INDICE - liceofederici.edu.it · che derivano dal latino? Tantissimi. E' ancora una lingua...

40

Transcript of INDICE - liceofederici.edu.it · che derivano dal latino? Tantissimi. E' ancora una lingua...

INDICE

Editoriale

Sperimentar si può , di Luigi Pigolotti e Alessandra Costa PAG 1

Perché prendo 5 e non mi dispero di Maria Bonardi PAG 2

E se mi chiama ? Tanto prendo 5 di Lorenzo Catania PAG 3

Il vero motivo per cui ci danno 5 PAG 5

5 years of english di Giorgio Pruneri PAG 6

5 anni di Cristina Vecchi PAG 7

5 nella psicologia di Cinzia Poli

PAG 9

5 film da vedere di Elisa Indellicati PAG 11

5 ministri in politica, chi vorrei ? di Luca Gritti PAG 13

Gita in quinta di Claudia Pini PAG 15

The best of . I 5 migliori di Agata Hidalgo e Eleonora Vitali PAG 16

Don’t call me vanity monster di Agata Hidalgo PAG 17

5 in musica di Alberto Manenti e Diego Magni

PAG 19

Dr House e MR Sheperd di Giorgia Lodetti PAG 21

Quando incontrai la filosofia di William Signorelli PAG 23

Anche la matematica ha un suo perché di Laura Pagani PAG 24

APP - provo di Elisa Locatelli e Bianca Acerbis PAG 25

Pollicino dalle uova d’oro di Letizia Pallone PAG 26

Dove la storia non si ripete di R.S. PAG 27

Il coraggio dell’accogliere di Cristina Falsinisi PAG 28

Progetti internazionali PAG 29

Cinque parole… cinque poeti di Cristina Cortinovis PAG 31

Talvolta si sogna in versi di Luca Bressan PAG 33

La lente approda su Facebook con la pagina "scrivitrescore" dove troverete anche uno dei nostri articoli, scelto appositamente per l'inaugurazione.

Come ci si comporta di fronte all'ultimo dei giudizi brutti e all'anticamera di quelli belli, insomma, quando è il voto 5 a marcare i nostri test? Duplice è la reazione: è colto dalla disperazione il secchio-ne, che si sente sconfortato da quel voto che suona tanto come uno smacco; lo trova invece un buon trampolino di lancio l'alunno meno solerte, galvanizzato da quell'insufficienza non così grave. An-che se qualcuno, tempo fa, ci ha convinte del fatto che “non si studia per la scuola, ma per la vita ”, spesso è difficile svincolarsi da quel giudizio ed imparare per puro amore del sapere. Soprattutto ora, che la nostra esperienza da liceali ha i giorni contati, trascendere dal voto a pochi metri dal tra-guardo sembra quasi un rischio, dato che da esso dipende il nostro addio al Federici. Ecco spiegato il motivo per cui ci è sembrato doveroso dedicare l'ultimo numero a questa semplice cifra dalle mol-teplici sfumature. 5 come le dita, come i sensi, come le punte di una stella, ma anche come gli anni trascorsi al Liceo. Tale è infatti il tempo necessario per accompagnare un ragazzo durante il suo percorso dall'adolescenza alla maturità. “Adolescere”, in latino, ha come participio “adultus”: un buon adulto è tale solo se ha saputo conservare in sé la parte migliore della sua infanzia ed è riusci-to a sfruttare questo periodo tra i banchi per arricchirsi e maturare. Ma forse sono 5 anche perchè, proprio come il voto, questi anni si possono leggere in maniera più o meno positiva: persi o guada-gnati? Di certo ricchi di emozioni, tra delusioni e successi, pianti e grandi risate. Un consiglio che ci sentiamo di dare è di non considerare il liceo solo come una prigione, che ci obbliga ad interi pome-riggi di studio e sacrifici, perchè può rappresentare anche il miglior luogo di confronto e socializza-zione, uno straordinario ambiente di relazione con docenti e coetanei, perchè, anche quando il mon-do adulto sembra così lontano, ci rimane il nostro compagno di banco, che saprà farci da spalla lun-go questo percorso. Vivete la scuola interamente, senza limitarvi ad una passiva frequentazione del-le lezioni: socializzate, partecipate, non abbiate paura di mettervi in gioco. Come disse qualcuno: “ Non siate meteore che svaniscono in un secondo, ma cercate di lasciare un segno al vostro passag-gio”. Per chi, invece, è ormai approdato al triennio o chi, come noi, sta vivendo gli ultimi mesi, l'au-gurio migliore è che vi stiate godendo ogni singolo giorno. Studiare è indubbiamente un buon punto di partenza, ma ci sono 5 obiettivi che ci siamo poste e che sono, secondo noi, quel genere di tra-guardi o vicende che danno davvero senso ad un'esperienza.

Potete tenerli in considerazione, se vi va, siete ancora in tempo a provvedere.

1- “stay hungry, stay foolish”: imparare ad essere affamati della vita e della conoscenza, magari con un pizzico di follia, per sentirci davvero vivi;

2- prendere almeno un'insufficienza: le cadute sono necessarie per temprarci alle difficolt{;

3- “sapere aude”: avere il coraggio di conoscere, perchè è un continuo arricchimento;

4- avere fiducia in chi abbiamo accanto: le amicizie più belle nascono tra i banchi di scuola;

5- mettersi in gioco: vivere nell'oscurit{ non ci permette di brillare.

Infine, un Grazie alla Redazione di PiGreco e a questa scuola: abbiamo ricevuto molto più di ciò che abbiamo dato. Buona lettura!

Giorgia Lodetti e Cristina Vecchi.

EDITORIALE

COPERTINA A CURA DI ELENA BARBONI ED ELEONORA VITALI

SPERIMENTAR SI PUO’

Cari lettori, come ben sapete le classi quinte di quest'an-

no scolastico saranno le ultime appartenenti al vecchio

ordinamento, e dall'anno prossimo, tutte le classi appar-

terranno alla riforma Gelmini (legge 6 agosto 2008 n.

133), in vigore dall'a.s. 2010-2011. Questa riforma mirava

soprattutto ad una semplificazione degli indirizzi e ad un

taglio drastico della spesa statale. Per quanto ci riguarda,

nei licei circa 400 sperimentazioni sono state eliminate,

per ricondursi ad un totale di 6 licei: Liceo Classico, Liceo

Scientifico con opzione scienze applicate, Liceo Linguisti-

co, Liceo delle scienze umane con opzione economico-

sociale, Liceo musicale e coreutico, e Liceo Artistico . Gli

istituti tecnici sono stati ricondotti ad un totale di 11 indi-

rizzi, suddivisi tra settore economico e settore tecnologi-

co, e quelli professionali sono stati divisi in due macro

settori: il settore dei servizi ed il settore industria e arti-

gianato, il primo con 4 indirizzi, il secondo con 2. Nella

maggior parte dei 6 licei si studia l'inglese come unica

lingua straniera, per tre ore la settimana, dal primo al

quinto anno (abolita quindi la seconda lingua straniera al

liceo scientifico PNI fisica), fatta eccezione del Liceo delle

scienze umane opzione economico-sociale, nel quale si

studia anche una seconda lingua straniera al posto del

latino, e del Liceo Linguistico, nel quale si studiano 3 lin-

gue straniere. Inoltre sono state rafforzate le ore di mate-

matica, fisica e scienze al Liceo Scientifico. Una semplifica-

zione imponente, in effetti, se ci accorgiamo che le speri-

mentazioni dei vari indirizzi erano quasi 700. Ma la loro

abolizione è basata su un criterio economico, che punta

nell’istruzione, dato che si riducono le ore complessive di

insegnamento, e quindi il numero di insegnanti. Questi

tagli hanno dunque un risvolto positivo sulle competenze

e sulle conoscenze di noi studenti italiani? Portando ad

esempio il caso del Liceo Scientifico, il vecchio ordina-

mento prevedeva che fosse diviso in PNI fisica con studio

della seconda lingua straniera (spagnolo, tedesco, france-

se a scelta), PNI naturalistico (con un aumento delle ore

di scienze), PNI matematico, e PNI base. Ora tutte queste

suddivisioni sono state eliminate, e gli alunni del nuovo

Liceo Scientifico non studieranno più una seconda lingua

straniera, né tantomeno dovranno scegliere quale taglio

specifico dovranno dare al ad un taglio della spesa pro-

prio piano di studi. . Negare lo studio di una seconda

lingua straniera a nostro avviso è dannoso: conoscere l'inglese

è fondamentale, ma in quanto studenti non solo italiani, ma

anche europei, conoscere una seconda lingua quale lo spa-

gnolo è altrettanto importante. Infatti lo spagnolo é la secon-

da lingua parlata al mondo, dopo il cinese, oltre ad essere la

seconda lingua più usata nelle comunicazioni internazionali. E

ancora, eliminare lo studio della lingua latina dal Liceo Scienti-

fico - opzione scienze applicate e dal Liceo Scienze Umane -

opzione economico-sociale è stato un bene? Certo, il latino

potrà essere una lingua morta quanto volete, ma provate a

contare quanti vocaboli utilizziamo ancora nell'italiano parlato

che derivano dal latino? Tantissimi. E' ancora una lingua vivis-

sima. Impedire a questi ragazzi di conoscere il pensiero di

grandi autori, quali Seneca, Catullo, Lucrezio, Cicerone, Cesa-

re... Lasciare che scrivano status su Facebook senza sapere chi

siano i poeti che hanno scritto tali frasi celebri, come "carpe

diem" (Orazio) è stato così vantaggioso? Aumentare le ore di

laboratorio negli istituti tecnici senza che le scuole siano dota-

te di laboratori funzionanti, con materiali al passo coi tempi,

quanto può essere proficuo per gli studenti? Insomma, que-

sta riforma che prevedeva "Qualità e modernizzazione, stop

alla frammentazione, meno ore e più approfondimento,

"apertura al lavoro" raggiungerà i risultati sperati? C’è biso-

gno di molto tempo ancora per vederli. A nostro parere (e

non solo nostro), assolutamente no. I risultati non soddisfe-

ranno le aspettative ministeriali, in quanto i giovani che entre-

ranno nel mondo del lavoro, avranno alle spalle una prepara-

zione quadrata e standardizzata, che non permetterà loro di

avere una visione più ampia della realtà che li circonda; le ore

in piu' di matematica, fisica e scienze sono davvero svolte a

sperimentare? Sono davvero spese in laboratorio? Sono dav-

vero indirizzate al saper fare o invece ripetono l'eseguire?

L'apertura la territorio è reale? le aziende conoscono gli alunni

del Federici? E gli alunni del Federici conoscono le aziende?

Certo la nostra scuola fa molto in questa direzione, ma lo fa

per sua iniziativa e lo fa da molti anni. Bravo il Federici! Ma,

secondo noi, entrare nel mondo del lavoro sapendo fare un

lavoro e sapendo parlare una lingua straniera implica un lavo-

ro che la Riforma Gelmini non assolve e a cui non ha riposto in

maniera concreta.

Luigi Pigolotti e Alessandra Costa

1

Quanti studenti disperati vedo, dopo aver preso un

brutto voto? Quanti altri guardarmi con faccia stupita

poiché io non mi comporto in tal modo? Il mio non è

menefreghismo, non travisate. Sono sicura che una

persona non si misuri con un voto affibbiatole da qual-

cuno, ma con ben altre cose. Studio poeti che, una vol-

ta, comunicavano il bisogno di vivere attimo per attimo,

dal “carpe diem” di Orazio, alla “Canzona di Bacco” di

Lorenzo De Medici, che con la loro poesia volevano in-

fondere il messaggio, chiaro ed evidente, di non farci

sfuggire nessuna occasione. C’erano una volta e vorrei

che ci fossero ancora. Non sarà un’insufficienza a fare di

noi delle pessime persone, dovrebbe essere invece il

movente per spingerci a migliorare e ad applicarci di

più. I motivi di questo calo scolastico, poi, possono do-

versi a diverse cause, proprio per questo non temete!

Bisogna apprendere dagli errori ed imparare ad attutire

la caduta, risollevandosi e ripartendo da zero perche' se

non credete voi in voi stessi, sicuramente non lo fara'

nessun altro al vostro posto. Vedo tanti nostri coetanei

scoraggiati e delusi per non aver raggiunto il voto spera-

to nonostante abbiano passato le giornate ricurvi sul

medesimo libro. Sono io quella delusa! Si! Mi sento

frustrata da questi individui che fanno della scuola la

propria ragione di vita tralasciando i propri sogni e ab-

bandonandoli dentro un cassetto! Non avete ancora

capito che siete voi nel cassetto e i sogni stanno fuori?

Ragazzi, la vita è una e le insoddisfazioni, durante la

nostra esistenza, saranno ben differenti rispetto a quel-

le di prendere un'insufficienza nelle versioni di latino o

nelle disequazioni di secondo grado di matematica!

Vedo attorno a me ragazzi, che gareggiano tra di loro

per ricevere il migliore riconoscimento scritto su un

pezzo di carta, credendosi, una volta guadagnato, mi-

gliori rispetto ad altri. Io mi domando: se per raggiun-

gerlo avete dovuto sacrificare più del dovuto, quanto ci

avete guadagnato realmente? Non prefissatevi una

meta, non correte per raggiungerla solo perché vi è

stato insegnato che ciò che importa è arrivare il prima

possibile! È falso! Mentre corriamo sentiamoci liberi,

facciamo in modo che qualsiasi valutazione o approva-

zione esterna valga meno delle emozioni che sentiamo

mentre lo facciamo! Come dicevano i nomadi

PERCHE’ PRENDO 5 E NON MI DISPERO

“vivi, corri per qualcosa, corri per un motivo, che sia la libertà

di volare o solo per sentirti vivo”! Non vivete affinchè qualcu-

no vi dica che la vostra vita ha un senso, ma vivete affinchè

voi stessi possiate scoprire il senso della vostra esistenza. Non

pensate solo all’apparire! L’unica cosa che conta è quello che

siete dentro, non quello che rappresentate! Sognate! Sognate

e smettetela di vergognarvi dei vostri sogni, cosicchè i vostri

sogni la smettano di rendervi ridicoli. Nessuno ha il diritto di

valutarvi se non voi stessi! Siamo unici, io sono unica, tu sei

unico, non facciamoci abbattere da pregiudizi superficiali che

ci vengono propinati! Voi, come individui, valete di più! Io

voglio sentirmi libera di essere me stessa, poiché la libertà,

vedete di non dimenticarlo, è un DIRITTO naturale dell’uomo!

Non è una prova orale o scritta a definirci, siamo noi gli unici

che abbiamo questa priorità. Non sottovalutatevi, non senti-

tevi migliori o peggiori di nessuno in base ad un voto, non

incentrate la vostra vita solo su questo. Siate il meglio per voi,

coltivatevi, non vivete nello stereotipo di dover sottostare per

forza a qualcuno o che ci sia una figura più autorevole di voi

per voi stessi. Non mettetevi una maschera per conformarvi

alla società attuale, non diventate ciò che non siete; Non cam-

biate se non ne sentite il bisogno e in caso ne sentiste, siate

liberi di cambiare quante volte credete sia necessario perché

dentro, come diceva Walt Whitman, siete molteplici! Siate

persone e non personaggi! Ma ricordate, voi siete la cosa più

importante, certa e indubitabile che avete! E venga il cinque

se insegna qualcosa su di me. Abbasso il cinque se mi umilia.

Maria Bonardi

2

E SE MI CHIAMA ? TANTO PRENDO 5

“Tanto prendo 5”. Celeberrima

frase retorica dello studente, a

qualsiasi categoria di alunno egli

appartenga. Tutti la pronunciano,

tutti rispondono, con parole, o fat-

ti. Ma quali sono questi tipi di stu-

denti? E come rispondono?Ci sono

quelli che “Tanto mi basta un sette

per recuperarlo”, ovvero gli sprez-

zanti del pericolo, i superficiali, per

definirli: i discreti. La loro presenza all’interno

dell’aula spicca per qualità intellettuali, più precisa-

mente dialettiche; cinque, forse, sono i minuti di fila

che riescono a stare in silenzio. Comunque sono gli

studenti ordinari, quelli a cui non piace la scuola e

nemmeno studiare. Ma si applicano comunque, alter-

nando periodi di impegno doveroso a menefreghismo

soporifero, di cordiale altruismo a pragmatismo egoi-

sta, e raggiungono risultati buoni non senza difficoltà.

Da notare la loro componente gioiosa, che rende il

gruppo più familiare. C’è poi chi risponde facendo

spallucce: il lavativo o “Italiano Medio”, per citare il

regista di cortometraggi Maccio Capatonda. Costui è

quello che viene (quando viene) solo per fare presen-

za, e quello la cui presenza abbassa il livello di serietà

e conseguente attenzione della classe. Non fa perve-

nire il suo interesse verso gli studi, ma forse solo per-

ché è un buon attore…Spesso sabotatore di se stesso,

non mostra rilevante responsabilità e maturità. E’ ve-

ramente il tipo di persona che “Ha le capacità ma non

si applica”, snobba la scuola per scelta, ha altri inte-

ressi al di fuori di essa. Ed è l’elemento che allieta

maggiormente le giornate con battute di spirito,

scherzi (a volte decisamente insopportabili e snervan-

ti come un martello pneumatico), una occasionale e

mordace ma tempestiva simpatia e schietta irriveren-

za, nonostante sbagli un congiuntivo sì e l’altro pure.

Come non parlare poi di loro, loro che il 5 non lo ve-

dranno e non l’hanno visto mai in vita loro:

i secchioni viziati. Pensate

ci sia solo un tipo di sec-

chione? Vi sbagliate. Sono

diversi. Sono tra voi. E non

sono per forza le cozze

storpie che tutti credono.

Attenti. Possono conta-

giarvi. E’ una guerra: sono

armati di block notes, bu-

ste trasparenti, correttore,

e rigorosamente ed esclusivamente penne bic nere,

con le quali ti infilzano come lance gladiatoresche

quando fai loro qualche dispetto. E se tendete

l’occhio, sono l’uno in competizione con l’altro. Pure

a 19 anni. L’eremita, quello che tutti affermano non

abbia vita sociale o che non abbia mai intrapreso re-

lazioni con il sesso opposto tranne che con Freddie, il

loro orsacchiotto, si scontra con l’essere peggiore: il

competitivo. Soldato mercenario prussiano, gode

della sconfitta altrui, del mezzo punto in meno

dell’avversario, e si mangia il fegato quando tocca a

lui. La bile gli sale e gli corrode il 9 quando i professo-

ri mettono in luce la bravura di un altro che non sia

lui davanti al resto della classe. Entrambi studiano

ore ed ore al giorno, come animali randagi in cerca di

selvaggina. Delle spiegazioni non si perdono manco la

grattata di capelli unti del professore di arte; se lo

annotano su quel quadernone e contano il numero di

capelli persi. Talvolta odiosi e meschini, non suggeri-

scono, non passano mai appunti e non danno mai

una spiegazione, si battono solo ed esclusivamente

per se stessi. Non temete, il cinque potrebbe essere il

loro numero civico, mera coincidenza, ma nemmeno

nella data di nascita compare.Il quarto tipo di studen-

te non risponde all’affermazione retorica del “Tanto

prendo 5”, no, lo fanno i compagni per lui, riempien-

dolo di insulti e imprecazioni che vanno contro le leg-

gi della buona civiltà. Costui è il “paraculato”.

3

”. Si guadagna l’odio e l’invidia dei compagni, secchio-

ni compresi, non tanto perché dopo aver ipocritamen-

te annunciato di non aver studiato un’emerita mazza

(come per farsi appositamente compiacere) prende 8,

ma quanto per la sua inspiegabile e spiccata tendenza

ad imparare tutto in un’ora sola di studio. E’ conside-

rato anche ‘il genio’, ma solo nelle sue materie, quelle

per cui eccelle, senza secchioni che tengano. E’ dota-

to, c’è poco da fare. Lo si riscontra prevalentemente

all’indirizzo sbagliato, poiché vi è quello che allo scien-

tifico sa in che anno sono stati coltivati per la prima

volta ceci e fagioli in Kazakistan, e quello che al lingui-

stico risolve logaritmi tenendo la matita nell’orecchio.

E’ spavaldo e tranquillo, impavido, ma a volte troppo

superficiale, e infatti quando prende 5 è costretto a

rincorrere la sufficienza come uno che ha appena ru-

bato il portafogli ad Usain Bolt.Infine c’è l’ultima spe-

cie di alunno: l’alieno, o più dolcemente ‘il passionale’.

E’ senza dubbio il migliore, ma resta mostruosamente

appartenente ad un pianeta sconosciuto all’essere

umano. Studia tutto, ansiosamente e costantemente,

fino all’iperventilazione, riprendendo più volte al gior-

no in mano gli appunti fino a consumare i fogli, e a

farsi venire spasmi muscolari causati dal continuo ri-

petere le lezioni andando avanti e indietro per la stan-

za e gesticolando freneticamente: tutto questo per

non sbavare mai ed essere incerto. Adora andare a

scuola, è bravo in ogni materia, è fenomenale in qual-

cosa in particolare, in stile bambino-prodigio.

. E’ sempre attento. Prende minuziosamente gli ap-

punti su mille fogli e post-it sparsi, ma che ha sempre

inspiegabilmente in ordine in raccoglitori colorati,

scritti fitti e cosi in piccolo da poterli studiare solo in

laboratorio con il microscopio. Studia fino al consueto

mal di testa serale. Nella classe è il leader, quasi sem-

pre il rappresentante, e quando c’è da battersi per

qualsiasi causa che sia giusta e che vada a vantaggio

del bene comune, è in prima linea. È rispettato, amato

e stimato da compagni e professori, con cui intrattie-

ne a volte udienze universitarie come docente. Altrui-

sta e sempre disponibile a ripetizioni con chiunque, ha

la passione per la scuola, per le materie che deve stu-

diare. Ne è certo, tutto questo gli servirà nella vita e lo

renderà migliore, è la base su cui costruire il suo futu-

ro. Dice “tanto prendo 5” non per ipocrisia, ma perché

nemmeno lui si accorge di quanto è bravo. È più ma-

turo e responsabile della sua età Alla fine del liceo

sarà già uomo/donna in carriera, con la strada spiana-

ta. Premio Nobel per la pace.Comunque sia tutti, in

qualche modo, ce la caviamo di fronte a un 5, e ce la

caveremo anche alla fine dell’anno. Non abbiamo il

dono della voglia di studiare, ma siamo nel fiore

dell’età ed abbiamo furbizia e fortuna per pianificarci

la salvezza spirituale dal carcere scolastico. NB: Atten-

zione, compagine di struzzi permalosi: la finalità

dell’articolo è solo quella di provocare qualche sorriso

e alimentare la leggerezza di tutti, avvicinandosi un

periodo difficile come quello degli ultimi mesi di scuo-

la; una riflessione morale potrebbe risultare controin-

dicata.

Lorenzo Catania

4

IL VERO MOTIVO PER CUI CI DANNO 5 INTERVISTA IMMAGINARIA (MA NON TROPPO ) DI UN ALUNNO AD UN PROF. IMMAGINARIO

(MA FORSE NON TROPPO, NEMMENO LUI)

Salve profe, è pronto per l’intervista?

Io sono nato pronto (buttandosi indietro il cappello, allo-cando con disinvoltura una sigaretta – spenta, perché vige il divieto di fumo nei locali pubblici - all’estremo angolo destro della bocca e sfoggiando un sorriso a 32 denti de-gno del miglior Matt Damon – peraltro facendo così mise-ramente cadere la sigaretta in terra, con risa di tutti gli astanti…- n.d.r.).

Guardi che la metterò alle strette.

Nessun problema: io lo faccio sempre, con te, nelle inter-rogazioni.

Ecco, appunto, la materia di questa intervista sarà pro-prio questo: brutti voti alle verifiche e alle interrogazioni.

Capita.

Sì, ma perché? Perché mi dà cinque?

Perché non hai studiato, per esempio?

Eh vabbè profe, non la metta giù sempre così dura … anche a lei sarà capitato, da giovane, di non studiare…

Certo che è capitato anche a me. Ma questo non è un buon motivo per non darti cinque, o anche meno. E co-munque, lo sono ancora, giovane.

Va bene, abbiamo capito. Il solito discorso del “sono qui per questo, la valutazione non l’ho inventata io, è sem-pre stato così, fa parte della scuola” e via di questo pas-so. Tutte cose che sappiamo già. Non avete davvero niente di nuovo da dire. E poi, cosa ci guadagnate? Se ci date sei, non è meglio per tutti? Io sono contento, e lei non mi insegue per i corridoi per interrogarmi per il recu-pero, non ha da preparare le verifiche per gli insufficien-ti, ha meno da correggere… non è meglio anche per lei?

Sarebbe meglio sì, se fosse leale. Periodo ipotetico dell’irrealtà.

Leale? Che c’entra la lealtà? Io sto parlando di brutti voti.

Anch’io.

Profe, ma lei parla di leale e sleale. Io di brutti voti e va-canze, mi spiego?

Eccome. E ribadisco: se fosse leale darti sempre sei, te lo darei. Ma non lo è; dunque se meriti meno ti darò meno. Non è tanto complicato: io valuto quel che sai su un argo-mento, non ti pare? E se non raggiungi la decenza minima,

ti dovrei dire che va bene?

Perché no?

E perché mai? Se io mento sulla tua preparazione indecente e la classifico decente, tu cosa ci guadagni?

Le vacanze, per esempio. Il motorino nuovo, se sono pro-mosso.

Ti bastano vacanze e motorino, o vuoi qualcosa in più dalla tua esistenza? E guarda che non intendo villa con piscina…

Eh profe, lei la sta buttando sul filosofico… sta a vedere che adesso mi dirà che darmi cinque è salutare…

Se ti serve per farti capire che non hai studiato abbastanza, oppure non hai studiato nel modo corretto, o se ti faccio pen-sare al fatto che non sei perfetto come credevi di essere, secondo te è salutare o no?

Beh, sì, in effetti talvolta serve. Ma è comunque un cinque…

Questo strumento ho, e questo uso. Capirai bene, credo, che lo scopo non è il cinque. Il cinque, il sei, il sette, perfino le discipline che insegno … sono dei mezzi.

E lo scopo?

Una mamma una volta mi disse: educare significa renderli autonomi, farli pensare. Non ti pare uno scopo sufficiente?

Ma era una mamma, non un insegnante…

Vero. Ma insegnare significa “lasciare il segno dentro”: mi pare sia una cosa parecchio impegnativa, e ben diversa da “dare un voto”. Voglio dire che il mio mestiere non è solo quello di valutarti, ma quello di contribuire a renderti auto-nomo, a farti pensare. Se ti dico che va sempre tutto bene, ti aiuto in questo?

Credo di no. Anche i miei spesso dicono di no alle mie ri-chieste… talvolta non capisco, sul momento. Poi, dopo qual-che tempo, magari capisco. Di solito, quando capisco, condi-vido. Però, anche quando non capisco, mi fanno pensare…

Ecco, appunto. Ti fanno pensare con i no. Sono strumenti anche quelli, per uno scopo.

Va bene, profe, ma i miei mi vogliono bene.

Appunto. Ti vogliono bene e, per il tuo bene, talvolta sanno dirti di no. E talaltra di sì, sempre volendoti bene.

Eh no, profe, così non vale… se continua in questa direzione si deve concludere che lei mi dà cinque perché mi vuole bene…

Se lo dici tu, sarà vero…

5

5 YEARS OF ENGLISH

Learning a foreign language is undoubtedly a complex and de-manding process. In fact, whate-ver language you study, it takes a lot of time to master it.

Personally I began studying En-glish when I was in the third year at primary school. In the first ye-ars it was a subject like many o-thers for me, I was not very inte-rested in it. But after the end of the second year at middle school I went to England for a study tour. Although it lasted only two weeks, it completely changed my relation with English and it has been my favourite subject ever since.

During the first two years at high school the lear-ning was mostly based on grammar. In fact, if you want to understand a written text, you must know the main grammar rules. Anyway, we also have watched a lot of films since the first year. Wa-tching films is very useful because it improves va-rious skills: it improves your listening skill and by watching the film with subtitles you come across a lot of words you don't know. In the third year we began studying literature.We don't study literatu-re in the first year because in order to compre-hend a literary text you must know well all the most important grammar rules. In my opinion the teaching of english at my high school is good and I'm satisfied with the study of english during these five years.However, studying english in class is not sufficient to learn it well. Therefore we have to practice a lot at home as well. It is important to strengthen all the skills, it's no use being good at reading if you don't understand a single word when someone speaks. It's also very important to speak in english a lot, even if it could be difficult to find somebody you can chat with. In fact, if you are not good at speaking you don't manage to show off all your knowledge of the language.

So a brief list of sugge-stions:

at home practice english doing activities you like. For example, nowadays the youth li-sten to a lot of english music, being it very ac-cessible;

listen to people with different accents and in different contexts because the way of spea-king varies according to situation. For instan-ce, I find more difficult to understand a film than a documentary or the news.

be always curious and when you read a word you don't know find out its meaning at once. I use a lot dictionaries, in fact I've used so much my bilingual dictionary that now it is completely worn out. Now I tend to use mo-re the monolingual dictionaries because the meaning of the words is explained minutely making you understand shades of meaning you would hardly get on the bilingual dictio-nary.

By practicing regularly you will notice great improvements and that will be very thrilling and you will fall in love with the language as I do.

Giorgio Pruneri

6

5 ANNI Ad un certo punto, senza nem-meno rendersene conto, le ore di sole iniziano a moltiplicarsi, l'aria si fa frizzante, il cielo ter-so e l'ultima campanella suona. A 19 anni è così: quando so-praggiunge l'estate, si vorrebbe che dell'anno trascorso non rimanesse nulla. Tutte le infor-mazioni apprese, i libri letti, i compiti, i voti, le discussioni e i pianti dovrebbero conglobarsi in una bolla e volare via, la-sciando libero spazio a quei mesi di spensieratezza e relax. Ma è risaputo: le bolle sono delicate e, per quan-to possano provare ad opporre resistenza, prima o poi si infrangeranno, liberando, come in una sorta di vaso di Pandora, tutto il caos contenuto. Quei duecento giorni, che sembravano al sicuro, a debita distanza dalla men-te, tornano improvvisamente a infilarsi tra i pensieri. E non ci si può esimere dal farci i conti. I ricordi riaffiora-no pian piano: sembrano innocui e insignificanti, ma scavano in profondità; lasciano un segno. Il mio punto di partenza è il ricordo di una frase: “da un viaggio si torna sempre cambiati. Qui inizia il vostro. Al termine non vi riconoscerete, ve lo assicuro”. 5 anni che mi han-no stravolto la vita. Ecco cos'ho imparato.

Ho imparato a rialzarmi, innanzitutto. E questo solo gra-zie a molte cadute. Nella vita si casca, ci si ferisce, si va in crisi. Si comincia da bambini quando, dopo il giroton-do, si mira al pavimento, e sono risate. Crescendo, ci si accorge che, in fondo, tutta la nostra esistenza è proprio come in quel gioco: si cade e ci si rialza. Può sembrare meno divertente, ma è una bella occasione. Prima di tutto perché il mondo visto da terra offre tutta un'altra prospettiva, che ci apre a cose mai viste. E poi perché, a terra, la condizione è meravigliosa: non si può più aver paura di cadere perché il fondo lo si è già toccato; non c'è altra alternativa che raccogliere le energie e ritrova-re in sé la forza che ci assista nella risalita. Elementari e medie da prima della classe o giù di lì. Non vuole essere una giustificazione, ma credo sia proprio questa la con-dizione che ingigantì il mio ego. Ed ecco che, quando fu il momento di scegliere, a cuor leggero, misi il mio nome sotto alla dicitura: “liceo classico Paolo Sarpi””. Qualche

mese dopo, ai primi di settembre me ne andavo in

Alta sulle note di “California” dei Phantom Planet: dava l'idea della colonna sonora ideale per un cambiamento così radi-cale. Ricordo ancora gli stu-denti in Piazza Rosate tutti agitati, con i loro zaini, che confidavano i loro timori ai genitori. Io no. Io ero sicura che sarebbe stato un suc-cesso: la scuola era una certezza nella mia vita.

Poteva andare tutto a rotoli, ma ero certa che, alme-no nei voti, avrei trovato una consolazione. . Quell'anno, invece, è stato inaspettato: le versioni iniziarono a non vedere mai la sufficienza, materie che fino all'anno prima consideravo punti di forza iniziarono a essere marcate da brutti voti, il miraggio della bocciatura, che fino all'anno prima non avevo mai nemmeno preso in considerazione, iniziava a di-ventare un'ipotesi non così lontana. E la mia psiche ne uscì letteralmente a pezzi. Lì, però, iniziai a vedere una cosa che prima non avevo mai notato: quanto possono fare le persone che si hanno accanto. Avevo pessimi voti, ma non mi hanno mai lasciata sola a piangere né a gioire di quei pochi successi: non li rin-grazierò mai abbastanza... Arriva giugno, finalmente: dopo giorni di ansia, mi comunicano che sono stata rimandata, con tre materie. Avevo quasi vergogna ad uscire di casa: non volevo si sapesse che Cristina Vec-chi, che era sempre stata considerata una "brava" aveva subito questo smacco. Quell'estate è stata im-pegnativa. Ma, come dire, è stata un successo: vede-re dei 10 marchiare compiti di recupero è stata una delle gioie più grandi. Il mio ego era a pezzi, ma io ero tornata a credere in me. Poi la scelta del Federici e quella di proseguire con il Liceo classico; in fondo non avevo dubbi: io quella scuola l'ho amata fin dal primo giorno. Per la prima volta non la scelsi per il nome, ma perché sentivo che cambiando indirizzo avrei compiuto un grave errore, di cui mi sarei sempre pen-tita. Giunta qui, speravo di "vivere di rendita": pensa-vo, dopo un anno di Sarpi, di potermi considerare temprata a tutto. E invece no, l'impegno necessario si dovette moltiplicare, perchè quella era la mia

7

"seconda ed ultima possibilità”. E' stato un percor-so con alti e bassi, tante volte ho dovuto raccoglie-re tutte le mie forze per credere ancora in me, ma, guardandomi indietro, sono soddisfatta.Ho impara-to che quanto uno è non equivale a quanto uno sa e che non c'è persona più intelligente di chi propina il proprio sapere con discrezione, senza ostentazio-ni o manie di protagonismo. Qualche anno fa era così: mi beavo di questa mia presunta cultura, cre-dendo che un linguaggio più forbito e voti più alti dessero alla mia opinione una validità maggiore rispetto a quella delle persone che avevo accanto. C'è voluto tempo, innanzitutto, ma anche la possi-bilità di confrontarmi con tante persone: tutto ciò che si impara, è solo un piccolo tassello da aggiun-gere al nostro bagaglio culturale; ma la differenza tra chi davvero vale e chi invece rimarrà sempre un mediocre, non sta nelle nozioni, ma nell'uso che di esse si fa. Ed è così che, dal mondo del liceo, esco molto arricchita, culturalmente parlando, ma anche con la convinzione che l'umiltà sia sempre carta indispensabile. Ho imparato ad apprezzare i viaggi in pullman: in questo mondo frenetico, quei sedili impolverati restituiscono il tempo per pensare che, altrimenti, non si troverebbe. Ho imparato che ciò che ti danno le persone non si trova in nessun libro e in nessun manuale: trascurare chi si ha accanto per inseguire i propri obbiettivi è sbagliato. E' giu-sto metterci il cuore, l'anima, tutto l'impegno possi-bile. Ma ricordarsi anche che, se i nostri progetti non dovessero andare in porto e agli occhi del mondo fossimo dei falliti, l'avere qualcuno che ci ama farebbe di noi, in ogni caso, delle persone di successo. E, al contempo, perdere la vita in studi e letture non ha alcun senso, se poi non si cerca di cogliere quello che può darci chi si trova accanto a noi.

Esistono percorsi scolastici che paiono perfetti: un rendimento sempre impeccabile, una motivazione personale altissima; un perfetto equilibrio con se stessi e con gli altri. Riavvolgendo il nastro, non ve-do nulla di tutto ciò. Anzi, lo sconforto e la sensa-zione di “non farcela” sono i caratteri peculiari di molti periodi. Se, però, inizio a guardare con più attenzione in questa pellicola dei miei cinque anni, vedo soprattutto momenti bellissimi. Vedo la gita a Roma, l'urlo prima delle verifiche, le nottate di stu-dio che hanno portato a risultati soddisfacenti. Ve-do le bidelle che ogni mattina mi salutano con il sorriso. Vedo tante persone. Chi mi ha insegnato

che chiudersi in un guscio e credere che la vita si svolga so-lo all'interno del perimetro del proprio orticello è quanto di più sbagliato si possa pensare, perchè ovunque, aiutando gli altri, si aiuta soprattutto se stessi. Chi ogni mattina mi guarda negli occhi scesa dal pullman ed è un incoraggia-mento reciproco a varcare la soglia, perchè bastano cinque ore a ricordare che “è solo un voto”. Chi mi ha insegnato la bellezza della poesia e mi ha sempre ritenuta, probabilmen-te, più intelligente di quanto in realtà non sia, ma è comun-que un onore. Chi non ha mai perso un'occasione per far sorridere l'intera classe, soprattutto quando il clima era ghiacciato e chi, ma è comunque un onore. Chi non ha mai perso un'occasione per far sorridere l'intera classe, soprat-tutto quando il clima era ghiacciato e chi, con la propria spontaneità e la sua aria “strafottente”, mi ha fatto pro-gressivamente comprendere che, prendersela tanto, non ha alcun senso. Chi, nonostante la prima impressione non fosse stata delle migliori, ha deciso di approfondire la cono-scenza, e io mi son scoperta insieme a lei. Chi, fin dal primo giorno, mi è sempre stato accanto e non mi ha mai lasciata. Chi mi ha arricchita con quello che sapeva e chi alle 3 era online su whatsapp e ci si faceva forza a vicenda. Chi, la sera, aveva sempre tempo per una chiamata, così si stava meglio entrambe e non ci si sentiva mai sole. Chi mi ha mo-strato quanto sono sbagliati i pregiudizi e chi ho avuto mo-do di rivalutare mille volte, ma in fondo l'opinione che ho è migliore di quella che abbia di me stessa. Chi ha avuto il coraggio di cambiare la propria vita e mi ha incoraggiata, pur inconsciamente, a fare altrettanto; chi ha avuto fiducia e si è raccontato. E ancora: chi mi ha fatto amare la propria materia e chi mi ha sbattuto tutti limiti davanti agli occhi; chi mi ha mostrato che non c'è vita più bella che alzarsi ogni mattina con la convinzione di amare ciò che si fa.

Ognuno di noi si inserisce con la sua storia personale e uni-ca nella storia del mondo, della società e del tempo in cui vive. Prendiamo parte a quel flusso inesorabile che è il dive-nire e, per questo, sentiamo la necessità di lasciare un se-gno al nostro passaggio. Gli eroi Greci volevano raggiungere la gloria per non essere dimenticati, i poeti scrivevano per eternare se stessi e chi avevano accanto. Tutti sentono il bisogno di essere ricordati, se non altro per sapere di esser-ci. Me ne vado da questa scuola con un bagaglio di insegna-menti che mai avrei immaginato, ma anche con una speran-za: aver lasciato un segno in chi avevo accanto. Per il resto, ho solo la convinzione che sia stata la cosa migliore che po-tesse accadermi.

Cristina Vecchi

8

IL 5 NELLA PSICOLOGIA

Quando mi è stato proposto di fare un articolo che collegas-

se il numero cinque agli studi psicologici, non subito sono

riuscita a pensare dei possibili collegamenti. Solo in un se-

condo momento ho trovato molte idee o come le chiamiamo

noi del socio, tanti “insights”, tanto che ho dovuto per giunta

farne una selezione.

Il cinque e il gruppo

Secondo gli psicologi il cinque è il numero ideale di membri

per formare un gruppo di lavoro. Cinque persone infatti non

formano un’ equipe particolarmente ampia e dispersiva e

non consente quindi, situazioni di emarginazione e di sper-

sonalizzazione. Essendoci un numero dispari di componenti,

non c’è il rischio di cadere in un punto morto, poiché c’è

inevitabilmente la garanzia della presenza di una maggioran-

za. Questi gruppi sono solitamente i più produttivi e quelli

che recano maggiori gratificazioni.

Sviluppo psicosessuale

Secondo Freud l’uomo possiede due tipi di pulsioni impre-

scindibili: di vita, sessuale(eros) e di morte(thanatos). Que-

ste pulsioni accompagnano gli individui fin dalla più tenera

età e si sviluppano in diverse fasi. La pulsione sessuale, in

particolare, si articola in cinque stadi e se questa evoluzione

presenta eventuali problematiche, queste possono essere

causa di patologie sessuali in età adulta.

Fase orale(primi 18-24 mesi): in questo stadio i bambini

provano piacere nell’esplorare ciò che li circonda

attraverso l’utilizzo di bocca, lingua e labbra, le qua-

li diventano le loro zone erogene.

Fase anale(18-36 mesi): il bambino trae appagamento

nel controllare autonomamente i propri sfinteri.

Fase fallica(3-6 anni): il bambino riconosce la propria

appartenenza ad un sesso, le pulsioni libidiche si

spostano verso la regione genitale ed avviene una

sorta di “innamoramento” verso il genitore di sesso

opposto (complesso d’Edipo per i maschi e di Elet-

tra per le femmine). il desiderio sessuale verso il

genitore termina con lo sviluppo del Super-io, ossia

con la coscienza morale per lo più inconscia.

Fase di latenza(fanciullezza): stadio in cui è assente

ogni forma libidica. È in questo momento che si

formano gruppi di bambini dello stesso sesso, per poter

quindi sviluppare rapporti amicali e di socializzazione

oltre che permettere la focalizzazione su attività che

caratterizzano questa età, prima tra tutte la scuola.

Fase genitale(dalla pubertà): momento in cui gli impulsi

sessuali si ripresentano permettendo agli individui di

iniziare la socializzazione con il sesso opposto.

DSM

È nel maggio dell’anno scorso che è stata pubblicata la quinta

edizione del manuale diagnostico statistico dei disturbi men-

tali. La prima edizione risale dal 1952 e fino ai giorni nostri ha

subito molteplici modifiche. Nella terza edizione del 1978 per

esempio, l’omosessualità non è più considerata una malattia

mentale e solo nelle ultime due edizioni sono state aggiunte

malattie quali il morbo di Alzheimer, l’anoressia, la bulimia e

la dipendenza da internet.

Comunicazione disfunzionale

A volte ci stupiamo di quanto le parole che noi stessi o gli altri

pronunciamo influenzano la nostra visione della realtà che ci

circonda e quella di noi stessi. È importate creare relazioni

basate su coerenza ed onestà, anche se non mancano i casi in

cui è l’errata tipologia di comunicazione a dar vita alla patolo-

gia. Le disfunzionalità possono essere:

Inibita: predomina il silenzio di parole e di affetto

Eccessiva: la reale comunicazione è coperta da superfi-

cialità e nel dialogo è assente la capacità di ascolto

Incongrua: comunicazione verbale e quella non verbale

esprimono messaggi opposti, cosa che può accadere

quando un messaggio triste viene espresso con risa.

Se questa tipologia di scambi è frequente nel rappor-

to con i bambini, può dar vita a mutismi, confusione

e nei casi più gravi può essere causa dell’insorgenza

di nevrosi.

Dislocata: la reale comunicazione è espressa dal nostro

corpo, non dalle nostre parole(somatizzazione)

Deviante: tutti gli scambi avvengono attraverso la figura

di un centralinista che funge da portavoce di chi par-

tecipa alla comunicazione, parlando a posto loro. Ciò

non garantisce la formazione dell’autostima e della

propria fiducia in chi viene ammutolito.

9

a posto loro. Ciò non garantisce la formazione

dell’autostima e della propria fiducia in chi viene ammutoli-

to.

Stili educativi

Nelle relazioni asimmetriche educative quali quelle tra

genitore-figlio, insegnante o allenatore – alunno, si

possono osservare diverse tipologie di approcci:

Autoritario: le regole vengono impartite senza

spiegazioni, non si tiene conto dei bisogni e

inclinazioni degli educandi, si utilizzano mec-

canismi coercitivi indirizzati a plasmare a pro-

pria immagine, non c’è comunicazione a due

vie. Le reazioni a questo stile può sfociare in

scarsa autostima o atteggiamenti aggressivi.

Permissivo: non guida nelle scelte, è poco coeren-

te,tende a soddisfare ogni desiderio e spesso

gli educandi diventano più inclini ad avere

scarso controllo ed a comportarsi con aggres-

sività.

Trascurante: non c’è preoccupazione né controllo

per l’educando, non tiene conto delle emozio-

ni, non vengono fornite regole. Ciò può provo-

care l’insorgenza di devianze.

Iperprotettivo: non viene lasciato spazio

all’autonomia, l’educando viene soffocato e

non ha le basi per gestire la realtà che lo cir-

conda, è incapace di orientarsi da solo.

Autorevole: è lo stile migliore. Presenta un’elevata

accettazione, un alto controllo, reciprocità,

conosce e rispetta gli stadi di sviluppo, c’è

empatia ma non approva i comportamenti

sbagliati, valorizza parole e sentimenti.

L’educando risulta fiducioso di se stesso, re-

sponsabile e cooperativo.

Fasi dello sviluppo linguistico secondo Brown

18 mesi: il bambino produce olofrasi, ossia pronuncia

una o due parole che sottintendono una frase inte-

ra.

2 anni e mezzo/3: il bambino sovrageneralizza le rego-

le, per esempio dicendo aprito invece di aperto.

3 anni e mezzo: avviene la comparsa del “no” e del

pronome “io” per affermare le proprie volontà.

Iniziano a capire la differenza tra frasi passive ed

attive.

4/5. Appare la capa-

cità di creare frasi

proprie, create da

espressioni già note

e di utilizzare la con-

giunzione.

I sensi nel neonato

Olfatto: ha par-

ticolare

importanza

nel ricono-

scimento

ed attacca-

mento con la madre e nelle prime interazioni sociali.

Le sensazioni olfattive sono profondamente collegate

al nostro sistema limbico, struttura che regola le e-

mozioni e ci permette di ricordare e associare gli odo-

ri percepiti anche durante l’infanzia a situazioni emo-

tive intense.

Udito: durante lo stato fetale il bambino sente e ricono-

sce la voce della propria madre ed una volta nato,

ricordando questi stimoli, riesce a sorridere più facil-

mente in relazione ad essa che a quella di un estra-

neo.

Gusto: riesce a distinguere i vari gusti. Preferisce succhia-

re soluzioni dolciastre che amare o acide.

Vista: riesce a distinguere le forme degli oggetti se queste

non superano i 15-20 cm di distanza. Preferisce sof-

fermare lo sguardo su forme curve che rette. Solo

durante l’ottavo mese riesce a distinguere i volti delle

persone di riferimento e verso gli estranei nutre sen-

sazioni di paura (angoscia dell’ottavo mese).

Tatto: fin da quando il bambino viene a contatto con il

liquido amniotico e con i tessuti della cavità uterina,

riesce a sviluppare questo senso. Il tatto è la maggio-

re via di soddisfazione del neonato; attraverso il tatto

può consolarsi ed esplorare il mondo.

Cinzia Poli

10

5 FILM DA VEDERE

Ragazze Interrotte “Avete mai confuso un sogno con la vita? O rubato qualcosa pur a-vendo i soldi in tasca? Siete mai stati giù di giri? O creduto che il vostro treno si muovesse e invece era fermo? Forse ero pazza e ba-sta, forse erano gli anni '60 o ma-gari ero solo una ragazza, interrot-ta.” Così si apre la scena iniziale del film “Ragazze Interrotte”, sulle note della splendida “Bookends Theme”, di Simon & Garfunkel. Diretto da James Mangold e pro-dotto negli Stati Uniti nel 1999, questo film è tratto dall’ autobio-grafia della scrittrice Susanna Ka-ysen “Girl, Interrupted”. Susanna (Wynona Rider) è una ragazza fragile e particolarmente sensibile, conti-nuamente in fuga da una società cui si sente estranea e nella quale non riesce a inserirsi mai completamen-te; una società e una famiglia che sembrano non ave-re spazio per qualcosa che vada oltre limiti e scaden-ze. Consumata da un senso di vuoto, di solitudine e di paura si ritrova incapace di comunicare con il mondo, un mondo troppo impegnato ad assegnare posti di lavoro e dare grandi feste, nelle quali tutti fingono di essere grandi amici, senza mai però condividere nient’altro che dialoghi e osservazioni superficiali. Susanna si rannicchia nel suo dolore, lo sopprime dentro di sé, in un luogo ‘sicuro’, dove però nessuno può raggiungerla e nel quale lei stessa, ormai, fatica a ritrovarsi. Rinchiusa in un ospedale psichiatrico, il “Claymoore”, incontrerà altre ‘ragazze interrotte’, così diverse, ma così profondamente simili a lei, insie-me alle quali cercherà di ricomporre i frammenti della propria identità. Un film che sfiora delicatamente, senza essere lacri-mevole, ma che è anche ironico, per spezzare la ten-sione drammatica.

Moulin Rouge

“La cosa più grande che tu possa imparare è amare e lasciarti amare”. Scelta banale? Forse. La verità è che Moulin Rouge è un’esplosione di colori, che fin dalla prima scena tra-scina lo spettatore con sé nello spiri-to bohèmien di Parigi agli inizi del Novecento. Un’atmosfera frizzante e quasi surreale all’insegna degli ideali di ‘Libertà, Bellezza, Verità e Amore’ invade lo schermo tra balli e meravi-gliose rivisitazioni di grandi canzoni storiche (da David Bowie ai Beatles, dagli U2 a Christina Aguilera, da El-thon John a Whitney Houston). Il regista non poteva che essere l’eccentrico e favoloso Baz Lu-hrmann (Romeo+Giulietta, Australia,

Il grande Gatsby), sempre riconoscibile dall’inimitabile cura e attenzione nei dettagli, nello sfarzo dei costumi e nell’uso di colonne sonore, appunto, fuori dal contesto narrativo del film. Protagonista è la storia d’amore tra Christian (Ewan McGregor), un giovane scrittore squat-trinato, e Satine (Nicole Kidman), il “diamante splenden-te”, la stella del Moulin Rouge: una giovane e bellissima cortigiana che sogna il giorno in cui finalmente potrà vo-lare via ed essere libera. Un film che forse vi farà final-mente apprezzare il genere del Musical.

Buon compleanno Mr. Grape

Endora, una triste e desolata cittadina dove “non succe-de mai niente”, priva di qualunque stimolo o attività in-teressante: qui vive la famiglia Grape. Gilbert (Johnny Depp), il secondo di quattro figli, dopo il suicidio del pa-dre si ritrova ad essere l’uomo di casa, assumendosi tut-te le responsabilità che ne derivano. Aiutato dalle due sorelle, Gilbert deve prendersi cura del fratellino Arnie (Leonardo di Caprio) -che soffre di un grave ritardo men-tale dalla nascita e “potrebbe andarsene da un momento all’altro” - con il quale ha un profondo e intenso legame, forse l’unico a cui sente veramente di appartenere.

11

A complicare la situazione della famiglia è la salute della ma-dre Bonnie, di-ventata obesa dopo la perdita del marito, e di cui lo stesso Gilbert si vergo-gna. La vita di

Gilbert comincerà a riprendere colore solo dopo l’arrivo di qualcuno che lo costringerà a tornare a so-gnare e a cercare di risanare le ferite che non ha mai veramente affrontato. Una nota di merito non può che andare al giovanissimo Leonardo di Caprio, che per questa straordinaria interpretazione si è meritato una candidatura all’Oscar come miglior attore non protagonista.

Fight Club

“Prima regola del Fight Club: non si parla del Fight Club. Seconda regola del Fight Club: non dovete parlare mai del Fight Club.” La voce assente e piatta del protagonista dà inizio al film in una continua successione di flashbacks. Non sappiamo quale sia il suo nome. E’ un uomo che soffre di insonnia, ma “Con l’insonnia nulla è reale. Tutto è lontano. Tutto è una copia. Di una copia. Di una copia.” Un uomo schiavo della tendenza al “nido Ikea”, nella cui vita l’attività più stimolante è diventata sfogliare cataloghi e domandarsi “quale tipo di salotto mi caratterizza come persona?”. Consapevole della sua situazione, ma incapace di reagire. Tra monologhi dal tono ironico e un’atmosfera domi-nata dal grigio-bluastro torpore di una ‘città fantasma’, Edward Norton, il nostro protagonista, nonché voce narrante, si imbatterà in una serie di biz-zarri personaggi che sconvolgeranno completamente la sua vita. Tra di essi troviamo Marla (Helena Bonham Carter), una ragazza ossessionata dal desiderio di mo-rire, ma anch’essa, come il protagonista, incapace di fare sì che accada realmente; e il grande Tyler Durden (Brad Pitt), uomo astuto, bello e geniale, che condurrà Norton a ‘combattere’ per scoprire se stesso. “Where is my mind” dei Pixies chiude il film in una scena indimenticabile.

Venuto

al

Mondo

Un titolo che porta con sé tut-to il dram-ma, la pas-s i o n e , l’amore, la sofferenza e la violen-

za della guerra; un titolo che esprime tutto il travaglio che porta un essere non soltanto a nascere, ma ad ‘entrare’ nel mondo. Tratto dal romanzo di Margaret Mazzantini e diretto da Sergio Castellitto, “Venuto al mondo” è un film che nar-ra la storia di un amore tanto travolgente quanto com-plesso, inserito in un contesto storico a noi vicino, ma spesso sconosciuto: la guerra dei Balcani (1992). Sullo sfondo di una Sarajevo distrutta e martoriata si snoda la vicenda di Gemma (Penelope Cruz), una donna italia-na, e Diego (Emile Hirsch), un giovane ‘fotografo di pozzanghere’ innamorato della vita. Un amore sincero, ma messo duramente alla prova. In primo luogo dall’orrore straziante della guerra, ma soprattutto dal desiderio continuo e irrefrenabile, quasi ossessivo, di Gemma di diventare madre; possibilità che le è negata dalla sua sterilità. Un film che contiene una miriade di emozioni, sentimenti, piccole e grandi storie, perfetta-mente intrecciate dal regista. Un film impegnativo e forse anche doloroso, cui però si accompagna una spe-ranza di rinascita, di ripresa.

Elisa Indellicati

12

5 MINISTRI IN POLITICA, CHI VORREI ?

In questo numero del giornalino mi è stato

commissionato un articolo che parte da

un’intelligente provocazione: si tratta, in

sostanza, di comporre un panteon (la paro-

la, dopo le primarie del Pd, è diventata di

moda) formato da cinque ministri; a ciascu-

no dei quali è affidato il dicastero che più gli

compete. Dico che si tratta di

un’intelligente provocazione perché a volte

lascia davvero sconcertati che un Paese

come l’Italia, che ha moltissime eccellenze,

possa avere una classe dirigente così inade-

guata. Certo, è comodo rifugiarsi nel luogo

comune del ceto al comando totalmente

incapace, unico colpevole delle condizioni del Paese, ed una

società civile che invece è interamente virtuosa: certamente

non è così, ci sono persone perbene e competenti anche tra i

politici e c’è anche una parte della società civile (quella degli

evasori e degli assenteisti della Pubblica Amministrazione,

quella dei mafiosi, dei corruttori e dei corrotti) che spesso ha

poco a che fare con la politica ma che pure contribuisce alla

decadenza del Paese. In sostanza, a costo di apparire impopo-

lare, io credo che la nostra classe dirigente sia specchio della

nostra società civile; che rappresenti il paese nella sua totali-

tà, dai competenti agli incapaci, dagli integri ai corrotti. Ma

questo non vuol dire che il Paese non abbia motivo di essere

indignato con i nostri politici: infatti la classe dirigente di un

Paese non deve esserne specchio fedele, ma guida illuminata;

non deve essere copia del Paese nelle sue note positive e in

quelle stonate, ma deve selezionare le eccellenze del Paese

filtrandone brutture e bassezze. Dal politico che mi rappre-

senta io non mi aspetto che mi somigli, nei vizi e nelle virtù,

ma che sia meglio di me; che non assecondi indolente

l’inerzia del Paese, ma le imprima la direzione corretta, la

domini e la guidi. Così, in mezzo alla miseria della nostra poli-

tica, ho provato ad immaginare, per lo spazio di un articolo,

una politica che fosse fatta invece di uomini e donne che co-

stituirono la gloria e l’eccellenza di questo Paese, ne segnaro-

no la coscienza collettiva e dettero un’eredità indelebile. Ho

provato a costruire un mio panteon di cinque ministri ideali di

un governo che non potrebbe mai esistere, ma che nessuno ci

toglie il gusto di sognare. Ho preferito scegliere personaggi

che non fossero strettamente attuali, ma che avessero segna-

to la Storia d’Italia del secolo scorso; uomini e donne che co-

stituirono la gloria e l’eccellenza di questo Paese,

ne segnarono la coscienza collettiva e dette-

ro un’eredità indelebile. Ho provato a co-

struire un mio panteon di cinque ministri

ideali di un governo che non potrebbe mai

esistere, ma che nessuno ci toglie il gusto di

sognare. Ho preferito scegliere personaggi

che non fossero strettamente attuali, ma

che avessero segnato la Storia d’Italia del

secolo scorso; e ho anche scelto tra perso-

naggi che non fossero prettamente politici,

ma che avessero espresso l’eccellenza italia-

na in vari ambiti, in modo da poter essere

trasversali, percepiti come propri da tutti,

che non dessero adito a faziosità e faide

interne. Per primo, m’è parso d’obbligo partire dal ministe-

ro dell’economia, che oggi è il più criticato, a prescindere

dal ministro che lo presieda e dal governo di cui sia espres-

sione, visti i tempi di vacche magrissime. La mia scelta è

ricaduta su un imprenditore che fondò una delle più grandi

imprese d’Italia durante gli anni sessanta del 1900, cioè

durante il boom economico, che sognò un’Italia autonoma

del punto di vista energetico, che uscisse dal gioco e dalla

sudditanza a cui l’avevano costretta le grandi multinazio-

nali americane del petrolio: parlo, ovviamente, di Enrico

Mattei, personaggio poliedrico ed ambizioso, imprenditore

che riscattò il Sud già allora più arretrato e tentò di anima-

re una grande impresa nazionale, che arricchisse l’Italia e

segnasse una svolta anche nella sua politica estera. Certo,

un uomo di così grandi ambizioni non poté piacere a tutti:

in molti sollevarono dubbi sulla fattibilità della sua sfida e

sostennero che l’Italia non aveva le risorse per ottenere

una piena sovranità ed indipendenza energetiche. Tra i

suoi detrattori ci furono anche nomi autorevolissimi, tipo

Indro Montanelli, che lo attaccò aspramente, com’era nel

suo stile. Ma è forse proprio dei sognatori non badare alla

realtà e non porre limiti alla propria ambizione… Più

dell’Eni in sé, infatti, secondo me ciò che fa di Mattei un

grande italiano, ciò che farebbe di lui un grande ministro

dell’Economia ideale, ciò che costituisce la sua eredità più

grande, sono la creatività, l’ambizione, l’amore verso la

propria Patria e la volontà di vederla finalmente sovrana e

libera, priva delle ingerenze e dalle egide di potenze stra-

niere; insomma il fatto di aver avuto il coraggio di pensare

l’Italia in grande, nonostante tutto.

13

Dopo quello dell’economia,

voglio citare un altro mini-

stero che in Italia a mio avvi-

s o a v r à s e m p r e

un’importanza maggiore

degli altri, è cioè quello della

Giustizia. Il ministro ideale di

un governo ideale in questo

caso va ovviamente ricerca-

to tra qualcuno dei grandi uomini di legge che ha combattuto

il più grande male dell’Italia, cioè la Mafia. Il nome potrebbe

essere quello di Falcone, a patto che risulti simbolico e rac-

chiuda in sé anche quello di tutti gli altri, da Rocco Chinnici a

Paolo Borsellino, finendo con i magistrati, gli imprenditori, i

giornalisti e i comuni cittadini che ancora vivono e che alla

Mafia ancora non s’arrendono. Falcone però forse va scelto

perché di questi eroi resta probabilmente il più rappresenta-

tivo, e perché al ministero della giustizia lavorò, sia pure non

da ministro (che all’epoca era Martelli), e che ebbe modo di

contribuire anche da Roma a combattere la Mafia, prima che

questa lo uccidesse. Accanto a Falcone ministro della Giusti-

zia mi piaceva accostare un altro nome, stavolta a capo di un

immaginario ministero dell’Interno, cioè quello di Carlo Al-

berto Dalla Chiesa, generale che a Palermo combatté la Ma-

fia dopo aver sconfitto il terrorismo. Tuttavia non cito Falco-

ne e Dalla Chiesa come nomi da venerare come santini, ma

come uomini che hanno segnato una strada chiara nella lotta

alla Mafia, un’eredità che non va dispersa. Infatti, da un lato

Falcone fu il primo a denunciare Cosa Nostra come

un’organizzazione organica, unita, compatta, che perciò non

andava combattuta indagando i vari crimini dei mafiosi di-

staccandoli l’uno dagli altri, trattandoli come casi isolati, ma

con la mobilitazione di “tutte le istituzioni”, con un pool al-

trettanto organico e coeso di magistrati. Ma sappiamo che il

pool Antimafia, dopo il maxiprocesso dell’’86, venne sman-

tellato, gettando a mare l’intuizione di Falcone ancora prima

che egli

Lo dico perché oggi, dopo

l’ubriacatura federalista di questi

anni, si parla molto di abolire le

prefetture e di dare più potere ed

investimenti agli enti locali: a mio

avviso è la strada sbagliata. La Sto-

ria d’Italia mostra che lo Stato ita-

liano fu efficiente finché fu centrali-

stico e prefettizio, salvo poi avere

un aumento spaventoso della corruzione con l’istituzione

delle Regioni, nel 1970. Anche oggi il discredito nei confronti

della politica viene più dagli scandali negli enti locali, specie

nelle Regioni, che non dallo Stato centrale. In quanto poi al

Sud, non credo sia necessario fare un paragone tra la lotta

alla Mafia ad opera di magistrati e prefetti e quella ad opera

di governatori di regione: da una parte Falcone e Dalla Chie-

sa, dall’altra Cuffaro e Lombardo…Proseguo poi con due

donne, negli ultimi due ministeri. Nel primo, quello della

Sanità, ho scelto Rita Levi Montalcini, premio Nobel italiano

per la medicina, che potrebbe dare un volto nuovo e guidare

una riforma seria alla sanità italiana, che, un po’ dovunque,

ha falle, sprechi ed inadempienze vergognose (Bergamo è,

da questo punto di vista, un’eccezione felice: è la migliore

città italiana per i servizi sanitari). In ultimo, ho scelto il mini-

stero che riguarda tutti noi più direttamente: quello

dell’istruzione. M’è parso giusto affidarlo a una donna che

ha rivoluzionato la pedagogia a livello mondiale, ha combat-

tuto l’analfabetismo, specie infantile, in tutto il mondo, ha

amato i bambini handicappati per imparare ad educare an-

che quelli normodotati; mi riferisco naturalmente a Maria

Montessori, una delle donne italiane più straordinarie del

Novecento. Attraverso i ritratti di questi eccezionali italiani,

esce il ritratto di un’Italia sovrana, libera, legalitaria, con uno

Stato forte, centrale ed unita, che investe su sanità, cultura

ed istruzione, insomma: l’Italia come dovrebbe essere, se la

classe dirigente fosse scelta fra le sue eccellenze, con seri

criteri di selezione e non con leggi elettorali che favoriscano

cooptazioni e nomine dall’alto. Ma questa provocazione non

vuol essere un gioco fine a se stesso: l’Italia ha ancora uomi-

ni e donne come quelli che ho, certo in modo sbrigativo e un

po’ superficiale, descritto in queste righe. La sfida del futuro

è che quelli che oggi sono cinque ministri ideali domani di-

ventino ministri e ministre reali.

Luca Gritti

14

GITA DI QUINTA

Caro lettore,

Ti chiederai il motivo per

cui tu, che in gita con noi

non ci sei stato, dovresti

leggere questo articolo.

Londra 2014 per te non

ha ancora alcun significa-

to e "It's OK I just wanna

f**k your friend", oppure

"Sory" per te valgono come un ghiacciolo d'inverno.

Eccoti allora un buon motivo per continuare la tua let-

tura.

Sono passati cinque anni da quel lontano 9 settembre

2009, il primo giorno di superiori per noi futuri matu-

randi; ormai siamo diventati noi i nonni del Federici e

vedendo facce sempre più nuove nei corridoi le sensa-

zioni sono diverse: ci sono giorni in cui uno si sente il

boss ed è soddisfatto e orgoglioso di essere arrivato

fino a lì. Altri giorni, invece, capita che il magone pren-

da il sopravvento, perché, ammettiamolo, questo Fede-

rici ormai fa parte di noi e sapere che tra poco tutto

questo finirà ci spaventa un po'.

Prima di andarcene però mancava un ancora un tassello

fondamentale al nostro puzzle: la tanto osannata GITA

DI QUINTA.

Chiunque da una qualsiasi gita si aspetta tanto diverti-

mento e zero pensieri, ma prima di partire per noi, gen-

te di quinta, le cose sono state un po' diverse. L'ultima

gita non era da considerare come un pretesto per di-

menticare i libri in un armadio e per staccare la spina da

mille verifiche e interrogazioni; essa sarebbe dovuta

essere una di quelle tappe fondamentali da raccontare

un domani ai propri figli. Ma come possono cinque gior-

ni essere così importanti?

Innanzitutto bisogna dire che

la compagnia è decisiva: ci

sono i tuoi compagni di classe,

quelle facce che hai visto per

cinque anni e che, nel bene e

nel male, ti sono sempre state

vicine.

C'è quella che "le parte il bal-

lo" che trova la colonna sono-

ra della gita, quelli che "altro

giro, altra corsa", quello silenzioso che inizia ad aprirsi

un po', e ci sono anche quelli fighi che scrivono l'artico-

lo più bello del mondo sulla gita. E' senz'altro impor-

tante poi la presenza dei professori che, non dimenti-

chiamolo, si impegnano e danno il massimo per noi e

per la nostra gita.

D'altronde si sa, la felicità è reale solo quando condivi-

sa, e con persone così condividerla è stato davvero fa-

cile.

In gita poi non possono mancare l'impegno ad aprirsi

con spontaneità agli altri e a dare confidenza agli

"estranei" dell'altra classe, che possono rivelarsi una

piacevolissima sorpresa. Il nostro caso ne è infatti una

prova certa. Le sorprese più gradite nella gita di quinta

sono state ad esempio gli sguardi complici di chi sa che

magari sta per finire, ma che "adesso siamo qui e dob-

biamo divertirci"; i sorrisi stanchi di chi, la sera, nono-

stante la fatica, non voleva mollare e le battute buttate

lì a chi "non lo conosco, ma mi sembra simpatico"; e

ultimo, ma non meno importante, il fatto che tutto ciò,

incorniciato dalla stupenda capitale inglese, abbia per-

messo a vecchie amicizie di rafforzarsi e a nuove di na-

scere.

Questo è quello che per noi è stata Londra 2014, un'e-

sperienza che siamo felici e orgogliosi di raccontare a

te, caro lettore e, perché no, ai nostri figli tra qualche

anno.

Claudia Pini

15

THE BEST OF

I 5 migliori: votati da loro, votati dal popolo

Di talenti musicali al mondo ce ne sono tanti, ma chi sta davvero sull'Olimpo? Le classifiche dei migliori arti-sti in genere sono così controverse da far finire a botte perfino i migliori amici, quindi ecco qua cosa ne pensa-no gli esperti e cosa ne pensa il pubblico...giusto per darvi un buon motivo per azzuffarvi.

Secondo la rivista inglese Rhythm i 5 migliori batteristi degli ultimi 25 anni sarebbero:

1.JOEY JORDISON(Slipknot, Scar the Martyr)- la sua batteria si solleva, ruota e si inclina mentre lui continua a suonare, allacciato ad un sedile che è un incrocio fra quello di una montagna russa e di un'auto da corsa.

2.MIKE PORTNOY(Dream Theather, Liquid Tension Ex-periment, Transatlantic, OSI, Avenged Sevenfold, Adrenaline Mob, Winery Dog)-è autodidatta. 3.GAVIN HARRISON(Porcupine Tree)- eletto “Progressive Rock Drummer Of The Year” 4.NEIL PEART(Rush)- famoso per le esibizioni coAnche i lettori di Guitar World hanno espresso il proprio pare-re, ma ovviamente sui chitarristi stavolta. I 5 più veloci del mondo sarebbero:

1.MICHAEL ANGELO BATIO(Holland, Nitro)- votato nel 2003 da Guitar One migliore shradder(chitarrista velo-ce e tecnico) del mondo, ha inventato la quad guitar, che ha 4 manici a stella.

2.SHAWN LANE- nonostante abbia sofferto tutta la vita di psoriasi e di artrite non smise mai di suonare.

3.SYNYSTER GATES(Avenged Sevenfold)- questo inte-ressante nome d'arte sarebbe frutto di una geniale intuizione avuta in un post-sbronza quando si scjiantò contro un cancello con l'auto.

4.STEVE VAI(Whitesnake, G3)- ha origini lombarde

5.THE GREAT KAT – laureata alla Juillard School, è una violinista di formazione classica che esegue in chiave metal capolavori di compositori del passato, da Pagani-ni a Mozart indossando, ehm...indossando il minimo indispensabile e guarnendolo di catene, vinile, pelle e fruste per andare dritta al “cuore” del pubblico maschi-le.

Per gli esperti di Guitar World i top guitarrists sarebbe-ro invece:

Anche i lettori di Guitar World hanno espresso il pro-prio parere, ma ovviamente sui chitarristi stavolta. I 5 più veloci del mondo sarebbero:

1.MICHAEL ANGELO BATIO(Holland, Nitro)- votato nel 2003 da Guitar One migliore shradder(chitarrista veloce e tecnico) del mondo, ha inventato la quad guitar, che ha 4 manici a stella.

2.SHAWN LANE- nonostante abbia sofferto tutta la vita di psoriasi e di artrite non smise mai di suonare.

3.SYNYSTER GATES(Avenged Sevenfold)- questo inte-ressante nome d'arte sarebbe frutto di una geniale in-tuizione avuta in un post-sbronza quando si scjiantò contro un cancello con l'auto.

4.STEVE VAI(Whitesnake, G3)- ha origini lombarde

5.THE GREAT KAT – laureata alla Juillard School, è una violinista di formazione classica che esegue in chiave metal capolavori di compositori del passato, da Paganini a Mozart indossando, ehm...indossando il minimo indi-spensabile e guarnendolo di catene, vinile, pelle e fruste per andare dritta al “cuore” del pubblico maschile.

Per gli esperti di Guitar World i top guitarrists sarebbe-ro invece:

1.TREY AZAGTHOTH- il suo impronunciabile nome deri-va dal termine inglese “third” e dal nome di una divinità del Cthulhu Mythos e del Dream Circle Stories.

2.MICK BARR (Orthrelm)- nel 2008 è stato premiato dalla Foundation for Contemporary Arts.

3.MICHAEL ANGELO BATIO

4.JASON BECKER (Cacophony)- anche se colpito da una paralisi completa è perfettamente lucido e compone ancora musica con l'ausilio di un computer.

5.JIMMY BRYANT- essendo il maggiore di ben dodici fratelli, durante la Grande Depressione, prima di dedi-carsi alla chitarra, suonava il violino agli angoli delle strade per aiutare la famiglia a sopravvivere.

Agata Hidalgo ed Eleonora Vitali

16

DON'T CALL ME VANITY MONSTER

Le 5 verità che non vi aspettate

Le donne vengono stuprate, i bam-bini vivono nelle discariche... i di-soccupati si tolgono la vita, i politici succhiano il midollo dei nostri sforzi come le sanguisughe la linfa delle loro vittime. Sì, in effetti questo mondo è troppo sbagliato e squalli-do per preoccuparsi di qualcosa di frivolo come i vestiti. La settimana della moda non farà sopravvivere una famiglia africana un giorno di più, l'uscita del nuovo numero di Vogue non impedirà ai talebani di far saltare in aria un altro villaggio afgha-no. Però nella realtà i vestiti possono contribuire a cambiare il mondo. Ed ecco almeno 5 buoni motivi per pensarci due volte prima di chiamare mostro di vanità ed indifferenza chi li usa.

1) PUSSY RIOT: quando la moda è ribellione

“E' la sete di libertà a renderci un po' più liberi”. E' così che la giovane Masha (Maria Alëchina) decide di difen-dersi al processo che si svolge a Mosca e che si conclu-de con la condanna (finita di scontare poco prima di Natale) a due anni di lavori forzati in una prigione sibe-riana per lei, e altre due ragazze: Nadia (Nadežda Tolo-konniková) e Yaketerina Samucevic. L'accusa? Turba-mento dell’ordine sociale con un atto di teppismo che mostra mancanza di rispetto per la società ed è moti-vato da odio o ostilità religiosa. Scrive Nadia dal carce-re: ”Se duemila anni fa fosse esistito l’articolo 213, Ge-sù sarebbe stato accusato di teppismo”. Dal momento stesso in cui la band punk femminista si è fondata nell'estate del 2011, in occasione della rielezione di Putin a presidente della Federazione Russa, è stato chiaro che restare in un condiscendente silenzio non faceva per loro e la protesta del 21 febbraio 2012 lo dimostra. 40 fatali secondi per invadere l'altare (tradizionalmente precluso alle donne) della cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca ed intonare una sola, sem-plice preghiera: “Oh Maria Vergine, liberaci da Putin” . E se salire sull'altare non fosse stato sufficiente, le Pussy Riot lo hanno fatto in grande stile: indossando coloratissimi abiti punk, senza assecondare alcuna grazia o abbinamento e soprattutto, mascherandosi il viso con dei passamontagna colorati. Il loro è un modo per non passare inosservate, per trasmettere speranza e voglia di cambiamento in un Paese che nel XXI secolo è ancora restrittivo nei confronti delle giuste libertà. Mezzo mondo si è schierato con loro, da cantanti fa-

mosi ad Amnesty International e i loro passamon-tagna sono

stati fatti indossare alle statue dei sol-dati nella Piazza Rossa. La loro libera-zione, anticipata di due mesi, non è un caso: abile mossa politica per dimo-strare che in fondo Putin ha un cuore, giusto in tempo per la campagna pub-blicitaria dei giochi olimpici di Sochi.

Il 5 febbraio 2014 le Pussy Riot si sono esibite a Brooklyn, a fianco di Madon-na che, per dimostrare la sua solidarie-tà, ha concluso la sua tournee in Russia

con la scritta Pussy Riot sulla schiena ed un passamontagna in testa. Le ragazze sono sposate, hanno bambini piccoli. E' stato domandato loro se si sono pentite di quello che hanno fatto. E Nadia: “Non mi pento di niente. Se hai paura dei lupi, dovresti evitare le foreste”. Ma le Pussy Riot non sono state le uniche a distinguersi grazie a qualcosa che copriva loro il capo: già nel lontano 1981, alla prima Marcia della Resistenza davanti al palazzo del governo, le argentine Madres de Plaza de Mayo portavano un fazzoletto bianco in testa, per identificarsi in mezzo alla folla. E pensare che in origine quel fazzoletto con stampati la foto, il nome e la data di scomparsa dei loro figli non era altro che il primo pannolino di stoffa dei loro bambini. Bambini che, diventati poco più che maggiorenni, si diedero in alcuni casi al terrorismo, ponendo fine alle vite di civili ar-gentini, ma che in maggioranza manifestarono pacificamente a favore della giustizia sociale. Molti di loro erano attivisti a scuola, liceali come noi. La risposta del governo al loro dissen-so? Sparizioni, torture, omertà: fu terrorismo di Stato. Fu la guerra sporca.

2)BURQA: quando la moda è dibattito

“My veil is protection for the gourgeousness of my face/Enigma popstar is fun, she wears burqa for fashion/Do you wanna see the girl who lives behind the aura, behind the cur-tain, behind the burqa?”. Dove ci sono controversie, Lady Gaga è sempre in agguato: queste sono infatti le parole della sua recente canzone “Aura”, che ha diviso la critica. Quello del burqa è un tema spinoso: le autorità islamiche riconoscono che il suo uso non è previsto dal Corano, ma informano anche che esso è usato come estrema forma restrittiva da chi lo in-terpreta letteralmente. Ad aprire la questione in Europa per la prima volta è stato Nikolas Sarkozy, che nel 2010 ha ottenuto che il suo uso fosse proibito su tutto il suolo francese e che chi obbligasse una donna ad indossarlo fosse multato di 30mila euro. Nel 2011 lo ha seguito a ruota il Belgio; in Germania la decisione spetta ai singoli parlamenti federali, nel Canton Tici-no il divieto è stato approvato recentemente ed in Bosnia-Erzegovina già da tempo. In Turchia e Tunisia non è solo il

17

4)FAIR TRADE: quando la moda genera lavoro pulito

Uno dei pochi motivi per cui l'economia italiana non è ancora sprofondata negli abissi più tetri della recessione è che il resto del globo sembra ancora apprezzare la moda di casa nostra ed è addirittura disposto a spendere per essa. Ma accanto all'haute-couture fa capolino un altro commercio, che fra i tanti variegati prodotti, si dedica anche ad abbigliamento, scarpe, accessori: è il commercio equo e solidale. Che il fair trade sia cosa buona e giusta lo ha dimostrato anche una re-cente ricerca indipendente, che ne ha sottolineato il contribu-to alla formazione di cooperative democraticamente organiz-zate, di relazioni commerciali stabili e soprattutto del rispetto per i piccoli produttori del Terzo Mondo, cui sono garantiti dei prezzi minimi. Notare che in quest'isola di giustizia, però, solo a giugno dello scorso anno si è permesso ai rappresentanti dei partner asiatici, africani e sudamericani di avere la metà dei voti nell'Assemblea Generale del Fairtrade International. Tan-to di cappello anche a chi, come la modella ed attrice etiope Liya Kebede, fonda il proprio brand di abbigliamento e colloca la produzione nei Paesi del Sud del mondo. Il suo marchio Lemlem rende onore allo straordinario cotone etiope e dà dignità a coloro che ci lavorano. Rode non poco sapere che il lavoro manuale di tessitori africani viene riprodotto spudora-tamente a macchina negli Stati Uniti.

)ADDIOPIZZO: quando la moda lotta per la legalità

“Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza digni-tà”: è scritto sugli adesivi che 7 palermitani, meno che tren-tenni, attaccarono in giro per la loro città nel 2004. Grazie al loro sfrontato coraggio, oggi Addiopizzo è un'associazione apartitica che si batte per il consumo critico e che conta già 845 negozi, di cui 66 di abbigliamento e 12 di calzature e pelletteria, e 10.600 consumatori. Chi è il vero mostro adesso ?

Agata Hidalgo

il burqa ad essere vietato, ma anche il velo: suona ironi-co, come il fatto che invece non siano proibiti negli Stati Uniti. In Italia l'uso del burqa andrebbe contro la vecchia legge Reale-Mancino, ma il divieto, che era stato appro-vato dalla Camera nel 2008, è rimasto in un (classico) nulla di fatto dopo il no del PD.

3)TAILLUER: quando la moda è emancipazione

E' venuto prima il sole o prima la luce? Dilemma eterno, un po' come chiedersi se è stata la donna-manager a fare il tailleur o il tailluer a fare la donna-manager. L'in-tramontabile, eternamente elegante, sobrio ed appro-priato completo giacca-gonna o pantalone salta diretta-mente fuori dal guardaroba maschile: rigido, geometri-co, professionale. Il suo stesso nome, in francese, signi-fica “sarto” perché quando è comparso alla fine del XIX secolo solo i sarti maschi sapevano eseguire tagli così netti. Ma se è stato un inglese, John Redfern, ad inven-tarlo nel 1885, è stata la spregiudicata Coco Chanel a farlo sbarcare, in una variante morbida e pratica, nei guardaroba delle donne che, ad inizio secolo scorso, dovevano fare a spallate per entrare nel mondo del la-voro con la stessa dignità degli uomini. Il tailleur, ade-rente e con ampie tasche, era quello che le donne in carriera durante la Seconda Guerra Mondiale cercava-no: addio agli ingombranti ed inutilissimi abiti che con-sentivano movimento zero. A quasi un secolo di distan-za le varianti del tailleur che si sono susseguite in tutto il mondo sono troppe per essere contate, non da ultima quella scultorea e che lascia l'ombelico in vista di Salva-tore Ferragamo per la primavera-estate 2014. Ma se c'è qualcosa da non dimenticare è che, mentre ci chiedia-mo ancora quanto sia giusto o sbagliato portare il bur-qa, una parte delle donne del pianeta ha rivoluzionando il suo ruolo nel mondo vestendosi come l'uomo e volen-do essere considerata come lui.

18

5 IN MUSICA

L’idea alla base di questo articolo era quella di parlare non

della solita musica, spacciata dalle radio ma di qualcosa di

un po’ diverso che non tutti conoscono; perché la musica è

tutta bellissima e non si sa mai che, esplorando un genere

completamente diverso dal proprio, si possa scoprire qual-

cosa di unico, emozionante ed appassionante. Il problema

è sorto quando abbiamo nostro malgrado scoperto che

l’articolo doveva essere incentrato sul numero cinque, te-

matica non proprio prolifica in ambito musicale. Per questo

motivo le nostre buone e propositive intenzioni sono sfocia-

te in pomeriggi di matto e disperatissimo "fancazzismo". In

un uggioso giorno di gennaio, invece di perdere tempo stu-

diando per degli improbabili recuperi, l’illuminazione arrivò.

Perché non cercare quei cinque album che occupano e han-

no occupato i nostri momenti da “studenti” del liceo; la

musica è da sempre il palliativo perfetto contro le ansie e le

turbolenze giovanili. Quali sono i nostri dischi per eccellenza

degli anni delle superiori e delle prime sbronze? Partiamo

quindi con la nostra classifica random perché, dato il troppo

lavoro, non ci sentivamo di riordin-

SYSTEM OF A DOWN: Toxicity (Alternative Metal)

Tra i migliori album che esistano su tutta la scena new/

alternative metal dal '90 in poi. "Prison Song", molto dura,

apre il disco; da notare anche "Shimmy" e "X" per la batteri-

a ma soprattutto "Chop Suey!", cavallo di battaglia del grup-

po e "Toxicity", una delle migliori canzoni che abbiano mai

scritto. I testi variano molto ma in molte di esse traspare il

loro impegno sociale, "Prison Song" parla delle condizioni

delle carceri, "Toxicity" della degradazione delle classi più

basse, mentre altre come "Chop Suey!" prediligono una

forte influenza poetica. Un album da sentire sotto tutti i

punti di vista, sempre nuovo e coinvolgente.

.

BLACK FLAG : DAMAGED (HARDCOREPUNK)

Questo disco è uno dei capolavori dell’hardcore americano

anni ’80. In questo disco i Black Flag suonano canzoni velocissi-

me e molto energiche tra urla viscerali e distorsioni frastornan-

ti. Le liriche di Henry Rollins, invece, sono ermetiche ma furiose

e provocatorie, capaci di esprimere in pochi versi l'alienazione

di una generazione di kids senza futuro: “We are tired of your

abuse / Try and stop us it’s no use” (BlackFlag,Rise Above). Da

ascoltare sicuramente: Rise above, Damaged II e Police story

-PANTERA:Vulgar display of power (Groove Metal)

Rabbia, se dovessi condensare il sound dei Pantera in una pa-

rola, userei proprio questa. Non violenza, cattiveria, aggressivi-

tà ma pura, semplice rabbia che si scatena senza freni, senza

compromessi e senza ostacoli. È la rabbia che scaturisce dalla

veemenza dei riff, dalla travolgente velocità di e dagli assoli

che mordono alla gola col loro impareggiabile susseguirsi di

armonici artificiali, tirati fino all'esasperazione. L’album in sè è

un must e le prime sette canzoni sono una meglio dell’altra; le

migliori in assoluto sono l’inno di battaglia Walk e la velocissi-

ma e potente Fucking Hostile.

19

THE SMASHING PUMPKINS: Mellon collie and the infi-

nite sadness (IndipendentRock)

Oltre due ore di musica che si muovono tra i due estremi

del progressive e di un heavy metal spinto a lambire le

provocazioni del post punk. Al primo è affidato il compito

di esprimere l’infinità tristezza del musicista, al secondo

la sua rabbia nel tentativo di crogiolare i due atteggia-

menti complementari nella sua desolata visione del mon-

do. Da ascoltare la ballad Tonight Tonight, Bullet with

butterfly wings e Zero

NIRVANA: Nevermind (Grunge)

Nevermind è il capolavoro dei Nirvana nonché uno degli

album più significativi del decennio ’90, attraversato da

una vena pop, utilizza semplici, accattivanti e essenziali

melodie calate entro paesaggi sonori assordanti e aggres-

sivi (Heavy) , veicola una profonda rabbia ed una desola-

zione di cui sono testimoni i disordinati testi, scritti da

Cobain all’insegna di un esasperato nichilismo. Per chi

fosse così fuori dal mondo da non aver mai sentito nem-

meno una traccia di questo album, consigliamo sicura-

mente la prima track Smells like teen spirit e le successive

tre tracce.

BOB DYLAN: Blowin’ in the Wind ( Cantautorale )

Non potevamo concludere senza inserire un piccolo extra, una

bonus track per rilassarci un po’ dopo tutta la potenza degli al-

bum precedenti. Possiamo assicurarvi però che anche questa

canzone è a modo suo significativa, una canzone di denuncia

dell’uomo e della sua indifferenza: Yes, 'n' how many ears must

one man have / Before he can hear people cry? / Yes, 'n' how

many deaths will it take till he knows / That too many people

have died? Un invito a tutti noi ad essere persone migliori e

crescere diventando finalmente uomini.

Se a qualcuno non è piaciuto questo articolo, capita, è un mon-

do difficile, almeno noi ci siamo divertiti e finalmente vedremo

un articolo che non racconta la...solita musica.

Alberto Manenti, Diego Magni

20

DR HOUSE AND MR SHEPERD: CINQUE RIFLESSIONI DA FARE… PER CIASCUNO

Due personaggi agli anti-podi , che non avrebbe-ro bisogno di presenta-zioni : l'uno neurochirur-go di successo, sopran-nominato “Mc Dreamy”, "Dottor Stranamore", l'altro Primario del re-parto di medicina dia-gnostica, misantropo e cinico come pochi. Stu-dentesse amanti delle serie “mediche”, ma non solo, avrete di certo ca-pito che sto parlando di Derek Christopher She-pherd e Gregory House : una dura lotta tra gli oc-chioni azzurri del co-protagonista di Grey's Ana-tomy e … gli occhioni azzurri di Gregory , tra il fa-scino dell'uno e … il fascino dell'altro … mmmh ….Sono dunque le due facce della stessa medaglia , eroi StevensonIANI del 2000?

Gregory House:“Ho la capacità di saper osservare, di comprendere persone e situazioni ma qualche volta sbaglio. Questo sarà il più lungo colloquio di lavoro della vostra vita. Vi metterò alla prova, in modi che spesso riterrete ingiusti, umilianti e ille-g a l i , e s p e s s o a v r e t e r a g i o n e . Guardate a sinistra; e ora guardate a destra. Tra sei settimane uno di voi se ne andrà, assieme ad altri ventotto. Mettete i parastinchi.”

Di certo uno specia-lizzando non può essere incoraggiato da simili parole, ma è proprio la capacità di House, di saper controllare psicolo-gicamente chiunque abbia di fronte, gra-zie ad un'ironia so-vente spietata, a renderlo tanto sti-mato e amato dai telespettatori. Non

aspettatevi un complimento, anzi, se sperate di ricevere notizie ottimiste, non chiedete a lui.

Ma Gregory non è solo un cinico ed esuberante primario, bensì un Uomo restio a mostrare tutte le debolezze che si celano dietro ad un atteggia-mento scontroso: la paura di affrontare le proprie lacune, di rimanere solo, di non riuscire a risolve-re casi patologici complessi, primo tra tutti il suo dolore alla gamba. In sintesi, avete presente i cioccolatini Lindor, definiti come “un guscio di fi-nissimo cioccolato al latte che racchiude un mor-bido ripieno dall'irresistibile scioglievolezza?” Se ne avete mai assaggiato uno, potete ben capire il parallelismo .

Dottor Stranamore:

“ - D e r e k : S t a i b e n e ? - Miranda: Che te ne importa? Tu hai i tuoi capelli perfetti, il tuo viso perfetto, la tua vita perfetta. Mi chiedi come sto, che te ne importa? - Derek: La mia vita perfetta? Forse sei distratta ultimamente.

21

- Miranda: No, io non sono mai distratta. Io faccio sempre attenzione , sono quelli come te che non vedono le persone come me. Noi esistiamo per farvi i compiti, per aumentare la vostra autostima. Io sono diventata una donna di successo, sono il capo degli specia-lizzandi di un enorme ospedale metropolita-no. Sono un chirurgo, quella che oggi ha sal-vato una vita. Ma voi continuate a non ve-dermi, per voi sono rimasta quella di prima, sono ancora la ragazzina del liceo, con i ca-pelli a fungo e i fondi di bottiglia sugli occhi e l a d i v i s a d e l l a b a n d a . ” Dunque è questo il vero Derek : un neurochi-rurgo che, sebbene abituato ad aprire cervelli e ad osservare i minimi dettagli dell'organo più intricato del nostro corpo, non riesce ad “aprire” se stesso agli altri. Questo sarebbe il prezzo da pagare per diventare un primario: sacrificare la famiglia, le amicizie, ma d'altra parte donare la propria vita ai pazienti, salva-re bambini, vite umane?

Scegliere, secondo il il filosofo Kierkegaard, signifi-ca rinunciare , tuttavia a mio parere, nell'atto della scelta, si puo' rinunciare a qualcosa, ma per un obiettivo che nobilita ancor di più l'anima. Spesso la strada per il successo è ostacolata da fattori che non possiamo cambiare: un test di selezione im-possibile da superare, affrontato per di più in un momento sbagliato, un colpo di fulmine, una nuova

arriva quel momento in cui non puoi pensare solo a te stesso, perchè si dice che non valga la pena vincere una battaglia se non si ha qualcuno con cui condividere la vittoria. Ma pensate che i Grandi del passato fossero accerchiati da perso-ne? Leopardi di certo no, eppure il suo nome è lì, fermo da sempre e per sempre nella memoria di tutti. Ma forse Leopardi non voleva essere grande, lo era semplicemente. Forse sto incon-sapevolmente denunciando un paradosso esi-stenziale: da soli ma pur grandi o grandi perchè capiamo che da soli è difficile vivere?

Noi giovani, soprattutto, che per necessità dob-biamo essere competitivi l'uno con l'altro e che addirittura speriamo nell'errore del compagno di sventura, obbediamo così ad un meccanismo che premia il singolo individuo. Intanto conti-nuamo a ringraziare uomini e donne che hanno sacrificato la famiglia e le amicizie per cambiare il mondo… Magari un giorno, quegli uomini e quelle donne saremo noi, tanto che sulla porta d'ingresso di un ospedale potreste trovare il vo-stro o il mio nome, consapevoli che la rinuncia è valsa a tanto.

Giorgia Lodetti.

22

QUANDO INCONTRAI LA FILOSOFIA

fino ad arrivare

all’ambito politico. La

mia passione vera e

propria nasce esami-

nando questo periodo

storico, nel quale ho

ritrovato molte mie

idee come il liberalismo

sia politico, sia sociale

sia economico. Questo

non è di certo un punto

di arrivo, bensì l’inizio

di un nuovo modo di

vedere le cose, costantemente alla ricerca di risposte alle do-

mande che tutti si pongono, sempre con occhio vigile e critico.

Detto questo, ritengo che l’esperienza possa giocare un ruolo

importante in questo processo, perché ogni cosa a livello teori-

co necessita di avere un riscontro nella vita reale, quella che

tutti noi ci troviamo a dover affrontare ogni volta che apriamo

gli occhi quando ci svegliamo. Spesso sento dire che i filosofi

sono semplicemente persone paranoiche che cercano e hanno

cercato di vendere “aria fritta”, ma non credo sia così. Mi piace

pensare che essi siano liberi pensatori che non hanno accettato

di sedersi e vivere da spettatori, ma hanno voluto farlo da pro-

tagonisti, cercando di migliorare le generazioni sia presenti che

venture. È importante considerare che alcuni tra essi hanno

dato la vita pur di non rinnegare le proprie idee davanti alle

minacce di un mondo bigotto e chiuso, come Giordano Bruno, il

quale è stato condannato a morte per il suo pensiero oppure

Galileo Galilei, il quale ha avuto una sorte relativamente miglio-

re, trovandosi ad essere scomunicato dalla Chiesa. La sua posi-

zione fu rivista solo nel 1981 da parte dell’allora Papa Giovanni

Paolo II. Tutti noi possiamo essere liberi pensatori in un mondo

che tende verso una comune omologazione delle masse, solo

noi possiamo portare la svolta nella nostra società. Credo che

sia essenziale tener in considerazione due tra le più importanti

citazioni che ho incontrato frugando qua e là nel pensiero altrui:

“I pensieri sono Azioni “ Friedrich Nietzsche

“Il pensiero fa la grandezza dell’uomo” Blaise Pascal Chiudo così, lasciando cercare a voi un'analoga riflessione da

far propria o perché no, inventarne una e se lo avete già fatto,

regalarla al PIgreco.

William Signorelli

Sapere aude: abbi il coraggio di servirti della tua propria

intelligenza. Così scriveva il filosofo prussiano Immanuel

Kant all’interno del suo saggio “Risposta alla domanda:

che cos’è l’Illuminismo.” Questo è uno dei molteplici casi

in cui parole pronunciate secoli fa si trovano ad essere di

forte attualità. Questo è ciò che meglio sintetizza la mia

passione per la filosofia che non si limita solo all’ambito

academico ma soprattutto sta contribuendo sostanzial-

mente alla formazione e alla maturazione della mia perso-

na. In un contesto sociale in cui si tende a credere che

l’apparato scolastico possa essere sostituito

dall’esperienza di vita (idea che condivido solo in parte),

mi affascina vedere come una semplice materia, che mi-

lioni di miei coetanei affrontano come me dietro ad un

banco, stia allenando la mia mente producendo in me

numerose domande a cui dopo anni riesco a rispondere.

Usare la nostra propria intelligenza, oggi giorno, non è

facile tanto meno è scontato attuare questo principio di

vita, trovandoci a vivere in una realtà in cui si corre il forte

rischio di essere plagiati ad esempio dagli organi di infor-

mazione quali mass media o internet. Quali possono esse-

re le conseguenze per noi o per il nostro paese essendo

questi fruitori le nuove generazioni che probabilmente

costituiranno la futura classe dirigente italiana? La filoso-

fia puo' aiutare: a creare un' intelligenza attiva ma soprat-

tutto critica nei confronti di tutti gli aspetti della nostra

vita. Di certo, da sola non basta ma può essere un valido

punto di partenza come lo è stato per me. Il mio avvicina-

mento ad essa non è stato di certo repentino, ma gradua-

le come credo sia giusto. Durante il primo anno in cui mi

relazionavo con questa materia, ne ero sì entusiasta, ma

non completamente. Il motivo è che conoscevo grandi

pensatori come Socrate o Aristotele, ma in un certo senso

il loro impianto era troppo distante da me, perché in nu-

merosi aspetti si trovavano ad essere troppo slegati

dall’importanza che il singolo individuo dovrebbe avere

secondo me. I pensatori del secondo anno hanno creato

un punto di svolta all’interno della mia esperienza: il sin-

golo incomincia ad acquisire sempre più importanza e

leggendo autori come Spinoza o Locke o Hume che si con-

centrano sull’uomo, mi accorgo che essi indagano anche

sui modi in cui esso si relaziona con il modo usando i sen-

timenti, le emozioni, la ragione oppure ragionano sul me-

todo conoscitivo

23

ANCHE LA MATEMATICA HA IL SUO PERCHE’

Questo è ormai per noi

studenti di quinta, maturi-

tà permettendo, l’ultimo

anno di liceo. Analizzando

le varie materie che hanno

accompagnato gli studi

classici del nostro indirizzo

in questi intensi cinque

anni, tra greco, latino, filo-

sofia, e storia spicca visto-

samente anche una disci-

plina che potrebbe sem-

brare una nota stonata in

mezzo a tanti insegnamenti umanistici ed eruditi: la

matematica. Si tratta di un mondo pieno di interrogati-

vi e forse si accompagna a pregiudizi da parte di noi

“classicisti” e sicuramente non è oggetto in apparenza

di grande interesse da parte nostra. Quando abbiamo

iniziato ad averci a che fare il primo anno del nuovo

cammino liceale, non abbiamo guardato a "Lei" come a

qualcosa di assolutamente sconosciuto e misterioso,

dal momento che siamo stati abituati a studiarla sin da

quando eravamo piccoli; tuttavia non è mancata una

visione di velata ostilità e alle volte disprezzo nel di

"Lei" confronti. Con il trascorrere degli anni la matema-

tica diveniva sempre più simile a qualcosa di paranor-

male e remoto, in modo particolare ora che ci troviamo

all’ultimo anno e che abbiamo di gran lunga superato le

canoniche equazioni e disequazioni che ci portavamo

appresso dall’infanzia. Se si entrasse nella nostra classe

durante un’ora di lezione si potrebbe ben percepire

nelle nostre facce, intente ad ascoltare teoremi e fun-

zioni sconosciute, un’aria smarrita ed assente, come se

si varcasse la soglia di un mondo parallelo o lontano,

paradossalmente molto di più rispetto ai viaggi verso

mondi antichi e morti ormai da tempo a cui siamo abi-

tuati durante le lezioni di greco e latino.

È così che spesso ci tro-

viamo ad interrogare il

nostro professore, chie-

dendogli quale sia il

significato della mate-

matica e di tutti i suoi

ragionamenti impossibi-

li da seguire. “E' proprio

vero che quelli del clas-

sico sono un po’ strani”

qualcuno potrebbe

pensare rileggendo le

mie parole, è proprio

vero che spesso non siamo in grado di cogliere il lato

positivo ed utile delle cose. L’apprendimento di usanze

e costumi antichi ci ha appassionato così profonda-

mente da farci dimenticare e forse oscurare un’altra

branca di sapere che in fondo non conosciamo così

bene, e nella quale non finiremo mai di spaziare, allo

stesso modo dei maestosi imperi dell’antichità che ci

appaiono così misteriosi ed intriganti. E' proprio que-

sto alone di mistero che deve appassionarci, che deve

spingerci ad osservare la realtà a trecentosessantacin-

que gradi, perché il mondo da cui siamo circondati

non è affatto monocorde, implica una serie di sfuma-

ture che non finiranno mai di annoiarci. Essere lungi-

miranti significa essere versatili e curiosi, perché, se è

pur vero che nella nostra vita privilegeremo quel cam-

po che più ci appassiona, non dobbiamo dimenticarci

che solo dall’unione delle diverse discipline che affron-

teremo o che abbiamo già affrontato, potremo davve-

ro emergere dalla nostra superficialità e cogliere il ve-

ro senso delle cose. Anche la matematica è antica, più

antica dell'antico che ci esalta. Platone aveva compre-

so che la matematica costruisce il mondo; abbiamo

speranza di capirlo anche noi prima o poi...

Laura Pagani

24

APP - ROVO ?

Come dicono le statistiche il cellu-lare è diventato il principale com-pagno della nostra vita quotidiana: con esso si possono tenere contat-ti con persone distanti o addirittu-ra con gente che si vede ogni gior-no. Infatti, come sostiene Luciano De Gregorio, "sembra che il cellu-lare, ancora più del telefono fisso, abbia reso possibile la trasforma-zione dell'assenza di qualcuno in una presenza anche assidua e ab-bia risolto la questione della sepa-razione e della distanza trasformandole in contat-to, calore e vicinanza". Al giorno d'oggi hanno a che fare con apparecchi mobili non solo i ragazzi: hanno infatti incontrato la tecnologia anche i più anziani e persino i bambi-ni di pochi anni. A rendere sempre più diffuso questo fenomeno hanno pensato le multinazionali tecnologiche, che hanno sfornato congegni sem-pre più all'avanguardia, dotati di molteplici funzio-ni; e come al solito la gente, per rimanere al passo con i tempi, ha assalito i negozi per appropriarse-ne. Questo lo dimostra il fatto che sempre più persone, tra ragazzi e adulti, fanno uso di social network, che occupano il loro tempo prezioso. Ormai negli Appstore dei nostri cellulari ci sono più di mezzo milione di Applicazioni, e tra le più scaricate ci sono quelle di messaggistica, i Social Network e i giochi: infatti anch'essi hanno sbara-gliato la concorrenza con Candy Crush Saga e Pan-dora. Secondo una rivista, nel 2014 spopoleranno le App, in netto aumento, che permetteranno di usufruire di contenuti televisivi.

Comunque, tra i social network più frequentati c'è Twitter, con cinquecento mi-lioni di iscritti; oltre cento-trenta milioni utilizzano inve-ce Instagram. Ma il re indi-scusso rimane Facebook, che vanta ormai più di un miliar-do di iscritti, e che recente-mente ha acquistato Wha-tsapp, un’altra applicazione molto popolare tra i ragazzi. Non da meno è Ask, che con-

sente di fare domande in anonimato e che ulti-mamente ha scatenato alcuni episodi di cyberbul-lismo. Questo dimostra che i ragazzi trascorrono sempre più tempo on-line, “rubandolo” prima di tutto alla scuola, ma anche alle relazioni sociali, grazie alle quali si potrebbero instaurare rapporti di solide amicizie,: ci si priva così di nuove espe-rienze. Dopo questa critica, dobbiamo dire anche che i cellulari possono risultare molto utili: permetto-no di tenere i contatti con le persone a distanza e comunicare informazioni in modo veloce, il che non è poco. E ancora più utili lo sono le App, le quali, se usate nel modo giusto, possono tenerci informati pressoché su tutto: dal meteo alle nuo-ve playlist in voga. Del resto, come diceva Rat-Man: “All'inizio c'era Adamo. E Dio disse: -Non è bene che l'uomo sia solo- . Così creò il cellulare. Allora Adamo telefonò ad Eva, ma trovò occupa-to.”

Locatelli Elisa e Acerbis Bianca

25

POLLICINO DALL UOVA D’ORO

Quante volte da piccoli siamo ri-masti incantati da fiabe che ci fa-cevano sognare un mondo diver-so?

TANTE!

Ciò che ci affascinava di più erano i personaggi magici, le vicende surreali e i luoghi più remoti. E poi gli insegnamenti di ogni favola, che ci spingeva a tentare di essere ogni giorno migliori. Se da grandi i "consigli di vita" li si trova nella religione col Vangelo o coi coman-damenti, nei libri o nello studio della filosofia, nella fanciullezza si trovava tutto nelle favole. D'altra parte sono nate per questo scopo: inse-gnare tramite una morale. Perché, a volte, le cose che venivano dette dalla mamma di Cappuccetto rosso o dalla Fata turchina, acquistavano un’importanza maggiore delle sculacciate dei ge-nitori. Le favole ci permettevano, per qualche i-stante, di vivere in un castello magico, o in un bo-sco incantato, di incontrare un gatto con gli stivali, una fata, e di essere una principessa o un princi-pe. Poi, quando si cresce, si vede il mondo in mo-do diverso: i genitori diventano un impiccio, cam-biamo il nostro modo di pensare, e abbiamo fretta di crescere perché crediamo che una vita autonoma sia migliore, finendo per non credere più a quei racconti che tanto ci facevano sognare. Ma spesso la cosa migliore è spegnere il genera-tore delle idee e dei pensieri, e provare a tornare nel passato. Ovvio: non con la macchina del tem-po, ma semplicemente leggendo una storia, ma-gari la nostra preferita, e provare a sentirsi un personaggio delle favole, proprio come da bambi-ni. Se ci si chiede il motivo per cui, una volta cre-sciuti, non si leggono più favole, non si troveran-no mai spiegazioni precise o esaurienti.

Molti lo ritengono una perdita di tempo: e poi si è cambiati, si è cresciuti, le favole sono "roba" da piccoli... ma la verità è una. Inutile negarlo: tutti noi vorremmo avere una vita per-fetta come nelle favole. Tutto comincia con qualche difficoltà, poi c'è un colpo di scena, poi arriva il principe azzurro, o si trova la fanciulla perfetta dei propri sogni, bacio, matrimo-nio, figli, E VISSERO TUTTI FELI-

CI E CONTENTI. YEEEEEEE! La nostra storia sembra essere ben diversa da una favola: non è perfetta, è piena di difficoltà, e soprattutto non ha un lieto fine assicurato. In realtà, però, le fiabe sono più realisti-che di quanto immaginiamo. Anche se non esiste la data esatta del "c'era una volta", e se non si può andare a "Molto molto lontano" (se non nel film Shrek), le favole sono reali. Voglio dire: non vedre-mo mai una gallina dalle uova d'oro, un bambino alto quanto un pollice, una carrozza di zucca, o qualcuno che resuscita con un bacio. Ma il resto è vero: le bugie hanno le gambe corte e il naso lungo, se non si obbedisce si finisce per incontrare dei pe-ricoli come il lupo, non è prudente fidarsi degli e-stranei soprattutto se hanno una mela rossa in ma-no, e la tartaruga va più lontano della lepre. Quindi le fiabe non sono da piccoli o surreali, semplice-mente sono stimoli per sognare ad occhi aperti, e sono un mezzo per rappresentare la vita in un mo-do metaforico, in un modo comprensibile da tutti. Poi per quanto riguarda il lieto fine... Beh, quello siamo noi a costruircelo. Come? Come nelle favole, dove la fine della storia è la conseguenza delle scel-te del protagonista. Quindi, nella nostra vita, cer-chiamo di fare le scelte giuste; una buona alternati-va può essere quella di leggere qualche fiaba in più.

Letizia Pallone

26

DOVE LA STORIA NON SI RIPETE

Ogni sera esco a fare una passegiata pas-sando o per Seriate o per Bergamo centro. Ogni sera che sia a Seriate che sia a Ber-gamo, trovo le strade e le piazze incredibil-mente vuote. Dove saranno tutti? C'è giu-sto qualche anziano o qualche persona in abito sportivo che rin-casa dopo l'allena-mento. E tutti gli al-tri? Un tempo la piaz-za era il fulcro della città, ora non c'è nessu-no. La verità è che ormai i social network sono divenute le piazze del nostro tempo: le bat-tute, gli scherzi, le conversazioni e le dicerie si trovano lì. Attraverso i social network una persona può essere in piazza 24 ore su 24. Ecco dunque che tutto si trasforma: i caffè

letterari diventano blog, i graffiti diventano

link, le occhiate delle fanciulle diventano

“mi piace” strategici e i litigi, magari, diven-

tano animati commenti poco cortesi. Ogni

cosa in internet ha il proprio precedente

storico, tranne il cyberbullismo.

La differenza che c'è tra il bullismo e il cyberbulli-smo è gigante rispetto a quella che c'è tra le oc-chiate e i “mi piace” o tra i litigi e i commenti anima-ti. Infatti il risultato di un litigio virtuale è lo stesso di quello di un litigio rea-le: cambia solo il mezzo con cui si effettua. A cambiare drasticamente è la figura del bullo. È co-mune, infatti, l'dea che il bullo sia grosso, alto e spallato e che, per queste

caratteristiche, possa dominare sui compa-gni più deboli. In internet è diverso, nel mondo virtuale non serve il fisico: pertanto il bullo può essere chiunque e chiunque può essere preso di mira. Il bullismo non è l'an-tecedente storico del cyberbullismo: internet ha aperto una problematica nuova nella storia e quasi paradossale. Se, infatti, in rete tutto è facilmente accessibile, la vio-lenza in rete diviene accessibile a qualsiasi persona. La società della potenza non può risolvere il paradosso che ha creato, in que-sto caso. Ho voluto scrivere perché mi è stata chiesta un'opinione, ho voluto farlo perché credo nella denuncia.

R.S.

27

IL CORAGGIO DELL’ACCOGLIERE

Credo sia opportuno partire dall’analisi del termine

“accoglienza”: tanto scontato eppure così carico di

significato. Da accoligere o colligere, cioè raccoglie-

re…. Non semplicemente raccogliere o ricevere un

fiore, ma fare entrare in una casa, in un gruppo, in

un’aula, in se stessi. Chi accoglie rende partecipe di

qualcosa di proprio; si offre, si plasma verso l’altro

diventando un tutto con lui. Certo, è necessario

mettersi in gioco se si vuole accogliere, cercando di

non lasciarsi vincere da pregiudizi o stigmatizzazioni,

paure o condizionamenti, relativi anche al ruolo so-

ciale che si riveste. È fondamentale accettare la dif-

ferenza o la diversità per poter tollerare e avviarsi

all’accoglienza.

“ Un Io senza un Tu” non possono esistere sostene-

va Feuerbach! La filosofia, per eccellenza, è la disci-

plina che spinge a pensare a noi stessi contro noi

stessi. Riflettere oggi sulla tolleranza e

sull’accoglienza è forse il modo più radicale e più

urgente di pensarci contro noi stessi. Non si tratta di

prefigurare un altro mondo, un mondo futuro, pos-

sibile o impossibile, ma di ripensare a questo mondo

e a questo presente. Dobbiamo essere coscienti e

disposti a sentire e sperimentare il disorientamento

o il disaccordo. È necessario avvertire nel profondo

di noi stessi ciò che la realtà ha di inaccettabile,

guardandoci dentro, comprendendo che il mondo

danneggia noi stessi e chi ci è caro, tanto così da vo-

lerlo rifiutare o da negarlo. Se ci sentissimo estranei

e stranieri a noi stessi, impareremmo ad essere ac-

coglienti. Ci vuol forza e coraggio! In quanto docen-

te, mi interrogo e chiedo: << La scuola, come am-

biente fisico e relazione a più livelli, è veramente

accoglienza?>>. Un luogo e persone accoglienti invi-

teranno a restare chiunque ne faccia parte.

-no poi una prigione se le personalizzassimo!

Dirigente, docenti, alunni, collaboratori scolasti-

ci e responsabili di segreteria, non sono poi tan-

to lontani da me. Sono semplicemente ‘Altro’

da me, una diversità che non deve essere causa

di conflitti, ma stimolo continuo. Anzi, ricono-

scerne la differenza, muove l’autonomia del sin-

golo: non vedo solo l’altro, ma me stesso attra-

verso i suoi occhi. Ciò è più difficile per gli adul-

ti, esseri rigidamente razionali, ma non sempre

per i ragazzi più propensi alla ‘meraviglia’ e

all’apertura. In modo inconsapevole, spesso si

allontana un’altra anima: basta un gesto, un

volto teso, uno sguardo, un’incomprensione,

una risposta negativa ad una richiesta. Perché

dimentichiamo noi stessi e l’Altro? Divertiamoci

e cresciamo nella diversità per migliorarci.

L’Istituto ‘Federici’ promuove, organizza, gesti-

sce varie forme di accompagnamento nei con-

fronti di persone bisognose, italiane e straniere,

tale da favorire l’inserimento e l’integrazione,

ma come istituzione deve cercare di essere

sempre vigile e attenta alla dimensione “Altro”,

evolvendosi al meglio. Ognuno è in grado di da-

re il suo contributo personale e di essere un e-

sempio!

Ciò che gli educatori in generale non devono

dimenticare è di essere al passo coi tempi, a-

vendo il coraggio di accogliere.

Cristina Falsinisi

28

PROGETTI INTERNAZIONALI

Il secondo progetto che vede coinvolta la classe è stato

proposto da una scuola canadese e prevede la descrizio-

ne del proprio territorio: partendo da cartine che mostra-

no dov’è l’Italia, la Lombardia e la nostra provincia, si è

passati a descrivere la città di Bergamo e di seguito tutti i

paesi di provenienza dei ragazzi. Il lavoro è stato postato

in Dropbox e sarà visionato dalle scuole partner, che so-

no 10 in tutto il mondo, così come tutto il materiale pro-

dotto da queste scuole sarà visionato dalla 1B del Federi-

ci.

La stessa classe sta partecipando a un ulteriore progetto,

sempre tramite la piattaforma e-Twinning, dal titolo ’80

days around the world’, che prevede l’invio di cartoline e

brevi lettere a varie scuole in giro per il mondo; al mo-

mento però i ragazzi sono in contatto solo con una scuola

turca di Istanbul. Il progetto si avvale anche di un profilo

Facebook sul quale vengono postate le foto dei ragazzi e

le cartoline che ricevono.

https://www.facebook.com/groups/1374520559485180/?fref=ts

Le classi 1^ e 2^ B del liceo scientifico sono state coin-

volte in alcuni progetti internazionali partiti dalla piat-

taforma e-Twinning e poi ulteriormente sviluppatisi.

Il tutto è cominciato con un progetto denominato ‘Christmas Cards Exchange’ , di cui il liceo Federici è stato cofondatore insieme alla Woodfield School, He-mel Hempstead, Regno Unito, e al quale hanno parte-cipato 15 scuole di vari paesi europei (Francia, Italia, Polonia, Spagna, Turchia, Repubblica Ceca, Regno Unito, Romania). Lo scopo del progetto era di scam-biarsi biglietti augurali scritti nelle varie lingue ma anche di descrivere la propria scuola e le proprie tra-dizioni natalizie sul TwinSpace della piattaforma. Con-siderato che la Woodfield School è specializzata nella didattica per ragazzi disabili, la classe 1B ha voluto ‘condividere’ questo tipo di realtà e ha frequentato il laboratorio di Natale insieme ai nostri ragazzi diversa-mente abili, realizzando un vero lavoro di inclusione: ogni settimana un gruppetto di ragazzi andava in la-boratorio a creare biglietti natalizi, carta decorata e altro mentre il resto della classe lavorava sugli altri argoe cartelloni in lingua inglese che sono stati appesi in aula. Anche il lavoro in laboratorio menti previsti dal progetto producendo foto, che sono state postate sul TwinSpace del progetto, è stato commentato con brevi testi scritti, sempre in inglese, e documentato da foto. Nonostante alcune difficoltà logistiche e la fatica nel gestire l’entusiasmo dei ragazzi, l’esperienza è stata molto apprezzata e ha sicuramen-te regalato qualcosa a ognuno di noi.

29

Allo stesso progetto partecipano anche i ragazzi di

2B, che fanno parte anche di un altro programma

simile dal titolo ‘The world around us and we a-

round the world’ a cui partecipano moltissime scuo-

le in tutto il mondo; anche questo progetto si avvale

di una pagina Facebook di cui fanno parte ben 117

membri, la maggior parte dei quali sono gli inse-

gnanti delle classi coinvolte. Attualmente i ragazzi di

2B sono in contatto con scuole in Polonia, Turchia,

Ghana e Grecia.

https://www.facebook.com/groups/572737239466894/?fref=ts

Ma il fiore all’occhiello è sicuramente il blog che hanno

creato sempre i ragazzi di 2B, dal titolo ‘What else?’, at-

traverso il portale di blog scolastici Edublogs. L’intento

era di aprire il blog anche ad altre scuole europee, che

sono state invitate; purtroppo al momento solo un paio

di ‘amici europei’ hanno postato qualcosa ma si auspica

una futura più fattiva collaborazione.

E’ da sottolineare che i ragazzi vengono solo consigliati

dall’insegnante il cui intervento è di semplice

mediatore/amministratore per controllare che i post

siano ‘politically correct’ ma le correzioni dei testi si ridu-

cono all’osso proprio perché il lavoro sia il più autentico

possibile e i ragazzi vivano il blog come ‘il LORO blog’. Ci

si scusa, quindi, in anticipo per eventuali errori J

http://liceofederici.edublogs.org/

30

- A CURA DELLA COMMISIONE POESIA -

CINQUE PAROLE… CINQUE POETI

Dire,fare,baciare,lettera,testamento...cinque parole come cinque le dita su cui si contava per il sorteggio della peni-tenza...cinque parole dense e pulsanti come il gioco che ha divertito i bambini italiani di ieri e di oggi.

Dire...fare...baciare...pomeriggi assolati in cortile fra lame di luce e isole d'ombra, tra coetanei e amici un po' più grandi, i visi arrossati e gli occhi luminosi, ansiosi di sapere come sarebbe andata a finire :un bacio rubato a una guancia già sbirciata con interesse o le risate sperticate per le situazioni imbarazzanti che noi o altri avremmo inter-pretato? E il cuore accelerava i battiti, il respiro si accorciava un po' : dire..fare...baciare. Anni lontani, in cui tutto era ancora da decidere e ciascuno aveva quasi bianca e intatta davanti la pagina del proprio futuro.

L'infanzia come altre età si è compiuta da un pezzo, ma in questo oggi apparentemente tanto diverso l'eco di quelle cinque parole trova in me una risposta nuova. Anche la poesia,compagna di vita e lume inestinguibile benchè tal-volta fioco, è in sé un gioco. Un meraviglioso gioco in cui nei versi di un poeta risuonano innumerevoli quelli di chi gli è stato maestro, i singhiozzi del suo dolore come le infinite lacrime del dolore universale, il tenero verde della primavera che lo inebria e l'archetipo della primavera che i lirici della Grecia arcaica resero immortale.

Dire fare baciare lettera testamento: ognuna di queste parole, assaporata e lasciata decantare nel silenzio riporta con sé i versi di un poeta, distanti fra loro ma incredibilmente belli...che voglio suggerirvi come un assaggio o un aggancio per trovare i vostri.

DIRE : un verbo onnipresente e complesso che coniuga in modo superbo Nazim Hikmet, poeta turco, dissidente po-litico, prigioniero ed esiliato negli anni '50, che alla moglie lontana ed amatissima scriveva “Il più bello dei mari/è quello che non navigammo./ Il più bello dei nostri figli/non è ancora cresciuto./I più belli dei nostri giorni/non li ab-biamo ancora vissuti./E quello/che vorrei dirti di più bello/non te l'ho ancora detto.”

FARE: il verbo delle costruzione,della creazione ma anche al nostro fare,fare,fare che ci impedisce di contemplare.In una società sempre più frenetica che “ si affretta e si adopra/di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba”, dovremmo la-sciarci suggerire, come il “garzoncello scherzoso”, dal saggio e dolente Leopardi che la “festa” della nostra esisten-za, il traguardo, l'obiettivo” ch'anco tardi a venir” non ci sia grave.

BACIARE:c'è un verbo più...amato? E se pensiamo ai baci ci vengono in mente quelli appassionati, i “basia”di Catul-lo, quelli di Paolo e Francesca, quelli che si scambiano i Ragazzi che si amano di Jacques Prevert, raffinato poeta francese,che“ ...si baciano in piedi/ Contro le porte della notte/ E i passanti che passano li segnano a dito/ Ma i ra-gazzi che si amano/ Non ci sono per nessuno/ Ed è la loro ombra soltanto/ Che trema nella notte/ Stimolando la rabbia dei passanti/ La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia/ I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno/ Essi sono altrove molto più lontano della notte/ Molto più in alto del giorno/Nell'abbagliante splendore del loro primo amore.”

LETTERA: ognuno di noi ne ha scritte, ricevute, usate per comunicare quello che a voce non sarebbe stato possibile. Anche Ungaretti, che scriveva al suo editore,gli confessò in forma epistolare la grande verità a cui era giunto. Tutta la sua esistenza votata alla poesia per dichiarare:

31

Gentile

Ettore Serra

poesia

è il mondo l’umanità

la propria vita

fioriti dalla parola

la limpida meraviglia

di un delirante fermento

Quando trovo

in questo mio silenzio

una parola

scavata è nella mia vita

come un abisso

Che scrivere di meglio...della poesia?

Se dunque è vitale per noi quello che scegliamo di dire con una lettera, ancor di più è quanto scegliamo di affidare al nostro testamento. Voglio consegnarvi le parole di Kostantinos Kavafis, poeta greco del secondo Novecento, così figlio della sua terra di miti eterni. I versi di Itaca sono la sua eredità che possiamo raccogliere: diamo peso al viag-gio della vita, a ogni singolo incontro, a ogni alba, ogni tramonto, a ciò che pare scontato e non lo è. Perché non è la meta che ci farà felici ma tutto quello che ci avrà arricchito nel raggiungerla. Ascoltiamolo suggerirci che:

Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze.

(...) Devi augurarti che la strada sia lunga.

Che i mattini d’estate siano tanti quando nei porti - finalmente e con che gioia -

toccherai terra tu per la prima volta: negli empori fenici indugia e acquista

madreperle coralli ebano e ambre

(...) Sempre devi avere in mente Itaca -

raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio;

fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada

senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio,

senza di lei mai ti saresti messo sulla strada: che cos’altro ti aspetti?(...)

Così anche “dire fare baciare” non sarà soltanto nostalgia ma vita.

Cristina Cortinovis

32

- A CURA DELLA COMMISIONE POESIA -

TALVOLTA SI SOGNA IN VERSI

Sogno

La sera calava cremisi

e in attesa m’immersi

dell’ora più bella e segreta:

calare nel vuoto, sparir e ‘posare.

La tenebra torna e dispare,

cresce e s’attenua;

s’insinua, riporta alla luce

chimere, feroce

ribolle e poi tace; ricordo …

ripesco dal buio arabeschi

brillanti, mai nitidi, vaghi,

capricci di maghi.

Ritorno nel buio; già l’onda

si placa, m’acceca, si serra

la porta che porta alla terra

di altra realtà. E la mente

si desta e l’occhio riscopre

la forma ch’in vero non mente.

Che pure già sia

nostalgia

di cara armonia

ingannevole, o sia forse follia,

ciò che spero e non dico:

sarà tutto smarrito,

o mai tornerà quell’oblio

ch’avvolge e dà pace al cuor mio?

Elena Rolfi,2^ A LS

33

“Tutte le cosa animate e inanimate si ricongiungono con un intenso mondo interiore come flusso perpetuo

che avvolge e porta pace. Sogno o ricordo, realtà o fantasia trovano armonia in un io narrante che si fa

personaggio, parola dopo parola. La struttura fonica del testo è connotata dall’espediente ritmico, attra-

verso il quale l’autrice trasmette riflessioni e considerazioni personali, nell’alternarsi tra luci e tenebre. Co-

me un assetato che cerca acqua, la giovane scrivente chiede la pace del cuore e inneggia al ritorno

dell’oblio.”

Con questa motivazione ad Elena Rolfi, alunna della nostra 2^A del Liceo Scientifico, è stato attribuito il

secondo premio al “V Concorso Nazionale di Poesia Anna Maria Sanzo” di Bisuschio (Varese) per la poesi-

a Sogno, che vi abbiamo proposto qui sopra. Giudicherete da soli che la motivazione rispecchia fedelmen-

te la bellezza della poesia.

Lasciatemi aggiungere una sola cosa. Elena è una mia alunna, e sono molto orgoglioso di lei per questa

bella, anzi bellissima, prova. Ma è troppo facile essere orgoglioso degli alunni quando vincono i premi di

poesia. Io sono orgoglioso di Elena perché Elena ha provato e prova ad esprimere quello che sente attra-

verso uno dei tanti linguaggi che la vita ci propone. A quanto pare, se una ragazza di sedici anni è capace di

scrivere poesie del genere, probabilmente la parola poetica è un mezzo che, per esprimere se stessi, fun-

ziona ancora egregiamente, nonostante il nostro mondo che va sempre di fretta, e sembra disconoscere

la pazienza e la riflessione. Dobbiamo quindi ringraziare Elena, che ci ha ricordato cha la poesia non solo si

può ancora leggere, ma si può ancora fare: perché la BELLEZZA, non solo con la B ma tutta maiuscola,

quella che i ragazzi si portano dentro, non passa; rimane ed è integra, e magari urge per esprimersi: tal-

volta in una poesia.

Di nuovo, quindi, grazie a Elena, e ai tanti (sono più di quel che immaginate, sapete?) ragazzi e ragazze del-

la nostra scuola che, come lei, hanno provato e provano a dire qualcosa nel linguaggio difficile e bellissimo

della poesia.

Luca Bressan

34

35

5....

Che dire di questo numero? Non ha particolari assonanze positive, non è particolarmente musicale, ri-

manda a luoghi di potere non troppo limpidi ma la redazione lo ha scelto per riempire le pagine del secon-

do numero di Pigreco. Io volevo astenermi questa volta, ma il richiamo della tastiera mi sprona a dare un

modesto contributo.

Ho cercato tanto qualche cosa da dire e per farla breve tradurrò il mio lavoro alla redazione in cinque

motti da non perdere per strada per rendere Pigreco un bel giornale, dove tutti imparano qualcosa:

1) informarsi

è la chiave per dire qualcosa che non sia scontato

2) rispettare

tutto e tutti: si puo' criticare, si puo' far ridere ma c'è chi fa ridere volgarmente e alla lunga stanca e c'è chi

fa ridere sobriamnete e non stanca mai e diventa un evergreen

3) ospitare

tutti possono scrivere su Pigreco, rispettando le regole che vengono prima e quelle che verranno dopo

(non lo so ancora... lascio spazio alla creatività)

4) divertirsi

è l'unica cosa che conta e scrivere è un gran divertimento, molto piu' che leggere. E' tuo, veramente tuo

prima di essere di altri.

5) regalare

un sorriso, una notizia, una polemica: tutto va bene, basta che apra le porte del pensiero e qualche volta

del cuore. In questo numero credo molte volte...

A presto.

Cristina Finazzi e la redazione che migliora sempre più...almeno io ho cinque buoni motivi per crederlo.

Leggendo questa breve ma intensa lettera al cimitero, così i compagni di classe hanno ricordato Nicola,.

Caro Nicola,

non ci possiamo credere che gli angeli ti abbiano portato via. Il tuo sorriso illu-minava tutta l'aula, ci hai fatto ridere molte volte, per esempio quando imitavi gli animali durante l'ora di religione, oppure quando hai imparato a dire “wee maat!”, sono stati momenti speciali passati insieme e il pensiero che questi momenti non ci saranno più ci fa stare male...

A questo punto, possiamo solo abbracciarti idealmente perché sei riuscito a farti voler bene da tutti.

Pensiamo che tu sia riuscito a tirar fuori una parte di noi che ci ha in qualche modo reso persone migliori.

Ti ricorderemo per il ragazzo solare e divertente che eri e resterai per sempre nei nostri cuori.

Vorremmo dare un bacio a Simona perché c'è sempre stata per te e un ab-braccio ai tuoi genitori perché è un momento difficile, ma sappiamo che ora sei in un mondo migliore, in un mondo pieno di angeli come te...

sei il nostro angelo...

36