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Indice Prefazione 7 PRIMA PARTE Il consumo di droghe nella società del rischio Capitolo primo Il consumo: tra ricerca del piacere e disagio diffuso 11 Capitolo secondo Il consumo di sostanze psicoattive oggi 53 Capitolo terzo Proteggere e proteggersi nella società del rischio 73 Capitolo quarto Mestiere genitore e dintorni 83 Conclusioni 99 SECONDA PARTE I paradigmi nelle dipendenze Capitolo quinto I paradigmi nelle dipendenze: cambia il mondo delle sostanze 103 Capitolo sesto Oltre il mercato: alcune questioni aperte 129 Capitolo settimo I significati attribuiti all’uso delle sostanze 139 Capitolo ottavo L’alcol, tra alimento e cattiva abitudine 149 Capitolo nono L’inganno della cannabis 169 Capitolo decimo La seduzione della cocaina 189 Bibliografia 207

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Indice

Prefazione 7

PRIMA PARTE Il consumo di droghe nella società del rischio

Capitolo primo Il consumo: tra ricerca del piacere e disagio diffuso 11

Capitolo secondo Il consumo di sostanze psicoattive oggi 53

Capitolo terzo Proteggere e proteggersi nella società del rischio 73

Capitolo quarto Mestiere genitore e dintorni 83

Conclusioni 99

SECONDA PARTE I paradigmi nelle dipendenze

Capitolo quinto I paradigmi nelle dipendenze: cambia il mondo delle sostanze 103

Capitolo sesto Oltre il mercato: alcune questioni aperte 129

Capitolo settimo I signifi cati attribuiti all’uso delle sostanze 139

Capitolo ottavo L’alcol, tra alimento e cattiva abitudine 149

Capitolo nono L’inganno della cannabis 169

Capitolo decimo La seduzione della cocaina 189

Bibliografi a 207

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Prefazione

Volontà di questo volume è di ricostruire, da differenti angolazioni, la traiettoria e il signifi cato di un fenomeno rilevante dei nostri giorni: l’espansione del consumo di sostanze psicoattive tra i giovani, i giovani adulti e la popolazione generale.

Si vuole avanzare una proposta interpretativa allargata che utilizzi più modelli esplicativi, per favorire una comprensione «densa» della materia in questione, ma al tempo stesso tale che possa essere uno strumento per persone che, a vario titolo o personale o professionale, si vogliano interessare a questa realtà.

Non si vuole, quindi, scrivere nulla di scientifi co in senso spe-cialistico, ma favorire la possibilità che un fenomeno sociale, rilevante come quello in esame, sia comprensibile e commentabile. Senza forzare categorie interpretative contigue e comunicanti, sarà data attenzione in prevalenza ai fenomeni di consumo distinguendoli da quelle che è corretto inquadrare come forme morbose: le tossicodipendenze.

Il fenomeno deve la propria rilevanza al fatto di essere divenuto in buona misura un costume esteso, tale da poter essere incluso nella normalità più che nella devianza; tuttavia, per quanto giovani e giovani adulti se ne liberino più spesso da soli inoltrandosi nell’età adulta, esso preoccupa ed è giusto farsene carico perché comporta rischi e pericoli specie per chi vi si accosta da inesperta/o. La particolarità del «prodotto» droga non può essere sottaciuta, né possono esserlo gli effetti dannosi a livello individuale e sociale che la sua assunzione può comportare.

Il libro è composto di due parti, dovute ad autori uniti da una collaborazione collaudata e amichevole. Si è con ciò voluto accostare

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alle chiavi culturali di lettura del fenomeno e alla proposta di uno spazio pedagogico e di operatività opportune per affrontarlo, una analisi dei diversi stili di consumo (consumo, consumo problematico e dipendenza) e dei problemi socio-sanitari a ciò correlati.

Nella prima parte Alessandro Dionigi affronta il fenomeno in base a tagli disciplinari diversi, ponendo al centro i saperi pedagogici e sociali pertinenti, e, com’è ovvio, le conoscenze, le competenze e le pratiche di chi lavora sul campo da oltre venti anni. Aree prevalenti di attenzione sono, nel primo e nel secondo capitolo, l’evoluzione del mercato delle sostanze e dei modelli di consumo, considerati variabili preminenti per descrivere i caratteri attuali del ricorso alle sostanze psicoattive; nel terzo capitolo vengono indagate le traiettorie possibili in termini di protezione e rischio che contribuiscono a differenziare le storie individuali; nel quarto ci si rivolge alle fi gure di riferimen-to di giovani e giovani adulti, con particolare riguardo ai genitori, nell’intenzione di proporre orientamenti e indicazioni spendibili nella diffi cile partita educativa che si gioca su questo terreno.

Nella seconda parte, invece, Raimondo Maria Pavarin analizza gli sviluppi dei «paradigmi delle dipendenze», leggendo il fenomeno nella successione di diverse fasi temporali: vizio o moda, devianza e marginalità, merce e malattia. Per l’autore, la droga va considerata alla stregua di qualsiasi altra «merce», la cui scelta è dovuta al bilan-ciamento tra rischi percepiti, effetti previsti e danni correlati, dove centrali divengono i signifi cati attribuiti al consumo. Completa tale analisi un excursus sull’epidemiologia delle sostanze attualmente più diffuse (alcol, cannabis e cocaina) e su possibili ulteriori rischi connessi a particolari stili di consumo (la poliassunzione) e comportamenti pericolosi (mix di sostanze, guida in stato di alterazione, ecc.).

Alessandro Dionigi e Raimondo Maria Pavarin

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CAPITOLO SECONDO

Il consumo di sostanze psicoattive oggi

Parlare di droga oggi vuole dire porsi di fronte a numerose questioni, farsi molte domande, alcune delle quali hanno risposte incerte e mutevoli. Vuole dire cercare di dare un senso e un signifi -cato all’evoluzione di un fenomeno che corre veloce quanto il nostro tempo. L’incertezza, tuttavia, se entro certi limiti può essere accet-tata dagli operatori del settore e dai professionisti, non può essere proposta in prima istanza a chi si trova a misurarsi con le diffi coltà, drammatiche o lievi, che il problema droga crea innanzitutto nelle relazioni familiari.

I genitori, in particolare, possono essere travolti da un fl usso di informazioni che oscillano tra la sottovalutazione e banalizzazione del fenomeno e la sua drammatizzazione, rimanendo incerti su quale sia, se ancora gli è riconosciuta e se la riconoscono a se stessi, la loro funzione su questo terreno. Altri attori del percorso educativo di crescita dei giovani e giovani adulti possono percepirsi coinvolti o, al contrario, volersi del tutto estranei alle vicende del consumo di sostanze stupefacenti; inoltre, quanti si reputano coinvolti possono restare dubbiosi, incerti davanti al variare delle rappresentazioni che la scienza offre.

La droga può essere rappresentata da angolazioni diverse, può essere riferita a paradigmi diversi: biologici, clinici, psicologici, sociologici, pedagogici, economici, giuridici, fi losofi ci. Il problema di per sé non consente defi nizione all’interno di un unico orizzonte interpretativo proprio perché, essendo oramai intrinseco alle dinami-che della società, non può essere separato da altri aspetti del nostro vivere quotidiano. Le risposte conseguenti alla decisione di farvi i

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conti, in prima persona o all’interno di servizi deputati, sono spesso frammentarie e parziali. Pertanto, anche la descrizione che ne verrà qui proposta sarà parziale e destinata a essere ridefi nita in rapporto al rapido evolvere delle manifestazioni del problema stesso e delle conoscenze a esse relative.

Educare e prevenire è possibile; le fi gure chiave dei processi formativi mantengono oggi una funzione cardinale e hanno la possibilità di giocare un ruolo cruciale nella crescita dei giovani. La considerazione ha un suo rilievo perché, come abbiamo appreso, tutte le ricerche sul campo dimostrano che la quota più allarmante del fe-nomeno dell’assunzione di droghe si esprime in termini di consumo, ovverosia è espressa da una quota di popolazione giovanile e adulta che non percepirà di necessitare di interventi specifi ci, né si riferirà ai servizi di cura. Si tratta di persone integrate, come già detto, che potranno usufruire di reti di relazioni legate alla normalità e che da esse potranno essere o meno «protette», se non da una comunità so-ciale competente e supportiva. Intendo, quindi, introdurre, in modo schematico, alcuni presupposti di quella che può essere defi nita l’area della prevenzione.

La prevenzione possibile

Intesa come indicazione generale di politiche di contrasto al consumo e all’abuso di droghe illecite, la prevenzione costituisce uno dei «quattro pilastri» della strategia di intervento dell’Unione Europea insieme al contrasto al narcotraffi co, alla cura e riabilitazione, alla riduzione del danno. Alle spalle dell’indirizzo unitario dell’UE, il cui vantaggio è evidente, vi è il paziente lavoro di mediazione della Commissione Europea e il lungo lavoro di ricerca del Gruppo orizzontale droga di Bruxelles. Ciò non comporta che le politiche di ogni Paese membro siano al passo con quanto indicato; il nostro, ad esempio, ha diffi coltà a farlo.

L’area degli interventi di prevenzione è un’area complessa nella quale, a volte, la defi nizione di strategie, obiettivi e metodologie verifi cabili e misurabili può essere opaca e confusa. Diversi sono i contesti in cui si esercita prevenzione e molteplici sono i soggetti che

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si defi niscono preventivi — organismi sovranazionali, Stati e loro istanze pubbliche decentrate, organizzazioni della società civile —, mirati a target di popolazione differenziati e talvolta sovrapponibili, spesso connessi con attività di aggregazione giovanile, di anima-zione, di promozione culturale e a forme di associazionismo sane, che comunque la nostra realtà offre. La pluralità dell’offerta crea a volte dispersione, duplicazione di azioni simili, contraddittorietà tra singole iniziative. Manca, insomma, una cabina di regia che fi nalizzi l’insieme della operatività verso una strategia di prevenzione pensata e realizzabile.

Peraltro, è in atto un forte dibattito su come intendere oggi il lavoro di prevenzione. Venuto meno il paradigma interpretativo del disagio, con i suoi vantaggi rispetto alle precedenti criminalizzazioni dell’assuntore, e i suo svantaggi, per avere stabilito quasi un’identità tra il disagio e la condizione giovanile, l’impressione è che manchino tuttora riferimenti condivisi e condivisibili. Senza che vi sia lo spazio per ricostruire una discussione che già conta su contributi rilevanti, ne ricordo alcuni nodi: lo scetticismo che di tempo in tempo colpisce l’agire preventivo per la diffi coltà di valutarne gli esiti; il timore di paradigmi che promettono, invece, l’effi cacia in nome della loro forza istituzionale o scientifi ca, come il ricorso a misure di tolleranza zero o alla medicalizzazione in luogo di un confronto approfondito che tuteli i soggetti e non li sostituisca con le categorie; la cautela verso gli esiti controproducenti della stessa prevenzione se non la si articola e diversifi ca in base a età, contesti, tappe dei percorsi di consumo; la critica a una prevenzione che accentua gli interventi psico-pedagogici e ignora quelli strutturali (Boeri e Galasso, 2007; Renzetti, 2007; Croce e Vassura, 2008).

In estrema sintesi sottolineo il mio accordo su due rifl essioni. La prima: se i percorsi di consumo sono tali, cioè sono tracciati per-sonali e vi incidono i fattori tempo e relazioni, la prevenzione deve a propria volta tradursi in un percorso complesso, differenziato, con possibili esiti incerti, ma non per questo rinunciabile. Ciò comporta non solo attenzione ai contesti familiari, scolastici, lavorativi delle/dei giovani cui essa si rivolge, ma la consapevolezza che le evoluzioni o meno verso una carriera di consumo consolidato, consumo critico o di dipendenza stanno in rapporto anche con le azioni e reazioni di

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chi, educatore e operatore, si occupa di prevenzione. Vale a dire che i signifi cati e i percorsi intenzionali che un servizio mette in campo con i propri interventi devono essere vagliati con cura e misura per non essere controproducenti. La seconda: mettersi sulla strada della prevenzione non può signifi care agire per l’agire, per quanto non si possa rinunciare e rassegnarsi all’immobilità. Se ancora non vi è un orientamento comune, se neppure vi è la cabina di regia sopra invocata, si può riconoscere l’utilità dell’indicazione che propone quattro assi complementari dell’intervento preventivo: l’asse strut-turale, che riguarda sia le norme, i fi nanziamenti e gli indirizzi, sia le scelte politiche (per esempio l’intervento limitativo del fumo ha avuto incidenza forte nelle condotte), ma anche interventi positivi (come politiche volte a giovani e meno giovani per la formazione, il lavoro, la casa); l’asse dell’informazione, che, come ho già sottoline-ato in altra parte, deve essere corretta e al contempo conscia del suo limitato potere deterrente; l’asse della relazione educativa, cui qui si è dedicato molto spazio; l’asse della costruzione del capitale sociale, cui pure si è fatto più volte riferimento nella consapevolezza che cruciale nella partita della prevenzione sia l’attivarsi di processi che favoriscano protagonismo, partecipazione, passione civile.

In realtà credo, come vari autori di riferimento, che, se con-sapevoli e fi nalizzate, le agenzie della società civile potrebbero avere una parte chiave nell’intervento di prevenzione del consumo di so-stanze stupefacenti, proprio per le abilità acquisite e le potenzialità inespresse nel proporre a giovani e adulti percorsi di inclusione sociale e di sperimentazione di capacità e interessi personali alternativi alle logiche prevalenti della società dei consumi (Dionigi, 2008; Berto-lazzi, 2008).

Espongo sinteticamente i differenti livelli di azione espressi dall’area della prevenzione.

1. Prevenzione universale: è costituita da un insieme di azioni e progettualità rivolte al destinatario o target formato dalla po-polazione intera e all’insieme complessivo delle sue componenti socio-culturali. Si ripropone la promozione di condotte sane e di autotutela valide per ogni classe di persone e per ogni genere; ricerca la prevenzione dell’utilizzo di ogni sostanza nociva e/o

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psicotropa legale e illegale. La prevenzione universale può essere vista come un’attività che fi ltra e rallenta l’accesso alle «sostanze cancello», alcol e tabacco in primis, vale a dire quelle sostanze che possono concorrere a costituire la base di ulteriori comportamenti di consumo nocivo per la salute. L’utilizzo di messaggi e slogan è spesso indotto dagli allarmi sociali che si percepiscono nel corso del tempo (ad esempio, negli anni Novanta l’Aids) ed è riferito alle congiunture in cui slogan e messaggi vengono proposti. Il suo scopo è di concorrere a fare convergere su alcuni principi di fondo il sistema di convinzioni e comportamenti della maggior parte delle persone giovani e adulte.

2. Prevenzione selettiva: è formata da un insieme di azioni e progettualità rivolte a specifi ci e focalizzati gruppi di persone, giovani, giovani adulti, adulti e persone mature, che manifestano un profi lo maggiormente a rischio dal punto di vista epidemio-logico, economico, sociale, culturale. L’obiettivo primario della prevenzione selettiva è quello di prevenire e ridurre i fattori di rischio associati alla cultura del consumo di sostanze o al consumo stesso, quando si sia già manifestato. Le strategie prevalenti possono essere l’empowerment individuale o di gruppo delle competenze personali, l’attivazione di luoghi e contesti di promozione di socialità e culture sane, la proposizione di modelli di confronto tra pari che stimolino l’orientamento critico verso le sostanze e la capacità di esercitare scelte autonome e divergenti rispetto al contesto. Azioni di tale natura sono spesso localizzate in ambienti specifi ci e riconoscibili, dove è noto o probabile il manifestarsi di situazioni a rischio.

3. Prevenzione indicata: è formata da un insieme di azioni e progettualità rivolte a persone e a gruppi di giovani e meno gio-vani dove già sono presenti problemi inerenti il consumo/abuso di alcolici e stupefacenti. Si tratta di interventi che si situano, di fatto, in un’area intermedia tra la prevenzione e il trattamento, pur non assumendo una prospettiva clinico-terapeutica. Sono azioni rivolte a manifestazioni e comportamenti già apertamente problematici e intercettano, a volte, situazioni estreme legate all’abuso, riguardanti giovani e meno giovani. Sono da conside-rarsi come obiettivi la riduzione dei rischi personali e verso altri,

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la prevenzione di comportamenti devianti e illegali, il supporto alle famiglie e alle comunità relazionali coinvolte, il sostegno alle istituzioni locali in diffi coltà (scuola, quartiere, ecc.), il presidio del territorio con differenti strategie e tecnologie, la ricerca, diffi -cile, di una prossimità funzionale alla tutela dei soggetti e talvolta fi nalizzata all’indicazione e allo stimolo, per chi ne avesse bisogno, di un percorso di cura più appropriato e strutturato.

Trasversali alle diverse tipologie di prevenzione e ai loro ambiti specifi ci possono essere gli strumenti di tipo informativo e divulga-tivo, che promuovono il coinvolgimento personale (associazionismo mirato, gruppi, laboratori vari, doposcuola, corsi di educazione alla cittadinanza, corsi per genitori, ecc.); gli spazi di consulenza relazionale (sportelli sociali, sportelli di quartiere, centri di counseling informa-le, ecc.); i percorsi di formazione personale (corsi di teatro, danza, cinema, lingue straniere, nuove tecnologie, ecc.).

Nella caratterizzazione delle azioni proposte è possibile ritrovare non solo il segno dei tempi in cui sono state formulate, come è stato precedentemente evidenziato, ma anche identifi care gli orientamenti politici e culturali prevalenti in un periodo dato. In considerazione di questo, è opportuno e corretto individuare alcune direttrici di fondo riconoscibili, che caratterizzano di fatto in direzioni differenti le impostazioni progettuali.

– Direzione della riduzione del danno (prevenzione del rischio). È un’opzione caratterizzata da interventi localizzati, pragmatici che si focalizzano su aspetti strettamente legati ai rischi diretti dell’abuso di sostanze psicoattive (overdose, microcriminalità, condotte sessuali a rischio, ecc.). Gli interventi di prevenzione del rischio si realizzano in prevalenza all’interno dei contesti in cui il problema si manifesta o in situazioni di grande prossimità a esso. L’assunzione preliminare è che eventi di abuso di sostanze si produrranno comunque ed è, perciò, necessario ridurne le conseguenze. Siffatte modalità, che rispondono senza dubbio alla logica delle emergenze che si manifestano, sono nate a seguito delle problematiche legate all’esplosione della tossicodipendenza iniettiva di eroina propria degli anni Ottanta. Pertanto, non sempre sono, a mio parere, compiutamente coerenti con le mani-

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festazioni attuali del consumo e policonsumo di psicostimolanti (Olievenstein, 2001).

– Direzione limitativa. È un’opzione caratterizzata dall’utilizzo di dispositivi di limitazione e di sanzione di precisi comportamenti da contrastare. L’obiettivo è di limitare e controllare la disponibilità e la fruibilità delle sostanze psicotrope che rientrano nella legge o che la violano, attraverso meccanismi di controllo e sanzione civile, amministrativa e legale (introduzione di tabelle che sanzionano il possesso di sostanze, stabilimento di orari limite di consumo di alcolici, chiusura di luoghi di ritrovo, sanzioni sulla guida di auto-mezzi in condizioni alterate, multe per comportamenti eccessivi, ecc.). Orientamento cardine della direzione limitativa è di associare conseguenze negative ai comportamenti disfunzionali così da creare negli individui un condizionamento che funga da limite. Secondo tanti autori la sua effi cacia è parziale e di superfi cie, anche se l’in-troduzione di sanzioni severe verso comportamenti quali la guida in stato di ebbrezza o di alterazione ha prodotto una riduzione dei comportamenti a elevatissimo rischio contro sé o contro altri.

– Direzione morale-educativa. È un’opzione caratterizzata dalla vo-lontà di recuperare modelli e valori che possano essere alternativi a quelli attuali; al suo interno si possono realizzare interventi atti a promuovere il confronto su temi sensibili, a proporre forme di attivazione in ambito sociale o volte a prendersi cura del territorio, a organizzare gruppi di discussione autogestiti, seminari dove si confrontano opinioni, modalità e atteggiamenti espressi nel mondo giovanile e in quello adulto. L’effi cacia degli incontri è direttamente proporzionale a quanto l’offerta è dialogica, cioè tale da non esclude-re, non negare le convinzioni dei suoi destinatari. Il confronto non può partire da posizioni che non riescano a cogliere un signifi cato nelle condotte di cui ci si vuole occupare; il pericolo è quello di esercitare una «pedagogia della malinconia», di velare il discorso con la nostalgia di tempi pregressi quando, si suggerisce implici-tamente, i valori erano positivi, le persone migliori e socialmente più utili. Spesso in attività siffatte è di grande effi cacia utilizzare le logiche della comunicazione tra pari, al fi ne di non produrre o enfatizzare possibili gap tra gli interlocutori e un’interpretazione reciproca affi data a bias o letture divergenti.

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Dalla ricerca di settore e dalla valutazione delle pratiche attivate emerge un’evidenza importante: il coordinamento, l’integrazione tra loro delle diverse iniziative sono decisivi per rendere effi cace la prevenzione. Anche la continuità e la durata degli interventi sono determinanti per dare loro un impatto rilevante e renderli pervasivi (Serpelloni e Gerra, 2003).

È bene, giunti a questo punto, sottolineare alcuni caratteri che possono essere infl uenti quando si pensa di ricorrere a interventi preventivi: in tutti gli ambiti dove si voglia fare opera di prevenzione è utile stimolare nei destinatari stessi una rifl essione dialogico-critica sulle azioni e gli strumenti da utilizzare, sulle problematiche da affrontare e le esperienze da costruire allo scopo di sollecitare un pensiero autonomo e produrre comportamenti dissonanti rispetto a quelli conformistici abitualmente adottati.

Riprendo una considerazione già svolta: promuovere consape-volezza su percorsi che si pongano al di fuori della cultura mainstream attualmente accettata da giovani di vari strati sociali, non può che prendere le mosse da canali e da codici di comunicazione attualmente diffusi tra i giovani, per provocarne una fruizione e un utilizzo deco-struttivo e creativo, non pigro e riproduttivo. Non mancano tecniche e percorsi collaudati per poterlo fare, ma il risultato positivo dipende prima di tutto dal coinvolgimento e protagonismo che si produrrà in chi prende parola e parte nelle iniziative. Non meno effi cace può risultare un insieme di trame che colleghino i/le giovani al tessuto sociale, culturale e produttivo, proiettando il vivere di ciascuno in una dimensione collettiva di senso e responsabilità. Va, infatti, restituito ai percorsi individuali e di micro-comunità, in cui singole e singoli si riconoscono, il respiro esistenziale offerto dal fare parte di processi allargati e condivisi. In tale ottica, la partecipazione sociale e politica può avere una forte valenza preventiva qualora ricollochi le traiettorie personali all’interno di signifi cati e scenari comuni. Anche il credere fortemente in un particolare valore è protettivo perché fi nalizza, orienta nella sua direzione; fermo restando l’orizzonte di una comunità senza steccati, poiché si è nominato il rischio comportato da forme di socialità ristrette ed escludenti per la convivenza civile e sensata di chi si trova a vivere in società complesse e multiculturali. Ho sperimentato in diverse circostanze dei percorsi d’attivazione di soggetti diffi cili e

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resistenti in progetti rivolti alla collettività, verifi cando la sete di senso e di utilità di cui erano portatori. Scientemente ho privilegiato una relazione di prossimità, facendomi accompagnare, in certa misura, lungo tracciati intenzionali stabiliti dai loro codici e strumenti. La qualità e l’impatto trasformativo di una presa di coscienza comune hanno prodotto notevoli guadagni per ciascuno.

Il sistema attuale, tanto più se vi s’intreccia l’uso di sostanze stu-pefacenti, non è al servizio delle persone ma, al contrario, le manipola producendo perdita di autonomia di giudizio e di capacità di pensiero. Un processo che azzera le catene causali, la sequenzialità e i nessi tra i fenomeni, la molteplicità dei signifi cati, che elimina la distanza che separa gli investimenti cognitivi e affettivi dalla fatica personale che porta a realizzarli, è quanto bisogna smontare e prevenire. A partire da una simile angolazione, ancora prima d’introdurre progetti e pratiche specifi che di prevenzione, è necessario sostenere l’istanza di aprirsi alle emozioni, all’affettività, alla sessualità, riconoscendo e vivendo anche le fragilità connesse alla condizione dell’esistere, aspetto che ci rende unici e non replicabili. Bisogna provocare una fuoriuscita dalla serialità, restituire il senso e l’attrattiva di un progetto personale, ricreare partecipazione; occorre mostrare l’interesse che riveste entrare veramente nel mondo adulto, costruirsi un proprio iter formativo e relazioni autentiche che ci rappresentino con i pari e con i membri di altre generazioni.

Fare tutto ciò a fronte dell’ubiquità attuale delle sostanze psico-trope ammesse e represse, del loro innalzamento a modelli di riferi-mento nella grammatica a forte presa di romanzi, canzoni, fi lm, storie eroiche, storie tragiche di giovani testimonial mitizzabili, è diffi cile. Nondimeno, questo è lo spazio pedagogico che va occupato da tutti gli adulti che vogliono fare i conti con tali fenomeni, cercando di agire come traduttori e mediatori tra i linguaggi differenti; che desiderano facilitare la co-costruzione di orizzonti di riferimento comuni a culture e subculture eterogenee per istituire percorsi determinati dall’interno dei singoli, dall’unicità delle persone e non guidati dall’esterno, dagli oggetti e dalle sostanze compulsive che il mercato offre. Una quota di utopia è necessaria per guardare al futuro, per pensarlo altrimenti, per costruire un progetto che sia tale, che quindi «chieda che venga ad essere ciò che da sé non verrebbe» (Dionigi, 2001, p. 255).

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Differenti tipologie di consumo

Al fi ne di comprendere le manifestazioni del consumo di sostanze psicoattive, è utile distinguere differenti tipologie di soggetti, non per farvi corrispondere consumi più o meno nocivi, poiché tutti lo sono per chi scrive, ma per fare comprendere che esistono distinzioni sensate e che vanno poste.

Il gruppo dei consumatori è estremamente eterogeneo per età, genere, condizioni socio-economiche, signifi cati e modalità di assun-zione. Elemento rilevante nella descrizione del fenomeno preso in esame è la consapevolezza che determinati fattori incidono in maniera consistente sull’evoluzione dei comportamenti. Propongo quelli che rivestono particolare rilevanza:

1. la vulnerabilità individuale nei confronti dell’assunzione di so-stanze, tema che riprenderemo più avanti;

2. il rapporto personale con gli effetti diretti delle sostanze e il con-testo dell’assunzione (signifi cati e funzione del consumo, rilevanza e centralità dell’esperienza e del setting in cui si compie);

3. le situazioni ambientali e socio-relazionali che incentivano o limi-tano il consumo: i fattori esterni esercitano un potente rinforzo e/o condizionamento sui comportamenti individuali;

4. l’assunzione contemporanea di più sostanze (alcol incluso) come indicatore di maggiore o minore esposizione al rischio;

5. la facilità di reperimento delle sostanze in termini di disponibilità e di economicità, un parametro, quest’ultimo, cruciale nelle fasi iniziali del rapporto con le sostanze stupefacenti.

Tali fattori, legati ad altri più specifi ci e individuali, determinano traiettorie differenti in soggetti all’apparenza esposti alle medesime esperienze. Ad esempio, l’abbassamento del prezzo medio delle so-stanze psicoattive è un fattore rilevante nelle fasi di iniziazione: non è necessaria un’attivazione particolare per trovare il denaro, i soldi di cui si dispone risultano suffi cienti (Serpelloni e Marino, 2007). Se volessimo delineare una sequenza tipo, semplifi cando potremmo par-lare di: una fase iniziale, potenzialmente di transizione, caratterizzata da fi nalità ricreative e voluttuarie, non continuativa e non centrale nell’insieme delle prestazioni psicosociali del soggetto (social use); una

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fase successiva caratterizzata da ciclicità del consumo, da funzionalità più marcate dell’effetto, da una maggiore ripetitività in momenti dati dell’esperienza, ma ancora associata a forme di intenzionalità e autocontrollo (regulated relapse); una fase conclusiva, mai raggiunta da molti, caratterizzata dalla perdita del controllo sulla frequenza e quantità del consumo, dalla compulsività, da una modifi cazione rilevante del funzionamento personale (compulsive relapse) (Serpelloni e Gerra, 2003; Serpelloni, Gerra e Macchia, 2006).

Va ripetuto che non è da immaginare una sequenza automatica del passaggio dal consumo di sostanze all’abuso/dipendenza, ma non è parimenti pensabile la stabilità delle situazioni. I soggetti oscillano tra differenti situazioni e gradi d’assunzione, con esiti, spesso, incerti. Si possono individuare consumatori sporadici e sperimentali, di solito giovani, che si avvicinano al consumo con motivazioni e aspettative diversifi cate, più di frequente banali, e interrompono rapidamente le esperienze di questa natura; consumatori del fi ne settimana, giovani e adulti, che associano l’uso e, sovente, l’abuso di sostanze psicotrope a particolari situazioni e contesti socio-relazionali e ricreativi; consu-matori integrati che utilizzano in maniera circoscritta le sostanze per ben precise fi nalità personali (incremento della performance, adesione a comportamenti socialmente dominanti, esercizio della sessualità, ecc.); persone che abusano quotidianamente, o quasi, delle sostanze psicoattive per mantenere una situazione di normalità «dopata», per correggere reali o presunti limiti di personalità e la propria au-torappresentazione. Ulteriori caratteristiche sono la individuazione e la scelta personale di una sostanza elettiva primaria (è il caso del cocainomane) o l’utilizzo combinato di più sostanze (è il caso del policonsumatore).

Il coinvolgimento personale nell’esperienza del consumo di dro-ghe varia fortemente da soggetto a soggetto; la rilevanza, la centralità dell’effetto delle sostanze psicotrope sulla percezione di sé mostrano una fenomenologia assai diversifi cata.

Con riferimento alla fi sionomia dei policonsumatori, attual-mente prevalente, si possono individuare differenti caratteristiche nelle modalità e nelle sequenze di uso/abuso: alcuni presentano un utilizzo sequenziale/temporale, dove, nel corso del tempo, si alternano sostanze differenti in situazioni differenti (ad esempio l’alcol e, in una

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fase successiva la cocaina, per poi ritornare in un momento successivo all’alcol); altri eleggono comunque una sostanza primaria attorno alla quale pongono una costellazione di sostanze complementari, combinate e replicate con la fi nalità di subordinare le sostanze non primarie al rinforzo o alla gestione degli effetti della sostanza di elezione (ad esempio il consumo primario di cocaina con l’utilizzo di alcol a rinforzo; poi, a seguire, l’utilizzo di cannabinoidi e, in casi limite, il ricorso all’eroina e/o agli psicofarmaci per contenere la disforia e l’agitazione); altri ancora ricorrono all’utilizzo simultaneo e non re-golato di più sostanze in un accumulo da supermarket, per così dire, ove non c’è alcuna logica funzionale se non la ricerca del massimo di alterazione possibile dello stato di coscienza e dell’allentamento totale dei freni inibitori (garbage head syndrome, o sindrome della testa nella spazzatura); altri infi ne segnalano un ricorso a combinazioni diffe-renziate per fi nalità e contesti diversifi cati, collegato a una specifi ca e intenzionale ricerca di effetti desiderati (ad esempio: metanfetamine, mdma o ecstasy, alcol in locali peculiari del mondo notturno; oppure cocaina, alcol e viagra in contesti fi nalizzati alla prestazione sessuale) (Cipolla, 2007; Bertolazzi, 2008; Pinamonti e Rossin, 2004).

Rilevante nella defi nizione delle differenti situazioni è la mo-dalità di assunzione:

1. assunzione per via respiratoria (modalità prevalente nel consumo di cannabinoidi, più infrequente nel consumo di psicostimolanti e cocaina, attualmente in incremento nel consumo di eroina);

2. assunzione per via orale (la maggior parte delle sostanze legate al divertimento sono sotto forma di pillole/compresse, l’ecstasy in primis);

3. assunzione per via inalatoria (prevalente nel consumo di cocaina e di alcune metanfetamine, diffusa anche nel consumo di oppia-cei);

4. assunzione per via endovenosa (prevalente nell’uso di eroina, ma possibile in quasi tutte le sostanze in polvere, un consumo attualmente residuale nella popolazione giovanile).

Importante è considerare l’intensità del consumo e la quantità di sostanza assunta: anche se non può essere rappresentata come una variabile stabile, è comunque distinguibile una modalità irregolare

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di consumo, con quantitativi contenuti (no binge), da una smodata, frequente, compulsiva (binge). A tal proposito, si viene evidenziando il fenomeno, abbastanza recente, del binge drinking che caratterizza il rapporto di molti giovani e giovanissimi con le bevande alcoliche, raffi gurate e utilizzate come sostanze psicotrope fi nalizzate all’altera-zione forte della personalità, ma prive di ogni signifi cato al di fuori di questo schema comportamentale (molti giovani fortissimi bevitori situazionali, hanno tratti prevalenti di astemia).

Nell’ottica della valutazione delle condotte e della loro gravità, ai fi ni della eventuale defi nizione di un intervento i parametri da considerare sono:

1. l’età dell’esordio, come fattore predittivo del decorso;2. le motivazioni e i signifi cati attribuiti al consumo;3. le caratteristiche socio-relazionali della persona, del suo contesto

familiare e della rete di riferimento;4. le caratteristiche della personalità in termini di tratti prevalenti, essi

pure analizzati come fattore predittivo in termini di decorso;5. la qualità dello stile di consumo in termini di gravità e pericolosità

dello stesso;6. le caratteristiche psicopatologiche individuali, che in alcuni casi

concorrono in maniera decisiva ai comportamenti in questione, con ricorso a interventi di natura preminentemente clinico/dia-gnostica;

7. le eventuali condotte marcatamente devianti e antisociali, a loro volta assunte quale elemento predittivo del decorso. È corretto sottolineare come esista, se pur labile talvolta, un confi ne tra comportamenti trasgressivi e comportamenti devianti e illeciti, e come questo confi ne debba essere un parametro centrale nella valutazione dei soggetti.

La fenomenologia qui esposta, quasi una tassonomia dei modelli di consumo, è volutamente sintetica, ma risulta suffi ciente a delineare un universo variegato e differenziato all’interno dei consumatori. Le distinzioni, fl uide e dinamiche, hanno come parametri chiave:

– la capacità di autoregolazione (locus of control esterno o interno);– la rappresentazione del consumo (situazionale/strumentale o nu-

cleare/strutturale);

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– la percezione del rischio (elevata o del tutto assente);– la centralità e continuità dell’esperienza (ridotta e in presenza di

altri più rilevanti aspetti della vita; totalizzante e fondamentale per il darsi di una serie di esperienze e sensazioni ricercate dai soggetti);

– la situazione emotiva di una data persona in un dato momento della vita (Pavarin, 2006a; Dionigi, 2008).

Le descrizioni e le defi nizioni proposte non vogliono occultare l’unicità e l’individualità delle esperienze prese in esame: le perso-ne hanno una modalità comparabile e omologabile di consumare sostanze, e una unica, irripetibile, esclusivamente loro di esperirle e viverle.

Mi piace, pertanto, fornire una traccia, classifi cabile e unica al tempo stesso, della mia attività professionale.

Marcello, che aveva paura di far l’amore. Marcello è uno studente universitario venticinquenne; ragazzo simpatico e belloccio, è da alcuni anni consumatore di psicostimolanti a dominante cocaina, con cicli di abuso e interruzioni, apparentemente agevoli, in presenza di scadenze importanti (esami, patente di guida, momenti particolari di assunzione di responsabilità). È fi glio di una famiglia normale, integrata, forse troppo legata allo status e alla visibilità sociale, che si vergogna della situazione e ha fretta di risolverla. Sveglio e brillante, Marcello ha un problema, non realistico, collegato alla sessualità; frutto, a suo dire, di un esordio non brillante nella sfera sessuale. La situazione, di fatto inesistente e segreta al tempo stesso, lo conduce a esperienze nel rapporto con l’altro sesso per lui essenziale associate alla cocaina, all’alcol e al viagra. La percezione di avere trovato una soluzione e di potere «performare» il sesso in maniera soddisfacente è per lui talmente pervasiva da condurlo a una condotta contorta e fobica precedente ogni momento di intimità. Una condotta che si estingue in situazioni alternative a quella del rapporto sessuale, ma che lo spinge, tuttavia, a una ricerca di conferma delle proprie capacità in ogni circostanza, senza possibilità di rifl ettere sul signifi cato personale delle stesse e sull’utilità di prodursi costantemente in prove «vincenti». L’abuso, discontinuo e situazionale, lo conduce al paradosso di non avvertire più l’angoscia della prestazione sessuale grazie alla certezza di non poterla esercitare (l’abuso di cocaina rende fi siologicamente, an-che se transitoriamente, gli uomini inabili alla sessualità). In parallelo, per essere coerente alla rappresentazione che offre di sé, deve fornire motivazioni false del suo problema, nascondendosi dietro la ricerca

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del divertimento e la propria voglia di sensazioni forti. Lo schema di consumo è rigido, la sequenza si replica identica ogni volta, la sessualità è un impegno gravoso. Fondamentale risulterà l’intervento affettivo e il supportivo di una ragazza, che cogliendo la fragilità di Marcello, lo spingerà a confessare la sua, per lui, terribile condizione.

Il ragazzo, ristabilitosi di scatto, liberatosi dal suo pseudopro-blema, ha messo a frutto la capacità di porsi obiettivi, la voglia di conseguire riconoscimenti fi nalizzandola al raggiungimento di risultati per lui signifi cativi. Il suo problema è diventato la sua forza, il suo policonsumo è evaporato, è riuscito a defi nire con i genitori uno spazio di autenticità che gli consente di crescere in modo suffi cientemente autonomo. Quanto appena descritto si è prodotto in soli sette mesi e conferma la potenziale fl essibilità e reversibilità di molte analoghe situazioni, nonché del potere, sconvolgente, di automedicazione che l’età giovanile contiene. Va, altresì, sottolineato che il caso offre indiret-tamente la «prova» che Marcello non era un tossicodipendente, che il rapporto con la sostanza era mediato da una decisione intenzionale, per quanto assurda. Non sarebbe possibile un decorso altrettanto lineare e semplice di uscita dalla tossicodipendenza, ove non si passa ad altra forma di vita di scatto, senza un processo faticoso e, a volte, precario di ricostruzione personale. Attualmente Marcello opera come condut-tore di gruppi di auto-aiuto per consumatori primari di cocaina nel servizio che coordino. È bravo ed è un modello luminoso di evoluzione personale, il cui evento chiave, risolutivo, non è avvenuto all’interno della terapia, ma per un’autonoma esperienza, per un incontro vero e profondo con una persona che ha saputo amarlo. Senza indulgere al narcisismo professionale, è possibile immaginare che con buona probabilità la sua evoluzione sarebbe avvenuta comunque, anche in assenza di un percorso terapeutico-riabilitativo. Lo affermo non per ridurre il senso dell’agire terapeutico, ma per rendere comprensibile come, fortunatamente, tante situazioni di consumo evolvano al meglio nel processo naturale della crescita personale.

Ai fi ni della comprensione delle differenti traiettorie di consumo percorse dalle persone considerate, è ora importante, introdurre in modo più accurato, ma intelligibile a tutti e ciascuno, una compo-nente fondamentale nell’evoluzione dei soggetti consumatori e non consumatori: la vulnerabilità individuale.

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CAPITOLO QUINTO

I paradigmi nelle dipendenze: cambia il mondo delle sostanze

I paradigmi forniscono agli scienziati non soltanto un modello, ma anche alcune indicazioni indispensabili per costruirlo. Allorché impara un paradigma, lo scienziato acquisisce teorie, metodi e criteri tutti assieme, di solito in una mescolanza inestricabile. Quando i paradigmi mutano, si verifi cano importanti cambiamenti nei criteri che determinano la legittimità sia dei problemi che delle soluzioni proposte. Guidati da un nuovo paradigma, gli scienziati adottano nuovi strumenti e guardano in nuove direzioni. Durante le rivoluzioni gli scienziati vedono cose nuove e diverse anche quando guardano con gli strumenti tradizionali nelle direzioni in cui avevano già guardato prima. Dopo un mutamento di paradigma, gli scienziati non possono non vedere in modo diverso. (Kuhn, 1969)

In questi ultimi anni numerosi studi hanno documentato l’enorme aumento in Italia del numero di persone che fanno abuso di farmaci e uso di sostanze psicoattive. Tra queste, la cannabis è la sostanza più usata dopo l’alcol, seguita dalla cocaina. L’aumento di tali consumi è tra le cause principali di problemi sanitari, psicologici e socio-economici e una quota di questi soggetti ha gravi problemi di salute e non si rivolge ai servizi pubblici o privati per le dipendenze.

In questa specifi ca popolazione possiamo individuare differenti stili di consumo, cui è plausibile associare comportamenti e rischi diversi: consumo, consumo problematico, dipendenza (Pavarin, 2007a). Molti infatti consumano le droghe in modo saltuario o oc-casionale e molti altri provano per curiosità e poi smettono. Diverso è il consumo prolungato nel tempo, giornaliero o quasi giornaliero, che può determinare un uso cronico. La dipendenza invece, accom-pagnata da sintomi di astinenza, emerge dopo periodi continuativi

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di alti dosaggi o in relazione a consumi che durano da molto tempo. Ad esempio, sintomi tipici dell’astinenza da cannabis sono ansia, in-sonnia, depressione e irritabilità, e sono collegati a una diminuzione dell’appetito e del tono dell’umore.

I problemi relativi al consumo saltuario possono essere associati a inesperienza, utilizzo di sostanze di cui non si conoscono gli effetti, uso concomitante di altre droghe o alcol, incidenti stradali, problemi psichici, problemi cardiocircolatori, problemi economici e overdose. Le ricerche condotte su questi soggetti mettono in evidenza le diversità di fondo tra questo target e gli utenti dei SERT: appartengono a tutti gli strati sociali e a tutte le classi di età di entrambi i sessi, lavorano, studiano, molti vivono con la famiglia, conducono una vita normale e sono ben inseriti a livello sociale.

Per quanto riguarda il consumo problematico si evidenziano il rischio di una futura dipendenza, problemi sanitari, problemi economici rilevanti, ricoveri ospedalieri, overdose e problemi con la giustizia. Questa tipologia di consumatori, associata soprattutto alla cocaina e all’uso combinato di più sostanze, è in enorme crescita e viene evidenziata dai dati relativi all’aumento degli accessi al pronto soccorso, dei ricoveri ospedalieri, degli interventi delle forze dell’or-dine, degli utenti dei servizi pubblici e privati sulle dipendenze, dei soggetti ristretti in carcere e dei sequestri di stupefacenti.

Della dipendenza, soprattutto da eroina, si è molto parlato per le problematiche che tale condizione comporta, soprattutto per l’elevato rischio di decesso. Per questi soggetti, grazie anche all’attivazione di politiche di riduzione del danno nel territorio e all’aumento sia del numero di utenti in carico ai SERT sia della durata della ritenzione in trattamento, il rischio di mortalità è in calo e aumenta la proba-bilità di sopravvivenza. Il conseguente invecchiamento fa emergere in modo drammatico le gravi problematiche socio-economiche che accompagnano queste persone anche dopo l’uscita dalla condizione di dipendenza.

Dai risultati delle ricerche non sempre è possibile distinguere in modo netto il consumo problematico dalla dipendenza, ma si possono invece individuare gruppi di persone con caratteristiche socio-economiche e demografi che tra loro diverse, con diversi livelli di consapevolezza del rischio e un diverso approccio ai servizi.

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Gli utenti SERT sono per la quasi totalità tossicodipendenti di lunga data, cronici, eroinomani, poveri e con problemi di salute; a questi si affi ancano i cosiddetti «tossicodipendenti marginali» che vivono in condizioni di marginalità e forte disagio sociale, con gravi problematiche concomitanti (povertà, clandestinità, problemi psichiatrici, alcolismo, problemi con la giustizia). I «consumatori problematici» sono invece più giovani, con scolarità medio-alta e un lavoro, assuntori saltuari di sostanze e fanno largo uso di cocaina.

Una volta considerato che solo una quota limitata di consumatori passa nella fascia del «consumo critico» e una quota ancora minore sviluppa successivamente dipendenza, va specifi cato che le differenze tra le varie tipologie potrebbero emergere a posteriori (la dipendenza crea disagio ed emarginazione), ma anche essere presenti a monte: il rischio di sviluppare dipendenza potrebbe essere maggiore per chi appartiene a ceti sociali svantaggiati, ma anche tra chi ha differenti motivazioni all’uso, una diversa percezione del rischio e una limitata capacità di mettere in atto strategie di autotutela. Infatti è molto diffi cile individuare fattori predittivi specifi ci e molto probabilmente intervengono, oltre alle caratteristiche socio-economiche e psicologi-che dei soggetti, anche specifi che capacità/abilità nel gestire gli effetti correlate a motivi d’uso più o meno forti.

Va ribadito che nell’immediato futuro, oltre all’aumento del numero dei soggetti con dipendenza da stupefacenti seguiti dai servizi, emergeranno in modo sempre più evidente le problematiche correlate al consumo problematico, sulle quali è necessario concentrare fi n da subito studi e risorse.

Possiamo sintetizzare alcune considerazioni che cercheremo successivamente di sviluppare dentro uno schema di analisi che tenga conto sia dei risultati di studi e ricerche sia degli sviluppi di alcune discipline scientifi che.

1. Nel variegato mercato delle sostanze psicoattive l’immagine del con-sumatore di droga si discosta sempre più da quella dello sbandato proveniente da settori underground che usa la droga per protesta contro la società o per iniziare un percorso di autocoscienza, come poteva accadere nella prima metà degli anni Settanta.

2. Ancora più diffi cile è ipotizzare un percorso più o meno automatico che a partire dal consumo inneschi fenomeni di emarginazione e

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dipendenza. Anche escludendo prodotti legali come alcol, tabacco o psicofarmaci, l’uso delle sostanze psicoattive non può essere considerato come marginale o eccezionale e relegato a specifi ci settori socio-culturali.

3. I consumatori appartengono a tutti gli strati sociali e sono diffusi in tutte le classi di età di entrambi i sessi: lavorano, studiano, molti vivono con la famiglia, conducono una vita normale e sono ben inseriti a livello sociale. Il consumo è associato più alla sfera della normalità che non a quella della trasgressione ed è apertamente manifestato e tollerato in specifi ci ambienti e situazioni, non solo dai più giovani, anche se rimane confi nato nella sfera delle azioni considerate se non illecite, perlomeno inopportune.

4. Per comprendere l’enorme sviluppo del mercato e la diffusione di vari tipi di sostanze, è utile considerare la droga come una qual-siasi altra merce: la scelta di usarla si basa sia sul raggiungimento di un equilibrio tra fattori soggettivi e fattori oggettivi sia sulla valutazione razionale di rischi e benefi ci all’interno di un determi-nato ambiente sociale in cui è disponibile. Sembra inoltre che la decisione di consumare non sia collegata solo a particolari contesti o caratteristiche individuali, ma anche a specifi che motivazioni.

5. Se da una parte l’uso delle sostanze non può più essere considerato solo un vizio o una manifestazione di disagio, dall’altra emergono percorsi individuali diversifi cati che rendono ulteriormente diffi cile una lettura uniforme e uniformante del fenomeno nel suo insieme, dove non si può ancora parlare di «normalità del consumo» se non forzando l’analisi di una realtà complessa, frantumata e in rapido mutamento (Pavarin, 2008a).

6. Il fenomeno droga può essere schematizzato in differenti paradigmi con diverse successioni temporali attraverso varie chiavi di lettura: vizio o moda, devianza/marginalità, merce, malattia. In altre pa-role, si passa via via da un uso da parte di sperimentatori, a quello limitato a particolari settori, a quello di specifi che fasce sociali o culturali, a un uso più massiccio nella popolazione generale. Que-sto comporta man mano sia un uso più diffuso sia l’emergere di specifi che problematiche a livello sociale e di tipo medico-sanitario. Tale percorso caratterizza anche le diverse fasi che accompagnano l’uso di una singola sostanza, infatti non tutte le droghe riescono

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a passare dal consumo ristretto ad alcuni gruppi di soggetti a quello più massifi cato, e in tali casi l’uso rimane annidato dentro specifi ci contesti sociali e culturali. Si tratta di un processo che non si sviluppa in modo lineare e progressivo, ma a macchia di leopardo e vede la compresenza di realtà e approcci analitici tra loro diversi.

Vizio o moda

Il consumo di sostanze psicoattive è un vizio o una moda. In questi casi il consumo è specifi co per alcune élite o in alcuni ambienti sociali. Nell’accezione più comune, il vizio è un’abitudine umana negativa, che spinge l’individuo a un comportamento nocivo normalmente ripetitivo. Tale comportamento può essere legato a un atteggiamento personale, dipendente da diversi fattori, o legato ad agenti esterni come il fumo, l’alcol o la droga.

La moda è imitazione di un modello dato e appaga il bisogno di un appoggio sociale, conduce il singolo sulla via che tutti percorrono, dà un universale che fa del comportamento di ogni singolo un mero esempio. Nondimeno appaga il bisogno di diversità, la tendenza alla differenziazione, al cambiamento, al distinguersi. (Simmel, 2003, pp. 483-485)

La moda, secondo Simmel, è ritmata dai motivi della imi-tazione e della distinzione, che una cerchia sociale trasmette in maniera verticale alla comunità. Tale analisi fonda implicitamente la defi nizione della moda come un sistema di cui è possibile parlare solo nella modernità, e in particolare nella modernità matura della società di massa, in cui la produzione delle merci è simultaneamente produzione di segni e di signifi cati sociali riproducibili serialmente. Il meccanismo di diffusione cade dall’alto verso il basso (dalle classi sociali agiate alle masse) e si estende poi orizzontalmente in quello della imitazione, per venire però subito rimpiazzato, in un nuovo ciclo, da quello della distinzione.

Dentro questa impostazione teorica l’uso di sostanze può essere letto sia come fenomeno di distinzione che come forma e ricerca di omologazione. Al pari delle altre merci, la droga produce anche

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signifi cati sociali che tendono a riprodurre comportamenti di imita-zione. Possiamo riprodurre schematicamente tale ciclo per adattarlo al percorso d’uso delle sostanze psicoattive, soprattutto quelle defi nite come illegali, nella sequenza distinzione/imitazione/omologazione/distinzione. Esemplare ed esplicativo appare il fenomeno della diffu-sione del consumo della cocaina, inizialmente appannaggio di élite, che si è diffusa gradualmente in tutti gli strati sociali, grazie anche all’immagine di partenza di «droga dei ricchi» (Pavarin, 2006a) impatto positivo nell’immaginario sociale. Va comunque rilevato che questo fenomeno può innescare percorsi tra loro diversi, non sempre ricon-ducibili allo schema proposto. L’uso di ecstasy, ad esempio, rimane limitato ai contesti del divertimento e quello di funghi allucinogeni si è diffuso solo tra gruppi di sperimentatori all’interno di specifi ci settori socio-culturali.