendo riferimento solamente ai colleghi con

i quali ho condiviso la vita dell’Istituto per molti anni): Anna Paola Batocchi per le sindromi

demielinizzanti, Anna Rita Bentivoglio per coree e distonie, Amelia Evoli per le patologie della

trasmissione neuromuscolare, Mauro Lo Monaco e Margherita Milone per l’elettromiografia e le

malattie muscolari, Camillo Marra e Carlo Masullo per le demenze, Gabriele Miceli per la

psicolinguistica, Massimiliano Mirabella per le miopatie infiammatorie, Marco Molinari per le

patologie cerebellari, Luca Padua per le neuropatie compressive, Domenico Restuccia per la

neurofisiologia del sistema nervoso centrale, Enzo Ricci per la distrofia facio-scapolo-omerale,

Mario Sabatelli per la sclerosi laterale amiotrofica, Serena Servidei per le patologie mitocondriali,

Caterina Silveri, Giampiero Villa ed Antonio Daniele per la neuropsicologia, Gabriella Silvestri per

le miotonie e le atassie, Massimiliano Valeriani per la neurofisiologia del dolore. Il clima culturale

che si respirava in Istituto era in quegli anni elevatissimo e caratterizzato da grande vivacità

intellettuale: c’era sempre qualcuno in partenza per i più prestigiosi centri internazionali e che non

solo riportava e condivideva con grande generosità la propria esperienza ma, creava anche

opportunità di incontro diretto con i big della Neurologia mondiale. A titolo di esempio cito il

Professor Salvatore Di Mauro, che abbiamo avuto la possibilità di incontrare grazie a Serena

Servidei, per non parlare dei grandi neuroscienziati che venivano per incontrare il Professor

Macchi. La mia gratitudine verso l’Istituto di Neurologia della Cattolica è immensa anche per la

possibilità che mi ha offerto di una rapida crescita professionale: un incarico di medico interno

Universitario prima ancora di aver concluso la specializzazione e la chiamata a professore associato

all’età di 43 anni.

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In parte per il duro lavoro (anche 12-13 ore al giorno trovando tutti i giorni della mia vita spazio e

tempo per la neurologia, e qui devo ringraziare i miei veri punti di forza: le mie adoratissime

Beatrice, Francesca e Valeria che, oltre ad essermi state sempre vicine, hanno dimostrato una

infinita pazienza; mi hanno seguito in Germania e in Inghilterra (anche rinunciando alle vacanze) e

ogni giorno mi hanno aspettato per cena anche fino ad ore impossibili per non farmi stare solo e per

recuperare un po’ di tempo insieme; ricorderò sempre Francesca e Valeria piccole che, crollate nel

sonno sul divano, si riattivavamo al mio arrivo e mangiavano e chiacchieravano in una specie di

dormiveglia) ma soprattutto grazie ad una grande fortuna ed al supporto dei colleghi mi sono

trovato presto nella posizione di poter provare, in qualche modo, a restituire ai più giovani quel

tanto che avevo ricevuto da tanti.

Ho avuto la grande opportunità di raccogliere intorno a me due gruppi diversi di ricercatori e

definire allievi i primi di loro è del tutto inopportuno trattandosi di brillantissimi colleghi che con

un impegno incredibile hanno permesso una produzione scientifica di grande rilievo. Antonio

Oliviero, Paolo Profice, Fabio Pilato, Eleonora Saturno, Michele Dileone, Federico Ranieri a cui

presto si sono aggiunti Fiore Capone, Lucia Florio e Gabriella Musumeci. Con loro ho vissuto la

stagione bellissima dello sviluppo delle tecniche di stimolazione cerebrale: abbiamo pubblicato

lavori su Journal of Neuroscience, Journal of Physiology, Stroke, Experimental Brain Reasearch,

Cerebral Cortex, Neurology, Journal of Neurology Neurosurgery and Psychiatry per elencare solo

alcune riviste con un numero di citazioni decisamente elevato. Con questi lavori abbiamo definito le

basi fisiologiche della stimolazione cerebrale non-invasiva nell’uomo e posto le basi per un uso

terapeutico della stessa. Un altro filone importante della ricerca, questo sviluppato in collaborazione

con il professor Gainotti e i suoi allievi, ci ha portato alla scoperta di un test non invasivo per la

valutazione funzionale dei circuiti colinergici centrali del cervello umano, test che ha avuto una

grande applicazione e diffusione in molti altri laboratori per lo studio e la caratterizzazione delle

demenze.

L’altra straordinaria squadra che ho avuto la fortuna di organizzare è quella che ha creato la Stroke

Unit del Gemelli. E’ stata una delle sfide più impegnative e più gratificanti di tutta la mia vita. Ho

avuto una occasione unica, di poter scegliere i migliori, non solo della mia area ma anche di altre

aree e partire da zero insieme a loro che si sono rivelati dei compagni di viaggio straordinari: Fabio

Pilato e Paolo Profice (fisiologi e “strokkologi”), Aldobrando Broccolini, Giacomo Della Marca,

Roberta Morosetti e successivamente Giovanni Frisullo. Abbiamo vissuto assieme questa grande

avventura condividendo ogni problema che si presentava: chi smontava dalla notte si tratteneva per

il giro, se c’era da fare una trombolisi o una consulenza complessa si partiva tutti insieme, se

bisognava affrontare l’ingrato compito di comunicare una diagnosi infausta ai familiari di uno dei

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nostri pazienti, lo si faceva tutti insieme. La generosità, lo spirito di abnegazione e l’impegno che

hanno profuso non li dimenticherò mai, hanno garantito una copertura 24 ore su 24 anche quando

sono rimasti in 3 per qualche malattia o quando questo era necessario per consentire a tutti di

prendere un periodo di ferie. Credo che non vedrò mai più una cosa del genere (anche perché oggi

questo è al di fuori della legge) ma la cosa più bella è che nessuno di loro si è mai lamentato, tutti

hanno sempre lavorato con il sorriso dimostrando una grande solidarietà tra colleghi e una grande

empatia con tutti i pazienti. Stringendo i denti abbiamo portato il reparto ad un livello di eccellenza

assoluta ed il coronamento, è stato la possibilità di diventare uno degli autori di un importante

lavoro pubblicato sul New England Journal of Medicine. E’ stata una grande gratificazione per me

quella di ricevere recentemente da tutti loro l’invito ad una cena di festeggiamento del 10°

compleanno della Stroke Unit.

Guardando a tutta la mia produzione scientifica attraverso una ricerca su Pubmed mi rendo conto

che con tutti, proprio tutti, i colleghi dell’Istituto ho almeno una pubblicazione e questo mi riempie

di soddisfazione e gratitudine nei confronti di tutti.

Una menzione speciale la merita la professoressa Paola Batocchi una collega unica per la sua bontà,

per il suo acume clinico e per la sua capacità di condividere le sue conoscenze, ha aperto la mia

mente al mondo affascinante ed in crescita delle patologie neurologiche autoimmuni. Aveva una

capacità unica nel farsi carico di tutti i pazienti, anche quelli più complessi, accogliendo anche

pazienti che erano stati seguiti da tutti noi quando si attraversavano fasi delicate di malattia ed a

tutti i pazienti dava il suo numero di cellulare. Ispirava una tale fiducia che non ho avvertito alcuna

esigenza di aggiornarmi sulla sclerosi multipla, finchè c’è stata lei ed a lei affidavo tutti i miei

pazienti colpiti da questa malattia, che ancora oggi mi ringraziano per questo. Se n’è andata troppo

presto affrontando una malattia terribile, che lei stessa aveva diagnosticato, a viso aperto e con

grande dignità. Era una persona speciale, di quelle che non si possono dimenticare.

Quando, ormai da diversi anni nell’Istituto, ho avuto il piacere di incontrare il fondatore della nostra

Scuola, il Professor Paolo Pinelli, l’orgoglio di esserne parte si è ulteriormente accresciuto. Ho

avuto il piacere di fare lunghe chiacchierate con lui, di essere invitato a scrivere un capitolo per un

suo libro e soprattutto di essere considerato da lui un allievo “diretto”, anche se non avevo avuto la

fortuna di lavorare con lui.

Tra le persone che si sono unite al nostro Istituto nel corso degli anni, una menzione speciale la

merita il Professor Mercuri, da lui ho imparato il mondo dei trial e della speranza in neurologia, da

lui ho appreso che anche i pazienti affetti da patologia considerata “senza cura” (amiotrofie spinali,

distrofia muscolare di Duchenne) hanno diritto ad un tentativo terapeutico. Proprio con lui ho

appreso che anche questi pazienti se seguiti con attenzione possono migliorare ed avere una

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migliore qualità della vita. La cosa che ho ammirato di più nel suo stile di essere neuropsichiatra

infantile è quello di essere sempre vicino ai suoi piccoli pazienti arrivando ad accompagnare anche

nell’ultimo tristissimo viaggio quelli più sfortunati, che non ce l’hanno fatta.

Nonostante la lontananza e l’opportunità di incontri del tutto occasionali ho sviluppato e mantenuto

un forte legame con molti di quei colleghi brillantissimi cresciuti nell’Istituto e poi emigrati

all’estero, in quella “fuga dei cervelli” che ha portato fuori dall’Italia tanti talenti di grande valore.

Citandoli in ordine di fuga: Giovanni Manfredi, un mix unico di simpatia e genialità, oggi

Professore di Neuroscienze e Direttore della “Mitochondria and Neurodegeneration Unit” al Brain

and Mind Research Institute al Weill Cornell Medical College di New York; Margherita Milone, un

mix di caparbietà e intuito, Professore di Neurologia e Direttore della “Section of Neuromuscular

Diseases” della Mayo Clinic di Rochester; Elena Moro, un mix di determinazione e sistematicità,

Professor of Neurology, Department Psychiatry, Neurology and Neurological Rehabilitation,

Professore di Neurologia e Direttore della “Movement Disorders Unit” della University Grenoble-

Alpes; Simone Di Giovanni, un grandissimo ricercatore con una carica di umanità immensa,

Professore di Neurologia e Chair in “Restorative Neuroscience” all’ Imperial College di Londra;

Francesca Odoardi, una collega di pochissime parole ma di moltissimi fatti, Group leader all’

“Institute for Multiple Slerosis Research” della Georg-August Universität di Göttingen; Alfonso

Fasano, una vera forza della natura ed un caso quasi unico di salto da contrattista in Italia a

Professore in Canada, attualmente Professore di Neurologia alla University of Toronto.

Voglio concludere con una considerazione che ritengo sia condivisa da tutti noi che, in numero non

trascurabile per un Istituto di una Università privata, abbiamo avuto la fortuna di fare carriera al di

fuori diventando direttori presso altre Università italiane: Carlo Caltagirone, Paolo Bergonzi,

Antonio Uncini, Alberto Albanese, Gabriele Miceli, Caterina Silveri oltre a Paolo Rossini che ha

avuto il privilegio di tornare come Direttore in Cattolica. Ritengo che tutti noi possiamo in qualche

modo essere considerati la punta di un iceberg mentre lo zoccolo duro è rappresentato da tutti gli

altri che questa opportunità non l’hanno avuta, pur avendo lavorato con grande impegno e qualità.

E’ anche grazie al loro lavoro che alcuni di noi hanno avuto la possibilità di emergere ed è solo il

gioco di squadra che ha permesso di ottenere quei risultati che fanno dell’Istituto di Neurologia

dell’Università Cattolica del Sacro Cuore un grande Istituto.

Lavori più rilevanti pubblicati durante il periodo trascorso all’Istituto di Neurologia

Brown P, Oliviero A, Mazzone P, Insola A, Tonali P, Di Lazzaro V. (2001) Dopamine dependency of oscillations

between subthalamic nucleus and pallidum in Parkinson's disease. J Neurosci. 21:1033-8

Ragioni: è stato il primo lavoro che ha permesso di definire il ruolo di attività oscillatorie patologiche nella malattia di

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Parkinson fornendo altresì un contributo fondamentale alla comprensione dei meccanismi d’azione della stimolazione

cerebrale profonda in questa patologia.

Numero di citazioni (Scopus): 518

Di Lazzaro V, Restuccia D, Oliviero A, Profice P, Ferrara L, Insola A, Mazzone P, Tonali P, Rothwell JC. (1998)

Magnetic transcranial stimulation at intensities below active motor threshold activates intracortical inhibitory circuits.

Exp BrainRes.;119:265-8.

Ragioni: è stato il primo lavoro che ha definito le basi fisiologiche dell’inibizione intracorticale nell’uomo.

Numero di citazioni (Scopus): 369

Di Lazzaro V, Oliviero A, Pilato F, Saturno E, Dileone M, Mazzone P, Insola A, Tonali PA, Rothwell JC. (2004)The

physiological basis of transcranial motor cortex stimulation in conscious humans. Clin Neurophysiol;115:255-66.

Ragioni: questo lavoro rappresenta una pietra miliare nella definizione delle basi fisiologiche della stimolazione

cerebrale non invasiva nell’uomo.

Numero di citazioni (Scopus): 299

Di Lazzaro V, Restuccia D, Oliviero A, Profice P, Ferrara L, Insola A, Mazzone P, Tonali P, Rothwell JC. (1998)

Effects of voluntary contraction on descending volleys evoked by transcranial stimulation in conscious humans. J

Physiol.;508:625-33.

Ragioni: è stato il primo lavoro che ha dimostrato gli effetti prodotti dalla contrazione muscolare volontaria sull’attività

corticospinale da stimolazione transcranica e la possibilità di attivare in maniera diretta ed indiretta le cellule

corticospinali nell’uomo

Numero di citazioni (Scopus): 256

Di Lazzaro V, Oliviero A, Tonali PA, Marra C, Daniele A, Profice P, Saturno E, Pilato F, Masullo C, Rothwell JC.

(2002) Noninvasive in vivo assessment of cholinergic cortical circuits in AD using transcranial magnetic stimulation.

Neurology;59:392-7.

Ragioni: questo lavoro descrive un nuovo test per la valutazione dei circuiti colinergici centrali nei pazienti con

malattia di Alzheimer dimostrando specifiche alterazioni e la loro correzione attraverso l’utilizzo di farmaci

anticolinesterasici

Numero di citazioni (Scopus): 140

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DOMENICO GAMBI*

Brevi ricordi dei primi tempi della Clinica neurologica

Ho iniziato il mio rapporto con la Clinica delle Malattie Nervose e Mentali dell’Università Cattolica

nel 1966, invitato ad un iniziale colloquio con il Prof. Pinelli, allora primo Direttore della Clinica.

Al colloquio seguì nel 1967, la mia chiamata in servizio, quale Assistente Universitario.

Allora l’organico medico della Clinica era composto di soli quattro assistenti, io, Pietro Tonali,

Filippo Ferro e Giovanni Gandiglio.

L’ambiente culturale risentiva della formazione ampia in Neuropsichiatria, ed i quattro assistenti

erano tenuti a sviluppare branche differenziate delle competenze neuropsichiatriche. Avendo già

acquisito esperienze in Poligrafia EEG e polisonnografia nella Clinica di Bologna, dove mi ero

laureato, il mio iniziale campo di studio fu su elettroenecefalografia, quando, d’altronde questo era

l’esame tecnico principe in Neurologia. Dell’iniziale periodo in cui Paolo Pinelli era il Direttore

della Clinica, ricordo la relazione quasi fraterna tra i quattro assistenti, che di sicuro non si esauriva

nell’orario di lavoro della Clinica, e l’entusiasmo, immaginabile, di giovani poco più che trentenni,

che avevano il compito di fare nascere una struttura Clinica nuova in un territorio allora dominato

dalla Scuola Neuropsichiatrica della Sapienza.

Con l’arrivo del Prof. Giorgio Macchi dell’Università di Perugia, la Clinica andò incontro ad una

serie di cambiamenti, con la ulteriore definizione di sottospecialità. All’inizio degli anni 70 in

Clinica, la mia principale responsabilità era per la sezione di Neurologia - Neuropsichiatria

Infantile, discipline in cui avevo affinato le mie competenze attraverso uno stage nell’Hospital for

Sick Children di Londra.

Ricordo di quel periodo il progressivo ampliamento dell’organico: lavoravano allora con me Maria

Giulia Tonioli, Francesco Pinto, Chiara Stefanini.

L’esperienza londinese e quella del lavoro iniziale avevano acceso in me però l’irrequietezza del

voler costruire una dimensione che più rispecchiasse i miei interessi scientifici per cui già nel

1976, poco meno che quarantenne, accettai la sfida di dirigere la Clinica Neurologica nell’allora

neonata Università G. D’Annunzio di Chieti e Pescara.

Il rapporto con la Clinica della Cattolica e con il Prof. Giorgio Macchi restava sempre molto

stretto, il Prof. Macchi veniva spesso a visitare la Clinica da me diretta e, provenienti dalla

Cattolica, iniziarono la loro carriera con me Paolo Rossini, Marco Onofrj, Antonino Uncini.

Debbo dire che non rimpiango la decisione presa nel 1976, l’ambiente fraterno e familiare dei primi

tempi al Policlinico Gemelli era ovviamente destinato a ridefinirsi a causa della progressiva

ipertrofizzazione della struttura, e l’autonomia raggiunta è stata sicuramente impagabile.

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La Clinica Neurologica che ho costruito grazie all’esperienza acquisita con i Professori Pinelli e

Macchi, e Pampiglione a Londra, ha potuto portare un contributo scientifico riconosciuto alla

nascita di nuove tecniche neurofisiologiche e della disciplina di Neuroimmunologia, della cui

società scientifica sono stato tra i fondatori.

Dovendo scegliere tra i miei lavori, quelli concepiti prevalentemente tramite il legame con la

Clinica Neurologica della Cattolica, posso ricordare:

Gambi D, Ferro FM, Mazza S. (1970). Analysis of sleep in the progressive myoclonus epilepsy. Eur Neurol. 3(6):347-

64.

Ragioni: Perchè era uno dei primi lavori pubblicati su riviste internazionali dalla Clinica

Gambi D, Rossini PM, Albertini G, Sollazzo D, Torrioli MG, Polidori GC. (1980). Follow-up of visual evoked potential

in full-term and pre-term control newborns and in subjects who suffered from perinatal respiratory distress.

Electroencephalogr Clin Neurophysiol. 48(5):509-16

Ragioni: Perché è stato l’ultimo lavoro pubblicato come Neuropsichiatria Infantile del Policlinico Gemelli

Onofrj M, Ghilardi MF, Basciani M, Gambi D. (1986). Visual evoked potentials in parkinsonism and dopamine

blockade reveal a stimulus-dependent dopamine function in humans. J. Neurol Neurosurg Psychiatry 49(10):1150-9.

Ragioni: Perchè è uno dei lavori più citati, apriva la strada agli studi sui neurotrasmettitori retinici

Gambi D, Porrini AM, Giampietro A, Macor S. (1991). CD21+ (B2 antigen+) cell decrement and CD4+CD29+ (helper-

inducer) cell increment suggest an activation of cell immune reactivity in multiple sclerosis. J Neuroimmunol.

33(2):97-102.

Ragioni: Perché è stato il primo nostro lavoro di neuroimmunologia, che ha dato origine ad ampie collaborazioni e

carriere brillanti, non solo in Neurologia.

*Il Prof Gambi è purtroppo mancato all’affetto dei suoi cari e di noi tutti il 25 Ottobre 2016

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MARCO ONOFRJ

Un'esperienza breve ma indelebile

Ho iniziato a frequentare la Clinica Neurologica dell’Università Cattolica nel 1975, come studente

interno, due anni prima della Laurea.

Due condizioni particolari avevano contribuito ad indirizzarmi alla Clinica neurologica:

l’esperienza di una persona a me vicina che si era laureata nella stessa Clinica nel 1968 e

specializzata in Psichiatria, l’anno prima che io fossi ammesso alla facoltà di Medicina della

Cattolica, e il fatto che la Psichiatria, nel 1975, fosse ancora parte della Clinica delle Malattie

Nervose e Mentali.

E’ forse necessario ricordare il contesto di quegli anni 70, pur se vissuti nella dimensione protetta (

o segregata) dell’Università Cattolica, allora l’unica Università medica con numero di ammissione

programmato, e ristretto.

L’entusiasmo per le nuove posizioni della sociopsichiatria, travalicava la dimensione medica,

investendo i media, con il progetto di chiusura degli Ospedali psichiatrici. (Va detto, in parentesi

che quello fu l’unico esempio nella storia della Sanità Italiana in cui fu possibile abolire migliaia di

posti letto ospedalieri pubblici, in pratica senza opposizioni politiche). Grazie alla persona a me

vicina, che lavorava come Psichiatra nel principale avamposto della Rivoluzione Psichiatrica, mi

era già stato possibile frequentare da studente, le diverse strutture psichiatriche nazionali, e quindi

nel 1975 iniziai a frequentare la Clinica delle Malattie Nervose e Mentali , al seguito di quelli che

erano allora gli unici due Psichiatri in attività nella Clinica, Filippo Ferro e Pietro Bria.

Il retroterra culturale della Psichiatria era allora prevalentemente psicoanalitico, collegato con la

Psicologia Clinica del Prof. Leonardo Ancona allievo di Agostino Gemelli, e Filippo e Pietro, non

si discostavano da quella impostazione, anche se Filippo disponeva di una eccellente formazione di

neurologo clinico. Con loro il dibattito clinico risaliva ai grandi autori della cultura psicoanalitica,

con scivolamenti nell’allora importante trend geometrico-spaziale di interpretazione psicoanalitica

derivato da Lacan, Irigaray e Matte Blanco. Anche se con Filippo, Pietro e Pasquale David, allora

assistenti in Neurologia, ebbi occasione di visitare, per uno studio epidemiologico, l’ultimo

manicomio italiano ancora funzionante, a Nocera Inferiore, quell’internato mi condusse ad una

progressiva illuminazione sui miei reali interessi, che non trovavano soddisfazione nelle

impostazioni psicoanalitiche, psichiatriche e Lacaniane. Il direttore della Clinica era in ogni caso il

Prof. Giorgio Macchi e il contatto quotidiano con la metodologia clinica classica e la ricerca

sperimentale, (allora molto attiva) costituivano la sirena scientifica irresistibile. Nel giro di poco

tempo il passaggio fu dalla Psichiatria ai modelli murini di elettrogenesi cerebrale, in cui

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probabilmente sfruttavo la competenza matematica acquisita nel vano tentativo di decifrare la

matematica lacaniana dei toroidi e delle forme impossibili, mentre apprezzavo la solitudine del

laboratorio di fisiologia. L’acquisita competenza nella sperimentazione animale, mi costituì un

bagaglio apprezzato soprattutto nell’Università americana in cui avrei lavorato per molti anni.

Dei primi anni, in Clinica Neurologica , come specializzando, ricordo soprattutto l’affollamento al

giro del mattino, la necessità di compartimentazione in sottodiscipline neurologiche, la possibilità di

valutare, tra i ricoverati, casi di S. di Dercum , Pette-Doring (una passione del Prof Macchi), ma

anche disturbi di conversione, anoressie maschili, dismorfofobie, e soprattutto, ricordo la

straordinaria attenzione che il Prof. Macchi rivolgeva ai più invisibili studenti.

L’affollamento fu la causa della breve durata della mia esperienza nella Clinica Neurologica;

superato il mitico esame di Stato americano ECFMG nel 1978, con la benedizione del Prof.

Macchi, mi trasferii nel 1980 a New-York alla Mount Sinai School of Medicine. Ero ancora

specializzando in Clinica Neurologica, e il Prof. Macchi mi permetteva di restare stabilmente negli

Stati Uniti. La sorpresa, improponibile al giorno d’oggi, fu che i Professori Macchi e Tonali

costituirono una seduta ultraspeciale di Specializzazione, per farmi discutere la tesi (solo per me!),

coincidente con le brevi ferie concesse dall’istituto americano.

Devo dire che il rapporto con la Clinica Neurologica è rimasto lungamente: il Prof. Macchi venne a

trovarmi al Mount Sinai, furono miei ospiti Gabriele Miceli e Paolo Rossini . Anche dopo, rientrato

in Italia, continuavo a sentire il Prof. Macchi, che invitavo spesso, con il Prof. Gambi, a discutere

casi clinici nella nostra piccola dependance neurologica.

Debbo ringraziare Paolo Rossini e Guido Gainotti per avermi dato l’opportunità di esporre, in

maniera sistematica e rintracciabile, alcune riflessioni sulla esperienza organizzativa e che, al

più, sinora avevo avuto occasione di esprimere in qualche conversazione.

Avendo svolto tutta la mia attività di Aiuto, Professore Associato, Ordinario e Direttore di Unità

Complessa (per 18 anni), in altre sedi, posso contribuire riportando le riflessioni generate da questa

esperienza.

L’impatto maggiore , su una Clinica Neurologica, è stato sicuramente quello determinato dalla

riorganizzazione normativa prevista dal Sistema Sanitario, che ha introdotto parametri produttivi,

prima esclusivi delle case di Cura Private.

In breve, le modalità di ricovero dei pazienti è cambiata, non è stato più possibile ricoverare le

malattie di squisita pertinenza neurologica, quindi gran parte delle malattie neurodegenerative, le

epilessie, i disturbi del sonno ecc…

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Il reparto clinico, di necessità, è stato convertito in reparto ad Alta Intensità terapeutica, occupato in

parte dalla Stroke Unit HUB, in cui eseguire le terapie trombo litiche, e da emergenze,

prevalentemente respiratorie in malattie neurologiche e vascolari.

La pressione economica per le brevità ricovero ha fatto sì che le velleità di studio del caso

clinico, tipiche della Neurologia, si affievolissero progressivamente, mentre il Neurologo era

costretto ad acquisire sempre migliori competenze di Medicina Interna. Ciò però è vero per tutti i

sistemi sanitari del mondo occidentale, la Neurologia è divenuta un “Out patient clinic”, tranne che

per alcune strutture meno soggette all’ordine efficientistico della Sanità pubblica. I cambiamenti

che abbiamo subito negli ultimi anni, sono comunque verosimilmente poca cosa rispetto a quelli

programmati, per il futuro, con progressiva riduzione e restrizione delle attività Sanitarie.

Non è lecito essere pessimisti, ma di sicuro, dall’ampio ventaglio di opportunità di studio clinico

previste per il Neuropsichiatra del 1966, la restrizione alle attività di Medico internista per il

Neurologo che opera in strutture ospedaliere della Sanità Pubblica nel 2016, è stato culturalmente

devastante. Altre figure di Neuroscienziati, Dottorandi, Psicologi e Biofisici, hanno assunto il ruolo

che originariamente era stato dato al Neurologo-Neuropsichiatra, ma ciò determinerà sicuramente

un progressivo cambiamento della cultura medica, e non so dire se ciò sia per il meglio.

Infine si era concordato di discutere l’impatto dei nuovi modelli scientometrici e delle fonti di

finanziamento.

Quanto al primo, posso dire che l’esperienza internazionale è di almeno 30 anni antecedente

all’introduzione dei sistemi nazionali CINECA, ANVUR, VQR, U-GOV e al richiamo dell’ORCID

nell’IRIS.

Personalmente debbo confermare che vedo un aspetto profondamente negativo nella

burocratizzazione centralizzata degli indici scientometrici: l’approccio nazionale che ha visto

nascere una struttura apposita ha costituito un costo aggiuntivo, in termini di tempo dedicato

coercitivamente ad aggiornare i dati, per un servizio che ricalca informazioni ottenibili dal Web con

costi risibili. Inoltre l’accesso al Web è immediato e trasparente mentre le centrali di valutazione

nazionali sono difficilmente accessibili.

La burocratizzazione delle misure scientometriche ha determinato troppo spesso, una valutazione

notarile del prodotto scientifico del singolo ricercatore, che è ben lontano dalla modalità di utilizzo

dei dati scientifici da parte delle Università americane ed europee. In realtà o come ovvio, il dato

scientifico deve essere un elemento discriminativo minimale, adatto ad un primo screening, ma il

giudizio di valutazione del prodotto scientifico deve essere focalizzato sulla autorialità (chi ha

pensato, scritto, costruito il disegno sperimentale e clinico, sviluppato le metodiche tecniche) e sulla

innovatività reale. Il mio giudizio è che il recepimento tardivo e ultraentusiastico nel nostro paese

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degli indici scientometrici, ha causato delle distorsioni cognitive in base a cui il possesso di indici

numerici è frequentemente malinterpretato come riconoscimento obiettivo di merito, senza

considerare la reale autorialità e innovatività (ad esempio dando credito a reviews, o a

multicentriche industriali spesso troppo citate, quando andrebbero considerati solo gli studi

originali, come d’uso nelle università europee e americane).

Già ora nella valutazione dei progetti di ricerca, il Ministero della Sanità utilizza i correttivi

dipendenti dalla autorialità e innovatività.

Quanto al secondo punto, debbo dire che pur essendo il ruolo delle fonti di finanziamento nel nostro

paese, una frazione dello stesso negli Stati Uniti e Gran Bretagna, il costo in termini di

tempo/lavoro della preparazione delle domande di finanziamento è enormemente elevato e distoglie

dallo studio e dalla clinica. Nelle altre università americane o inglesi con cui collaboro, la

preparazione delle domande di finanziamento è gestita da team efficienti e preparati di personale

segretariale e amministrativo, di pertinenza delle singole cliniche. Quale arcano possa giustificare

l’assenza di supporto amministrativo nelle nostre cliniche resta per me un quesito cui dedicare una

opportuna metodologia di ricerca.

Dovendo scegliere tra i miei lavori, quelli per cui ritengo di poter ricordare un imprinting specifico

della Clinica neurologica della cattolica, cito i seguenti:

Onofrj M, Bodis-Wollner I. (1982) Dopaminergic deficiency causes delayed visual evoked potentials in rats.- Ann

Neurol. May;11(5):484-90.

Ragioni: Perché ho potuto svilupparlo grazie all’esperienza acquisita nella ricerca sperimentale in fisiologia, indirizzato

dal Prof. Macchi.

Onofrj M, Fulgente T, Gambi D, Macchi G. (1993). Early MRI findings in Creutzfeldt-Jakob disease. J Neurol.

240(7):423-6.

Ragioni: Perché è la prima descrizione del segno del Pulvinar nella CJD fatta con Macchi, anche se non alla Cattolica.

Onofrj M, Fulgente T, Nobilio D, Malatesta G, Bazzano S, Colamartino P, Gambi D. (1992). P3 recordings in patients

with bilateral temporal lobe lesions. Neurology. 42(9):1762-7.

Ragioni: Perché è il primo riaffiorare dell’esperienza di psichiatria clinica e neurologica comportamentale, coniugata

con metodologia clinica deduttiva e sperimentale

Onofrj M, Bonanni L, Manzoli L, Thomas A. (2010) Cohort study on somatoform disorders in Parkinson disease and

dementia with Lewy bodies. Neurology. 2010 May 18;74(20):1598-606.

Ragioni: L’iniziale impostazione psicodinamica acquisita con Filippo Ferro, riprende il sopravvento, portandomi ad

osservare disturbi del comportamento in una malattia definita come epitome dell’organico.

Delli Pizzi S, Franciotti R, Taylor JP, Thomas A, Tartaro A, Onofrj M, Bonanni L. (2015). Thalamic Involvement in

Fluctuating Cognition in Dementia with Lewy Bodies: Magnetic Resonance Evidences. Cereb Cortex. 25(10):3682-9.

Erskine D, Taylor JP, Firbank MJ, Patterson L, Onofrj M, O'Brien JT, McKeith IG, Attems J, Thomas AJ, Morris CM,

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Khundakar AA. (2016). Changes to the lateral geniculate nucleus in Alzheimer's disease but not dementia with Lewy

bodies. Neuropathol Appl Neurobiol. 42(4):366

Ragioni: Un omaggio agli studi del Prof. Macchi, ed alla sua passione per l’anatomia del talamo. Ad individuare la

sede delle fluttuazioni cognitive nel pulvinar, ha sicuramente contribuito l’imprinting subliminare degli studi di Giorgio

Macchi sul talamo, che avevo osservato, all’origine, da giovane specializzando.

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SALVATORE MAZZA

Cinquant'anni...e sembra ieri

Durante il corso di laurea (1962-1968), avevo frequentato gli Istituti di Anatomia Umana Normale

diretto dal Prof. Gastone Lambertini (I anno), di Fisiologia Umana diretto dal Prof. Roberto

Bianconi (II anno), di Patologia Speciale Medica diretto dal Prof. Raffaello Breda (III e IV anno)

come allievo praticante interno.

All’epoca il Policlinico Gemelli era stato inaugurato da poco ed i singoli reparti specialistici erano

attivati man mano che si progrediva con il corso di laurea. Nel frattempo le consulenze per le

specialità da attivare erano affidate a specialisti esterni.

Per la Neurologia e la psichiatria, il consulente era il Prof. Bruno Callieri, un eminente

psicopatologo dell’Università “La Sapienza” (ma allora non si chiamava ancora così). Seguendo le

sue consulenze si era rafforzata in me la determinazione di scegliere la neurologia o, forse, la

psichiatria (allora le due discipline non erano ancora separate) quale

campo della mia attività professionale.

Nel quarto anno di corso avevo compiuto uno "stage" presso il reparto

neurologico dell'University Hospital Dijkzigt di Rotterdam diretto dal

Prof. F. J. Tolsma usufruendo di una borsa per un programma scambio

tra le Università europee (una sorta di “Erasmus” ante litteram).

Rientrato ai primi di settembre 1966, avendo appreso dell’arrivo del

docente di Clinica delle Malattie Nervose e Mentali, Prof. Paolo

Pinelli, mi presentai a lui chiedendogli di essere accolto nel suo Istituto.

Il prof. Pinelli accettò la mia richiesta e mi affidò ai suoi collaboratori dott. Filippo Maria Ferro e

Pietro Attilio Tonali che lo avevano seguito dall’Università di Pavia. Dopo qualche settimana

arrivarono altri allievi, essenzialmente del sesto anno tra i quali Luigi

Anepeta che fu per me e per altri compagni di studio una guida e un

punto di riferimento costante per la sagacia e la ricchezza culturale e

umana che lo contraddistinguono.

Fummo subito coinvolti nell’attività di reparto davvero molto

impegnativa (i posti letto erano 80, mancavano un reparto di

Neurochirurgia – dovevamo far riferimento a quello della Sapienza

diretto dal prof, Beniamino Guidetti -, di Neuropsichiatria Infantile e

soprattutto di Rianimazione) e però molto proficua per l’opportunità di apprendere “sul campo”

sotto una guida così qualificata e rigorosa sostenuti dalla consapevolezza di contribuire alla

Prof. Paolo Pinelli

Prof. Luigi Anepeta

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costruzione di un’istituzione allo stato nascente. Nel frattempo altri medici si erano aggiunti, il dott.

Giovanni Gandiglio proveniente dall’Università di Torino, il dott. Domenico Gambi dall’Università

di Bologna, il dott. Francesco Simone dall’Università di Bologna. Ben presto, grazie alla fama del

prof. Pinelli, un pioniere della Neurofisiologia Clinica soprattutto nell’ambito delle malattie

neuromuscolari e delle tecniche elettromiografiche, il nostro Istituto cominciò ad attrarre molti

ricercatori provenienti da altre università che in seguito avrebbero conseguito posizioni

accademiche elevate.

Dopo il conseguimento della laurea fu nominato laureato interno con borsa di studio per gli anni

accademici 1968-'69 e 1969-'70.

Nominato assistente incaricato per gli anni accademici 1970-'71 e 1971-'72, con decorrenza 1-3-

1972 fui nominato assistente ordinario avendo vinto il relativo concorso bandito con D.R. 28-9-

1971 con Luigi Anepeta e Francesco Pinto.

In quegli anni incominciai ad occuparmi di problemi di neurologia clinica e di neurofisiopatologia

(con i Dott. Ferro e Tonali), di medicina del sonno (con il dott. Gambi) usufruendo del laboratorio

di polisonnografia dell’Istituto di Psicologia messo a disposizione dal prof. Mario Bertini, di

psicopatologia (con Anepeta e Ferro).

Fin dall’inizio della mia esperienza il mio principale interesse di ricerca è sempre consistito nello

studio dell'epilessia nelle sue implicazioni clinico-neurofisiopatologiche, farmacoterapeutiche e nei

suoi aspetti psico-sociali.

Nel 1972 subentrò alla direzione dell’Istituto il Prof. G. Macchi dell’Università di Perugia ben noto

in ambito accademico nazionale e internazionali per i suoi studi neuroanatomici e neuropatologici

non disgiunti da quello che definiva “la preminenza della clinica”. Lo accompagnavano il prof.

Paolo Bergonzi ed il prof. Guido Gainotti.

Entrambi erano ben noti in ambito

accademico. Il primo per la sua competenza

in ambito neurofisiologico ed in particolare

nella medicina del sonno e nell’epilettologia.

Il secondo per i suoi importanti contributi in

ambito neuropsicologico.

Venne naturale intrecciare un intenso e

fecondo rapporto di collaborazione

nell’ambito della Neurofisiologia clinica del

Sistema Nervoso Centrale con Paolo

Bergonzi destinato a continuare nel tempo.

Prof. Macchi e Prof. Sibley, Direttore del Dipartimento di Neurologia dell'Università dell'Arizona in Tucson.

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Nel frattempo non trascuravo i miei interessi in ambito psicopatologico anche quando negli anni

successivi (1976, se non vado errato) si realizzò la separazione accademica tra Neurologia (senza

anima*) e Psichiatria (senza cervello*). Sul piano culturale la Psichiatria era entrata sempre più a far

parte delle scienze umane come scienza del comportamento e psicodinamica. Se ciò sia stato un

bene o un male è ormai una questione oziosa. Sta di fatto che, come spesso accade nella storia delle

scienze, ciò che è stato buttato dalla finestra finisce per rientrare prepotentemente dalla porta e

attualmente si realizza sempre più una confluenza delle due discipline nell’ambito delle

Neuroscienze come auspicato con lungimiranza dal Prof. Macchi. Gli avanzamenti della ricerca di

base riportano il problema del comportamento in ambito neurologico e, d’altra parte, suggeriscono

l’influenza di fattori emotivi nella genesi e nell’evoluzione di patologie del Sistema Nervoso

Centrale con ovvie ricadute sulle scelte terapeutiche.

Negli anni della mia formazione e della mia attività professionale ho visto nascere facili entusiasmi

e cocenti delusioni rispetto a terapie ritenute risolutrici di malattie gravi del Sistema Nervoso.

Spesso si è trattato solo di ridimensionamenti. Certamente alcune malattie neurologiche sono curate

meglio oggi grazie all’introduzione di nuovi trattamenti ed alla possibilità di diagnosi precoci grazie

all’affinamento di tecniche diagnostiche non invasive (TAC, RMN, PET, SPECT, elaborazione

computerizzata del segnale EEG, etc.) con risultati ancora imprevedibili negli anni scorsi. Molto

resta da fare, ma l’attenzione costante agli apporti delle “scienze di base” accelererà questo

progresso.

Nei lunghi anni trascorsi nella nostra istituzione con compiti organizzativi, ho promosso un'attività

ambulatoriale per i pazienti affetti da epilessia tale da garantire un'assistenza qualificata unita a

un'attenzione particolare agli aspetti psico-sociali spesso così rilevanti in questi soggetti in stretta

collaborazione con la Lega Italiana contro l'Epilessia. Parallelamente ho curato l’adeguamento

delle attrezzature del laboratorio di Neurofisiopatologia e Medicina del Sonno nelle varie aree di

competenza.

Mi sono fatto promotore del Centro di Ricerca per L’Epilessia che ho diretto fin dalla sua

istituzione nel 1996 presso il Policlinico “A. Gemelli” e del Centro di Medicina del Sonno del

Complesso Integrato Columbus con annesso Day Hospital.

Mi sono impegnato a ottenere una Scuola di Specializzazione in Neurofisiopatologia che ho diretto

fin dalla sua istituzione (prima in Italia) nel 2000. Lo stesso dicasi del D.U. e del Corso di Laurea

triennale in Tecniche di Neurofisiopatologia nelle sedi di Roma, Potenza e Guidonia (RM).

Tutto questo, per poco che sia, non sarebbe stato possibile se non mi fosse stata offerta l’occasione

d’incontrare (e di poterne trarre profitto) tante persone (docenti, colleghi, personale sanitario,

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tecnico e amministrativo) di straordinario livello professionale e umano con i quali ho potuto

condividere impegno (tanto) e soddisfazioni morali (non poche).

_______________________________

*secondo un’icastica affermazione del Prof. Raffaello Vizioli

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LUCA PADUA

Un'isola, la Vita, una casa, una sceneggiatura: la Clinica

Neurologica

Non parlerò degli Uomini, tanti e importanti per me, come per molti, anzi per moltissimi, sia medici

sia pazienti, che sono passati da qui e in qualche maniera si sono fidati e hanno affidato una parte o

il tutto di sé stessi. Farei un torto omettendo qualcuno.

Se penso alla Clinica Neurologica, penso a una casa, a una Vita passata dentro.

Chi vive il lavoro come me, e come la maggior parte di quelli che sono o sono stati nella Clinica

Neurologica, non può non vederla come un piccolo luogo dove si vive tanto. Tantissimo. Noi

personaggi di questo spazio siamo molto radicati in questo sesto e settimo piano dell'Ala E.

Personalmente mi sento ancora giovanissimo e finalmente nuoto bene e mi muovo senza paura degli

spigoli. Ma in realtà sono trent'anni che sono qui. Trent'anni sono il tempo per fare da zero un

uomo, una donna, da idea a vero Uomo. Quindi 30 anni sono una Vita.

Sono stato un uomo molto fortunato perché qui ho incontrato persone, medici, infermieri, tecnici e

pazienti che mi hanno insegnato il mestiere come da altre parti molto difficilmente sarebbe

successo. Nel mondo scientifico non ho avuto mai avuto complessi di inferiorità grazie a questa

fortuna. Questa fortuna ha fatto sì che io avessi Allievi splendidi, a cui ho dato tutto quello che

imparavo e continuavo a imparare, soprattutto dagli errori, senza coprirli mai, e che mi hanno ridato

indietro Amicizia, fiducia, passione e conoscenza.

Ma soprattutto qui sono diventato, spero, un uomo, con le fragilità e sensibilità che un medico (e un

docente) forse deve avere per non perdere di vista mai l'Uomo e la sua Vita.

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PAOLO ZOLO

Il sessantotto: una brezza alfine anche sulla Neurologia

Studente interno della Clinica dal 1970, al 4° anno del Corso di laurea, ho assistito al trasferimento

a Pavia del Prof Paolo Pinelli nel 1972 e l’arrivo da Perugia del nuovo Direttore Prof Giorgio

Macchi con i suoi collaboratori: laureato con tesi in Neurologia nel 1973, mi sono specializzato nel

1978, trascorrendo in Clinica i primi due anni della Specializzazione come interno e gli altri

dividendo la mia frequenza con l’attività di assistente neurologo ospedaliero presso l’Ospedale di

Arezzo. Oltre alle attivita di studio della neurologia e alla intensa partecipazione al lavoro della

Clinica, settori di studio e di ricerca avviati negli anni della formazione prima e dello sviluppo

professionale poi sono stati l’Epilessia e la Neurofisiopatologia del sonno. Si è cosi realizzato un

gruppo di lavoro con principale referente in Paolo Bergonzi ma molto integrato nelle diverse

competenze della nostra Clinica: tra i senior Domenico Gambi, Filippo Ferro, Guido Gainotti,

Francesco Pinto, Salvatore Mazza e tra i giovani Gioacchino Mennuni, Luca Zuppi, Paolo Maria

Rossini, Anna Laura Abbamonti e diversi altri.

Il tema dell’epilessia ha rappresentato nella nostra Clinica una occasione di convergenza di

interessi scientifici sicuramente multispecialistici ma anche di diversi approcci clinici e

assistenziali: gli interessi scientifici si sono sviluppati intorno allo studio del segnale

elettroencefalografico sia nell’EEG di superficie che nell’EEG intracranico in collaborazione con il

team neurochirurgico (GF Rossi e G Colicchio) e sia nel monitoraggio prolungato, veglia e sonno,

che nell’EEG qualitativo e quantitativo. Approfondimenti importanti hanno riguardato la

psicopatologia relazionale dei pazienti epilettici e la psicoterapia di gruppo con il contributo di FM

Ferro.

Il “gruppo Bergonzi” ha prodotto molti contributi clinici, diagnostici originali sia in ambito

nazionale nel contesto LICE che internazionale (collaborazioni e contributi nei confronti

dell’epilettologia europea, in particolare transalpina e americana). Ma interessante e singolare è

stato anche l’approccio ai problemi assistenziali della popolazione con epilessia. In questo senso va

visto il filone di tesi di laurea orientate alla epidemiologia dell’epilessia, alla organizzazione della

risposta ai bisogni neurologici e specialistici ed al rapporto con il territorio di una istituzione, il

Policlinico Gemelli, allora (anni 70 e 80) poco attrezzato a tale dimensione assistenziale. Allora

furono avviate attività sanitarie nelle aree cittadine vicino al Policlinico, sino alla borgata Ottavia,

ambulatori dedicati e incontri di quartiere e di circoscrizione.

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Lo sviluppo della collaborazione instaurata all’interno della Clinica sul tema epilessia ha

comportato negli anni successivi la realizzazione di due interessanti Convegni in terra toscana, ad

Arezzo, nel Dicembre 1975 e nel Febbraio 1981, sotto la presidenza del Prof Giorgio Macchi e il

patrocinio della LICE e della Regione Toscana che ne ha pubblicato gli atti. Tra il 1975 e il 1981 si

sono sviluppate linee di sviluppo della ricerca interessanti per il gruppo epilettologico della Clinica:

il rapporto con l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri ha consentito l’acquisizione di

competenze di farmacologia dell’Epilessia e di implementare la determinazione dei livelli

plasmatici dei farmaci antiepilettici nei laboratori della neurologia sia al Policlinico Gemelli che ad

Arezzo.

La dimensione organizzativa , l’interesse per la politica sanitaria e per la sua riforma sono nati

nel contesto di quella straordinaria stagione che va sotto il nome della “rivolta studentesca del ^68”

e che in Cattolica fu particolarmente presente nonché creativa e partecipata. Al fondo si venne a

realizzare una forte spinta verso la modernizzazione di una società e di una cultura tradizionale,

autoritaria, paludata e ingessata: questa corrente contestativa spinse per la “scoperta e la diffusione

di massa” della psicanalisi, della antropologia, della sociologia, di un nuovo umanesimo sino ad una

nuova dimensione della politica. Tra il 1970 e il 1975, la nuova dimensione riformatrice e

scientifica fu rappresentata dalla discussione del progetto di Riforma Sanitaria, che si realizzò nel

1978 con la Legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, pubblico e universalistico: e questo

clima riformatore ha rappresentato l’umus, la sensibilità che anche in Clinica hanno caratterizzato

alcuni indirizzi di lavoro e di ricerca.

Alla fine degli anni ‘70 gli interessi maturati nella epidemiologia analitica dell’epilessia si sono

concretizzati nella partecipazione alla fondazione della Sezione Neuroepidemiologia della SIN.

Lo studio del Sonno ha rappresentato una espansione degli interessi in ambito

psiconeurofisiologico del gruppo Bergonzi e del suo principale ricercatore: la ricerca in questo

ambito è stata indirizzata verso la ricaduta clinico-diagnostica delle tecniche di studio

elettroencefalografico e di monitoraggio pluriparametrico in pazienti epilettici e nelle condizioni di

patologie anche di prevalente interesse internistico: in questo senso sono stati realizzati lavori di

ricerca nel campo della deprivazione di sonno nelle epilessie parziali, in pazienti con cirrosi epatica.

Questi studi hanno anche consentito l’adozione definitiva di nuovi sistemi standardizzati di scoring

per gli stadi del sonno (vedi Rechtschaffen e Kales) con la formazione nel gruppo di competenze

tecnico-professionali avanzate , funzionali al monitoraggio delle epilessie, in particolare di quelle

farmacoresistenti.

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Paolo Zolo. Neurologo, già Direttore della UOC Neurologia/Neurofisiopatologiadell’Ospedale S

Donato di Arezzo (1988-2012), Docente a c. Scuola Specializzazione Neurologia dell’ Università di

Siena, libero professionista.

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CATERINA SILVERI

I 50 anni dell’Istituto di Neurologia dell’Università Cattolica: una

breve riflessione

Quando ho ricevuto da Guido Gainotti l’invito a contribuire agli scritti sui cinquanta anni

dell’Istituto di Neurologia dell’Università Cattolica ho cercato di prendere tempo; non mi

appartiene, infatti, la capacità di gestire al meglio gli eventi celebrativi che più o meno direttamente

mi coinvolgono. Ho deciso tuttavia di dare il mio contributo in considerazione del fatto che i

numerosi anni passati in questo Istituto rappresentano, liberando l’affermazione da ogni venatura

retorica, una parte importante della vita di tutti noi.

Nell’Istituto di Neurologia ho imparato a fare il neurologo e il neuropsicologo. Non ho mai

incontrato difficoltà nel sostenere i due ruoli; le difficoltà le ho incontrate casomai nel far

coesistere le finalità cliniche con quelle, diciamo, “accademiche”. Nel tempo è diventato sempre più

chiaro che queste finalità non sempre coincidevano, anzi a volte divenivano persino inconciliabili.

Ricordo che Giorgio Macchi ci diceva che i risultati della clinica si devono vedere subito, ma

possono volerci degli anni per vedere le ricadute della ricerca sulla clinica. Posso aggiungere che in

Neuropsicologia le ricadute cliniche possono anche non esserci; la Neuropsicologia sappiamo, è

scienza di confine, e quindi con la clinica a volte ha poco in comune. Sia io che i miei colleghi

neuropsicologi questa implicita schizofrenia l’abbiamo sempre vissuta con qualche difficoltà (ma

ho il sospetto che sia così un po’ per tutti).

Sul piano pratico ritengo tuttavia che una “convivenza” pacifica tra queste due componenti i sia

stata poi sempre raggiunta dal momento che di cose ne sono state fatte tante, da tutti e a tutti i

livelli.

Per quel che mi riguarda, voglio percorrere brevemente alcune tappe significative di tutto questo

lavoro, tralasciando ovviamente l’attività assistenziale che pure è stata importante e ritengo, di

livello, considerando che i Pazienti ci hanno sempre mostrato gratitudine.

Ho cominciato a lavorare sui disturbi nei nomi e nei verbi con Gabriele Miceli; lavoro buono, dal

momento che a distanza di tanti anni siamo ancora citati da quanti impegnati sullo stesso fronte.

Parlavamo fondamentalmente di lessico e semantica, quindi di linguaggio; ora le stesse questioni

vengono riprese nell’ambito delle più recenti teorie sull’’ ”embodiment”; quello che abbiamo

affermato nel 1988 rimane tuttavia sostanzialmente valido per una ragione che tengo a precisare: si

trattava di osservazioni riportate su pazienti con danno cerebrale vascolare; e l’osservazione sul

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paziente cerebroleso rimane solida, più solida forse dell’osservazione ottenuta con metodiche

certamente più sofisticate ed all’avanguardia, ma probabilmente più effimere e meno obiettive.

Contemporaneamente ho lavorato con Guido Gainotti sull’organizzazione categoriale delle

conoscenze semantiche, anche qui su pazienti cerebrolesi, in questo caso per encefalite herpetica. Ci

siamo divertiti parecchio, animati da una buona dose di vis polemica indispensabile a sostenere

l’allora acceso dibattito: c’è un solo sistema semantico o più sistemi semantici modality-specific?

ancora oggi posso dire che di dubbi me ne sono rimasti, anzi, alla luce della mole di dati disponibili

in letteratura, ho probabilmente le idee un tantino più confuse.

Poi sono stata coinvolta da Marco Molinari e Mariella Leggio nello studio del cervelletto. Qui

siamo stati forse davvero innovativi perché abbiamo contribuito a dimostrare che il cervelletto non è

soltanto una struttura che controlla il movimento ma interviene nei processi cognitivi. Poi per un

po’ (Marco e Mariella si erano trasferiti altrove) non abbiamo più collaborato. Ora faticosamente ci

stiamo riprovando.

Da ultimo riporto il mio trasferimento al Centro di Medicina dell’Invecchiamento all’inizio del

2000 e successivamente alla Facoltà di Psicologia di Milano, continuando a guardare i miei

Colleghi dell’istituto di Neurologia da lontano, sempre con affetto e stima.

Lavori più rappresentativi dei filoni di ricerca citati nel testo:

Miceli G, Silveri MC, Villa G, Caramazza A. (1984). On the basis for the agrammatic's difficulty in producing main

verbs. Cortex. 20(2):207-20.

Ragioni: è stato il primo lavoro ad ipotizzare un deficit selettivo dei verbi nell’agrammatismo.

Numero di citazioni: 321.

Silveri, M. C., e Gainotti, G. (1988). Interaction between vision and language in category-specific semantic impairment.

Cogn. Neuropsychol. 5, 677-709.

Ragioni: é stata una delle prime descrizioni anatomo-cliniche di un paziente con deficit specific per gli esseri viventi

Numero di citazioni: 215

Silveri, M.C., Leggio, M.G., Molinari, M. (1994) The cerebellum contributes to linguistic production: a case of

agrammatic speech following a right cerebellar lesion. Neurology, 44, 2047-2050.

Ragioni: è stato il primo lavoro ad ipotizzare che il, cervelletto abbia funzioni non-motorie

Numero di citazioni: 193

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PAOLO BARTOLOMEO

L’Istituto di Clinica Neurologica dalla neuropsicologia alle

neuroscienze cognitive – e ritorno

Il mio primo contatto con l’Istituto di Clinica Neurologica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

in Roma avvenne molto presto durante il corso di laurea in Medicina e Chirurgia, che seguii dal

1981 al 1987. Durante il secondo anno del corso di laurea, frequentai l’insegnamento

complementare di Psicologia Sperimentale, che era in realtà un corso di neuropsicologia tenuto da

Guido Gainotti. Rimasi subito affascinato dall’approccio storico scelto dal Prof. Gainotti, che

raccontava il percorso della neuropsicologia dagli studi pioneristici di Broca e Wernicke su singoli

pazienti con diverse forme di afasia da danno emisferico sinistro, allo sviluppo di modelli più

articolati dei rapporti fra reti cerebrali e funzioni cognitive con Meynert, Dejerine e Hughlings

Jackson, fino ai tentativi di integrazione dei modelli neuropsicologici con le teorie linguistiche di

Jakobson e Chomsky. Quando alla fine di una delle lezioni andai a chiedere di frequentare come

interno la Clinica Neurologica, il Prof. Gainotti mi consigliò di attendere di aver dato l’esame di

Clinica Medica (aspettai con impazienza quel momento leggendo Oliver Sacks). Si era allora negli

anni ’80, al culmine della “rivoluzione cognitiva”, che opponeva al classico metodo anatomo-

clinico una considerazione più astratta dei deficit neuropsicologici. Secondo questo approccio, i

deficit cognitivi nei pazienti cerebrolesi andavano analizzati in base a modelli di elaborazione

dell’informazione; gli aspetti più “neurologici”, come la localizzazione della lesione responsabile

del disturbo, erano invece considerati poco rilevanti (bisogna anche riconoscere che la risoluzione

delle neuroimmagini dell’epoca non permetteva di fare inferenze molto precise). I riflessi di quelle

discussioni teoriche si avvertivano fino all’interno della Clinica Neurologica. Grazie però all’allora

direttore dell’Istituto, Giorgio Macchi, la neuroanatomia rimase sempre un elemento fondamentale

nell’Istituto. La riconosciuta importanza della neuroanatomia permise alla scuola di neuropsicologia

di Guido Gainotti di attraversare la rivoluzione cognitiva e di arrivare preparati alla rivoluzione

seguente delle neuroscienze cognitive, quella delle neuroimmagini. Ho vissuto questa seconda

rivoluzione prima come specializzando in neurologia e dottorando in neuroscienze sempre presso

l’Istituto di Neurologia dell’Università Cattolica, poi presso l’istituto governativo di ricerca

biomedica francese (Inserm) Parigi, dove arrivai con una borsa europea e che integrai come

ricercatore qualche anno dopo. E’ al mio arrivo in Francia che ho potuto misurare la stima e

l’ammirazione in cui era tenuta la scuola di neuropsicologia dell’Università Cattolica di Roma a

livello internazionale. Nel recente passato, ho cercato di tener viva l’impostazione del corso di

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neuropsicologia che avevo ricevuto un trentennio prima nel mio insegnamento di Neuropsicologia e

Neuroscienze Cognitive dell’Università Cattolica di Milano (2008-2015). La formazione ricevuta

nell’Istituto di Neurologia mi ha anche permesso di relativizzare alcuni eccessi della ricerca basata

sulle neuroimmagini, che ora si svolge in generale su soggetti normali. Oggi è in effetti molto più

agevole fare ricerca non invasiva su soggetti umani normali, a causa delle grandi difficoltà di

reclutamento e di studio dei pazienti cerebrolosi. Per esempio, durante la mia formazione a Roma la

durata di un ricovero per ictus cerebrale era tipicamente di alcune settimane, il che lasciava il tempo

di studiare il comportamento del paziente con test neuropsicologici numerosi e approfonditi. I

ricoveri brevi o brevissimi di oggi rendono invece impossibile questa possibilità con i pazienti nella

fase acuta dell’ictus, per cui lo studio di pazienti di interesse neuropsicologico si è spostato nelle

strutture di riabilitazione, che non hanno però in generale un accesso facile alle neuroimmagini.

Bisogna anche sottolineare che, anche a causa delle difficoltà di bilancio, molte strutture sanitarie

come il Policlinico Agostino Gemelli hanno recentemente concentrato la gran parte delle risorse

sugli aspetti clinici, lasciando poco spazio alla ricerca. A queste difficoltà si aggiunge la pesantezza

delle procedure per ottenere l’autorizzazione di fare ricerca, sia pur non invasiva, su pazienti con

lesione cerebrale (procedure che in Francia seguono lo stesso iter dei trials farmacologici). Non è

quindi sorprendente che molti neuroscienziati si siano rivolti all’uso prevalente di neuroimmagini su

soggetti normali, malgrado le inferenze di tipo correlativo e non causale consentite da questo

approccio. Nonostante questi problemi, la formazione ricevuta nell’Istituto di Neurologia è stata per

me importante nel sostenere una forte motivazione a mantenere sui pazienti cerebrolesi la gran parte

del mio lavoro di ricerca, tenendo ben presente l’insostituibile valore causale della relazione tra

lesione cerebrale e comportamento. Questa breve testimonianza vuole dunque sottolineare la mia

gratitudine alle persone che hanno marcato la mia formazione nell’Istituto di Neurologia

dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in Roma.

Lavori più rilevanti pubblicati durante il periodo trascorso all’Istituto di Neurologia

Gainotti G, D'Erme P, Bartolomeo P (1991). Early orientation of attention toward the half space ipsilateral to the

lesion in patients with unilateral brain damage.J Neurol Neurosurg Psychiatry. 54(12):1082-89.

Ragioni: è stato uno dei primi lavori a mostrare che alla base dell’eminegligenza sinistra c’é un’orientamento

automatico dell’attenzione verso destra

Numero di citazioni: 147.

D'Erme P, Robertson I, Bartolomeo P, Daniele A, Gainotti G. (1992). Early rightwards orienting of attention on simple

reaction time performance in patients with left-sided neglect. Neuropsychologia, 30(11): 989-1000.

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Ragioni: Una dimostrazione rigorosa con un test di tempi di reazione dell’orientamento automatico dell’attenzione

verso destra nei pazienti eminegligenti.

Numero di citazioni: 91

Bartolomeo P, D'Erme P, Gainotti G. (1994). The relationship between visuospatial and representational neglect.

Neurology. 44(9):1710-4.

Ragioni: è stato uno dei primi lavori a mostrare chiaramente la dissociazione fra forme percettive e forme

rappresentative di eminegligenza.

Numero di citazioni: 113.

Paolo Bartolomeo Inserm U1127;

UPMC-Paris6; CNRS UMR 7225 Institut du cerveau et de la moelle épinière.

Hôpital Pitié-Salpêtrière

75013 Parigi, Francia

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ANTONIO DANIELE

Il vivace mondo della Neurologia dell'Università Cattolica: un

viaggio nei ricordi

In virtù di circostanze inconsuete, la mia frequentazione dell’Istituto di Neurologia ha avuto inizio

quando frequentavo il secondo anno del corso di laurea in Medicina presso l’Università Cattolica e

non avevo ancora ben maturato la convinzione di aver scelto la Facoltà universitaria giusta per me.

In quel periodo, nel 1979, decisi di seguire un insegnamento complementare in “Psicologia

sperimentale”, tenuto dal Prof. Guido Gainotti, che aveva in realtà come tema la Neuropsicologia

nei suoi sviluppi storici. Folgorato dall’interesse in me suscitato da tali argomenti e dal brillante

docente, compresi di aver finalmente trovato la disciplina che mi avrebbe potuto appassionare. Dal

1980, al 3° anno del corso di Laurea, iniziai quindi a frequentare l’Istituto di Neurologia, dapprima

nell’ambito di un inconsueto internato in “Psicologia sperimentale”con il Prof. Gainotti e poi, nel

successivo triennio clinico del corso di Laurea, come Interno in Neurologia. In quel periodo, ho

avuto l’opportunità di assistere alle periodiche riunioni - finalizzate alla discussione di temi di

interesse neuropsicologico - che il Prof. Gainotti teneva con i suoi collaboratori già assai

promettenti (Carlo Caltagirone, Gabriele Miceli, Carlo Masullo, Maria Caterina Silveri, Giampiero

Villa ed altri colleghi). Nel 1984, sotto la guida del Prof. Gainotti, discutevo una tesi di laurea sulla

diagnostica delle Demenze, avendo ricevuto nella fase di stesura della tesi un (a dir poco)

consistente supporto da parte del Prof. Carlo Caltagirone, che alla stretta finale mi convocò alcuni

pomeriggi nella sua abitazione al fine di completare tale lavoro di stesura.

Da allora fino ad oggi, ho frequentato a vario titolo l’Istituto di Neurologia, avendo l’opportunità di

trovarmi in un contesto che da cui sono scaturite - sotto molteplici profili - rilevanti opportunità ai

fini della mia formazione ed avendo avuto il privilegio di incontrare personalità che definirei al di

fuori dell’ordinario. Per motivi di brevità, mi trovo a poter menzionare solo alcune delle personalità

non comuni che ho incontrato frequentando l’Istituto.

Nel periodo della mia formazione specialistica, l’Istituto era diretto dal Prof. Giorgio Macchi, le cui

indimenticate qualità umane, professionali e scientifiche potranno essere meglio delineate dai suoi

numerosi ed illustri allievi. Nel periodo della specializzazione in Neurologia e del Dottorato in

Neuroscienze, recepivo con passione gli insegnamenti del Prof. Macchi sulla moderna

Neuroanatomia – uno degli oggetti dei suoi studi - ed avevo il privilegio di stabilire col Prof.

Macchi un rapporto di affetto reciproco, che mi consentiva di cogliere alcune piacevoli opportunità.

Ad esempio, in occasione di seminari in Istituto tenuti da ospiti (spesso stranieri), il Prof. Macchi

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sovente mi incaricava di prelevare l’ospite in albergo e di accompagnarlo con la mia automobile

presso la sua abitazione. In tali occasioni, il Prof. Macchi e sua moglie mi invitavano a rimanere a

cena con loro e con l’ospite di turno, consentendomi di condividere tale gradevolissima compagnia.

In quel periodo, mi era giunta voce che il Prof. Macchi avesse in qualche modo supportato l’attività

di ricerca di Rita Levi Montalcini prima che vincesse il premio Nobel. Come fosse ieri, ricordo la

gioia del Prof. Macchi il giorno in cui nel 1986 arrivò in Istituto la notizia del conferimento di tale

premio alla Prof.ssa Levi Montalcini. Verso gli inizi degli anni ‘90, il Prof. Macchi mi incaricò poi

di seguire a domicilio un anziano cugino di Rita Levi Montalcini, offrendomi l’opportunità – per me

- impensabile di incontrare in alcune circostanze la straordinaria Professoressa.

Nel periodo del mio Dottorato, con il Prof. Gainotti ed altri colleghi (in primis, Caterina Silveri,

Cesare Colosimo, Patrizia D’Erme, Paolo Bartolomeo, Laura Giustolisi) abbiamo pubblicato alcuni

studi neuropsicologici sull’emi-inattenzione spaziale e sui substrati neurali del linguaggio e della

memoria semantica, che hanno ricevuto un buon numero di citazioni (Silveri et al., 1991,

Neurology, 41: 545-546; D’Erme et al., 1992, Neuropsychologia, 30: 989-1000; Gainotti et al.,

1995, Memory, 3: 247-264). In particolare, nei primi anni ’90 - sulla base di osservazioni condotte

in alcuni pazienti affetti da patologie neurodegenerative – il nostro gruppo fu fra i primi a formulare

in modo esplicito l’ipotesi – allora un po’ ardita - che sistemi neurali all’interno del lobo temporale

dell’emisfero cerebrale dominante per il linguaggio svolgano un ruolo critico nella produzione e

comprensione dei nomi, mentre analoghi sistemi all’interno del lobo frontale svolgano un ruolo

critico nella produzione e comprensione dei verbi (Daniele et al., 1994).

In anni successivi, ho avuto occasione di collaborare con Vincenzo Di Lazzaro, Guido Gainotti,

Carlo Masullo, Camillo Marra ed altri colleghi dell’Istituto nell’ambito di alcuni studi

neurofisiologici su pazienti affetti da Demenza, che hanno avuto numerose citazioni (Di Lazzaro et

al., 2002, Neurology, 59:392-397). Nell’arco di numerosi anni, ho inoltre collaborato con il gruppo

di colleghi che si occupano di disturbi del movimento (Alberto Albanese, Anna Rita Bentivoglio,

Elena Moro, Alfonso Fasano), alcuni dei quali operano attualmente in altre Istituzioni: ho

partecipato a pubblicazioni con un buon numero di citazioni su pazienti affetti da malattia di

Parkinson sottoposti a deep brain stimulation (Daniele et al. 2003; Fasano et al., 2010, Fasano et al.,

2012), nonchè a due piccoli studi preliminari cui sono affezionato, in quanto scaturiti da una mia

osservazione casuale e abbastanza singolare, che suggerivano che il farmaco ipnotico zolpidem

possa indurre potenziali benefici sui sintomi motori di alcuni pazienti affetti da malattia di

Parkinson (Daniele et al., 1997, Lancet, 349, 9060:1222-1223) e da Paralisi sopranucleare

progressiva (Daniele et al., 1999, New England Journal of Medicine, 341, 7: 543-544), patologia

tuttora orfana.

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Nel corso degli ultimi 16 anni, si sono avvicendati alla Direzione dell’Istituto il Prof. Pietro Tonali,

il Prof. Gainotti ed il Prof. Paolo Maria Rossini. Il Prof. Tonali, in virtù delle sue rinomate doti di

neurologo clinico - trasmesse ai suoi vari allievi e collaboratori - ha certamente giovato alla mia

formazione clinica, soprattutto nei periodi in cui frequentavo i Reparti di degenza. In questi ultimi

anni, il Prof. Rossini ha dato un evidente impulso alle attività dell’Istituto in vari ambiti, creando

inoltre condizioni favorevoli affinchè l’Istituto fosse in prima linea nell’ambito di clinical trials

inerenti patologie neurodegenerative. In tale contesto, ho potuto coadiuvare il Prof. Rossini

nell’ambito di alcuni trials in pazienti affetti da malattia di Alzheimer in fase prodromica, che si

propongono di testare nuovi farmaci che potrebbero ridurre i depositi di beta-amiloide.

Nel corso delle ultime due decadi, sia la diagnostica delle Demenze sia la Neuropsicologia – ovvero

i due ambiti cui ho avuto l’opportunità di dedicarmi in maggior misura – hanno conosciuto sviluppi

rilevanti, anche in virtù dei progressi delle metodiche di neuroimaging, che il Prof. Macchi avrebbe

probabilmente accolto con entusiasmo in quanto cultore della Neuroanatomia e della

Neuropatologia. La Neuropsicologia ha beneficiato in particolare dello sviluppo delle metodiche di

neuroimaging funzionale (dapprima PET, poi MRI), che consentono di indagare in modo sempre

più approfondito i substrati neurali dei processi cognitivi. La diagnostica delle Demenze

neurodegenerative sembra essere entrata in questa fase in una nuova era, basata sullo sviluppo di

metodiche PET di neuroimaging molecolare che consentono di evidenziare in vivo l’accumulo

patologico di specifiche proteine (in primis, peptide beta-amiloide, proteina tau). Tali metodiche,

integrate con i dati clinici - secondo quanto l’insegnamento sempre attuale del Prof. Giorgio Macchi

- consentiranno di migliorare la diagnostica delle Demenze e di creare i presupposti per testare

nuovi farmaci, che potranno auspicabilmente intervenire in modo più selettivo e risolutivo su

specifici meccanismi di neurodegenerazione.

Approfitto di questo breve “viaggio nei ricordi” relativi all’Istituto di Neurologia per rivolgere con

animo sincero un pensiero affettuoso e grato a tutti i clinici e ricercatori che - dal corso di laurea ad

oggi - mi hanno fornito occasioni di arricchimento sul piano professionale, scientifico ed umano.

Lavori più rilevanti

Daniele A., Giustolisi L., Silveri M.C., Colosimo C., Gainotti G. Evidence for a possible neuroanatomical basis for

lexical processing of nouns and verbs. Neuropsychologia, 1994, 32, 11:1325-1341.

Ragione: primo studio che suggerisce il ruolo critico del lobo temporale nella denominazione e comprensione dei nomi

e del lobo frontale nella denominazione e comprensione dei verbi.

Numero di citazioni (Scopus) : 281

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Daniele A., Albanese A., Gainotti G., Gregori B., Bartolomeo P. Zolpidem in Parkinson's disease. Lancet, 1997, 349,

9060:1222-1223.

Ragione: primo studio che suggerisce che il farmaco ipnotico zolpidem possa avere effetti benefici sui sintomi motori

in pazienti affetti da malattia di Parkinson.

Numero di citazioni (Scopus): 56

Daniele A., Albanese A., Zinzi P., A. Barbier, F. Gasparini, M.F. Contarino, L.M.A. Romito, A.R. Bentivoglio, M.

Scerrati. Cognitive and behavioural effects of chronic subthalamic nucleus stimulation in Parkinson’s Disease. Journal

of Neurology, Neurosurgery and Psychiatry,2003,74:175-182.

Ragione: primo studio che valuta in dettaglio l’outcome cognitivo e comportamentale in pazienti affetti da malattia di

Parkinson, sottoposti a deep brain stimulation del nucleo subtalamico, a 18 mesi dall’intervento.

Numero di citazioni (Scopus):124

Fasano A., LM Romito, A Daniele, C Piano, M Zinno, AR Bentivoglio, A Albanese. Motor and cognitive outcome in

patients with Parkinson's disease 8 years after subthalamic implants. Brain, 2010, 133(9):2664-76.

Ragione: primo studio che valuta in dettaglio l’outcome cognitivo e comportamentale a lungo termine in pazienti affetti

da malattia di Parkinson, sottoposti a deep brain stimulation del nucleo subtalamico, a 8 anni dall’intervento.

Numero di citazioni (Scopus): 143

Fasano A., Daniele A., Albanese A. Treatment of motor and non-motor features of Parkinson's disease with deep

brain stimulation. Lancet Neurology, 2012, 11: 429-442.

Ragione: articolo di revisione su una rivista neurologica ad elevato Impact factor sugli effetti motori, cognitivi e

comportamentali del trattamento con deep brain stimulation del nucleo subtalamico in pazienti affetti da malattia di

Parkinson.

Numero di citazioni (Scopus): 117.

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CAMILLO MARRA

Dal Laboratorio di Neuropsicologia Sperimentale alla Clinica

della Memoria

Quando entrai per la prima volta a frequentare l’Istituto di Neurologia era il 1983. Ero rimasto già

impressionato dalle lezioni che Guido Gainotti teneva a quei tempi nel I° anno di corso di Laurea in

Medicina, il corso di Neuropsicologia sperimentale, quel corso pose le basi del mio interesse nelle

Neuroscienze e il mio destino era segnato. Lo studio della neuropsicologia sarebbe stato il campo di

studi su cui cimentarmi.

L’istituto era diretto da Giorgio Macchi, una guida per tutti, che con noi ‘piccoli’ aveva un

atteggiamento di vero educatore e maestro, benevolo ma non paternalista, conscio dei nostri limiti

ma sempre disposto ad ascoltare ed insegnare.

L’istituto, a parte Macchi, era ricco di personalità di spicco (Guido Gainotti, Paolo Bergonzi, Pietro

Attilio Tonali, Carlo Caltagirone, Salvatore Mazza) e tanti altri, anche più giovani, che erano

comunque già personalità indiscusse nei loro rispettivi campi (Serenella Servidei, Amelia Evoli,

Gabriele Miceli, Ciriaco Scoppetta), insomma per noi laureandi c’era solo l’imbarazzo della scelta.

Giorgio Macchi ci guidava in reparto e ricordo la sua passione per l’anatomia. Era un entusiasta;

quando potè vedere le prime RMN encefalo nella metà degli anni 80 era felice che un metodo

potesse farci vedere in vivo l’anatomia cerebrale (e stiamo parlando di RMN a 0,25 tesla). Ci

metteva di fronte al diafanoscopio e si divertiva a interrogarci sulle strutture cerebrali indicandole

con la penna. Alla prima titubanza partiva deciso con un robusto ‘scappellotto’ sulla testa del

malcapitato che non aveva risposto, tra le risa dei più fortunati a cui era andata bene,.. almeno per

quella volta.

Dopo la laurea entrai in specializzazione e decisi che mi sarei occupato di neuropsicologia delle

demenze. Mi ricordo che Guido non era entusiasta della mia scelta mi diceva ‘…secondo me con le

demenze si produce poco… è un argomento secondario’. Io non mi lasciai dissuadere, ma aveva

ragione. Nei primi anni 80 la ricerca neuropsicologica in Italia era centrata sull’organizzazione del

linguaggio, sulla afasiologia, sullo studio delle competenze emozionali dei due emisferi e sullo

studio dell’eminegligenza. Di dementi non capitava nemmeno di vederne tanti dal momento che il

reparto era più caratterizzato dalla patologia vascolare, epilettica e neuromuscolare. Alla metà degli

anni 80 non esisteva il concetto di ‘batteria neuropsicologica’ di ‘standard di misura’ etc. La

Batteria del deterioramento Mentale sarebbe stata pubblicata nel 1996 e la Batteria per l’analisi dei

disturbi afasici era in embrione.

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Come si procedeva allora all’esame neuropsicologico? Con Gabriele Miceli e Maria Caterina

Silveri, quando si doveva decidere come analizzare un paziente, prima lo si guardava clinicamente e

poi si andava ad aprire un grosso armadio in fondo all’istituto, dove in varie cartelline erano stati

fotocopiati i fogli di scoring dei vari test che erano in quel momento in uso (la maggior parte

costruiti proprio nel nostro laboratorio). Si decideva quindi al momento quali usare per esaminare il

paziente. Non una valutazione era uguale ad un’altra, eravamo degli antesignani della ‘medicina

personalizzata’ senza saperlo.

In reparto da specializzando si faceva di tutto, proprio come adesso ma senza borse e assegni.

Questo ci permetteva di essere guardati con occhio più benevolo dalle due capisala: Maria Selis

della neurologia donne e Luciana Mattu della Neurologia uomini. A proposito se qualcuno vuole

sapere come era Luciana Mattu da giovane andate in UTIC dove è caposala, è rimasta tale e quale.

Ma per me il centro delle attività rimaneva il Servizio di Neuropsicologia. Alla fine degli anni 80 la

Batteria del Deterioramento Mentale era pronta. Era stata costruita nei nostri laboratori da Guido

Gainotti e Carlo Caltagirone che ci aveva continuato a lavorare dopo essere diventato Professore a

Tor Vergata. La BDM veniva ormai usata sistematicamente, certo la standardizzazione era lontana.

La batteria nella prima versione era piena di test linguistici e per l’eminegligenza ma il più era fatto.

Si potevano studiare profili di deterioramento, markers neuropsicologici diagnostici e predittori di

evoluzione. Nel 1994 un certo Petersen avrebbe introdotto il termine di MCI e tutta la ricerca fatta

sui markers e profili presso il nostro laboratorio dagli anni 80 in poi tornava improvvisamente

utile…credo che almeno quella volta Guido Gainotti in cuor suo sia stato contento di avermi

lasciato fare!

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CARLO MASULLO

Alla ricerca della connessione perduta

Il mio ingresso nella Clinica Neurologica avvenne alla fine del 1976 quando neo specializzando in

Neurologia venni assegnato dal Prof. Macchi al gruppo il cui leader era Guido Gainotti e che era

costituito allora (insieme con Gainotti) da Carlo Caltagirone e da Gabriele Miceli. Fui accolto in

questo gruppo di lavoro in maniera molto piacevole e stimolante. In Clinica sotto la guida

quotidiana di Carlo e di Guido imparai il metodo di approccio clinico al paziente neurologico ed ad

effettuare in maniera corretta e completa l’esame obiettivo neurologico e ad impostare una precisa

diagnostica differenziale. In parallelo cominciai a studiare specificamente la neuropsicologia

clinica aiutato dalle frequenti discussioni che avvenivano tra noi e che erano, in genere, conseguenti

all’esame di un caso clinico che era stato valutato dal punto di vista neuropsicologico. In genere,

l’analisi del caso che veniva condotta da Gainotti era particolarmente precisa ed era lo spunto per

spaziare su una delle problematiche neuropsicologiche più importanti in relazione al fatto che lo

spunto alla discussione derivasse dall’analisi di un paziente cerebroleso destro o sinistro o, invece,

da un paziente cosiddetto diffuso e quindi in genere affetto da deterioramento intellettivo. Gainotti

dimostrava sempre una vasta conoscenza delle problematiche teoriche e della letteratura correlata.

Queste frequenti discussioni mi arricchirono molto e mi stimolarono ad approfondire culturalmente

la letteratura relativa alle afasie così come alle aprassie ed all’eminegligenza spaziale unilaterale di

cui Gainotti era ed è tuttora uno dei massimi studiosi. Insieme con Gabriele Miceli eravamo

assegnati alla raccolta dei dati sperimentali, alla loro ‘Tabulazione’, che allora veniva effettuata

ancora manualmente ed all’analisi statistica per cui con l’aiuto di Miceli progressivamente imparai

l’analisi statistica non parametrica. Passavo l’intera giornata in Clinica trascorrendo almeno la

mattinata in Reparto ed il pomeriggio fino alla sera somministrando la Batteria di tests

neuropsicologici a pazienti in genere degenti ma talvolta anche a pazienti ambulatoriali. Fu una

fase della mia formazione professionale molto viva e ricca di stimoli continui grazie all’aiuto che

ebbi da Guido, Carlo e Gabriele e che mi permise di crescere molto professionalmente e di imparare

il metodo di lavoro sperimentale. Il gradevole ricordo di quella fase della mia vita di formazione

professionale si accentua ulteriormente considerando che parallelamente si sviluppò una sempre

maggiore cordialità all’interno di questo gruppo di lavoro che si tradusse in amicizia e ci portò ad

avere frequenti occasioni di incontro anche fuori dall’ambito della Clinica.

Nel corso del tempo i miei interessi scientifici si indirizzarono alle demenze e quindi iniziai a

lavorare in modo autonomo con metodologie di tipo neuropatologico, grazie soprattutto agli

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insegnamenti del Prof. Macchi e successivamente di tipo molecolare su diverse forme di demenze

degenerative (in particolare sulle malattie da prioni e sulla malattia di Alzheimer). Il mio interesse

neurobiologico mi ha coinvolto sempre più nello studio di possibili fattori di rischio genetico

connessi ad esempio a varianti alleliche di proteine molto importanti nella patogenesi di queste

malattie come ad esempio si è dimostrato per l’Apolipoproteina E (ApoE) nella malattia di

Alzheimer. In questo ambito la metodologia di studio ha portato all’insuperabile necessità di

studiare grandi campioni di soggetti affetti per poter condurre studi di analisi tipo GWAS, con

metodologia tipo NGS con la necessità di disporre di macchine da costi molto elevati. Da qui la

spinta organizzativa ad effettuare studi in collaborazione tra diversi gruppi nazionali ed

internazionali che è quello che in questi ultimi anni si è sempre più sviluppato tanto che ormai si

lavora con la creazione di consorzi o grandi reti nazionali ed internazionali per poter disporre di

larghi numeri di campioni biologici ed anche per disporre di macchine da laboratorio adeguate per

processare grandi numeri di campioni biologici in tempi di lavoro sufficientemente brevi.

Contributi scientifici personali più significativi.

Xi YL, Ingrosso L, Ladogana A, Masullo C, Pocchiari M.( 1992). Amphotericin B treatment dissociates in vivo

replication of the scrapie agent from PrP accumulation. Nature 356: 598-601.

Ragioni: In questo lavoro dimostrammo che in un gruppo di animali trattati con Amfotericina B (AmB) l’accumulo di

proteina patologica correlata alla scrapie (PrPsc) avveniva con circa trenta giorni di ritardo rispetto al gruppo di animali

non trattati senza modificare la replicazione dell’agente scrapie.

Numero di citazioni: 145

Masullo C, Pocchiari M, Macchi G, Alema G, Piazza G, Panzera MA. (1989). Transmission of Creutzfeldt-Jakob

disease by dural cadaveric graft. J Neurosurg. 71(6):954-5.

Ragioni: Questa osservazione di trasmissione iatrogena della MCJ da dura madre cadaverica portò alla necessità di

modificare radicalmente il processo produttivo di tale materiale biologico di derivazione umana utilizzato in

Neurochirurgia per renderlo biologicamente decontaminato dall’agente causale della MCJ.

Numero di citazioni: 78

Bizzarro A, Marra C, Acciarri A, Valenza A, Tiziano FD, Brahe C, Masullo C (2005). Apolipoprotein E e4 allele

differentiates the clinical response to donepezil in Alzheimer’s disease.

Dementia and Geriatric Cognitive Disorders 20: 254-261,

Ragioni: Questo lavoro suggeriva una possibile identificazione precoce di soggetti affetti da AD portatori di almeno un

allele e4 dell’ApoE come soggetti ‘responders’ alla terapia con Donepezil.

Numero di citazioni: 51.

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AMELIA EVOLI

Ricordi della Clinica Neurologica

Ho frequentato l’Istituto di Neurologia dal 4° anno del corso di laurea e poi durante la

specializzazione, e sono entrata “ufficialmente” a farne parte prima da borsista CNR e quindi da

ricercatore universitario. In questo lungo periodo, di oltre 40 anni, l’Istituto ha rappresentato il

luogo dove ho imparato a fare il medico e l’universitario, ho incontrato tanti colleghi alcuni dei

quali sono diventati cari amici, ho aiutato a formare specializzandi che sono oggi brillanti

professionisti, ho lavorato con meravigliosi infermieri e caposale ed, in definitiva, ho imparato da

tutti. Ho avuto il privilegio di conoscere per molti anni il Prof. Macchi che rimane, per tutti noi, una

persona indimenticabile per scienza ed umanità. Ricordo con affetto e riconoscenza il prof. Tonali

che mi ha insegnato tanto e mi ha sempre incoraggiata nella mia crescita culturale e professionale.

Il mio principale campo d’interesse ha

riguardato la miastenia gravis ed, in

generale, i disturbi della trasmissione

neuromuscolare. Anche prima del mio

arrivo in Istituto, esisteva un’importante

casistica raccolta dal Prof. Tonali e dal Prof.

Scoppetta; questa popolazione di pazienti si

è molto estesa nel corso degli anni

considerata la rarità delle patologie.

L’attività scientifica, che si è avvalsa per

molti anni della collaborazione preziosa

della Prof. Batocchi, ha riguardato praticamente tutti gli aspetti patogenetici e clinici. Attualmente il

nostro Istituto è considerato un Centro leader per i disturbi della trasmissione neuromuscolare,

regolarmente coinvolto nella stesura di linee guida, trial terapeutici e corsi di aggiornamento.

L’interesse per le patologie paraneoplastiche è più recente. La presenza in Istituto del Dr. Iorio ha

consentito di conseguire importanti risultati scientifici e di entrare fra i Centri più attivi a livello

nazionale ed internazionale.

Lavori più rilevanti:

Evoli A, Tonali PA, Padua L, Monaco ML, Scuderi F, Batocchi AP, Marino M, Bartoccioni E. (2003). Clinical

correlates with anti-MuSK antibodies in generalized seronegative myasthenia gravis. Brain, 126:2304-11.

Ragioni: Questo lavoro, che ha descritto per la prima volta una nuova forma di miastenia, ha ottenuto 484 citazioni

La Prof. Evoli, il Prof. Gainotti, la Dott. Quaranta durante una pausa congressuale

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Iorio R, Assenza G, Tombini M, Colicchio G, Della Marca G, Benvenga A, Damato V, Rossini PM, Vollono C,

Plantone D, Marti A, Batocchi AP, Evoli A. (2015). The detection of neural autoantibodies in patients with

antiepileptic-drug-resistant epilepsy predicts response to immunotherapy.Eur J Neurol. 22(1):70-8.

Ragioni: Uno dei primi studi sulle epilessie autoimmuni paraneoplastiche e idiopatiche.

Trattandosi di un lavoro molto recente, non ho inserito il numero di citazioni

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SERENELLA SERVIDEI

Amarcord

Quest’anno si compie il 50° compleanno della Clinica Neurologica, e così mi rendo conto che ne ho

condivisi ben 39!, gran parte della mia vita. ...da quando studentessa del IV mi sono affacciata

all’intrigante mondo della Neurologia (forse solleticata da letture di romanzi di medici leggendari o

curiosi) e della medicina messa in pratica. Una paziente (fedelissima!) mi ha mostrato non molto

tempo fa una lettera di dimissione scritta a mano da me studentessa. E sì, ho cominciato i miei primi

passi quando ancora non c’erano i computer. E questa constatazione mi ha improvvisamente fatto

prendere consapevolezza dei prodigiosi sviluppi della Tecnologia e delle Scienze Neurologiche in

questi pochi anni. Dal periodo in cui la diagnosi era basata soprattutto sul “fiuto” clinico ad

un’epoca in cui tecnologie avanzatissime permettono di studiare pannelli di migliaia di geni. … E

tutti questi anni sono passati in un soffio, tra momenti belli e momenti brutti, ma sempre con

passione.

Per l’intuizione del prof. Tonali, sono stata “spedita” all’estero ancora specializzanda (e parlando a

stento l’inglese), nel laboratorio del prof. Di Mauro presso la Columbia University di New York,

che mi ha insegnato come si fa ricerca. E da lì è cominciata l’avventura straordinaria che ci portato

alla creazione del Laboratorio dei Patologia e Biochimica Neuromuscolare con il forte supporto

della Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare che ha voluto con generosità investire su una

“ragazzina” alle prime armi. In quei bellissimi anni, di cui non posso non menzionare la

fruttuosissima collaborazione con il dr. Enrico Bertini, neuropediatria dell’Ospedale Bambino

Gesù, ricordo gli interminabili, ma bellissimi pomeriggi di discussioni, fonte di nuove idee e nuovi

progetti, a cui si sono poi aggiunti con i loro contributi Enzo Ricci, e allievi brillanti come Gabriella

Silvestri e Massimiliano Mirabella, tutti ancora qui, anche se naturalmente lungo strade e percorsi

diversi. E ricordo anche il contributo di tantissime altre persone via via sempre più giovani che la

strada della vita ha portato in altre strutture in Italia o all’estero o che si affacciano ora alla ricerca

scientifica. Un laboratorio molto produttivo direi…che ha permesso di crescere a tutti noi che ci

abbiamo lavorato ed ancora ci lavoriamo.

E non posso non ricordare con immenso affetto il prof. Macchi, che pur non facendo io parte del

suo gruppo, mi ha sempre voluto bene come ad una figlia (forse perché coetanea di sua figlia…) e

mi ha sempre incoraggiato. E come non menzionare il prof. Gainotti, ora prof. Emerito della nostra

Università, che mi ha avviato al compito di docente nel corso di Neurologia, e con cui ho condiviso

la mia prima e la sua ultima notte di guardia.

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Penso poi a tutti i colleghi con cui ho condiviso la strada in tutti questi anni, sempre più giovani

(soprattutto a loro auguro di non perdere mai l’entusiasmo), colleghi ancora presenti o andati via per

migliori carriere (ultimo Enzo Di Lazzaro), alcuni non più qui con noi, e un pensiero va a Pasquale

David e Annapaola Batocchi. E penso agli specializzandi e agli studenti che sono passati sotto le

mie “grinfie, comunque affettuose” e da cui ho anche imparato ed imparo tanto…e a tutti gli

infermieri e caposala che mi hanno insegnato e che mi insegnano tuttora a affrontare il doloroso

mondo della malattia, i tecnici, il personale amministrativo con cui abbiamo condiviso gioie e

dolori, scadenze, studenti, pazienti….un pensiero particolare a Anna Fleury, classe 56 come me,

siamo entrate insieme! Con tanti di loro abbiamo condiviso anche bei momenti di convivialità e

belle serate.

E poi non posso dimenticare i “miei malati” che oltre ai “miei ragazzi” sono stati per me il vero

scopo del mio lavoro.

La Neurologia mi ha permesso di ottenere indubbi risultati scientifici e di carriera, ma la mia

soddisfazione più grande, la cosa più bella? E’ stata l’opportunità che mi ha dato di poter seminare

ed insegnare quello in cui credo di più, il profondo rispetto per i più deboli e fragili, e la passione e

la curiosità scientifica. E’ bellissimo poter dire che diversi dei mie numerosi allievi si sono

dimostrati e si dimostrano molto più capaci di me, ed alcuni di loro occupano ora posizioni rilevanti

anche all’estero dirigendo famosi laboratori in Università prestigiose, e cito solo ad esempio

Giovanni Manfredi (Brain and Mind Research Institute al Weill Cornell Medical College di New

York), Simone di Giovanni (Imperial College di Londra), Antonella Spinazzola (MRC National

Institute for Medical Research), Francesca Odoardi (Georg-August Universität di Göttingen) ...

E alla fine c’è Paolo (Maria Rossini). Non lo chiamo prof., perché sono passati anni e si sono

succeduti direttori, e ormai siamo quasi coetanei, e perché negli anni preistorici della rispettiva

storia neurologica abbiamo condiviso anche qualche goliardata newyorkese. Paolo, che nel 2011 si

è trovato ad affrontare il difficile compito di dirigere un Istituto con personalità ben strutturate e

precise convinzioni (io in primis).

E voglio concludere con il prof. Ferro, memoria storica di quando Neurologia e Psichiatria

andavano a braccetto ed erano solo Neuropsichiatria, e che in una bellissima recente lezione ci ha

dimostrato che il cerchio si chiude di nuovo e Neurologia e Psichiatria tornano insieme a percorrere

nuove strade di ricerca. Il prof. Ferro che ha citato un paziente storico, Gabriele, che ho conosciuto

anch’io all’inizio del mio percorso, con i suoi capelli lunghi e unghie lunghe, intoccabili, catatonico,

che ci ha insegnato a parlare ai catatonici (dai malati si impara!)

Rileggendo questo scritto ho contato ben cinque volte la parola condiviso, ho cercato dei sinonimi,

ma non ne ho trovati, perché questa è la parola giusta, condivisione. E siamo tutti qui, a celebrare il

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50° anno della Clinica Neurologica a cui tutti abbiamo dato e da cui tutti abbiamo preso qualcosa o

molto.

Penso di essere stata l’ultima a scrivere questo contributo, non è stato semplice, non mi piacciono le

celebrazioni, ma alla fine l’ho fatto, con sincerità.

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CIRIACO SCOPPETTA

Malattie neuromuscolari ai tempi dei pionieri

Il 3 dicembre 2016 l’Istituto di Neurologia dell’Università Cattolica di Roma compie 50 anni. Io

sono troppo giovane (sic) per ricordare i primi 4 anni (66-70), in quanto feci il mio ingresso in

Istituto nel novembre 1970. Direttore dell’Istituto era il prof Paolo Pinelli. Il prof Pietro Tonali,

giovanissimo caporeparto del reparto uomini, era affiancato da un gruppo di assistenti

specializzandi o appena specialisti: Luigi Anepeta, Alfredo Laudisio, Sandro Carecchi, Salvatore

Mazza e Pietro Bria. La caposala era suor Donata. Nel reparto Donne, al sesto piano, il prof Gianni

Gandiglio coordinava la sezione psichiatrica e il prof Domenico Gambi quella neurologica. I loro

collaboratori erano Ettore Zerbino, Francesco Pinto, Milli De Rosa, Paolo Gentili e Pasquale

David. Al decimo piano, i pazienti sparpagliati e benestanti li curavano Filippo Ferro e Bob Di

Trapani.

Avevo deciso di fare il Neurologo in quanto affascinato dall’Encefalo umano, sede di pensieri,

ricordi, parole, emozioni, comportamenti, volontà, scelte, amori, creatività, dolori e gioie.

Affascinato dal suo funzionamento, funzionamento che - avevo intuito - si riesce a capire meglio e

più facilmente quando qualcosa non funziona bene: quello che è appunto il campo delle

Neuroscienze e della Neurologia.

Ho fatto il neurologo attratto dalla fascinazione del cervello e … poi per i primi 15 anni di lavoro

mi sono occupato quasi esclusivamente di malattie muscolari e di elettromiografia. Per carità, è

andata benissimo così, ma ripensando alle motivazioni delle scelte e alle vicende successive mi

viene da sorridere.

Del resto gli obiettivi di partenza sono stati mancati anche da personaggi molto più illustri: Eric

Kandel, dopo una laurea in teologia, iniziò a studiare neuroscienze per divenire psicoanalista.

Ebbene nella vita è riuscito a fare di tutto, è divenuto un grande scienziato, ha ottenuto il premio

Nobel per la medicina …. ma non è diventato analista.

Sui libri sui quali avevo studiato Neurologia era scritto che la Miastenia Gravis era una malattia

degenerativa che in un quarto dei casi era mortale entro tre anni dal suo esordio. Dalla letteratura

recente emergevano però nuovi dati: Bernard Katz (premio Nobel) e Ricardo Miledi (col quale anni

dopo ho avuto la fortuna di collaborare – foto) avevano chiarito il funzionamento della giunzione

neuromuscolare; si faceva strada l’ipotesi che la malattia fosse infiammatoria-autoimmune e non

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degenerativa e si era visto che, in alcuni casi anche molto aggressivi, asportando il timo, dando

cortisone e prevenendo le complicanze, quella tragica evoluzione poteva essere evitata.

Con Tonali iniziammo a occuparci di questi pazienti; la voce si diffuse e iniziarono ad arrivarci

malati da Roma, da tutto il Lazio e da altre regioni: nacque così il Centro che tuttora raccoglie e

segue un gran numero di pazienti destinati nella quasi totalità dei casi ad avere una lunghezza e una

qualità della vita normali o quasi normali.

Nel 77 andai per alcuni mesi nel centro della Miastenia del Mount Sinai Hospital di New York

diretto da Gabriel Genkins. Tornai con l’esperienza di aver visto ogni giorno 5 o 6 nuovi pazienti

miastenici curati da Genkins, e con 3-4 articoli fotocopiati. Diedi quelle fotocopie alla dr.ssa

Emanuela Bartoccioni della Patologia generale e l’anno dopo il nostro laboratorio era l’unico in

Italia (ed è rimasto unico per anni) che dosava gli anticorpi anti-recettore dell’Acetilcolina che

confermavano la diagnosi di Miastenia.

I Pazienti Miastenici che seguivamo erano tanti e quindi iniziammo a studiare la malattia anche dai

punti di vista immunologico e neurofisiologico.

Nel frattempo l’Istituto aveva effettuato nuovi acquisti: i Prof Giorgio Macchi (nuovo Direttore),

Guido Gainotti e Paolo Bergonzi, e i giovani che partivano studenti e pian piano divenivano medici,

neurologi e (alcuni) professori.

In Istituto c’era una bell’aria: con alcuni specializzandi stavamo lì dalla mattina alla sera, loro mi

aiutavano durante le guardie e la notte scrivevamo tesi, articoli e abstract, in un clima goliardico e

allegro. Ricordo una caldissima domenica estiva (senza aria condizionata - allora non ne sentivamo

il bisogno) in cui facemmo in cinque una guardia molto intensa: c’erano con me Serena Servidei,

Tonino Uncini, Carlo Casali e Marco Molinari - bella squadra, no?

Ma l’aria era bella in tutta l’Università e l’Ospedale. Molti pareri su pazienti e idee per ricerche con

colleghi di altre specialità nascevano durante un pranzo alla mensa o riaccompagnando a casa una

collega che non aveva la macchina.

È che l’Università era giovane e anche noi eravamo tutti giovani e pieni di entusiasmo, come solo i

ragazzi sanno esserlo. Ora spesso si sente dire con disprezzo che alcuni lavoratori fannulloni

considerano lo stipendio un vitalizio dovuto e non un compenso per un lavoro effettivamente svolto.

Allora per molti di noi era esattamente il contrario. Lo stipendio ci veniva consegnato il 27 di ogni

mese allo sportello della Banca Nazionale del Lavoro al terzo piano del Gemelli; banconote e

monetine erano contenute in un pesante sacchetto di carta giallina con il nostro cognome e

l’importo scritti a mano sull’esterno della busta. Ebbene a molti di noi tale stipendio sembrava

eccessivo in rapporto alla nostra scarsa esperienza, e quindi cercavamo di fare sempre di più. Io ero

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imbarazzato di guadagnare quasi il doppio di mio padre, appassionato e colto professore di Italiano

e Latino al liceo.

Ho grande nostalgia di quel periodo e di quelle emozioni.

Oltre la Miastenia il nostro gruppo studiava anche altre malattie, neuromuscolari e non; nel 1984

identificammo e descrivemmo una nuova Malattia muscolare: la Distrofia muscolare distale a

trasmissione autosomica recessiva.

Nel 1985 con il prof Macchi e alcuni colleghi italiani e francesi descrivemmo un’ampia famiglia

con Demenza presenile. Questo articolo avviò uno studio internazionale e 7 anni dopo, su quella

stessa famiglia, St. George-Hyslop e coll. mapparono sul cromosoma 14 un nuovo locus

dell’Alzheimer familiare. Quelle furono tappe importanti nella genetica delle demenze. Da allora

non mi sono mai più occupato di demenze dal punto di vista scientifico, ma l’allungamento della

vita e lo straordinario aumento del numero degli ammalati mi hanno obbligato a occuparmene dal

punto di vista assistenziale e mi hanno spinto a scrivere un paio di anni fa un libriccino di

riflessioni sulla vecchiaia e sulla vita, dal titolo “Alzheimer non ci avrai”.

Nei quindici anni che ho trascorso nell’Istituto di neurologia, la neurologia è cambiata in tante cose,

ma soprattutto negli esami funzionali e di immagine.

Ritengo che la nostra generazione di neurologi sia stata una generazione molto fortunata. Quando

abbiamo iniziato non c’erano né TAC né Risonanza: dovevano bastare occhi, orecchie, mani e

martelletto. Faccio due esempi. Quando in Pronto soccorso arrivava un traumatizzato in coma,

dovevamo decidere se fare o no un’angiografia e da quale lato far pungere la carotide per iniettare il

contrasto e evidenziare un possibile ematoma. Se arrivava una paraplegia acuta, dovevamo in meno

di un’ora capire se era una compressione midollare e se dovevamo fare d’urgenza, prima che la

paraplegia divenisse irreversibile, un esame abbastanza invasivo come la mielografia. Quindi in

quel periodo siamo stati costretti a sviluppare al massimo le nostre capacità di diagnostica clinica.

Alcuni anni dopo, con l’avvento di TAC e Risonanza abbiamo potuto perfezionare la nostra

formazione anatomo-clinica e modificare alcuni nostri convincimenti, talora in precedenza un po’

fideistici.

Perché la nostra generazione è stata fortunata? Perché alla generazione precedente è mancata questa

successiva fase di verifica. Mentre alle generazioni successive, viziate da esami di immagine

sempre più disponibili, perfezionati e attendibili, è mancata invece la disperata necessità di affinare

le capacità diagnostiche per tentare di identificare clinicamente sede e natura della lesione o delle

lesioni.

Nel febbraio dell’86, con un misto di magone per la separazione e di entusiasmo per la nuova

avventura, mi trasferii come professore associato nell’Università la Sapienza di Roma.

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GIROLAMO DI TRAPANI

I miei maestri

Ritengo di essere stato testimone della nascita e della crescita dell’Istituto di Neurologia a far

tempo dal 1970 al 2011. Nel periodo in cui era Direttore il Prof P. Pinelli l’Istituto era interamente

orientato nella ricerca in Neurofisiopatologia. In particolare, spinti dal Prof. Pinelli, nella terapia,

nella ricerca e diagnosi elettromiografica nella Miastenia Gravis. A quel tempo questi studi erano

sul nascere e il nostro gruppo diede un forte contributo a livello nazionale ed internazionale.

Dal 1972 subentrò alla direzione dell’Istituto il Prof. G. Macchi. Per noi giovani borsisti il

suo nome non diceva nulla. Mi ricordo che il Prof Pinelli aveva adottato il metodo di invitare una

serie di probabili suoi successori a fare una lezione magistrale a noi suoi assistenti. Congedati i

relatori, Pinelli ci radunava nella saletta riunioni dell ‘Istituto e ci chiedeva il nostro parere. Fra tanti

candidati che si presentarono, quello che ci coinvolse nella lezione fu il Prof. Macchi. Non so

quanto incise il nostro parere, ma sta di fatto che fu proprio lui ad essere presentato in facoltà.

Fummo fortunati. Dal 1972 al 1992 l’Istituto di Neurologia ebbe uno sviluppo nel campo della

ricerca formidabile. Il Prof. Macchi aveva la capacità di intuire quali fossero le tendenze e le

potenzialità dei suoi allievi e si prodigò per sostenerle e sviluppare. Per quanto mi riguarda, avendo

pubblicato un lavoro in collaborazione con gli anatomopatologi, ritenne che fossi portato per la

neuropatologia. Così mi spedì a Napoli, dove era rientrato dal Belgio il Prof. G. Guazzi, per un

periodo di istruzione nella neuropatologia ottica di base. In effetti mi appassionai e mi dedicai con

impegno. Superato l’esame con Guazzi rientrando si pose il problema di allestire e organizzare un

laboratorio. Insieme con il Prof. Macchi, venne creato e ne fui nominato responsabile. Erano solo

due stanzoni, ma la quantità di lavori , di partecipazioni a congressi nazionali e internazionali che

sono nati in quelle due stanze sembrano incredibili. Naturalmente cercammo dei proseliti per

ampliare il campo di ricerca. In quel laboratorio hanno lavorato dei brillantissimi ricercatori anche

in neuroanatomia e neurobiochimica. Per completare la mia formazione di neuropatologo il prof.

Macchi mi fece fare uno stage a Verona presso il laboratorio di Microscopia elettronica , diretto dal

Prof. N. Rizzuto, per impratichirmi della Microscopia elettronica del Sistema Nervoso Centrale e

Periferico.

In questo modo la nostra ricerca si perfezionò e incrementammo la nostra presenza a livello

scientifico. Nel 1992 subentrò il Prof. P. Tonali. Venne meno l’interesse per la Neuropatologia e

pertanto mi orientai per la clinica in particolare per la diagnosi e terapia delle cefalee, aspetto

clinico assolutamente non impegnato nella Clinica. Si creò su mia richiesta il Centro di ricerca per

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la diagnosi e terapia delle cefalee, di cui divenni direttore. In questo periodo, fino la momento della

pensione ho attivato un ambulatorio specialistico e dal punto di vista scientifico di ricerca ho avuto

la soddisfazione, insieme ai miei collaboratori di pubblicare , primo in Europa e in contemporanea

con un gruppo di ricercatori statunitensi, il primo lavoro in cui si dimostrava l’efficacia di un

antiepilettico nelle emicranie primarie. Lavoro che ha aperto la strada per l’applicazione dei

farmaci antiepilettici nella terapia della cefalee. Detto questo concludo questa mia breve scrittura,

affermando che mi ritengo fortunato di avere potuto operare in questo contesto e auguro vivamente

a tutti coloro che sono ora subentrati al nostro posto di continuare il nostro lavoro e che si sentano

orgogliosi di lavorare e produrre in questo Istituto, che tanto si è impegnato nella ricerca in

Neurologia

Lavori più rilevanti:

Valeriani M, de Tommaso M, Restuccia D, Le Pera D, Guido M, Iannetti GD, Libro G, Truini A, Di Trapani G, Puca

F, Tonali P, Cruccu G. (2003). Reduced habituation to experimental pain in migraine patients: a CO(2) laser evoked

potential study. Pain;105(1-2):57-64.

Numero di citazioni: 127

Di Trapani G., Mei D., Marra C., Mazza S., Capuano A.(2000). Gabapentin in the prophylaxis of migraine: a double-

blind randomized placebo-controlled study. La Clinica Terapeutica , 15 (3), 145-148, 2000.

Numero di citazioni: 74

Mei D, Capuano A, Vollono C, Evangelista M, Ferraro D, Tonali P, Di Trapani G. (2004). Topiramate in migraine

prophylaxis: a randomised double-blind versus placebo study. Neurol Sci. 25(5):245-50.

Numero di citazioni: 39

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Paolo Maria Rossini

Riflessioni conclusive

Sono arrivato alla clinica neurologica del Gemelli all’inizio del V anno del mio corso di medicina;

era il 1972. Ho incontrato il Prof. Giorgio Macchi su indicazione de incoraggiamento del nostro

farmacologo (Prof. Fischetti) che ne aveva sponsorizzato l’arrivo dall’Università di Perugia e lo

stimava moltissimo sia come clinico che come ricercatore. Dall’amicizia tra i due nacque una tesi “a

ponte” tra farmacologia e neurologia riguardante il ruolo di un piccolo settore del pavimenti del IV

ventricolo (l’Area Postrema) nella regolazione di alcune fasi del sonno. Mano a mano che gli

esperimenti procedevano, il Prof. Macchi volle essere puntualmente informato sul loro progresso e

–dopo la tesi- mi propose di entrare nella scuola di specializzazione in neurologia da lui diretta, con

il preciso scopo di sviluppare argomenti di neurofisiologia sperimentale e di portare avanti alcuni

esperimenti che intendeva implementare nei laboratori di farmacologia riguardanti il suo cavallo di

battaglia: le connessioni talamo-corticali. Fu così che si formò (immagino con analoga procedura di

reclutamento anche per le altre due Colleghe) un piccolo gruppo formato da Marina Bentivoglio,

Annalisa Abbamondi e me. Si iniettavano dei traccianti in varie aree corticali che venivano

trasportati per via retrograda (erano i primissimi esperimenti di questo tipo), si attendeva un certo

intervallo per permettere il loro trasporto lungo assoni e dendriti, si sacrificava l’animale e si andava

a leggere la quantità e la topografia delle localizzazioni del tracciante ottenendo in questo modo una

dettagliata mappatura delle strutture corticali e sottocorticali connesse a quella originariamente

iniettata. Giorni e notti di esperimenti su vari modelli animali, tanti fallimenti e qualche

entusiasmante successo. Di Giorgio Macchi persona ricordo la passione. Non solo per la sua

professione (in particolare per la ricerca), ma per la politica (erano tempi di infinite discussioni sulla

scia del ’68), per lo sport (in particolare il suo amato ciclismo all’epoca dominato dal dualismo

Gimondi-Saronni) e per la vita in generale. Ricordo di essere andato numerose volte a casa sua per

lavoro e di averlo sempre trovato immerso nello studio (occhiali appoggiati verso la punta del suo

significativo naso), circondato da pile di libri e di fotocopie.

Nella clinica –in generale- c’era un’aria di grande cameratismo. Allora ancora si lavorava fianco a

fianco con gli psichiatri e spesso il “giro-visita” riguardava anche pazienti psichiatrici, nonostante il

mio anno di laurea (1974) fosse proprio quello della divisione tra neurologia e psichiatria che tanti

danni ha fatto ad entrambe le specialità. La neuropsicologia nasceva con Guido Gainotti (e Macchi

era sempre stupito da quanto informazioni anche precise riuscissero a fornirgli sul piano clinico i

nostri neuropsicologi), successivamente affiancato da Carlo Caltagirone e Gabriele Miceli. Il settore

della neurofisiologia clinica (in cui mi andavo formando) era dominato dai ‘giovani colonnelli’

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Bergonzi, Gambi e Tonali rispettivamente interessati soprattutto all’epilessia/sonno, sviluppo e

maturazione e sistema neuromuscolare. Le tecnologie disponibili erano ancora abbastanza primitive

(ma permettevano comunque tante cose), ma erano considerate la punta avanzata delle neuroscienze

cliniche dell’epoca. Le neuroimmagini come noi le intendiamo, infatti, sarebbero arrivate pochi

anni dopo con la prima TAC al Gemelli installata nella seconda metà degli anni ’70 (noi

lavoravamo ancora con pneumoencefalo e carotidografia da iniezione diretta, entrambi esami molto

invasivi). Con Domenico Gambi, Francesco Pinto, Maria Giulia Torrioli e Maria Chiara Stefanini

(cui negli anni successivi si aggiunsero Daniela Sollazzo e Giorgio Albertini) si costituì una mini-

equipe che lavorava su neonati (anche grandi prematuri ancora in culla termostatica) e bambini.

Con Domenico abbiamo passato tantissime giornate (e tante notti) a registrare l’EEG ed i Potenziali

evocati su neonatini di pochi etti di peso. Lavoro difficile e delicato che facilitò lo stabilirsi di una

solida amicizia, facilitata dall’empatia che Domenico riusciva ad esprimere nei confronti di

chiunque lo incontrasse.

Poi Macchi mi disse che per approfondire la mia preparazione (anche di base) sarebbe stato utile

un’esperienza in un centro avanzato e mi mandò a Pisa a lavorare con uno dei pupilli del

leggendario fisiologo di quell’Università (Prof. Moruzzi). Così finii per 2 anni a lavorare su modelli

animali per approfondire i meccanismi della visione di contrasto con il Prof. Lamberto Maffei al

centro di neurofisiologia sperimentale del CNR in via di S. Zeno. Ma Macchi voleva sapere e

vedere e voleva anche sfruttare quest’opportunità per le sue ricerche al punto che in molte occasioni

feci iniezioni a Pisa su preparati che poi portavo (in treno) a Roma per farli processare da Marina

Bentivoglio. Inoltre, cominciammo (tra i primissimi in Italia) a registrare i Potenziali evocati visivi

con una metodica che stimolava in modo selettivo la fovea e la periferia (per misurare la differenza

in conduzione e responsività). Si stimolava i Pazienti al Gemelli, si registrava tutto su registratore

“portatile” (si fa per dire visto che pesava quasi 30 Kg !) ed in treno si portava a Pisa il tutto dove –

nottetempo- si faceva passare la registrazione attraverso il loro computer (mitico Digital PDP 11,

oggetto del desiderio di tutti gli sperimentatori dell’epoca) per ottenere infine le risposte e stilare i

referti clinici e di ricerca. Furono anni di grandissima passione ed entusiasmo. Sia a Pisa che a

Roma si respirava un’aria internazionale che in Italia non aveva eguali. Non passava settimana che

non ci fosse una conferenza di qualche ricercatore italiano o straniero di grandissimo livello, a

partire dai Collaboratori del Prof. Macchi che lavoravano in altre sedi italiani ed all’estero

(Angeleri, Guazzi, Rustioni etc.).

Nel 1976 Domenico Gambi vinse la cattedra (che allora si chiamava ‘incarico’) all’Università di

Chieti dove aveva disponibile un posto da assistente universitario con possibilità di upgrading ad

“aiuto”. Propose la cosa a Pasquale David (uno dei molti che ci ha lasciato e di cui ho un bellissimo

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ricordo) che però –avendo già il posto fisso alla Cattolica- declinò l’invito. Avendo da poco messo

su famiglia ed essendo mia moglie in dolce attesa, non avendo prospettive a Roma, accettai l’offerta

di Domenico e mi preparai a fare i bagagli. Nel comunicare la cosa al Prof. Macchi, mi disse una

frase che non ho poi mai dimenticato: “…vai pure visto che io non ho nulla da offrirti nel breve o

medio termine. Purtroppo è un mio destino di perdere le persone che vorrei tenere e di tenere quelle

che vorrei perdere…”. Sono uscito dal suo studio, quella volta, con una profonda ferita nel cuore

perché avrei voluto con tutte le mie forze proseguire il mio percorso alla Cattolica con lui e tutti gli

altri Colleghi/Colleghe con cui mi trovavo benissimo. Una ferita che si è definitivamente

ricomposta solo molti anni dopo quando sono tornato sulla cattedra che era stata di Giorgio Macchi.

Negli anni successivi (fine ’70, inizio ’80) ho continuato a collaborare con Macchi attraverso dei

modelli sperimentali su primati su cui effettuavamo trasferimento di emulsioni di cervello di una

Paziente affetta da JKD. Lo si faceva con Maurizio Pocchiari (il cui papà all’epoca era il

responsabile dell’istituto Superiore di Sanità), facendo interventi e registrazioni (di EEG e

potenziali evocati) nello stabulario dell’Istituto Superiore sul retro di Viale Regina Margherita. Lo

si faceva il sabato e la domenica perché rientrando io in auto da Chieti (la famiglia era ancora a

Roma), mi portavo dietro l’attrezzatura EEG ed il registratore (sempre da 30 Kg) che ogni volta

scaricavamo e poi ricaricavamo in auto…

Macchi mi ha anche seguito con affetto ed interesse nella mia carriera. Fu lui ad indicare il mio

nome al Prof. Giorgio Bernardi che cercava qualcuno esperto di neurofisiologia clinica e fu quindi

lui a favorire il mio rientro a Roma sul finire del 1983 per congiungermi al gruppo di Tor Vergata.

Con quest’uomo ho avuto un rapporto molto intenso anche sul piano emotivo. Io ho perso mio

padre quando avevo 12 anni ed ero –inconsciamente- alla ricerca di una qualche figura di

sostituzione. Giorgio Macchi per lunghi periodi ha avuto per me anche questo ruolo, oltre a quello

di direttore della scuola di specializzazione e

di responsabile del nostro gruppo di ricerca.

Negli anni ho continuato ad avere contatti

con molti dei Colleghi della Clinica

Neurologica (Guido Gainotti, Camillo Marra,

Pietro Tonali, Serenella Servidei, Amelia

Evoli, Carlo Masullo, Enzo Di Lazzaro,

Domenico Restuccia, Luca Padua, Salvatore

Mazza e Roberto “Bob” Di Trapani –con i

quali ho avuto un divertentissimo congresso

del WFN in India nel 1987- solo per citarne

Foto del Prof. Rossini con il Prof. Gainotti, alla fine della sua Lezione Conclusiva

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alcuni), ma –a parte Luca Padua attraverso l’IRCCS Don Gnocchi- non mi è mai stato possibile

implementare vere e proprie collaborazioni scientifiche con la Cattolica, forse anche per una mia

naturale resistenza a riaprire un fronte collaborativo con quella che consideravo un poco una

“matrigna”. Ho però mantenuto sempre un cono d’attenzione orientato verso quello che ritenevo il

mio mondo di origine professionale ed accademica. Per questo –anche se arrivata nel modo più

inatteso di questo mondo- non ho avuto il pur minimo dubbio ad aderire alla proposta di Pietro

Tonali di candidarmi con suo successore alla direzione della neurologia. Preso servizio in questo

nuovo ruolo, ho come primo atto intitolato l’auletta dell’Istituto alla memoria di Giorgio Macchi ed

in quella giornata è stato per me un grandissimo piacere incontrare nuovamente la famiglia del

Professore ed il Prof. Gianfranco Rossi (il neurochirurgo della Cattolica degli anni ’70 ed ’80) suo

grande amico ed estimatore.

Concludo questo mio contributo scusandomi con tutti coloro che non ho menzionato e che invece

ho avuto il previlegio e l’onore di incontrare durante la mia permanenza alla neurologia della

Cattolica ed augurando ai giovani Colleghi che ci seguiranno negli anni a venire, di riuscire a

vivere esperienze analoghe alle mie e di portarsi dentro per il resto della loro vita professionale (e

non solo) modelli umani ricchi come quelli che io ho potuto incontrare presso la Clinica neurologia

dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e del Policlinico Agostino Gemelli.

Questa Clinica Neurologica ha espresso negli anni numerosi Direttori di Cattedra anche in altre sedi

universitarie di prestigio quali Pavia, Milano, Cagliari, Chieti, Ancona, Napoli, Siena, Udine,

Verona, Roma-Tor Vergata, Roma Campus Biomedico e Grenoble, oltre a primari di neurologia e

di neurofisiopatologia in strutture ospedaliere di primissimo livello a Roma (S. Camillo,

Fatebenefratelli-Isola Tiberina), Arezzo, Perugia, Senigallia, Firenze, S. Benedetto del Tronto,

IRCCS S. Lucia Roma, IRCCS S. Raffaele Pisana Roma, Ha anche espresso deputati e senatori

della Repubblica che si sono distinti in ambito di politica sanitaria. Ha espresso direttori scientifici

di Istituti di Ricovero e cura a Carattere Scientifico (S. Lucia a Roma, Fatebenefratelli a Brescia).

Ha espresso ricercatori e ricercatrici di primo livello che operano in centri di ricerca di altissimo

livello (Columbia University, Weill Cornell Medical College New York, Imperial College di

Londra, MRC National Institute for Medical Research, Georg-August Universität di Göttingen,

Grenoble University).

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I Direttori dell’Istituto dalla sua fondazione ad oggi sono stati:

Paolo Pinelli (1966-1972)

Giorgio Macchi (1972-1990)

Pietro Attilio Tonali (1990-2010)

Guido Gainotti (2010-2011)

Paolo Maria Rossini (2011-oggi)

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«Testamento» del Prof. G. Macchi

Prof. G. Macchi 70° compleanno

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M. Onofrj – (1981/82) Mount Sinai University

R. Bernabei, M. Di Gennaro, M. Vassalle, P.M. Rossini (1981)

Tesi P.M. Rossini (1974) con P. Santarelli, M. Mellino, E. Tempesta

P. Profice, A. Oliviero, E. Di Lazzaro Budapest 1996

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Il Prof. G. Macchi verso la fine degli anni ’80 in un festeggiamento di Istituto si intrattiene con alcuni giovani, fra cui si intravedono M. C. Silveri ed A. Daniele

S. Mazza, G. Di Trapani, M. Bonfante (1983)

Congresso Neurofisiologia - Monaco di Baviera (1983)

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A. Murru (1992)

G. Mennuni – (1973)

M. Lo Monaco (1992)

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D. Restuccia V. Di Lazzaro (1992)

Laboratorio di Patologia e Biochimica Neuromuscolare

P.A. Tonali mentre legge un tracciato con O. Vaccario e S. Servidei

P. Bartolomeo e A. Daniele durante una riunione conviviale nella seconda metà degli anni ’80.

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D. Gambi

D. Gambi con M. Onofrj C. Scoppetta con R. Miledi, (Roma settembre 2007)

S. Mazza con G. Della Marca nel Laboratorio di EEG

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G. Gainotti e V. Di Lazzaro brindano con prosecco nel 2011. Sullo sfondo C. Masullo e A. Daniele in fase di degustazione del prosecco.

Lezione Conclusiva del Prof. Gainotti

Da sinistra: A. Daniele, V. Di Lazzaro, G. Gainotti, S. Servidei, C. Marra, C. Silveri

Da sinistra: E. Pelagallo, G. Gainotti, N. Albertini, E. Sabatini e L. Morellati

G. Gainotti con alla sua destra R. Liburdi e alla sua sinistra A. Stefanelli

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La segretaria d’Istituto M. Bonfante con O. Vaccario e L. Morellati

Pensionamento di M. Bonfante (1999) con G. Mennuni e M. Molinari

Pensionamento A. Murru (2015) con le segretarie E. Ricci e A. Fleury

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