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1 INDICE INTRODUZIONE 3 1. Il problema della continuità da un punto di vista istituzionale 5 1.1. Il problema 5 1.2. Discontinuità e incoerenze educative 8 1.3. Le ragioni della continuita 12 1.3.1. Motivazioni di ordine psicologico 12 1.3.2. Motivazioni di ordine socio-culturale 17 1.3.3. Motivazioni di ordine pedagogico-didattico 18 1.4. I principali riferimenti normativi 19 2. Un quadro teorico 29 2.1. Artefatti e intelligenza 29 2.2. L approccio strumentale di Rabardel 32 2.3. L approccio di Vygotskij agli artefatti 35 2.3.1. La zona di sviluppo prossimale 36 2.3.2. L interiorizzazione 36 2.3.3. Il sistema dei segni nel processo di interiorizzazione 37 2.3.4. Artefatti e segni 38 2.3.5. Mediazione 39 2.3.6. Un particolare tipo di mediazione: la mediazione semiotica 40 2.4. Un artefatto culturale come strumento di mediazione semiotica 40 2.4.1. Polisemia degli artefatti e nascita dei segni 41 2.4.2. Ciclo didattico 44 2.4.3. Categorie di segni 46 2.5. Mediazione semiotica nella classe 48 INTERMEZZO 55 3. Un primo artefatto : le mani 59 3.1. La mano per contare: i sistemi di conteggio nella storia 59 3.2. La mano per eseguire calcoli e per esplorare proprietà dei numeri 65 3.3. Una buona pratica 67 4. Pallottolieri e abaci 87 4.1. Sistemi di registrazione dei numeri: l intaglio 87 4.2. Sistemi di calcolo: breve storia di alcuni strumenti 90 4.3. Una buona pratica 107 5. Numerali orali e scritti 111 5.1. Numeri e numerali: alcune ricerche dalle scienze cognitive 111 5.1.1. Il contributo di Annette Karmiloff-Smith: il modello RR 113 5.1.2. I gesti 119 5.2. Una ricerca sulla costruzione delle competenze sintattiche in prima elementare 120 5.2.2. Il caso dell abaco 121 5.2.3. Un esperimento di insegnamento in prima elementare 122 Appendice 138 BIBLIOGRAFIA 147

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INDICE

INTRODUZIONE 3

1. Il problema della continuità da un punto di vista istituzionale 5 1.1. Il problema 5

1.2. Discontinuità e incoerenze educative 8 1.3. Le ragioni della continuita 12

1.3.1. Motivazioni di ordine psicologico 12 1.3.2. Motivazioni di ordine socio-culturale 17 1.3.3. Motivazioni di ordine pedagogico-didattico 18

1.4. I principali riferimenti normativi 19

2. Un quadro teorico 29 2.1. Artefatti e intelligenza 29 2.2. L approccio strumentale di Rabardel 32 2.3. L approccio di Vygotskij agli artefatti 35

2.3.1. La zona di sviluppo prossimale 36 2.3.2. L interiorizzazione 36 2.3.3. Il sistema dei segni nel processo di interiorizzazione 37 2.3.4. Artefatti e segni 38 2.3.5. Mediazione 39 2.3.6. Un particolare tipo di mediazione: la mediazione semiotica 40

2.4. Un artefatto culturale come strumento di mediazione semiotica 40 2.4.1. Polisemia degli artefatti e nascita dei segni 41 2.4.2. Ciclo didattico 44 2.4.3. Categorie di segni 46

2.5. Mediazione semiotica nella classe 48

INTERMEZZO 55

3. Un primo artefatto : le mani 59 3.1. La mano per contare: i sistemi di conteggio nella storia 59 3.2. La mano per eseguire calcoli e per esplorare proprietà dei numeri 65 3.3. Una buona pratica 67

4. Pallottolieri e abaci 87 4.1. Sistemi di registrazione dei numeri: l intaglio 87 4.2. Sistemi di calcolo: breve storia di alcuni strumenti 90 4.3. Una buona pratica 107

5. Numerali orali e scritti 111 5.1. Numeri e numerali: alcune ricerche dalle scienze cognitive 111

5.1.1. Il contributo di Annette Karmiloff-Smith: il modello RR

113 5.1.2. I gesti 119

5.2. Una ricerca sulla costruzione delle competenze sintattiche in prima elementare 120

5.2.2. Il caso dell abaco 121 5.2.3. Un esperimento di insegnamento in prima elementare 122

Appendice 138

BIBLIOGRAFIA 147

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INTRODUZIONE

La seguente tesi di laurea prende l avvio trattando, nel primo capitolo, il problema della

continuità da un punto di vista istituzionale: per quale motivo, oggi più che mai, è così

importante che nel percorso formativo di un bambino le esperienze di apprendimento

vengano proposte tenendo in considerazione le conoscenze, le competenze, le abilità

che lui possiede quando si presenta a scuola? Perché è così importante collegare ciò che

viene realizzato ed appreso nella scuola dell infanzia con quello che viene offerto nella

scuola primaria? E perché, alla luce di ciò, nonostante le prescrizioni di programmi,

leggi e circolari ministeriali, continua ad essere così difficoltosa e problematica la

realizzazione di una linea di continuità effettiva e coerente? Verranno allora indicate le

ragioni di ordine psicologico, socio-culturale e pedagogico-didattico che stanno alla

base del problema, legate ai riferimenti dichiarati a livello normativo, nel corso della

storia fino alla più recente Legge di Riforma n. 53/2003.

In questa sede ci si propone di studiare il problema della continuità circoscrivendolo ad

un caso molto specifico: l utilizzo di materiale di tipo manipolativo in relazione alla

costruzione di competenze numeriche. Vedremo allora come insegnanti di scuola

dell infanzia e di scuola primaria possono usare a tale scopo materiale concreto

significativo, che cercheremo di interpretare alla luce del quadro di riferimento teorico

presentato nel secondo capitolo. Gli artefatti culturali possono essere considerati

strumenti di mediazione semiotica? Con quali modalità? Quali processi di costruzione

di competenze numeriche attivano?

La mano è il primo strumento di conteggio e di calcolo utilizzato dall uomo nel corso

della storia e, come tale, può essere considerata il primo artefatto culturale di cui

l essere umano si sia servito per rappresentare visivamente le quantità, risolvere

operazioni aritmetiche ed esplorare proprietà dei numeri. Questo sarà oggetto di

trattazione nel terzo capitolo, unitamente ad una serie di esperienze relative

all esplorazione del concetto di quantità attraverso attività di conteggio, realizzate

utilizzando le mani e condotte nelle sezioni della scuola dell infanzia Diana del

Comune di Reggio Emilia.

La mano però, nonostante le notevoli opportunità che consente di realizzare, costituisce

solo una momentanea modalità di registrazione del concetto numerico dal momento

che, pur rispondendo a diverse ed importanti esigenze, non consente la memorizzazione

dei numeri: all interno del quarto capitolo si illustreranno, pertanto, i sistemi di

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registrazione dei numeri che l uomo ha ideato nel corso della storia per garantire una

risposta a tale necessità.

Nel quinto ed ultimo capitolo, infine, verranno esaminate alcune ricerche dalle scienze

cognitive relative a numeri e numerali; significativo è il contributo apportato da

Annette Karmiloff-Smith che, mediante l elaborazione del modello di Ridescrizione

Rappresentazionale, ha cercato di esplicitare i modi in cui le rappresentazioni del

bambino divengono progressivamente manipolabili e flessibili, in relazione

all emergere dell accesso conscio alla conoscenza e alla costruzione di teorie relative al

numero.

Si ringraziano Paola Strozzi e Marina Mori, pedagogista e insegnante rispettivamente

delle scuole dell infanzia Anna Frank e Diana del Comune di Reggio Emilia e

Mara Boni, insegnante della Scuola Primaria G. Mazzini di Vignola per la

disponibilità offerta nel fornire e discutere materiali di documentazione appartenenti

alle loro scuole.

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CAPITOLO 2

UN QUADRO TEORICO

Questo capitolo è la traduzione relativa alla prima parte del capitolo di Bartolini

Bussi & Mariotti (in corso di stampa). I riferimenti bibliografici qui contenuti

sono ripresi dal capitolo citato in bibliografia.

2.1. Artefatti e intelligenza

La costruzione e l uso di artefatti

in particolare artefatti complessi

sembra essere

caratteristica dell attività umana, ma ancora più caratteristica degli esseri umani pare

essere la possibilità che tali artefatti offrono di andare oltre il livello pratico, per

esempio il contributo che offrono a livello cognitivo.

Nel campo della pratica, gli strumenti hanno sempre giocato un ruolo cruciale; spesso, i

problemi pratici sono collegati all uso di un artefatto, al punto che spesso il processo di

soluzione di un problema dato e la progettazione di un artefatto, espressamente

concepito per supportare tale soluzione, vengono sviluppati con mutuo vantaggio. In

senso lato, la conoscenza teorica può essere considerata come avente origine da questa

reciproca relazione e in un processo di lungo termine, le tracce di questo possono, in

certi casi, essere ricostruite.

Norman (1993) ha scritto un libro (Le cose che ci fanno intelligenti) il cui titolo fa

esattamente riferimento alla doppia natura di ciò che egli definisce artefatti cognitivi:

- l aspetto/carattere pragmatico o esperienziale (cioè l orientamento verso l esterno

che consente di modificare l ambiente circostante);

- l aspetto/carattere riflessivo (cioè l orientamento verso l interno che permette ai

soggetti di sviluppare l intelligenza).

Questa doppia natura e questo doppio orientamento saranno il motivo conduttore

dell intero capitolo.

L idea di artefatto è molto generale e comprende diversi tipi di oggetti, prodotti dagli

esseri umani nel corso dei secoli: suoni, gesti; utensili e strumenti; forme orali e scritte

del linguaggio naturale; testi e libri; strumenti musicali; strumenti scientifici; strumenti

informatici, ecc.. Il contributo degli artefatti in campo educativo non è una novità, dal

momento che da molto tempo i libri sono i principali artefatti utilizzati nelle scuole,

senza dimenticare carta e matita e la lavagna! Più generalmente, il passaggio dalla sfera

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pratica a quella dell intelletto e viceversa, può essere considerata uno dei motori

principali dell evoluzione e del progresso.

L era cognitiva ebbe inizio quando gli esseri umani cominciarono a usare suoni, gesti

e simboli per riferirsi a oggetti, cose e concetti. (Norman 1993, pag. 59).

Esempio 1: forme scritte e orali di linguaggio naturale

Certamente il linguaggio in tutte le sue forme, orali e scritte, ha un ruolo centrale tra gli

artefatti prodotti ed elaborati dagli esseri umani. Gli studi relativi allo sviluppo della

cultura da orale a scritta ci raccontano la storia di un affascinante evoluzione dei modi

di pensare. Gli studi prima di McLuhan (1962) e successivamente di Ong (1967/1970)

hanno dimostrato che l inizio della scrittura non ha solo rinforzato le capacità della

mente, ma anche che questa può essere considerata la sorgente di sviluppo di specifici

schemi di pensiero. In effetti, l introduzione della scrittura ha modificato i tradizionali

schemi della comunicazione attraverso l introduzione di nuovi mezzi comunicativi. La

comunicazione orale è pragmatica, nel senso che è finalizzata a far sì che gli

interlocutori possano condividere un esperienza comune, come è mostrato dall uso

esteso di forme deittiche: di qui viene, secondo Ong (1967/1970) la difficoltà di

elaborare concetti astratti che prescindono da situazioni concrete e chiaramente

riconoscibili. L introduzione e lo sviluppo della lingua scritta sembra essere la sorgente

di sviluppo di schemi logici di per sé senza un preciso riferimento a situazioni reali

(Goody, 1987/1989).

Il passaggio dalla lingua orale alla lingua scritta è stato l origine di un grande

cambiamento: ad un primo sguardo la scrittura può essere semplicemente considerata

un modo di realizzare l espressione orale, con il vantaggio che ciò che è detto può

essere ricordato. Una volta scritta, un affermazione può essere letta e detta ancora e

ancora, ogni volta che si rende necessario e da chiunque voglia parlare. Ma, come ben

sappiamo, considerare la scrittura solo come una simulazione dell espressione orale

sarebbe limitativo e fuorviante; la storia della scrittura, dalle prime documentazioni

sulle tavole di argilla in avanti, dimostra l evidenza del suo contributo nella

trasformazione del modo di pensare: la scrittura crea la differenza: non solo

nell espressione del pensiero, ma anche e soprattutto nel come tale pensiero viene

pensato. (Goody, 1987/1989, p. 266). Nel più recente passato possiamo citare il

riferimento classico: la nostra indagine, [ ] ha dimostrato che tramite la scrittura

cambia la forma di base delle attività, si raggiunge una nuova attività sociale, si

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creano nuove motivazioni d azione e cambiano i processi cognitivi. (Luria, 1976,

p.161). Per ciò che riguarda la matematica, vale la pena di ricordare la relazione tra la

lingua scritta e lo sviluppo della dimostrazione; come spiegato da Cambiano (1997),

sembra plausibile affermare che l origine della matematica come disciplina teorica deve

essere messo in relazione con la comparsa di ciò che potrebbe essere chiamata la

cultura del libro. Contemporaneamente alla comparsa del primo corpo di leggi scritte da

Solone, comunemente considerata la nascita della legge, l uso della scrittura viene

generalmente messo in relazione alla nascita del ragionamento deduttivo nel campo

della geometria, che vede in Talete uno degli iniziatori e in Euclide il maggiore

esponente. La conclusione che può essere tratta da tutto ciò è che lo sviluppo della

scrittura riguarda la manifestazione di ciò che viene definito come pensiero razionale,

che corrisponde ad un modo di pensare basato su idee astratte, su affermazioni

universali e sul ragionamento deduttivo.

L esempio della scrittura e della sua storia nel dar forma ai diversi modi di pensare, e

alla matematica in particolare, conduce a riflettere sul ruolo cognitivo della

rappresentazione e sul fatto che ogni rappresentazione è supportata da un artefatto. Gli

esseri umani hanno prodotto numerosi artefatti che hanno supportato rappresentazioni

di diverso tipo. Un caso particolarmente significativo è quello degli strumenti

scientifici, come il compasso.

Esempio 2. Un caso di strumento scientifico: il compasso

È facilmente riconoscibile lo stretto legame tra l utilizzo di strumenti quali la riga e il

compasso nell origine della geometria euclidea classica. Lo stretta relazione tra il

funzionamento del cervello e l esperienza corporea (con o senza strumenti) anche nella

più sofisticata ed astratta evoluzione della matematica è oggi comunemente

riconosciuta (Arzarello, 2006). Credo che oggi si possa considerare la geometria,

grazie alle ricerche dei biologi e dei fisiologi, come una scienza dell azione e della

previsione del movimento nello spazio: il segmento, la curva, il cerchio non sono la

forma astratta di un oggetto materiale e neppure delle figure ideali, ma piuttosto la

previsione di un percorso. E la previsione è già un astrazione: la traiettoria, prevista o

anticipata dallo sguardo e dal gesto è astratta

(Longo 1997, p.217). Secondo questo

autore, il gesto di tracciare deve essere considerato all origine dell idea di linea (sia la

retta che il cerchio), ma quello che a noi sembra più interessante è il fatto che il gesto è

da mettere in relazione all uso di un particolare artefatto: per esempio, una fune tirata

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tra due chiodi, o che gira attorno a un perno, o una riga o un compasso. Nonostante ciò,

comunque, il processo di costruzione della conoscenza matematica non è direttamente e

semplicemente legato alla pratica, e nemmeno semplicemente legato all utilizzo degli

artefatti. Forse, uno degli esempi più evidenti è quello del cerchio. La definizione del

cerchio

come figura geometrica

è certamente legata all uso del compasso, che

d altra parte consente di realizzare la rappresentazione grafica del cerchio stesso; ma il

passaggio dal disegnare forme rotonde al concetto di cerchio in senso geometrico

il

luogo dei punti equidistanti dal centro

non è immediato (Bartolini Bussi et al. in

stampa). Si possono considerare due semplici problemi:

- traccia due cerchi con centro in due punti A e B e raggio di 3 cm;

- trova un punto le cui distanze dai punti A e B siano entrambe di 3 cm.

In entrambi i casi è possibile trovare una soluzione utilizzando un compasso. Ancora il

compasso, inteso come artefatto cognitivo, è nel primo caso orientato verso l esterno

(per produrre un disegno) e nell ultimo caso è orientato sia all interno che all esterno,

dal momento che esso produce allo stesso tempo sia un disegno che una costruzione

geometrica.

2.2. L approccio strumentale di Rabardel

Gli esempi precedenti mostrano che la relazione tra artefatti e sapere è complessa e

richiede una attenta analisi perché siano evitate eccessive semplificazioni. Negli ultimi

decenni una nuova categoria di artefatti è divenuta rapidamente disponibile: gli artefatti

di natura informatica. E banale riconoscere che essi hanno potenziato e modificato il

modo di pensare degli esseri umani. Il loro ingresso nella scuola ha, da un lato,

incoraggiato gli educatori a riformulare i curricoli e, dall altro, ha richiamato

l attenzione sulle relazioni tra gli studenti e i computer. Questo fatto spiega la

diffusione di studi caratterizzati da approcci strumentali (Rabardel, 1995), nei quali si

studia la complessità del contesto in cui ha luogo l attività degli studenti. L approccio

strumentale di Rabardel si basa sulla differenza fondamentale tra artefatto e strumento.

Fino ad ora, la parola artefatto è stata utilizzata come un termine generico per

indicare qualcosa prodotto dagli esseri umani. In questa sezione il significato verrà

specificato e paragonato con la parola strumento , anch essa da utilizzare in senso

tecnico. Tale distinzione conduce ad analizzare separatamente le potenzialità di un

artefatto e il reale utilizzo che è consentito, non separando le intenzioni del progettista

da ciò che accade nell uso pratico, per sottolineare sia la prospettiva oggettiva che

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quella soggettiva. Secondo la terminologia di Rabardel, l artefatto è l oggetto materiale

o simbolico di per sé (o una parte di un artefatto complesso). Uno degli esempi offerti

da Rabardel riguarda il braccio di un robot controllato da un dispositivo che può

muovere oggetti nello spazio (Rabardel e Samurçay, 1991). Lo strumento è definito da

Rabardel come un entità mista composta sia da componenti legate alle caratteristiche

dell artefatto che le componenti soggettive (schemi d uso). Questa entità mista tiene

conto dell oggetto e ne descrive l utilizzo funzionale per il soggetto. Gli schemi d uso

sono progressivamente elaborati nel corso dell azione determinata da un compito

particolare; così lo strumento è la costruzione di un individuo, ha un carattere

psicologico ed è strettamente collegata al contesto in cui ha origine e sviluppo.

Possiamo citare, a questo riguardo, un brano classico di Leont ev (1964/76, p. 315) che

descrive la costruzione da parte del bambino degli schemi d uso di un artefatto

semplice come una tazza: Quando un adulto prova per la prima volta a far bere un

bambino dalla tazza, il contatto con il liquido provoca nel bambino movimenti riflessi

incondizionati [ ] tuttavia, molto presto, il bambino impara a bere correttamente

dalla tazza, i suoi movimenti, cioè, si riorganizzano in modo che la tazza viene

adoperata in conformità alla sua destinazione. Il suo bordo viene stretto dall alto al

labbro inferiore e la bocca del bambino si distende, la punta della lingua tocca la

superficie interna della mascella inferiore, le narici si allargano e il liquido scorre

dalla tazza inclinata nella bocca. Nasce un sistema motorio funzionale nuovo, che

realizza l atto del bere includendo in sé nuovi elementi . L azione dell adulto che aiuta

il bambino ad orientare e controllare i suoi movimenti appare essenziale. L imitazione

dei comportamenti degli adulti che usano artefatti (oltre alla particolare forma di questi

ultimi) sta alla base della costruzione degli schemi d uso nell età infantile. Si vedano

nella pagina seguente, ad esempio, le foto riprese da:

http://ematusov.soe.udel.edu/cultures/toddlers_using_cultural_tools.htm: due bambini

(di 11 e 13 mesi) usano due artefatti della vita quotidiana dei loro rispettivi gruppi

sociali (un machete; un libro illustrato), mostrando schemi d uso simili a quelli degli

adulti delle loro comunità (tagliare; leggere).

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L elaborazione e l evoluzione degli strumenti è un processo lungo e complesso che

Rabardel denomina genesi strumentale. La genesi strumentale può essere articolata in

due processi:

- strumentalizzazione, relativa alla comparsa e all evoluzione delle diverse componenti

dell artefatto, per esempio la progressiva ricognizione dei suoi potenziali e dei suoi

limiti;

- strumentazione, relativa alla comparsa e allo sviluppo degli schemi di utilizzo.

I due processi sono orientati sia verso l esterno che verso l interno, rispettivamente dal

soggetto all artefatto e viceversa, e costituiscono le due parti inseparabili della genesi

strumentale (Rabardel, 1995). Gli schemi di utilizzo possono o meno coincidere con gli

obiettivi pragmatici per i quali l artefatto è stato designato, fondamentalmente essi sono

in relazione con l esperienza fenomenologica dell utente, e secondo tale esperienza essi

possono essere modificati o integrati. Rabardel teorizza l impatto dell uso degli

strumenti sull attività cognitiva: l uso di uno strumento non è mai neutro (Rabardel e

Samurçay, 2001), al contrario esso dà origine ad una riorganizzazione delle strutture

cognitive, così come mostrato nel classico esempio dell evoluzione nella

concettualizzazione dello spazio durante l attività mediata dal robot. La dimensione

sociale è definita da Rabardel nel descrivere l azione reciproca che avviene tra gli

schemi di utilizzo individuali e gli schemi sociali. In particolare, espliciti processi di

addestramento, possono incrementare una vera e propria appropriazione da parte dei

soggetti (op.cit.). L approccio di Rabardel è stato sviluppato nel campo dell ergonomia

Fig.1 Fig.2

35

cognitiva, dunque non mira ad affrontare tutte le esigenze della ricerca educativa nella

scuola. Esso è, tuttavia, divenuto assai diffuso ed è stato impiegato in diversi studi di

ricerca sull educazione matematica e in particolare la didattica negli ambienti

informatici. Questo approccio si è mostrato molto potente ed ha gettato luce su alcuni

aspetti cruciali soprattutto collegati alle possibili discrepanze tra i comportamenti degli

allievi e le aspettative degli insegnanti (Lagrange, 1999; Artigue, 2002; Guin, Ruthven

& Trouche, 2004). Come verrà spiegato in seguito, l approccio strumentale deve essere

ulteriormente elaborato per adattarsi alla complessità dell attività nella classe e in

particolare dell insegnamento-apprendimento della matematica; infatti esso può offrire

un quadro per analizzare i processi cognitivi collegati all uso di un artefatto specifico e

di conseguenza a quello che sarà considerato il suo potenziale semiotico.

2.3. L approccio di Vygotskij agli artefatti

La nozione di artefatto cognitivo, introdotta da Norman, ed alcune delle idee ad essa

collegate hanno le sue basi nel lavoro di Vygotskij (e dei suoi successori, come Luria,

1976, Leont ev, 1976/1964, si veda anche Wertsch, 1985). La prospettiva Vygotskiana,

che include una dimensione evolutiva, interpreta la funzione degli artefatti cognitivi

come elemento principale dell apprendimento e, per tale ragione, sembra offrire

un adeguata cornice per studiare l uso degli artefatti nel campo dell educazione. Nelle

pagine seguenti ci limiteremo a riassumere brevemente alcuni elementi, per poter

raggiungere molto velocemente lo scopo specifico di tale capitolo, in altre parole la

definizione precisa di strumento di mediazione semiotica, e la sua applicazione nelle

ricerche sulla didattica della matematica in classe. Vygotskij, confrontando gli animali

e gli esseri umani, ha postulato due linee per l origine dell attività mentale umana: la

linea naturale (per le funzioni mentali elementari) e la linea sociale/culturale (per le

funzioni psichiche superiori). La natura specifica dello sviluppo cognitivo umano è il

prodotto dell intreccio di queste due linee . Ciò che pare interessante, specialmente

quando studiamo lo sviluppo durante l età scolare, e in particolare all interno del

contesto scolastico, è l evoluzione dello cognizione umana come effetto

dell interazione sociale e culturale. Questi due elementi (sociale e culturale) trovano

corrispondenza nei due concetti chiave introdotti da Vygotskij: quello della zona di

sviluppo prossimale e quello di interiorizzazione, e in particolare nel ruolo cruciale

dell uso degli artefatti che Vygotskij ha postulato in relazione al processo di

interiorizzazione.

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2.3.1 La zona di sviluppo prossimale: sviluppo e apprendimento

Il concetto di zona di sviluppo prossimale modella il processo di apprendimento

attraverso l interazione sociale ed è definito da Vygotskij come la distanza tra il livello

reale di sviluppo del soggetto determinato dalla capacità di risolvere da solo un

problema e il livello di sviluppo potenziale determinato dalla capacità di risolvere il

problema sotto la guida dell adulto o in collaborazione con un suo coetaneo più

capace. (1978, p.86). Secondo tale definizione lo sviluppo è perciò possibile grazie

alla collaborazione tra un individuo, le cui attitudini cognitive presentano un potenziale

che può modificarsi e un altro individuo (o una collettività) che coopera

intenzionalmente, per perseguire uno scopo comune. Senza entrare nel dibattito

riguardante la relazione tra sviluppo e apprendimento, noi sosteniamo che l asimmetria

della definizione di zona di sviluppo prossimale ben si adatta, nel contesto scolastico,

con l intrinseca asimmetria che si ritrova nella relazione tra insegnante e alunni

relativamente alla conoscenza. Similmente, sosteniamo che la nozione di zona di

sviluppo prossimale sottolinea la necessità di armonizzare l attitudine potenziale che

l allievo ha verso l apprendimento con l azione dell insegnante. Nella zona di sviluppo

prossimale lo sviluppo cognitivo è modellato dal processo di interiorizzazione.

2.3.2. L interiorizzazione

Il processo di interiorizzazione, definito da Vygotskij (1978, p. 56) come la

ricostruzione interna di un operazione esterna

descrive il processo di costruzione

della conoscenza individuale come generato da esperienze sociali condivise. La

relazione tra processi interni (o psichici) ed esterni (dipendenti dall interazione sociale)

è un problema molto dibattuto in psicologia, con opzioni teoriche diverse. L approccio

Vygotskiano, sviluppato successivamente da altri autori (come Leont ev, 1976; Luria,

1976), suppone una stretta dipendenza dei processi interni da quelli esterni e una

relazione secondo la quale i processi esterni vengono trasformati per generare quelle

che Vygotskij chiama funzioni psichiche superiori. Per la prima volta in psicologia, ci

troviamo di fronte ad un problema così importante come quello della relazione tra

funzioni mentali interne ed esterne ogni processo interno superiore è sempre stato

esterno, cioè è stato per gli altri ciò che ora è per il soggetto. Ogni funzione psichica

superiore, necessariamente attraversa un passaggio esterno nel suo sviluppo perché

inizialmente è una funzione sociale. Questo è il centro dell intero problema del

comportamento interno ed esterno Quando parliamo di un processo, con il termine

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esterno intendiamo sociale . Ogni funzione psichica superiore è stata esterna

poiché è stata sociale in qualche momento prima di divenire una funzione interna,

veramente mentale

(Vygotskij, 1981, p. 162, citato da Wertsc & Allison, 1985, p.

166).

Due sono gli aspetti principali che caratterizzano il processo di interiorizzazione, così

come viene assunto dalla prospettiva vygotskiana:

Il processo esterno è essenzialmente sociale

Il processo di interiorizzazione è diretto da processi semiotici

In effetti, come conseguenza della sua natura sociale, il processo esterno possiede una

dimensione comunicativa che implica la produzione e l interpretazione dei segni. Ciò

significa che il processo di interiorizzazione ha la propria base nell uso dei segni

(principalmente il linguaggio naturale ma anche ogni tipo di segni, dai gesti a quelli più

sofisticati come il sistema semiotico matematico) nello spazio interpersonale

(Cummins, 1996). Per tale ragione, l analisi del processo di interiorizzazione può essere

centrata sull analisi del funzionamento del linguaggio naturale e di ogni altro sistema

semiotico che sia implicato in attività sociali (Wertsch & Addison Stone, 1985, pp.163-

166).

2.3.3. Il sistema dei segni nel processo di interiorizzazione

Come è noto, Vygotskij ha focalizzato l attenzione sullo studio del funzionamento del

linguaggio naturale, cioè quello dei processi semiotici collegati all apprendimento e

all uso del linguaggio (in particolare l uso delle parole, considerate dallo studioso

l unità di analisi). L uso delle parole e delle forme linguistiche, è interpretato secondo

l ipotesi generale che lo sviluppo del bambino consiste in una appropriazione

progressiva e un uso riflessivo dei modi di comportamento che gli altri usano nei suoi

confronti. L analisi del processo di interiorizzazione va dunque centrata sull analisi del

funzionamento del linguaggio naturale ed altri sistemi semiotici usati nella società.

L uso dei segni nella soluzione di un compito possiede due importanti funzioni

cognitive: il soggetto produce segni da un lato proprio per realizzare il compito,

dall altro per comunicare con i diversi compagni che collaborano a tale compito. Nel

secondo caso, la produzione di segni risulta strettamente legata al processo di

interpretazione che permette lo scambio di informazione e, conseguentemente, la

comunicazione. Le funzioni psichiche superiori si sviluppano attraverso la produzione

ed interpretazione dei segni: in particolare parlare (o scrivere) e interpretare cosa viene

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detto (o scritto), in altre parole, interagire attraverso la comunicazione. Questa

osservazione si rende necessaria e cruciale, poiché la funzione cognitiva relativa all uso

dei segni cambia a seconda della funzione che i segni hanno nell attività. Questa

distinzione emergerà in seguito quando introdurremo la nozione di strumento di

mediazione semiotica.

2.3.4. Artefatti e segni

Vygotskij ha mostrato che, nella sfera pratica, gli esseri umani utilizzano artefatti per

raggiungere scopi altrimenti non raggiungibili, mentre le attività mentali sono

supportate e sviluppate per mezzo dei segni prodotti nei processi di interiorizzazione,

che nella terminologia vygotskiana vengono anche definiti strumenti psicologici. I

primi sono orientati verso l esterno, mentre gli altri sono orientati verso l interno. Tale

prospettiva è perfettamente coerente con quanto precede: il fondamentale ruolo degli

artefatti nello sviluppo cognitivo è largamente riconosciuto e, a differenza di altri

approcci psicologici che separano chiaramente gli artefatti tecnologici e concreti dai

segni, la prospettiva vygotskiana afferma un analogia tra di essi. Così, Vygotskij

sostiene che l invenzione e l utilizzo dei segni come mezzi ausiliari per la risoluzione

di un problema dato (ricordare, confrontare qualcosa, scegliere e così via), sono

analoghe all invenzione e all utilizzo di strumenti sotto il profilo psicologico. I segni

hanno funzione di strumento durante l attività psicologica, analogamente al ruolo di un

utensile nel lavoro. (Vygotskij, 1978, p.52). Nella maggior parte della letteratura

successiva i segni sono stati interpretati come segni linguistici (Hasan, 2005), e questo

per la grande importanza attribuita da Vygotskij al linguaggio. Ma lo psicologo russo,

anche senza elaborare nei dettagli i vari casi, ha suggerito una serie più ampia di

possibili esempi: si possono citare alcuni esempi di strumenti psicologici e dei loro

complessi sistemi, come segue: il linguaggio, vari sistemi di conteggio, tecniche

mnemoniche, sistemi simbolici algebrici, opere d arte, scrittura, schemi, diagrammi,

mappe, disegni meccanici e tutti i tipi di segni convenzionali, ecc. (Vygotskij, 1981, p.

137) . Alcuni di essi sono legati alla matematica e, dunque, al campo dell educazione

matematica in generale. Ciò non deve sorprendere, se si pensa alla particolare natura

degli oggetti matematici, che richiede una rappresentazione esterna di essi per poterli

manipolare (Duval, 1995).

39

2.3.5. Mediazione

Come già affermato, l analogia tra segni ed artefatti si basa sulla funzione di

mediazione che entrambi hanno nello svolgimento di un compito. Considerata la

centralità di questa funzione nella discussione che seguirà, si pensa sia necessario

chiarire alcune parole chiave per spiegare cosa si intende per mediazione. Hasan

(2005) afferma che il sostantivo mediazione deriva dal verbo mediare, che si riferisce

ad un processo con una complessa struttura semantica che include i seguenti

partecipanti e circostanze che sono potenzialmente rilevanti in questo processo:

1. qualcuno che media, il mediatore;

2. qualcosa che viene mediato, il contenuto/forza/energia rilasciato dalla mediazione;

3. qualcuno/qualcosa soggetto alla mediazione, il ricevente a cui la mediazione

apporta qualche differenza;

4. la circostanza della mediazione;

a. i mezzi della mediazione, la modalità;

b. il luogo, il sito in cui la mediazione può avvenire.

Queste complesse relazioni semantiche non sono evidenti in ogni uso grammaticale del

verbo, ma sommerse sotto la superficie e possono essere riportate alla luce tramite

associazioni paradigmatiche, per esempio le loro relazioni sistemiche (Hasan, 2002).

La mediazione è un termine molto comune all interno della letteratura educativa. Il

termine è usato proprio per riferirsi alla potenzialità di incoraggiare la relazione tra gli

allievi e la matematica, e soprattutto in relazione allo svolgimento di un compito.

L idea di mediazione in relazione alle tecnologie informatiche è ampiamente presente

nella letteratura attuale sull educazione matematica. A partire dall affermazione che è

necessario superare la dicotomia tra esseri umani e tecnologie, l unità tra esseri umani e

media diviene l obiettivo fondamentale: lo strumento diviene trasparente (Meira, 1998),

il violino è tutt uno con il violinista (Moreno, in corso di stampa). Borba (2005) discute

le potenzialità di queste circostanze, creando un termine specifico: umani-con-media.

Chiappino & Bottino (2002) sottolineano il fatto che gli artefatti non solo consentono

ma anche vincolano l azione del soggetto sull oggetto: L introduzione di un nuovo

artefatto in una attività influenza sia le norme che regolano l interazione dei

partecipanti nell attività che i ruoli che i partecipanti possono assumere . In questo

modo essi affrontano alcuni aspetti della complessità delle interazioni nella classe, in

particolare l interazione tra pari mediata da un software. Più di altri, Noss & Hoyles

(1996, p. 6) sottolineano la prospettiva della comunicazione: la funzione di mediazione

40

del computer è legata alla possibilità di creare un canale di comunicazione tra

insegnante e allievo, basato essenzialmente su una lingua condivisa. Tutte queste

posizioni sono coerenti con il modello di Hasan, anche se non tutti gli elementi di

quest ultimo ricevono la stessa attenzione. Il modello di Hasan è inserito esplicitamente

nella cornice vygotskiana e include tutti gli elementi rilevanti per quanto riguarda la

modellizzazione delle attività di insegnamento-apprendimento da un punto di vista

semiotico. Prima di procedere è necessaria una ulteriore elaborazione delle idee

vygotskiane per ciò che riguarda la natura e il ruolo del mediatore e le caratteristiche

delle circostanze in cui si realizza la mediazione.

2.3.6. Un particolare tipo di mediazione: la mediazione semiotica

Secondo la fondamentale ipotesi Vygotakiana citata, durante lo svolgimento di un

compito avviene l uso sociale di artefatti (da parte del mediatore e del ricevente) e si

producono segni condivisi. Da una parte, questi segni sono legati allo svolgimento di un

compito, in particolare all artefatto utilizzato, dall altra essi possono essere in relazione

al contenuto che deve essere mediato (si veda il punto 2 nel modello di Hasan).

Dunque, il legame tra artefatti e segni supera la pura analogia del loro funzionamento

per la mediazione di un attività umana. Essa si appoggia sulla relazione riconoscibile e

reale tra particolari artefatti e particolari segni che nascono direttamente dai primi,

come sarà illustrato nell esempio dell abaco. Il legame tra artefatti e segni può essere

facilmente riconoscibile, ma quello che deve essere sottolineato è il legame tra i segni e

i contenuti da mediare e il modo in cui tutti questi legami possono essere sfruttati in una

prospettiva educativa.

2.4. Un artefatto culturale come strumento di mediazione semiotica

La relazione tra artefatti e segni all interno della risoluzione di un compito ha una

controparte nello sviluppo storico/culturale del sapere, dove tale relazione è

cristallizzata nella conoscenza condivisa della società (Leont ev, 1964/1976, p.245) ed

espressa dal sistema condiviso di segni, che si tratti di linguaggio naturale o di sistemi

più specializzati di diversi domini scientifici. Un legame potenziale con gli artefatti

può, in linea di principio, essere ricostruito anche nei casi in cui sembra completamente

perduto (Wartofsky, 1979). Il nostro approccio elabora questo assunto in una

prospettiva educativa ed in particolare all interno del contesto scolastico. Il punto

principale è quello di sfruttare il sistema di relazioni tra artefatto, compito e conoscenza

matematica. Da un lato un artefatto è messo in relazione ad un compito specifico (si

41

vada la definizione di strumento data da Rabardel) a cui fornisce mezzi di soluzione

adatti, d altra parte lo stesso artefatto è collegato ad una specifica conoscenza

matematica. In ciò, un doppio legame semiotico è riconoscibile tra un artefatto e una

conoscenza. In tal senso è possibile parlare della polisemia di un artefatto. In linea di

principio, un esperto può dominare tale polisemia, anche se in molti casi ciò può

avvenire in modo inconscio.

2.4.1. Polisemia degli artefatti e nascita dei segni

La polisemia dell artefatto trova una controparte nell esistenza di sistemi paralleli di

segni, che a volte si sovrappongono o semplicemente si fondono all interno dello

stesso sistema semiotico, secondo il modello di Wartofsky (1979). Secondo questo

autore, il termine artefatto deve essere inteso in senso ampio; dunque, aggiungiamo,

può comprendere strumenti come i martelli, i compassi, gli abaci, i software, ma anche

i testi, le fonti storiche, il linguaggio verbale, i gesti, i film didattici, gli esperimenti dei

musei della scienza, le teorie matematiche ecc. .Wartofsky (1979), identifica tre

tipologie di artefatto: artefatto primario, strumento tecnico orientato verso l esterno,

direttamente usato per scopi intenzionali (ad esempio compasso, prospettografi,

curvigrafi, ), artefatto secondario, strumento psicologico orientato verso l interno,

usato nel mantenimento e nella trasmissione di specifiche competenze tecniche

acquisite (ad esempio scrittura, schemi, tecniche di calcolo, trattati d uso, ) e artefatto

terziario, sistema di regole formali che hanno perso l aspetto pratico legato allo

strumento (ad esempio le teorie matematiche).

Da un lato la relazione tra artefatto e conoscenza può essere espressa da alcuni segni,

culturalmente determinati, prodotti dallo sviluppo culturale e cristallizzanti il

significato delle operazioni compiute con l artefatto; dall altro, la relazione tra

l artefatto e il compito può essere espressa dai segni, spesso contingenti alla situazione

determinata dalla soluzione di un compito particolare; comunque, una caratteristica

fondamentale di tali segni è che il loro significato mantiene un forte legame con le

operazioni svolte.

42

Gesti, disegni o parole possono essere i diversi mezzi semiotici utilizzati per produrre

questi segni, la produzione dei quali può essere spontanea o esplicitamente richiesta dal

compito stesso. Può inoltre succedere che l esperto introduca i nuovi significati di

questi segni. Questo ultimo caso pare rilevante da una prospettiva educativa (si veda

Douek, 1999). La relazione (si veda la figura sopra) tra questi due sistemi paralleli di

segni, correlati ad un artefatto, non è certamente né evidente né spontanea. È proprio

per questa ragione che noi affermiamo che:

la costruzione di questa relazione diventa un cruciale scopo educativo che può essere

realizzato promuovendo l evoluzione dei segni che esprimono la relazione tra

l artefatto e i compiti in segni che esprimono la relazione tra artefatto e conoscenza.

I segni che emergono dalle attività svolte con gli artefatti, sono elaborati da un punto di

vista sociale: in particolare, essi possono essere intenzionalmente utilizzati

dall insegnante per sfruttare i processi semiotici, con lo scopo di guidare l evoluzione

dei significati all interno della classe. In particolare, l insegnante può guidare lo

sviluppo verso ciò che è riconoscibile come matematica. Dal nostro punto di vista

questo corrisponde al legame tra sensi personali (nella prospettiva di Leont ev,

Fig.3

43

1964/1976, p. 244) e significati matematici, ovvero alla relazione tra concetti quotidiani

e concetti scientifici (Vygotskij, 1934/1990, p. 286).

Così facendo, l insegnante agirà sia a livello cognitivo che meta-cognitivo, in entrambi

i casi promuovendo lo sviluppo dei significati e guidando gli alunni alla

consapevolezza del loro status matematico. In sintesi:

Da un lato i significati personali sono legati all uso di artefatti, in particolare allo

scopo di svolgere un compito; dall altro i significati matematici possono essere legati

all artefatto e al suo uso.

A causa di questa doppia relazione, l artefatto può funzionare come un mediatore

semiotico e non semplicemente come un mediatore, ma una tale funzione di mediazione

semiotica non è attivata automaticamente; noi sosteniamo che la funzione di

mediazione semiotica di un artefatto possa essere utilizzata da un esperto (in particolare

l insegnante) che sia consapevole del potenziale dell artefatto sia in termini di

significati matematici che in termini di significati personali. Tale evoluzione è favorita

dall azione dell insegnante, che guida il processo di produzione e sviluppo dei segni

centrati sull utilizzo di un artefatto. In termini di mediazione noi possiamo esprimere

questo complesso processo come segue: l insegnante agisce come mediatore che

utilizza l artefatto per mediare contenuti matematici agli studenti. In altre parole:

l insegnante utilizza l artefatto come strumento di mediazione semiotica

A causa dell importanza culturale di questo processo, noi possiamo definire

l insegnante un mediatore culturale. Tale espressione non si riferisce all atto concreto

dell utilizzare uno strumento per svolgere un compito, piuttosto al fatto che significati

nuovi, legati al reale utilizzo di uno strumento, possono essere generati e possono

evolvere sotto la guida di un esperto.

44

2.4.2. Ciclo didattico

La struttura di una sequenza di insegnamento può essere evidenziata come una

iterazione di cicli, dove differenti tipologie di attività prendono posto, finalizzate allo

sviluppo del complesso processo semiotico descritto sopra.

Gli elementi minimi individuabili all interno di un ciclo didattico possono essere così

rappresentati:

Attività con artefatti: gli studenti devono affrontare compiti che devono essere

svolti tramite l utilizzo di artefatti. Questo tipo di attività è generalmente utilizzato

come attività di inizio di un ciclo che promuove l uso di segni specifici in relazione

all uso di particolari artefatti o strumenti, come il lavoro a coppie, o piccolo gruppo,

con l artefatto che promuove lo scambio sociale, accompagnato da parole, schemi,

gesti.

Produzione individuale di segni (per esempio disegnare, scrivere). Gli studenti

sono coinvolti individualmente in diverse attività semiotiche, concernenti soprattutto

produzioni scritte. Ad esempio, dopo aver utilizzato un artefatto, agli studenti è

richiesto di scrivere, a casa, un resoconto individuale della loro esperienza e relative

Produzione Produzione individuale individuale

di di segnisegni

Produzione Produzione collettiva collettiva di segnidi segni

((Discussione Discussione matematicamatematica))

Attività con Attività con gli gli artefattiartefatti

Ruolo dell insegnante:

progetto

Produzione Produzione individuale individuale

di di segnisegni

Produzione Produzione collettiva collettiva di segnidi segni

((Discussione Discussione matematicamatematica))

Attività con Attività con gli gli artefattiartefatti

Ruolo dell insegnante:

progetto

s o t to la g u id a d e l l in s e g n a n te

Ruolo dell insegnante:

gestione

Fig.4

45

riflessioni, inclusi dubbi e domande che sono sorti. Nel caso di bambini piccoli, i

compiti specifici vengono definiti chiedendo di disegnare, per esempio spiegare

attraverso un disegno il funzionamento di un artefatto. Si può anche chiedere loro di

scrivere, sul proprio taccuino di matematica, la principale formula matematica

proveniente dalla discussione collettiva (si veda sotto). Tutte queste attività sono

centrate su processi semiotici, per esempio la produzione e l elaborazione di segni,

legati alle precedenti attività con gli artefatti. Sebbene l interazione sociale durante tali

attività, o la discussione collettiva che le segue coinvolgano anche processi semiotici,

questo tipo di attività differiscono nel fatto che richiedono un contributo personale al

fine di produrre testi scritti e, conseguentemente segni grafici, che per la loro stessa

natura cominciano ad essere separati dalla contingenza dell azione situata. A causa

della loro natura e diversamente da altri segni, come i gesti, i segni scritti (in particolare

le parole) sono permanenti e possono essere condivisi; possono essere utilizzati in

discussioni collettive e anche divenire oggetto stesso della discussione. Questo può farli

evolvere.

Produzione collettiva di segni (per esempio, narrativa, mimica, produzione

collettiva di testi e disegni). Tra le altre discussioni collettive, la Discussione

Matematica (Bartolini Bussi, 1998) gioca un ruolo cruciale. Le discussioni collettive

costituiscono una parte essenziale nel processo di insegnamento-apprendimento e

rappresentano il cuore del processo semiotico, sul quale l insegnamento-apprendimento

è basato. In una discussione matematica l intera classe è collettivamente impegnata in

un discorso matematico, solitamente lanciato dall insegnante, che formula

esplicitamente l argomento della discussione. Per esempio, dopo le sessioni in cui si è

risolto un problema, le varie soluzioni sono discusse collettivamente, ma può anche

accadere che i testi scritti dagli studenti vengano collettivamente analizzati,

commentati, elaborati. Molto spesso, e talvolta esplicitamente, esse sono reali

discussioni matematiche , nel senso che la loro caratteristica principale è che

l insegnante fa da guida per correlare esperienza personale, significato matematico e

l uso di segni specifici (il più delle volte termini matematici) (Bartolini Bussi, 1998). Il

ruolo dell insegnante è cruciale, infatti lo sviluppo dei segni in segni matematici,

principalmente legati all attività con artefatti, non è né semplice né spontaneo, è proprio

per questa ragione sembra richieda la guida dell insegnante. È piuttosto difficile

spiegare completamente la natura di tale guida , che non può essere completamente

assimilata a ciò che viene definito il processo di istituzionalizzazione (Brousseau,

46

1997), sebbene sia compatibile con esso. L obiettivo principale dell azione

dell insegnante in una discussione matematica è quello di promuovere il movimento

verso segni matematici, tenendo in considerazione i contributi individuali e sfruttando i

potenziali semiotici che provengono dall utilizzo di particolari artefatti.

L analisi semiotica condotta ci conduce ad assumere la presenza di una particolare

categoria di segni. I criteri di tale classificazione si riferiscono allo statuto di questi

segni nel processo di sviluppo, così com è previsto nel ciclo didattico, dai segni legati

all attività con gli artefatti verso segni matematici che sono da relazionare ai significati

matematici condivisi dalla comunità, e di solito espressi da una definizione matematica.

I diversi segni possono essere identificati nel processo evolutivo assunto sopra,

generando ciò che viene definito una catena semiotica, similmente alla catena di

significati come Warlkendine (1990) la descrive: Producendo una catena particolare

di relazioni di significati, nella quale il riferimento esterno è soppresso e tuttavia è

tenuto là in una catena di significati che si sposta gradualmente

(Warlkendine, 1990,

p. 121). Tale catena semiotica muove da segni altamente contestualizzati, strettamente

legati all uso di artefatti, verso segni matematici che sono l obiettivo dell attività di

insegnamento-apprendimento. Oltre la categoria dei segni matematici, noi abbiamo

identificato altre due categorie caratterizzate dalla loro funzione nel processo di

mediazione semiotica.

2.4.3. Categorie di segni

Ci sono sostanzialmente tre tipi di segni: i segni matematici, i segni artefatto e i segni

pivot.

Segni matematici, che si riferiscono al contesto matematico, ad esempio la parola

<decina> o <funzione>, con i significati matematici condivisi dalla comunità dei

matematici. Essi possono essere espressi da una definizione.

Segni artefatto, che si riferiscono al contesto di utilizzo degli artefatti e molto spesso

fanno riferimento ad una delle sue parti e/o all azione realizzata tramite esso. Questi

segni nascono dall attività svolta con l artefatto, i loro significati sono personali e

comunemente impliciti, strettamente legati all esperienza del soggetto, essi

probabilmente sono legati a ciò che Ratford (2003) definisce generalizzazione

contestuale, ossia una generalizzazione che si riferisce fortemente alle azioni del

soggetto nel tempo e nello spazio e nel preciso contesto del compito. Estendendo la

terminologia di Noss e Hoyles (1997), si può parlare di segni situati. Contrariamente a

47

ciò che ci si può aspettare, può succedere che non emergano significati condivisi per i

segni di un artefatto, ma il riferimento diretto ad una esperienza comune può assicurare

la possibilità di negoziare un significato condiviso all interno della classe. Sebbene

possa succedere che i segni si manifestino spontaneamente, sicuramente essi appaiono e

i significati vengono espressi a seconda del bisogno specifico legato al contesto, in

particolar modo sotto lo stimolo di un compito specifico:

Quando il compito richiesto deve essere portato avanti in coppia: questo genera il

bisogno di comunicare e conseguentemente la produzione di segni.

Quando viene richiesto di elaborare un resoconto scritto, sia esso accompagnato o

meno da disegni.

Quando agli alunni viene richiesto di preparare una relazione scritta relativamente

a ciò che hanno fatto: sintetizzare il contenuto di una discussione, rendere espliciti

i loro dubbi, ecc.

Questa categoria di segni di artefatti include tanti e diversi tipi di segni e, ovviamente, i

segni non verbali come gesti o disegni, o combinazioni di essi (Arzarello 2006). Anche

se i nostri esempi non prenderanno in considerazione il caso dei gesti, vogliamo

sottolineare che quello che diciamo consiste e, per certi aspetti, è complementare

all analisi di Arzarello. In effetti, i gesti sono spesso precursori di espressioni verbali,

principalmente nel caso dell assenza di elementi verbali adatti. I segni-artefatto, a causa

del loro diretto riferimento all artefatto e al suo utilizzo, sono soprattutto impiegati per

identificare un particolare aspetto dell artefatto da mettere in relazione ai significati

matematici che sono l oggetto dell intervento. Essi sono gli elementi di base dello

sviluppo del processo semiotico centrato sull utilizzo di artefatti e finalizzato alla

costruzione della conoscenza matematica. Di fatto, l insegnante crea una rete semiotica

mettendo in relazione i segni di artefatti a segni matematici. In questo lungo e

complicato processo un ruolo cruciale è svolto dagli altri tipi di segni, che sono stati

definiti segni pivot.

Segni pivot, che, come illustrerà l esempio seguente, hanno la caratteristica della

polisemia, cioè possono riferirsi sia all attività con l artefatto, che anche al linguaggio

naturale e al dominio matematico. La loro polisemia fa sì che essi possano essere

utilizzati come perno per favorire il passaggio dal contesto di artefatto al contesto

matematico. Molto spesso essi segnano un processo di generalizzazione, e questo è il

caso di espressioni generiche come <oggetto/i> o <cosa/e>, come termini del

linguaggio naturale che hanno una corrispondenza nella terminologia matematica. Il

48

loro significato è in relazione al contesto dell artefatto, ma assume generalità attraverso

il suo utilizzo nel linguaggio naturale. Talvolta essi sono termini ibridi, prodotti e

utilizzati all interno della classe, ed intendono esprimere un primo distacco

dall artefatto, tuttavia mantenendo il legame con esso, per non perdere il significato.

Il diagramma della fig.1 può ora essere rielaborato come appare nella fig.2.

2.5. Mediazione semiotica nella classe

Il quadro teorico presentato può essere utilizzato per analizzare o per pianificare diverse

esperienze di insegnamento coinvolgenti allievi di diverse età.

Tratteremo in particolare esempi riguardanti le mani (capitolo 3), pallottolieri ed abaci

(capitoli 4 e 5). Vedremo come nella prima situazione sia il corpo stesso ad assumere il

ruolo di artefatto culturale, mentre nella seconda entrano in gioco artefatti che si

ritrovano nella storia dell uomo fin dall antichità.

Fig.5

121

5.2.2. Il caso dell Abaco

Analisi del potenziale semiotico: l abaco e il sistema posizionale di rappresentazione

dei numeri

L abaco, nelle sue diverse forme di tavole di conteggio, è un artefatto culturale ben

conosciuto. La sua origine è correlata alla storia del conteggio e della registrazione. I

segni avevano due funzioni principali: essi servivano come contatori per calcolare

quantità di beni, erano cioè espedienti mnemonici utilizzati per immagazzinare dati, con

lo scopo di avere tanti articoli (segni, palline, tacche) quanti gli oggetti (animali, giorni,

pezzi di cibo); le tavole di conteggio con palline o gettoni furono poi utilizzate per fare

computi (specialmente addizioni e sottrazioni). L idea di base era quella di

interrompere la raccolta di unità-palline e trattare il gruppo invece che l individuo. Ogni

gruppo veniva rappresentato da una pallina (segno) che, per poter essere distinta da una

unità, veniva posta in una diversa posizione in una tavola o tavoletta divisa in colonne o

strisce. Il numero di palline all interno di ogni gruppo era definito dalla base,

solitamente cinque o dieci, come ricordo dell antica numerazione attraverso le dita o le

mani. Per secoli, questa strategia fu utilizzata per fare calcoli e non per la

rappresentazione scritta dei numeri. Così, nei calcoli la gente utilizzava un sistema

valutativo avanzato (dove anche le colonne vuote erano permesse) mentre nella

scrittura venivano utilizzati diversi tipi di segni (si veda Menninger 1958, p.223). Per

fare addizioni, i due numeri erano rappresentati insieme nello stesso abaco, prima di

raggruppare i gettoni (se necessario) in ogni colonna.

Lo storico processo di costruzione di significati aritmetici ha lasciato tracce nei segni-

artefatto che originano dalle pratiche antiche e, in alcuni casi, sono divenuti veri

simboli matematici, per esempio:

- il nome stesso dell abaco, proveniente dalla parola greca abax (a sua volta

dall ebraico abaq, ossia polvere o sabbia utilizzata come superficie di

scrittura);

- il nome stesso dell attività (calculus) per indicare le palline (calculi in latino);

- il nome stesso di zero per indicare lo spazio vuoto in alcune colonne (si veda

Menninger, 1958: 401).

L utilizzo dell abaco nello svolgimento di addizioni può essere sostituito o evocato da

una rappresentazione scritta dei numeri focalizzata solo sulla posizione. La perdita di

materialità permette di prendere distanza dai fatti empirici.

122

5.2.3. Un esperimento di insegnamento in prima elementare

Questo esempio serve per illustrare come può essere utilizzato il quadro presentato nel

secondo capitolo per analizzare e, soprattutto, per pianificare interventi didattici efficaci

a livello di prima elementare.

Riprendiamo allora la definizione di mediazione semiotica indicata da Hasan (si veda

cap. 2).

In generale:

- il mediatore è l insegnante;

- il contenuto/forza/energia è il contenuto del sapere;

- il ricevente è l alunno/i;

- la circostanza della mediazione è l attività di insegnamento-apprendimento;

- la modalità è il ciclo didattico;

- il sito, il luogo in cui la mediazione può avvenire è la classe.

Nel nostro caso, l insegnante utilizza l artefatto come strumento di mediazione

semiotica.

- il mediatore è l insegnante Mara Boni;

- il contenuto/forza/energia è la rappresentazione polinomiale dei numeri naturali in

base dieci (il problema sintattico che abbiamo osservato in precedenza);

- il ricevente sono gli alunni;

- la circostanza della mediazione è la particolare attività di insegnamento-

apprendimento che verrà descritta;

- la modalità è un ciclo didattico aumentato , nel senso che rispetto al ciclo didattico

standard , è presente un ulteriore attività;

- il sito, il luogo in cui la mediazione avviene è una prima elementare.

Il problema didattico che viene trattato è relativo ad incertezze ed errori sistematici

commessi dagli allievi, ampiamente documentati nella letteratura internazionale, ancora

alla fine della scuola elementare.

Di seguito vengono riportati gli errori tipicamente commessi dagli alunni di scuola

primaria nel momento in cui viene richiesto di trasformare i numeri dettati verbalmente

nel codice posizionale decimale (Lucangeli, 2004).

Gli errori possono essere classificati come errori del sistema dei numeri (comprensione

e produzione) o come errori di calcolo.

123

Per quanto riguarda il sistema dei numeri, gli errori sono attribuibili ai meccanismi

lessicali e sintattici.

Diverse ricerche dimostrano che la maggior parte degli errori commessi dai bambini,

sia in produzione che in comprensione, è di tipo sintattico. Errori sintattici sono tutti

quelli in cui risulta compromessa la capacità di stabilire i rapporti tra le cifre in una

struttura sintattica corretta, pur rimanendo integra la capacità di codificare le singole

cifre. Ad esempio, dato un numero composto da più cifre, il soggetto produce una

risposta contenente tutte le cifre, ma di ordini di grandezza diversi (13-31; 154-145).

Questi infatti sembrano anche nascondere un apprendimento carente o non

consolidato, come nei seguenti casi.

1.Errori di conteggio dovuti al mancato controllo della struttura sintattica, ad esempio:

- 1, 2, 3, 4, 15, 16, 17 (rispetto dell incremento, ma confusione nella categoria

lessicale);

- 13, 14, 40, 41, 42 (mancato incremento della posizione e confusione del

livello).

2.Mancato riconoscimento del valore dello zero nella transcodifica tra codice verbale

(in cui la parola zero non viene utilizzata) e codice arabo (in cui lo 0 ha un valore

posizionale al pari delle altre cifre), ad esempio:

- scrivere 1047 quando viene dettato centoquarantasette ;

- nella maggior parte dei casi lo zero viene utilizzato eccessivamente ogni volta

che si incorre nei moltiplicatori -cento e -mila , ad esempio scrivere 310056

quando viene dettato trecentocinquantasei , 7100501 quando viene dettato

settecentocinquantuno , 800030022 al posto di ottomilatrecentoventidue

ecc.;

- in altri casi lo zero viene utilizzato troppo poco , ad esempio 2609 quando

viene dettato ventiseimilanove

3.Gli elementi miscellanei del lessico dei numeri vengono uniti ai numeri primitivi

come potenze di 10 oppure con relazioni additive. Questa duplice funzione può

essere confusa e dare origine a errori di due tipi:

- relazioni moltiplicative rese additive (trecento = 103; tremilasettanta = 1073);

- relazioni additive rese moltiplicative (centocinque = 500; centotrentadue =

3200).

In sintesi, si tratta di errori di transcodifica, relativi cioè al passaggio dal codice

numerico a quello verbale o viceversa. Pur sapendo contare oralmente e per iscritto in

124

uno dei due codici e avendo consolidato il significato di ciascun numero, è possibile

avere difficoltà nel passaggio dallo stimolo uditivo a quello numerico o viceversa, a

seconda di quale codice è meglio appreso.

Per quanto riguarda i sistemi di calcolo, invece, gli errori analizzati dalla letteratura

possono essere attribuiti a differenti categorie di difficoltà.

1. Errori nel recupero di fatti aritmetici:

- errori di confine, determinati dalla inappropriata attivazione di tabellone

confinanti (6 x 3 = 21)

- errori di slittamento, in cui una cifra è corretta e l altra è sbagliata (4 x 3 =11).

2. Errori nella applicazione di procedure, le difficoltà possono riguardare i seguenti

aspetti:

- la scelta delle prime cose da fare per affrontare una delle quattro operazioni

(incolonnamento o meno, posizione dei numeri, posizione del segno operatorio

e di altri segni grafici come la riga separatoria, ecc.);

- la condotta da seguire per la specifica operazione e il suo mantenimento fino a

risoluzione ultimata. Ad esempio, per la sottrazione si ha la regola di togliere le

unità dal sottraendo da quelle del minuendo e, se queste ultime sono minori, si

deve prendere in prestito una decina dalla cifra precedente. Ad esempio, per

svolgere 85

6 inizialmente si deve fare 15

6. In molti casi il bambino ha

presente che è impossibile sottrarre un numero più grande da un numero più

piccolo, per cui prende per prima la cifra più grande dimenticando la regola

della direzione, e così risulta 85 6 = 81;

- il passaggio ad una nuova operazione. Il bambino persevera nel ragionamento

precedente e applica procedure tipiche di un operazione (ad esempio una

sottrazione) ad un altra (ad esempio un addizione);

- la progettazione e la verifica. Spesso un bambino comincia immediatamente il

processo di risoluzione senza un analisi iniziale che gli permetta di individuare

difficoltà e strategie da utilizzare; una volta ottenuto, il risultato viene accettato

senza riflettere sull operazione nella sua globalità.

Di seguito analizzeremo pallottoliere e abaco.

125

Analisi del potenziale semiotico del pallottoliere

Nel pallottoliere ci sono, dal punto di vista del significato matematico, una

corrispondenza uno-a-uno (ogni volta che sposto una pallina, conto un oggetto) e l idea

di raggruppamento per dieci (in ogni fila sono presenti dieci palline);

In relazione alla corrispondenza uno-a-uno, gli schemi d uso che vengono attivati sono

due:

- sposta una pallina per ogni oggetto da contare (eventualmente da aggiungere);

- contali tutti .

In relazione al raggruppamento per dieci lo, schema d uso attivato è sostanzialmente

uno:

- conta un asta piena come dieci e le rimanenti palline come unità.

Se introduciamo l abaco, possiamo notare che, dal punto di vista del significato

matematico, rimangono la corrispondenza uno-a-uno e il raggruppamento per dieci,

quindi gli schemi d uso restano infila una pallina per ogni oggetto da contare e,

quando si tratta di piccoli numeri, contali tutti .

Viene però introdotta, dal punto di vista del significato matematico, una novità: il

cambio. Lo schema d uso allora diviene: cambia dieci palline sulla prima asta di destra

con una pallina della seconda asta, cambia dieci palline sulla seconda asta con una

pallina della terza asta, e così via.

Se noi li confrontiamo, ci rendiamo conto che lo schema d uso contali tutti quando

sono pochi crea un conflitto tra la situazione del pallottoliere e quella dell abaco,

tant è vero che, più avanti, vedremo come i bambini conteranno le palline presenti

sull abaco come fossero palline del pallottoliere. Questi due strumenti hanno quindi

schemi d uso diversi che, come noteremo, entrano in conflitto al primo compito che

viene assegnato.

Quali sono i tipi di compiti che vengono assegnati all interno del particolare caso che ci

accingiamo a descrivere? Innanzi tutto, i bambini devono memorizzare la sequenza

numerica verbale, poi:

1. disegnare un pallottoliere

2. disegnare un abaco.

Questi due tipi di compiti sono legati al fatto che il bambino deve familiarizzare con

l artefatto in quanto tale (è costretto ad osservarlo e a focalizzare l attenzione sulle sue

componenti: si veda il processo di strumentalizzazione di Rabardel);

126

3. rappresentare sul pallottoliere, e successivamente sull abaco, numeri dati in forma

orale o scritta;

4. leggere e/o scrivere un numero rappresentato sul pallottoliere, e poi sull abaco;

5. leggere un numero rappresentato sull abaco grafico;

e così via.

Abbiamo parlato di ciclo didattico aumentato perché, oltre a svolgere le attività

descritte

individuate nel secondo capitolo come gli elementi minimi

l insegnante

aggiunge un ulteriore funzione: il dialogo scritto, che viene messo in opera

individualmente con ogni bambino. Esso possiede di per sé un potenziale semiotico

molto forte, perché colloca segni scritti su un foglio, sui quali il bambino è costretto a

riflettere, per poi costruire un ulteriore messaggio in risposta a quello dell insegnante

che a sua volta, se necessario, lascia un nuovo feedback.

In classe, tra settembre e dicembre, vengono svolte sistematicamente attività di

memorizzazione della sequenza numerica orale, attività di conteggio, di scrittura di

numeri (date, temperatura ecc.) per copiatura.

Tra gennaio e febbraio viene introdotto il pallottoliere (un esemplare a 30 palline e uno

a 100), che viene disegnato; vengono realizzate attività di rinforzo del conteggio sullo

Ciclo didatticoagli elementi minimi

in questo caso si aggiunge

Dialogo scritto

Fig.1

127

strumento, di registrazione dei risultati del conteggio (il pallottoliere come segnapunti)

e attività di completamento a dieci (come allenamento per il calcolo mentale).

A marzo l insegnante introduce un abaco su cui è rappresentato il numero 13 (in

corrispondenza alla data: è il 13 marzo)

Vediamo ora più nel dettaglio le suddette attività.

Il 13 gennaio viene data la seguente consegna: disegna dal vero il pallottoliere

(processo di strumentalizzazione di Rabardel).

1 caso: il bambino ha disegnato correttamente tre file, ma non è stato in grado

di realizzare il disegno secondo quelli che sono gli elementi dell artefatto: nelle prime

due file le palline sono correttamente infilate, ma nella terza no, sono come

fluttuanti nell aria.

2 caso: le palline del pallottoliere sembrano appese .

Fig. 2

Fig.3

128

3 caso: il numero delle palline non è corretto

4 caso: pur non essendoci verosimiglianza (perché il pallottoliere non sta in

piedi) il disegno è più preciso rispetto agli altri tre

Questo tipo di rappresentazione grafica ha una valenza molto forte, perché fornisce

all insegnante alcune importanti informazioni (che verranno poi discusse ulteriormente

coi bambini stessi) sull idea che essi possiedono relativamente a questo tipo di

strumento: perché le hanno rappresentate in questo modo?

In seguito al disegno, alle attività di conteggio, a quelle di completamento a dieci, con

gli schemi d uso che ne sono entrati a far parte, i bambini producono spontaneamente

una serie di locuzioni verbali: fila da dieci palline, fila-da-dieci (come fosse una parola

sola), fila piena. Questi sono tipici segni artefatto, in quanto sono ancora fortemente

legati allo strumento e non a segni matematici.

I bambini proseguono nell attività, e fanno conteggio di collezioni di palline anche

grandi, prestando attenzione (su invito dell insegnante) al cambio della regola di

generazione dei nomi dei numeri in corrispondenza del completamento di una fila-da-

Fig.4

Fig.5

129

dieci. Si accorgono, cioè, che quando hanno riempito una fila-da-dieci cambia la regola:

si arriva a dieci, poi diventa undici, dodici, venti ecc.

Siamo ancora sul processo lessicale (ci sono bambini che faticano a ricordare i nomi dei

numeri), ma ci sono anche bambini che cominciano ad intuire il processo sintattico: è

interessante notare come l insegnante riesca a tenere in azione tutti i bambini,

indipendentemente dal loro livello di prestazione.

Al termine di questa attività, avviene la costruzione collettiva di un testo che esplicita la

regola collegandola al numerale orale e al numerale scritto .

Testo collettivo:

Nei numeri con la fila-da-dieci c è la parola dici (i bambini operano ancora entro il

venti). Quando ci sono file-da-dieci il numero ha due cifre. Le file-da-dieci sono scritte

a sinistra.

Analisi del potenziale semiotico dell abaco

Il 13 marzo, dopo la copiatura della data, l insegnante mostra per la prima volta un

abaco su cui è rappresentato il numero 13 (da notare la corrispondenza tra la data e il

numero su cui si opera).

Primo compito: Che numero è? Copia l oggetto, rispondi per iscritto e spiega perché.

Ancora una volta, il disegno dal vero (processo di strumentalizzazione di Rabardel)

pone il bambino nella condizione di concentrare l attenzione sugli elementi che

compongono l artefatto.

Tutti gli allievi, tranne una, rispondono 4. Qui emerge il conflitto di cui si parlava nel

precedente paragrafo, perché si rende evidente come i bambini utilizzino l abaco come

un pallottoliere.

L insegnante gestisce la fase individuale attraverso il dialogo scritto per incoraggiare

l attività semiotica. Dopo l interazione scritta, altri 5 allievi rispondono 13.

130

Vediamo di seguito il protocollo di Grace.

G: come i giorni o capita che te ogni matina fai con quelo alto (il calendario a strappo) ogni mattina i numeri li fai.

G: è 31. L insegnante ha intravisto la zona di sviluppo prossimale nella bambina, che ha

riconosciuto l 1 e il 3.

Ins: leggi meglio.

G: è 13.

Ins: perché?

G: avevo pensato che quel 1 sembra li 10 e quel 3 mi sembrava li 13, quel numero mi a

deto 13. E un numero inportatissimo.

Fig.6

Fig.7

131

Questo è estremamente importante, perché è fondamentale per capire come l insegnante

abbia costruito un mini-percorso individuale all interno di una gestione

sostanzialmente collettiva.

Vediamo ora il caso di un bambino che legge correttamente il numero solo dopo

l interazione scritta.

Protocollo di Silvia:

S: è 4.

Fig.8

132

Ins: no.

S: che a sinistra ce il numero 1 e a destra ce il numero 3. Questo numero si chiama 13.

Ins: se è così, spiega perché.

S: perché prima ce il bastoncino a sinistra è ce il numero 1 e nel altro bastoncino ce il

numero 3 e in sieme si forma il numero 4, ma se agiungi una fila da dieci diventa 13.

Questo protocollo, simile a molti altri, mostra una fotografia di un processo di sviluppo.

Inizialmente Silvia interpreta l abaco come un pallottoliere, dove venivano utilizzati la

corrispondenza uno-a-uno e gli schemi di conteggio unico. Quando l insegnante valuta

negativamente la sua risposta, rilancia il problema alla bambina, che è costretta a

mettere in gioco altre conoscenze.

L interpretazione ha legato i due tipi di abaco: la pallina 1 non era da scambiare

(convenzionalmente) con 10 palline, ma era piuttosto un rimando o una

rappresentazione di una linea da dieci (lo schema della decina). Silvia stava collegando

nella sua mente l abaco (un artefatto nuovo) con il pallottoliere che le era più familiare.

L interpretazione è stata condivisa dalla maggior parte degli alunni nel compito

seguente.

Fig.9

133

A questo punto, le condizioni della classe sono le seguenti: una bambina ha risolto

autonomamente il compito assegnato, altri 5 dopo l interazione scritta, ma i restanti 17

sono ancora fissi sulla soluzione sbagliata, nonostante l utilizzo del dialogo scritto.

Subito dopo, l insegnante legge ad alta voce alcune risposte fornite dai bambini (giuste

e sbagliate) senza fare alcun commento. Poi, indica l abaco e finge per un attimo di non

conoscere la soluzione, chiedendo (secondo compito): Che numero sarà mai?

Dopo una breve pausa, continua: ve lo dico io. E tre-dici (rallentando la pronuncia per

enfatizzarne la struttura).

Poi scrive alla lavagna: E il numero 13. Spiega perché.

In questo modo, l insegnante introduce un altra attività semiotica: collega l artefatto

(l abaco con le palline) con segni matematici (per esempio, i numeri orali e scritti),

orientando i bambini verso la descrizione di schemi di utilizzo appropriati piuttosto che

verso la risoluzione del problema (come nel primo compito). I bambini copiano sui loro

quaderni la scritta alla lavagna, disegnano di nuovo l abaco e scrivono le proprie

spiegazioni. Le loro risposte cambiano drammaticamente: tutti, tranne cinque, riescono

a fornire giustificazioni adeguate.

Tutti gli alunni, tranne 5 (in difficoltà) argomentano correttamente con esplicito

riferimento alla pallina isolata che vale dieci, ovvero è come una fila-da-dieci.

Luca (prima):

L: Il numero 4.

Ins: no.

Fig.10

134

Dopo:

L: quel uno vuole dire dieci e quel tre vuole dire tre e così si forma il 13.

Oussama:

O: Perché cè un 10 e un 3

Fig.11

Fig.12

135

Nel periodo successivo i bambini lavorano quotidianamente con l abaco, senza mai

utilizzare, però, l asta vuota.

Il 3 aprile l insegnante presenta un abaco con la rappresentazione del numero dieci.

Questa è la prima volta che compare lo zero. Adesso non è nemmeno più presente la

corrispondenza tra la data e la rappresentazione del numero.

Consegna: disegna l abaco. Spiega a cosa serve e leggi cosa c è scritto.

Protocollo di Luca:

L: l addaco serve per fare i numeri. A sinistra ci son le decine e a destra ci sono le

unita. Nel abaco ce il numero 10.

Quando le paline sono 9 svotiamo per metere le decine sono a sinistra.

È interessante notare che il bambino scambia la pallina rappresentata sull asta a sinistra

con dieci palline, rappresentate però in orizzontale come nel pallottoliere. Se ne deduce

che l artefatto precedente è ancora vivo nei bambini, anche se hanno imparato ad

utilizzare l abaco.

Fig.13 Fig.14

136

In definitiva, attraverso questa serie di attività ci è possibile rileggere lo schema

rappresentato nel capitolo 2 (fig.4) nel modo seguente:

È importante notare il ruolo cruciale svolto dai segni pivot

rintracciabili nel testo

collettivo che l insegnante aveva preparato

in cui sono presenti termini che legano i

segni artefatto ai segni matematici. La capacità dell insegnante sta nel saper riconoscere

questi segni, per poi farli transitare verso segni matematici.

Questo esempio ci mostra perciò come, pilotando un esperimento attraverso il quadro

presentato nel secondo capitolo, si possano ottenere risultati molto soddisfacenti.

Pallina svuotare bastoncinofila piena fila-da-dieci .

Nei numeri con la fila-da-dieci c è la parola dici . Quando ci sono file-da-dieci il numero ha due cifre.

Le file-da-dieci sono scritte a sinistra.

cifra - unità decine13 tre-dici 18 dici-otto

Segni - artefatto

Segni - pivot

Segni matematici

137

La storia continua

Al termine della prima elementare tutti i bambini, tranne cinque che presentano altre

difficoltà, sanno scrivere correttamente sotto dettatura veloce numeri con due cifre

(anche con lo zero), e codificano e decodificano i numeri con l utilizzo dell abaco.

Successivamente è stato introdotto un nuovo artefatto ispirato alla Pascalina (contatore

trasparente che permette di eseguire numerazioni, addizioni e sottrazioni con numeri

fino a tre cifre).

A metà della seconda elementare tutti i bambini scrivono correttamente sotto dettatura

veloce numeri di tre cifre e non sbagliano gli incolonnamenti.

Tutti sanno confrontare con sicurezza gli schemi d uso collegati ai tre artefatti

(pallottoliere, abaco, Pascalina).

Una pallina dell abaco stringe una fila-da-dieci ;

la Pascalina conosce tutte le regole dell abaco ;

il rumorino della Pascalina fa cadere una pallina nel bastoncino dell abaco ;

il rumoretto della Pascalina fa cadere una pallina nell altro bastoncino

dell abaco

Sono espressioni situate, segni artefatto che però contengono molto significato.

A metà della seconda elementare tutti i bambini sono in grado di eseguire anche la

sottrazione col prestito.

Fig.15

147

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