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INDICE Premessa Capitolo Primo:Il modello organizzativo manageriale “Qualità” 1.1. Il significato del termine “Qualità “e la sua evoluzione nella realtà industriale 1.2. La Qualità Totale 1.3. Il controllo di qualità 1.4. Il Modello Toyota 1.5. Considerazioni Capitolo secondo: Il Progetto Organizzativo – Gestionale 2.1 L’esigenza di un Progetto Organizzativo –Gestionale 2.2. L’organizzazione come Impresa 2.3. Il Progetto Organizzativo- Gestionale 2.4. La Gestione delle Risorse Umane 2.5. La Cultura aziendale e la Leadership 2.6. Nuovi Modelli Emergenti Capitolo terzo: La letteratura 3.1 . Considerazioni sulla letteratura analizzata 3.2. W. Edwards Deming 3.3. Joseph M. Juran 3.4. Kaoro Ishikawa 3.5. Taichi Ohno 3.6. Yasuhiro Monden 3.7. Armand V. Feigenbaum 3.8. Philip B. Crosby 3.9. Hitoshi Kume 3.10.Masaaki Imai Capitolo quarto: Gli Strumenti della Qualità 4.1. introduzione 4.2.La certificazione secondo la norma ISO9001/2000 4.3.Le norme ISO9001 e ISO 9004 4.4.Le motivazioni alla Certificazione 4.5. L’iter di Certificazione 4.6. La documentazione della Qualità 4.7. Il responsabile di qualità 4.8. Il certificatore e le società di certificazione 4.9. Osservazioni e aspetti critici sullo strumento certificativo 4.10. I premi Conclusioni Bibliografia

Transcript of INDICE 1.1. Il significato del termine “Qualità “e la sua ... · 2 Alberto Galgano “La...

INDICE

Premessa

Capitolo Primo:Il modello organizzativo manageriale “Qualità”

1.1. Il significato del termine “Qualità “e la sua evoluzione nella realtà industriale 1.2. La Qualità Totale

1.3. Il controllo di qualità 1.4. Il Modello Toyota

1.5. Considerazioni Capitolo secondo: Il Progetto Organizzativo – Gestionale 2.1 L’esigenza di un Progetto Organizzativo –Gestionale 2.2. L’organizzazione come Impresa 2.3. Il Progetto Organizzativo- Gestionale 2.4. La Gestione delle Risorse Umane 2.5. La Cultura aziendale e la Leadership 2.6. Nuovi Modelli Emergenti Capitolo terzo: La letteratura

3.1 . Considerazioni sulla letteratura analizzata 3.2. W. Edwards Deming 3.3. Joseph M. Juran 3.4. Kaoro Ishikawa 3.5. Taichi Ohno 3.6. Yasuhiro Monden 3.7. Armand V. Feigenbaum 3.8. Philip B. Crosby 3.9. Hitoshi Kume 3.10.Masaaki Imai

Capitolo quarto: Gli Strumenti della Qualità

4.1. introduzione 4.2.La certificazione secondo la norma ISO9001/2000 4.3.Le norme ISO9001 e ISO 9004 4.4.Le motivazioni alla Certificazione 4.5. L’iter di Certificazione 4.6. La documentazione della Qualità 4.7. Il responsabile di qualità 4.8. Il certificatore e le società di certificazione 4.9. Osservazioni e aspetti critici sullo strumento certificativo 4.10. I premi

Conclusioni

Bibliografia

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Premessa

Dalla fine degli anni ottanta mi occupo di “Qualità” svolgendo, su un campione di aziende

manufatturiere bergamasche, una indagine sulla Qualità e sul fenomeno certificativo per

seguirne gli sviluppi, soprattutto in ambito organizzativo, e i cambiamenti di tipo culturale che

l'adesione ai principi della Qualità sottesi alle ISO9000 stanno portando in ambito aziendale. Ciò

mi ha permesso di osservare la realtà del fenomeno e la sua evoluzione. In questa area

geografica prevale la realtà delle PMI nella dimensione soprattutto di subfornitrici che consente

a questo modello aziendale di crescere e di essere competitivo in filiere sia locali che italiane o

estere, anche in settori molto concentrati .

Oggetto di studio e di approfondimento è quindi da tempo la Qualità sia come modello

organizzativo sia come strategia/filosofia aziendale. Attraverso esperienze e studi ho cercato di

motivare la mia convinzione che sia un modello manageriale adatto alle situazioni economiche

attuali, applicabile a qualsiasi ambito nel momento in cui ci sia la reale consapevolezza da parte

del management che l’organizzazione debba perseguire tale strategia. Il punto di partenza

iniziale, come si evidenzia nel primo lavoro pubblicato1, è stata la curiosità verso il fenomeno

certificativo che cominciava in quegli anni ad avere notevole diffusione. La Certificazione

volontaria, secondo le norme della serie ISO9000, dei sistemi aziendali è uno strumento che ha

due valenze importanti, una di garanzia esterna di Qualità economica e l’altra, oggetto della

ricerca, di strumento per far transitare in azienda un modo diverso di fare impresa rispetto al

classico sistema taylorista di cui il mondo industriale, soprattutto occidentale, è ancora

fortemente pervaso. Purtroppo lo strumento certificativo è stato tramutato spesso in obiettivo e

ciò ha portato fin dall’inizio ad una visione distorta del modello organizzativo sotteso. In questi

anni l’adesione alla Certificazione ha avuto visto una crescita più che esponenziale, sono state

emanate nel frattempo già due edizioni rinnovate delle ISO9000, il campo di applicazione delle

norme si è notevolmente ampliato fino a comprendere i servizi pubblici come: la pubblica

amministrazione, l’istruzione e la Sanità. La mia ricerca iniziale è continuata e si è ampliata

fino a comprendere i settori della sanità e della formazione grazie anche a interessanti

esperienze, maturate nei molti corsi di formazione postlaurea, sia in area industriale che in area

sanitaria, organizzati e gestiti per l’Università degli Studi di Bergamo. Tali esperienze hanno

affiancato nel tempo le mie ricerche sul modello organizzativo gestionale e sul fenomeno

certificativo che si sono estese dall’ambito industriale a molti altri settori.

In questo lavoro ho cercato di dare significato e contenuto a ciò che si può intendere per

progetto organizzativo- gestionale perché funzionale all’analisi successiva del modello

1 Casadio Chiara Quaderni del Dipartimento di Economia Aziendale – 1998 n.4- Università degli Studi di Bergamo

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“Qualità” e degli strumenti per implementare o migliorare tale metodo quali la certificazione

secondo le norme ISO e i Premi .

Ho anche ritenuto necessario riprendere lo studio teorico e della letteratura sul modello

“Qualità” per cercare di rendere più chiaro lo sviluppo del concetto di Qualità, ora così

massicciamente transitato nelle realtà delle aziende pubbliche e soprattutto in sanità. In tale

ambito è sicuramente molto più difficile dare significato al concetto “Qualità” per la

complessità del sistema sanità. Sono partita quindi da una rilettura dei testi più classici di area

occidentale e di area giapponese per poi cercare di definire il modello organizzativo gestionale,

che indicherò come modello “Qualità”, prima in ambito industriale dove è nato e quindi, in un

successivo lavoro di ricerca, in sanità dove è stato introdotto con il decreto legge 502/97.

Infine ho preso in esame gli strumenti che possono essere utilizzati dalle aziende, dalle

organizzazioni in genere, per implementare tale modello.

Il termine Qualità, in questo lavoro, viene utilizzato per indicare una teoria aziendale, una

filosofia/strategia manageriale e un modello organizzativo- gestionale che evidenzia la volontà

dell’azienda, soprattutto della leadership, di produrre bene la prima volta nella ricerca continua

di efficienza ed efficacia rispetto all’utilizzo delle risorse in risposta alle esigenze espresse dai

clienti.

Capitolo Primo:Il modello organizzativo manageriale “Qualità”

1.1.Il significato del termine “Qualità “e la sua evoluzione nella realtà industriale

Il termine qualità è definito nei diversi vocabolari consultati come” la caratteristica fisica o

morale distintiva di una cosa o di una persona, oppure attributo, requisito, pregio, virtù.” Tale

definizione, che rispecchia evidentemente l’uso comune e popolare del termine, evoca, nei

diversi sostantivi, significati che in sintesi possono confluire nel concetto di bontà.

Questo significato attribuito al termine crea diversi equivoci anche in ambito industriale oltre

che nei diversi ambiti di recente applicazione e, soprattutto, in ambito sanitario.

In realtà, in ambito industriale, il sostantivo qualità ha diversi sinonimi quali:

- Abilità

- Conformità

- Controllo

- Assicurazione

- Grado in cui un insieme di caratteristiche intrinseche soddisfa i requisiti, ossia esigenze o

aspettative che possono essere espresse, generalmente implicite o cogenti (ISO9001)

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Nella civiltà preindustriale la cultura e la prassi della qualità riguardavano essenzialmente

requisiti metrologici per esigenze di carattere economico commerciale relative a scambi di beni

e di servizi; con la nascita della civiltà industriale e con l’affermarsi della standardizzazione, la

verifica di conformità diventa prassi e necessità. Inizialmente, quindi, per qualità, nella realtà

aziendale soprattutto manifatturiera, si intendeva esclusivamente conformità alle prescrizioni e

quindi il controllo di qualità consisteva nel verificare la conformità dei pezzi rispetto ai disegni

e alle specifiche di progetto. La qualità veniva pertanto misurata in chiave di conformità a fine

processo produttivo in termini di percentuali di difetti, di scarti, di resi e di rilavorazioni.

Successivamente, grazie a metodi statistici sempre più perfezionati, il controllo qualità si è

esteso alla fase produttiva.

I concetti e le tecniche del moderno Quality Control hanno origine americana negli anni ’30,

con l’applicazione a livello industriale delle carte, inventate da W.A. Shewhart dei Bell

Laboratories. La seconda guerra mondiale contribuì all’applicazione di tale tecnica in diverse

aziende americane, obbligate a riorganizzarsi perché i sistemi produttivi risultavano inadeguati

a soddisfare le esigenze del periodo bellico.

Gli standard pubblicati durante la guerra sono noti come Z-1 standard. Il Quality Control (QC) ,

in origine denominato Statical Quality Control, è nato con lo scopo di controllare il livello

minimo accettabile di qualità dei prodotti ed era strettamente legato all’implementazione di

strumenti statistici. Anche l’Inghilterra, Paese che può essere considerato la patria degli studi

statistici, negli anni ’30 cominciò ad occuparsi di Statistical Quality Control. Nel 1935 furono

adottati i British Standard 600, in seguito si aderì integralmente agli standard statunitensi Z-1

che presero il nome di British Standard 1008.

In Giappone queste tecniche vennero introdotte nel 1945, subito dopo la fine della guerra, dalle

Forze Alleate di occupazione che trasferirono all’industria giapponese i metodi americani per

aiutare la ricostruzione del Paese. Un importante contributo per la diffusione delle tecniche QC

venne dal dott. Deming che visitò il Giappone su invito del JUSE (Japanese Union of Scientists

and Engineers). I suoi seminari sono considerati, da diversi autori, strumenti alla spinta

intellettuale che fu alla base della ricostruzione postbellica giapponese. Il dott. Deming

incoraggiò i giapponesi ad adottare un approccio aziendale diverso da quello che nell’Europa

occidentale si stava diffondendo che, considerando la qualità un elemento negativo alla spinta

alla produttività, puntava invece alle economie di scala, approccio giustificato dall’enorme

aumento della domanda.

L’approccio proposto da Deming mette il cliente al centro dell’organizzazione e crea un grosso

legame tra cliente e fornitore affinché entrambi collaborino per assicurare un miglioramento

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continuo. Nel 1954 il JUSE invitò il dott. Juran a tenere dei seminari sul ruolo che i quadri e i

manager avrebbero dovuto mantenere nella promozione delle attività di QC. I manager

giapponesi avevano dimostrato scarsa comprensione ed interesse alle spiegazioni dei giovani

membri del gruppo di ricerca istituito dal JUSE; la fama di questo noto autore rese più credibili

le idee proposte e questo maggior convincimento e coinvolgimento portò a considerare il QC

come strumento di management. Si ponevano così le premesse per la nascita della Qualità

Totale come strategia e cultura aziendale. Le aziende giapponesi iniziarono a scoprire che la

qualità di un prodotto era strettamente legata ad un sistema organizzativo efficiente. Ebbe così

inizio il concetto di Sistema di Qualità.

In Giappone si sviluppa, dalla fine degli anni 50, la Company Wide Quality Control (CWQC),

conosciuta da noi in Italia come Qualità Totale2, derivante dalla consapevolezza che per

ottenere Qualità /Conformità occorre agire in tal senso fin dalla fase di progettazione e di

sviluppo di un nuovo prodotto, coinvolgendo tutto il personale e tutte le funzioni aziendali.

Nel mondo occidentale, il concetto di Qualità si evolveva, invece, verso il concetto di Garanzia

/ Assicurazione della Qualità. In questa accezione, denominata Total Qualità Management, si

dava importanza alla pianificazione, alla documentazione e alla verifica della Qualità, intesa

come conformità, vissuta in un ambito specialistico, ristretto ai quality managers e senza il

coinvolgimento dell’intero sistema aziendale, secondo un’impostazione di derivazione

taylorista che ancora oggi influenza il sistema aziendale occidentale.

La teoria della “Qualità totale”, come è invalsa soprattutto in Giappone, si è detto, sviluppa il

concetto di qualità evolvendolo da qualità controllata e osservata a livello di prodotto, a qualità

del sistema azienda in cui tutte le funzioni aziendali sono, o dovrebbero essere, coinvolte per

l'ottenimento di obiettivi di breve periodo quali: la soddisfazione del cliente, il miglioramento

continuo e senza fine della qualità, la ricerca assidua di nuovi prodotti, il coinvolgimento del

personale.

Il perseguimento e il raggiungimento di tali obiettivi sono presupposti essenziali per ottenere,

nel lungo periodo, risultati positivi e duraturi in quanto permettono all’azienda di accrescere il

valore del proprio prodotto rendendolo capace di attestarsi sul mercato in modo sempre più

concorrenziale.

La logica della catena cliente – fornitore, punto focale di questo modello aziendale, applicata

anche all'interno dell'azienda stessa, dove i reparti interni vengono visti come catene fornitori –

clienti, spinge ad una spirale di miglioramento continuo finalizzata ad eliminare gradualmente

2 Alberto Galgano “La rivoluzione Manageriale” Il sole 24orelibri 1996

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sprechi, tempi inutili, scarti e, in genere, difformità rispetto alle attese del cliente sia esterno sia

interno.

Si passa, quindi, nella realtà aziendale, da controlli sui prodotti a fine ciclo produttivo a costanti

controlli in itinere, arrivando alla fase di progettazione con un’attenzione molto maggiore alle

esigenze del cliente. Questa teoria propone evidentemente un progetto economico gestionale

che, attraverso le variabili organizzative, la struttura, i meccanismi operativi e lo stile di

leadership, gestite in sintonia con i concetti e i principi che ne stanno alla base, dia alle

organizzazioni gli strumenti per compiere cambiamenti organizzativi o quanto meno strumenti

per un miglioramento continuo.

Il concetto di “Qualità” si è dilatato ulteriormente verso il concetto di “Eccellenza” inteso come

l’apice della Qualità aziendale, il livello massimo a cui tendere nella logica di miglioramento

continuo insito nel modello. Questo termine, sempre più ricorrente, connota quindi una

tensione aziendale alla perfezione, un limite a cui tendere, comunque utilizzando, nei diversi

ambiti, gli strumenti abituali della “Qualità”.

1.2.La Qualità Totale

Si è scritto molto, forse troppo e in modo confuso, sulla Qualità Totale, concetto peraltro svilito

da un uso eccessivo del termine e da applicazioni spesso poco corrette in cui mancano la

comprensione del fenomeno autentico e che si affidano alla sua rappresentazione formale.

Alcuni hanno sostenuto che i giapponesi avrebbero copiato, come al solito, dagli occidentali,

ovvero dalle idee di Edwards Deming. Le intuizioni di Deming, tuttavia, sono state accolte dai

giapponesi e sviluppate in un modo che l'autore non avrebbe mai immaginato. Inoltre, la qualità

totale è divenuta nelle aziende giapponesi qualcosa di assolutamente contestualizzato alla

situazione storica e culturale del paese e ciò risulta dalle difficoltà occidentali nell'imitare le

tecniche giapponesi. Va inoltre evidenziato come i giapponesi usino il termine kaizen

(miglioramento) in sostituzione del termine qualità totale, così da caratterizzare meglio la

novità da loro apportata. Anche in Italia occorrerebbe non utilizzare più tale termine che ormai

connota in negativo un modo di fare impresa a causa soprattutto degli effetti distorsivi del

fenomeno certificativo. Per capire meglio la portata di quella che può essere definita come una

rivoluzione in ambito organizzativo occorre partire dal considerare un po’ la storia che precede

tale fenomeno. Il cambiamento nelle condizioni e nell'organizzazione del lavoro ha segnato lo

sviluppo industriale e l'ascesa del capitalismo. Nella storia economica si indicano due

rivoluzioni industriali, avvenute in Europa. La prima, avvenuta intorno al 1760, vide il

passaggio dall'industria domestica alla fabbrica attraverso l'introduzione di nuovi macchinari

(filatoio meccanico, macchina a vapore, laminatoio, etc.) e maturò nel periodo che va dal 1815

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al 1840 grazie allo sfruttamento dell'energia termica ricavata dal carbone. La seconda

rivoluzione industriale incominciò intorno al 1890 e fu favorita da una serie di innovazioni

tecnologiche (il motore a combustione interna, il motore elettrico, etc.) e dallo sfruttamento

dell'energia elettrica e dell'energia termica ricavata dagli idrocarburi, indispensabili anche nella

chimica. L'industria subì un'ulteriore trasformazione con l'introduzione della produzione a

catena di montaggio di tipo fordista.

Molti studiosi indicano come “terza rivoluzione industriale” quella che avvenne intorno al

1974 con l'introduzione della produzione just in time e della “Qualità Totale” di tipo Toyota, e

maturò grazie allo sfruttamento dell'informatica e delle tecnologie dei semiconduttori. La

“rivoluzione industriale giapponese” segna anche il passaggio dalla società industriale alla

società dell'informazione poiché integra i processi produttivi nel nuovo sistema sociale.

Così come le prime due rivoluzioni industriali avvennero per rispondere ai gravi periodi di crisi

economica, anche la terza fu la risposta a una seria crisi, quella petrolifera del 1973, anche se i

primi tentativi e le prime applicazioni si sono avute nel secondo dopoguerra. All'epoca il

Giappone, a differenza degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica, non aveva nemmeno risorse

petrolifere sul proprio territorio e dipendeva dai rifornimenti esteri. Non potendo eliminare

questa carenza strutturale, gli industriali nipponici sollecitarono una ristrutturazione che

permettesse la produzione anche in periodo di crisi. Il modello americano sul tipo di Henry

Ford, adottato anche da molte aziende giapponesi, fu abbandonato a favore del modello

giapponese di Toyoda Kiichiro3. Il concetto di lavoro fu rivisitato completamente.

Sono due i punti essenziali e fondamentali per inquadrare il profondo cambiamento sviluppato

dalle applicazioni giapponesi dell’evoluzione del concetto di Qualità:

- il rovesciamento della logica del marketing;

- la trasformazione dell'industria in un sistema informatico.

Occorre considerare come alcuni sociologi4 abbiano, forse, colto meglio il significato della

rivoluzione industriale giapponese concentrata soprattutto sull'organizzazione del lavoro, e

perciò sensibilmente trascurata sia dagli economisti più attenti ai dati macroeconomici, sia

dagli storici più interessati alla cronaca. I sociologi hanno indicato in questi cambiamenti nel

modo di lavorare giapponese l’avvento del postfordismo, mentre altri definiscono questo nuovo

modo di produrre come toyotismo, dal nome dell'azienda giapponese Toyota che lo introdusse

3 Sakichi e Kiichiro Toyoda ,grandi leader della storia della Toyota, Kiichiro Toyoda introduce per primo il concetto del Just in time - “Lo spirito Toyota” di Taiichi Ohno –Enaudi, 1993 4 G. Bonazzi “Il tubo di cristallo”, Il Mulino Bologna 1993 G. Bonazzi Come studiare le organizzazioni. Il Mulino Bologna 2002 P.Basso, “Tempi moderni, orari antichi. Il tempo di lavoro a fine secolo”F.Angeli 1998

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per prima. Questi cambiamenti si articolano in diverse tecniche dell'organizzazione del lavoro.

La “Qualità Totale” sostituisce la produzione in linea, basata sulla catena di montaggio, con le

isole di produzione e i circoli di qualità. I singoli lavoratori non sono specializzati in poche ed

elementari mansioni, ma hanno più mansioni e una capacità di controllo sul processo

produttivo. Il controllo è, infatti, interno e autogestito dai lavoratori. Nell'organizzazione

taylorista del lavoro, il controllo era esterno e basato sulla divisione tra chi lavora e chi

controlla il lavoratore.

I contatti diretti con il cliente assumono un ruolo preminente e l'innovazione proviene da chi

lavora operativamente. L'innovazione è proposta dalla base e non c'è un vertice che pianifica il

lavoro, come nel modello taylorista. L'informazione e le comunicazioni sono orizzontali

piuttosto che verticali. La produzione just in time tiene presenti le richieste dei clienti e basa la

produzione, per quantità e qualità, sulla domanda del mercato. Vengono abolite le scorte di

magazzino e introdotta la flessibilità dei processi lavorativi. Complessivamente queste

innovazioni sono integrate in un sistema che rende possibile sia il rovesciamento della logica

del marketing sia la trasformazione dell'industria in un sistema informatico. E ciò avviene

necessariamente insieme perché soltanto una gestione integrata dell'informazione può

permettere la soddisfazione dei requisiti della “Qualità Totale”, prima enunciati. Il

rovesciamento della logica del marketing significa porre la soddisfazione del cliente come

primaria. Invece di tentare di convincere i clienti, bisogna venire incontro alle loro esigenze e

abbandonare la concezione della produzione di massa standardizzata. Ogni processo produttivo

deve essere flessibile e capace di apportare cambiamenti e miglioramenti (kaizen). Questo può

avvenire soltanto in una fabbrica capace di comunicare istantaneamente le informazioni sui

processi e le condizioni della produzione. Gli strumenti per far ciò sono il kanban (cartello) e lo

andon (pannello). Si tratta di mezzi molto semplici ed elementari che hanno dimostrato quanto

l'organizzazione del lavoro fosse importante e come semplici innovazioni, basate sulla

comunicazione, divenissero determinanti. L'introduzione delle nuove macchine informatiche

elettroniche esalta e accelera questa tendenza, abbattendo le vecchie logiche e i vecchi

dispositivi.

1.3. Il controllo di Qualità

La qualità del prodotto è una delle fondamentali componenti di marketing mix, una delle più

importanti variabili su cui un’azienda può operare al fine di differenziarsi dalla concorrenza.

Nella programmazione del livello qualitativo da assegnare alla propria produzione, l’azienda

deve innanzitutto chiedersi quale livello qualitativo meglio si adatti alle aspettative della

clientela. Per l’azienda è importante ricercare la massima qualità tecnicamente possibile, sulla

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base della specifica combinazione produttiva in atto, e la più adeguata qualità tecnico-

commerciale che risulti in grado di soddisfare il cliente e di rendere concorrenziale il proprio

prodotto.

Una volta definito il livello ottimale di qualità da realizzare dovrà essere tradotto in apposite

specifiche di progetto sulla cui base mettere a punto l’impianto produttivo e i metodi di lavoro.

Le specifiche di progetto individuano la cosiddetta qualità di progetto, ossia le caratteristiche

progettuali e di prestazioni con cui si vuol realizzare il prodotto.

La qualità di progetto rappresenta dunque la qualità ideale o teorica che ci si aspetta dal

processo produttivo. Ma ogni processo produttivo presenta frequenti variazioni nelle condizioni

che lo regolano. Pertanto la qualità, di volta in volta effettivamente ottenuta, che si può definire

qualità di produzione, si discosta di fatto, in misura più o meno sensibile, dalla qualità teorica di

progetto.

Si avrà dunque un qualità di produzione tanto elevata, quanto minore sarà questo scostamento.

Per l’ottenimento di un prodotto dotato di un determinato livello qualitativo, non basta

semplicemente programmare il livello qualitativo atteso; bisogna altresì essere in grado di

attivare e gestire un efficace sistema di controllo qualità.

Tale sistema di controllo dovrà investire l’intero ciclo di realizzare del prodotto, soprattutto

prevedendo le cause di “non qualità” e intervenendo tempestivamente per correggere situazioni

fuori standard.

L’attività di controllo di Qualità si trova tradizionalmente in azienda :

• a monte del processo produttivo per poter valutare la conformità dei materiali, i

semilavorati, i componenti approvvigionati in entrata che dovranno essere messi in

lavorazione

- durante lo svolgimento del processo produttivo al fine di verificare il buon

livello qualitativo di ogni fase lavorativa per evitare che disfunzioni

qualitative si trasferiscano da una fase all’altra

- sul risultato finale del processo produttivo ossia sul prodotto finale per

verificare la conformità complessiva del prodotto allo standard definito con i

clienti.

Le condizioni per avere un efficace processo di controllo di qualità è necessario:

- stabilire che cosa controllare

- stabilire i limiti di scostamento qualitativo ammesso rispetto agli standard

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- organizzare le condizioni operative adeguate a garantire gli obiettivi qualitativi

programmati

- operare i controlli e impostare le azioni correttive per riportare la situazione sotto

controllo

- studiare i possibili miglioramenti qualitativi praticabili

Le modalità di gestione del controllo di qualità variano evidentemente da caso a caso e

soprattutto in funzione dei seguenti di questi principali parametri:

- obiettivi che l’attività di controllo deve garantire

- oggetto su cui il controllo deve svolgersi

- strutture attivabili al fine del controllo

- mezzi di controllo disponibili e procedure impiegabili

L’allargamento e l’intensificazione dei controlli di qualità possono portare effettivamente ad un

miglioramento qualitativo della produzione ma ciò si accompagna in genere anche ad un

aumento dei costi derivanti da questa attività di controllo. Errori e costi del controllo di qualità

sono legati ai sistemi di controllo impiegati. Che esprimono evidentemente il modo di fare

impresa.

Il controllo di Qualità ha come scopo più importante quello di ridurre il numero di prodotti

difettosi così da diminuire i costi relativi ai pezzi difettosi che producono resi o scarti di

produzione. Come si è gia osservato l’evoluzione del concetto di Qualità ha notevolmente

modificato il processo del controllo di qualità

Negli anni passati quando non esisteva ancora un sistema industriale, l’artigiano curava il suo

“capolavoro” con molta attenzione correggendo, di volta in volta, i difetti che si presentavano.

Poi con il passare degli anni, il lavoro in serie della nascente industria soppianta l’artigiano e la

grande numerosità non è più controllabile singolarmente.

Risulta non più economico controllare pezzo per pezzo, la verifica diventa “a campione”,

estraendo da una numerosità (popolazione) un campione che deve essere rappresentativo, cioè

rappresentare la popolazione dalla quale è stato estratto. Viene ammesso un errore che si

distribuisce secondo la curva gaussiana. Questo è in sintesi il controllo di qualità.

L’obiettivo aziendale prosegue nel ridurre l’errore ai minimi termini, curando l’attenzione al

processo produttivo. La qualità nasce da questa ultima affermazione: andare il più possibile a

monte del processo e fare in modo che ogni operatore si senta il responsabile delle proprie

operazioni. Se lavorerà con questa filosofia farà in modo di non trasferire a valle alcun pezzo

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difettoso, sentendosi partecipe del successo o dell’insuccesso aziendale. Così facendo ogni

partecipante l’impresa, dal presidente all’ultimo addetto, diventano co-responsabili del futuro

della propria organizzazione. In questo momento si sono ulteriormente ridotti gli errori

evidenziati dal controllo qualità. In sintesi: la qualità, si è detto, è una filosofia, un modo di

pensare; il controllo di qualità è un insieme di metodi statistici e manageriali. Infatti, uno degli

scopi più importanti del controllo qualità risulta essere quello di ridurre il numero dei prodotti

difettosi, così da diminuire i costi relativi all’assistenza post-vendita e migliorare l’immagine

aziendale, soddisfacendo pienamente le aspettative del cliente obbiettivi strategici del modello

Qualità .

1.4. Il Modello Toyota

Con l’intento di chiarire i principi e i metodi della strategia/ filosofia “Qualità”, come

interpretata dai giapponesi, vengono presentati alcuni aspetti del sistema di produzione Toyota,

il modello esemplificativo per antonomasia dell’applicazione dei principi della Qualità totale

alla pari del modello Ford rispetto ai principi del taylorismo. Alcuni di questi aspetti sono tratti

dal testo di Yasushiro Monden5, teorizzatore e divulgatore del sistema.

Il modello Toyota è un sistema di produzione sviluppato dalla Toyota Motor Corporation ed è,

come dichiarato dalla Toyota stessa, un modo ragionevole di produrre, in quanto elimina

completamente quanto c’è di superfluo nella produzione, al fine di ridurre i costi.

Idea base del sistema è l’ormai famoso Just in time: produrre il tipo di pezzi che servono, per il

momento in cui servono e nella quantità in cui servono

Scopo dichiarato del sistema Toyota: aumentare gli utili attraverso la riduzione dei costi

eliminando ciò che vi è di superfluo.

Il concetto di costi è visto nella sua accezione più ampia, comprendendo non solo costi di

produzione ma anche:

- Costi amministrativi

- Costi finanziari

- Costi di vendita

Per realizzare lo scopo aziendale gli obiettivi secondari da raggiungere congiuntamente sono:

- Controllo delle quantità

- Controllo della qualità

- Rispetto dell’uomo

La continuità del flusso di produzione e l’adattamento alle fluttuazioni della domanda, sia come

quantità che come mix di prodotti, sono ottenuti applicando principi chiave quali: 5 Yasushiro Monden “Produzione Just- in –Time. Come si progetta e si realizza” –Isedi Petrini editore 1991

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- Just in time

- Controllo di qualità-quantità

- Mano d’opera flessibile nel rispetto dell’uomo

- Creatività o inventiva

L’implementazione dei quattro principi avviene attraverso i seguenti metodi e sistemi:

- Sistema kanban per assicurare la produzione just in time

- Metodo di livellamento della produzione per adeguarsi alle fluttuazioni della domanda

- Riduzione del tempo di setup (riattrezzaggio) per ridurre il lead time

- Standardizzazione dei cicli di lavoro per bilanciare le linee

- Layout delle macchine ed operai polivalenti per attuare il concetto di mano d’opera

flessibile

- Miglioramento del lavoro attraverso il sistema dei piccoli gruppi e dei suggerimenti per

ridurre la mano d’opera e migliorare il morale degli operai

- Sistema di gestione funzionale per attuare in tutta l’azienda il controllo della qualità

- Sistema di controllo visivo per attuare il principio del controllo autonomo dei difetti

Il Just in Time (JIT)

Il JIT può essere definito “un sistema produttivo che garantisce la continua e perfetta simmetria

tra l’offerta dei beni prodotti e la domanda che proviene dal mercato". L’obiettivo del “solo ciò

che occorre, solo quando occorre”, fa sì che il JIT sia molto di più di una semplice tecnica di

riduzione del livello degli stock o di programmazione. E’presentata anche da alcuni autori come

una filosofia organizzativa a sè stante che mira a un forte aumento della competitività attraverso

l’eliminazione di tutti gli sprechi: scorte zero, scarti zero. Nel modello giapponese che insiste

sull’aspetto sistemico aziendale, il JIT rappresenta uno dei punti fondamentali affinché la

strategia qualità possa raggiungere gli obiettivi posti. Nel sistema Toyota, il flusso produttivo

viene organizzato in maniera opposta al sistema tradizionale a spinta.

La programmazione centrale dei programmi di produzione di stampo taylorista viene sostituita

da una, chiamata periferica della produzione.

Nei sistemi tradizionali, la produzione viene programmata e controllata attraverso programmi di

produzione che le varie fasi del processo produttivo eseguono, seguendo il metodo in cui la fase

a monte fornisce i pezzi alla fase a valle, da cui il nome di Metodo a spinta o Push system.

Difetti del Metodo a spinta:

- difficile adattamento alle variazioni della domanda

- scorte di materiali tra le varie fasi di lavorazione

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Il sistema Toyota è rivoluzionario perchè è la fase di lavoro a valle che preleva i pezzi dalla fase

a monte, utilizzando un metodo conosciuto come sistema a trazione o pull system.

Solo la linea di montaggio a valle può conoscere la cadenza e la quantità necessaria dei pezzi

richiesti ed è sempre la linea di montaggio a valle che preleva, presso le fasi a monte, i pezzi

necessari al momento giusto.

Le fasi a monte producono solo i pezzi prelevati dalle fasi a valle.

Non si devono emettere programmi di produzione per tutte le fasi di produzione e non sono

necessarie variazioni di programmazione, solo la linea di montaggio finale deve essere

informata delle variazioni del programma.

Questo sistema rivoluziona l’organizzazione aziendale in quanto realizzare l’obiettivo del solo

ciò che occorre quando occorre richiede che vengano rispettate delle condizioni quali:

- produrre ciò che il cliente vuole, quando lo vuole, e dunque non costituire stock nè di

prodotti finiti, né di semilavorati,

- avere tempi di risposta molto brevi e una notevole duttilità per meglio soddisfare la

clientela,

- riuscire a produrre piccole quantità di pezzi in relazione alle reali richieste, quindi impianti

e organizzazioni aziendali molto versatili per passare dalla logica del lotto economico e

della produzione a grandi lotti a produzioni di piccoli lotti molto variegati,

- eliminare tutte le attese inutili, rendendo il fattore lavoro molto più autonomo nello

svolgimento delle mansioni,

- evitare le manutenzioni molteplici,

- essere certi di ottenere rapidamente i pezzi richiesti nella quantità richiesta, quindi avere

una buona affidabilità del processo produttivo,

- approvvigionarsi solo di prodotti o materiali di qualità garantita, perché la produzione non

subisca interruzioni,

- il fattore umano deve essere organizzato e formato in modo tale che sia in grado di

adattarsi rapidamente e di capire e condividere gli obiettivi dell’impresa,

- il rapporto cliente-fornitore diventa un rapporto di partners.

- In relazione a questo ultimo punto occorre chiarire che tale rapporto diventa uno degli

aspetti più critici e focali di tale strategia e che si caratterizza per:

- relazioni e contratti di lungo periodo,

14

- numero sempre più ristretto di fornitori accuratamente selezionati,

- standardizzazione e semplificazione delle procedure di acquisto.

Occorrono dei cambiamenti acquisiti nella logica della funzione che non dovrebbe più ragionare

in termini solo di prezzo del singolo acquisto, ma in termini di qualità della fornitura, della sua

disponibilità temporale oltre che, evidentemente, di prezzo. La struttura industriale giapponese è

caratterizzata da strettissimi legami esistenti tra le aziende.

Sono vincoli che si manifestano secondo due modalità, le quali possono essere assimilate a

forme di integrazioni verticali e orizzontali, a piramide, che instaurando soprattutto nella forma

verticale, dei legami di fornitura di lungo periodo e dei legami di reciproca partecipazione al

capitale, sviluppano relazioni di lungo periodo. Questa struttura piramidale che lega ad una

grande impresa, imprese fornitrici e sub-fornitrici di diverso livello nella catena del valore

aggiunto del prodotto, rappresenta l’ambiente naturale per l’attuazione della tecnica JIT.

Tale metodo organizzativo, sicuramente uno degli aspetti più conosciuti della Qualità Totale,

insieme alla cultura aziendale giapponese, ha permesso di realizzare con successo una struttura

flessibile, laddove il decentramento è diffuso sia all’esterno che all’interno dell’azienda.

Il reparto è organizzato come una piccola impresa indipendente, da ciò deriva anche il fatto che

non è difficile sostituire ad un reparto interno un’impresa esterna indipendente.

Nell’applicazione del Jit della Toyota il processo produttivo viene organizzato nel modo

seguente:

- il processo produttivo è diviso in fasi e l’organizzazione del lavoro è per isole di montaggio,

- alla fine di ogni fase viene riempito un recipiente con il suo kanban,

- ogni volta che un recipiente si svuota è perché la fase a valle ha utilizzato il materiale

contenuto,

- il kanban del cestello vuoto viene portato alla stazione precedente e allegato ad un

recipiente pieno che sostituirà quello vuoto,

- questo è il segnale per la stazione a monte per produrre un altro contenuto del recipiente.

Il kanban

Il kanban, la cui traduzione dal giapponese è “cartellino”, è una scheda fisica o virtuale,

indispensabile strumento di informazione per le lavorazioni a monte.

Il sistema kanban è il modo di gestire la produzione a trazione Just in time ed è il sistema di

informazioni per controllare la quantità da produrre in ciascuna fase di produzione.

Due sono i tipi principali:

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- Kanban prelievo che specifica la quantità di pezzi che la fase di lavoro a valle deve prelevare,

- Kanban ordine di produzione che specifica la quantità che la fase di lavoro a monte deve

produrre.

Queste schede circolano all’interno degli stabilimenti Toyota, fra le molte aziende collegate e

all’interno delle stesse aziende collegate, gestendo il flusso produttivo sia nelle fasi interne sia

esterne all’azienda.

Si tratta in pratica, quindi, di uno strumento di comunicazione nel sistema just-in-time e di

controllo delle scorte. Il "cartellino" viene applicato a un contenitore per la linea di montaggio,

indicando la consegna di una certa quantità di pezzi. Quando tutti i pezzi sono stati utilizzati, il

contenitore con il "cartellino" viene riportato al reparto originario e diventa un ordine per un

altro quantitativo.

Ciò permette una comunicazione fra l'area di assemblaggio e il magazzino scorte, eliminando

tutti i punti morti.

Inoltre permette modifiche sui pezzi, secondo la richiesta, prima che arrivino alla linea di

montaggio.

Il kanban è soltanto uno dei molti elementi di un sistema integrato di Total Quality Control.

Secondo alcuni studiosi, fra cui Imai Masaaki6, il sistema kanban può essere utilizzato in modo

proficuo esclusivamente all'interno di un'azienda che applichi tutti i principi della Qualità

Totale.

La sua applicazione in fabbriche a ciclo continuo, ad esempio, non apporterebbe nessun

vantaggio.

Il Controllo della Quantità-Qualità

Altro importante principio su cui si basa la teoria è il controllo della qualità-quantità che può

essere inteso come il controllo autonomo e automatico dei difetti nei pezzi prodotti e supporta il

JIT, impedendo così ai pezzi difettosi di passare da una fase all’altra: ogni fase è fornitore della

fase successiva, per evitare prodotti finali non conformi, nonché interruzioni, sia interne sia

esterne all’azienda, e costi aggiunti dovuti a scarti e rilavorazioni. La logica della catena cliente

– fornitore, a cui porta l’applicazione di questo principio, applicata anche all'interno

dell'azienda stessa, dove i reparti interni vengono visti come catene fornitori – clienti, spinge ad

una spirale di miglioramento continuo finalizzata ad eliminare gradualmente sprechi, tempi

inutili, scarti e, in genere, difformità rispetto alle attese del cliente sia esterno che interno.

La Mano d’opera flessibile

Tale principio indica la capacità della struttura organizzativa di formare ed utilizzare operai

6 Imai, Masaaki. 1986. Kaizen. La strategia giapponese del miglioramento. Il Sole 24 Ore, Milano.

16

polivalenti e di variare il numero degli operai che compongono i gruppi di lavoro in caso di

domanda variabile. Questo principio, oltre a prevedere operai polivalenti e la flessibilità dei

gruppi di lavoro, sottolinea l’importanza della formazione sia fuori dal posto di lavoro che sul

posto di lavoro che deve essere ampia e approfondita come una ampia letteratura sottolinea.

Molti autori giapponesi già citati e altri citati più oltre indicano l’importanza strategica della

formazione per attuare questo modello organizzativo, qui vorrei fare riferimento7 ad un

interessante saggio di Kazuo Koike “Abilità intellettuali e forza competitiva delle imprese” che

esprime in maniera molto pragmatica, come è stato l’intervento ad un convegno organizzato a

Bergamo, anni fa, a cui ho assistito, la valenza di tale principio e l’importanza che al suo

rispetto le aziende dovrebbero attribuire. L’autore evidenza anche l’attenzione della Toyota

all’applicazione di tale principio e al principio indicato successivamente, attestata dai numerosi

studi e ricerche aziendali effettuate e descritte.

La Creatività o inventiva

Questo ultimo principio evidenzia la volontà che i vertici dell’azienda devono esprimere per

stimolare e premiare i suggerimenti e le innovazioni che possono nascere dalla risorsa umana,

impiegata dell’azienda stessa. Tutti i partecipanti all’organizzazione aziendale vengono formati

e motivati a risolvere problemi relativi al loro lavoro ed a presentare progetti di miglioramento

che saranno anche premiati in sede aziendale, con l’intento di ottenere anche un maggior

coinvolgimento della risorsa umana.

Ciascun operaio ha la possibilità di dare dei suggerimenti attraverso dei piccoli gruppi chiamati

circoli di qualità.

Stimolare i suggerimenti degli operai consente di raggiungere dei miglioramenti sia nel

controllo della quantità sia della qualità ma anche nel rispetto dell’uomo, che è reso in tal modo

partecipe del processo produttivo.

Per applicare questi principi la Toyota ha adottato i seguenti sistemi e metodi:

- Livellamento della produzione: è un punto chiave del sistema in quanto rappresenta il mezzo

attraverso il quale l’azienda è stata in grado di adeguare la produzione al variare della domanda.

Consiste nel calcolare, in maniera uniforme, il carico di produzione giornaliera che origina non

dalla capacità dell’impianto ma dalla previsione di vendita. Il calcolo della quantità dei prodotti

che giornalmente l’impianto deve produrre, si esegue dividendo il numero degli articoli da

produrre in un mese per il numero di giornate lavorative dello stesso mese. Nei sistemi

tradizionali di produzione, i ritmi produttivi sono imposti dalla necessità di sfruttare al massimo

7 Kazuo Koike “Abilità intellettuali e forza competitiva delle imprese”

17

la capacità produttiva dell’impianto e non in base alle variazioni della domanda, con la

conseguenza di creare scorte: scelta attuata nella logica delle economie di scala, tipica delle

produzioni di massa. La produzione livellata ha come obiettivo principale quello di raggiungere

un livello di produzione giornaliera il più costante possibile, partendo però dalla quantificazione

della domanda.Il livellamento della produzione è la condizione più importante per produrre con

il sistema kanban e per ridurre al minimo l’inattività per quanto concerne: manodopera,

macchinario e materiale in lavorazione

Riduce al minimo le variazioni nelle quantità prelevate di ciascun pezzo in ciascuna fase di

subassiemaggio, permettendo a ciascuna fase di produrre a cadenza costante o prefissata

Esempio:

10.000 auto di tipo a così ripartite:

5.000 berline

2.500 coupè

2.500 familiari

Tempo di produzione: 20 giorni lavorativi, turno giorn. 8 ore

5.000: 20= 250 berline giornaliere

2.500:20= 125 coupè e familiari giornaliere

500 vetture giornaliere

Ciclo unitario (tempo medio) = 480 minuti :500= 0,96 minuti per ogni modello

Il mix di prodotti appropriato, inteso come la sequenza di produzione viene determinato

confrontando: il tempo di ciclo reale per produrre una vettura di qualsiasi modello con il tempo

massimo concesso per produrre un certo modello.

Tempo massimo per 1 berlina = 480: 250 = 1 primo e 55 secondi

Tempio medio = 57,5 secondi

Allora la sequenza : 1 berlina, un altro modello, 1 berlina…….

Vantaggio della produzione livellata: capacità del sistema di adattarsi alla variazione della

domanda.

- Riduzione dei tempi di set-up: consiste nel preparare in anticipo gli attrezzi e gli utensili per

poter ridurre i tempi morti di attrezzaggio, per ridurre costi, ma, soprattutto, per ridurre i tempi

di risposta, compiendo certe operazioni a macchine in movimento e non a macchine ferme,

come tradizionalmente erano eseguite.

Occorre porre molta attenzione alle fasi precedenti allo smontaggio e rimontaggio perché gli

operai, a macchine ferme, si dedichino solamente alle fasi di preparazione della macchina.

18

Riattrezzaggio esterno:

Consiste nel preparare in anticipo gli attrezzi, gli utensili, gli stampi da usare per ridurre il

tempo di rimozione e rimontaggio.

Riattrezzaggio interno:

Consiste nello smontare e rimontare la macchina

Occorre quindi far diventare il più possibile l’attrezzamento interno esterno.

- Standardizzazione dei cicli: questo è ottenibile in conseguenza della programmazione della

produzione giornaliera.

ore lavorative giorno

⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯ = tempi di ciclo

produzione giornaliera

Nello stabilimento, a disposizione degli operai, viene affisso un foglio in cui vengono precisati i

tempi di ciclo, la sequenza delle lavorazioni, la quantità standard di materiale in lavorazione,

per avere, poi, sincronia nel complesso della linea. Viene fornito inoltre il foglio ciclo uomo-

macchina detto foglio ciclo delle operazioni elementari. Il rispetto di questi compiti, così

programmati e distribuiti in modo da attuare anche un utilizzo economico della risorsa umana,

consente di ottenere i risultati programmati. Occorre evidenziare che gli operai della Toyota

sono operai polivalenti e quindi il foglio del ciclo elementare non è simile al foglio di

lavorazione tradizionale in quanto ogni operaio può essere posizionato secondo i bisogni

derivanti dalla programmazione, in termini di ore e non di tipologia delle mansioni richieste.

- Layout delle macchine: la disposizione delle macchine, dovendo sostenere il livellamento

della produzione che sottintende la capacità dell’impianto di produrre piccoli lotti, viene

sostanzialmente modificata.

Rispetto ad una disposizione tipicamente per reparto, si ha una disposizione per prodotto, per

celle di produzione autonome che, a loro volta, presentano un layout studiato per renderle

sempre più efficienti.

Nell’applicazione Toyota si è passati da una disposizione che prevede linee di produzione

disposte in linea dritta ad una che dispone le macchine ad “U”, in modo che l’entrata e l’uscita

della linea di produzione vengano a trovarsi nella stessa area.

I vantaggi che tale layout ha portato sono:

- minore tempo di attesa.

- tempo di processo ridotto al minimo.

19

- diminuzione delle movimentazioni intermedie.

- maggiore flessibilità operativa dovuta anche alla linea ad “U” in quanto si riducono gli

operai per far funzionare più stazioni.

- Controllo della qualità: obiettivo è la qualità eccellente, cioè la possibilità di poter eliminare il

controllo nei rapporti fornitore-produttore e produttore-cliente, mettendo l’accento sulla

prevenzione, sul controllo in itinere, individuando inoltre una soluzione e una responsabilità ad

ogni difetto.

- Controllo automatico ed autonomo dei difetti: l’obiettivo della qualità eccellente può essere

realizzato se il controllo è del sistema che deve autocontrollarsi in modo autonomo e/o

automatico. A tale scopo in Toyota sono stati introdotti degli espedienti sia in fabbrica che sulle

stesse macchine. Le linee hanno dei tabelloni luminosi, con luci diverse, che, attivati da un

operaio, hanno lo scopo di richiamare l’attenzione degli operai dello stabilimento per segnalare

bisogno di aiuto: ad esempio per rimediare ritardi o inconvenienti alle macchine.

Le macchine sono provviste di bloccaggi automatici che si attivano in caso di difetti o

anomalie.

Deve qui essere definito il concetto di autonomazione in contrapposizione all’automazione.

Una macchina utensile o un processo automatizzato continuano a funzionare anche se

emergono difetti. Una macchina autonomatizzata è concepita per fermarsi autonomaticamente

ed emettere un adeguato segnale (andon) quando sopraggiungono delle anomalie nel

funzionamento della macchina, nell’approvvigionamento o nella rimozione dei prodotti.

Evidentemente questa capacità della macchina porta a risparmi di risorsa umana, nella fase di

controllo del processo o della macchina utensile o nella fase di caricamento.

- Miglioramento del lavoro: in questo sistema, come in generale nel modello giapponese, sono

stati creati i circoli di Qualità con lo scopo di migliorare la produzione attraverso la formazione

tecnica che i partecipanti a tali gruppi ricevono.

Tutti i partecipanti vengono formati e motivati a risolvere problemi relativi al loro lavoro ed a

presentare progetti di miglioramento che saranno anche premiati in sede aziendale, con l’intento

di ottenere anche un maggior coinvolgimento della risorsa umana.

Ciascun operaio ha la possibilità di dare dei suggerimenti attraverso dei piccoli gruppi chiamati

circoli di qualità.

Stimolare i suggerimenti degli operai consente di raggiungere dei miglioramenti sia nel

controllo della quantità sia della qualità ma anche nel rispetto dell’uomo, che è reso in tal modo

partecipe del processo produttivo.

20

1.5.Considerazioni

Il modello Toyota, seppure presentato così sinteticamente, permette di fare alcune

considerazioni. Si tratta di un modello senza dubbio estremamente pragmatico, in cui l’azienda

viene organizzata partendo dal processo produttivo per poi arrivare a tutto il sistema impresa.

Occorre poi rilevare come tale strategia/filosofia poggi su un utilizzo della risorsa umana

estremamente motivata, dedita al lavoro e assolutamente collaborativa.

L’approccio giapponese punta in modo deciso sulle abilità intellettive e professionali del

dipendente, responsabilizzandolo con mansioni sempre più critiche, gratificandolo e creando in

lui un forte senso di appartenenza e coinvolgimento delle sorti aziendali.

La pressione della struttura aziendale per ottenere la massima disponibilità dei dipendenti, in

Giappone, si combina o, almeno, si combinava negli anni in cui è sorto questo fenomeno

(sarebbe da verificare se le condizioni sociali giapponesi siano variate), con una pressione

socio-culturale, ancora di stampo feudale, che costringe il comportamento individuale entro le

necessità della collettività, creando un forte connubio impresa-comunità. Vi sono parecchi

aneddoti sulla mentalità dell’operaio giapponese, raccontati proprio per documentare la loro

dedizione al lavoro “da samurai”.

Spesso la letteratura ha portato a conoscere la teoria giapponese della Qualità attraverso una

serie di ricette da applicare, formule e tecniche per spiegare la indispensabilità del Jit, del

Kanban e dei circoli di Qualità prescindendo spesso dai presupposti sociali, culturali e

istituzionali diversi e caratteristici della realtà che ha prodotto questo modello che si basa

soprattutto su una cultura aziendale più che su strumenti tecnici ma che ha soprattutto il

modello Toyota come modello di riferimento.

Diverse sono state le posizioni nei confronti della validità di tale modello, dall’esaltazione alla

opposizione totale. Oggi, dopo anni di discussioni, forse i giudizi su tale modello e sulla sua

esportabilità nel mondo occidentale, soprattutto europeo, si sono placati a fronte di una più

generale convinzione che importante sia adottare strategie di miglioramento continuo e di

soddisfazione del cliente come obiettivi primari dell’azienda perché il sistema industriale

diventi sempre più competitivo traendo dall’esperienza giapponese l’impostazione sistemica del

modello.L’obiettivo della soddisfazione del cliente quale strategia per mercati sempre più saturi

e maturi, coniugato all’obiettivo della riduzione dei costi ha portato la Toyota a mettere a punto

una nuova organizzazione del processo produttivo con la tecnica del Jit. Reputo che questa sia

stata la vera strategia innovativa dell’azienda.

Da una produzione a spinta si deve tendere ad una produzione a chiamata della domanda, ciò

necessita di strumenti molto raffinati per il livellamento della domanda oltre che della sua

21

valutazione. Inoltre, non avendo l’azienda più magazzino e non essendo possibile non fornire al

cliente il bene come da lui richiesto, nel tempo richiesto, l’organizzazione deve avere un

controllo in itinere sul prodotto. Ciò può essere attuato grazie a tecniche e strumenti

organizzativi che attribuiscono alla risorsa umana un ruolo strategico, fondamentale. Punto

focale è la catena cliente - fornitore che si crea anche all’interno dell’azienda stessa, dove i

reparti interni vengono visti , appunto, come catene fornitori - clienti.

Ciò spinge ad una logica di miglioramento continuo per eliminare gradualmente sprechi, tempi

inutili, scarti e, in genere, difformità rispetto alle attese del cliente sia esterno che interno. Si

passa quindi, nella realtà aziendale, da controlli sui prodotti a fine ciclo produttivo a costanti

controlli in itinere, arrivando alla fase di progettazione con una attenzione molto maggiore alle

esigenze del cliente.

Il Jit permette di eliminare sia il magazzino di entrata che di uscita, in quanto i fornitori operano

nella logica cliente-fornitore e consegnano all’azienda il prodotto di cui necessita nel tempo

indicato. Ora va considerato che il Jit, messo a punto dalla Toyota, non è sempre perseguibile,

sia totalmente che parzialmente, sul fronte della domanda come dell’offerta. Sicuramente deve

essere considerato dalle aziende un obiettivo da raggiungere, a mio parere, un atteggiamento

che può essere paragonato, utilizzando una similitudine matematica, al tendere all’infinito.

Oltre a ciò, cercare di applicare il Jit porta, in molti casi, a situazioni di estrema fatica sia

organizzativa che economica per i fornitori, subfornitori, che diventano il magazzino

esternalizzato dell’azienda cliente la quale, con la sua forza contrattuale, costringe i fornitori a

simili prestazioni.

Il modello Toyota è un modello da cui prendere idee, principi, ma soprattutto la considerazione

che fare impresa non sia solo fare quantità e produzione di massa, ma di questo le aziende sono

già da tempo consapevoli. Come era già accaduto rispetto alla teoria taylorista da cui,

inizialmente, erano stati presi, tra i tanti principi fondamentali, quelli che più

opportunisticamente le imprese trovavano validi (ad esempio la misurazione dei tempi e dei

metodi che tante critiche ha suscitato su tale teoria), così anche per quanto riguarda la teoria

Qualità e la sua applicazione nel modello Toyota, vengono spesso adottati solo alcuni principi,

principalmente legati ad aspetti tecnici, che così interpretati sviliscono la teoria stessa.

Capitolo secondo: Il Progetto Organizzativo – Gestionale

2.1. L’esigenza di un Progetto Organizzativo –Gestionale

Un’organizzazione è l’insieme di attività che devono essere gestite in modo coordinato, per

essere finalizzate e dirette in funzione del perseguimento degli scopi per cui l’organizzazione è

nata. Occorrono quindi un progetto e un’azione organizzativo -gestionale in grado di

22

interpretare, perseguire i fini, programmare, procurare e governare le risorse necessarie allo

svolgimento delle attività.

Tale esigenza di progettualità e di azione organizzativo -gestionale è propria di qualsiasi realtà

indipendentemente da:

- finalità

- dimensione

- settore operativo

- business e situazione competitiva

- risorse

Le modalità con cui un simile bisogno viene soddisfatto e affrontato sono senza dubbio diverse.

La necessità cresce a mano a mano che la complessità dell’organizzazione aumenta sia sotto il

profilo interno sia esterno: per aspetto interno si intende quello relativo ai fattori di produzione,

per aspetto esterno quello riguardante le relazioni con l’ambiente di riferimento e in particolare

con il mercato.

Il bisogno di progettualità e di un’azione organizzativo -gestionale trova soluzione attraverso un

sistematico processo organizzativo, formalizzato in una specifica attività di organizzazione

aziendale.

Il progetto organizzativo – gestionale prende avvio e si sviluppa dalle scelte imprenditoriali,

manageriali relative al posizionamento dell’azienda, al cosa fare come prodotto/servizio e a

come ci si vuole caratterizzare sul mercato in termini di immagine e identità per raggiungere il

fine per cui l’organizzazione è sorta. Esistono, come è evidente, organizzazioni orientate al

profitto e organizzazioni non orientate al profitto bensì ad altro fine. Il fine del Sistema

Sanitario italiano, ad esempio, è la salute del cittadino. La letteratura economica evidenzia la

sostanziale differenza tra fine e obiettivo. Sciarelli8 propone questa distinzione tra il concetto di

fini e il concetto di obiettivi:

I fini sono di contenuto molto più ampio e generale rispetto agli obiettivi e sono caratterizzati

da alcuni attributi fondamentali quali l’universalità, la generalità e la permanenza nel tempo.

Un fine deve essere comune a tutte le organizzazioni della stessa natura, deve comprendere

quindi gli scopi più specifici di certi gruppi o attività e soprattutto deve rimanere costante nel

tempo. Se, ad esempio, si assume che la massimizzazione del profitto sia la finalità a cui tende

l’azienda, si accetta che lo sia per tutte le imprese.

Un obiettivo è una meta particolare, fissata in certe circostanze e in rapporto ad un periodo di

8 Sergio Sciarelli Economia e gestione dell'impresa Padova CEDAM, 1995

23

tempo determinato, quindi caratterizzato da mutevolezza nel tempo e nello spazio e comunque

subordinato alla finalità ultima perseguita dall’azienda.

La succitata distinzione concettuale può servire a capire, nell’analisi dei comportamenti

imprenditoriali e manageriali, i nessi che esistono tra gli scopi finali dell’organizzazione e i

traguardi che di volta in volta sono assegnati alla gestione aziendale. Un’azienda è l’espressione

di una volontà, imprenditoriale o manageriale, tesa ad ottenere un fine che può essere

perseguito attraverso vie ed obiettivi diversi, sia di breve sia di lungo periodo, generali e

particolari. Anche in un’organizzazione non orientata al profitto, gli obiettivi da perseguire sono

strumenti per raggiungere le finalità per cui l’organizzazione stessa è sorta.

Si può dunque affermare che sono le decisioni strategiche a consentire di finalizzare l’azione

aziendale o dell’organizzazione, guidando l’elaborazione del progetto organizzativo- gestionale.

Simili scelte devono poi tradursi in programmi operativi di gestione, quindi interpretate e

tradotte in programmi specifici di azione che dovranno essere controllati.

In sintesi, si crea nell’organizzazione un sistema di obiettivi e di strategie che costituiscono la

premessa all’elaborazione del sistema di programmazione e di controllo delle azioni aziendali.

2.2.L’organizzazione come Impresa

La definizione di impresa ha visto nel tempo diverse modificazioni con lo scopo precipuo di privilegiare

gli aspetti che nei vari momenti storici ed economici risultavano essere più significativi e critici. Occorre

notare che i termini impresa e azienda sono generalmente usati come sinonimi nell’ambito della

letteratura economico gestionale, mentre nella letteratura giuridica e aziendale i due sostantivi sono

utilizzati con differenti accezioni. Secondo l’articolo 2555 del Codice Civile il termine azienda indica il

complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di impresa intesa invece come attività

economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni e servizi. L’azienda,

tradizionalmente definita come un’organizzazione di persone e di beni rivolta ad uno scopo produttivo,

si può meglio indicare, tramite una definizione più recente, come “un’organizzazione economica che,

mediante l’impiego di un complesso differenziato di risorse limitate, svolge processi di acquisizione e di

produzione di beni e di servizi da scambiare con entità esterne al fine di conseguire un reddito”.

Dalla definizione appena riportata derivano i quattro elementi già riconosciuti come distintivi

dell’azienda:

- la presenza di un’organizzazione

- lo svolgimento di processi di acquisizione e di produzione

- le relazioni di scambio con entità esterne

- le finalità imprenditoriali del reddito

24

Queste tipiche connotazioni dell’impresa sono state oggetto, nei vari momenti economici, di

particolare attenzione da parte degli studiosi per comprendere, studiare ed indirizzare in modo

più adeguato i comportamenti aziendali nei confronti di elementi esterni ed interni in

evoluzione: aspetti che si rivelano spesso come “fattori critici” contingenti su cui l’impresa

deve agire per trarre vantaggi strategici e possibilità di sopravvivenza ossia l’ambiente e il

mercato, la coordinazione e le relazioni tra le funzioni specialistiche, lo svolgimento dei

processi produttivi, le risorse intellettuali.

Già da tempo la definizione di impresa come un sistema funzionale aperto socio-tecnico è

accolta dalla dottrina, definizione che appunta l’attenzione sia sulla natura sistemica

dell’azienda sia sull’importanza delle relazioni che l’impresa ha con l’ambiente che la circonda.

L’impresa è un sistema funzionale perché costituito da elementi che devono essere specializzati

e coordinati per ottenere un comune risultato. L’attenzione alla natura sistemica dell’impresa ha

lo scopo di porre l’attenzione sulla necessità che le singole funzioni aziendali, risposte

specialistiche ad un problema aziendale, agiscano in maniera coordinata e interagente. Questa

necessità deriva da spinte specialistiche che, altrimenti, portano l’organizzazione a dividersi

troppo in parti separate poco dialoganti tra loro. L’azienda è definita sistema aperto, in quanto

si pone rilievo sulla sua essenza di organizzazione che, per vivere, deve intrattenere rapporti e

relazioni di scambio con altri sistemi esterni.

La definizione riportata sottolinea la necessità dell’impresa di conoscere, dialogare ed interagire

con l’ambiente, sempre più difficoltoso e turbolento, che la circonda.

L’azienda è un sistema socio-tecnico perché è caratterizzata da una componente tecnica e da

una componente sociale di indubbio maggior rilievo: il funzionamento dell’azienda è infatti

connesso all’operare coordinato di una molteplicità di gruppi, interni ed esterni, tra i quali si

sviluppano rapporti di collaborazione e di conflitto. L’aspetto cooperativo-conflittuale

dell’organizzazione è uno dei punti basilari per comprendere il funzionamento di qualsiasi

struttura organizzativa.

In tempi recenti, la letteratura ha aggiunto al concetto di sistema l’aggettivo “cognitivo” a

rimarcare la fondamentale importanza della risorsa intellettuale.

L’attenzione degli studiosi si è incentrata sempre più sull’esigenza di privilegiare e mettere in

luce la valenza strategica delle capacità e delle conoscenze che l’azienda è in grado di creare e

mantenere al suo interno. Si vuole sottolineare che la ricchezza di un’impresa non è

rappresentata dal mero patrimonio materiale e tangibile ma, in primo luogo ed oggi sempre più,

25

dalla capacità di creare valore per restare competitiva e perdurare nel tempo. Capacità, questa,

che oggi si pensa sia da ricercare sopratutto nelle risorse intellettuali e intangibili.

La teoria aziendalista rivolge sempre più l’attenzione all’aspetto intangibile9 delle

immobilizzazioni immateriali delle organizzazioni aziendali, osservando che proprio in esse si

racchiudono le potenzialità di espansione del sistema aziendale.

La vita aziendale si svolge secondo procedure ripetitive, frutto dell’esperienza accumulata nel

tempo e della capacità di tradurre i segnali di cambiamento mandati dall’ambiente.

La capacità di innovarsi dell’azienda sta proprio nel saper coniugare il sapere acquisito con

valori di sviluppo, secondo un processo autopropulsivo che sarà tanto più efficace quanto più

l’organizzazione potrà apprendere lavorando (learning by doing). La quantità e la qualità di

conoscenza dell’impresa sono, con tutta evidenza, legate al contributo degli uomini che ne

fanno o ne hanno fatto parte, diventando patrimonio comune aziendale.

La ricchezza di un’impresa, con le mutazioni del mercato e della tecnologia, sembra essere

sempre più data dal sapere incorporato in quelli che vi lavorano.

L’azienda sistema aperto quindi, che vive dell’interscambio con il contesto ambientale,

specifico e generale, deve saper interpretare i vincoli e le opportunità che le si presentano e

saper elaborare scelte di fondo, un progetto e un’azione organizzativa- gestionale in grado di

ottimizzare i propri risultati.

Questi tradizionali elementi distintivi dell’impresa sono stati via via oggetto, nei diversi

momenti economici e sociali, di attenzione particolare da parte degli studiosi per comprendere,

studiare ed indirizzare i comportamenti aziendali. L’ambiente e il mercato, la coordinazione e le

relazioni tra le funzioni specialistiche, lo svolgimento dei processi produttivi, le risorse umane e

intellettuali hanno rappresentato (ognuno di questi o i loro rapporti), il fattore critico su cui

l’impresa ha dovuto concentrarsi per trarne vantaggi strategici e possibilità di sopravvivenza.

La lettura storica di organigrammi delle aziende di un settore o di organigrammi di una singola

impresa, possono dare in tal senso molte informazioni.

L’esplicitazione nell’ organigramma di una nuova funzione può spesso, di fatto, significare la

necessità per un’impresa di dare una risposta specialistica al fattore critico che, in quel

momento, richiede la sua attenzione strategica. Si pensi ad esempio come, negli anni ‘70 in

Italia, la gestione delle risorse umane sia passata, per una miriade di imprese, da compito della

funzione amministrativa a specifica funzione aziendale. 9 Renoldi, Angelo .Valore dell’impresa, creazione di valore e struttura del capitale - Milano -EGEA, 1997

26

La definizione di impresa di Sciarelli evidenzia come l’impresa svolga processi di acquisizione

e di produzione di beni e di servizi da scambiare con entità esterne.

In questa frase si può ravvisare, anche da parte di uno studioso economico gestionale come

Sciarelli, la volontà di riconoscere l’impresa anche industriale non più preminentemente

funzione di produzione bensì struttura di governo, in cui la funzione fondamentale sia ormai

quella di stipulare e gestire contratti.

Tradizionalmente l’impresa considerata come funzione di produzione nella concezione

taylorista/ fordista, aveva dei confini fisici ben stabiliti che coincidevano con i suoi confini

economici, tecnici, finanziari ed umani. Le imprese tradizionali avevano di norma una elevata

verticalizzazione che avvalorava questo concetto di impresa- funzione di produzione.

Lo sviluppo dell’attività aziendale, notano sempre più studiosi, si sta dematerializzando in

corrispondenza al prevalere dell’intelligenza quale fonte di sviluppo e innovazione.

Sembra quindi possibile affermare che la natura dell’impresa, in un concetto moderno, non sia

tanto quella di produrre in senso tecnico (cioè di fabbricare), ma quella di accumulare

conoscenze che le permettano di poter scegliere le tecniche produttive, organizzative e i

comportamenti più adatti per affrontare le nuove situazioni che via via si creano.

La vera essenza dell’azienda può essere quindi individuata nel suo know how accumulato nel

tempo. Sciarelli e Rullani10 tendono a definire l’impresa come un sistema di conoscenze atto a

produrre nuove conoscenze, come un sistema complesso aperto, all’interno del quale si

intersecano elementi tangibili ed intangibili, risorse finanziarie ed umane, mezzi tecnici ed

intelligenze, beni materiali ed immateriali in un disegno finalizzato alla produzione. Con gli

anni ‘70 hanno iniziato a diffondersi processi di deverticalizzazione provocati dal fatto che le

grandi imprese trovano più conveniente, a causa di mercati più complessi, affidare specifiche

fasi di lavorazione (o anche la produzione di componenti complessi dei propri prodotti) ad altre

imprese, in genere più piccole, che, a loro volta, possono affidare ad altre unità produttive fasi

di lavorazione. Il risultato è la creazione di una rete di fornitori e di sub- fornitori relativamente

stabile il cui legame giuridico è dato, oggi, sopratutto dai contratti che legano tra loro le diverse

imprese. Occorre notare che nel tempo si è passati da legami prevalentemente finanziari, come

avviene nei gruppi che hanno rappresentato la prima fase del processo di decentramento, a

legami contrattuali che caratterizzano maggiormente la fase attuale del decentramento.

10 Rullani Enzo La fabbrica dell’immateriale -Roma : Carocci, 2004 Sciarelli Sergio L'impresa flessibile Padova - CEDAM, 1987

27

Il diffondersi su scala mondiale del fenomeno del decentramento, ha portato alla necessità di

elaborare nuovi modelli capaci di tenere conto di queste spinte alla deverticolarizzazione

rispetto al tradizionale modello tayloristico. In questa prospettiva nascono, soprattutto in

America, scuole di pensiero che superano la visione di impresa come:

- entità organizzativa dai confini ben definiti,

- con scopi istituzionali da perseguire,

- dove gerarchia e burocrazia rappresentano le classiche strutture di comando e di

controllo.

La “teoria dei costi di transazione”11che nasce da una scuola di pensiero sorta in America per

studiare le imprese economiche, amplia il concetto di organizzazione.

Il concetto di organizzazione non è più legato al concetto di una singola unità con la sua forma

burocratica. Il termine di organizzazione può quindi individuare qualsiasi modello stabile di

rapporti tra soggetti, siano essi individuali che collettivi. Pertanto il concetto di organizzazione

comprende il mercato e le reti intese come forme ibride o intermedie.

Williamson12, il più noto e prestigioso esponente della teoria dei costi di transazione,

concepisce infatti l’impresa come una struttura di governo (governance).

Concepire l’impresa come struttura di governo delle transazioni ha l’importante conseguenza di

unificare campi di ricerca, tradizionalmente sempre distinti, quali l’economia d’impresa e la

sociologia dell’organizzazione.

L’impresa intesa come funzione di produzione vedeva le due discipline procedere su strade

diverse. L’economia d’impresa tradizionalmente si occupava di come l’impresa ottimizzasse i

profitti in rapporto a investimenti e processi produttivi. La sociologia dell’organizzazione

analizzava l’organizzazione burocratica con le sue deviazioni e le relazioni tra soggetti e

organizzazioni.

Le decisioni dell’impresa, di fronte al dilemma comprare o produrre o creare una rete di sub-

fornitori, hanno evidentemente una forte rilevanza sia organizzativa che economica-gestionale.

In realtà tutte le scelte strategiche dell’imprese hanno sempre effetti, non solo economici ma

anche organizzativi, quello che spinge oggi ad un riavvicinamento tra le diverse discipline sta, a

mio parere, nella necessità delle aziende di trovare strumenti sempre più sofisticati di controllo

della gestione della risorsa umana.

11 Giuseppe Bonazzi Come studiare le organizzazioni. Il Mulino Bologna 2002 . 12 Williamson O. I meccanismi del governo. L’economia dei costi di transazione: concetti, strumenti, applicazioni. F.Angeli Milano 1998

28

William Ouchi13, autore americano di origine giapponese, propone una forma di governo

particolare: oltre al mercato e alla burocrazia vi è il clan come forma complessa di governo

delle transazioni. Questa terza possibilità è una forma molto complessa in quanto, per

funzionare come forma di governo, il clan presuppone nei contraenti il senso dell’appartenenza

e forti legami ad un’istituzione con tradizione, norme e valori comuni.

La tesi di Ouchi afferma che solo il clan può essere strumento per governare transazioni

complesse. Chiaramente l’autore ha come modelli di comportamento economico le imprese del

capitalismo asiatico, in cui pochi grandi gruppi di affari aggregano una vasta rete di imprese

diverse tra loro.

La certificazione intesa come attestazione ad uno standard di riferimento rilasciata da parte di

un organismo indipendente, in ogni sua accezione, potrebbe rappresentare uno strumento di

gestione per un sistema organizzativo a rete in quanto lo standard preso come riferimento può

determinare un modo di agire omogeneo tra le diverse aziende costituenti la rete permettendo

all’azienda che detiene il corebusiness di controllarne l’andamento.

2.3. Il Progetto Organizzativo-Gestionale

Il sistema azienda ha la necessità di un’attività direzionale che elabori, realizzi e controlli

l’attività organizzativa più adeguata a garantire il raggiungimento degli obiettivi aziendali.

Già Fayol14 aveva individuato come l’attività direzionale abbia tra le sue numerose

responsabilità, quella di dirigere e coordinare, quindi spetta sicuramente al management,

attraverso la propria funzione direttiva, elaborare, realizzare, controllare l’attività organizzativa

più adeguata per garantire il raggiungimento delle finalità fissate.

Il progetto organizzativo-gestionale è il processo integrato di scelte in relazione alle seguenti

variabili organizzative:

la struttura organizzativa

i meccanismi operativi

lo stile direzionale e la cultura aziendale

La Struttura Organizzativa

Attraverso la sua progettazione e costruzione vengono divisi, distribuiti e coordinati i compiti, il

potere e le responsabilità in azienda, tenendo in considerazione i vincoli di compatibilità, infatti,

nel disegno della strutture, si devono individuare soluzioni coerenti e compatibili con:

13 William Ouchi, Markets, bureaucracies and clans in “Administartive science Quaterly” 25/10/1980 14 Henri Fayol, francese, nato nel 1841, osserva e analizza l’azienda dal punto di vista del Direttore generale. Fayol porta un contributo rilevante alla gestione aziendale nel suo complesso interessandosi alla funzione direttiva in particolare. L’opera principale del Fayol è Direzione Industriale e Generale pubblicato nel 1916

29

- le scelte di fondo aziendali e le strategie aziendali

- i fattori produttivi materiali impiegabili: risorse tecniche, risorse umane, risorse

finanziarie

- le risorse organizzative: meccanismi operativi e lo stile aziendale

- il contesto ambientale

La struttura organizzativa è inoltre il prodotto delle scelte di divisione e di coordinamento dei

compiti in azienda. Nella sua progettazione occorre perciò risolvere due problemi fondamentali:

- Divisione dei compiti

- Coordinamento dei compiti stessi

La divisione dei compiti consiste nella definizione di specifiche scelte di tipo orizzontale e verticale,

intendendo per “Divisione del lavoro di tipo orizzontale” la distribuzione delle attività fra i membri

dell’organizzazione, per “Divisione del lavoro di tipo verticale” la distribuzione dell’autorità ossia del

potere direzionale fra gli organi aziendali

I due campi non sono separabili, sono in rapporto di assoluta interdipendenza.

La divisione orizzontale dei compiti può realizzarsi attraverso l’applicazione di diversi criteri, i

principali:

Criterio per funzioni

Criterio per prodotto

Criterio per area geografica

Criterio per clientela o per processo distributivo

Criterio per progetto

Criterio per processo produttivo

Criterio numerico

Criterio temporale

Ovviamente i diversi criteri originano differenti strutture organizzative aziendali ed è

necessario,

inoltre, rilevare che i diversi criteri sono variamente combinabili e possono coesistere in un

medesimo disegno strutturale.

La divisione verticale dei compiti determina invece la divisione dell’autorità e dei poteri.

Le scelte quindi sono relative alle risposte da dare ai seguenti problemi:

- Quali sono i vari responsabili in azienda

- Quale autorità devono esercitare

30

- Su chi devono esercitarla

- Come devono esercitarla

In sostanza occorre definire il grado di accentramento/decentramento da realizzare in azienda.

Il decentramento e l’accentramento sono due approcci di segno opposto che possono e devono

convivere nella stessa struttura organizzativa.

La scelta relativa a quale combinazione tra i due criteri si debba preferire costituisce il vero

problema.

Si definisce delega di autorità la distribuzione del potere decisionale in azienda, attraverso la

delega, a un organo superiore che attribuisce ai propri subordinati:

- la competenza di assumere certe decisioni e svolgere certi compiti operativi

- la responsabilità di conseguire determinati e specifici risultati

- la facoltà e l’autorità di gestire determinate risorse materiali e organizzative

Per il buon funzionamento del processo di delega occorre che:

- I compiti delegati vengano accettati e condivisi dal delegato

- le motivazioni e le finalità che stanno alla base della delega vengano partecipate per

ottenere un maggiore coinvolgimento.

La delega, una volta concessa, deve essere effettiva e non solo formale.

La divisione del lavoro porta alla distribuzione dei compiti (specializzazione) e dell’autorità tra

i vari ruoli organizzativi.

Da ciò nasce l’esigenza di integrazione delle varie azioni aziendali, in funzione del

raggiungimento del fine aziendale e quindi l’esigenza di un’azione di coordinamento.

Il coordinamento rappresenta il secondo problema che deve essere affrontato nell’atto di

progettare o modificare la struttura organizzativa, in parallelo con la scelta dei criteri di

divisione del lavoro.

Il coordinamento, infatti, permette che i compiti assegnati ai vari organi:

- producano il risultato desiderato

- siano svolti secondo modalità programmate

- siano svolti nei tempi previsti

- siano svolti alle condizioni economiche più favorevoli

31

Il coordinamento consiste nel predisporre opportuni strumenti di integrazione tra le diverse

attività e i diversi livelli organizzativi affinché sia possibile una conduzione unitaria e integrata

dei vari ambiti per perseguire le finalità prefissate.

Gli strumenti di coordinamento che possono essere utilizzati sono diversi e variamente

catalogati:

- Meccanismi e strumenti personali incentrati sull’uomo

- Meccanismi e strumenti impersonali incentrati su mezzi organizzativi

Gli strumenti impersonali di coordinamento stabiliscono in modo formale i comportamenti e i

risultati attesi da parte delle unità organizzative tra cui sono suddivisi i compiti e sono i

seguenti:

- obiettivi

- piani e programmi

- procedure e mansionari

La determinazione di un sistema di obiettivi e l’attribuzione degli stessi alle varie unità

organizzative della struttura permettono agli organi organizzativi di muoversi in modo integrato

verso i risultati attesi.

I piani e i programmi tracciano le linee di azione che le diverse unità organizzative dovranno

seguire nello svolgimento delle proprie attività

Le norme procedurali e i mansionari indicano come specifici compiti che fanno parte di un dato

programma operativo debbano essere realmente svolti.

Gli strumenti personali di coordinamento possono essere:

- di carattere individuali o di gruppo

- di carattere stabile o temporale

Tipici strumenti personali di coordinamento di carattere individuale sono i dirigenti e i

coordinatori i quali, attraverso la linea gerarchica, garantiscono l’unitarietà di gestione e

l’integrazione dell’azione organizzativa.

I dirigenti, con la loro attività ordinaria di programmazione, di comando e di controllo

assicurano che le unità organizzative da loro dirette operino in modo coordinato verso le mete

dell’organizzazione. Attraverso un intervento di tipo straordinario, regolano il funzionamento

del sistema organizzativo quando si verificano situazioni impreviste che rendono inefficaci i

32

normali meccanismi di coordinamento. In tali situazioni si attiva il principio di eccezione, come

Fayol ha evidenziato nella sua opera.

I coordinatori sono organi individuali appositamente delegati a funzioni di coordinamento

relativamente sia a specifici progetti sia a settori di attività aziendali e possono perciò essere

chiamati ad operare in modo temporaneo o permanente. I coordinatori possono essere soggetti

interni quanto esterni all’organizzazione.

Gli strumenti personali di coordinamento di gruppo si catalogano a seconda che svolgano il loro

ruolo di coordinamento in modo temporaneo o stabilmente.

Le riunioni, le commissioni e i comitati sono strumenti e organismi di coordinamento formati

da soggetti facenti parte della struttura o di altra provenienza, sostanzialmente con funzioni di

assistenza, di consulenza o decisionali come avviene nel caso dei comitati.

La struttura organizzativa è visualizzata attraverso l’organigramma, inteso come lo schema

descrittivo della struttura dell’organizzazione sia operativa sia finanziaria. Le caselle

dell’organigramma riferito alla struttura operativa, indicano le funzioni e gli organi

dell’organizzazione ed evidenziano lo sviluppo orizzontale e verticale, ossia la distribuzione dei

compiti specialistici e dell’autorità derivante dalle scelte effettuate per dar vita al progetto

organizzativo- gestionale. L’organigramma riferito alla struttura finanziaria mette in evidenza i

rapporti e le relazioni tra le aziende che compongono il gruppo rappresentato.

Le tecniche e le simbologie grafiche che possono essere utilizzate per visualizzare la struttura

organizzativa sono molteplici, esistono molte forme di organigramma, le più usate sono quelle

sotto riportate:

- organigramma verticale

- organigramma orizzontale

- organigramma misto

- organigramma circolare

Vi sono altri mezzi di formalizzazione della struttura organizzazione quali:

- i mansionari o job description

- i funzionigrammi

- le norme procedurali o procedure

- manuale organizzativo

Questi strumenti integrano la valenza informativa dell’organigramma per disegnare in modo

compiuto la struttura organizzativa.

33

I mansionari o job description consistono nella descrizione delle funzioni di ciascuna posizione

organizzativa e delle relative responsabilità.

I funzionigrammi definiscono il ruolo e il contributo specifico dei vari organi.

Le norme procedurali o procedure sono uno strumento descrittivo, di ordine e di chiarezza, per

esprimere le modalità con cui determinati compiti debbano essere svolti nonché delle adeguate

competenze in base alle quali sono chiamate in causa le diverse posizioni organizzative. Le norme

procedurali o procedure sono espresse attraverso documenti organizzativi denominati flow chart.

Il manuale organizzativo riunisce le scelte e gli strumenti organizzativi attuati dall’azienda: le

decisioni relative alle variabili organizzative quali la struttura adottata, i meccanismi operativi, lo stile

direzionale e la cultura organizzativa.In esso trova espressione la strategia organizzativa perseguita

dall’azienda unitamente alle job description, ai funzionigrammi e alle norme procedurali.

Vorrei richiamare l’attenzione su questi strumenti organizzativi di coordinamento e di

formalizzazione in quanto rappresentano strumenti su cui insistono le norme ISO di cui si

tratterà più avanti. Rappresentano documenti che devono essere predisposti dall’azienda che

vuole certificarsi per adempiere ai requisiti normativi, in realtà dovrebbero già essere presenti

ed in uso nelle organizzazioni e non solo messi in essere per adempiere ai requisiti esplicitati

nelle norme. Nelle aziende di grandi dimensioni la complessità porta alla necessità evidente di

formalizzare mentre nelle PMI le scelte organizzative e operative non sempre sono

formalizzate, a volte neanche prese con razionalità e coordinamento. In questa tipologia di

azienda la documentazione viene prodotta come obbligo per la certificazione e non come

risposta a precise esigenze organizzative. Le norme ISO denominano il Manuale organizzativo

con la dicitura Manuale di Qualità. Questo modo di denominare il manuale ha prodotto i

presupposti, sempre in aziende con scarsa cultura organizzativa, per credere che tale documento

sia dovuto e richiesto per adempiere alla normativa e non per rispondere ad reali esigenze

aziendali

I Meccanismi Operativi

I meccanismi operativi sono un insieme di regole che fanno funzionare operativamente il

sistema aziendale, permettendogli di raggiungere il proprio fine; i meccanismi operativi

agiscono inoltre fortemente sul comportamento delle risorse umane impiegate.

I tipici meccanismi operativi sono:

- il sistema di programmazione e di controllo di gestione

- il sistema informativo

- il sistema di gestione delle risorse umane

34

Il sistema di programmazione e di controllo di gestione

Il sistema di programmazione e di controllo di gestione definisce in via preventiva i risultati

operativi attesi, performance, delle singole unità organizzative e dell’organizzazione nel suo

complesso.

Permette di verificare, nel corso della gestione aziendale, la conformità dei risultati reali

ottenuti rispetto a quelli standard di riferimento.

Tale sistema introduce in azienda un processo di verifica di conformità e un meccanismo di

autoregolazione, feed-back, che permette di segnalare le eventuali disfunzioni per cercare in

tempo di attivare azioni in grado di riallineare il sistema. Chiaramente i metodi e le tecniche

con cui tale meccanismo può essere attivato, variano in relazione all’evoluzione del progetto

organizzativo e alle strategie aziendali. I diversi modelli organizzativi generano tecniche

diverse, ad esempio, il modello tayloristico ha prodotto come tecnica per la programmazione e

il controllo il sistema di Budget basato sugli standard, il modello”Qualità “ porta ad evolvere

tale sistema verso l’ABC e la Balanced ScoreCard. Queste tecniche risentono della diversa

impostazione organizzativa che si basa sull’approccio sistemico e sulla gestione per processi,

tipica del modello “Qualità”.

Il sistema informativo permette ai vari organi ed ai responsabili di assumere le decisioni di

propria competenza con la consapevolezza delle varie alternative rispetto alla scelta da

effettuare consentendo, oltre a ciò, ai vari organi ed ai responsabili di verificare l’adeguatezza

delle scelte e quindi delle azioni intraprese.

Per l’approfondimento di questi due meccanismi si rimanda alla vasta letteratura esistente

mentre ritengo opportuno rilevare come spesso tecniche e metodi appartenenti ai meccanismi

operativi vengano presentati non come strumenti ma come strategie/filosofie a sè stanti,

sopratutto dai consulenti aziendali . I metodi e le tecniche dei meccanismi operativi devono

essere utilizzati come strumenti degli stessi in maniera coordinata e in una reale visione

sistemica dell’azienda per permettere di implementare un modello organizzativo gestionale

che derivi effettivamente da un progetto strategico.

2.4. La Gestione delle Risorse Umane

La risorsa umana costituisce un patrimonio fondamentale per tutti i tipi di organizzazioni.

Rappresenta un campo specifico da trattare evidentemente attraverso un intervento

organizzativo pianificato. Questa risorsa, nei modelli attuali, deve essere fortemente motivata e

formata in continuum. Dopo le fasi di sviluppo industriale che hanno visto prevalere i problemi

della tecnologia e della commercializzazione dei beni prodotti, nella gestione aziendale si sono

da tempo imposti i problemi di gestione del fattore umano che hanno un ruolo preminente nella

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vita aziendale e alla loro migliore soluzione sono legati i maggiori successi imprenditoriali. Ciò

per più motivi, che vanno dall’incidenza dei costi di lavoro sul risultato economico alla

maggiore rigidità d’impiego del personale, dall’aumento di professionalità alle difficoltà di

reperimento delle stesse sul mercato del lavoro. La gestione delle risorse umane, meccanismo

operativo, rappresenta sicuramente uno dei compiti più difficili per chi dirige l’azienda. Si tratta

di dotare, non solo l’azienda delle professionalità necessarie, ma soprattutto di assicurare che

gli individui inseriti nell’organizzazione siano motivati al raggiungimento degli obiettivi

aziendali.

Nella gestione delle risorse umane rientra un processo che parte dall’acquisizione del personale

necessario all’impresa, che si sviluppa nell’integrazione del personale nell’organizzazione e

nella promozione, attraverso la pianificazione delle carriere e l’adattamento tra esigenze di

sviluppo aziendale ed esigenze del personale. Si desidera in questo contesto concentrare

l’attenzione sui problemi della motivazione e della leadership.

Il termine organizzazione può essere associato a una serie di significati collegati ma non

univoci. Per organizzazione si può intendere, ora un processo operativo (la fase di

organizzazione), ora una funzione, ora un ente o una struttura ben definita ( un’azienda), oppure

il risultato di questo processo (un’azienda ben organizzata), o l’insieme di tutto questo.

Qui si vuole considerare l’organizzazione come un’entità sociale, cioè come un gruppo umano

ordinato allo svolgimento di certe attività. Anche in questo ambito così delineato vi sono alcuni

problemi terminologici. In effetti, del concetto di organizzazione come entità sociale sono state

date tante e varie definizioni. Si può comunque giungere, tra le varie definizione date, a

individuare tra i vari gruppi umani associati le organizzazioni propriamente dette.

L’organizzazione resta così determinata con la presenza di:

- gruppo di persone associate

- per il conseguimento di uno scopo unitario

- che stabiliscono, per tale scopo, tra loro rapporti formalizzati

- aventi continuità nel tempo

- legittimato dal sistema sociale esterno

- con la possibilità di sostituire i propri membri, continuando a vivere

In termini operativi l’organizzazione può essere descritta come un flusso integrato di operazioni

svolte da attori tra loro collegati per il raggiungimento unitario di un obiettivo.

Tre sono le dimensioni fondamentali che inquadrano le organizzazioni:

- dimensione sociologica attinente ai meccanismi necessari per indurre certi comportamenti e

ai rapporti tra i gruppi di persone

36

- dimensione psicologica attinente ai rapporti tra gli individui e la stessa organizzazione

- dimensione logico- operativa attinente alla definizione delle operazioni

Rilevante importanza hanno quindi, nell’organizzazione, tutti quei meccanismi che, con

riferimento alle tre dimensioni, debbono essere posti in atto per assicurare che le attività

vengano svolte e raggiungano il fine proposto.

Il modello interpretativo più significativo di organizzazione è, come si è già detto, quello che

concepisce l’azienda come sistema aperto in quanto porta a sviluppare un approccio globale ai

problemi organizzativi. Per approccio globale si intende il modo di studiare e analizzare i

problemi organizzativi, pur nella loro specificità, nella consapevolezza dell’unitarietà

dell’azienda organizzata. Si tende perciò a considerare l’aspetto logico- operativo, quindi le

tecnologie, le procedure, il flusso delle operazioni unitamente all’aspetto delle dinamiche

psicologiche e dei processi sociologici tipici del fattore umano dell’organizzazione aziendale,

senza dimenticare il rapporto essenziale e determinante con l’ambiente socio-economico

circostante. In ogni atto organizzativo tutti questi elementi si fondono e si integrano: ogni

soluzione organizzativa deve quindi tenere conto delle implicazioni, delle esigenze delle leggi

di sviluppo di tutte le componenti o dimensioni della realtà aziendale.

Per il sistema aperto l’organizzazione, quindi l’azienda, è un insieme di comportamenti e

interazioni tra persone, finalizzate al raggiungimento di un fine unitario, in modo tale da

ottenere dall’ambiente un interscambio che aumenti le risorse del sistema. In questo insieme di

interazioni, la struttura rappresenta un elemento molto importante in quanto ha la finalità di

stabilire alcuni rapporti fondamentali. Questi rapporti sono quelli che definiscono le aspettative

di ruolo reciproche tra i componenti.

L’azienda è un sistema socio–tecnico di tipo cooperativo- conflittuale in cui situazioni di

tensione e di contrapposizione tra i gruppi interni che vi partecipano sono abituali e fisiologici.

Nel rapporto di scambio tra il lavoratore e l’impresa si creano interessi diversi e logicamente in

conflitto: l’azienda richiede il massimo rendimento rispetto ai costi che sostiene e il lavoratore

desidera il massimo risultato, cioè reddito da lavoro rispetto alla quantità e alle condizioni delle

prestazioni richieste. Questi conflitti si possono presentare in due momenti: quello contrattuale,

in cui le parti devono disciplinare il rapporto sul piano normativo, e quello successivo di

carattere operativo, in cui il rapporto deve essere gestito.

Tralasciando il momento contrattuale, nei suoi aspetti sia di contrattazione collettiva sia di

contrattazione aziendale, e tutti i suoi risvolti giuridici sindacali, è il secondo momento, cioè

quello relativo al processo di gestione, che sarà oggetto di analisi. La funzione di gestione del

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personale ha per obiettivo l’ottenimento del migliore rendimento dell’Organizzazione e

riguarda i problemi di impiego e di guida delle risorse umane.

Dirigere nel significato più tradizionale vuol dire “far sì che altri realizzino certe azioni” e

l’abilità direttiva si misura sotto questo profilo non solo in relazione ai risultati operativi

conseguiti ma anche in rapporto al clima delle relazioni di lavoro creato nell’azienda.

Questo secondo aspetto richiama i problemi di comportamento organizzativo legati, oltre che

alle scelte di determinate strutture, all’adozione di diversi stili di direzione.

Fondamentale ai fini del processo di gestione del personale è il concetto di “uomo” che si

assume alla base della costruzione dell’organizzazione. La storia delle teorie organizzative ci fa

capire come le tre fasi di sviluppo che hanno caratterizzato questa funzione aziendale derivano

dalle successive evoluzioni di tale concetto: l’Organizzazione Scientifica del Lavoro di Taylor15

è partita da una visione meccanicistica del ruolo dell’uomo nell’organizzazione, visto più come

strumento o meccanismo da far funzionare all’interno della macchina aziendale, che individuo

da motivare o da far partecipare alle scelte aziendali, come le due fasi storiche successive,

quella denominata “Scuola delle Relazioni Umane”16 e quindi quella “Sistemica” propongono.

Secondo le interpretazioni moderne, dunque, l’uomo non è più considerato come automa –

ingranaggio che si lascia inserire passivamente nel sistema aziendale ma come elemento attivo

da motivare e coinvolgere nel processo decisionale. Risulta evidente che una differente visione

del fattore umano implica una differente attuazione della funzione del personale, cioè un

diverso stile di direzione.

Si passa da una direzione autoritaria tradizionale di tipo autocratico, basata sul principio

dell’autorità, ad una direzione partecipativa basata sul consenso: la prima attuata

prevalentemente mediante la gerarchia del comando, la seconda mediante la creazione della

motivazione. In altri termini lo stile partecipativo si basa sul controllo legato alla motivazione e,

quindi sull’autocontrollo necessario nel “Modello Qualità”; quello autoritario, invece si

15

Frederick Winslow Taylor (1856 –1915), Direzione di officina, Principi di organizzazione scientifica del lavoro e la Deposizione di Taylor davanti alla Commissione speciale della Camera dei Rappresentanti sono gli scritti del Taylor, la cui traduzione è presentata da Aldo Fabris nel libro "L'organizzazione scientifica del lavoro”. 16 Le Human Relations, corrente americana psico - sociologica ,sono la risposta alla visione meccanicistica dell’uomo proposta dalla teoria

tayloristica. La “scoperta” del fattore umano e l’isolamento della variabile “uomo” nell’organizzazione aziendale furono il risultato di ricerche

nelle realtà aziendali americane soprattutto del primo dopoguerra che gettarono le basi della moderna psicologia industriale dimostrando i punti di

debolezza della teoria tayloristica.

Gli studi condotti, presso gli stabilimenti Hawthorne(Chicago) della Western Eletric Company che produceva impianti telefonici, dal gruppo di

Elton Mayo (1880- 1949) nei primi anni trenta misero in luce la correlazione fra produttività e rapporto tra i membri di un gruppo di lavoro

evidenziando come la realtà aziendale fosse costituita non solo dalle strutture formali ma anche da quelle informali, e come l’ambiente

psicologico fosse importante quanto quello tecnico.

38

impernia sul controllo esterno o supervisorio. Occorre considerare che, peraltro, nella realtà non

appare applicato integralmente l’uno o l’altro tipo di direzione ma si utilizza un’infinita gamma

di soluzioni in cui questi due tipi si integrano, perché qualsiasi organizzazione richiede

comunque l’esistenza di una gerarchia intorno a cui costruire, mediante la motivazione, rapporti

di consenso e partecipazione. Per ottenere il più elevato rendimento dal fattore umano appare

necessario, quindi, risolvere il problema dell’integrazione tra gli obiettivi individuali e quelli

dell’organizzazione. Il problema motivazionale può essere scomposto in due parti: nella

motivazione a partecipare che induce l’individuo ad accettare l’inserimento, di cui occorre

tenere conto nella fase di selezione, e nella motivazione a produrre, che spinge ad assicurare la

produttività richiesta dall’azienda.

I due tipi di motivazione rispondono ovviamente a stimoli diversi e richiedono, di conseguenza,

l’adozione di distinte tecniche ed incentivi.

2.5. La Cultura aziendale e la Leadership

La leadership è un’importante variabile organizzativa; lo stile direzionale può essere visto come

l’insieme di principi, di valori, di modi di essere ed esprime il carattere, la personalità e, quindi,

la cultura; rappresenta i criteri che si intendono attuare e a cui ciascun imprenditore/ manager e,

quindi, gli organi superiori aziendali, devono ispirarsi nella gestione del proprio ruolo e nelle

loro attività di programmazione, di organizzazione, di comando e di controllo. Condiziona,

evidentemente, il tipo di rapporti interni all’azienda e pertanto condiziona il clima aziendale.

Schien17 sostiene che la leadership e la cultura siano due aspetti della medesima realtà,

analizzare la leadership di un’organizzazione significa analizzare la sua cultura e viceversa.

Dagli anni ‘70, nelle grandi imprese, si è rilevata la tendenza a passare da controlli di tipo

prevalentemente burocratico a più sofisticati strumenti basati sulla interiorizzazione, da parte

dei dipendenti, dei valori e degli obiettivi dell’impresa in cui lavorano. Tale tendenza può

essere spiegata a causa delle situazioni sempre più complesse e turbolente dell’ambiente in cui

le imprese operano.

La sempre maggiore saturazione e maturazione dei mercati spinge le aziende a cercare, anche al

loro interno, innovazioni organizzative che le inducono ad abbandonare metodi, strumenti e

tecniche di derivazione tayloristica per ricercare nuovi modelli organizzativi che hanno nella

risorsa umana la leva strategica forse più forte.

Nella letteratura, soprattutto sociologico- organizzativa, da tempo compaiono studi ed analisi

sulle organizzazioni che privilegiano gli aspetti culturali, simbolici, riflessivi e i processi di

conferimento di senso. Essi vengono definiti “approcci morbidi” cui possono essere ricondotte

17 Schien E. Cultura d’azienda e leadership. Guerini e Associati Milano 1990

39

diverse scuole che affrontano lo studio delle organizzazioni sotto questi profili. Tuttavia si

possono sintetizzare in approcci culturalisti e approcci interpretativi, che rappresentano gli

estremi di una varietà di posizioni intermedie.

Gli approcci culturalisti o oggettivisti partono dal presupposto che le organizzazioni possiedano

una propria cultura, ossia un giacimento che si è progressivamente accumulato nel tempo: lo

studio di tale giacimento culturale può costituire la strada per capire il funzionamento sia delle

organizzazioni che dei soggetti che ne fanno parte.

In netta opposizione ai primi si situano gli approcci soggettivisti o interpretativi, il cui

presupposto considera la realtà esterna soltanto come una costruzione sociale risultante dal

conferimento di senso che i soggetti traggono dal flusso delle loro esperienze.

Schien, oggettivista, definisce la cultura: cumulativa, consensuale e pragmatica poiché nasce in

modo spontaneo e in maniera diffusa dall’esperienza di tutto il gruppo e si trasferisce, in modo

analogo, ai nuovi partecipanti all’organizzazione.

La cultura può essere analizzata attraverso i suoi aspetti fondamentali che l’autore individua in

questi tre livelli:

- gli artefatti

- i valori espliciti

- gli assunti di base

Gli artefatti costituiscono il livello più superficiale e sono gli elementi più facilmente

osservabili, ma non sempre altrettanto facilmente decifrabili, di un’organizzazione quali: il

gergo, l’abbigliamento, i simboli, i rituali ecc.

Ad un livello più profondo si situano i valori espliciti dell’organizzazione, relativi a discorsi

della leadership che li crea e li diffonde per rafforzare il senso di appartenenza e di solidarietà,

per legittimare le scelte dell’organizzazione, per creare consenso tra i membri.

Gli assunti di base, il livello più profondo, secondo la definizione di Schien sono le convinzioni

profonde ed inespresse, riguardanti alcune convinzioni fondamentali sulla natura umana, e si

possono variamente combinare tra loro, come ad esempio:

- il rapporto con la natura di dominio o di armonia

- le concezioni pessimistiche o ottimistiche della natura umana

- le concezioni democratiche o autoritarie dei rapporti umani

La cultura si può, in sintesi, definire come il controllo di terzo livello, essendo quello coercitivo

di primo livello e quello burocratico-gerarchico di secondo livello.

40

Il sociologo culturalista israeliano Kunda18, nelle sue analisi sulla Tech (l’impresa esaminata è

in realtà la Digital), associa al concetto di cultura quello di ideologia e avverte che un

capitalismo sviluppato, con immense risorse finanziarie, tecnologiche, conoscitive e

manageriali può pervenire ad un controllo delle persone estremamente più capillare e sottile di

quanto avveniva in passato. Tutta la ricerca di Kunda può essere letta come un’analisi della

fenomenologia che scaturisce dallo scontro tra il tentativo aziendale di colonizzare le coscienze

e le ambigue risposte che i dipendenti mettono in atto in relazione alla condotta aziendale.

Gli “stili” di direzione

Le tipologie presentate sono chiaramente delle generalizzazioni, poli estremi di possibili

situazioni che dipenderanno dalla personalità, dalla cultura, dall’ambiente e dal momento economico-

politico sociali dell’imprenditore e dei manager.

Lo stile autoritario

Si basa su una struttura fortemente accentrata del potere decisorio.

Si esercita mediante il comando ed il controllo.

Principio di fondo è l’esistenza di un rapporto gerarchico.

Il capo impone le sue decisioni.

Caratteristiche:

- il sistema informativo è di tipo accentrato, accessibile solo alla direzione

- il sistema di programmazione e di controllo è di tipo top-down

- tutte le decisioni che contano vengono prese dal capo

- i compiti vengono preordinati e distribuiti dalla dirigenza

- la gestione del personale viene condotta sulla base di principi gerarchici

- la valutazione viene attuata dal capo su apprezzamenti soggettivi

Lo stile partecipativo

Si basa su una struttura decentrata del potere decisorio.

Si esercita mediante i principi di delega e dell’autocontrollo.

Principio di fondo è il coinvolgimento dei subordinati nel processo decisorio.

Il capo esercita un ruolo di impulso, di coordinamento.

Il capo assume figura di leader.

Caratteristiche:

- il sistema informativo è di tipo distribuito, l’informazione è gestibile e accessibile dai vari

organi

- il sistema di programmazione e di controllo è di tipo bottom-up 18 Kunda G. l’ingegneria della cultura. Controllo, appartenenza e impegno in una impresa ad alta tecnologia – Comunità-Torino 2000

41

- tutte le decisioni vengono prese attraverso un coinvolgimento diretto dei subordinati

- i compiti vengono organizzati in modo flessibile, indicando, oltre al risultato da raggiungere

le alternative per svolgerli, lasciando al gruppo la scelta dei criteri di distribuzione interna dei

compiti

- la gestione del personale viene condotta motivando e incentivando la partecipazione

- la valutazione viene organizzata sulla base di parametri oggettivi e controllabili

Quale modello?

Si può considerare come, nel mondo attuale, vi sono molte spinte affinché i manager adottino

uno stile partecipativo, in realtà non vi è uno stile di direzione migliore in assoluto.

Lo stile di direzione rappresenta una condizione organizzativa che varia da un’azienda all’altra

e che può differenziarsi, all’interno della medesima azienda, in funzione di:

- Risorse umane

- Risorse tecniche

- Risorse organizzative

- Specifica situazione interna

- Situazione esterna

- Contesto culturale

Alla domanda su chi debba elaborare e gestire tale progetto manageriale, si può rispondere che

il sistema azienda ha la necessità di un’azione direzionale che elabori, realizzi e controlli

l’attività organizzativa più adeguata a garantire il raggiungimento degli obiettivi e dei fini e che

questa necessità è amplificata dalle dimensioni e da momenti economici complessi.

Già Fayol aveva individuato il fatto che l’attività direzionale abbia tra le sue numerose

responsabilità quella di dirigere e coordinare; spetta dunque con ogni certezza al management,

attraverso la propria funzione direttiva, il compito di elaborare, realizzare, controllare l’attività

organizzativa più adeguata per garantire il raggiungimento delle finalità fissate.

2.6. Nuovi Modelli Emergenti

Per rispondere alle turbolenze della domanda, ai problemi derivanti da mercati sempre più

saturi, alla globalizzazione, le imprese stanno cercando nuovi modelli organizzativi che hanno

spesso in comune principi, tecniche e metodi che possono essere ricondotti alla “qualità totale”.

In tale senso anche la Comunità Europea ha pensato di dare un contributo al sistema industriale

europeo introducendo le ISO9000 che hanno la Qualità totale come modello organizzativo di

riferimento.

42

Sicuramente sono modelli ancora in evoluzione. Si possono evidenziare comunque alcune linee

comuni e pensare di tratteggiare un modello basato prevalentemente sul principio dello sviluppo

verticale esterno che inaugura l'idea e l'esperienza dell'impresa rete come strumento per il

recupero di flessibilità organizzativa in presenza di un contesto ambientale che esige rapide

capacità di adattamento da parte delle aziende. Alcuni autori vedono in questo momento

economico la crisi del modello tayloristico, altrimenti definito fordismo, e leggono le nuove

tendenze organizzative come la progressiva affermazione di un nuovo modello di

industrializzazione denominato postfordismo19.

Comunque forse più che di un filone di studi si tratta ancora di un modo di operare che sta

interessando il mondo imprenditoriale europeo ed extra europeo negli anni più recenti e che sta

evolvendosi e perfezionandosi; è dalle esperienze aziendali che si stanno traendo i principi e le

tecniche organizzative che possono caratterizzare tale modello organizzativo.

Lo sviluppo organizzativo flessibile20 sembra stia attuandosi con specifici interventi nei tre tipici

livelli organizzativi:

- Livello dei meccanismi operativi

- Livello dello stile di leadership

- Livello della struttura organizzativa.

Sul piano dei meccanismi operativi da tempo si nota sempre più l'introduzione in azienda di

sistemi informativi e gestionali integrati di tipo computerizzato e in ambito produttivo si spinge

verso la realizzazione di sistemi flessibili di lavorazione per essere pronti al variare delle

esigenze produttive di mercato che richiedono una notevole attenzione ai flussi informativi

interni ed esterni

Sul piano dello stile di leadership si va verso modelli di direzione orientati alla partecipazione e

alla condivisione con politiche del personale tese a valorizzare le risorse umane.

Sul piano della struttura organizzativa si sviluppano strutture a rete che consistono nel costituire

sistemi organizzativi complessi originati dal collegamento a rete di più aziende, in cui i legami

sono di tipo contrattuale, decentrando non solo parti esecutive del ciclo produttivo ma anche

parti del processo di programmazione e di controllo. Questa organizzazione ottiene anche un

notevole frazionamento del rischio tra le imprese rete.

L'impresa tradizionale nel senso di fabbrica diventa un moltiplicatore di imprese collegate da

una rete informativa che consente una rapida trasmissione di comunicazioni determinando la

nascita dell'impresa rete.

19 A cura di G. Rullani e L. Romano: Il postfordismo idee per il capitalismo prossimo venturo 20 A. Fuser : Organizzazione Aziendale – Casa Editrice Tramontana - 1993

43

L'impresa fabbrica tende progressivamente a diventare un sistema impresa col decentramento a

terzi subfornitori di sempre più consistenti parti del processo produttivo, attuando uno sviluppo

organizzativo verticale di tipo esterno che sostituisce lo sviluppo organizzativo integrato e

coordinato, interno alle imprese tipico della produzione di massa.

A seguito del processo di decentramento si determina quindi una integrazione di tipo verticale

esterna anziché interna, con delega a terzi di realizzare e fornire particolari attività produttive,

commerciali e di servizi, necessarie all'impresa a capo della filiera.

Questo tipo di sviluppo organizzativo rende sempre più interagenti le grandi imprese e le PMI

che con rapporti di subfornitura nelle varie tipologie hanno un ruolo sempre più attivo e

strategico.

Gli ambiti aziendale interessati in questo processo di destrutturazione della grande impresa

possono essere relativi a:

- Ambito produttivo. Il decentramento è relativo a fasi del processo produttivo che possono

riguardare: fasi siadi progettazione che di realizzazione dei prototipi che di fasi di mera

produzione, manutenzione....

- Ambito commerciale. Si creano rapporti stabili per reti di vendita esterne e canali di

distribuzione, come ad esempio il franchising.

- Ambito dei servizi. Vengono esternalizzati ed organizzati servizi che possono variare dalla

logistica, ai trasporti, alla progettazione, alla formazione e a servizi tipicamente contabili.

L'impresa fabbrica tipica del modello fordista tende a diventare un sistema di imprese.

Da sottolineare come nello sviluppo di questo modello il decentramento si stia attuando in

modi diversi tra cui hanno peso determinante accordi sia nazionali che internazionali di

cooperazione o/e di partecipazione finanziaria in aziende di interesse strategico (creando un

gruppo nel senso classico o creando una rete di cooperazione basata su altro tipo di rapporto tra

cui la subfornitura ha posto determinante) che creino un sistema a rete stabile di informazioni e

di responsabilità.

Gli aspetti positivi e le opportunità offerti da tale modello possono essere così sintetizzati:

- Maggiore flessibilità

- Maggiore certezza dei costi e dei risultati attesi

- Maggior efficienza

- Ripartizione del rischio tra le imprese della filiera

- Maggiore possibilità per il top management di concentrarsi su questioni strategiche

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- Maggiori possibilità di impegnarsi sul controllo del prodotto e dei processi per realizzarlo

- Limitazione degli sprechi e una razionalizzazione dell'uso delle risorse

- Contenimento dello sviluppo verticale della struttura organizzativa

Le esigenze e i vincoli derivanti da tale modello sono:

- Coinvolgere i partner esterni per renderli funzionali al proprio processo di

programmazione, di produzione e di controllo.

- Programmare e controllare i flussi informativi

- Attivare all'interno e all'esterno rapporti di collaborazione

- Saper usare l'intervento finanziario come strumento organizzativo per sfruttare sinergie

- - Formare il management ad un approccio economico finanziario al fine di renderlo in

grado di utilizzare meglio le risorse e le capacità organizzativo gestionali

Decentramento e Subfornitura

La minimizzazione del costo di produzione e del rischio di mercato hanno purtroppo natura

contrapposta. La riduzione del costo di produzione si ottiene con le economie di scala e ciò porta

le aziende a predisporre impianti sempre più specializzati e automatizzati che producono

evidentemente grandi quantità standardizzate adatte a mercati con domande crescenti e

comunque non saturi. La riduzione del rischio di mercato, in situazioni economiche come le

attuali, si ottiene invece con l'aumento della gamma dei prodotti, con la differenziazione, quindi

con strutture tecniche molto versatili e flessibili che aiutino l'impresa a trovare nicchie di

mercato capaci di garantire la sua permanenza sul mercato. Occorre quindi cercare di coniugare

esigenze di flessibilità con spinte che invece porterebbero a creare impianti rigidi ed

estremamente specializzati. La grande impresa può ricercare flessibilità sia nella dimensione sia

nel decentramento e, come spesso accade, percorrendo tutte e due le alternative. La flessibilità

dell'impianto porta a ricercare nella duttilità delle macchine la risposta a tale necessità.

Occorre considerare che la flessibilità dell'impianto può essere vista sia come flessibilità

economica sia come flessibilità tecnica.

La flessibilità economica è la capacità dell'impianto di assorbire le riduzioni di produzione

misurata in termini di incremento dei costi unitari di produzione, al diminuire del grado di

utilizzazione dell'impianto. Tanto minore è l'incremento del costo, al diminuire

dell'utilizzazione, tanto più l'impianto è flessibile; tale caratteristica è quindi in relazione alla

struttura dei costi fissi e variabili dell'impianto.

La flessibilità tecnica, invece, consiste nella capacità tecnica dell'impianto di offrire la

possibilità di variare il mix di prodotti ottenibili.

45

In sostanza, l'azienda è chiamata a rendere compatibili esigenze di specializzazione con

esigenze di flessibilità dell'impianto e dell'organizzazione, mirando ad ottenere Automazione

Flessibile.

L'evoluzione tecnologica e informatica ha contribuito in maniera determinante a far sì che le

aziende possano dare questo tipo di risposta a questi problemi di scelta, in quanto si sono

progettati impianti polivalenti come ad esempio certi robot che cambiando con setup veloci ed

economicamente poco incidenti l'utensile, possono eseguire mansioni diverse. L'automazione

flessibile permette di aumentare la varietà dei prodotti, diminuendo i tempi di lavorazione,

consentendo di ridurre gli sprechi derivanti dal produrre beni in quantità esuberanti rispetto le

richieste di mercato e con qualità più rispondenti alle esigenze sempre più personalizzate dei

clienti, agendo, quindi, sulla riduzione delle scorte e sulla capacità di risposta alle richieste dei

clienti sia in termini di tempo che di versatilità. Il decentramento rappresenta l'altra risposta

possibile alla necessità di flessibilità delle aziende. Occorre chiarire che il decentramento in

certi ambiti industriali è stato percorso anche in risposta a logiche di make or buy diverse quali

la specializzazione e l'efficienza. Storicamente nella filiera tessile, ad esempio, le attività di

tintoria e candeggio sono da sempre esternalizzate perchè la loro esecuzione richiede un’ alta

specializzazione che le aziende trovano conveniente delegare a terzi. Nell'attività produttiva,

nella enorme varietà di casi possibili si possono individuare tre schemi generali in cui il

decentramento può essere attuato in modi diversi con rapporti di collaborazione, soprattutto di

subfornitura, di varia configurazione.

La struttura produttiva per componenti da assemblare può offrire ampie possibilità di

disaggregazione perché ogni componente può essere, a sua volta, oggetto di delega a terzi. La

distinta base del prodotto finale ha una struttura ad albero che mette in evidenza i vari livelli

dei componenti e potrebbe essere totalmente esternalizzata creando così una rete di aziende

legate da rapporti di collaborazione che possono essere diversi nei confronti dell'azienda che

assembla il prodotto. Come si è già detto l'azienda che detiene il core-business potrebbe

integrare tutta la distinta base o delegare a terzi, attuando così o un modello di azienda

integrata interna o esterna. Il ruolo della subfornitura in questo schema, è estremamente

importante e strategico e può connaturarsi sia in subfornitura di capacità ma soprattutto di

specialità.

La produzione per filiera è caratterizzata da fasi distinte di produzione ognuna delle quali

richiede una sua tecnologia specifica. In questo ambito, tipico esempio la filiera del tessile, la

netta distinzione tra le varie fasi può favorire il decentramento, come si è detto, sia nella logica

46

della flessibilità sia nella logica della specializzazione ed efficienza. Qui il ruolo della

subfornitura può essere quindi della subfornitura di specialità che di capacità.

Nell'industria di processo le possibilità del decentramento sono sicuramente più ridotte e

limitate. I rapporti di subfornitura possono assumere diverse configurazioni tra cui le più

ricorrenti sono quelle di subfornitura di capacità, di specialità , di varietà.

Al di la delle definizioni vorrei mettere in evidenza come la spinta alla differenziazione e alla

fidelizzazione del cliente interessa non solo la grande impresa nei confronti del mercato di

sbocco ma anche le PMI subfornitrici sia in una logica di filiera che di struttura per componenti.

La competizione sempre più agguerrita, anche in ambito internazionale, spinge le aziende

subfornitrici a rapporti sempre più sofisticati di subfornitura di specialità e di varietà, come

ricerche sulla subfornitura21 mettono in evidenza. La teoria della Qualità offre un approccio

organizzativo nella logica della catena cliente- fornitore, della soddisfazione del cliente, della

sua fidelizzazione e del miglioramento continuo che ben supporta sia il decentramento sia il

rapporto di subfornitura .

Capitolo terzo: La letteratura

3.1 Considerazioni sulla letteratura analizzata

Esiste ormai un’ampia letteratura sul tema Qualità, molti sono i testi indirizzati a manager ad

opera spesso di altri manager di successo che hanno sentito la necessità di condividere la loro

esperienza vincente. Sono sopratutto autori di scuola americana e di scuola giapponese, i loro

approcci alla Qualità, pur presentando alcuni punti in comune, denotano notevoli differenze

derivanti dalle culture di appartenenza, che hanno portato ad un’evoluzione diversa del modello

Qualità.

Il modello “Qualità” viene declinato anche in Italia dai molti autori22, che si sono occupati del

tema seguendo approcci differenti e spesso poco coordinati tra loro sia in ambito industriale,

dove è nata, sia in tutti gli altri settori in cui tale concetto si è trasferito, secondo le diverse

scuole di pensiero da cui traggono ispirazione.

La Qualità Totale, va considerato, ha molti padri e presenta diverse varianti. Vi è la qualità

secondo Deming, quella di Juran, di Crosby, Feingenbaum e molti altri, vi sono inoltre i

concetti di qualità “creati” dalle società di consulenza che hanno bisogno di differenziarsi e

promuovono quindi un loro modello sino ad arrivare a società di consulenza che, pur

proponendo il modello Qualità Totale, lo definiscono in altro modo.

Considero pertanto corretto presentare gli autori più rappresentativi, la cui rilettura mi ha

permesso di tornare a meditare su concetti che, usati spesso, per abitudine, si svuotano di 21 SUBFOR- Osservatorio Subfornitura 2000 22 tra i primi: A. Galgano nel 1990 con il libro “La Qualità totale”

47

significato, così da poter dare, in primo luogo, contenuto al termine ”Qualità”, nell’ambito in

cui è sorto e si è evoluto come concetto e modello manageriale, per poi cercare di declinare il

concetto di Qualità in Sanità, oggetto del mio successivo lavoro. Inoltre va considerato che

molti scritti degli autori presentati sono stati pensati e pubblicati per capire la perdita di

competitività delle imprese americane nei confronti delle imprese giapponesi e per cercare di

incoraggiare l’occidente a recuperare il gap di competitività

Una leadership forte, una gestione attenta delle risorse umane, la formazione continua, una forte

tensione al miglioramento continuo, l’attenzione al cliente, l’uso efficiente ed efficace delle

risorse sono i tratti più salienti del modello “Qualità” o quanto meno di un modo di fare

impresa adatto ai tempi attuali, caratterizzati da grande complessità, da crescita lenta in molti

mercati ormai maturi e saturi.

Gli autori presentati in rapida sintesi hanno quale elemento comune il richiamo ai manager

riguardo all’avere un disegno e a gestire i cambiamenti, anzi la provocazione sul poter essere

innovativi e propositivi sempre, non solo nei momenti di crisi. Tutti sottolineano l’importanza

di una leadership forte, innovativa e invitano i manager ad operare cambiamenti soprattutto di

tipo strategico e culturale, per vedere la realtà con nuove prospettive.

Il termine Qualità viene usato, da tutti gli autori presentati, per indicare un modo di agire, di

produrre, una mentalità che porti a fare bene la prima volta ciò che il cliente chiede. Lo scopo

di questa strategia non è solo rispondere alle esigenze del cliente ma anche per ridurre i costi,

obiettivo primario come la “soddisfazione del cliente” (altro termine troppo abusato, soprattutto

dal marketing, e che non uso volentieri), in una logica di miglioramento continuo sia nella

ricerca dell’efficienza che dell’efficacia. Diversi sono invece gli approcci metodologici che

credo, in sintesi, si possano riassumere in “Qualità” giapponese e “Qualità”occidentale. Ritengo

sia possibile affermare che sono due gli aspetti su cui, fondamentalmente, si differenziano le

due strade: il primo riguarda il diverso approccio culturale, il secondo l’attenzione alle persone

piuttosto che agli standard che evidenziano le due alternative.

La lettura comparata dei testi di Feigenbaum e Ishikawa fa risaltare, a mio parere, in maniera

molto chiara, il diverso approccio culturale. L’interpretazione sistemica della Qualità si

contrappone alla visione specialistica, espressione di una mentalità che risente ancora del

Taylorismo. Nel modello manageriale di stampo giapponese, la “Qualità” indica una cultura

aziendale in cui tutte le funzioni devono concorrere ad ottenerla, mentre nel modello

occidentale la “qualità” viene affidata ad una funzione specialistica. Questa interpretazione ha

condizionato molto il modello occidentale, come si può ben rilevare sia nella costruzione delle

norme ISO, sia nella realtà di molte aziende. Ishikawa, nel suo libro”Che cosa è la Qualità

48

Totale?”, critica questa impostazione poiché considera che l'approccio occidentale al TQM

ponga troppa enfasi sul tradizionale reparto di controllo della qualità. Ishikawa commenta che è

il professionismo a caratterizzare il mondo occidentale, inducendo Feigenbaum, manager

americano fautore della Qualità Totale, a pensare alla Qualità Totale condotta essenzialmente

da specialisti del Quality Control. L’approccio giapponese invece si è differenziato da quello

proposto da Feigenbaum come si evidenzia dalle parole di Ishikawa che dichiara: "sin dal 1949

abbiamo insistito sul fatto di rendere partecipi tutte le divisioni e tutti i dipendenti nello studio

e nella promozione del QC. Il nostro movimento non è mai stato dominio esclusivo degli

specialisti del QC." L’autore giapponese spiega, sempre nel suo lavoro, che aveva pensato di

ricorrere alla definizione "Controllo di qualità esteso all'intera impresa” per differenziare il

metodo giapponese dal modo occidentale di fare Qualità, ritenendolo troppo ridondante e in

occasione del simposio sul QC del 1968, si decise di impiegare il termine Company-Wide

Quality Control.

Le ISO, di cui si tratterà più avanti, risentono molto dell’impostazione occidentale; prevedono

infatti il responsabile della Qualità, che la direzione deve nominare quale sua emanazione, a cui

viene affidata la gestione dell’iter proposto dalle norme che chiedono aderenza ai requisiti in

esse contenuti. Nella realtà, questo modo di procedere ha portato a creare, in molte aziende, la

presenza di due percorsi organizzativi paralleli, uno reale e l’altro cartaceo in rispondenza ai

requisiti della norma. Le ISO chiedono di produrre una documentazione a testimonianza del

progetto organizzativo dell’azienda in cui viene utilizzata anche una propria terminologia che

ha spinto spesso le organizzazioni a ritenere necessario produrre documentazione, non tanto per

essere utilizzata al suo interno, bensì per soddisfare i requisisti della norma. Negli anni ’70 vi

è una ripresa dell’approccio istituzionalista23, una scuola di pensiero importante e composta da

molte correnti e filoni nelle scienze economiche, politiche e sociali con in comune il

riconoscimento dell’importanza delle istituzioni nel condizionare i comportamenti umani. Gli

uomini creano le istituzioni e poi ne sono condizionati

Alla domanda: “per quale ragione organizzazioni dello stesso tipo sono così simili tra loro”,gli

autori Meyer e Rowan24 rispondono che sono in atto processi di Isomorfismo

Meyer e Rowan, in un saggio del 1977, osservano che le organizzazioni operano in contesti

altamente istituzionalizzati che stabiliscono dei criteri di razionalità che le imprese sono tenute

23 Philip Selnick padre fondatore della prima fase dell’istituzionalismo Anni 1940-1960 Fuondations of the theory of organitations. American Sociological Reviw 13/2/1948

24 Meyer J.e Rowan B. Il neo-istituzionalismo nell’analisi organizzativa. Comunità Milano 2000

49

a rispettare per essere giudicate efficienti. Gli autori osservano che siamo entrati in un mondo

profondamente diverso.

Le imprese, una volta, nascevano per iniziativa dell’imprenditore e questi doveva avere

sufficiente spirito di intraprendenza, intuito e propensione al rischio. Oggi la società è popolata

da tante istituzioni di ogni tipo che formano un fitto reticolo di normative da rispettare che

condizionano l’agire delle aziende. I criteri che governano lo sviluppo dei processi di

isomorfismo vengono indicati dagli autori in potenti regole istituzionali che definiscono Miti

razionali. L’espressione è un ossimoro che indica Regole che non si basano su prove empiriche

ottenute con metodo scientifico ma sono legittimate dalla convinzione di essere razionalmente

efficaci ed efficienti o conformi a un mandato legale. Favoriscono la creazione di nuovi campi

di attività per soddisfare il business alimentato dai miti stessi.

Tipici miti razionalizzati, indicati dagli autori, sono, ad esempio, la Normativa della Qualità

Totale nella certificazione di prodotti e di sistemi aziendali. Gli autori distinguono due tipi di

organizzazioni: quelle che recepiscono dall’esterno i criteri di razionalità (musei, teatri, scuole,

chiese, associazioni di volontariato) e quelle che hanno criteri propri che possono confliggere

con l’esterno (imprese). Le seconde pongono ai ricercatori i problemi più interessanti a causa

del contrasto che si può creare tra i loro criteri di efficienza e quelli suggeriti dalle istituzioni

esterne.

Si possono generare due possibili strutture parallele, una formale e una informale. La struttura

formale è visibile e rispetta i cerimoniali esterni. La struttura informale è discretamente

nascosta per seguire le proprie regole di efficienza. Le pressioni istituzionali che spingono le

organizzazioni a diventare sempre più simili tra loro non è detto, come osservano i due

ricercatori, contribuiscano a renderle più efficienti. Un importante approfondimento su questo

tema viene da Powel (1949) e Di Maggio25, che, in un articolo del 1983, propongono il campo

organizzativo come risposta alla ricerca delle ragioni del processo di isomorfismo.

Il campo organizzativo viene definito come: un insieme di organizzazioni e di soggetti che

costituiscono un’area riconosciuta di vita istituzionale come imprese, fornitori, consumatori

che nel loro complesso costituiscono un’area riconosciuta di vita istituzionale. Il concetto di

organizzazione si allarga fino a includere anche i campi organizzativi e scompare la distinzione

tra organizzazioni che subiscono pressioni e altre che le esercitano.

L’isomorfismo, inteso come omogeneizzazione nei criteri e nelle prestazioni interne in un

campo organizzativo, è il risultato dell’azione di tutti gli attori presenti in un campo

organizzativo. 25 Di maggio P., Powel W. The iron cage revisited : Institutional isomorphism and collettive rationality American Sociological Review aprile 1983

50

I ricercatori distinguono tra:

- Isomorfismo coercitivo: quando l’organizzazione è sottoposta a pressioni esterne, tipicamente

vincoli di leggi o clausole contrattuali come l’impresa capofiliera con le aziende subfornitrici.

- Isomorfismo mimetico (imitativo) quando le aziende per fronteggiare le incertezze mettono in

atto processi imitativi.

- Isomorfismo normativo: che nasce da processi di professionalizzazione ossia quando gli

appartenenti all’organizzazione apprendono nuovi metodi, tecniche o tecnologie in centri

specializzati, volontariamente senza costrizioni ma per la consapevolezza della validità delle

innovazioni rispetto al tradizionale modo di operare.

Queste ricerche mi sembrano costituire un interessante punto di vista che ho ritenuto utile

presentare, in quanto offre notevoli spunti di riflessione sulle norme Iso nonché sul fenomeno

certificativo, così strettamente ad essa collegato e caratterizzato da notevoli effetti distorsivi che

saranno presi in esame nel corso di questo lavoro.

L’articolo di Kume, con la cronaca dei dibattiti svolti durante i comitati tecnici per la redazione

delle ISO, conferma questa differenza culturale di approccio e chiarisce anche l’altro aspetto

molto discusso ossia l’esistenza di due anime della “Qualità”: una basata sull’attenzione alle

persone, l’altra sugli standard. Dalla letteratura classica deriva l’idea dell’organizzazione ideale

realizzata attraverso strumenti razionalmente orientati al raggiungimento di determinati scopi.

Ogni organizzazione è caratterizzata da :

- Una catena di comandi

- Competenze tecniche e manageriali

- Divisione del lavoro

Uno dei problemi da risolvere, come si è già detto, in ogni progetto organizzativo, è la delega

dei compiti (e il suo grado) che richiede meccanismi di coordinamento e di controllo delle

attività delegate. Perché l’organizzazione sia efficiente ed efficace, in maniera regolare e

costante nel tempo, si ritiene, sempre nella visione classica che considera un’organizzazione

come una struttura formale, che il management debba standardizzare le prestazioni lavorative e

rendere sempre di più intercambiabili gli addetti tra loro prescindendo dalle capacità personali.

Questa impostazione, che concepisce un’organizzazione come una struttura formale, è alla base

della standardizzazione dei ruoli e delle procedure aziendali tipiche dei modelli di ispirazione

tayloristica.

51

Occorre considerare, invece, come nella realtà delle azienda vi sia la presenza di attività

routinarie e di attività creative, di decisioni di routine e decisioni critiche. La burocrazia, tipico

apparato organizzativo, non è quindi composta da ruoli tutti uguali. Molti autori, anche di area

americana, hanno rilevato che il principio weberiano 26della competenza disciplinata è, in

effetti, un ossimoro. La competenza contrasta con la disciplina. La maggior parte delle

burocrazie è organizzata in modo da distinguere tra lavori di elevata professionalità (dove il

principio della competenza è istituzionalmente riconosciuto come superiore alla disciplina) e

mansioni di scarso contenuto professionale (dove la disciplina sovrasta quello della

competenza). Mintzsberg 27distingue tra burocrazia professionale e burocrazia meccanica e

sostiene che il controllo dell’organizzazione debba poggiare su diversi criteri. Nella burocrazia

professionale, che comprende ruoli che richiedono dei margini di discrezionalità e di iniziativa

personale, il controllo è esercitato sulla formazione iniziale e sui risultati mentre nella

burocrazia meccanica, in cui le mansioni sono ripetitive e standardizzate secondo procedure

prestabilite (sia a livello operaio che impiegatizio), il controllo è esercitato sulle modalità di

prestazioni del lavoro affidato. Rimandando gli approfondimenti alla vasta letteratura inerente

agli aspetti sociologici delle organizzazioni, va ricordato che esistono diverse scuole di

pensiero, molte correnti e filoni nelle scienze economiche, politiche e sociali che affermano

come:

- l’organizzazione formale sia solo un aspetto di una struttura sociale concreta;

- l’organizzazione sia formata da uomini e non da esecutori di ruoli assegnati;

- l’organizzazione sia inserita in un ambiente che non è neutro ma che esercita influenze

continue che costringono l’organizzazioni ad adattamenti continui;

- le persone e l’ambiente esterno all’organizzazione siano indispensabili;

- le persone e l’ambiente esterno siano fonti di dilemmi, tensioni.

Queste considerazioni cercano di motivare le due diverse anime della “Qualità”, espressioni, sì,

di culture diverse ma anche espressioni della complessità della realtà e per questo integrabili.

Anche Ishikawa, nell’esporre le proprie opinioni sul modello occidentale e sulle Iso, invita a

considerare come le due anime debbano integrarsi, rappresentando due realtà presenti in

azienda di cui occorre tenere conto.

26 I principi della burocrazia enunciati da Weber. Da Giuseppe Bonazzi Come studiare le organizzazioni. Il Mulino Bologna 2002 . 27 Mintzberg Henry La progettazione dell'organizzazione aziendale

52

Il Quality management basato sugli standard, cui si rifanno le norme ISO, cerca di ottenere la

qualità creando standard perché le persone che compongono l’organizzazione li seguano per

essere controllati in modo da verificare, in seguito, che ciò sia avvenuto. La qualità viene

assicurata documentando il flusso di lavoro ed emettendo istruzioni scritte che descrivano i

metodi da utilizzare. Documentare le attività, gli obiettivi e i metodi del processo indica che

cosa occorra fare e chi lo debba fare. Gli standard sono creati dall’organizzazione e tengono

conto delle diverse situazioni. Il come fare dipende dalle dimensioni dell’organizzazione, dal

settore, dalla cultura aziendale. Il total Quality giapponese e quello che nel mondo occidentale

deriva direttamente da esso (in Italia il modello proposto da Galgano28 e dal Premio Qualità

Italia) è sicuramente più incentrato sulle persone, pur nel rispetto delle procedure di cui

riconosce, evidentemente, la necessità e l’utilità, e trova nella gestione del personale e nella

formazione, le leve strategiche per avere una risorsa umana motivata e responsabile. I testi di

area giapponese mettono in rilievo come la storia del Quality management, in Giappone,

consista in un resoconto del faticoso cammino culturale e formativo che è stato necessario per

ottenere l’adesione, soprattutto culturale, dei manager. Molti autori descrivono la cronaca degli

altrettanto faticosi tentativi di ottenere risposte al come fare, in termini operativi, attraverso un

processo di prove e di errori, piuttosto che sul cosa fare, approccio proposto dalla “Qualità”

basata sugli standard e quindi anche dalle ISO.

Questo modello manageriale, nelle due accezioni, ha, senza dubbio, un approccio molto

pragmatico, considera l’organizzazione nei suoi processi produttivi, nella sua fisicità, nei

problemi gestionali di tutti i giorni; dà significato al progetto organizzativo gestionale che ogni

azienda deve formulare, alla luce dei problemi legati a mercati sempre più complessi. La teoria

della “Qualità Totale”sviluppa il concetto di qualità evolvendolo da qualità controllata e

osservata a livello di prodotto, a qualità del sistema azienda in cui tutte le funzioni aziendali

sono coinvolte per l’ottenimento degli obiettivi aziendali. Penso sia necessario rivolgere

attenzione al cambiamento culturale e quindi organizzativo a cui le aziende sono chiamate per

arrivare a comprendere un approccio che, tenendo conto delle istanze della domanda, mutate

rispetto a quelle che hanno fatto sorgere il modello tayloristico, ponga la prevenzione, il

controllo del sistema, la soddisfazione del cliente e il miglioramento continuo quali fattori

essenziali.

28 Alberto Galgano: “La Rivoluzione Manageriale , ripensare la Qualità Totale “ Il sole 24ore libri 1996

53

Ogni cambiamento è difficile da gestire, occorre che vi sia una crescita culturale faticosa da

raggiungere nel breve periodo. Anche Taylor29, enunciando la propria teoria, invitava ad un

salto culturale sia gli imprenditori sia gli operai affinché il suo metodo potesse essere capito e

applicato.

Al di là di certe dichiarazioni troppo enfatiche, quali “la mission dell’azienda è la soddisfazione

del cliente”, il profitto rimane, come sempre, il fine primario aziendale, cambia solamente la

temporalità. Il profitto non è più obiettivo di breve periodo, come nei modelli classici, ma

diventa fine di lungo periodo. Quindi se si realizzano obiettivi di breve periodo quali la

soddisfazione del cliente, il miglioramento continuo e senza fine della qualità, la ricerca assidua

di nuovi prodotti, il coinvolgimento del personale, si pongono presupposti essenziali per

ottenere, nel lungo periodo, risultati positivi e duraturi, poiché permettono all’ azienda di

accrescere valore al proprio prodotto, rendendola capace di attestarsi sul mercato in modo

sempre più concorrenziale.

La contrapposizione tra il modello gestionale, derivante dall’applicazione della teoria della

qualità totale, e i modelli tradizionali, derivanti dall’applicazione della teoria

dell’organizzazione scientifica del lavoro, va quindi vista, secondo la mia opinione, non come

una distinzione tra modelli migliori o peggiori per gestire l’azienda, bensì come differenza tra

modelli sorti per rispondere ad esigenze diverse che i mercati hanno manifestato.

L’organizzazione scientifica del lavoro, teoria sviluppata dal Taylor nell’America dei primi del

‘900, rispondeva alle esigenze delle aziende di fronte a mercati in cui la produzione di massa

era l’istanza principale. I suoi principi fondamentali quali: la parcellizzazione della mansione, la

separazione fra esecuzione e controllo, la misurazione di tempi e metodi, hanno portato le

aziende ad una organizzazione scientifica adatta a produzioni di massa, ad economie di scala in

un contesto economico in cui le aziende erano ancora entità artigianali, non organizzate e

strutturate, e in cui i mercati avevano la capacità di assorbire quantità notevoli di prodotti

rispondenti a bisogni ancora primari o a bisogni secondari nascenti (il mercato dell’automobile

e la Ford sono il classico esempio).

La differenziazione, le nicchie di mercato e l’innovazione sono le risposte che, oggi, le aziende

devono trovare all’attuale situazione economica. La teoria della qualità costituisce una risposta

alle esigenze dell’azienda di trovare strategie che la rendano capace di perdurare sui mercati.

Vorrei, inoltre, mettere in evidenza come la strategia Qualità possa dare un grosso contributo

all’innovazione aziendale, sicuramente fattore critico. L’innovazione, per definizione, costa

29 L'organizzazione scientifica del lavoro Frederick Winslow Taylo, a cura di Aldo Fabris

54

molto sia se acquistata sul mercato, sia prodotta all’interno. Questo è vero per l’innovazione

intesa come invenzione ottenuta e nei centri ricerca e nei laboratori. Ma innovazione può anche

significare, ad esempio, piccole modifiche nei prodotti, piccoli miglioramenti nei processi

produttivi e nei rapporti con i clienti. Si può affermare che l’innovazione, così intesa, sia

caratteristica comune delle piccola media azienda italiana. Il coinvolgimento maggiore al

processo produttivo della risorsa umana, lo stimolo a fare sempre meglio, insiti in tale strategia,

producono un effetto positivo sull’Innovazione finalmente così intesa.

Il modello “Qualità” non è solo il modello Toyota, si è detto che vi sono diversi padri e molte

applicazioni di questo modello manageriale: senza dubbio è, in realtà, un modello in cui

l’aspetto culturale è il punto focale e centrale. Tanti sono gli aspetti tecnici, gli strumenti, i

metodi a cui si può ricorrere, ogni azienda adotterà quelli che riterrà più funzionali e utili. Gli

autori sottolineano, spesso con enfasi, che, oltre ad una forte leadership, occorre la risorsa

umana motivata, che condivida gli obiettivi aziendali per poter implementare questo metodo.

Nella tensione al miglioramento continuo, che vuol significare pure una continua crescita

culturale, professionale dell’organizzazione, la risorsa umana deve essere costantemente

formata. Va considerato come la formazione rappresenti, inoltre, una forte leva strategica per

gestire tale risorsa, su cui tutti gli autori sono concordi.

3.2.W. Edwards Deming

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la Japanese Union of Scientists and Engineers

(JUSE), organizzazione privata tra Accademici e Ingegneri Giapponesi fondata nel 1946, chiese

a W.E.Deming di partecipare ad un seminario per manager e ingegneri. Deming, va rilevato, non

era solo uno studioso e un formatore, ma è stato anche consulente di diverse aziende sia

pubbliche che private di diversi settori produttivi e di servizi.

Gli argomenti trattati nelle conferenze furono:

- il ciclo Plan- Do- Check- Action, conosciuto come cerchio di Deming, e il suo impiego per

migliorare la Qualità

- l’importanza di conoscere la dispersione statistica

- il controllo di processo mediante le carte di controllo

Come si è già detto, questi principi sono stati alla base della rinascita delle aziende giapponesi

nel dopoguerra. Nel libro “Out of the crisis”, uno dei suoi testi fondamentali, tradotto in italiano

“L’impresa di Qualità”3 Deming manda, alla fine degli anni 80, un messaggio forte al

3 W.Edwards Deming “L’impresa di qualità”, ISEDI Petrini Editore 1991

55

management americano per uscire dalla crisi competitiva nei confronti del Giappone. Lo scopo

dichiarato della sua pubblicazione è spingere e favorire la trasformazione dello stile

manageriale occidentale. La leva fondamentale per uscire dalla crisi competitiva è, secondo

l’autore, l’innovazione della cultura manageriale. Deming considera come lo stile manageriale

americano non sia stato capace di adattarsi ai mutamenti economici e invita i manager a

misurarsi con i 14 punti da lui proposti e già seguiti, con buoni risultati da molte imprese.

La teoria Qualità di Deming è sicuramente incentrata sui mezzi statistici per ridurre le

variazioni nella produzione, ma i suoi famosi "14 punti del Management", che vengono riportati

di seguito, riflettono una preoccupazione costante per tutti coloro che lavorano in azienda ed un

invito pressante ai manager perché cambino mentalità:

1. Create costanza rispetto allo scopo di migliorare il prodotto e il servizio, con l'obiettivo di

diventare competitivi e di restare nel business nonché di creare posti di lavoro.

2. Adottate la nuova filosofia. Ci troviamo in una nuova era economica. I manager occidentali

devono affrontare la sfida, assumersi le loro responsabilità e guidare il cambiamento.

3. Interrompete la dipendenza dagli esami per raggiungere la qualità. Eliminate la necessità di

esami a livello di massa innanzi tutto attraverso la costruzione della qualità all'interno del

prodotto.

4. Cessate la pratica di assegnare i compiti sulla base di etichette di prezzo. Piuttosto,

minimizzate i costi totali. Rivolgetevi ad un singolo fornitore per ognuno degli articoli,

instaurando un rapporto a lungo termine di lealtà e fiducia.

5. Migliorate continuamente il sistema di produzione ed il servizio, al fine di incrementare la

qualità e la produttività e di ridurre costantemente i costi.

6. Introducete l'addestramento al lavoro.

7. Istituite la leadership. Il compito della supervisione dovrebbe essere quello di aiutare le

persone, le macchine e gli accessori a funzionare meglio. La supervisione del management

ha bisogno di controllo così come la supervisione degli addetti alla produzione.

8. Eliminate la paura, in modo che ognuno possa lavorare efficacemente per la società.

9. Rompete le barriere tra i vari reparti. Le persone addette alla ricerca, alla progettazione, alle

vendite e alla produzione devono lavorare come una squadra, affinché si possano prevedere

i problemi di produzione a partire da una conoscenza diretta del prodotto e del servizio.

10. Eliminate gli slogan, le esortazioni e gli obiettivi che richiedono alla forza lavoro zero

difetti e nuovi livelli di produttività. Tali esortazioni creano soltanto rapporti conflittuali, dal

momento che l'insieme delle cause della bassa qualità e della bassa produttività

appartengono al sistema e non dipendono perciò dalla forza lavoro.

56

11. Eliminate standard di lavoro (quote) nel piano dell'azienda. Sostituite la leadership.

12. Eliminate il management per obiettivi. Eliminate il management per numeri, gli obiettivi in

termini numerici. Sostituite la leadership.

13. Rimuovete le barriere che privano il lavoratore assiduo del suo diritto di esser fiero di

appartenere alla forza lavoro.

14. Rimuovete le barriere che privano le persone addette al management e alla progettazione

del loro diritto di esser fieri di appartenere alla forza lavoro. Ciò comporta, tra le varie cose,

l'abolizione della valutazione annuale dei meriti e del management per obiettivi.

15. Istituite un vigoroso programma di educazione e di auto-miglioramento.

16. Mettete a lavorare tutti i componenti della società in modo da realizzare la trasformazione.

La trasformazione è compito di tutti.

Tutto il testo si occupa con enfasi e pragmatismo tipicamente americano di leadership ed

enuncia, in quasi ogni pagina, un principio di buona leadership su cui l’autore invita il lettore a

meditare portando e discutendo anche esempi positivi e negativi. Insiste soprattutto nel

sottolineare come il lavoro del management non consista nel controllo ma nella leadership.

Deve cessare la dipendenza da verifiche e ispezioni, occorre abolire gli standard di lavoro e gli

obiettivi numerici. Il management deve pensare a perseguire con costanza l’obiettivo del

miglioramento continuo. La leadership, secondo Deming, dovrebbe avere lo scopo di migliorare

le prestazioni dell’uomo e delle macchine, di migliorare la qualità, di aumentare la produzione

e, allo stesso tempo, di fare in modo che chi lavora possa essere orgoglioso della propria

capacità professionale.

Esprimendo il concetto al negativo, lo scopo della leadership non dovrebbe essere quello di

limitarsi a individuare e a registrare gli errori degli uomini, ma dovrebbe eliminare le cause di

questi errori aiutando le persone a svolgere meglio il proprio lavoro e con minore fatica.

Concetto ricorrente nel testo è che la Qualità deve essere perseguita a partire dallo stadio della

progettazione: quando la progettazione è partita, può essere troppo tardi per perseguire la

Qualità.

Un prodotto dovrebbe essere considerato unico; la Qualità parte da un obiettivo del

management che deve tradursi in progetti, specifiche e collaudi nel tentativo di consegnare al

cliente ciò che ha chiesto e di tutto questo il management è responsabile.

Deming sottolinea inoltre come in America si sia sempre verificata una forte preoccupazione

nel definire e rispettare le specifiche, a differenza dei giapponesi che invece hanno

57

costantemente mirato a raggiungere l’uniformità e hanno cercato di avere sempre meno

variazioni nella produzione.

Lo studio dei dati registrati permette di tenere sotto controllo statistico un processo e di

migliorarlo. Il grande vantaggio del Jit è la disciplina su cui si basa: processi sotto controllo;

qualità, quantità e regolarità prevedibili. Le aziende in Occidente, osserva l’autore, hanno un

reparto di controllo della qualità: purtroppo i reparti di controllo della qualità hanno sottratto il

lavoro della qualità alle persone che meglio potevano occuparsene, vale a dire il management, i

capi, gli operai.

Deming ritiene che la formazione abbia un ruolo fondamentale, sebbene debba essere

completamente ripensata, ed essere rivolta a tutti gli appartenenti all’organizzazione a partire

dai manager, asserendo inoltre, che chi si occupa di formazione deve sapere tutto sull’azienda

per comprendere le variazioni nelle caratteristiche della produzione.

Un manager non può imparare soltanto dall’esperienza passata cosa occorra fare per migliorare

la qualità, la produttività e la posizione competitiva dell’azienda, un manager deve dedicare

molto tempo all’apprendimento di una nuova filosofia che si concretizza in metodi, tecniche e

comportamenti precisi e chiari, in grado di mettere in discussione consolidate abitudini e modi

di ragionare.

Deming sostiene che il management sia responsabile al 94% dei problemi di qualità, dal

momento che è il management stesso a determinare il sistema produttivo gestionale.

In sintesi, Deming ritiene che la causa principale della perdita di competitività delle aziende

americane dipenda dal management, per la sua incapacità di svolgere il proprio lavoro che

consiste soprattutto nel prevedere i cambiamenti e i problemi che ne derivano.

Il Deming Prize (attribuito ad una singola persona) e il Deming Application Prize (attribuito ad

organizzazioni), istituiti nel 1951dai giapponesi in onore dello studioso americano,

costituiscono in Giappone la più alta onorificenza nel campo della Qualità. Sono strumenti

creati allo scopo di spingere le aziende giapponesi ad applicare il Company Wide Qualità

Control ed ottenere che buoni risultati siano raggiunti attraverso l’implementazione di attività di

controllo di qualità estese a tutta l’organizzazione. La strategia su cui poggiano i premi consiste

in un processo di autovalutazione guidata. Per partecipare, quindi, ai premi le organizzazioni

devono sottoporsi ad un’autovalutazione della struttura rispetto a determinati requisiti, il cui

livello cresce di anno in anno per aumentare il livello della Qualità, nella logica di

miglioramento continuo.

58

3.3.Joseph M. Juran

Il dottor Juran fu premiato con l'Ordine del Tesoro Sacro dall'Imperatore Hiro Hito "per lo

sviluppo del controllo della qualità in Giappone e per aver promosso l'amicizia tra USA e

Giappone".

Questo premio è il più alto onore che il Giappone possa conferire a uno straniero.

Come Deming, Juran sostiene, in “Managing for Quality - the critical Variable” che il top-

management ha l'obbligo di innalzare i comuni livelli di qualità. Egli distingue tra "comandare"

e "comandare col consenso" ed avverte che i senior manager devono fare molto di più di quanto

non stiano facendo oggi, se desiderano che le loro organizzazioni di prodotti e servizi

raggiungano standards di qualità mondiale.

Il top-management non può, a suo parere, scaricare le responsabilità sulle spalle dei subordinati.

Juran ha riassunto molto bene la situazione che per molti decenni ha caratterizzato le aziende

occidentali nel loro approccio alla qualità:

- costi e consegne come principali priorità, non la qualità.

- la performance sul campo dei prodotti adeguata a quella dei concorrenti e non ai

bisogni dei clienti.

- alti costi della non qualità, nascosti nei costi standard.

- importanza al raggiungimento degli standard, non al miglioramento.

- la qualità come problema dei processi produttivi ma non degli altri processi

aziendali.

- assenza di una diretta leadership dei vertici aziendali per la qualità; la

responsabilità è delegata o alla linea o all’ufficio qualità o a nessuno.

Anche Juran elenca diversi punti, 10 per l’esattezza, per attuare i miglioramenti di qualità:

- Costruire consapevolezza circa la necessità e l'opportunità di ricorrere al

miglioramento.

- Predisporre gli obiettivi del miglioramento.

- Organizzarsi in modo tale da raggiungere gli obiettivi; (determinare un consiglio di

qualità, identificare i problemi, selezionare progetti, designare gruppi, scegliere i

facilitators).

- Fornire addestramento.

- Attuare progetti per risolvere i problemi.

- Riferire i progressi.

- Attribuire i riconoscimenti.

59

- Comunicare i risultati.

- Segnare il punteggio.

- Mantenere l'impulso attraverso un tracciato dei miglioramenti annuali dei sistemi e

dei processi regolari della società.

Juran incoraggia a pensare alla qualità a due livelli: "adeguatezza all'uso" e "conformità alle

caratteristiche".

Un dato prodotto potrebbe soddisfare tutte le caratteristiche che il produttore ha stabilito ma

non essere adeguato all'uso.

Juran fa anche notare che la qualità può costare sia di più, sia di meno: di più se siamo disposti

a pagare la qualità di una Cadillac rispetto alla qualità di una Hyundai; di meno se stiamo

utilizzando metodi di qualità per ridurre sprechi all'interno delle nostre organizzazioni.

Juran afferma che un manager che sia seriamente intenzionato al conseguimento della qualità a

livello mondiale dovrebbe agire così:

- Sottoporsi ad addestramenti su come concepire la qualità, come pianificarla e come

misurarne i miglioramenti.

- Assumere un ruolo permanente di guida nella creazione del programma di miglioramento

della qualità.

- Apportare i necessari cambiamenti organizzativi in modo da far incontrare queste politiche e

gli obiettivi.(La tradizionale sequenza dello sviluppo del prodotto deve essere sostituita dagli

sforzi intra-funzionali.)

- Riesaminare e premiare le prestazioni.

L’autore evidenzia inoltre che, per molti manager, il passaggio di predisposizione mentale dalla

competizione alla cooperazione, può risultare molto arduo e sottolinea come altri manager

potrebbero garantire al "nuovo assetto" fedeltà a parole ma niente di più. Juran si augura che

alcuni manager possano comunque divenire uno strumento di cambiamento positivo per

l’organizzazione cui appartengono.

La volontà di guardare, in una nuova prospettiva, al modo in cui sarà condotto il lavoro, aiuterà

a perseguire il successo.

Juran invita quindi i manager ad uscire con il Company-Wide Qualità Control (Cwqc) da questa

situazione e considera come un simile processo sia meno difficile se si è consapevoli della

necessità di un grande cambiamento

60

3.4. Kaoro Ishikawa

La qualità totale è una rivoluzione nella filosofia della gestione aziendale.

QC significa fare ciò che va fatto in tutti i tipi di industria. Un QC che non dà risultati non è un

vero QC. Dobbiamo impegnarci in un QC che renda tanto denaro all’azienda da non sapere

più che cosa farne. Il QC inizia con l’istruzione e termina con l’istruzione. Per mettere in

pratica la qualità totale è necessario portare avanti un programma di formazione ininterrotto

che coinvolga tutti i livelli dell’azienda, dal presidente agli operai. Il QC tira fuori il meglio da

ognuno di noi. L’attuazione del QC contribuisce a promuovere la chiarezza all’interno

dell’azienda.

Con queste affermazioni inizia “Che cos'è la qualità totale"30, il libro più celebre di Kaoru

Ishikawa. Il grande pregio di Ishikawa è il saper spiegare i principi della Qualità a tutti i livelli,

utilizzando termini comprensibili a tutti attraverso anche numerosi testi divulgativi.

Laureato in chimica applicata, durante i suoi esperimenti in laboratorio, ebbe modo di

constatare che la dispersione dei dati rendeva impossibile giungere a conclusioni corrette: per

risolvere questo problema iniziò a studiare metodi statistici che potessero aiutarlo. In seguito a

ciò, entrò a far parte del gruppo di ricerca di QC della JUSE che organizzò i famosi seminari sia

di Deming che di Juran. Questo classico testo di Ishikawa chiarisce tutti i principi e i concetti

fondamentali del Company-Wide Quality Control, ripercorrendo le tappe della sua ideazione,

del suo sviluppo e della sua diffusione in Giappone e nel resto del mondo. Nelle prime pagine

l’autore si sofferma sull’esperienza giapponese e sull’esperienza occidentale, sottolineando

come il background sociale e culturale proprio di ogni nazione sia alle base delle differenze

delle attività di QC.

Negli Stati Uniti e in Europa si dà grande importanza al professionismo e alla specializzazione,

le questioni relative al QC diventano perciò terreno esclusivo degli specialisti di QC, secondo

una impostazione derivata dal taylorismo che, in tali realtà, sta alla base del management

scientifico. L’autore descrive come, invece, in Giappone si è sviluppata la QC nella direzione

della partecipazione totale, che vede il coinvolgimento di tutti i settori e di tutto il personale di

una azienda.

Concetto fondamentale è la “centralità dell’uomo”. La Qualità è fatta dagli uomini, non certo

dalle macchine o dalle attrezzature. Per “uomini”, Ishikawa non intende soltanto la Direzione o

gli impiegati di “alto rango”: infatti, tutti i livelli aziendali devono contribuire al

raggiungimento degli obiettivi.

30 Kauro Ishikawa “Che cos’è La qualità totale” Il Sole24 Ore Milano

61

I concetti fondamentali non devono essere per “pochi eletti”: solo diffondendo ed educando

tutto il personale si possono perseguire i fini aziendali.

Interpellare queste figure, chiedere informazioni e consigli utili porta un doppio beneficio: si

possono apportare le correzioni del caso, se sono necessarie, e, soprattutto, si rendono partecipi

le persone interessate alle lavorazioni. Questo ultimo fatto è, senza ombra di dubbio, di

fondamentale importanza nella fidelizzazione delle maestranze.

Coinvolgere le persone, renderle partecipi delle decisioni ed apportare le modifiche seguendo i

loro consigli (ove, ovviamente, siano fondati e supportati da dati oggettivi), porta ad un

notevole effetto psicologico, con la conseguente diminuzione delle problematiche relative alla

Qualità (più motivazioni, più coinvolgimento = meno Non Conformità). I Circoli della Qualità,

di cui Ishikawa è promotore, istituzione tipicamente nipponica che non ha trovato fertile terreno

in Europa, hanno sostanzialmente lo scopo descritto.

Come altri autori giapponesi, anche Ishikawa insiste sull’importanza dei metodi statistici

affermando: senza analisi statistica (analisi della qualità e di processo) non può esistere un

controllo efficace. Il Quality Control inizia con un diagramma di controllo e termina con un

diagramma di controllo. Il 95% dei problemi di un’azienda può essere risolto grazie ai sette

strumenti statistici .

Il Giappone, prima e durante la seconda guerra mondiale, utilizzava in maniera sporadica i

metodi statistici. Solo a partire dal 1949 cominciarono a essere utilizzati in maniera costante.

L’autore divide i metodi statistici in tre categorie secondo il grado di difficoltà di applicazione,

sottolinea come, dagli alti dirigenti agli operai in linea, tutti siano in grado di utilizzare i sette

strumenti che costituiscono il metodo statistico elementare, il primo grado.

I "sette strumenti", semplici da comprendere e da utilizzare, facilitano l'analisi basata su dati di

fatto, aiutano a focalizzarsi sui problemi e sulle cause, consentono un lavoro di gruppo e sono:

- Il diagramma di Pareto.

- Il diagramma causa-effetto (diagramma di Ishikawa).

- L’istogramma.

- Diagramma di correlazione.

- Schede di controllo

- Stratificazione.

- Carte di controllo.

L’analisi che può essere condotta viene divisa in due categorie principali:

62

- l’analisi qualitativa.

- l’analisi di processo.

L’analisi qualitativa determina il rapporto tra caratteristiche qualitative reali e caratteristiche

qualitative sostitutive. L’analisi di processo chiarisce il rapporto tra fattori causali nel processo

ed effetti, come qualità, costi, produttività ed è impiegata nel controllo di processo che serve a

scoprire i fattori causali che ostacolano il corretto funzionamento del processo produttivo, in

modo da poter trovare la tecnologia adatta con cui ottenere il controllo preventivo. Ishikawa

sostiene che il 95% dell’analisi di processo può essere svolto grazie all’uso dei sette strumenti.

E’ evidente che per i processi molto complessi sono necessarie tecniche molto avanzate.

Il diagramma di causa/effetto, che ormai viene identificato come diagramma di Ishikawa, è una

forma di rappresentazione logica e strutturata dei legami esistenti tra un “effetto” e le relative

cause (i perché). Aiuta a risalire alle vere cause e quindi ai veri problemi da risolvere. Permette

di costruire e visualizzare le relazioni tra le caratteristiche qualitative di un prodotto o di una

situazione con i fattori che l’hanno determinata. La metodologia consiste nelle seguenti fasi:

- Si costituisce un gruppo.

- Si prende un tabellone o una lavagna. A destra in un rettangolo si scrive l’effetto.

- Si traccia una linea trasversale. In alto e in basso si scrivono le cause, collegate da linee

che convergono verso la linea centrale.

- Con un brainstorming orale il gruppo esprime il maggior numero di cause, che vengono

raggruppate in categorie e scritte sul tabellone. Alle varie cause si assegnano indici di priorità e

si scelgono quelle con gli indici più alti (in genere da due a quattro). A questo punto si scrivono

le ipotesi o contromisure che eliminano le cause scelte.

Una variante è il CEDAC (diagramma causa-effetto con aggiunta di cartellini). Non si svolge

un brainstorming orale ma si attacca il tabellone con la lisca di pesce nell'ufficio o nel reparto

interessato e lo si lascia alcuni giorni. Tutti possono scrivere le cause dell'inconveniente su un

cartellino giallo e attaccarlo sul tabellone; volendo, si può affiancare un suggerimento di

soluzione su un cartellino azzurro.

63

Esempi di diagramma causa-effetto (diagramma di Ishikawa).

I giapponesi hanno preso dagli occidentali molte tecniche e strumenti della statistica per il

controllo della qualità e le hanno utilizzate in un modo nuovo e molto più efficace.

. L’uso dei “sette strumenti”, presentati in modo semplice ed efficace come gli strumenti basilari

della statistica, è frequentemente richiamato nei loro scritti perchè il loro largo utilizzo nelle

aziende giapponesi è ritenuto il fondamentale supporto del loro modo di fare impresa che si può

definire modello Giapponese.

64

Il professor Ishikawa, ha spiegato durante un seminario, tenuto a Milano nel 1987, come si è

arrivati a questa nuova utilizzazione statistica:

“Dopo i seminari di Deming e gli altri esperti americani, tenuti agli inizi degli anni ’50,

abbiamo cominciato ad insegnare nelle nostre aziende le tecniche statistiche. Dopo due o tre

anni ci siamo accorti che questi insegnamenti non davano risultati e che stavamo insegnando

agli uomini di azienda un metodo statistico troppo sofisticato,troppo difficile da comprendere. E

così facendo la gente ha cominciato a pensare che il metodo statistico era una cosa molto

difficile e che quindi anche il controllo di qualità era difficile da mettere in pratica. Per

correggere questo errore abbiamo impostato il metodo statistico in due modi diversi. Per quanto

riguarda il primo, dal top management fino agli operatori, abbiamo deciso di insegnare il

metodo statistico più semplice e abbiamo così messo a punto i 7 strumenti di controllo qualità.

Con questo metodo semplice il 95% dei problemi occorrono dei metodi sofisticati che debbono

essere insegnati agli ingegneri e agli specialisti del controllo qualità”.

Questa grande semplificazione, che testimonia il senso pratico dei docenti universitari

giapponesi, ha consentito di diffondere a tutti i livelli aziendali l’approccio statistico ai problemi

(statistical thinking).

In Giappone, grazie a questa semplificazione, anche il personale operativo (operai e impiegati),

applica continuamente i 7 strumenti del Controllo Qualità nella risoluzione di qualsiasi tipo di

problema. Deming ha detto che in Giappone la prima lingua conosciuta è il giapponese la

seconda è la statistica.

3.5. Taichi Ohno

Taichi Ohno è considerato, a buon diritto, il padre del sistema di produzione Toyota, il modello

esemplificativo per antonomasia dell’applicazione dei principi della Qualità totale, alla pari del

modello Ford rispetto ai principi del modello tayloristico.

Nel suo libro “Lo Spirito Toyota”31 Ohno spiega il modo in cui il sistema è stato messo a punto

nell’azienda, soffermandosi in maniera molto pragmatica, anche tipica dei giapponesi, sulla

descrizione dei metodi e delle tecniche, riuscendo però a trasmettere anche i valori su cui tale

sistema si fonda.

L’attenzione dell’autore è sempre alla qualità tecnica della produzione che deve essere tuttavia

ottenuta necessariamente da tutta l’organizzazione, con l’obiettivo imprescindibile della

riduzione di tutti i tipi di costi.

Ohno, nel suo libro, confronta il metodo Toyota con il sistema Ford e considera come, con lo

scopo principale di ridurre i costi, il sistema di Ford basava la regola produttiva sulla

31 Taichi Ohno “Lo Spirito Toyota” Giulio Einaudi editore 1993

65

produzione di massa (nel produrre quindi una grande quantità di piccoli pezzi) mentre il sistema

Toyota ottiene la diminuzione dei costi attraverso la maggior riduzione possibile delle quantità

prodotte: ciò permette di ottenere la capacità di cambiare rapidamente la tipologia della

produzione.

Nel sistema Ford proliferano le grandi quantità di pezzi e di giacenze, all’opposto il sistema

Toyota si basa sulla premessa dell’eliminazione totale della sovrapproduzione generata dal

magazzino, ritenendo che tutte le produzioni eccedenti conducano ad un aumento dei costi. La

base del sistema giapponese è la completa eliminazione degli sprechi che presuppone una

regolazione minuziosa della produzione. Il livellamento della produzione molto preciso è

sicuramente una delle più importanti differenze con il fordismo.

E’ la diversa concezione del mercato, afferma Ohno, che porta la Toyota a produrre un veicolo

per volta in quanto ogni cliente compra una macchina diversa, anche in periodi di alta crescita

del mercato, come ai tempi di Ford. Il mercato in espansione e in crescita veloce dei primi anni

’50 portò molti manager giapponesi ad accettare senza riserva il punto di vista americano della

produzione di massa: l’automazione e i grandi impianti che in questi periodi economici

dimostrano appieno la loro efficacia economica. La Toyota ha continuato invece a perseguire

incrementi di produzione e di profitti, attraverso la strategia delle piccole quantità e dei veloci

cambi di allestimento.

La crisi petrolifera del 1973 determinò una svolta nell’economia giapponese, abituata a crescite

senza limiti. A fronte di un crollo generale, le perdite della Toyota furono limitate e questo

generò l’interesse verso il sistema.

Il mercato di crescita lenta, evidentemente, mette in crisi la produzione di massa che, per essere

ottenuta, necessita di elevati investimenti in impianti molto automatizzati i quali rendono, come

è ovvio, la struttura aziendale poco flessibile ai cambiamenti della domanda.

L’autore considera che nel mondo occidentale il sistema di produzione Ford è invece ancora

molto seguito e la cultura industriale è di stampo fordista/taylorista, attribuendo a questa

impostazione la causa della caduta di competitività delle aziende occidentali degli anni ottanta.

3.6. Yasuhiro Monden

Yasuhiro Monden, si è detto, è stato il teorizzatore e il divulgatore del sistema Toyota.

Monden, nella prefazione di “Produzione Just-in –Time. Come si progetta e si realizza”, da cui

ho tratto alcuni punti del modello Toyota, spiega come l’obiettivo principale del suo libro sia

sviluppare una teoria che definisca un processo di creazione di un modello ideale dell’oggetto

reale o empirico, perché sia modello di riferimento di un modo di gestire l’organizzazione, tale

da poter essere impiegato da ogni azienda. L’idea di base del sistema di produzione Toyota

66

consiste, anche secondo Monden, nel mantenimento di un flusso continuo di produzione al fine

di seguire in maniera flessibile le fluttuazioni della domanda. La modellazione di Monden,

prodotta da un processo intellettuale molto simile a quello percorso da Taylor all’epoca

dell’elaborazione del suo metodo scientifico, nasce da questa idea del Jit e dalle diverse

applicazioni dei molti stabilimenti Toyota, analizzate e verificate sul campo dall’autore.

3.7. Armand V. Feigenbaum

Nel 1957 Feigenbaum pubblica il suo primo articolo”Qualità as Management “, in cui riporta gli

sviluppi della Qualità alla General Electric (di cui, in seguito, nel 1962 è stato vicepresidente)

dove lavorava. Nella sua prima opera "Total quality control" (1961), utilizza per primo questa

dizione, con la quale vuole indicare che la qualità deve toccare tutto il sistema aziendale, dalla

progettazione alle vendite, in funzione della piena soddisfazione del cliente.

Secondo Feigenbaum, il Total Quality Control rappresenta un sistema efficace per integrare lo

sviluppo della qualità, la sua manutenzione e gli sforzi per migliorarla da parte dei vari gruppi

di un'organizzazione, in modo da permettere al marketing, alla progettazione, alla produzione

ed al servizio di raggiungere i livelli più economici per garantire la soddisfazione del cliente. La

filosofia che sottende questo pensiero, fa perno sull'idea che "la qualità viene determinata dal

cliente: non dalla progettazione né dal marketing né dal general management". La qualità è

basata sull’esperienza effettiva del cliente riguardo al bene o al servizio prodotto, misurata

rispetto alle sue necessità, più o meno dichiarate, consce o semplicemente percepite,

tecnicamente operative o interamente soggettive, che rappresentano in ogni momento un target

mobile in un mercato competitivo.

Secondo Feigenbaum "la qualità del prodotto e del servizio” può essere così definita: “tutte le

composite caratteristiche di marketing, progettazione, manifattura e manutenzione relative al

prodotto e al servizio, attraverso le quali il prodotto ed il servizio in oggetto soddisferanno le

attese del consumatore". Nel timore che la qualità, che è compito di tutti, diventasse il compito

di nessuno, l’autore suggerisce che la qualità totale debba essere guidata da una funzione ben

organizzata, la cui unica area di specializzazione sia la qualità del prodotto e la cui unica attività

operativa sia il controllo della qualità. Come si è già sottolineato Ishikawa critica queste

affermazioni poiché considera che l'approccio al TQM ponga troppa enfasi sul tradizionale

reparto di controllo della qualità. L’attenzione al manuale organizzativo, da lui denominato

Manuale del Sistema Qualità, conferma questa sua impostazione che ha portato a conseguenze

notevoli nell’applicazione di questo modello. La metodologia e teoria del “Total Qualità

Control” di Armand V. Feigenbaum ha trovato molti seguaci in Italia e in Europa a partire dagli

anno ’60, laddove diverse sono state infatti le sue applicazioni in aziende di grande dimensione

67

3.8.Philip B. Crosby

Nel suo libro "La qualità è gratis" del 1979, Crosby sostiene in maniera molto enfatica la

validità della Qualità. Crosby, analogamente a Deming, crede nell'innato desiderio dei

lavoratori di svolgere bene il proprio lavoro.

"Presumete sempre che le persone siano vitalmente interessate al processo di miglioramento

della qualità. Esse si comporteranno in modo da soddisfare la vostra convinzione. Pensate al

meglio ed è ciò che di solito accade".

Conosciuto in tutto il mondo per frasi tipo "zero difetti" e per slogan come: " fatelo bene la

prima volta" e "qualità significa conformarsi alle richieste", anche Crosby ha formulato un

piano di 14 punti per migliorare la qualità:

1. Siate chiari sul fatto che il management è impegnato per la qualità.

2. Formate gruppi per il miglioramento della qualità con rappresentanti di ogni reparto.

3. Determinate dove si nascondono i problemi attuali e potenziali concernenti la qualità.

4. Valutate la "consapevolezza" della qualità ed il personale interesse di tutti quelli che

lavorano.

5. Accrescete la "consapevolezza" della qualità ed il personale interesse di tutti quelli che

lavorano.

6. Agite per correggere i problemi identificati attraverso i punti precedenti.

7. Stabilite un comitato per i programmi a "zero difetti".

8. Addestrate i supervisori a fare la loro parte nel programma di miglioramento della

qualità.

9. Organizzate "la giornata a zero difetti" in modo che tutti si rendano conto che c'è stato un

cambiamento.

10. Incoraggiate gli individui a stabilire obiettivi di miglioramento per se stessi e per i loro

gruppi.

11. Incoraggiate gli individui a comunicare al management gli ostacoli che incontrano nel

perseguire gli obiettivi del miglioramento.

12. Riconoscete ed apprezzate quelli che partecipano.

13. Stabilite consigli di qualità per comunicare su base regolare.

14. Fate tutto di nuovo in modo da sottolineare che il programma di miglioramento della

qualità non finisce mai.

68

In aggiunta al suo piano di attuazione, Crosby incoraggia le persone ad essere "fanatiche", cioè

ossessionate dalla qualità. Tali persone, egli dice, "lasciano dietro di sé orme invece che

semplice polvere".

Per diventare "fanatici" dovete:

- Decidere di volere una strategia a zero difetti.

- Annunciare una chiara, specifica politica della qualità.

- Dimostrare l'impegno del management attraverso l'azione.

- Assicurarvi che ognuno sia educato in modo da poter agire.

- Eliminare ogni possibilità di compromettere l'uniformità degli intenti.

- Insistere affinché ogni fornitore faccia lo stesso.

- Convincere ognuno del fatto che tutti sono tra di loro dipendenti.

- Soddisfare in primo luogo, in ultima istanza e sempre, il cliente

Sempre nel suo libro "La qualità è gratis", Crosby afferma: “C'è una teoria sul comportamento

umano secondo la quale le persone ritardano inconsciamente la loro crescita intellettuale.

Esse giungono a dipendere dai cliché e dalle consuetudini e quando si sentono realizzate

smettono di imparare e la loro mente diventa pigra per il resto dei loro giorni.

Possono progredire organizzativamente, possono essere ambiziose e bramose, possono anche

lavorare giorno e notte. Però non imparano più. I gretti, quelli di strette vedute, i cocciuti e

coloro che sono sempre ottimisti hanno tutti smesso di imparare”.

Nelle sue parole si scorge un invito a fare le cose in maniera differente, non tanto per il gusto di

essere diversi, quanto e soprattutto al fine di migliorare la qualità dei nostri prodotti e della

nostra vita lavorativa. Crosby evidenzia con ironia come i problemi dei sistemi ad elevata

tecnologia si trovano nelle aree a bassa tecnologia. L'attenzione e lo sforzo di molte società si

incentrano sui nuovi metodi tecnici, mentre il maggior bisogno si manifesta nell'area di

esercizio del management

3.9.Hitoshi Kume

Hitoshi Kume, in un articolo riportato nel suo libro “Management by Qualità” del 1995,

affronta il tema dei rapporti tra la Qualità Totale e le ISO9000, descrivendo le discussioni del

Comitato TC/17632 per gli standard ISO nella riunione di Brisbane del novembre 1992. Il tema

in discussione riguardava l’opportunità di creare uno standard internazionale per la qualità

totale. L’articolo sintetizza, a mio parere, molto bene le posizioni e le differenze tra le modalità

di approccio alla Qualità del mondo giapponese e del mondo occidentale. La proposta discussa 32 Comitato tecnico ISO/TC176; Quality management and qualità assurance che nel 1987 ha elaborato la prima edizione delle ISO9000

69

passò a maggioranza in un ballottaggio avvenuto per posta: alcuni Paesi importanti votarono

contro e altri, non avendo ricevuto la scheda, non votarono; si formò anche un comitato ad hoc

per riesaminare la proposta. L’autore afferma, a motivazione della posizione negativa del

Giappone, che il Quality management è soprattutto una tecnica di management e può essere

diviso in due aree principali: una riguarda il tipo di attività umane che possono essere

controllate attraverso standard, mentre l’altra area si focalizza sulle persone e deve essere in

grado di agire al di là dei controlli e delle misurazioni basate sugli standard.

In quanto tecnica di management, la Qualità totale è maggiormente incentrata su questa ultima

area. Cercare di standardizzare questa tecnica devierebbe dal vero spirito della Qualità Totale,

almeno per come viene inteso in Giappone. L’autore evidenzia efficacemente che il voler

sistematizzare esprime il diverso modo di intendere la qualità nell’area giapponese rispetto

all’area occidentale.

Kume, attraverso un chiaro esempio tratto da un antico proverbio (un cavallo viene portato a

bere, il solo portare il cavallo a bere non è sufficiente perché questo beva, un cavallo furbo può

far finta di bere, soltanto un cavallo assetato berrà veramente e la quantità di acqua che berrà

dipenderà dalla sua sete), dimostra che le regole sono fondamentali ma la volontà e la

convinzione di metterle in pratica creano la differenza tra una adesione apparente ed una

adesione voluta e condivisa. Kume riferisce, con amarezza e ironia, come in una precedente

riunione del comitato, nel 1988, fu espressa l’opinione secondo cui la pubblicazione nell’anno

precedente delle serie delle ISO (la prima), aveva reso possibile alle organizzazioni di tutto il

mondo di praticare il Qualità Management; l’autore rispose che il vero Quality Management

non poteva transitare semplicemente solo attraverso l’applicazione delle ISO, perché mancava

completamente il punto di vista del miglioramento continuo; a questa sua obiezione fu risposto

che si poteva emanare uno standard sul miglioramento continuo (come in realtà si è poi

verificato con le vision 2000).

L’autore conclude che è come portare un cavallo a bere, se ha sete berrà, altrimenti fingerà. Gli

standard non sono sbagliati, ma ci sono delle cose che non possono essere ottenute attraverso la

standardizzazione. Kume dichiara comunque la volontà di continuare a collaborare alla

realizzazioni di altri standard, sottolineando tuttavia, attraverso la citazione di una favola di

Esopo (Il sole e il vento), che occorre concentrarsi anche su altri fronti per ottenere che

determinate idee possano passare. Il lavoro continua definendo le due aree del quality

management e sostenendo come queste si debbano combinare tra loro per raggiungere un alto

livello di Qualità Management. Il Quality management, basato sugli standard, cerca di ottenere

70

la qualità creando standard che devono essere seguiti dalle persone componenti

l’organizzazione, per poi controllare quanto sia avvenuto.

La qualità è assicurata documentando il flusso di lavoro ed emettendo istruzioni scritte che

descrivano i metodi da utilizzare. Documentare le attività, gli obiettivi e i metodi del processo

indica cosa occorre fare e chi lo deve fare. Gli standard sono creati dall’organizzazione e

tengono conto delle diverse situazioni, le ISO9000 specificano cosa bisogna fare, non come

bisogna fare, indicano gli aspetti dell’organizzazione che devono essere monitorati perché il

modello organizzativo gestionale che vi è sotteso sia applicato. Il come fare dipende dalle

dimensioni dell’organizzazione, dal settore, dalla cultura aziendale.

3.10. Masaaki Imai

"Kaizen, la chiave del successo giapponese", titolo di un libro di Masaaki Imai (1986), è una

parola giapponese che significa "miglioramento continuo". Il concetto indica una logica di

comportamento che prevede avanzamenti di qualità continui senza operare cambiamenti

radicali. I miglioramenti avvengono per piccoli passi, grazie all'azione di tutti gli operatori che,

responsabilmente, cooperano al miglioramento delle performances aziendali.

Imai crede che concentrarsi su argomenti come qualità e produttività favorisca soluzioni

frammentarie ed ignori il filo che lega tutto insieme: il Kaizen, la filosofia del miglioramento

continuo. Cercando di capire il miracolo economico giapponese successivo alla Seconda Guerra

Mondiale, Imai afferma che gli occidentali si sono soffermati a studiare fattori quali il controllo

della qualità totale, i circoli di qualità, i sistemi di suggerimento, i sistemi di inventario just in

time, l'automazione, e le procedure uniche di management (compresi occupazione a vita e

stipendi basati sull'anzianità di servizio).

Questi sistemi però, secondo l’autore, non hanno saputo cogliere la semplice verità che sta alla

base del successo giapponese.

"La diffusione del TQC in Giappone risiede nel fatto che tali concetti hanno aiutato le imprese

giapponesi a generare un modo di pensare orientato al processo e a sviluppare strategie che

assicurano il miglioramento continuo attraverso il coinvolgimento delle persone a tutti i livelli

della gerarchia organizzativa. Il messaggio della strategia Kaizen è che non debba trascorrere

neanche un giorno senza che un qualche tipo di miglioramento venga apportato da qualche

parte all'interno dell'azienda.

La convinzione che debba esserci un miglioramento continuo è profondamente radicata".

Imai ritiene che la sfida all'Occidente consista nel cambiare "la filosofia orientata

all'innovazione ed ai risultati" con un modo di pensare che sia anche orientato al processo: "il

71

Kaizen genera un modo di pensare orientato al processo, dal momento che i processi devono

essere migliorati ancor prima che si ottengano risultati migliori".

Il processo è considerato tanto importante quanto gli obiettivi che si intendono perseguire.

L’autore è convinto che il miglioramento, di per sé, rappresenti la strada più sicura per

rafforzare la competitività complessiva di un’azienda. La creazione di un’atmosfera

collaborativa e di una cultura comune sono state parti inseparabili dei programmi di Kaizen.

Ma un tale successo ha bisogno dei seguenti presupposti:

1. Sforzi costanti per migliorare le relazioni industriali

2. Particolare attenzione all'addestramento e alla educazione

3. Sviluppare leadership informale tra i dipendenti

4. Formazione di attività di miglioramento dei piccoli gruppi

5. Sostegno e riconoscimento degli sforzi compiuti dai dipendenti in favore del Kaizen

6. Sforzi consapevoli tesi a rendere il luogo di lavoro un posto in cui le persone possano

perseguire obiettivi di vita

7. Incoraggiamento della vita sociale nell'ambiente di lavoro.

8. Addestramento dei supervisori in modo che possano più facilmente comunicare ed avere

rapporti coi dipendenti

9. Disciplina (in termini di procedure da seguire) nell'ambiente di lavoro.

Capitolo quarto: Gli Strumenti della Qualità 4.1.introduzione Gli strumenti che possono aiutare il management a sviluppare o a implementare il “Modello

Qualità” sono: la certificazione secondo la ISO9001 e i premi quali il giapponese Deming Prize,

lo statunitense Malcoln Balbridge National Qualità Award, l’ European Quality Award e il

Premio Qualità Italia.

La certificazione secondo la ISO9001 assolve due fini: l’assicurazione della qualità del prodotto

sul mercato e lo sviluppo delle capacità di un’organizzazione produttrice di beni o fornitrice di

servizi, di strutturarsi o gestire le proprie risorse ed i propri processi produttivi in modo tale da

riconoscere e soddisfare i bisogni dei clienti, inclusi quelli relativi al rispetto dei requisiti

cogenti, nonché l’impegno a migliorare continuativamente tale capacità. L’autovalutazione

insita nella partecipazione ad un premio, rappresenta un’altra valida strategia per implementare

il modello “Qualità” o per ottenere una tensione costante al miglioramento continuo in azienda.

72

I due strumenti, a mio parere, rappresentano fondamentalmente ciascuno espressione delle

diverse “anime della Qualità”. Possono integrarsi, anzi sarebbe auspicabile che si integrassero

per portare a sviluppare in azienda gli aspetti che ognuno di essi tende a privilegiare.

4.2.La certificazione secondo la norma ISO9001/2000

La qualità deve essere assicurata al "mercato", inteso nella sua accezione più ampia come

l'intero contesto socio-economico, mediante dimostrazione della conformità ai requisiti richiesti

da norme tecniche o da regole tecniche. Si può quindi vedere la certificazione come la volontà di

assicurare la qualità all’esterno dell’azienda, attraverso verifiche indipendenti della rispondenza

ai requisiti del prodotto, del servizio, dei sistemi aziendali. Si ha così la certificazione o

attestazione di conformità di parte terza, ottenuta attraverso verifiche effettuate da operatori

specializzati appartenenti a organismi di certificazione accreditati dagli enti di accreditamento.

La certificazione può avere anche un valore aggiunto interno all’azienda, come strumento di

controllo e di miglioramento organizzativo. Questo è l’aspetto che verrà preso in esame: la

certificazione come strumento per spingere le aziende a mantenere o a migliorare

continuamente i propri standard qualitativi.

Occorre, però, delimitare meglio il campo di analisi in quanto vi sono diversi tipi di

certificazione, la prima distinzione da fare è tra Certificazione obbligatoria e Certificazione

volontaria

La Certificazione obbligatoria o cogente è tesa ad assicurare la conformità del prodotto alle

regole tecniche, complesso di norme e prescrizioni tecniche aventi valore giuridico cogente che

stabiliscono i requisiti essenziali per la protezione di bisogni primari tutelati.

Le regole tecniche sono chiamate a regolamentare esigenze di Qualità, definite primarie,

connesse alla tutela della salute e della sicurezza delle persone. Sebbene vi siano ancora norme

nazionali, gran parte delle attività di certificazione obbligatoria coincide oggi in Italia con

l’attestazione di conformità ai requisiti delle Direttive Europee e dei Regolamenti comunitari.

La normativa europea relativa alla certificazione obbligatoria è nata per realizzare il mercato

unico in attuazione del Trattato di Roma del 1957. Fino allora ogni nazione aveva norme e

regolamenti cogenti che costituivano notevoli barriere all’entrata e che, evidentemente,

ostacolavano la realizzazione del mercato comune.

La Certificazione volontaria individua invece l’attestazione di conformità alle norme tecniche.

Le norme tecniche stabiliscono requisiti costruttivi, prestazionali, gestionali e funzionali

dell’oggetto della normazione: servizio, processo, impianto, sistema di gestione. Le esigenze di

Qualità che vengono soddisfatte con la certificazione volontaria sono di natura accessoria,

relative quindi alla soddisfazione di esigenze materiali e morali quali le prestazioni,

73

l’affidabilità, la durata, le caratteristiche qualitative di beni e servizi su cui si basa la vita

economica e civile della società moderna.

La certificazione volontaria, cioè l’accertamento della conformità ai requisiti delle norme

applicabili ai fini di conferma della qualità realizzata, può assumere varie forme e precisamente:

- Certificazione di prodotto relativa al risultato tangibile o intangibile di un processo.

- Certificazione di sistema aziendale relativa ai sistemi di gestione per la qualità, ai sistemi di

gestione ambientale, ai sistemi di gestione per la salute e sicurezza sul lavoro, ai sistemi di

gestione per la sicurezza delle informazioni, ai sistemi di gestione per la responsabilità sociale,

ecc.

- Certificazione di personale è relativa alla certificazione di competenze di figure professionali

che svolgono rilevanti attività socio-economiche a livello individuale.

La Certificazione volontaria di prodotto è regolata dalle norme settoriali, generiche e

specifiche, di prodotto o riferimenti normativi equivalenti. Costituisce una forma di

assicurazione diretta della rispondenza del prodotto ai requisiti applicabili.

La classica certificazione di prodotto è stata ed è, come già detto, essenzialmente finalizzata a

garantire la “qualità economica” del prodotto medesimo.

Accanto all’aspetto economico si vanno affermando nuove forme di certificazione della

“qualità sociale” dei prodotti, fra cui la cosiddetta “Dichiarazione Ambientale di Prodotto”

DAP (o EPD – Environmental Product Declaration). La DAP è un documento che contiene

informazioni oggettive, constatabili e quindi credibili circa l’impatto ambientale di un prodotto

(o servizio) dalla “culla alla tomba”, vale a dire a partire dalla sua concezione, attraverso la sua

fabbricazione ed utilizzazione, fino al termine della sua vita utile e relativo smaltimento.

Essa costituisce un importante strumento comunicativo che evidenzia le performance

ambientali di un prodotto, aumentandone la visibilità e l’accettabilità sociale, ed è rivolto sia ai

consumatori (business- toconsumer), sia agli utilizzatori industriali e commerciali (business -

tobusiness).

La Certificazione di sistema di gestione per la qualità(SGQ) regolata dalla norma ISO 9001:

2000, oggetto dell’analisi, assicura la capacità di un’organizzazione produttrice di beni o

fornitrice di servizi di strutturarsi o gestire le proprie risorse ed i propri processi produttivi in

modo tale da riconoscere e soddisfare i bisogni dei clienti (inclusi quelli relativi al rispetto dei

requisiti cogenti), nonché l’impegno a migliorare continuativamente tale capacità.

74

Nella monografia pubblicata dal Sistema Nazionale per l’Accreditamento degli Organismi di

Certificazione e Ispezione (Sincert)33 nel dicembre 2005 “La Qualità nelle Imprese Italiane,

stato attuale, problemi e prospettive”, il presidente dell’ente, Lorenzo Thione, definisce la

Qualità come: capacità di soddisfare esigenze esplicite o implicite – di tipo morale e materiale,

sociale ed economico, proprie della vita civile e produttiva – tradotte in forma di requisiti, non

generici ma concreti e misurabili, attraverso adeguati processi di regolamentazione e

normazione.

Thione considera come la qualità possa avere una valenza essenzialmente “economica”, intesa

come il soddisfacimento di esigenze tecnico-economiche nel quadro di uno specifico rapporto

contrattuale, o una più ampia valenza “sociale”, non necessariamente regolata da rapporti

contrattuali diretti come, ad esempio, la qualità ambientale e altre forme di gestione socialmente

responsabile dei processi produttivi e di servizio, evidenziando quindi i diversi tipi di

certificazione volontaria, oltre quella di Qualità: Certificazione Ambientale, Certificazione di

Responsabilità Sociale.

Le Certificazioni ambientali e di Responsabilità Sociale sono regolate da norme che sono

derivate dalle ISO9000 e propongono a loro volta un progetto organizzativo che deve essere

rispondente alle norme e documentato come richiesto

La Certificazione di sistema di gestione ambientale(SGA) regolata dalla norma ISO 14001:

2004, garantisce la capacità di un’organizzazione di gestire i propri processi, non solo nel

rispetto delle leggi ambientali. L’organizzazione si deve dotare di una vera e propria politica

ambientale in cui vengono definiti gli obiettivi di qualità ambientale, deve predisporre ed

implementare un sistema atto a realizzare tale politica e a conseguire gli obiettivi correlati.

Inoltre l’organizzazione si deve impegnare a migliorare continuativamente le proprie

33 SINCERT, Sistema Nazionale per l'Accreditamento degli Organismi di Certificazione e Ispezione, Associazione senza scopo di lucro legalmente riconosciuta dallo Stato Italiano con Decreto Ministeriale del 16 Giugno 1995, costituito nel 1991, SINCERT comprende tutti i principali Soggetti istituzionali, scientifici e tecnici, economici e sociali aventi interesse diretto e indiretto nelle attività di accreditamento, quali le Pubbliche Amministrazioni, gli Enti di Normazione, le principali Organizzazioni di Ri-cerca, le maggiori Associazioni di categoria dell'industria, commercio e agricoltura, le Camere di Commercio, i grandi Fornitori di servizi di pubblica utilità (energia e trasporti), le Associazioni rappresentative degli Organismi di Certificazione e Ispezione, L'Associazione ha come obiettivo primario quello di contribuire al buon funzionamento del Sistema Italiano per la Qualità, tramite la verifica ed attestazione delle capacità professionali degli Operatori che svolgono attività di valutazione di conformità a Norme e Regole Tecniche di prodotti, servizi, sistemi, processi e persone, e precisamente:

- Organismi di Certificazione di sistemi di gestione aziendale, quali sistemi di gestione per la qualità, sistemi di gestione ambientale, sistemi di gestione per la sicurezza ed altri; - Organismi di Certificazione di prodotti; - Organismi di Certificazione di personale; - Organismi di Ispezione.

A tal fine, valuta ed accredita suddetti Operatori, accertandone la conformità ai requisiti istituzionali, organizzativi, tecnici e morali stabiliti dalle Norme Tecniche consensuali e da altre Prescrizioni applicabili, in termini tali da ingenerare, in tutte le parti sociali ed economiche interessate e, in particolare, nel mercato degli utenti e consumatori, un elevato grado di fiducia nel loro operato e nei corrispondenti risultati.

75

prestazioni ambientali, con riferimento, non solo agli impatti ambientali diretti dei processi

produttivi dell’organizzazione, ma anche agli aspetti indiretti, relativi ai prodotti e servizi

acquisiti ed a quelli forniti.

La SGA non ha come fine soddisfare le esigenze proprie dei rapporti economici tra

organizzazione e mercato e si colloca nel contesto della responsabilità sociale dell’impresa

verso gli stakeholders, incluse le generazioni future.

Nel contesto della qualità etico-sociale si collocano poi altre forme di Certificazione di sistema

quali, ad esempio, la Certificazione dei sistemi di gestione per la salute e sicurezza sul lavoro

(norma OHSAS 18001), dei sistemi di gestione per la information security (norma ISO 27001)

e dei sistemi di gestione per la responsabilità sociale (es. norma SA 8000) le quali garantiscono

il rispetto dei principi etici fondamentali che devono ispirare tutte le attività socio economiche e

rappresentano strumenti che spingono al rispetto delle leggi in materia e al miglioramento

continuo aziendale.

Queste diverse tipologie di Certificazione sono fra loro complementari, sinergiche e non

alternative pur rivestendo una specifica funzione; esse quindi potrebbero essere risolte in una

logica di certificazione integrata cui si spera si possa arrivare abbattendo barriere di business.

Possono inoltre costituire strumenti primari per il progresso economico e sociale, ma devono

essere credibili, si devono fondare su validi presupposti ed essere condotte in modo

tecnicamente corretto, professionalmente rigoroso, efficace ed efficiente.

La Certificazione delle figure professionali assicura che queste possiedano, mantengano e

migliorino continuativamente nel tempo la necessaria competenza, intesa come l’insieme delle

conoscenze, abilità e doti richieste per l’efficace espletamento dei compiti ad esse affidati.

Il concetto di "norma tecnica"

Prima di presentare le norme ISO penso sia corretto chiarire meglio la differenza tra norma

tecnica e regola tecnica34. Le norme non sono leggi, sono documenti che definiscono le

caratteristiche (ad esempio dimensioni, aspetti di sicurezza, requisiti prestazionali) di un

prodotto, processo o servizio secondo quello che è lo stato dell'arte tecnico/tecnologico. Le

norme tecniche vengono elaborate dagli esperti che rappresentano le parti economiche e sociali

interessate, produttori, utilizzatori, commercianti, centri di ricerca, consumatori, pubblica

amministrazione, organizzati in gruppi di lavoro, sottocommissioni e commissioni, secondo le

procedure dell'ente di normazione nazionale; quest'ultimo si limita a svolgere una funzione di

coordinamento dei lavori, mettendo a disposizione la propria struttura organizzativa, mentre i

contenuti delle norme vengono decisi dagli esperti "esterni".

34 Fonte Sincert

76

Una norma tecnica è caratterizzata dai seguenti aspetti:

- Consensualità: deve essere approvata con il consenso di tutti coloro che hanno partecipato ai

lavori.

- Democraticità: tutte le parti economico/sociali interessate possono partecipare ai lavori e

soprattutto chiunque è messo in grado di formulare osservazioni nell'iter che precede

l'approvazione finale.

- Trasparenza: l'ente di normazione segnala le tappe fondamentali dell'iter di approvazione di

un progetto di norma, tenendo il progetto stesso a disposizione degli interessati.

- Volontarietà: le norme sono un puro riferimento, nessuno è obbligato a seguirle, tranne in

pochissimi casi legati prevalentemente a questioni di sicurezza delle persone.

Quest'ultimo aspetto, la volontarietà, permette di distinguere le norme tecniche dalle regole

tecniche. Queste ultime, al pari delle norme tecniche, sono specifiche che definiscono le

caratteristiche e i requisiti prestazionali di prodotti e di servizi ma hanno natura obbligatoria

essendo contenute o citate come obbligo in atti emanati dall'autorità Pubblica (leggi, decreti).

Dal principio del secolo ad oggi, il concetto di normazione - inizialmente riferito alla mera

unificazione dimensionale - ha subito una sensibile evoluzione, abbracciando significati via via

più ampi. Oggi l'attività di normazione comprende anche la definizione delle prestazioni dei

prodotti, dei processi e dei servizi, intervenendo così in tutte le fasi di vita del prodotto: dalla

progettazione alla fruizione, alle attività terziarie. Oggi la normazione si occupa anche di

definire gli aspetti di sicurezza del prodotto, così da tutelare le persone che vengono in contatto

con esso. Qualità e sicurezza sono dunque due valori molto importanti che guidano l'attività di

normazione, così come in passato la intercambiabilità dei pezzi e delle parti.

In sintesi la normazione oggi persegue i seguenti obiettivi:

- facilitare la comunicazione tecnica per mezzo dell'unificazione dei simboli, dei

codici e delle interfacce.

- migliorare l'economicità di produzione ed utilizzo attraverso la definizione e

l'unificazione dei prodotti e dei processi, delle prestazioni e delle modalità di

controllo, prova e collaudo.

- promuovere la sicurezza dell'uomo e dell'ambiente attraverso la definizione dei

requisiti di prodotti, processi e servizi.

77

- salvaguardare in generale gli interessi dei consumatori e della collettività.

4.3. Le norme ISO9001 e ISO 9004

L'Organizzazione Internazionale per le Standardizzazioni (ISO) è un’associazione mondiale di

organismi nazionali di normazione, composto da rappresentanze di organi nazionali, che

produce standard industriali e commerciali a livello mondiale. L'ISO ha una notevole capacità

di stabilire standard che diventano leggi attraverso accordi e trattati e agisce come consorzio

con forti legami con i governi. Tra i partecipanti dell’organizzazione è compreso un organismo

di standardizzazione per ogni Paese membro e per le principali corporazioni.

L'ISO coopera strettamente con l'International Electrotechnical Commission (IEC),

responsabile per la standardizzazione degli equipaggiamenti elettrici. In genere le norme ISO

vengono recepite, armonizzate e diffuse in Italia dall’Ente Nazionale Italiano di

Unificazione(UNI)35 che partecipa, in rappresentanza dell'Italia, all'attività normativa ISO.

L'organizzazione, normalmente chiamata ISO, non è un acronimo; deriva dal termine greco

isos, che significa uguale. I suoi fondatori scelsero ISO come abbreviazione universale per

avere la stessa sigla in tutto il mondo. L’elaborazione delle norme internazionali è effettuata dai

suoi comitati tecnici; ogni organismo nazionale di normazione interessato ad un argomento, per

il quale è insediato un comitato tecnico, ha il diritto di essere rappresentato in tale comitato. I

progetti di norma internazionali, elaborati dai comitati tecnici, sono trasmessi agli organismi

nazionali di normazione per essere votati. La pubblicazione, come norma internazionale,

richiede l’approvazione di almeno il 75% degli organismi nazionali di normazione che

esprimono il loro voto36. Risulta chiaro come questo modo di procedere porti a creare norme

che esprimono le tendenze che si manifestano via via a livello mondiale in ambito aziendale e

della certificazione, al variare delle situazioni economiche e sociali.

Le Iso 9000 sono norme di applicazione generale che possono essere adattate a tutti i settori

produttivi di beni e servizi e sono utilizzate quando si vuole o si ha la necessità di dimostrare la

propria capacità di progettazione e fornitura di un prodotto conforme.

I requisiti di tali norme sono costruiti per fornire una garanzia al cliente, non attraverso un

controllo sul risultato ma, piuttosto, sul rispetto di procedure predefinite, così da poter ridurre

drasticamente i rischi di non conformità. Il modello sotteso alle ISO può essere pensato come

35 UNI: ENTE NAZIONALE DI UNIFICAZIONE Gabriele D’Annunzio aveva suggerito il neologismo unificazione quale traduzione dei termini inglese e francese. A partire dal 1985 1’ UNI partecipa in maniera attiva ai lavori di normazione internazionali presso il CEN e presso l’ISO . 36 Da EN ISO9001 e da EN ISO9004

78

un modo sistematico di garantire e assicurare che le attività organizzative si svolgano nel modo

in cui sono state pianificate, con lo scopo sia di ridurre i costi, sia di soddisfare le esigenze del

cliente; consiste in un metodo che ha come obiettivo il prevenire il verificarsi di errori e

problemi attraverso la creazione di un sistema di azioni e di controlli in itinere. Il modello è

quindi essenzialmente un metodo per organizzare e coinvolgere l’intera organizzazione (ogni

attività, ogni singola persona ad ogni livello), allo scopo di aumentare l’efficienza, l’efficacia,

la flessibilità dell’organizzazione in una logica di miglioramento continuo che manifesta

chiaramente la sua origine dal “Modello Qualità” soprattutto nella sua connotazione

occidentale.

Sono quindi norme di comportamento sulla gestione aziendale che presentano una

rielaborazione del “Modello Qualità”.

Le prime norme sono state emanate dall’ISO, elaborate dal Comitato tecnico ISO/TC 176,

Qualità management and qualità assurance, nel 1987 e sono state adottate integralmente dal

Comitato Europeo di Normazione (CEN)37. In Italia 1’Ente Nazionale Italiano di

Unificazione(UNI) le ha recepite nel 1988 nelle norme UNI EN IS0 29000.

Le UNI EN ISO9001 e UNI EN ISO9004 rappresentano l’ultima edizione, rielaborate dal

Comitato tecnico ISO/TC 176 come una coppia coerente di norme sui sistemi per la qualità e

sono concepite per completarsi l’una con l’altra pur avendo scopi differenti. La ISO9001

specifica i requisiti per un sistema di gestione per la qualità che possono essere utilizzati per fini

interni all’organizzazione, per fini certificativi e per fini contrattuali. La norma focalizza

l’attenzione sull’efficacia del sistema di gestione per la qualità nel soddisfare i requisiti del

cliente.

La ISO9004 è intesa come linea guida per le organizzazioni la cui alta direzione, intesa come

vertice dell’organizzazione, voglia andare oltre i requisiti della ISO9001, per perseguire il

miglioramento continuo verso la ricerca dell’eccellenza del sistema aziendale; non è concepita

per la certificazione né per finalità contrattuali ma per spingere le aziende a implementare il

modello organizzativo manageriale che è delineato da questi otto principi di gestione per la

qualità, allo scopo di fornire ai vertici aziendali una guida per migliorare le prestazioni della

propria organizzazione:

37 CEN:COMITATO EUROPEO DI NORMAZIONE I membri del CEN sono gli Organismi nazionali di normazione di Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Spagna, Svezia e Svizzera.

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Principio 1 – Organizzazione orientata al cliente

Principio 2 – Leadership

Principio 3 - Coinvolgimento del personale

Principio 4 - Approccio per processi

Principio 5 - Approccio sistemico alla gestione

Principio 6 - Miglioramento continuo

Principio 7 - Decisioni basate su dati di fatto

Principio 8 - Rapporti di reciproco beneficio con i fornitori

Come si può notare i principi accolgono le tendenze che, in ambito mondiale, stanno emergendo nelle realtà aziendali alla ricerca della competitività

Il Sincert ha pubblicato una linea guida:”Criteri per un approccio efficace ed omogeneo alle valutazioni di conformità alla norma ISO 9001:2000 -sistemi di gestione per la qualità – requisiti” in cui si evidenzia la profonda e sostanziale innovazione correlata alla pubblicazione della Norma ISO 9001:2000 (e, più in generale, delle 4 Norme della serie ISO 9000/2000: ISO 9000:2000,ISO 9001:2000, ISO 9004:2000 e ISO 19011:2002) che consiste nel passaggio dall’approccio sistemico alla qualità di tipo preventivo (basato su di un modello “rigido” di gestione, ancora sostanzialmente ispirato ai tradizionali meccanismi di produzione industriale) ad un approccio di tipo pro-attivo, strutturalmente “flessibile” e fondato sulla ricerca dell’efficacia e del miglioramento continuo. Con tale importante innovazione, si è inteso favorire l’implementazione, piena e sostanziale, del concetto di qualità, intesa come capacità di soddisfazione di requisiti – si vedano, al riguardo, le definizioni della Norma ISO 9000:2000 di qualità “grado in cui un insieme di caratteristiche intrinseche soddisfa i requisiti” e di requisito “esigenza o aspettativa (bisogno) che può essere espressa, implicita o cogente” – nonché promuovere, quantomeno sul piano concettuale, la spinta verso il graduale raggiungimento della condizione ideale (condizione limite) in cui tutte le esigenze(di tipo morale e materiale, sociale ed economico) di tutti gli attori che intervengono nei processi di produzione/fornitura e utilizzo/fruizione di beni e servizi (i cosiddetti stakeholders quali: i clienti e utenti /consumatori, i prestatori d’opera, i proprietari e gli azionisti, i fornitori e la collettività in genere, presente e futura) risultano pienamente soddisfatte.

Il metodo che viene proposto dalle norme consiste nel definire delle procedure da adottare per

tenere monitorati e controllati i punti più critici dell’organizzazione, per rispettare i principi su

cui tale sistema poggia. L’organizzazione che decide di aderire a tale sistema ne adotta l’iter e

quindi, se così si può dire, ne segue la strada e ne verifica l’applicazione attraverso la

certificazione

Gli elementi da prendere in considerazione per impiantare questo sistema sono riportati nel

capitolo 4 della norma UNI EN ISO9001, che tratta dei requisiti richiesti per la predisposizione

del sistema:

80

4 SISTEMA DI GESTIONE PER LA QUALITÀ

4.1 Requisiti generali

L'organizzazione deve stabilire, documentare, attuare e tenere aggiornato il sistema di gestione

per la qualità e migliorarne, con continuità, l'efficacia in accordo con i requisiti della presente

norma internazionale.

L'organizzazione deve:

a) identificare i processi necessari per il sistema di gestione per la qualità e la loro applicazione

nell'ambito di tutta l'organizzazione (vedere 1.2),

b) stabilire la sequenza e le interazioni tra questi processi,

c) stabilire i criteri ed i metodi necessari per assicurare l'efficace funzionamento e l'efficace

controllo di questi processi,

d) assicurare la disponibilità delle risorse e delle informazioni necessarie per supportare il

funzionamento e il monitoraggio di questi processi,

e) monitorare, misurare ed analizzare questi processi,

f) attuare le azioni necessarie per conseguire i risultati pianificati ed il miglioramento continuo di

questi processi.

Questi processi devono essere gestiti dall'organizzazione in accordo ai requisiti della presente

norma internazionale Qualora l'organizzazione scelga di affidare all'esterno processi che

abbiano effetti sulla conformità del prodotto ai requisiti, essa deve assicurare il controllo di tali

processi. Nell'ambito del sistema di gestione per la qualità devono essere definite le modalità per

tenere sotto controllo tali processi affidati all'esterno.

Tali requisiti forniscono al cliente una garanzia sui rischi di non conformità del

prodotto/servizio offerto, attraverso un controllo sul rispetto delle procedure e non sulle

caratteristiche degli esiti, seguendo quindi il già sottolineato concetto di Qualità/Conformità.

Il progetto organizzativo gestionale e il metodo manageriale, contenuto nella ISO9001

emergono da una lettura attenta dell’ indice:

4 SISTEMA DI GESTIONE PER LA QUALITÀ

4.1 Requisiti generali

4.2 Requisiti relativi alla documentazione

5 RESPONSABILITÀ DELLA DIREZIONE

5.1 Impegno della direzione

5.2 Attenzione focalizzata al cliente

5.3 Politica per la qualità

5.4 Pianificazione

5.5 Responsabilità, autorità e comunicazione

5.6 Riesame da parte della direzione

6 GESTIONE DELLE RISORSE

6.1 Messa a disposizione delle risorse

6.2 Risorse umane

6.3 Infrastrutture

6.4 Ambiente di lavoro

7 REALIZZAZIONE DEL PRODOTTO

7.1 Pianificazione della realizzazione del prodotto

7.2 Processi relativi al cliente

81

7.3 Progettazione e sviluppo

7.4 Approvvigionamento

7.5 Produzione ed erogazione di servizi

7.6 Tenuta sotto controllo dei dispositivi di monitoraggio e di misurazione

8 MISURAZIONI, ANALISI E MIGLIORAMENTO

8.1 Generalità

8.2 Monitoraggi e misurazioni

8.3 Tenuta sotto controllo dei prodotti non conformi

8.4 Analisi dei dati

8.5 Miglioramento

Questa ultima edizione delle ISO9000 ha posto molta attenzione alla leadership che deve essere

strategica, deve decidere le politiche aziendali e comunicare come perseguirle perché

l’organizzazione possa ottenere gli obiettivi di riduzione dei costi e di soddisfazione del cliente

nell’ambiente che la circonda come evidenziato dai requisiti esposti nel punto 5.

Nell’introduzione alle ISO9004 e ISO9001 si afferma come: l’adozione di un sistema di

gestione per la qualità dovrebbe essere una decisione strategica dell’alta direzione di

un’organizzazione. La progettazione e attuazione di un sistema di gestione per la qualità è

influenzata da esigenze diverse, da particolari obiettivi, dal tipo di prodotti forniti, da processi

utilizzati, dalla dimensione e dalla struttura dell’organizzazione. Tuttavia essa non intende

perseguire l’uniformità della struttura dei sistemi di gestione per la qualità né della relativa

documentazione.

Il punto 5 della norma chiede il coinvolgimento notevole della direzione anche a livello

strategico:

5 RESPONSABILITÀ DELLA DIREZIONE

5.1 Impegno della direzione

L'alta direzione deve fornire evidenza del suo impegno nello sviluppo e nella messa in atto del

sistema di gestione per la qualità e nel miglioramento continuo della sua efficacia,

a) comunicando all'organizzazione l'importanza di ottemperare ai requisiti del cliente ed

a quelli cogenti applicabili,

b) stabilendo la politica per la qualità,

c) assicurando che siano definiti gli obiettivi per la qualità,

d) effettuando i riesami da parte della direzione,

e) assicurando la disponibilità di risorse.

5.2 Attenzione focalizzata al cliente

L'alta direzione deve assicurare che i requisiti del cliente siano definiti e soddisfatti allo scopo

di accrescere la soddisfazione del cliente stesso (vedere 7.2.1 e 8.2.1).

5.3 Politica per la qualità

L'alta direzione deve assicurare che la politica per la qualità:

a) sia appropriata agli scopi dell'organizzazione,

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b) sia comprensiva dell'impegno al soddisfacimento dei requisiti ed al miglioramento

continuo dell'efficacia del sistema di gestione per la qualità,

c) preveda un quadro strutturale per definire e riesaminare gli obiettivi per la qualità,

d) sia comunicata e compresa all'interno dell'organizzazione,

e) sia riesaminata per accertarne la continua idoneità.

5.4 Pianificazione

5.4.1 Obiettivi per la qualità

L'alta direzione deve assicurare che, per i pertinenti livelli e funzioni dell'organizzazione, siano

stabiliti gli obiettivi per la qualità, compresi quelli necessari per ottemperare ai requisiti dei

prodotti [vedere 7.1 a)]. Gli obiettivi per la qualità devono essere misurabili e coerenti con la

politica per la qualità.

5.4.2 Pianificazione del sistema di gestione per la qualità

L'alta direzione deve assicurare che:

a) la pianificazione del sistema di gestione per la qualità sia condotta in modo da ottemperare

ai requisiti riportati in 4.1 e conseguire gli obiettivi per la qualità,

b) l'integrità del sistema di gestione per la qualità sia conservata quando sono pianificate

ed attuate modifiche al sistema stesso.

5.5 Responsabilità, autorità e comunicazione

5.5.1 Responsabilità ed autorità

L'alta direzione deve assicurare che le responsabilità e le autorità siano definite e rese note

nell'ambito dell'organizzazione.

5.5.2 Rappresentante della direzione

L'alta direzione deve designare un componente della propria struttura direzionale, che,

indipendentemente da altre sue responsabilità, abbia la responsabilità e l’autorità anche per:

a) assicurare che i processi necessari per il sistema di gestione per la qualità siano

predisposti, attuati e tenuti aggiornati,

b) riferire all’alta direzione sulle prestazioni del sistema di gestione per la qualità e su ogni

esigenza per il miglioramento,

c) assicurare la promozione della consapevolezza dei requisiti del cliente nell'ambito di tutta

l'organizzazione.

Nota

La responsabilità del rappresentante della direzione può estendersi anche ai collegamenti

con organizzazioni esterne su argomenti riguardanti il sistema di gestione per la qualità.

5.5.3 Comunicazione interna

L'alta direzione deve assicurare che siano attivati adeguati processi di comunicazione

all'interno dell'organizzazione e che siano fornite anche comunicazioni riguardanti l'efficacia

del sistema di gestione per la qualità.

UNI EN ISO 9001:2000

Dalla letteratura analizzata e dall’analisi dei successi aziendali è evidente come la leadership,

convinta e motivata, sia la vera chiave di volta perché l’adesione alle norme sia una reale

occasione di crescita e di miglioramento e le norme che, come si è detto, sono frutto di

esperienze e tendenze raccolte in tutto il mondo e in tutti i settori, ne sottolineano l’importanza

ponendola come uno dei primi requisiti da perseguire. L’aspetto innovativo molto importante

introdotto da questa edizione consiste nella richiesta della misurazione dei risultati conseguiti

come esplicitato nel Principio 7 - Decisioni basate su dati di fatto e soprattutto nel punto 8 della

ISO9001

83

8.4 Analisi dei dati

L'organizzazione deve individuare, raccogliere ed analizzare i dati appropriati per dimostrare

l'adeguatezza e l'efficacia del sistema di gestione per la qualità e per valutare dove possono

essere apportati miglioramenti continui dell'efficacia del sistema di gestione per la qualità.

Rientrano in tale ambito i dati risultanti dalle attività di monitoraggio e misurazione e da altre fonti

pertinenti.

L'analisi dei dati deve fornire informazioni in merito a:

a) soddisfazione del cliente (vedere 8.2.1),

b) conformità ai requisiti del prodotto (vedere 7.2.1),

c) caratteristiche ed andamento dei processi e dei prodotti, incluse le opportunità per

azioni preventive,

d) fornitori.

Quanto voluto da questo requisito rende più completo il percorso proposto dalle norme in

quanto gli indicatori, sia nella fase di costruzione, sia nella fase di controllo, spingono le

organizzazioni a verificare la validità degli obiettivi decisi e a innestare nei processi aziendali il

percorso del miglioramento continuo, dando sempre nuovi obiettivi da raggiungere misurabili e

verificabili.

La ISO9004, in quanto linea guida, espone otto principi di gestione per la qualità che possono

fornire ai vertici aziendali una guida per migliorare le prestazioni della propria organizzazione.

Questi principi nascono da esperienze collettive e dalle conoscenze di esperti

internazionalmente riconosciuti e si propongono come guida ai loro utilizzatori nel

raggiungimento di un auspicabile successo stabile delle loro organizzazioni.

Il documento ISO/TC 176 N595, ripreso anche dalla linea guida emessa del Sincert, descrive

ciascuno di questi otto principi, che la ISO9004 elenca, ne delinea i benefici derivanti dal loro

utilizzo e fornisce esempi di azioni che il vertice aziendale può intraprendere per migliorare le

prestazioni della propria organizzazione. Si riporta di seguito il testo così come pubblicato

dall’UNI.

Principio 1 – Organizzazione orientata al cliente

Le organizzazioni dipendono dai propri clienti e dovrebbero pertanto capire le loro esigenze

presenti e future, ottemperare ai loro requisiti e mirare a superare le loro stesse aspettative.

Benefici principali:

- Aumento del reddito e delle quote di mercato, attraverso una risposta flessibile e

rapida alle opportunità offerte dal mercato.

84

- Miglior efficacia, nell’uso delle risorse di un’organizzazione, nel perseguire la

soddisfazione dei clienti.

- Maggior fidelizzazione dei clienti, che porta continuità di affari e stimola il passa

parola.

L’applicazione del principio "Organizzazione orientata al cliente" porta normalmente a:

- Individuare e comprendere le esigenze ed aspettative del cliente.

- Assicurarsi che gli obiettivi ed i traguardi dell’organizzazione siano coerenti con le

esigenze e le aspettative dei clienti.

- Segnalare queste esigenze ed aspettative a tutta l’organizzazione.

- Misurare la soddisfazione del cliente ed agire di conseguenza.

- Gestire con sistematicità i rapporti con il cliente.

- Assicurare un approccio bilanciato tra i clienti e le altre parti interessate quali:

proprietari, personale, fornitori, finanziatori, comunità locali e la società in generale.

Principio 2 – Leadership

I capi stabiliscono unità di intenti e di indirizzo dell’organizzazione. Essi dovrebbero creare e

mantenere un ambiente interno che coinvolga pienamente il personale nel perseguimento degli

obiettivi dell’organizzazione.

Benefici principali:

- Il personale comprenderà e sarà motivato nel perseguimento degli obiettivi e dei

traguardi dell’organizzazione.

- Le attività verranno valutate, rese coerenti e messe in atto in modo unificato.

- Saranno ridotti i disguidi di comunicazione tra i diversi livelli dell’organizzazione.

L’applicazione del principio "Leadership" porta normalmente a:

- Tener conto delle esigenze di tutte le parti interessate, inclusi clienti, proprietari,

personale, fornitori, comunità locali e la società in generale.

- Stabilire una chiara visione del futuro dell’organizzazione.

- Fissare obiettivi e traguardi stimolanti.

- Creare e sostenere valori comuni e modelli di regole etiche e di correttezza a tutti i

livelli dell’organizzazione.

85

- Creare fiducia e dissipare timori.

- Fornire al personale le necessarie risorse, l’addestramento e la libertà per agire con

responsabilità.

- Stimolare, incoraggiare e riconoscere i contributi forniti dal personale.

Principio 3 - Coinvolgimento del personale

Le persone, a tutti i livelli, costituiscono l’essenza di un’organizzazione ed il loro pieno

coinvolgimento permette di porre le loro capacità al servizio dell’organizzazione.

Benefici principali:

- Motivazione, rispondenza e coinvolgimento del personale nell’ambito

dell’organizzazione.

- Innovazione e creatività nel raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione.

- Responsabilizzazione del personale per le proprie prestazioni.

- Desiderio del personale di partecipare e contribuire al miglioramento continuo.

L’applicazione del principio "Coinvolgimento del personale" porta normalmente il personale a:

- Comprendere l’importanza del suo contributo e del suo ruolo nell’organizzazione.

- Individuare i vincoli attinenti alle proprie prestazioni.

- Accettare l’incarico e la responsabilità di risolvere i problemi.

- Valutare le sue prestazioni a fronte dei suoi obiettivi e traguardi.

- Ricercare attivamente occasioni per sviluppare le proprie competenze, conoscenze

ed esperienze.

- Condividere liberamente conoscenze ed esperienze

- Discutere apertamente di problemi e situazioni.

Principio 4 - Approccio per processi

Un risultato desiderato si ottiene con maggior efficienza quando le relative risorse ed attività

sono gestite come un processo.

Benefici principali:

- Minori costi e cicli più brevi, mediante un efficace uso delle risorse.

- Risultati migliori, coerenti e prevedibili.

86

- Occasioni per la messa a fuoco e la scelta delle priorità dei miglioramenti.

L’applicazione del principio "Approccio per processi" porta normalmente a:

- Utilizzare metodi strutturati nella definizione delle attività necessarie ad ottenere i

risultati desiderati.

- Stabilire chiaramente le responsabilità per la gestione delle attività principali.

- Analizzare e misurare le potenzialità delle attività principali.

- Individuare le interfacce delle attività principali tra ed all’interno delle funzioni

dell’organizzazione.

- Mettere a fuoco i fattori (quali le risorse, i metodi, i materiali) in grado di migliorare

le principali attività dell’organizzazione.

- Valutare i rischi, le conseguenze e l’impatto delle attività sui clienti, sui fornitori e

sulle altre parti interessate.

Principio 5 - Approccio sistemico alla gestione

Identificare, capire e gestire un sistema di processi interconnessi, mirati a determinati obiettivi,

migliora l’efficacia e l’efficienza dell’organizzazione.

Benefici principali:

- Integrazione ed allineamento dei processi per meglio favorire il raggiungimento dei

risultati desiderati.

- Capacità di mettere a fuoco i processi che più contano.

- Dar fiducia alle parti interessate sulla solidità, efficacia ed efficienza

dell’organizzazione

L’applicazione del principio "Approccio sistemico alla gestione" porta normalmente a:

- Strutturare il sistema per raggiungere gli obiettivi dell’organizzazione nel modo più

efficace ed efficiente.

- Comprendere le interdipendenze tra i processi del sistema.

- Impostare approcci strutturati che armonizzino ed integrino tra loro i processi.

- Comprendere meglio i ruoli e le responsabilità necessari per raggiungere gli obiettivi

comuni, riducendo quindi le barriere tra le funzioni dell’organizzazione.

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- Capire le potenzialità organizzative ed individuare i vincoli sulle risorse prima di

iniziare le attività.

- Individuare obiettivi e definire come le attività specifiche dovrebbero inquadrarsi nel

sistema.

- Migliorare continuamente il sistema mediante misure e valutazioni.

Principio 6 - Miglioramento continuo

Il miglioramento continuo dovrebbe essere un obiettivo permanente dell’organizzazione.

Benefici principali:

- Vantaggi prestazionali attraverso migliorate potenzialità organizzative

- Razionalizzazione delle attività di miglioramento a tutti i livelli, per perseguire gli

obiettivi strategici dell’organizzazione.

- Flessibilità nel rispondere con prontezza alle opportunità che si presentano.

L’applicazione del principio "Miglioramento continuo" porta normalmente a:

- Adottare, per l’intera l’organizzazione, un approccio coerente nel miglioramento

continuo.

- Addestrare il personale sui metodi e strumenti per perseguire il miglioramento

continuo.

- Fare, del miglioramento continuo di prodotti, processi e sistemi, un obiettivo per

tutto il personale dell’organizzazione.

- Stabilire traguardi per il miglioramento continuo e misure per seguirne l’andamento.

- Riconoscere e dare credito dei miglioramenti.

Principio 7 - Decisioni basate su dati di fatto

Le decisioni efficaci si basano sull’analisi di dati ed informazioni.

Benefici principali:

- Decisioni razionali.

- Maggior capacità nel dimostrare l’efficacia di precedenti decisioni, sulla base di

situazioni di fatto.

- Miglior capacità di esaminare, confrontare e modificare opinioni e decisioni.

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- L’applicazione del principio "Decisioni basate su dati di fatto" porta

normalmente a:

- Assicurarsi che i dati e le informazioni siano sufficientemente accurati ed

affidabili.

- Rendere accessibili dati ed informazioni a chi ne ha bisogno.

- Analizzare i dati e le informazioni utilizzando metodi validi.

- Assumere decisioni e prendere azioni basandosi su analisi di fatti reali,

bilanciandole con l’esperienza e l’intuizione.

Principio 8 - Rapporti di reciproco beneficio con i fornitori

Una organizzazione ed i suoi fornitori sono interdipendenti ed un rapporto di reciproco

beneficio migliora, per entrambi, la capacità di creare valore.

Benefici principali:

- Maggior capacità di creare valore, per entrambe le parti.

- Flessibilità e prontezza nel dare risposte congiunte al mutare del mercato o delle

esigenze e aspettative dei clienti.

- Ottimizzazione di costi e risorse.

L’applicazione del principio "Rapporti di reciproco beneficio con i fornitori" porta

normalmente a:

- Stabilire rapporti in grado di bilanciare i guadagni a breve con logiche di lungo

termine.

- Condividere esperienze e risorse con i principali partner.

- Identificare e selezionare i fornitori principali.

- Stabilire comunicazioni chiare ed aperte.

- Scambiarsi informazioni e piani per il futuro.

- Individuare attività congiunte per lo sviluppo ed il miglioramento.

4.4.Le motivazioni alla Certificazione

Le ragioni che possono spingere un’azienda a certificarsi possono essere, come si è già

evidenziato, sia di carattere interno sia di carattere esterno ad essa.

89

Le motivazioni di carattere interno sono quelle che, partendo da situazioni di scarsa

soddisfazione dell’andamento dell’azienda in termini di efficienza, di efficacia, di

organizzazione, di rapporti con il personale, spingono l’azienda a cercare nuove strategie per

tentare di dare una risposta a tali problemi. Scelta la strategia qualità, la certificazione secondo

la norma ISO9001 può rappresentare un valido strumento per attuare tale sistema di gestione.

Le motivazioni esterne all’azienda sono relative alle richieste del mercato di Assicurazione

della Qualità ma anche a strategie commerciali e di promozione di immagine. Fino a pochi anni

fa la certificazione rappresentava in certi mercati un sicuro vantaggio competitivo, oggi invece

il “diploma”, diventando fenomeno molto diffuso, è spesso condizione sine qua non, soprattutto

in alcuni settori merceologici, per poter essere presi in considerazione quali potenziali fornitori

o per continuare ad esserlo.

Le imprese si stanno rendendo conto che la certificazione sta diventando sempre più barriera

all’entrata in certi settori. Questa tendenza del mercato non interessa solo le grandi aziende ma

anche le piccole medie che, rappresentando una parte cospicua del settore della sub-fornitura,

sono sollecitate o, a volte, costrette dalle aziende committenti, già certificate, alla certificazione

per non compromettere la loro posizione di fornitori.

Per le aziende capo gruppo, facenti parte di gruppi multinazionali, e per le aziende che

detengono il corebusiness di una organizzazione a rete o a filiera esternalizzata può

rappresentare strategia di gruppo pretendere la certificazione delle singole unità per garantire lo

standard di qualità del gruppo.

La ISO 9001 propone comunque una certificazione volontaria che dovrebbe essere ottenuta nel

rispetto e nella comprensione della filosofia-strategia qualità che ne ha motivato la nascita,

piuttosto che nell’intento di ottenere un diploma di carta, come spesso la si sente definire,

voluto dal mercato.

La strada percorsa per arrivare a decidere di ottenere la certificazione è diversa in ogni azienda,

come prevedibile, in quanto ognuna si differenzia dall’altra per l’unicità della propria storia, per

le caratteristiche dell’imprenditore e dei manager, per le dimensioni, per il settore merceologico

di appartenenza, per le caratteristiche dei mercati di sbocco.

Le motivazioni che portano un’azienda a ricercare la certificazione tuttavia sono sempre

classificabili in interne ed esterne, pur nell’eterogeneità della realtà aziendale, sempre le stesse

già indicate, anche se mutanti nell’ordine di prevalenza e soprattutto intersecabili tra loro.

90

Sicuramente è molto diversa la realtà delle PMI rispetto alle imprese di grande o medie

dimensioni. La grande dimensione porta di necessità a dover strutturare e formalizzare il

progetto organizzativo attraverso strumenti per poter gestire l’organizzazione: vi è la presenza

di manager che, insieme alla dirigenza, elaborano strategie. Nella PMI, soprattutto italiana, non

si riscontra questa formalizzazione che vuole significare aver fatto delle scelte meditate su

come strutturare e gestire l’organizzazione.

In tale senso la norma ISO e la certificazione possono rappresentare un valido aiuto alle aziende

per un miglior assetto organizzativo e gestionale.

Attraverso la ricerca che sto da tempo conducendo sul fenomeno certificativo, soprattutto nella

realtà delle PMI della provincia bergamasca,38ho verificato che la comprensione dello

strumento certificativo è in stretta relazione, oltre che, naturalmente, con le capacità e con la

cultura dell’azienda, col tipo di prodotto eseguito.

Nel settore elettromeccanico fare qualità risulta essere da tempo una necessità imprescindibile

per il prodotto eseguito, principalmente per i rapporti di sub-fornitura con le aziende

committenti che già da tempo richiedono verifiche sul prodotto. Negli anni ‘70, in alcune

aziende di tale settore, la tipologia degli appalti, quali il nucleare e l’aeronautico, aveva già

creato la necessità di produrre secondo procedure specifiche imposte contrattualmente. I

responsabili di qualità di queste realtà sono concordi nel considerare fondamentali tali

esperienze, soprattutto la nucleare, per aver costretto le aziende ad adottare, fin da quegli anni,

modi di produrre molto vicini alla qualità che, ora, hanno portato le aziende a maturare la

cultura aziendale necessaria per la certificazione.

Quindi, in generale, la certificazione diventa un atto con il quale l’azienda dichiara al mercato il

suo operare in qualità. In tale settore tale certificato è ormai una condizione necessaria per

l’accesso ai mercati, obbligatoria per certi committenti.

Nel settore di produzione di minuterie metalliche tornite di precisione, la tipologia del prodotto

e i rapporti di sub-fornitura hanno condizionato il modo di produrre. Il prodotto è sempre stato

di alta precisione e qualità in quanto l’esigenza di soddisfare il cliente è stata sempre primaria e

conseguente al rapporto di sub-fornitura. In questo settore fare un prodotto di precisione vuol

dire, in genere, adottare procedure specifiche richieste contrattualmente.

38 Casadio Chiara Quaderni del Dipartimento di Economia Aziendale – 1998 n.4- Università degli Studi

di Bergamo

91

La necessità della certificazione, come richiesta di mercato, è degli anni ‘90. In quasi tutte le

aziende le motivazioni esterne hanno rappresentato la spinta principale alla certificazione.

Il settore delle aziende che operano legate al tessile risulta molto più arretrato rispetto ai primi

due nell’introduzione della certificazione. I motivi sono da ricercare soprattutto nella tipologia

del prodotto che, non richiedendo particolari standard di precisione, ha fatto sì che i mercati

abbiano tardato ad avvicinarsi a tale strategia, se non per motivi di strategie di differenziazione

in mercati saturi e maturi.

La crisi che sta caratterizzando tale settore, con ricadute molte negative anche nel distretto della

Val Seriana, uno dei più storici e vivaci del settore, non ha prodotto, per ciò che riguarda la

certificazione, miglioramenti nella comprensione ed nell’utilizzo di tale strumento.

Le risposte alle domande proposte da un questionario del 1994, riproposto nel 200539, hanno

dato gli stessi esiti per ciò che riguarda le motivazioni e le considerazioni sull’utilità di questo

strumento. In sintesi, a distanza di quasi dieci anni, si è rilevatala la stessa scarsa comprensione

delle potenzialità dello strumento certificativo come strumento organizzativo. Nelle aziende che

producono telai per il tessile, o suoi componenti, la legge ha sensibilizzato, con i problemi posti

dal manuale di istruzione - documento della certificazione obbligatoria di prodotto (marcatura

CEE) -, anche il versante della qualità e della certificazione, che sta diventando, anche qui, una

richiesta sempre più pressante del mercato.

Allo stesso modo in altri settori, come ad esempio quello legato alle materie plastiche, ho

riscontrato che la maggior parte delle piccole medie aziende si sono certificate o hanno avviato

la procedura della certificazione, in prevalenza sulla spinta del mercato, quasi sempre di clienti

certificati, spesso stranieri, legati a loro da contratti di sub-fornitura.

Nei settori della componentistica del settore automobilistico la certificazione è prassi comune in

quanto, anche in questo ambito, i clienti (le grandi case automobilistiche, sia estere che italiane)

hanno costretto le aziende fornitrici a certificarsi anche nel rispetto di standard più rigorosi,

costruiti apposta per questo settore. Durante il 1994, the Big Three( DaimlerChrysler, Ford e

General Motor) e molti tra i maggiori costruttori di veicoli commerciali hanno sottoscritto il

documento QS9000 che usa la ISO9001:94 come base, con l’aggiunta delle richieste specifiche

del settore automotive. I fornitori delle aziende sopracitate per materie prime, componentistica,

servizi e lavorazioni di finitura devono applicare il QS9000. Dal 14/12/2006 verranno sostituite

dalla ISO/TS 16949:2002, a volte già richiesta. Anche in Europa sono stati costruiti standard

39 Simona Gamba “La Certificazione dei sistemi di qualità nel distretto tessile della Val Brembana” 1994 Stefano Pedroni “La Certificazione secondo le norme ISO9001 e ISO14001 nel distretto tessile della Val Brembana” 2005

92

simili e quindi diverse certificazioni, AVSQ, KBA,VDA6.1 che, nonostante gli sforzi, non si

riesce ad armonizzare.

Le imprese di costruzioni, in Italia, rappresentano un caso peculiare. L’adozione di un sistema

di gestione, conforme alla norma ISO9001, e la relativa certificazione sono state rese

obbligatorie, di fatto, dalla legislazione in materia di lavori pubblici per le imprese che

intendono partecipare agli appalti pubblici. In questo modo un numero relativamente elevato

anche di piccole imprese (circa 15000) hanno implementato, almeno apparentemente, un

sistema di gestione secondo i requisiti normativi. La pubblicazione del novembre 2005 di

Sincert dichiara che molte di queste certificazioni sono prive di reale efficacia e credibilità.

L’adesione alla ISO 9001, comunque motivata e praticata, provoca nella realtà delle aziende,

col passare del tempo, cambiamenti o adeguamenti gestionali, operativi e organizzativi che

coinvolgono tutte le funzioni aziendali.

Questo fatto è confermato anche dai dati raccolti nella ricerca già ricordata, dati che dimostrano

come, nell’arco di un certo periodo di tempo, circa 2 o 3 anni, qualche miglioramento

organizzativo si possa osservare anche in ambiti in cui la direzione non condivide o non è

partecipe del metodo organizzativo.

Nel campione analizzato ho osservato pochi casi in cui le motivazioni interne siano state spinta

primaria alla certificazione: spesso le motivazioni interne ed esterne si intersecano tra loro, ma

quasi sempre il bisogno a intraprendere la strada della certificazione nasce da esigenze di

mercato. Con ogni certezza le osservazione effettuate su tutte le aziende hanno messo in

evidenza come la convinzione e la condivisione dei principi che stanno all'origine della

certificazione da parte dell'imprenditore o dei manager, siano indispensabili affinché il

raggiungimento di tale documento sia effettivamente uno strumento per ottenere miglioramenti

organizzativi -gestionali e non solo un diploma di carta, quasi una tassa per il mercato.

Ritengo interessante dare una breve sintesi della già ricordata pubblicazione di Sincert in

quanto offre una visione critica abbastanza obiettiva della situazione della certificazione in

Italia.

L’analisi viene condotta distinguendo tre categorie di imprese:

- imprese di servizi tecnologici avanzati;

- imprese di costruzione (di cui si è già detto)

- organizzazioni manifatturiere operanti in settori maturi e imprese di servizi a basso

contenuto tecnologico.

93

Le piccole organizzazioni che rientrano nelle categorie “ Imprese manifatturiere “mature” e

“imprese di servizi a basso contenuto Tecnologico” operano, spesso, con criteri artigianali.

Le conoscenze e procedure non sono formalizzate per iscritto ma tramandate oralmente e

acquisite con l’apprendistato. Il “modello di gestione” è accentrato nella figura

dell’imprenditore il quale riassume in sé le responsabilità della direzione, la gestione delle

risorse, il coordinamento di tutte le fasi relative alla realizzazione del prodotto e le funzioni di

misurazione, analisi e miglioramento.

In tale ambito, la cultura e la prassi della realizzazione della qualità stentano ad affermarsi per

evidenti motivi di carattere sia culturale, sia economico/finanziario.

Sussiste, generalmente, un buon livello di conoscenza delle normative tecniche di prodotto, in

special modo se cogenti. Le attività di controllo dei prodotti e dei processi, prove e misure, sono

abbastanza diffuse, anche se spesso condotte in modo approssimativo, in difetto di un’adeguata

cultura metrologica.

L’implementazione dei modelli di gestione sistemica appare problematica. Alcune stime

sembrano, infatti, indicare che l’attuale grado di penetrazione dei sistemi di gestione per la

qualità nelle Piccole Imprese manifatturiere e di servizi a basso contenuto tecnologico non

supera, complessivamente, il 10 %. D’altro canto nella relazione ci si chiede se, per tale

tipologia di impresa, l’approccio sistemico alla gestione, con tutti gli oneri associati, possa

effettivamente comportare sostanziali benefici per l’impresa ed i suoi primari stakeholders

(clienti).

Recenti studi, condotti con riferimento a piccole imprese che dovrebbero aver implementato

sistemi di gestione ISO 9000, in quanto in possesso di certificazioni, hanno mostrato che i

miglioramenti conseguiti in termini di “qualità economica” risultano modesti.

Per quanto attiene ai settori di attività, sembrerebbe che i settori della chimica,in particolare

delle materie plastiche, della metallurgia meccanica ed elettrotecnica/elettronica abbiano tratto,

dalla sia pur limitata implementazione di modelli di gestione sistemica, benefici maggiori

rispetto ad altri settori.

Diversa appare la situazione delle imprese di servizi tecnologici avanzati, anche di piccole

dimensioni, appartenenti ai settori del cosiddetto “Terziario Avanzato” :informatica,

consulenza, formazione,marketing e simili.

Tali imprese operano, per lo più, in conformità allo stato dell’arte nelle rispettive discipline e

tecnologie in cui si rileva buona conoscenza ed elevato grado di utilizzo delle normative

tecniche di settore, ove esistenti, ed il grado di penetrazione, al loro interno, dei modelli di

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gestione ISO 9000 è abbastanza diffuso, specie nei settori dell’informatica e della consulenza

aziendale.

In tali settori la percentuale di piccole imprese che hanno implementato sistemi di questo tipo, è

stimabile nell’ordine del 40 % . Non sempre, tuttavia, questi sistemi costituiscono un reale

strumento di miglioramento, in quanto sprovvisti della necessaria efficacia.

Appare differente, sulla base dei dati e delle informazioni disponibili, la situazione delle medie

imprese, in particolare se si fa riferimento a quelle appartenenti alla parte superiore della fascia

con più di 100 addetti, in cui sia la cultura tecnica, sia quella di gestione, appaiono

sufficientemente diffuse, consolidate e formalizzate.

La conoscenza ed applicazione della normativa tecnica settoriale è generalmente adeguata e

molte imprese contribuiscono, direttamente e attivamente, alle sviluppo delle attività di

normazione a livello nazionale ed internazionale.

Anche per queste imprese, tuttavia, sussistono carenze culturali ed operative in materia di

qualità metrologica che vanno opportunamente colmate.

Per quanto attiene al livello di diffusione ed implementazione dei modelli sistemici di gestione,

la situazione dipende sensibilmente dal settore di attività.

I sistemi di gestione ISO 9000 risultano significativamente diffusi nei settori dell’industria

alimentare, del tessile, della chimica e affini, della metallurgia, della meccanica,

dell’elettrotecnica ed elettronica, dell’industria dell’arredamento.

Significativa è anche la diffusione nel settore della logistica, per esempio i trasporti, delle

tecnologie dell’informazione, della consulenza tecnica e ingegneristica e dei servizi

professionali di impresa.

Mediamente il grado di penetrazione dei modelli di gestione per la qualità risulta assai più

elevato che non nel caso delle piccole imprese, attestandosi su valori superori al 50 %.

La conoscenza e applicazione della normativa tecnica settoriale è decisamente buona nelle

imprese di grandi dimensioni, anche se l’appartenenza a gruppi multinazionali non permette di

capire se le scelte derivino da politiche autonome o da indirizzi strategici di gruppo.

Molte imprese italiane ricoprono un ruolo di leadership nelle attività di normazione in ambito

internazionale, sia pure con una certa tendenza alla perdita di primati raggiunti in un passato

ormai lontano (con ogni probabilità trasferiti ad altre imprese del gruppo).

La cultura metrologica – ove rilevante e applicabile – è generalmente soddisfacente, con punte

di eccellenza in settori quali l’elettrotecnica e l’elettronica, le telecomunicazioni, l’industria

automobilistica, l’industria aerospaziale ed altri.

95

Il grado di penetrazione dei modelli di gestione per la qualità è prossimo al 100% e la relativa

ripartizione percentuale riflette la distribuzione delle imprese nei diversi settori di attività

economica.

L’efficacia di detti sistemi, anch’essi tutti “certificati”, appare mediamente elevata, con un

sensibile contributo al miglioramento della qualità erogata.

I differenziali di performance, rispetto ad imprese non dotate di sistemi di gestione per la

qualità, non sono stimabili data la penetrazione pressoché totale dei sistemi stessi.

La diffusione di sistemi di gestione ambientale risulta particolarmente significativa nei settori

dell’industria alimentare, della chimica e affini, della metallurgia, dell’elettrotecnica ed

elettronica, della produzione di energia e della logistica.

Studi recentemente condotti su di un gruppo di imprese “globali”, operanti nei settori

dell’energia e della chimica e farmaceutica, hanno mostrato che l’implementazione di detti

sistemi ha inciso positivamente sulla crescita della competitività delle imprese interessate,

confermando come l’innovazione ecologica sia effettivamente in grado di generare valore di

“business”, in termini di miglioramento dell’immagine, di apprezzamento del marchio, di

miglioramento della top line dei prodotti, di riduzione dei costi e di accesso a nuovi mercati.

In altri termini, pare evidente che la tutela dell’ambiente non rappresenta un vincolo per

l’impresa, bensì una opportunità.

La penetrazione di altri sistemi di gestione (salute e sicurezza, information security) è anch’essa

in percentuale significativa, riguardando 200-300 imprese.

Ciò conferma il valore giustamente attribuito da molte imprese eccellenti alla qualità sociale,

anche come fattore di crescita della competitività.

Alla data del 31 Ottobre 2005, il numero totale di certificazioni di sistema di gestione rilasciate,

sotto accreditamento SINCERT, a organizzazioni italiane operanti in tutti settori di attività

socio-economiche, è pari a circa 105.000 .

Per quanto attiene ai sistemi di gestione per la qualità, le percentuali di penetrazione sono

ancora piuttosto basse nelle piccole e piccolissime imprese, mentre risultano soddisfacenti per

le medie e grandi imprese.

La diffusione dei sistemi di gestione ambientale è tuttora assai modesta nell’ambito delle

piccole imprese, inizia ad affermarsi nel mondo della media impresa e risulta già significativa

nell’ambito delle grandi imprese.

Il dato assoluto, 105.000 certificazioni, è comunque assai rilevante e, al riguardo, è utile

ricordare come l’Italia si collochi, oggi, al secondo posto al mondo per numero di certificazioni

di sistema di gestione per la qualità, secondo la norma ISO 9001, rilasciate da Enti di

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accreditamento firmatari degli Accordi MLA EA/IAF, ed ai primissimi posti anche per le altre

principali tipologie di certificazione di sistema.

I tassi di crescita annui si mantengono decisamente positivi, collocandosi nell’ordine del 10-15

% circa per le certificazioni ISO 9001, del 50 % circa per le certificazioni ISO 14001 e su valori

ancora superiori (ma con dati di partenza tuttora modesti) per le altre tipologie di certificazione.

Sembrerebbe quindi che l’importanza dei sistemi di gestione, quali strumenti di riduzione dei

rischi, di miglioramento delle prestazioni aziendali, di crescita della competitività e di

promozione dell’immagine delle organizzazioni produttrici di beni e fornitrici di servizi, sia

stata e sia, tuttora, pienamente avvertita dal sistema socio-economico nazionale, in misura assai

maggiore che non in altri paesi ad economia e socialità avanzate.

Quanto, tuttavia, suddette certificazioni siano effettivamente indicative della capacità delle

imprese di erogare qualità, in virtù di una gestione ottimizzata delle risorse e dei processi,

basata sullo stato dell’arte, delle scienze e tecnologie applicabili e finalizzata al

soddisfacimento delle esigenze e aspettative dei clienti e delle altre parti interessate, è oggetto

di dibattito.

Le “cattive” certificazioni sono certamente presenti, sia pure in misura inferiore forse a quella

che si può supporre, considerazioni abbastanza negative dovute a diverse motivazioni che

possono essere ricondotte sia ad un approccio riduttivo ed utilitaristico da parte delle imprese,

sia alla inadeguatezza dei comportamenti degli Organismi di certificazione, condizioni

entrambe che, purtroppo, si alimentano ed esaltano vicendevolmente.

Le certificazioni in oggetto, se credibili, potrebbero rappresentare un grande “patrimonio” per

il nostro paese che, nella grande maggioranza dei casi, ha favorito e favorisce il rispetto delle

leggi finalizzate alla tutela dei bisogni fondamentali dei cittadini e, in molti casi, ha contribuito

al mantenimento, se non alla crescita (dati i tempi non facili) della competitività.

Le criticità tuttora presenti devono essere superate, promovendo la maturazione culturale delle

imprese e assicurando maggiore efficacia e incisività da parte del sistema di accreditamento e

certificazione.

4.5. L’iter di Certificazione

Per sistema qualità di un'organizzazione si intende l'insieme delle strutture organizzative, delle

responsabilità, delle procedure, dei processi e delle risorse (umane e strumentali) poste in atto al

fine di realizzare e gestire la qualità.

Per certificazione di sistemi qualità si intende la verifica ed attestazione, da parte di enti terzi

indipendenti e qualificati(Organismi di certificazione di sistemi qualità) della conformità di

detto sistema ai requisiti previsti dalla normativa di riferimento.

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La certificazione viene richiesta ad un organismo indipendente accreditato dall’ente nazionale

che regolamenta e controlla tale attività, il Sincert.

L’Azienda richiedente deve predisporre il “Manuale della Qualità” che corrisponde al manuale

organizzativo che ogni azienda dovrebbe approntare, nel quale vengono esplicitate le modalità

di adeguamento alle norme ISO, modalità successivamente verificate sul campo, dal valutatore

della società di certificazione che compila una lista di riscontro.

Dall’elaborazione dei dati della lista scaturisce un rapporto finale sui cui contenuti avviene una

discussione nell’ambito dell’organismo di certificazione, che può deliberare favorevolmente,

oppure invitare l’azienda ad eliminare le non conformità. Atto finale è la visita dei certificatori,

chiamati a verificare se l'azienda può essere certificata alla luce dei dettami della normativa.

Il rilascio del certificato non conclude l’iter di valutazione, poiché sono previste visite di

sorveglianza con cadenza annuale.

4.6. La documentazione della Qualità

La norma ISO 9001, che prevede la certificazione di sistemi di qualità, richiede all'azienda di

disporre di un modello di gestione documentato e sufficientemente consolidato nella sua

applicazione. La norma richiede la predisposizione di una documentazione di un progetto

organizzativo gestionale e attraverso l’iter di certificazione viene controllato che ciò sia stato

fatto.

Per ottenere la certificazione occorre documentare, quindi, il sistema di qualità per sottoporlo

alla verifica di un organismo esterno all'azienda, cui è stata inoltrata precedentemente la

domanda di certificazione.

Lo schema strutturale di documentazione del sistema è costituito dal Manuale di Qualità, dalle

procedure documentate del sistema qualità e da altri documenti per la qualità quali, ad esempio,

istruzioni di lavoro. Va osservato come tali documenti siano strumenti impersonali di

coordinamento organizzativo che dovrebbero essere già presenti ed abitualmente utilizzati in

azienda. Purtroppo in molte realtà sembrano essere introdotti solo per soddisfare esigenze di

risposta ai requisiti normativi. Le aziende di grandi dimensioni presentano evidentemente la

prassi di dotarsi di questi strumenti indispensabili per la complessità che la dimensione porta:

anche le PMI dovrebbero mettere a punto il progetto organizzativo non solo in risposta ai

requisiti normativi. Formalizzare e quindi pensare o tornare a meditare su scelte organizzative e

gestionali dovrebbero essere abitudine anche in tali realtà.

Il Manuale di Qualità è il documento in cui sono definite le politiche di gestione che ispirano le

procedure organizzative ed operative dell'azienda. Non dovrebbe essere realizzato, è chiaro, in

maniera troppo astratta o standardizzata in quanto, una volta scritto, dovrebbe essere utilizzato,

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per non dire che dovrebbe essere già in uso. In genere il manuale dovrebbe perciò essere

preparato e rivisto come atto finale delle fasi di rivisitazione e riprogettazione organizzativa

aziendale durante l’iter di certificazione.

Al secondo livello di documentazione vi è la raccolta delle procedure organizzative (cioè le

modalità di esecuzione di una attività singola), che evidenziano le relazioni tra le funzioni

descritte nell'organigramma.

Anche in questo modo di nominare la documentazione, indicando sempre la specificazione “di

Qualità”, si rileva la derivazione del modello inerente alle ISO soprattutto dalla cultura

occidentale di impronta taylorista che spinge a creare una funzione specialistica e a trattare la

qualità come una funzione e non come una cultura aziendale .

4.6. La figura del consulente

La ricerca e la scelta del consulente è il primo problema che soprattutto la PMI deve affrontare

una volta decisa la Certificazione. Le aziende dovrebbero essere, in questa fase di scelta, molto

accorte perché si possono correre i rischi messi in evidenza dalle osservazioni e dalle critiche

raccolte durante la ricerca.

Le aziende che hanno scelto di rivolgersi a consulenti esterni, hanno spesso lamentato forme di

assistenza non sempre qualificate, anche in relazione ai cospicui costi sostenuti. Il mercato delle

società di consulenza, forse, oggi, sta migliorando, fino a poco tempo fa non aveva ancora

subito un'azione di scrematura e quindi presentava (e tuttora presenta) figure professionalmente

poco qualificate. I professionisti che prestano tale attività di consulenza provengono spesso da

esperienze professionali svariate, generiche oppure, a volte, di tipo troppo settoriale così da non

saper cogliere la specificità della realtà aziendale da supportare; ciò porta a creare iter di

procedure troppo lontane dal processo produttivo e ad un eccessivo appesantimento burocratico

e cartaceo standardizzato.

Un'azione non corretta, poco specialistica e non mirata del consulente causa perdita di tempo, di

efficienza e costi addizionali che spesso pregiudicano il buon inserimento di tale strategia.

Un'azione corretta e competente da parte del consulente può condurre, invece, anche l'azienda

meno aperta, a comprendere i benefici che è possibile trarre dall'inserimento di principi

contenuti nelle ISO quali, tra gli altri, la prevenzione, l'autocontrollo, il miglioramento

continuo.

Inoltre il costo della certificazione è sicuramente molto elevato e nelle piccole medie aziende,

evidentemente, incide in maniera ancora più pesante.

Tra le voci che compongono tale costo, quella della consulenza rappresenta una parte ingente.

99

E' evidente che una certificazione solo burocratica non darà alcun ritorno all'investimento. I

costi sostenuti per ottenerla dovrebbero essere intesi come un investimento che, come tale,

dovrebbe avere un ritorno in valore aggiunto in azienda.

In alcune delle aziende osservate, si è riscontrato che, spesso, dopo un intervento iniziale poco

produttivo, a seguito delle critiche avanzate, la società di consulenza ha cercato, sostituendo a

volte anche il consulente, di proporre un intervento più mirato. Altre aziende hanno scelto

invece la strada interna, affidando completamente il progetto al responsabile di qualità,

abbandonando il supporto esterno. Di contro, si rileva come, in ambito aziendale, a volte, in

questa delicata fase di implementazione del sistema qualità, sia opportuno un intervento

esterno, perché può divenire una strada per ottenere una condivisione maggiore. Un consulente

esterno può risolvere meglio le situazioni di tensione e connotate da scarsa credibilità che

spesso si creano nei confronti di chi viene designato dalla direzione a gestire tale iter.

4.7. Il responsabile di qualità

Il responsabile di qualità, previsto dalla norma e di cui si è già detto40, è una figura molto

delicata in azienda sia per il ruolo che è chiamato a svolgere sia per la convivenza, comunque

faticosa, con le altre funzioni aziendali. In dettaglio il ruolo che tale figura deve adempiere

consiste nell’attuare un sistema di Qualità secondo la norma ISO 90001. I compiti del

responsabile di qualità sono previste espressamente nella ISO 9001 che, al punto 4.1.2.3,

impone alla direzione di designare un membro della struttura direttiva, definito rappresentante

della direzione, cui delegare specifiche responsabilità e autorità.

Affinché questi compiti possano essere svolti in maniera proficua, occorre che vi sia una forte

delega e totale appoggio da parte della direzione di cui è espressione. Come si è già osservato

anche la norma indica, in relazione ad un progetto qualità, nell'impegno della direzione uno dei

requisiti per la realizzazione del progetto.

La responsabilità della direzione si situa al primo posto della ISO 9001, perché anche gli

estensori si sono resi perfettamente conto che l'insidia maggiore per l'implementazione di un

sistema qualità è rappresentata dal disinteresse, dalla non partecipazione della direzione. Spesso

nelle piccole medie aziende, o in quelle in cui non si crede all'utilità del sistema qualità, non

esiste una simile figura e vengono designate come responsabili di qualità persone non adatte e

che non possiedono l'autorità necessaria. In alcune realtà osservate si è avuta la conferma che il

responsabile di qualità, privo di tale autorità e delega, incontra effettivamente difficoltà e

frustrazioni maggiori rispetto a realtà in cui l'appoggio della direzione è ben avvertibile

dall'ambiente.

40 Vedere considerazioni su Feigenbaum

100

Ulteriore problema rilevato è legato alla autorevolezza del responsabile e quindi alla capacità di

relazionarsi ad un ambiente molto spesso restio ai cambiamenti. Vi sono alcuni requisiti

essenziali sia di carattere, sia di tipo professionale che il responsabile prescelto dovrebbe

possedere per portare a buon fine il compito assegnato. Sicuramente il responsabile della qualità

deve essere dotato di una buona dose di autorevolezza affinché, con l'appoggio della direzione,

possa intraprendere tale iter, in cui vincere la resistenza al cambiamento di coloro che sono

chiamati a mettersi in discussione, è di certo il primo e, forse, più grande ostacolo da superare,

come risulta dalla indagine. Simpatia, comunicativa, capacità di analisi e sintesi dovrebbero

essere requisiti intrinseci alla persona chiamata a svolgere tale ruolo.

Naturalmente il responsabile deve possedere una buona conoscenza delle normative ISO e

credere nella strategia qualità. Spesso nelle aziende ci si pone il problema se affidare tale

compito ad una figura già presente in azienda o assunta dall'esterno. Ogni azienda, anche in

questo caso, ha una storia a sé. Si può comunque considerare, come ho avuto modo spesso di

riscontrare, che il responsabile di qualità scelto tra personale già presente in azienda offre il

vantaggio di conoscere le problematiche tipiche della realtà aziendale molto meglio in quanto

vissute in prima persona. Di contro, come già detto, tale figura può essere meno accetta dal

resto della struttura per motivi di invidia, per la mancanza di volontà di mettersi in discussione

con chi si reputa essere un proprio pari, qualcuno quindi cui non si riconosce l'autorità per

svolgere il compito di analizzare e mettere in discussione mansioni svolte da sempre.

Naturalmente persone assunte appositamente per ricoprire tale ruolo, a fronte della mancanza di

conoscenza interna, possono vantare esperienze e competenze tecniche e, pertanto, una

autorevolezza maggiore.

Spesso nelle piccole medie aziende si nota anche come questo delicato compito sia affidato ad

un giovane tecnico, o già presente in azienda o appena assunto, comunque non ancora occupato

in maniera specialistica nel processo produttivo: ciò dimostra come in certe realtà aziendali

possa essere sottovalutato il problema Qualità.

4.8. La figura del certificatore e le società di certificazione

Atto finale, si è detto, è la visita dei certificatori chiamati a verificare se l'azienda può essere

certificata alla luce dei dettami della normativa. La scelta dell'ente certificatore è molto

importante per diversi motivi tra i quali la validità e il riconoscimento del certificato in ambito

europeo e internazionale, ma soprattutto presso i principali clienti, gli stessi che possono aver

spinto l'azienda a percorrere l'iter di certificazione, ma anche, all'estremo opposto di questa

gamma di motivazioni, la facilità dell'ottenimento del certificato. Purtroppo il mercato della

certificazione rappresenta un grosso business e come si è già detto riguardo l'altro attore

101

importante, le società di consulenza, anche per le società di certificazione si può affermare che

il mercato non ancora scremato presenta delle distorsioni.

I certificatori non sempre hanno la professionalità necessaria per svolgere la loro delicata

funzione. Sia alcune aziende osservate, sia alcuni consulenti lamentano gli interventi poco

professionalmente competenti di certificatori che, richiedendo il rispetto di procedure troppo

burocratiche e standardizzate, appesantiscono inutilmente le procedure.

Vorrei inoltre evidenziare che le società di certificazione della Qualità sono in una posizione di

fornitore nei confronti delle aziende certificate, il controllato è cliente del controllore. Dopo la

certificazione iniziale si svolgono visite , ogni 6 o 12 mesi, a seconda delle situazioni aziendali;

dopo tre anni il certificato scade e deve essere ripercorso l'iter di certificazione.

E’ intuibile che si possa ipotizzare un processo di fidelizzazione del cliente.

La durata dell'iter di certificazione oscilla tra l'anno e i due anni e mezzo. La durata è

evidentemente in relazione alla situazione in cui si trova l'azienda all'avvio di tale iter. Un

processo produttivo già ben organizzato, con procedure chiare ed eseguite, sia pur non

documentate, riduce notevolmente l'iter di certificazione.

4.9. Osservazioni e aspetti critici sullo strumento certificativi L'iter per ottenere la certificazione è per molte aziende, soprattutto PMI, uno sforzo notevole

tanto per il tempo impiegato che per le energie e le risorse utilizzate. Molte piccole medie

aziende osservate, una volta deciso di intraprendere l'iter di certificazione, hanno incontrato

difficoltà, soprattutto per la limitatezza delle risorse umane presenti nell'azienda, per la loro

organizzazione poco strutturata e per le difficoltà di reperire corrette informazioni tecniche e

normative.

Ritengo che la conoscenza e la cultura possano davvero rappresentare un fattore critico

nell'approccio alla Qualità e alla Certificazione.

Cattive esperienze, scarsa conoscenza del fenomeno e innanzitutto del contenuto della

normativa contribuiscono a rendere l’adesione poco corretta e positiva.

Generalmente la cronologia dell'iter per ottenere la certificazione, nelle aziende osservate, è

stata la seguente: individuato il responsabile di qualità, scelto prevalentemente all'interno, lo si

fa partecipare a corsi di formazione, incontri, seminari perché acquisisca la cultura necessaria,

spesso affiancandolo a consulenti esterni. L'attenzione data dalla direzione alla formazione, in

questo momento e nelle fasi successive, è indice della convinzione e della motivazione alla

qualità e quindi al cambiamento.

In molti casi, poi, il responsabile di qualità, dopo alcuni incontri non sempre proficui con il

consulente esterno, prosegue da solo.

102

Molte aziende dichiarano con orgoglio che la via migliore è fare da soli. L'avvio comunque

avviene compiendo un check-up all'azienda per revisionare e conoscere tutte le attività e le

funzioni aziendali, per entrare nello spirito dello schema previsto dalle norme. Lo sforzo per

formalizzare la qualità non è di poco conto anche per le aziende che già producono secondo

modalità molto vicine alla qualità. Ogni azione deve essere nota, registrata, studiata,

revisionata. Di solito le procedure e le istruzioni sono orali, mentre con la certificazione devono

essere scritte. Questa diventa quindi l’occasione per riprogettare e razionalizzare il processo

produttivo e cercare la condivisione vincendo le inevitabili resistenze interne. Occorre

formalizzare non solo le mansioni ma i anche comportamenti che non sono facili da rendere

espliciti. La formalizzazione è spesso considerata dal personale produttivo come una perdita di

tempo, con evidenzia all'aspetto burocratico, cartaceo e statico.

Le aziende indicano i quadri come l'area del personale che più si oppone al cambiamento in

quanto sono queste posizioni che vedono più spesso messe in discussione professionalità,

specializzazione e potere, acquisite in molti anni di lavoro e di permanenza nell'azienda. Un

programma di coinvolgimento, strutturato in relazione alla realtà aziendale, permette di

realizzare il clima aziendale necessario per realizzare il progetto . Anche in questo momento il

ruolo della formazione è fondamentale, purtroppo non sempre capito e attuato, anche perché è

ritenuto un costo in più da sostenere.

Nella provincia di Bergamo le aziende certificate sono ormai un numero elevatissimo. Questo

enorme successo del fenomeno Certificazione è forse da attribuire a diverse cause, non ultima

l'elevato numero di aziende della realtà bergamasca che producono in rapporto di sub-fornitura

con clienti grandi imprese, spesso straniere, che già da tempo producono in Qualità, riversando

sul fornitore il controllo del prodotto. Lo strumento certificativo utilizzato nel vero significato

di strumento e non di obiettivo, è voluto in molte filiere esternalizzate come garanzia per

l’azienda committente che i subfornitori producano in qualità, ciò si verifica soprattutto nei

settori merceologici in cui la certificazione è ormai prassi consolidata.

L'inizio del fenomeno Certificazione si é verificato, nell'area bergamasca, nei primi anni '90,

anni in cui le aziende elettromeccaniche analizzate hanno ottenuto la Certificazione, a

dimostrazione di quanto precedentemente osservato. La maggior parte delle aziende del

campione si sono certificate negli anni 94-95.

Purtroppo non sempre la validità di tale strumento è sfruttata appieno e capita come occasione

di crescita. Spesso la qualità è svilita da un cattivo uso di tale strumento e questo si verifica sia

in ambito industriale sia ora in tutti gli altri ambiti più recenti in cui la Qualità si è trasferita.

103

4.10. I premi La qualità totale può essere implementata attraverso lo strumento dei premi che propongono una

autovalutazione dell’azienda rispetto ad una serie di standard. I premi sono strumenti diversi

dalle ISO in quanto non hanno la valenza di assicurare la “Qualità economica” sul mercato. Il

processo di autovalutazione consente all’organizzazione di individuare i punti di forza e le aree

suscettibili di miglioramento. Per risultare efficace la strategia del premio, deve tradursi in

azioni di miglioramento pianificate e costantemente monitorate: le organizzazioni devono attuare

ripetutamente questo ciclo di analisi ed azione conseguente, in modo da conseguire un

miglioramento effettivo e sostenibile nel tempo.

Inoltre, l’autovalutazione costituisce uno strumento per la formazione del personale sui concetti

fondamentali del modello Total Qualità Management, agevola l’individuazione e la condivisione

degli esempi di “best practice” all’interno di una stessa organizzazione e facilita i confronti

(benchmarking) con altre organizzazioni di natura simile o di riferimento. In generale e nelle

sue diverse edizioni, il Premio, come strumento per la Qualità, non inteso come una

competizione, a cui il termine premio può autorizzare a pensare, costituisce uno strumento

permanente di promozione della cultura e dei metodi della Qualità, attraverso l'impegno di

Associazioni o Fondazioni, create appositamente, per la diffusione del “Modello Qualità” che ne

curano le attività di supporto alla partecipazione ed all'autovalutazione e la formazione del

personale delle organizzazioni partecipanti al Premio.

I premi più conosciuti e autorevoli sono il premio giapponese Deming Prize, quello statunitense

Malcoln Balbridge National Qualità Award, e l’European Quality Award (Premio Europeo per

la Qualità)

Il Deming Prize(attribuito ad una singola persona) e il Deming Application Prize(attribuito ad

organizzazioni) sono ispiratori degli altri premi sorti negli anni successivi al 1951, anno della

loro prima edizione. Sono strumento creati allo scopo di spingere le aziende giapponesi ad

applicare il Company Wide Qualità Control ed ottenere che buoni risultati siano raggiunti

attraverso l’implementazione di attività di controllo di qualità estese a tutta l’organizzazione.

Per partecipare ai premi occorre sottoporsi ad una autovalutazione dell’organizzazione rispetto

a requisiti il cui livello cresce di anno in anno per aumentare il livello della Qualità

Nel gennaio del 1988 il presidente Reagan annunciò l’istituzione del Malcoln Balbridge

National Qualità Award per promuovere la cultura della qualità, per far comprendere i

requisiti per l’eccellenza e condividere l’informazione circa strategie della qualità di successo

nelle aziende americane. Il premio ricorda Malcoln Balbridge, Segretario del Commercio nel

governo Reagan, grande promotore della Qualità. Occorre ricordare come il governo Reagan

104

sia stato molto propositivo sul fronte della Qualità, promuovendo il mese ottobre come il mese

della Qualità nel 1984. Il premio è stato istituito in un clima di intensa competizione industriale

che motiva l’enfasi data, oltre ai principi che costituiscono il Total Quality Management di cui è

strumento, alla soddisfazione dei clienti, obiettivo ritenuto strategico per raggiungere la

competitività. Lo slogan era infatti “Al di là della soddisfazione del cliente attraverso il

miglioramento della Qualità”.

Il principio ispiratore è che la leadership sia guida delle attività (gestione del personale,

politica e strategia, gestione dei processi, gestione delle risorse) verso l’eccellenza nei risultati

di qualità e nella soddisfazione dei clienti. Questi risultati devono essere quantificabili,

misurabili e confrontabili sia all’interno che all’esterno dell'organizzazione.

Un importante contributo di promozione della qualità totale, in Europa, è fornito dall’ EFQM

che propone un modello che rappresenta una “via europea” al Total Quality Management. La

European Foundation for Quality Management (EFQM) è un’organizzazione non profit,

fondazione con sede a Bruxelles su base associativa, fondata nel 1988 per iniziativa di

quattordici fra le principali aziende europee: BT, Robert Bosch, Bull, Ciba-Geigy, Dassault

Aviation, AB Electrolux, Fiat Auto, KLM, Nestlè, Olivetti, Philips, Renault, Sulzer,

Volkswagen. e si propone di stimolare la diffusione dei progetti di qualità soprattutto attraverso

l’assegnazione annuale dei premi europei quali:

- L’European Quality Prizes,

- L’European Quality Award.

L’European Foundation for Quality Management (EFQM) ha lanciato nel 1991 il Modello

EFQM per l’Eccellenza e all’European Quality Award (Premio Europeo per la Qualità)

EFQM annovera oggi più di 850 membri in 35 Paesi Europei. Oltre 20.000 organizzazioni

pubbliche e private applicano il modello, nella quasi totalità dei settori di attività, da grandi

multinazionali e importanti aziende nazionali a istituti di ricerca in Università europee di

rilievo. Scopo principale dell’EFQM è stato rendere le imprese europee più competitive

attraverso l’applicazione della filosofia del Total Quality Management. La vision dichiarata

della EFQM è un mondo nel quale le organizzazioni europee conquistino posizioni di

eccellenza; la sua mission è essere la forza trainante nel promuovere fra di esse l’Eccellenza

sostenibile. Vision e Mission sono termini tipici del linguaggio di un certo tipo di “Qualità” che

non amo molto ma che sono invece usatissimi sia dalle aziende che dalle società di consulenza

e di certificazione.

La mission dell’EFQM viene così definita:

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– stimolare le organizzazioni europee a partecipare ad attività di miglioramento miranti

all’eccellenza nella soddisfazione dei clienti, del proprio personale, nell’impatto sulla società e

nei risultati della propria attività;

– supportare i managers delle organizzazioni europee nel processo di rendere il Total Quality

Management fattore decisivo per raggiungere un vantaggio competitivo globale.

La EFQM afferma che programmi di Total Qualità Management possono apportare vantaggi

significativi alle aziende, quali maggior soddisfazione di clienti e personale, aumentata

efficienza e costi ridotti con conseguenti migliori risultati aziendali facendo propria

l’affermazione di Jacques Delors, Presidente della Commissione Europea, alla fondazione

dell’EFQM, il 15 settembre1988:

“… la battaglia per la Qualità è uno dei prerequisiti per il successo delle vostre aziende e per il

nostro successo collettivo”.

L’attività della EFQM ha inizio nel 1992 con la prima edizione dell’ European Quality Award,

simile al premio giapponese Deming Prize e a quello statunitense Malcoln Balbridge National

Qualità Award.

L’ European Quality Award fu sviluppato per sostenere la posizione delle aziende dell’Europa

Occidentale nel mercato mondiale, individuando nella Qualità la strategia per un vantaggio

competitivo globale, per supportare l’evoluzione del mercato comune europeo

e l’emergere di una nuova identità del management dell’Europa Occidentale.

L’EQA ha introdotto idee nuove rispetto ai modelli ispiratori, come l’impatto sulla comunità, la

soddisfazione del personale, i risultati finanziari e non-finanziari.

Lo EQA rappresenta una guida radicalmente più ampia per affrontare le questioni di qualità

totale, rispetto ai due premi precedenti.

Il premio, varato nel 1992 da Martin Bangemann, vicepresidente della Commissione Europea,

viene assegnato ogni anno ed è gestito dalla EFQM, la quale lo sponsorizza congiuntamente

alla Commissione Europea e alla EOQ (European Organisation for Quality). I premi sono divisi

in 4 categorie: imprese private, unità operative di imprese private, organizzazioni del settore

pubblico, piccola e media impresa privata e sono lo strumento per spingere le organizzazioni.

L’EFQM si occupa principalmente dell’assistenza alle organizzazioni che operano nella logica

del miglioramento continuo della qualità e del supporto ai dirigenti di tali organizzazioni per

accelerare la diffusione del Total Quality Management

Nel 1994, la EFQM ha istituito una sezione per il Settore Pubblico, comprendente anche

rappresentanti dell’Assistenza Sanitaria, per promuovere e supportare il processo di

autovalutazione in questo settore

106

Nel 1996 è stata introdotta la categoria di premio riservata alle organizzazioni del Settore

Pubblico e nel 1997 quella per le piccole e medie imprese (con meno di 250 dipendenti).

L’attuale modello EFQM per l’Eccellenza (EFQM Excellence Model), introdotto il 21 aprile

1999, è il risultato della revisione del precedente modello (EFQM Model for Business

Excellence).

Il modello EFQM per l’Eccellenza è una struttura non prescrittiva, che riconosce la pluralità di

approcci adottabili per raggiungere un’eccellenza duratura in tutti gli aspetti della performance

che

si basa sui seguenti concetti fondamentali:

• orientamento ai risultati

• attenzione rivolta al cliente

• leadership e coerenza negli obiettivi

• gestione in termini di processi e fatti

• coinvolgimento e sviluppo delle persone

• apprendimento, innovazione e miglioramento continui

• sviluppo della partnership

• responsabilità pubblica

Il modello EFQM dà peso ai risultati conseguiti e non solo in termini di soddisfazione dei

clienti. Il modello EFQM si fonda sull’assunto che:

“Risultati d’eccellenza riguardanti Performance, Clienti ,Risorse umane e Società sono

raggiunti attraverso un’azione di guida, da parte della Leadership, su Politiche e Strategie,

Personale, Partnership e Risorse e Processi”.

La logica su cui si fonda il modello EFQM è riassumibile in Risultati, Approccio,

Dispiegamento, Accertamento, Revisione (RADAR)

Secondo questo processo logico, un’organizzazione deve:

– determinare i risultati finanziari, operativi e di percezione da parte degli stakeholders cui

mirare;

– pianificare e sviluppare una solida metodologia di approccio per raggiungere i risultati

prefissati;

– diffondere le metodologie di approccio in modo sistematico in modo che sia raggiunta una

completa implementazione;

– valutare e rivedere le metodologie di approccio effettuando regolari misurazioni che a loro

volta promuovono l’apprendimento e portano ad attività di miglioramento dove necessario.

107

In sostanza, l’EFQM sottoscrive la filosofia del miglioramento continuo del famoso cerchio di

Deming : “plan – do – check – act”.

In Italia, nel 1996, è stata costituita l'Associazione Premio Qualità Italia, associazione senza fini

di lucro su iniziativa di Confindustria, del Consorzio Universitario in Ingegneria della Qualità e

dell'Associazione Italiana Cultura Qualità (AICQ), alle quali si sono aggiunte in seguito altre

Organizzazioni imprenditoriali, territoriali e settoriali.

Obiettivo primario dell'Associazione è la diffusione della cultura della Qualità e dell'Eccellenza

per contribuire al miglioramento della competitività ed alla crescita del sistema-Paese. Lo

strumento principale che l'Associazione ha scelto per l'adempimento del proprio scopo è

l'organizzazione del Premio Qualità Italia, con l'alto patrocinio della Presidenza del Consiglio

dei Ministri e del Ministero delle Attività Produttive, che ha come riferimento il Modello per

l'Eccellenza EFQM-European Foundation for Quality Management, coerentemente con i

principi del Total Quality Management. Da novembre 2004, Presidente dell'Associazione

Premio Qualità Italia è Emma Marcegaglia, Vice Presidente di Confindustria. Il Premio

costituisce uno strumento permanente di promozione della cultura e dei metodi della Qualità,

attraverso l'impegno dell'Associazione per la diffusione del Modello EFQM, per le attività di

supporto alla partecipazione ed all'autovalutazione e per la formazione del personale delle

organizzazioni partecipanti sul modello del Premio. La struttura organizzativa centrale, i soci e

le varie realtà che fanno da referente a livello locale per l'Associazione Premio Qualità Italia

favoriscono la diffusione delle iniziative dell'Associazione, mediante incontri e riunioni sul

territorio, con finalità di promozione, formazione e supporto tecnico. Il Premio Qualità Italia è

stato destinato, nelle sue prime sette edizioni, alle sole piccole e medie imprese e articolato in

Premi a livello nazionale, regionale e provinciale. A partire dall'edizione 2005, l'Associazione

ha deciso di organizzare il Premio, oltre che per le "Piccole e Medie Imprese", anche per le

categorie "Grandi Imprese e Business Unit" e "Scuole". Le aziende che partecipano si

sottopongono ad una autovalutazione rispondendo a domande predisposte. Alle risposte

vengono attribuite delle valutazione da parte di valutatori esperti. La partecipazione al premio

può contemplare la consulenza gratuita, per un certo numero di ore, di consulenti che ha lo

scopo di aiutare l’azienda ad intraprendere questo percorso di qualità

Gli strumenti descritti, la certificazione secondo la ISO9001 e il premio soprattutto nelle

edizioni americane ed europee, pur presentando evidentemente differenze, hanno in comune il

modello organizzativo “Qualità “o forse meglio la teoria della Qualità. Sicuramente la

Certificazione ha una valenza di tipo economico di assicurazione esterna della

Qualità/conformità che la caratterizza rispetto al Premio.

108

Mettendo a raffronto gli otto principi delle norme ISO con gli otto principi del premio EFQM,

si può constatare come, al di là di alcune diversità di enunciazione, siano realmente simili e

abbiano basi culturali comuni. Le due forme di promozione alla Qualità in ogni sua accezione,

possono integrarsi allo scopo di spingere sempre più la cultura e il clima aziendale a ricercare la

forma più completa ed efficace della Qualità. Il reale problema è che i due strumenti

rappresentano business che vengono gelosamente tutelati, almeno in Italia. Spesso vengono

presentati, quindi, non come integrabili tra loro ma come strumenti molto diversi.

Conclusioni

Dagli anni del secondo dopoguerra il concetto di controllo di Qualità si è notevolmente

modificato, evolvendo in un significato molto più ampio: dal mero concetto di verifica della

conformità a requisiti esplicitati dal cliente, si è arrivati ad intendere per qualità la capacità del

sistema azienda di rispondere anche e soprattutto a requisiti non ancora espressi. Nella volontà

di rispondere a requisiti non solo espliciti ma anche di interpretare e prevenire quelli impliciti,

sta l’attuale capacità strategica del nuovo modo di intendere il concetto di Qualità.

L’evoluzione di questo concetto nella realtà aziendale ha introdotto importanti innovazioni:

- Ha esteso il campo da Qualità dei prodotti e del servizio, a Qualità di tutto il sistema

organizzativo

- Ha esteso le finalità dal soddisfare i clienti nei loro requisiti espressi, al soddisfare quelli

impliciti

- Ha esteso i destinatari dai clienti, a tutte le parti interessate in modo da sviluppare sia il

patrimonio tangibile sia intangibile dell’organizzazione

Negli anni 80 in Italia, come nel resto del mondo, sull’onda del successo delle aziende

giapponesi la Qualità è stata il tema di molti dibattiti nel mondo economico ed aziendale. Il

modello giapponese è stato sicuramente uno degli argomenti più trattati in quegli anni, e non

solo, nella letteratura specializzata, nei convegni e anche in alcuni discorsi di economisti e

manager famosi.

A cavallo degli anni settanta e ottanta, numerose aziende americane di diversi settori industriali

hanno subito una grande perdita di competitività nei confronti delle aziende giapponesi. Autori

sia americani sia giapponesi hanno attribuito tale situazione al management obsoleto, non più in

grado di gestire le variazioni dei mercati e le innovazioni tecnologiche. In quegli stessi anni le

aziende americane hanno scoperto la “Qualità Totale” per ridurre il gap di competitività; con un

certo ritardo lo stesso è accaduto in Europa. Per diffondere la cultura della Qualità negli Stati

Uniti e in Europa sono stati istituiti premi; il presidente Reagan nel 1984 ha emesso il proclama

per l’istituzione della campagna annuale per la Promozione della Qualità, il mese di ottobre è il

109

mese nazionale della Qualità, il presidente Clinton, a sua volta, appena eletto, ha lanciato la

qualità negli enti Pubblici, la commissione dell’Unione Europea ha preso posizione per la

diffusione della Qualità.

E’ del 15 settembre1988 la già ricordata affermazione di Jacques Delors, Presidente della

Commissione Europea, al momento della fondazione dell’EFQM “… la battaglia per la Qualità

è uno dei prerequisiti per il successo delle vostre aziende e per il nostro successo collettivo”.

In Italia la prima iniziativa per promuovere la Qualità a livello nazionale è del 1995, circa dieci

anni dopo rispetto alle altre nazioni europee. Si noti come il termine qualità, nelle accezioni in

ambito industriale, sia riferibile all’organizzazione aziendale nella sua dimensione sistemica o

al singolo processo produttivo, non alla bontà assoluta e alle caratteristiche intrinseche del bene

prodotto rispetto al mercato; la dimensione della Qualità osservata, realizzata, valutata è

riferibile alla conformità del bene prodotto, a quello richiesto dal cliente in una logica di

efficienza ed efficacia del sistema azienda. Evidentemente il miglioramento del prodotto, anche

nelle sue caratteristiche intrinseche, è obiettivo della Qualità, ma qui si vuole sottolineare come

la qualità del bene prodotto sia intesa in un significato che deve essere associato al concetto di

dare al cliente ciò di cui ha bisogno, fatto bene e in conformità, quindi, alle sue esigenze

sicuramente esplicitate e, in una visione strategica, a quelle non ancora esplicitate. Credo si

possa affermare che l’evoluzione del concetto di Qualità spinga oggi le aziende ad essere

orientate, oltre che naturalmente al cliente, agli stakesholder intesi come tutti coloro che hanno

interesse all’azienda. Le ultime frontiere della Qualità sono l’ambiente, la responsabilità

sociale, la sicurezza. Questi obiettivi strategici dovrebbero essere gestiti e dimostrati in

maniera integrata (oggetto di un mio prossimo lavoro unitamente agli strumenti per

raggiungerli e dimostrarli agli stakesholder e ai clienti) mentre attualmente non vi è ancora la

possibilità di una certificazione o revisione integrata per dimostrare all’esterno delle aziende il

raggiungimento di tali obiettivi. Va considerato, inoltre, come tale modello offra delle notevoli

possibilità alle PMI di crescere sia in termini dimensionali sia in termini di efficienza. La PMI,

modello di impresa tipico della realtà economica Italiana, ha caratteristiche positive quali la

flessibilità, la capacità creativa che ne hanno permesso il successo sui mercati presentando, di

contro, caratteristiche negative( quali la struttura poco formalizzata e accentrata nella figura

spesso carismatica dell'imprenditore) che ne limitano lo sviluppo dimensionale e rendono

spesso difficoltoso il ricambio generazionale. La strategia Qualità implementata attraverso sia

lo strumento certificativo che attraverso l’autovalutazione, caratteristica del Premio, imponendo

una organizzazione formalizzata e documentata del sistema aziendale, porta un notevole

contributo, in queste realtà, alla strutturazione formalizzata e documentata dei processi

110

produttivi e del sistema aziendale nel suo complesso, analogo forse al contributo che in ambito

contabile hanno portato la riforma fiscale dell'autotassazione del 1974 e la legge IVA. La

Qualità Totale, qualora fosse adottata nella sua accezione migliore, permetterebbe di rendere

l'azienda meno dipendente dalla figura dell'imprenditore, facilitando la sua continuità. La

Qualità è una strategia di lungo periodo che, come si è già detto, richiede una rivoluzione nel

modo di pensare dell'azienda; non si sono, quindi, avuti subito risultati esaltanti, ma si è invece

scatenata la corsa soprattutto alla Certificazione che oggi, forse, ha raggiunto il suo apice.

Ma, come si è cercato di mettere in luce precedentemente, Certificazione non è sinonimo di

Qualità, dovrebbe essere solo una pratica utile e necessaria per conseguire Qualità. Occorre,

quindi che la certificazione riassuma il suo ruolo di strumento e non di obiettivo aziendale.

Oggi la certificazione è spesso occasione di business per tutto ciò che le ruota attorno. Per

alcune società di consulenza e per alcuni organismi di certificazione sicuramente lo è. Questi

comportamenti eticamente poco corretti contribuiscono a screditare la certificazione ma anche

la strategia di cui dovrebbe essere strumento, alimentando e giustificando gli atteggiamenti

critici, scettici ma anche scorretti di alcune aziende, di imprenditori poco disposti a mettersi in

discussione, o che pensano di poter con una certificazione fasulla o troppo facile di essere “i

più furbi”. La realtà delle società di consulenza, degli organismi di certificazione, dei

certificatori di Qualità presenta oggi situazioni eticamente poco corrette ma ritengo che con

sistemi di autocontrollo, di cui già si notano gli effetti, e di controllo legislativo si possa

riportare il mercato della Certificazione di Qualità a livelli professionali più validi ed etici

perché il cliente, che è nella maggior parte dei casi, a sua volta, azienda, è in grado in modo

molto concreto di esercitare il controllo sull'azienda certificata. Il prodotto eseguito viene usato

e testato dal cliente che quindi ha modo di rendersi conto in tempi molto rapidi della

corrispondenza tra il dichiarato e la realtà. Già ora il mercato, in certi settori in cui la

certificazione è prassi usuale, ha scremato tra società serie e credibili e società non credibili. Il

cliente, spesso chi detiene il core business di una filiera esternalizzata, in rapporti di sub-

fornitura, già condiziona la scelta dell'organismo di certificazione. La certificazione, in tutte le

sue accezioni, ha un peccato originale, il controllato è cliente del controllore, che purtroppo

rende tale attestato non sempre credibile per comportamenti eticamente non corretti. Questa

situazione, a mio avviso, purtroppo si può amplificare quando oggetto di verifica e di

certificazione sono comportamenti piuttosto che beni fisicamente tangibili. Si è detto come la

Certificazione non sia sinonimo di Qualità che può essere perseguita e ottenuta in azienda,

senza la necessità di ricorrere a strumenti, in quanto manifestazione della cultura e della

volontà del management e di tutta la struttura aziendale di migliorare le performance aziendali.

111

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