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Introduzione del Cedefop 3 Prefazione dell’autore 7 Capitolo 1 — Informazioni di base 11 1.1. Struttura politico-amministrativa 11 1.2. Popolazione 13 1.2.1. La popolazione italiana 13 1.2.2. Livello di istruzione della popolazione 17 1.2.3. Immigrazione 19 1.3. Economia e forza lavoro 20 1.3.1. Economia 20 1.3.2. Forza lavoro 22 Capitolo 2 — La storia e l’assetto normativo del sistema 29 2.1. L’evoluzione storica del sistema 29 2.1.1. Istruzione 29 2.1.2. Formazione professionale 30 2.2. L’articolazione delle competenze 36 2.2.1. Istruzione 36 2.2.2. Formazione professionale iniziale e continua 36 2.2.3. La delega alle province 38 2.3. L’assetto attuale del sistema di formazione professionale 43 2.3.1. La programmazione degli interventi 43 2.3.2. La gestione delle attività 44 2.3.3. Il ruolo delle parti sociali 45 2.3.4. Il ruolo del Fondo sociale europeo 46 Capitolo 3 — La struttura del sistema 49 3.1. Il sistema di istruzione generale e la partecipazione all’istruzione e alla formazione 49 3.2. La formazione professionale iniziale: quadro generale 57 3.2.1. Le filiere professionalizzanti dell’istruzione scolastica 60 a) L’istruzione professionale 62 b) L’istruzione tecnica 64 c) L’istruzione magistrale 65 d) L’istruzione artistica 66 3.2.2. La formazione professionalizzante universitaria 67 3.2.3. Il sistema regionale di formazione iniziale 68 a) Caratteristiche generali 68 b) Le caratteristiche strutturali dell’offerta regionale 70 c) La partecipazione alla formazione regionale 74 d) Le attività multiregionali 75 3.3. Apprendistato e contratti di formazione e lavoro 77 3.3.1. Caratteristiche generali 77 3.3.2. L’evoluzione quantitativa dei due strumenti 79 3.4. La formazione continua 81 3.4.1. Gli interventi promossi dalle regioni 81 3.4.2. Gli interventi di formazione continua ex legge 236/93 84 3.4.3. Gli interventi promossi a livello nazionale nell’ambito del FSE 85 3.4.4. L’attività formativa delle imprese 85 3.4.5. L’offerta formativa della pubblica amministrazione per i propri dipendenti 89 3.4.6. Le iniziative promosse dalle camere di commercio 89 Capitolo 4 — I finanziamenti per l’istruzione e la formazione professionale 91 4.1. Il finanziamento dell’istruzione generale 91 4.2. Il finanziamento dell’istruzione professionale 92 4.2.1. La spesa regionale per la formazione professionale 92 4.2.2. La spesa del ministero del Lavoro 96 4.2.3. La spesa del ministero della Pubblica istruzione 98 5 Indice

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Introduzione del Cedefop 3

Prefazione dell’autore 7

Capitolo 1 — Informazioni di base 111.1. Struttura politico-amministrativa 111.2. Popolazione 13

1.2.1. La popolazione italiana 131.2.2. Livello di istruzione della popolazione 171.2.3. Immigrazione 19

1.3. Economia e forza lavoro 201.3.1. Economia 201.3.2. Forza lavoro 22

Capitolo 2 — La storia e l’assetto normativo del sistema 292.1. L’evoluzione storica del sistema 29

2.1.1. Istruzione 292.1.2. Formazione professionale 30

2.2. L’articolazione delle competenze 362.2.1. Istruzione 362.2.2. Formazione professionale iniziale e continua 362.2.3. La delega alle province 38

2.3. L’assetto attuale del sistema di formazione professionale 432.3.1. La programmazione degli interventi 432.3.2. La gestione delle attività 442.3.3. Il ruolo delle parti sociali 452.3.4. Il ruolo del Fondo sociale europeo 46

Capitolo 3 — La struttura del sistema 493.1. Il sistema di istruzione generale e la partecipazione all’istruzione

e alla formazione 493.2. La formazione professionale iniziale: quadro generale 57

3.2.1. Le filiere professionalizzanti dell’istruzione scolastica 60a) L’istruzione professionale 62b) L’istruzione tecnica 64c) L’istruzione magistrale 65d) L’istruzione artistica 66

3.2.2. La formazione professionalizzante universitaria 673.2.3. Il sistema regionale di formazione iniziale 68

a) Caratteristiche generali 68b) Le caratteristiche strutturali dell’offerta regionale 70c) La partecipazione alla formazione regionale 74d) Le attività multiregionali 75

3.3. Apprendistato e contratti di formazione e lavoro 773.3.1. Caratteristiche generali 773.3.2. L’evoluzione quantitativa dei due strumenti 79

3.4. La formazione continua 813.4.1. Gli interventi promossi dalle regioni 813.4.2. Gli interventi di formazione continua ex legge 236/93 843.4.3. Gli interventi promossi a livello nazionale nell’ambito del FSE 853.4.4. L’attività formativa delle imprese 853.4.5. L’offerta formativa della pubblica amministrazione

per i propri dipendenti 893.4.6. Le iniziative promosse dalle camere di commercio 89

Capitolo 4 — I finanziamenti per l’istruzione e la formazione professionale 91

4.1. Il finanziamento dell’istruzione generale 914.2. Il finanziamento dell’istruzione professionale 92

4.2.1. La spesa regionale per la formazione professionale 924.2.2. La spesa del ministero del Lavoro 964.2.3. La spesa del ministero della Pubblica istruzione 98

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2.1. L’evoluzione storica del sistema

2.1.1. Istruzione

La genesi del moderno sistema educativo italiano risale alla legge Casati del 1861,anno della proclamazione del Regno d’Italia, che stabilisce la gratuità, obbligatorietàe unicità del grado elementare e nel grado secondario sancisce la separazione trascuola umanistica (licei) e scuola tecnica.

Nel 1923 la riforma Gentile introduce un triennio di studi integrativo (scuola media)successivo alla scuola elementare, accanto alla scuola «complementare» di avviamentoprofessionale che prende il posto della scuola tecnica. L’obbligo scolastico vieneinnalzato a 14 anni.

Negli anni Trenta si completa il quadro del moderno sistema di istruzione con lacostituzione degli istituti tecnici (1931) e degli istituti professionali (1938) nel gradosecondario superiore.

La Carta costituzionale, entrata in vigore il 1o gennaio del 1948, stabilisce le lineegenerali del sistema formativo. Essa afferma la centralità della Repubblica nel curarel’istruzione, la formazione e l’elevamento professionale dei lavoratori; sanciscel’obbligatorietà e la gratuità dell’istruzione per almeno otto anni; infine, introduce ladistinzione tra istruzione scolastica, di competenza dello Stato, ed addestramentoprofessionale, di competenza regionale.

All’indomani della costituzione dello Stato repubblicano una delle esigenze dirinnovamento più urgenti riguarda i programmi di studio delle scuole elementari emedie. Occorre però attendere sino al 1955 perché vengano definiti i nuoviprogrammi per la scuola elementare e fino al 1962 perché venga istituita la nuovascuola media unica, gratuita e obbligatoria, che prende il posto anche delle scuole diavviamento professionale.

Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, con l’avvio del decolloindustriale e l’esplosione del «boom» economico si impone in Italia la necessità dicollegare al scuola al mercato del lavoro e alle esigenze di un sistema produttivo inespansione, di renderla capace di fornire al paese una forza lavoro adeguatamentepreparata. Il vivace dibattito che si sviluppa in questi anni intorno alla riforma dellascuola secondaria superiore sostiene la progressiva deprofessionalizzazionedell’istruzione scolastica, mentre si tende a delegare alle imprese, o comunque adagenzie extrascolastiche, la formazione professionale in senso stretto.

Nel 1968 la contestazione studentesca critica fortemente l’impostazione selettiva dellascuola; fra i risultati della protesta giovanile c’è l’estensione ai diplomati di tutte lescuole secondarie superiori della possibilità di iscriversi a qualsiasi facoltà universitaria,senza alcuna limitazione di scelta.

I decenni successivi saranno caratterizzati da un sostanziale immobilismo: le purnumerose proposte di riforma concernenti i diversi ordini del sistema restano senzaesito. Solo nel 1990 verrà portata a compimento la riforma della scuola elementare.Dello stesso anno è la riforma degli ordinamenti didattici universitari e l’istituzione deidiplomi di laurea breve. Tuttora inattuata è la riforma della scuola secondariasuperiore, nonostante l’avvio di importanti sperimentazioni al riguardo.

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Capitolo 2La storia e l’assetto normativo del sistema

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Il sistema scolastico italiano vive però oggi un periodo di particolare tensioneinnovatrice. All’inizio del 1997 il ministero della Pubblica istruzione ha presentato unprogetto di riordino dei cicli di istruzione che, se approvato, modificherà radicalmentel’impianto architettonico del sistema educativo. Il 19 gennaio 1999 il Parlamento haapprovato l’elevamento dell’obbligo scolastico a 15 anni e il 17 maggio 1999 haapprovato l’elevamento dell’obbligo di istruzione e formazione professionale a 18anni, che potrà essere assolto, oltre che nel sistema scolastico, anche nella formazioneprofessionale a tempo pieno e nell’apprendistato.

2.1.2. Formazione professionale

Nella Carta costituzionale lo Stato repubblicano assume la formazione professionale(f.p.) come obiettivo programmatico (articolo 35) con l’impegno di curare «laformazione e l’elevazione professionale dei lavoratori», conferendo al termineformazione una vasta gamma di valori educativi, culturali, morali, oltre chestrettamente professionali.

Negli anni immediatamente successivi alla conclusione del secondo conflitto mondialele esigenze della ricostruzione e la pressante necessità di riavviare il sistema produttivonazionale orientano le scelte istituzionali verso interventi mirati a offrire unaformazione breve, di tipo tecnico-addestrativo, ai primi livelli di qualificazione, peradeguare rapidamente la manodopera alle trasformazioni in atto nel sistemaindustriale.

Con la legge 264 del 1949, che rimarrà sino agli anni Settanta il principale strumentonormativo del sistema, viene disciplinata per la prima volta la materiadell’addestramento professionale.

La legge destina l’intervento formativo ad un’utenza esclusivamente adulta. Leiniziative del ministero del Lavoro si rivolgono in primo luogo «all’addestramento, allaqualificazione, al perfezionamento e alla riqualificazione professionale dei lavoratori»disoccupati. Una seconda tipologia formativa è destinata alla riqualificazione dimanodopera già occupata, di età non superiore ai 45 anni.

L’organizzazione dei corsi di addestramento professionale è assegnata sia alleamministrazioni pubbliche, in particolare attraverso grossi enti parastatali — INACLI(Istituto nazionale dei lavoratori dell’industria) e ENALC (Ente nazionaleaddestramento dei lavoratori del commercio), cui si aggiungerà nel 1958 l’INIASA (perl’artigianato) —, sia a enti, istituzioni, associazioni, centri di formazione di varia naturae matrice.

Superati i primissimi anni della ricostruzione l’emergenza più grave riguarda igiovanissimi che si presentano sul mercato del lavoro privi di una adeguatapreparazione professionale. La legge 456 del 1951 estende i corsi di addestramentoprofessionale anche ai giovani, spostando l’asse di interesse verso questo vasto bacinodi utenza e ponendo le basi per lo sviluppo della formazione professionale iniziale,che diviene in seguito il segmento più consistente dell’intero sistema italiano di f.p.

Nel 1955 viene istituito l’apprendistato che prevede per gli apprendisti l’obbligo difrequentare corsi di formazione complementari all’addestramento pratico ricevuto inazienda.

L’apertura verso i giovani e il configurarsi di una funzione suppletiva rispetto allascuola obbligano il nascente sistema di f.p. a strutturarsi in corsi lunghi e articolati, conprogrammi di studio mutuati dai curricula per gli istituti professionali di Stato.

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Nel 1957, con la nascita della CEE, il trattato di Roma istituisce il Fondo sociale europeo(articolo 123) e formula «principi generali per l’attuazione di una politica comune diformazione professionale» finalizzata, tra l’altro, a favorire lo «sviluppo armoniosodelle economie nazionali e del mercato comune».

Il FSE, divenuto operativo nel 1960, giocherà un ruolo sempre più rilevante nellosviluppo della formazione professionale in Italia, un ruolo che — come vedremo — èoggi divenuto fondamentale.

Il sistema di formazione professionale resta privo di una sistematizzazione normativaorganica sino al 1972 quando, in seguito alla costituzione delle regioni, si dàattuazione al mandato costituzionale che aveva incluso «l’istruzione artigiana eprofessionale» (articolo 117) tra le materie su cui le regioni avrebbero esercitato ilpotere legislativo.

Il decreto 616 del 24 luglio 1977, che dà attuazione al trasferimento di competenza,definisce la materia in oggetto come: «i servizi e le attività destinate allaqualificazione, al perfezionamento, alla riqualificazione e orientamentoprofessionale, per qualsiasi attività professionale e per qualsiasi finalità, compresa laformazione continua, ricorrente, permanente, (...) a esclusione di quelle dirette alconseguimento di un titolo di studio o diploma di istruzione secondaria superiore,universitaria, o post universitaria».

Il trasferimento alle regioni si rivela però insufficiente a disciplinare in modo unitarioil settore; viene quindi emanata la legge quadro 845 del 1978 che riconosce lafunzione di indirizzo e di coordinamento del governo, nel cui ambito ciascuna regionepuò agire in modo autonomo e secondo la propria linea politica.

L’obiettivo del decentramento è quello di rendere il sistema di f.p. flessibile e vicinoalle esigenze territoriali, adeguato alle specificità dei sistemi produttivi locali; tuttavianegli anni l’ampia autonomia attribuita alle regioni finisce col dare vita a un sistemafortemente differenziato.

Alle regioni spettano le competenze in materia di f.p. sia iniziale che continua; ma ilsistema rimarrà, ancora per lungo tempo, fondamentalmente rivolto a un’utenza digiovani privi di qualunque qualificazione, verso i quali svolge principalmente unafunzione di recupero scolastico.

Tale orientamento delle regioni verso le attività di formazione iniziale, così come lamancanza di uno specifico Fondo per il finanziamento delle attività di formazionecontinua (f.c.) hanno contribuito a far sì che in Italia per lungo tempo non si costruisseun sistema organico e strutturato di f.c. di cui far beneficiare imprese, giovani,lavoratori, disoccupati, inoccupati adulti in modo permanente.

Nella seconda metà degli anni Ottanta, le trasformazioni dei processi produttivi e ilconseguente cambiamento organizzativo fanno aumentare la domanda di tecniciqualificati, orientando gradualmente l’offerta regionale verso la formazione disecondo livello, ovvero post diploma di scuola secondaria.

Con gli anni Novanta, il riconoscimento della formazione come risorsa strategica perimprese e lavoratori tende a essere sempre più acquisito da parte sia dell’attorepubblico sia delle forze sociali, le quali — soprattutto a livello confederale —sottolineano la necessità di riqualificare il sistema di istruzione e di formazioneitaliano, con particolare attenzione per la f.c.

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In primo luogo le istanze di rinnovamento vengono recepite dalla legge 236 del 1993,che avvia la sistematizzazione della f.c., riconoscendo il principio della concertazionetra Stato, regioni e parti sociali.

Nella legge la f.p. è considerata come un servizio di utilità sociale volto a facilitare losviluppo socioeconomico ed occupazionale ed affronta il problema delle risorsefinanziarie, destinando ad interventi di f.c. una quota pari a 1/3 delle risorse derivantidal gettito dello 0,3 % del monte salari da parte delle imprese.

La legge permette di finanziare con questo strumento:

• interventi di f.c., di aggiornamento o riqualificazione per operatori della f.p.dipendenti dagli enti di f.p.;

• interventi di f.c. per lavoratori occupati in aziende beneficiarie dell’interventostraordinario di integrazione salariale;

• interventi di riqualificazione o aggiornamento professionale per dipendenti daaziende che contribuiscono in misura non inferiore al 20 % del costo delle attività;

• interventi di f.p. rivolti a lavoratori iscritti nelle liste di mobilità.

Con l’accordo per il lavoro, siglato nel settembre 1996 tra governo e parti sociali, vieneesplicitata la strategia per il rinnovamento e la riqualificazione del sistema di f.p.; leproposte di rinnovamento già avanzate nel patto per il lavoro del 1993 vengonoriaffermate in un approccio sistemico i cui punti cardine sono: innalzamentodell’obbligo scolastico, diritto alla formazione fino al diciottesimo anno di età,valorizzazione delle finalità formative del contratto di formazione e lavoro edell’apprendistato, sostegno alla diffusione in tutto il sistema formativo degli stages,sviluppo della formazione continua.

Per quanto riguarda in particolare la formazione continua, espressamente considerata«la nuova prospettiva strategica della formazione», l’accordo propone un approccioflessibile in grado di rispondere agli obiettivi di anticipazione dei fabbisogni dicompetenze, riqualificazione, aggiornamento professionale.

Scaturita dall’accordo per il lavoro, la legge 196 del 24 giugno 1997, meglio nota come«pacchetto Treu» dal nome del ministro del Lavoro che l’ha promossa, contiene lepremesse e le linee generali per un riforma complessiva del sistema di f.p.

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Tabella 2.1 Evoluzione dell’istruzione e della formazioneprofessionale: quadro riepilogativo

Anno Provvedimento1861 Legge Casati: prima legge organica in materia di istruzione1923 Riforma Gentile: obbligo di istruzione fino 14 anni1931 Istituzione degli istituti tecnici1938 Istituzione degli istituti professionali1948 Entrata in vigore della Costituzione repubblicana1949 Legge sul collocamento e sull’addestramento professionale1951 Estensione dei corsi di addestramento professionale ai giovani1955 Definizione dei nuovi programmi della scuola elementare

Legge istitutiva dell’apprendistato1962 Istituzione della nuova scuola media unica1968 Istituzione della scuola materna statale1969 Riforma dell’esame di maturità e liberalizzazione dell’accesso all’università1972 Trasferimento della competenza in materia di f.p. alle regioni1974 Riconoscimento ai lavoratori del diritto al congedo formativo1977 Istituzione dei contratti di formazione e lavoro1978 Legge quadro in materia di formazione professionale1990 Riforma della scuola elementare

Riforma ordinamenti universitari: introduzione dei diplomi universitari1992 Avvio dei diplomi universitari

Progetto 92: riforma degli istituti professionali1993 Patto per il lavoro Legge 236: sostegno

dell’occupazione e avvio della organizzazione del sistema di f.c.1996 Accordo per il lavoro1997 Legge 196: linee guida per la riforma del sistema di f.p.;

riforma dell’apprendistato e dei tirocini formativiProgetto di riordino della scuola secondaria superiore

1998 Decreto legislativo 112: definizione del ruolo delle regioni e dello Statoin materia di f.p.Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione

1999 Elevamento dell’obbligo scolastico a 15 anniElevamento dell’obbligo scolastico e di formazione professionale a 18 anni

La definizione puntuale della nuova normativa quadro è demandata al governomediante l’emanazione di uno o più decreti regolamentari. I decreti relativiall’apprendistato e ai tirocini sono già stati pubblicati, mentre è stato predisposto (enon ancora approvato) il decreto relativo alla riforma complessiva del sistema di f.p.,i cui capisaldi sono:

• la ridefinizione dei compiti dello Stato, dopo che il decreto legge 112/98 ha ribaditola competenze primaria delle regioni in materia di f.p., lasciando allo Stato alcuneresidue funzioni;

• la semplificazione delle procedure;• l’introduzione dell’accreditamento per le strutture formative;• la costituzione di un «Fondo interprofessionale per la formazione continua» con la

destinazione progressiva delle risorse derivanti dai contributi versati dai datori dilavoro «agli interventi di formazione dei lavoratori nell’ambito di piani formativiaziendali o territoriali concordati tra le parti sociali»;

• l’avvio di un sistema di certificazione delle competenze acquisite.

Infine, nel dicembre 1998 il «patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione» siglato fragoverno e parti sociali ha ribadito il valore strategico della formazione che devedivenire una componente fondamentale di tutti gli interventi per l’occupazione epromuove l’istituzione dell’obbligo di formazione fino a 18 anni. Quest’ultimasollecitazione ha trovato la sua concreta applicazione nel maggio del 1999, mese in cuiil Parlamento ha approvato l’elevamento dell’obbligo scolastico e di formazioneprofessionale al diciottesimo anno di età; tale obbligo può essere assolto in percorsi,anche integrati, di istruzione e formazione:

a) nel sistema di istruzione scolastica;b) nel sistema della formazione professionale di competenza regionale;c) nell’esercizio dell’apprendistato.

La riforma troverà concreta applicazione nel regolamento attuativo che verràadottato entro il mese di novembre 1999.

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Grafico 2.1 Evoluzione del sistema della formazioneprofessionale

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2.2. L’articolazione delle competenze

2.2.1. Istruzione

Il sistema scolastico italiano è storicamente un sistema unitario e centralizzato. Duesono le strutture statali deputate a gestire il sistema di istruzione a livello nazionale:

• il ministero della Pubblica istruzione, responsabile dell’istruzione generaledall’insegnamento prescolare fino alla conclusione della scuola secondariasuperiore;

• il ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologicaresponsabile, dal 1989, della gestione del sistema universitario e degli enti statali diricerca.

A partire dagli anni Cinquanta sono andati gradualmente aumentando gli spazi didecentramento. In particolare dal 1972 numerose competenze amministrative delloStato in materia di istruzione sono state trasferite a livello locale, alle regioni, alleprovince e ai comuni.

Più recentemente il decreto legislativo 112/98, in attuazione della legge 59/97, haesteso le funzioni attribuite ai diversi soggetti di governo territoriale:

• alle regioni spetta la programmazione dell’offerta formativa integrata, laprogrammazione della rete scolastica nell’ambito delle risorse umane e finanziariedeterminate dallo Stato e sulla base dei piani provinciali, la definizione delcalendario scolastico e dei contributi per le scuole non statali;

• alle province competono, in relazione all’istruzione secondaria superiore, gliinterventi in materia di edilizia scolastica, la redazione dei piani di organizzazionedella rete delle istituzioni scolastiche e l’attuazione dei piani approvati dallaregione, l’organizzazione del servizio di supporto agli alunni con handicap o insituazione di svantaggio, l’articolazione del piano di utilizzo delle strutture e delleattrezzature;

• ai comuni competono le stesse funzioni attribuite alle province, ma in relazioneagli altri gradi inferiori di scuola; inoltre, in collaborazione con le province,esercitano iniziative in materia di educazione degli adulti, orientamento scolasticoe professionale, interventi di prevenzione della dispersione scolastica.

Inoltre già dal 1974 con l’introduzione dei decreti delegati (DPR 416 del31 maggio1974), la gestione scolastica si è aperta alla partecipazione di altri soggetti, quali igenitori, gli studenti, le associazioni dei lavoratori e degli imprenditori.

Nel 1989, con l’istituzione del ministero dell’Università e della Ricerca scientifica etecnologica viene riconosciuta l’autonomia degli atenei universitari.

Recentemente, il DM 765 del 27 novembre 1997 ha avviato la sperimentazionedell’autonomia didattica e organizzativa delle istituzioni scolastiche, in conformitàcon quanto indicato nell’art. 21 della già citata legge 59/97 sulla riforma della pubblicaamministrazione.

2.2.2. Formazione professionale iniziale e continua

Al contrario del sistema scolastico, quello della formazione professionale non puòessere definito un sistema unitario e organico, dal momento che le diverse filiere delsistema sono affidate alla competenza di soggetti diversi.

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In base al dettato costituzionale, alle regioni spetta la competenza in materia diformazione professionale. Il decreto legislativo 112/98, che ha riordinato la complessamateria delle funzioni e dei compiti spettanti ai diversi soggetti istituzionali, haconservato allo Stato la cura dei rapporti internazionali in particolare con l’Unioneeuropea, l’indirizzo e il coordinamento in materia di formazione professionale,l’individuazione degli standard delle qualifiche professionali e dei crediti formativi, ladefinizione dei requisiti minimi per l’accreditamento delle strutture.

In relazione a tali funzioni la conferenza Stato-regioni esercita funzioni di parereobbligatorio e di proposta ed inoltre definisce gli interventi di armonizzazione traobiettivi nazionali ed obiettivi regionali.

Le regioni dunque hanno competenza in materia di formazione professionale siainiziale che continua e il decreto legislativo 112/98 ribadisce che tali funzioni di normasono delegate alle province (cfr. paragrafo seguente).

Al di fuori della competenza regionale rimangono alcuni canali del sistema formativoitaliano:

• la formazione professionale svolta all’interno del sistema scolastico e in particolarealcune tipologie di scuola secondaria superiore a finalità professionalizzante, chericade sotto la competenza del ministero della Pubblica istruzione;

• la formazione professionale svolta all’interno del sistema di istruzioneuniversitaria, di competenza del ministero per l’Università e la Ricerca scientifica etecnologica.

In base al decreto legislativo 112/98 la programmazione dell’offerta formativaintegrata tra istruzione e formazione professionale spetta alle regioni.

Accanto ai canali formativi istituzionali si colloca il sistema privato di formazioneprofessionale, che riguarda le attività formative svolte in azienda senza contributipubblici e i cosiddetti «corsi liberi», finanziati attraverso le rette di iscrizione efrequenza pagate dagli utenti.

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Grafico 2.2 Competenze istituzionali in materia di formazione

Autoritàresponsabili

Livello nazionale

Livello regionale

Livello locale

Organizzazione /Istituzione

1. Ministero del Lavoro2. Ministero della Pubblica istruzione3. Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica

e tecnologica4. Regioni e province autonome5. Enti locali6. Rappresentanze sindacali degli imprenditori7. Rappresentanze sindacali dei lavoratori8. Centri di formazione professionale9. Centri privati senza scopo di lucro10. Scuole e/o centri di formazione aziendale11. Istituti scolastici12. Università

Formazione scolastica Formazione universitaria Formazione regionale

Regolamentazione del sistemaDeterminazione dei contenutiValutazione e certificazioneInformazione e orientamento

Modalità dell’offerta

Istituti o centri di formazioneIn alternanzaStudio in autoapprendimentoSul posto di lavoro

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2.2.3. La delega alle province

Per rispondere in modo efficace alle esigenze dei sistemi produttivi e del mercato dellavoro a livello locale, è da qualche tempo in atto un processo di definizione delladelega alle province in materia di formazione professionale, che sposta a livello locale(provinciale) le azioni di programmazione, attuazione, amministrazione, valutazionedelle attività formative, lasciando al livello regionale le funzioni strategiche diindirizzo e controllo.

Si tratta di un processo avviatosi in anticipo rispetto alle modifiche attualmente in attonella pubblica amministrazione italiana orientate a conferire maggiori poteri ai livellidecentrati di governo, ma che trovano in esse una nuova legittimazione.

Benché un richiamo al ruolo delle amministrazioni locali fosse già contenuto nellastessa legge quadro (ove all’articolo 3 si parlava di delega agli enti locali delle funzioniamministrative nelle materie oggetto della stessa 845), solo con la legge 142/90 sulla«riforma delle autonomie locali», la legislazione nazionale individua la Provinciaquale soggetto primario delegato in materia di f.p., ponendo con forza l’esigenza didefinire una nuova architettura istituzionale.

Tale esigenza è stata ribadita di recente con la legge 15 marzo 1997, 59 (delega algoverno per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali per la

riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa) in cuiviene fatto esplicito richiamo al principio di sussidiarietà per regolare il rapporto traregioni e autorità locali. È del 23 dicembre 1997 il decreto attuativo n. 469 chedisciplina il conferimento alle regioni e agli enti locali delle competenze in materia dipolitiche del lavoro, valorizzando il ruolo delle province.

Mentre in alcune regioni la delega alle province è operante già da diversi anni in altrela sua attuazione non si è ancora compiuta.

In alcuni casi la delega è «piena», riguarda cioè il trasferimento delle funzioni ericonoscimento di una piena autonomia di azione, in altri si tratta più semplicementedi una «chiamata a partecipare» ovvero di un rapporto di collaborazione.

Al fine di presentare il quadro complessivo di tale processo è stata predisposta unatavola sinottica che riassume quanto è avvenuto in materia.

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Stato di attuazione del processo di delega alle province

Regione e anno Funzioni di previsione Funzioni previste dalla delega effettivamentedella delega delegateValle d’Aosta Non sono previste deleghe alla provincia

Piemonte ◆ Individuazione dei fabbisogni formativi Tutte(1995) ◆ Formulazione di proposte e di pareri

sui programmi triennali e le direttive annuali◆ Approvazione e trasmissione dei piani

provinciali di politica del lavoro◆ Riconoscimento dei corsi liberi◆ Realizzazione di azioni di orientamento

scolastico e professionale◆ Promozione della partecipazione degli attori

territoriali significativi◆ Stipula di intese, accordi di programma

e convenzioni con gli organi periferici del ministero della Pubblica istruzione ed i singoli istituti scolastici nel quadro degli accordi regionali

Lombardia ◆ Elaborazione di una proposta di piano ◆ Invio alla regione(1980) triennale provinciale per la formazione delle proposte

professionale sulla base dello schema di piano provincialedi progetto del piano regionale annuale di attività

(1995) ◆ Invio alla regione delle proposte di piano provinciale annuale di attività

◆ Gestione dei CFP regionali

Liguria ◆ Elaborazione, approvazione e gestione del piano ◆ Programmazione(1993 e 1997) annuale di formazione professionale sulla base annuale

del programma triennale regionale delle attività◆ Gestione dei CFP

provinciali◆ Stipula di convenzioni

per l’attuazione indi-retta dei progetti formativi

Veneto Non sono previste deleghe alle province

Trentino-Alto Adige Trattandosi di regione a statuto speciale le province hanno la competenza piena in materia di f.p.

Friuli-Venezia Giulia Non sono previste deleghe alle province

Emilia-Romagna ◆ Coordinamento degli interventi formativi Tutte(1979) ◆ Formulazione ed approvazione di programmi

poliennali e dei piani annuali◆ Vigilanza per ciò che concerne l’attuazione

degli indirizzi programmatici e dei piani poliennali e l’orientamento professionale stabilendo opportuni collegamenti con i distretti scolastici

◆ Stipulazione di convenzioni per l’autorizzazione e la gestione dei corsi e il rilascio dell’attestato di qualifica

◆ Vigilanza e controllo dell’attività dei centri gestiti da fondazioni ed associazioni

Umbria ◆ Funzioni amministrative relative: ◆ Partecipazione alla (1981 e 1991) • all’organizzazione, gestione e vigilanza formazione del piano

degli interventi di formazione triennale della f.p.

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Stato di attuazione del processo di delega alle province (segue)

• all’orientamento professionale ◆ Organizzazione, • alla promozione educativa ed educazione gestione e vigilanza

permanente degli interventi di formazione

◆ Orientamento◆ Promozione educativa

ed educazione permanente

Toscana (1994) ◆ Partecipazione alla programmazione ◆ Attuazione deldegli interventi formativi programma annuale

◆ Attuazione dei programmi con la realizzazione delle attivitàdei relativi interventi direttamente o mediante ◆ Definizione del pianoaffidamento ad altri soggetti idonei di dettaglio degli

interventi a gestionediretta

Marche (1990) ◆ Funzioni amministrative in materia di formazione ◆ Elaborazione delprofessionale in forma organica con le altre funzioni piano annuale proprie e delegate per la f.p.

◆ Coordinamento unitario degli interventi ◆ Approvazione,di formazione professionale gestione e controllo

per l’attuazione dei progetti formativicofinanziati dall’UE

Lazio (1992 e 1997) ◆ Gestione delle strutture presso cui si realizzano ◆ Gestione i progetti formativi e gli altri interventi previsti delle strutture presso dal piano annuale e dei centri di formazione cui si realizzano gli altriprofessionale dove si svolgono i corsi riservati interventi previsti ai giovani che abbiano assolto l’obbligo scolastico, dal piano annualefinalizzati all’acquisizione di una qualificazione ◆ Gestione dei CFPdi base dove si realizzano

◆ Funzioni amministrative relative all’attività di f.p. i corsi riservati ◆ Costituzione di una agenzia regionale per la f.p. ai giovani che abbiano

e l’occupazione, polo di riferimento assolto l’obbligoe di coordinamento per la programmazione scolastico, finalizzatie supporto per la realizzazione anche del processo all’acquisizione di delega delle competenze relative alla f.p. di una qualificazione

di base

Abruzzo Non sono previste deleghe alle provinceMolise (1995) ◆ Gestione amministrativa dei CFP e realizzazione

di interventi formativi di rilevanza provinciale◆ Vigilanza tecnica ed amministrativa sulle attività

formative convenzionate◆ Nomina delle commissioni giudicatrici delle prove

finali per il rilascio dell’attestato di qualifica e di specializzazione

◆ Attività operativa connessa alla raccolta dei dati per la valutazione degli interventi formativi realizzati

◆ Stipula e revoca delle convenzioni con i soggetti gestori e adempimenti conseguenti relativi all’erogazione dei finanziamenti e alla rendicontazione

Puglia (1978) ◆ Partecipazione alla predisposizione degli interventi ◆ Esecuzione delper la programmazione poliennale articolata programma di attivitàin piani annuali formativa autorizzato

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Stato di attuazione del processo di delega alle province (segue)

◆ Gestione dell’attività di formazione professionale secondo le istruzionie le direttive della regione

Campania ◆ Funzioni amministrative regionali in materia di f.p.(1980 e 1981) ◆ Attuazione dei piani annuali

◆ Controllo didattico-amministrativo delle attività formative

Basilicata ◆ Funzioni amministrative concernenti la gestione ◆ Attuazione di azioni(1990 e 1996) dei CFP regionali svolte dalle comunità montane formative

◆ Passaggio delle funzioni amministrative e di orientamentoper la gestione dei centri regionali di Bella, Tricarico ◆ Realizzazione e Tursi alle province di azioni di

rilevazione delladomanda formativa

◆ Attivazione e funzionamento dei servizi per l’orientamento

◆ Sviluppo dei progettisperimentali per l’innovazionedella f.p.

Calabria (1985) ◆ Funzioni amministrative per l’attuazione dei piani ◆ Elaborazione di f.p. della proposta

◆ Coordinamento amministrativo e didattico di tutte di piano triennalele attività formative ◆ Espletamento

◆ Nomina dei membri del comitato di controllo sociale delle attività gestionali ◆ Nomina delle commissioni per le prove finali per l’attuazione

e per il conseguimento dell’attestato delle funzioniamministrativedelegate

Sicilia (statuto) ◆ Promozione di attività formative Tutte◆ Gestione delle attività formative in forma diretta

o in affidamento a terziSardegna (1979) ◆ Elaborazione, da parte dei consigli comprensoriali ◆ Elaborazione delle

e delle comunità montane, delle proposte di attività proposte di attivitàpluriennali secondo gli indirizzi regionali formative pluriennali

◆ Elaborazione dei piani annuali di formazione ed annuali secondogli indirizzi regionali

◆ Invio alla regione deipiani annuali deifabbisogni formativi

FONTE: ANALISI ISFOL SU LEGISLAZIONE REGIONALE.

In questa tendenza al decentramento si rileva una convergenza con le strategiedell’Unione europea per il periodo 2000-2006 («Agenda 2000»), le quali premono peruna puntuale articolazione delle competenze delle funzioni di governo del FSE tra idiversi livelli istituzionali interessati, favorendo uno spostamento verso le regioni e leprovince ed evidenziando la rilevanza della dimensione territoriale per larealizzazione delle politiche di sviluppo europeo.

2.3. L’assetto attuale del sistema di formazioneprofessionale

2.3.1. La programmazione degli interventi

Il processo programmatorio prevede nella fase preliminare la realizzazione diun’analisi approfondita della situazione del mercato del lavoro regionale, dellosviluppo sociale ed economico, dello stato del sistema di formazione professionalelocale.

Il momento strategico fondamentale è rappresentato dall’analisi dei fabbisogni,affidata nel corso degli anni Ottanta agli osservatori regionali del mercato del lavoro,ma assegnata in misura crescente negli anni Novanta alle parti sociali, grazie alladiffusione, a livello sia locale sia nazionale, degli «enti bilaterali».

La politica regionale di formazione professionale viene elaborata e definita dallagiunta regionale, che predispone il documento di indirizzo. Sentito il parere delleforze sociali, viene approvato il documento di programmazione triennale, aggiornatoannualmente, che esplicita le linee strategiche e gli obiettivi specifici dell’azioneregionale in materia, nonché la ripartizione delle risorse.

Sulla base del documento pluriennale approvato dal Consiglio, la giunta elabora unaproposta di piano annuale di carattere più strettamente operativo, che a sua voltadovrà avere l’approvazione consiliare e sulla base del quale si invitano gli operatori delsettore — generalmente attraverso un bando pubblico — a formulare proposteprogettuali specifiche. Dalla valutazione di tali proposte in relazione alle risorsedisponibili si definisce la pianificazione attuativa che avvia l’erogazione dei fondi allestrutture formative e quindi le attività corsuali.

Non si può non sottolineare che si rilevano differenze anche rilevanti nelle proceduredi programmazione effettivamente messe in atto nelle diverse regioni e questo è untratto tipico del sistema formativo italiano che presenta marcate disparità a livelloterritoriale.

Va inoltre sottolineato che lo sviluppo dei processi di programmazione, ma si potrebbeanche dire di una vera e propria «cultura» della programmazione, si deve ancheall’influenza dei fondi comunitari che, segnatamente a partire del 1988 — ovvero dallariforma dei fondi strutturali —, hanno imposto le loro logiche, i loro vincoli, le lororegole di azione a tutto il sistema, condizionando anche i percorsi di implementazionee valutazione delle attività.

In particolare, il modello programmatorio per «obiettivi» adottato dal FSE spinge aunificare la programmazione delle attività formative e di quelle per l’occupazione inun unico processo.

Oltre alle regole generali di programmazione, il ricorso al cofinanziamento FSE haobbligato le regioni a rivedere anche le modalità di organizzazione e gestione.L’innovazione delle procedure di affidamento delle attività formative ai soggettigestori rappresenta uno degli elementi di maggior rilievo del processo ditrasformazione che sta interessando il sistema italiano di f.p.

La diffusione di pratiche concorsuali per l’assegnazione della titolarità delle attività haanche favorito il rafforzamento della capacità di programmazione delleamministrazioni regionali, introducendo maggior trasparenza nei processi decisionali,

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obbligando a definire con precisione le strategie di intervento e a misurare in base adesse la validità delle proposte pervenute, collocando al centro dell’attenzione il temadella qualità dell’offerta formativa, dell’efficienza e dell’efficacia degli interventi.

2.3.2. La gestione delle attività

La legge quadro definisce le attività di formazione professionale come servizi dipubblico interesse; in quanto tali, qualora non erogate direttamente dalle strutturepubbliche, possono essere erogate da strutture di altra natura grazie ad un atto di«concessione amministrativa» che assume la forma della convenzione.

Il sistema di f.p. regionale è dunque caratterizzato da un pluralismo gestionale checontempla un ventaglio diversificato di soluzioni, suddivisibili in due macrotipologie:

a) la gestione pubblica, che può realizzarsi con diverse modalità:• gestione diretta della regione;• gestione delegata a enti locali: province, comuni o loro consorzi, comunità

montane;• gestione mista, diretta e delegata;

b) la gestione convenzionata: le regioni possono stipulare convenzioni con strutturedi emanazione delle organizzazioni sindacali e datoriali, di associazioni con finalitàformative e sociali, di imprese e/o consorzi di imprese, del movimento cooperativo,purché dispongano dei necessari requisiti strutturali (idonee strutture, personale ecompetenze ecc.), abbiano come finalità la formazione professionale e siano senzascopo di lucro, garantiscano il controllo sociale delle attività tramite comitaticostituiti ad hoc dalle regioni, rendano pubblico il bilancio annuale, applichino alpersonale il contratto nazionale di categoria, accettino il controllo della regione sulcorretto utilizzo dei finanziamenti erogati.

Per le attività di formazione, aggiornamento, riqualificazione, riconversione deilavoratori la regione può stipulare convenzioni anche con imprese o loro consorzi che,pur non avendo come fine la formazione, svolgano attività di formazione per i propridipendenti.

Il panorama dei soggetti gestori e dei rapporti tra di essi e le strutture amministrativecui compete la gestione del sistema dell’offerta formativa è attualmente in profondatrasformazione.

I mutamenti in atto nelle modalità di programmazione regionale e le forme dierogazione dei finanziamenti previste dall’UE per i progetti cofinanziati hanno infatticoncorso a orientare le strutture formative verso una competizione di mercato,obbligandole a intraprendere un processo di miglioramento sul piano della razionalitàe dell’efficienza organizzativa e gestionale, così come della qualità e dell’efficacia deiservizi offerti.

Se da un lato tale mutamento contribuisce ad «aprire» il mercato, favorendol’emergere di nuovi soggetti erogatori, dall’altro esige la definizione di nuovi eaffidabili meccanismi di controllo della qualità dei soggetti erogatori, in termini diadeguatezza delle strutture e delle professionalità impiegate negli interventiformativi, al di là della mera capacità progettuale.

Il tema della qualità dei soggetti erogatori espresso nella duplice veste diaccreditamento o certificazione è attualmente al centro dei processi di ridefinizionestrutturale del sistema italiano di f.p. Pur con qualche ritardo rispetto ad altri paesidell’Unione, l’accordo per il lavoro e la legge 196/97 («pacchetto Treu») fissano le

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coordinate di riferimento entro cui attivare un modello di accreditamento dellestrutture formative, nonché individuare degli standard qualitativi per quantoconcerne sia le strutture che i formatori.

Invece è ancora limitato il numero di strutture interessato dalle pratiche dicertificazione, nonostante i progressi effettuati. Attualmente il principale modello diriferimento è rappresentato, come in molti altri paesi europei, dalle norme ISO 9000,ma anche in questo campo emerge una situazione di forte eterogeneità a livelloregionale.

Accanto all’offerta pubblica di formazione professionalizzante erogata dal sistemascolastico e dal sistema regionale di f.p. esiste un’offerta privata di formazione,realizzata senza alcun concorso delle risorse pubbliche e finanziata attraverso le rettedi iscrizione e frequenza pagate dagli utenti.

Il rapporto tra i soggetti formativi che offrono attività libera di f.p. e le regioni puòdeclinarsi secondo modalità differenti:

• totale assenza di rapporti tra ente pubblico e soggetto formatore, che opera inregime di libero mercato e si afferma solo grazie alla qualità dei servizi offerti;

• la regione concede una presa d’atto ai corsi liberi e agli attestati rilasciati, utile afini pubblicitari, ma priva di conseguenze pratiche per gli allievi;

• la regione concede il riconoscimento o l’autorizzazione ai corsi liberi equiparabiliper durata e strutturazione a quelli regionali e/o agli istituti formativi che lierogano; ciò comporta il riconoscimento sul piano giuridico dell’equipollenza degliattestati di qualifica rilasciati da tali corsi e quelli rilasciati dai centri convenzionati.

Si tratta di un’offerta formativa in forte crescita che rappresenta un segmentodinamico e non trascurabile dell’offerta complessiva di formazione, benché appaiacaratterizzata da un elevato tasso di ricambio degli operatori e un ciclo di vitarelativamente breve dei soggetti erogatori.

2.3.3. Il ruolo delle parti sociali

Già la legge quadro assegnava alle parti sociali un ruolo importante, riconoscendoleinterlocutori ineludibili delle regioni nelle fasi di programmazione e controllo delleattività, nonché possibili soggetti erogatori di attività formative. Tale ruolo è andatorafforzandosi nel tempo.

Nel corso degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta, l’affermarsi del principio di«concertazione» ha condotto a considerare le parti sociali non più solo come«interlocutori» ma come «codecisori», coinvolti in modo diretto e pieno nella gestionee nella programmazione delle politiche attive del lavoro e, segnatamente, dellaformazione professionale.

Un primo segnale di questo mutamento di prospettiva è rappresentato dall’istituzionenel 1984 dei contratti di formazione-lavoro con la possibilità di definire tramite laconcertazione i piani formativi ad essi connessi; con la legge 56/87 le parti socialipartecipano alle commissioni regionali per l’impiego che promuovono interventiformativi per i lavoratori in mobilità e in cassa integrazione o disoccupati.

Emblematici della maturazione del processo di partecipazione delle parti sociali sonogli accordi interconfederali siglati tra il 1985 e il 1991, che preludono alla nascita dinumerosi organismi paritetici ed enti bilaterali con l’obiettivo di fondare sullacostituzione di rapporti stabili e affidabili tra le parti la discussione di temi di

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prioritario interesse per entrambe, tra i quali entra in misura crescente anche il temadella formazione, con l’assunzione di impegni diretti in termini finanziari e diprogrammazione.

È però soprattutto l’accordo tripartito sul costo del lavoro, siglato nel 1993, a sancirel’importanza del dialogo sociale in materia di formazione professionale e ariconoscere in esso un fondamentale strumento per la programmazione e ladefinizione delle strategie di intervento.

All’accordo fa seguito l’approvazione della legge 236/93 che riconosce il ruolo chiavedella concertazione con le parti sociali in materia di rilevazione dei fabbisogni, ditirocini formativi e negli interventi di f.c.

Tale accordo ha condotto inoltre, nel 1995, all’istituzione presso il ministero del Lavorodel «Comitato nazionale di concertazione delle politiche di formazione» composto daregioni, parti sociali e da rappresentanze di tutti i soggetti che a vario titolo hannocompetenze in materia di f.p., ma ha di fatto lasciato indeterminata l’individuazionedelle sedi, delle funzioni, delle procedure e dei poteri effettivi in cui e tramite cui dareattuazione ai principi affermati.

Il successivo accordo per il lavoro del 1996 rafforza ulteriormente il ruolo delle partisociali, prevedendo l’istituzionalizzazione di un loro coinvolgimento a livelloregionale con compiti effettivi in materia di indirizzo, controllo e valutazione delsistema formativo. Dà inoltre concretezza all’ipotesi già formulata nell’accordo del1993 di istituire un organismo per la gestione paritetica del fondo di finanziamentodella formazione continua in cui far convergere il versamento effettuato dalle imprese(pari allo 0,3 % della massa salariale), che attualmente confluisce nel «fondo dirotazione» e finanzia il sistema regionale di f.p., e ribadisce il ruolo cruciale degliorganismi bilaterali nell’analisi dei fabbisogni formativi.

Il decreto attuativo dell’art. 17 della legge 196/97 istituisce una commissione formatada rappresentanti istituzionali e delle parti sociali al fine di definire annualmente lelinee guida e gli obiettivi per tutto il sistema nazionale di f.p.

Per quanto riguarda il ruolo della contrattazione fra le parti sociali in materia diformazione continua, tanto a livello nazionale di settore che a livello aziendale, essaè ancora prevalentemente legata ad esigenze di «manutenzione» o al più finalizzataad adeguare le competenze professionali al cambiamento tecnologico.

Non mancano tuttavia esempi significativi di innovazione, quali quello rappresentatodal contratto collettivo nazionale per l’industria chimica in cui, nell’ambitodell’osservatorio nazionale istituito dalle parti, è prevista la sezione «formazione» conl’obiettivo di studiare gli effetti delle innovazioni tecnologiche sull’organizzazione dellavoro e promuovere programmi formativi adeguati.

2.3.4. Il ruolo del Fondo sociale europeo

A partire dalla sua costituzione, il Fondo sociale europeo ha giocato un ruolo via viacrescente nel sistema italiano di f.p., supportando e stimolando una complessiva operadi adeguamento agli standard comunitari.

Nel passato un nodo critico nell’organizzazione delle attività di formazione stava nelledifficoltà incontrate dai sistemi regionali nei processi relativi alla programmazione eall’amministrazione delle attività. Il ricorso al cofinanziamento, se ha consentito diaumentare il volume dell’offerta formativa, ha imposto anche regole nuove

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nell’ambito della programmazione, del monitoraggio e della valutazione, non usualiper l’Italia nel campo della gestione pubblica.

Non va dimenticato però che i paesi membri partecipano come soggetti attivi allaelaborazione dei programmi operativi, per cui le scelte effettuate dalla UE sonosostanzialmente condivise, almeno a livello centrale. Dunque il cofinanziamento èspesso utilizzato come strumento di supporto alle innovazioni maturate all’interno delsistema.

Dalla riforma dei fondi del 1988 in particolare, il «condizionamento» comunitario hastimolato il rinnovamento del sistema in relazione al modello programmatorioadottato e alla tipologia di azione.

L’introduzione di un modello programmatorio «per obiettivi» ha imposto ilriferimento a un quadro di programmazione unitario dove siano chiaramente definitetanto le direttrici prioritarie a livello territoriale e settoriale quanto le misure concreteda realizzare. L’attenzione alla qualità dei risultati ha messo in risalto il ruolo dellefunzioni di monitoraggio e valutazione all’interno del processo produttivo della f.p.

Da un sistema centrato tradizionalmente sull’intervento corsuale, l’introduzione deiregolamenti comunitari ha portato al centro dell’attenzione l’individuo, che può averbisogno di una pluralità di azioni: di orientamento, di formazione, di aiutoall’occupazione, di tutoring nell’avvio di una attività imprenditoriale e così via.

Nel primo quadriennio di attuazione del FSE è stato impegnato il 60,4 % deglistanziamenti totali previsti per il sessennio 1994-1999, attestando intorno al 70 %l’indice complessivo di dipendenza del sistema italiano di f.p. Per quanto riguarda latipologia di azioni finanziate, il rinnovamento culturale dei fondi risulta avere ancoraun impatto limitato sul sistema considerato il peso modesto delle azioni non formativesul totale delle azioni approvate.

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