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ambiente s.c. ecologia industriale ed igiene ambientale Capitolo 2 – Descrizione dell’Ambiente STUDIO DI IMPATTO AMBIENTALE Impianto di termovalorizzazione “I Cipressi” cod. doc. SIA-02-05 rev. 04 data 31/08/2005 Pag. 1 di 16 Università degli Studi di Firenze - Dipartimento di Energetica - Sergio Stecco INDICE 2.5 SUOLO E SOTTOSUOLO ................................................................................................. 2 2.5.1 Caratterizzazione geologica e geomorfologica del sottosuolo..................................... 2 2.5.2 Descrizione della componente suolo...................................................................... 4 2.5.3 Uso del suolo .................................................................................................... 8 2.5.4 Caratterizzazione del terreno attraverso la sua permeabilità ................................... 13 2.5.5 Valutazione sintetica della componente ambientale ............................................... 16

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INDICE

2.5 SUOLO E SOTTOSUOLO ................................................................................................. 2

2.5.1 Caratterizzazione geologica e geomorfologica del sottosuolo.....................................2

2.5.2 Descrizione della componente suolo......................................................................4

2.5.3 Uso del suolo ....................................................................................................8

2.5.4 Caratterizzazione del terreno attraverso la sua permeabilità................................... 13

2.5.5 Valutazione sintetica della componente ambientale ............................................... 16

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2.5 SUOLO E SOTTOSUOLO

2.5.1 Caratterizzazione geologica e geomorfologica del sottosuolo

L'Appennino Settentrionale risulta dalla sovrapposizione tettonica di due grandi insiemi, diversi per

litologia, struttura ed origine paleogeografica: un insieme esterno Umbro-Toscano ed un insieme

Interno Ligure-Emiliano. L'insieme Esterno è costituito essenzialmente da uno zoccolo continentale,

appartenente alla Placca Adriatico-Padana su cui poggiano, anche se scollate e deformate, le

successioni mesozoico-terziarie che ne rappresentano l'originale copertura sedimentaria.

L'insieme Interno consta di una serie di unità tettoniche che, per la presenza di ofioliti (rocce ignee

basiche ed ultrabasiche tipiche della litosfera oceanica) si sono invece originate in un oceano

estendendosi eventualmente anche sulla parte più assottigliata dei margini continentali adiacenti.

Queste unità hanno comunque abbandonato il loro substrato originario, che è scomparso in

subduzione, per sovrascorrere da ovest verso est (vergenza appenninica) sull'Insieme Esterno, che

ha avuto ruolo di avampaese, costituendo perciò una coltre alloctona.

Ricostruendo l’Appennino Settentrionale in una successione da ovest a est, possiamo riconoscere

cinque domini principali, di cui tre appartenenti all’insieme Ligure-Emiliano e tre appartenenti

all’insieme Umbro-Toscano:

1) Il Dominio Ligure comprensivo di relitti di basamento oceanico e relative coperture

sedimentarie pelagiche del tardo Giurassico-Cretaceo inferiore e flysch cretaceo-paleogenici scollati

dal loro substrato (ad esempio Unità Liguri esterne: Flysch ad Elmintoidi).

2) Il Dominio Subligure documentato solo da una successione sedimentaria paleogenica

profondamente tettonizzata e di cui non si conosce né l’originaria ampiezza né la natura del suo

substrato. E’ verosimile che questa successione si sia sedimentata in un’area di transizione tra la

crosta oceanica del Dominio Ligure e il substrato continentale del Dominio Toscano.

3) Il Dominio Toscano attualmente documentato da successioni deformate a livelli strutturali

differenti:

i) il Dominio Toscano Interno (Falda Toscana) comprende termini da archimetamorfici a non

metamorfici di età variabile dal Trias superiore all’Oligocene superiore;

ii) il Dominio Toscano Esterno (Complesso Metamorfico Toscano: Autoctono delle Alpi

Apuane, metamorfiti del M. Pisano e della Montagnola senese, ecc.), con metamorfismo in

facies scisti verdi che oltre ad una copertura mesozoica e terziaria, comprende anche

formazioni paleozoiche del suo basamento ercinico.

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iii) L’Unità di Massa (esterna al bacino dell’Arno) che è costituita esclusivamente da termini

Paleozoici e del Trias inferiore e medio.

4) L’Unità di M. Cervarola è costituita esclusivamente da un flysch del Miocene medio deposto in un

bacino al fronte dell’alloctono e, attualmente, in parte accavallato sul Dominio Umbro-Marchigiano.

Il suo substrato, intermedio tra il Dominio Toscano Esterno e il Dominio Umbro-Marchigiano, non

affiora nell’Appennino settentrionale.

5) Il Dominio Umbro-Marchigiano, un fold belt scollato a livello delle evaporati triassiche, affiora in

Umbria e Marche ed è sepolto dalle coltri liguri sulla trasversale dell’Appennino tosco-emiliano.

Esso rappresenta la zona più esterna della catena con una successione sedimentaria che arriva fino

al Miocene superiore.

L’area interessata da questo studio è compresa entro la pianura alluvionale del Fiume Sieve, in loc.

Selvapiana, all’interno del Comune di Rufina, sulla sinistra idrografica del fiume, a circa 97 metri

s.lm..

Nei pressi dell’area analizzata troviamo alluvioni recenti, formazioni appartenenti alle Unità Ligure

e, precisamente appartenenti alle Unità di Monte Morello, e affioramenti che appartengono alle

Unità Toscane, in particolare le Arenarie del Monte Falterona e le Arenarie di Pratomagno.

La alluvioni recenti risultano essere depositi coerenti ed incoerenti come sabbie, ghiaie, ciottoli ed

argille sabbiose. Il loro spessore varia dai 5.90 metri agli 8.50 metri.

Le Unità di Monte Morello che affiorano all’interno dell’area studiata sono costituite dalla formazione

Alberese e dalla formazione del Sillano. Sono unità alloctone e perciò risultano fortemente

fratturate e tettonizzate.

La formazione di Alberese affiora in destra idrografica del Fiume Sieve e rappresenta l’unità più

orientale del Dominio Ligure. E’ costituita da calcari marnosi bianchi e grigio-giallastri a frattura

concoide, da marne torbididiche di colore biancastro e giallastro e di arenarie quarzose e calcaree.

Saltuariamente sono presenti anche strati di selce nera.

La formazione del Sillano è costituita da alternanze di calcari marnosi a grana fine da sottili a molto

spessi di colore grigio-verde e nocciola o giallastri per alterazione, marne marroni e grigie,

calcareniti grigio-scure, arenarie quarzose e calcaree e argilliti siltose.

Le Arenarie di Falterona e Pratomagno sono formazione di origine terziaria che affiorano sia sulla

destra che sulla sinistra idrografica del fiume Sieve. Sono costituiti principalmente da arenarie con

presenza di argilliti e siltiti. E’ caratterizzata da un’alternanza di strati di torbiditi arenacee, e di

strati più sottili siltoso-marnosi.

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Anche la carta geologica del Piano Territoriale di Coordinamento della provincia di Firenze,

evidenzia nell’area oggetto del presente studio, al di sotto di alluvioni recenti costituite da ciottoli,

sabbie ed argille sabbiose, la presenza di calcari marnosi bianchi a frattura concoide e grigio-

giallastri granulosi teneri con elevato tenore di carbonato di calcio, alternati a marne laminate e

calcariniti.

Per quanto riguarda lo studio della morfologia del territorio. questa è stata effettuata analizzando i

quadri conoscitivi in relazione alle unità territoriali dei comuni compresi nell’area sensibile.

La morfologia generale del territorio si esplica principalmente in 3 differenti unità fisiografiche:

1. Fascia di territori pianeggianti di fondovalle, corrispondenti alle pianure alluvionali dei

principali corsi d’acqua, ove sono ubicati anche i principali centri urbani;

2. Fascia pedemontana collinare che connettono la fascia della pianura alluvionale con la

fascia montuosa, caratterizzati da pendii di debole acclività con litologia prevalentemente

argillitica;

3. Fascia montana con aumento della pendenza dei versanti, caratterizzata dalla bassa

concentrazione di abitati e dalla prevalente copertura boschiva;

Le 3 fasce qui sopra descritte presentano caratteristiche di copertura del suolo e composizione

vegetazionale differenti, condizionate oltre che dalla differenza esposizione e corrispondente

condizione climatica, anche dalla natura geologica del substrato e dal grado antropizzazione

presente nel territorio. L’uomo ha naturalmente concentrato la sua attività là dove le condizioni di

lavorabilità del terreno sono migliori e le pendenze sono più dolci. E’ chiaro che evidentemente

l’azione antropica ha interessato in misura maggiore le aree di fondovalle, caratterizzate

principalmente da terreni sabbiosi-argillosi alluvionali, mentre nelle aree montane, caratterizzate

da un substrato principalmente calcareo o arenaceo, sono i boschi ad avere la predominanza.

2.5.2 Descrizione della componente suolo

Il suolo, secondo la definizione proposta dalla Soil Conservation Society of America (1986) è un

corpo naturale costituito da particelle minerali ed organiche, che si forma dall’alterazione fisica e

chimico-fisica della roccia e dalla trasformazione biologica e biochimica dei residui organici. Esso

non è un strato detritico privo di vita che si è formato grazie all’accumulo progressivo durante il

corso del tempo, ma un corpo dinamico, in continua evoluzione in cui si verificano costantemente

tutta una serie di complesse attività chimiche, fisiche e biologiche. I suoli sono strettamente

collegati con la litologia, alla forma e alla esposizione del rilievo, al clima e alla vegetazione che lo

ricopre e sono soggetti a modificazioni qualora cambino tali condizioni.

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I pedologi attribuiscono il termine suolo, esclusivamente al materiale superficiale che in un lungo

periodo di anni si è trasformato in strati differenziati o orizzonti, che presentano caratteristiche

fisiche, chimiche e biologiche che gli permettono di alimentare lo sviluppo della vegetazione e che

lo distinguono dal substrato sterile sottostante che è costituito dalla roccia madre. Il suolo è

costituito da sostanze che si trovano nei tre stati fisici della materia e cioè nello stato solido, fisico

e gassoso.

La porzione solida del suolo è costituita sia da sostanza inorganica che da sostanza organica. Il

disfacimento meteorico delle rocce produce le particelle inorganiche che forniscono al suolo la parte

principale del suo volume e del suo peso. La parte solida organica è invece costituita da organismi

vegetali, da organismi animali e dai loro resti. Si tratta principalmente di radici, funghi, batteri,

vermi, insetti e piccoli roditori.

La porzione liquida del suolo è una soluzione chimica complessa fondamentale per tutte le reazioni

chimiche e biologiche che avvengono al suo interno. Si tratta di un composto formato da numerose

sostanze chimiche quali i bicarbonati, solfati, clorati, nitrati e i silicati di calcio, magnesio, potassio,

sodio e ferro. In un suolo senza acqua, non è possibile che si sviluppi la vita.

Infine la porzione gassosa è composta dai gas che occupano i pori e gli spazi all’interno del suolo.

Si tratta prevalentemente di gas presenti nell’atmosfera e di quelli liberati dalle varie attività

biologiche e chimiche.

Per terminare questa piccola introduzione al comparto suolo è necessario elencare brevemente le

sue proprietà chimico-fisiche e biologiche e i processi che generano e mantengono i materiali di cui

esso è composto.

Analizzando il sistema suolo da un punto di vista chimico, la prima caratteristica che vediamo è il

cosiddetto colore del suolo, che indica la fase della genesi del suolo e gli elementi che lo

compongono. I vari orizzonti del suolo sono facilmente distinguibili proprio dal colore che essi

possiedono, colore che varia dal bianco, al bruno, fino al nero che sta a testimoniare in primo luogo

la quantità di humus nel suolo presente. L’humus è una sostanza organica finemente suddivisa e

parzialmente decomposta fondamentale per lo sviluppo vegetale ed infatti dove lo strato umifero è

abbondante troviamo sempre un terreno fertile. Una delle principali caratteristiche del suolo è la

sua tessitura ovvero la dimensione delle particelle e dei granuli che lo compongono. La tessitura è

un elemento importantissimo nell’analisi del suolo, in quanto determina le proprietà di ritenzione e

particolazione dei liquidi: un suolo sabbioso può lasciar filtrare l’acqua molto più rapidamente di un

suolo argilloso dove gli spazi dei pori sono troppo piccoli per un drenaggio adeguato. Il pH del suolo

esprime il grado di acidità e di alcalinità del terreno ed è collegata strettamente con le tipologie

vegetazionali e flogistiche che lo colonizzano. La struttura del suolo si riferisce al modo in cui i suoi

granuli sono aggregati in elementi più grandi tenuti assieme dai colloidi presenti. Influisce la

quantità d’acqua che può assorbire, la predisposizione all’erosione e la facilità con cui può venire

coltivato. Il profilo del suolo descrive la suddivisione del suolo in orizzonti o strati, che differiscono

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per struttura, tessitura, colore e consistenza. I pedologi distinguono i vari orizzonti con le lettere

dell’alfabeto, dall’alto verso il basso. Una breve descrizioni dei vari orizzonti è riassunta qui di

seguito:

• Orizzonte O: accumulo di materiale organico deposto in superficie (lettiera) con più

del 35% di materiale organico;

• Orizzonte A: si forma in superficie, vi è la totale obliterazione della roccia da cui si è

formato il suolo e mostra un accumulo di sostanza organica umificata intimamente

associata con la frazione minerale;

• Orizzonte B: anche qui vi è la totale o quasi obliterazione della roccia madre con

presenza di argilla, ferro, alluminio, carbonati, gesso, silice e humus, soli o i

combinazione;

• Orizzonte C: orizzonte minerale di materiali non consolidati, simili a quelli da cui si

sono formati gli orizzonti A e B, con scarsa influenza dei processi pedogenetici;

• Orizzonte R: roccia madre più o meno coerente.

Abbiamo parlato di pedogenesi, e cioè dello sviluppo e della trasformazione nel tempo del suolo.

Essa è regolata da quelli che sono denominati come processi pedogenetici, ovvero i processi che

interagiscono singolarmente o combinati nella formazione e sviluppo del suolo. Possono essere

passivi o attivi. Tra i fattori pedogenetici passivi vi è la roccia madre, ovvero il materiale base su

cui, attraverso trasformazioni chimiche e fisiche, si sviluppa il suolo. Un altro fattore passivo è

costituito dal tipo di rilevo e dalla forma della superficie del terreno: laddove vi è un versante ripido

il ruscellamento e l’erosione meteorica sarà maggiore rispetto ad una zona pianeggiante e quindi lo

sviluppo degli orizzonti sarà più lenta ed essi saranno meno profondi. Il terzo ed ultimo fattore

passivo è costituito dal tempo e cioè dalla durata della pedogenesi.

I fattori attivi sono costituiti dal clima, e quindi secondariamente da umidità, temperatura e vento,

e dai processi biologici che all’interno del suolo hanno luogo. Questi ultimi sono costituiti

dall’insieme degli organismi animali e vegetali che nel suolo vivono, si alimentano e si riproducono.

Il suolo appare quindi come un complesso laboratorio biologico nel quale si succedono

ininterrottamente generazioni di organismi di dimensioni e entità variabile, le cui attività regolano

lo sviluppo e la sua evoluzione. I microrganismi del suolo riciclano la sostanza organica e

concorrono alla formazione dell’humus essenziale per la vita dei microrganismi stessi e delle piante.

Scendendo in dettaglio nell’analisi delle diverse tipologie biologiche che popolano l’ecosistema suolo

possiamo innanzitutto distinguere le 2 principali categorie (di costituzione empirica) su cui si basa

l’intero regno vegetale, e cioè la macroflora, e la microflora. La macroflora è costituita dal popolo

vegetale facilmente osservabile ad occhio nudo, e quindi dagli alberi, gli arbusti, le erbe, i prati ecc.

E’ importante ricordare come le varie specie vegetali si sviluppano in alcune zone piuttosto che in

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altre a causa delle caratteristiche del substrato e come esse stesse modifichino tali caratteristiche

in un ciclo privo di soluzioni di continuità. Ad esempio, i boschi di conifere come abete bianco, rosso

o i pini mediterranei crescono bene su suoli più o meno acidi, ricchi di ferro o alluminio, ma la loro

presenza provoca una forte produzione di lettiera formata perlopiù dagli aghi che cadono dai rami,

che tende ad acidificare ulteriormente il terreno, limitando lo sviluppo del sottobosco. Le erbe ed i

cereali hanno bisogno di abbondanza di calcio e magnesio e perciò crescono bene nei suoli ricchi di

calcio dei terreni semi-aridi. I resti vegetali che cadono sul terreno subiscono un lento processo di

ossidazione e forniscono il cosiddetto humus (processo di umificazione). Durante tale processo si

formano gli acidi organici che favoriscono l’ulteriore decomposizione della porzione minerale del

suolo.

La microflora è formata da funghi e batteri, indispensabili nel sistema ecologico del suolo in quanto

concorrono alla formazione e al riciclo della sostanza organica, e permettono, tra le altre cose, il

fissaggio dell’azoto atmosferico e renderlo così utilizzabile dalle piante.

Il mondo animale è rappresentato tra gli strati del terreno principalmente da artropodi (insetti e

crostacei), molluschi (lumache), anellidi e nematodi(vermi), ma anche rettili e mammiferi. La

funzione che essi svolgono è essenzialmente di tipo meccanico, ma non per questo meno

importante di altri fattori. Essi infatti rielaborano continuamente la matrice del suolo, scavando e

trasportando materiale podologico sia orizzontalmente sia verticalmente e cioè attraverso i vari

orizzonti. Permettono così il rimescolamento, l’areazione, e la modifica della struttura e della

tessitura del suolo permettendo così l’instaurarsi di nuove forma di vita e la conseguente variabilità

genetica.

Concludendo questa breve trattazione sulle caratteristiche principali del suolo è necessario

ricordare che suolo è una risorsa naturale fondamentale, non rinnovabile nella scala temporale

umana, (rinnovabile solo in tempi molto lunghi). Purtroppo è una risorsa soggetta a elevato rischio

di perdita e di degrado, per modalità d'uso scorrette, come l'eccessivo sfruttamento, il

disboscamento, l'utilizzo non coerente con le altre opportunità offerte dall'ambiente, le

trasformazioni improprie, la cementificazione e l'introduzione nel sistema di sostanze estranee non

compatibili. Le conseguenze, facilmente identificabili e spesso disastrose, sono erosione,

inquinamento, salinizzazione e perdita di fertilità, processi per lo più irreversibili o contrastabili solo

con costosissimi interventi di recupero.

Un indice che permette di valutare lo stato di sfruttamento del suolo e la variazione quantitativa

delle varie aree omogenee è l’uso del suolo. Esso è l’unico indicatore che permette di visualizzare

l’estensione e l’entità delle attività antropiche presenti sul territorio ed è in gradi di individuare i

cambiamenti nell’uso del suolo in agricoltura.

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2.5.3 Uso del suolo

Per l’analisi dell’uso del suolo all’interno del bacino della Val di Sieve abbiamo attinto dai dati

relativi al progetto europeo Corine-Land-Cover che descrive lo stato di copertura del suolo

attraverso una codificazione su scala a 1:100000 e che fotografa la situazione all’estate del 1995.

Le tipologie utilizzate per una descrizione a livello di bacino sono quelle del livello II del Corine e

sono descritti brevemente nella tabella che segue:

CODICE DESCRIZIONE CATEGORIA

11 Zone urbanizzate

12 Zone industriali - zone commerciali e reti di

comunicazione

13 Zone estrattive - discariche e cantieri

14 Zone verdi artificiali non agricole

21 Seminativi

22 Colture permanenti

23 Prati stabili

24 Zone agricole eterogenee

31 Zone boscate

32 Zone caratterizzate da vegetazione arbustiva

e/o erbacea

33 Zone aperte con vegetazione rada o assente

41 Zone umide interne

51 Acque continentali

Tabella 2.5. 1 - Tipologie di suolo utilizzate per la descrizione del bacino

Il bacino della Val di Sieve ha una copertura del suolo dominata largamente da formazioni boschive

che rappresentano ben il 60,7 % del totale. All’interno di questa percentuale i boschi decidui sono

nettamente prevalenti coprendo da soli il 50,1 % del territorio del bacino, seguite dalle formazioni

miste e dai boschi di conifere che comprendono solamente il 10,6 %. Risultano marginali le zone

con copertura erbacea o arbustiva (intorno al 4,4 %). Sensibile è invece la presenza di seminativi

(15,1 %) e le superficie a colture permanenti come le colture erborate di vigne, olivi e alberi da

frutto (2,8 %) anche se non ancora paragonabili ad altri sistemi territoriali come la zona del

Valdarno o quella della Val di Chiana. Essenzialmente scarso e paragonabile ad altri territori

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prettamente boscosi come è il Casentino è la presenza di zone agricole eterogenee (10,8 %) e la

presenza di superfici a prato permanente (3,3 %). Infine è necessario citare la superficie

urbanizzata, pari allo 1,3 %, e della superficie occupata dal recente invaso del Bilancino, e cioè pari

allo 0,4 %.

Analizzando la copertura del suolo più in dettaglio, e ricollegandosi all’empirica divisione in fasce

fisiografiche del territorio, vediamo come in corrispondenza della fascia di pianura di fondovalle

risultano prevalenti i seminativi e le coltivazioni erbacee.

Nella fascia pedemontana presentano una differenziazione della copertura del suolo direttamente

proporzionale all’aumentare dell’acclività dei versanti. Nella parte più bassa sono dominanti le

coltivazioni arboree della vite e dell’olivo, oppure zone relativamente urbanizzate. Salendo

troviamo una fascia dove è presente un’agricoltura più specializzata, a causa della maggiore

asperità dei versanti. Qui sono presenti tutti quegli elementi tipici del paesaggio agricolo

tradizionale, come i muretti a secco, pozzi, case sparse ecc. Proprio i muretti a secco hanno un

significato importante dal punto di vista della stabilità idrogeologica: infatti dove questi sono

presenti assicurano una forte stabilità dei versanti, grazie proprio ai loro principi costruttivi, infatti il

muretto a secco, essendo privo di una matrice impermeabile per unire le rocce che formano il

muretto stesso, permette al terreno di assorbire l’acqua permettendo contemporaneamente la

fuoriuscita dell’acqua in eccesso senza compromettere l’integrità del terrazzo. Sopra questa parte

intermedia, vi è una parte caratterizzata da un’estensione delle trasformazioni delle aree boscate in

coltivazioni arborate, in zone caratterizzate da dissesti geomorfologici attivi.

La fascia montana, come già accennato in precedenza, risulta coperta prevalentemente da

formazioni boschive, tipicamente formate da boschi termofili di cerro, roverella e carpino nero o

boschi mesofili a dominanza di castagno.

L’impianto de I Cipressi, è situato in una parte di territorio chiaramente appartenente alla prima

fascia, ovvero la fascia di pianura di fondovalle. Ad Ovest dell’impianto, e quindi nella zona che

ricade all’interno del Comune di Pontassieve, la copertura del suolo comprende iniziando l’analisi

nei pressi dell’impianto per poi allontanarsi progressivamente:

Seminativi di fondovalle costituiti da sistemi colturali o particellari complessi, ovvero un

insieme di piccoli appezzamenti di varie colture senza che ognuna di questa acquisti

carattere di dominanza;

Coltivazioni arboree con prevalenze della coltivazione dell’olivo e della vite, frammiste ad

elementi lineari vegetazionali come siepi o piccoli fossi, piccole estensioni di prati ed arbusti

e boschi misti (ricordiamo che un bosco è definito di tipo “misto” quando al suo interno la

percentuale di latifoglie o conifere non supera rispettivamente il 75 %);

Boschi di latifoglie frammisti a porzioni di seminativo o colture arboree;

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Analizzando la porzione di territorio ad Est dell’impianto e proseguendo con il medesimo iter

analitico troviamo:

Aree caratterizzate da una copertura formata da coltivazioni arboree dell’olivo, frammiste a

boschi misti, a boschi a latifoglie e a coltivazioni erbacee soprattutto nei pressi della

confluenza con il fiume Arno;

Fascia dominata da oliveti e vigneti, frammisti a boschi misti e con qualche sporadica

presenza di prati pascolati;

Estesi rimboschimenti di conifere formati principalmente da pini marittimi e cipressi.

Il grafico qui di seguito mostra le tipologie principali di uso del suolo all’interno dell’area analizzata,

utilizzando un raggio di 5 km dall’impianto de I Cipressi.

Uso del suolo zona sensibile a 5 km

89.8%

6.7%1.6%

1.3%0.7%

Seminativi

Vigneti

Oliveti

Boschi di latifoglie

Boschi misti

Figura 2.5. 1 - Uso del suolo della zona sensibile a 5 km

Come è evidente la tipologia di copertura del suolo prevalente è quella relativa alle aree boscate,

precisamente ai boschi di latifoglie, che da soli coprono quasi il 90% dell’area analizzata. La

relativa scarsità della fascia alluvionale del Fiume Sieve non da la possibilità di sfruttare terreni

idonei alla coltivazione erbacea, infatti i seminativi occupano solamente lo 0,7%. Rilevante invece

la percentuale del territorio occupato da coltivazione arborea, oliveti e vigneti assieme fanno l’8%

del totale. Se confrontiamo tali dati con la copertura del suolo a livello dell’interno bacino dell’Arno,

vediamo come sia ancora più rilevante la cospicua presenza delle aree boscate rispetto ai

seminativi e alle altre colture all’interno dell’area in esame, a testimonianza del situazione

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particolare del bacino della Sieve, formata da un corso d’acqua molto giovane, che non permette il

formarsi di adeguate superfici atte alla coltivazione.

Uso del Suolo - Bacino dell'Arno

41%

30%

22%

1%3%3%

Aree Boschive

Colture

Seminativi

AreeProduttiveAree Urbane

Alt

Figura 2.5. 2 - Uso del suolo della zona relativa al Bacino dell’Arno

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Università degli Studi di Firenze -Dipartimento di Energetica - Sergio Stecco

ambiente s.c. ecologia industriale ed igiene ambientale

Capitolo 2 – Descrizione dell’Ambiente

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2.5.4 Caratterizzazione del terreno attraverso la sua permeabilità

La permeabilità delle formazioni rocciose e dei terreni alluvionali è un parametro che fornisce,

seppur a livello qualitativo, indicazioni immediate sulle caratteristiche idrogeologiche dei terreni di

sottosuolo, e dunque può rappresentare un criterio di valutazione circa la presenza e

eventualmente, il grado di protezione di un acquifero.

La determinazione tuttavia del parametro "permeabilità" è molto complessa e presuppone oltre ad

una notevole mole di dati da acquisirsi in sito attraverso misure dirette, processi di modellazione

idrogeologica estremamente complessi. Le misure che normalmente vengono effettuate in

laboratorio su campioni di terreno forniscono peraltro dati puntuali che non possono essere

estrapolati ad intere formazioni rocciose che affiorano per superfici molto ampie e che hanno

caratteristiche litologiche e strutturali rapidamente variabili in spazi brevi. Pertanto non potendo

seguire rigorosamente criteri scientifici per suddividere realmente il territorio in classi di

permeabilità, si è optato per elaborare e proporre una zonazione di permeabilità di carattere

meramente qualitativo, con indicazione di massima sulle caratteristiche idrogeologiche delle

litologie in affioramento derivanti dai soli dati di letteratura esistenti. Le formazioni presenti

nell'area studiata sono state classificate a seconda della loro permeabilità media, distinta tra

primaria e secondaria. La permeabilità primaria è quella determinata dalla porosità in depositi

alluvionali e detritici o comunque in tutti i tipi di sedimenti sciolti; la permeabilità secondaria è

invece quella controllata dalla presenza di discontinuità all’interno degli ammassi rocciosi: la

densità incide sulla maggiore o minore circolazione di acqua nonché sulla possibilità di accumulo. Il

criterio di accorpamento tra varie litologie è riportato nella tabella in essa sono riportate le

principali litologie riconosciute in affioramento, suddivise per classi di permeabilità secondo gli

schemi noti in letteratura.

Rocce a permeabilità scarsa o nulla

Rocce a permeabilità media Rocce a permeabilità

elevata Permeabilità

primaria Permeabilità secondaria Permeabilità primaria

Permeabilità secondaria

Permeabilità primaria

Permeabilità secondaria

classe 1 classe I classe 2 classe II classe 3 classe III

Depositi alluvionali

limo argillosi Argilliti e siltiti

Depositi di frana

Detrito di falda e conoidi

Arenarie

Depositi alluvionali ghiaie e sabbie

Calcare cavernoso,

tufi

Rocce ignee e metamorfiche

Depositi alluvionali

limo sabbiosi

Alluvioni recenti

Calcari Detrito di conoide

Tabella 2.5. 2 - Classificazione della permeabilità dei terreni in affioramento

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Il conteggio e la suddivisione sono state acquisite direttamente dalla cartografia tematica.Tutti i

dati si riferiscono alla stima della permeabilità dei terreni affioranti.

Permeabilità dei terreni in affioramento

II48%

326%

226%

II32

Figura 2.5. 3 - Ripartizione dei terreni affioranti in base alla permeabilità.

Come desumibile dalla figura, nel territorio analizzato non vengono evidenziate situazioni con rocce

aventi permeabilità di classe III. La zona è fortemente caratterizzata da una permeabilità media

dovuta in particolare a depositi alluvionali non recenti.

La zona interessata dallo studio è stata in questo caso, come per l’analisi dell’uso del suolo, un’area

di raggio 5 chilometri. Tale zona viene riportata nella figura sottostante.

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a6 Deposito di detrito di falda: areniti e ruditi in depositi accumulati alla base di scarpate o sparsi lungoversante; si tratta di blocchi di varie dimensioni immersi in matrice sabbiosa sporca. A luoghi possonoessere associati a depositi di paleoconoide prossimale.

mgM Macigno del Mugello: siltiti laminate, subordinatamente marne e arenarie fini quarzoso-feldspatiche e calcaree.

mPl Marne di Pievepelago: marne scheggiose grigio-giallastre.

mgC Macigno del Chianti: arenarie turbiditiche quarzoso-feldspatiche con calcite e fillosilicati alternanti con siltiti laminate.

bnS Calcari e brecciole di Monte Senario: brecciole e calcareniti con selci, argilloscisti calcari marnosi.

al Alberese: calcari marnoso bianchi a frattura concoide e grigio giallastri granulosi teneri prevalenti; argilloscisti e marnoscisti.

q Alluvioni ghiaioso sabbiose a ciottoli appiattiti prevalentemente arenacei, in terrazze.

c Complesso caotico.

i Complesso indifferenziato.

Figura 2.5. 4 - Carta geologica della zona di interesse

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2.5.5 Valutazione sintetica della componente ambientale

Da ciò che è stato analizzato nei paragrafi precedenti emerge la seguente valutazione sintetica (con

riferimento ai simboli della tabella 2.1.2 pagina 10 SIA-02-01.doc):

Componente ambientale Capacità di carico Sensibilità ambientale

morfologia e geomorfologia = NP

idrogeologia = NP

geologia e geotecnica = NP

pericolosità geomorfologica + NP

pericolosità idraulica - P

geochimica = NP

pedologia = NP

Suolo e sottosuolo

uso del suolo = NP