INDICE 1. PREMESSA 3 2. LA NORMATIVA IN MATERIA DI ... · agli insegnamenti antroposofici di Rudolf...

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1 INDICE 1. PREMESSA ............................................................................................................ 3 2. LA NORMATIVA IN MATERIA DI AGRICOLTURA BIOLOGICA............... 6 2.1 - GENERALITÀ ...................................................................................................... 6 2.2 EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA NELL’UNIONE EUROPEA (UE) ....................... 10 2.2.1 - Il Regolamento CEE 2092/91 sul “metodo di produzione biologica”........ 10 2.2.2 – Il Regolamento CEE 2078/92 “sui metodi di produzione agricola compatibili con le esigenze di protezione dell’ambiente e con la cura dello spazio rurale” ................................................................................................................ 12 2.2.3 – Il Regolamento CE 1257/99 sul “sostegno allo sviluppo rurale” ............. 14 2.2.4 – Il Regolamento CE 1804/99 “sul metodo delle produzioni animali biologiche” ......................................................................................................... 17 3. L’AGRICOLTURA BIOLOGICA IN ITALIA ................................................... 19 3.1 - LA STRUTTURA PRODUTTIVA IN ITALIA ............................................................. 23 3.1.1 - Le produzioni vegetali .............................................................................. 27 3.1.2 - Le produzioni animali .............................................................................. 33 3.2 - IL CONSUMO NAZIONALE DEI PRODOTTI BIOLOGICI ............................................ 37 3.2.1 - Gli acquisti nazionali ............................................................................... 38 3.2.2 - I canali distributivi dei prodotti biologici ................................................. 42 4. CONSISTENZA DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA IN SICILIA ............. 46 4.1 - LA CONSISTENZA DELLAGRICOLTURA BIOLOGICA IN SICILIA............................. 48 4.2 - L’APPLICAZIONE DELLE MISURE AGRO AMBIENTALI IN SICILIA ........................ 58 4.3 - LA COMMERCIALIZZAZIONE DEI PRODOTTI BIOLOGICI REALIZZATI IN SICILIA ..... 72 5. ANALISI DEL CONSUMO DEI PRODOTTI BIOLOGICI REALIZZATI IN SICILIA .................................................................................................................... 77

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INDICE

1. PREMESSA ............................................................................................................ 3

2. LA NORMATIVA IN MATERIA DI AGRICOLTURA BIOLOGICA............... 6

2.1 - GENERALITÀ ...................................................................................................... 6

2.2 – EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA NELL’UNIONE EUROPEA (UE) ....................... 10

2.2.1 - Il Regolamento CEE 2092/91 sul “metodo di produzione biologica”........ 10

2.2.2 – Il Regolamento CEE 2078/92 “sui metodi di produzione agricola

compatibili con le esigenze di protezione dell’ambiente e con la cura dello spazio

rurale”................................................................................................................ 12

2.2.3 – Il Regolamento CE 1257/99 sul “sostegno allo sviluppo rurale” ............. 14

2.2.4 – Il Regolamento CE 1804/99 “sul metodo delle produzioni animali

biologiche” ......................................................................................................... 17

3. L’AGRICOLTURA BIOLOGICA IN ITALIA................................................... 19

3.1 - LA STRUTTURA PRODUTTIVA IN ITALIA ............................................................. 23

3.1.1 - Le produzioni vegetali .............................................................................. 27

3.1.2 - Le produzioni animali .............................................................................. 33

3.2 - IL CONSUMO NAZIONALE DEI PRODOTTI BIOLOGICI ............................................ 37

3.2.1 - Gli acquisti nazionali ............................................................................... 38

3.2.2 - I canali distributivi dei prodotti biologici ................................................. 42

4. CONSISTENZA DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA IN SICILIA ............. 46

4.1 - LA CONSISTENZA DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA IN SICILIA............................. 48

4.2 - L’APPLICAZIONE DELLE MISURE AGRO – AMBIENTALI IN SICILIA ........................ 58

4.3 - LA COMMERCIALIZZAZIONE DEI PRODOTTI BIOLOGICI REALIZZATI IN SICILIA ..... 72

5. ANALISI DEL CONSUMO DEI PRODOTTI BIOLOGICI REALIZZATI IN

SICILIA .................................................................................................................... 77

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5.1 - INTRODUZIONE................................................................................................. 77

5.2 - METODO D’INDAGINE ....................................................................................... 78

5.3 - CARATTERISTICHE DEL CONSUMO DEI PRODOTTI BIOLOGICI ............................... 80

5.3.1 - Aspetti generali ........................................................................................ 80

5.3.2 - Il consumo dei prodotti biologici .............................................................. 83

5.3.3 - La distribuzione commerciale ed i prezzi dei prodotti biologici ................ 86

5.3.4 - Il grado di conoscenza sulla certificazione e motivi del diniego al consumo

dei prodotti biologici........................................................................................... 88

6. CONCLUSIONI.................................................................................................... 92

BIBLIOGRAFIA ...................................................................................................... 96

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1. PREMESSA

L’alimentazione naturale, non costituisce un mero fenomeno èlitario, ma

rappresenta una delle più importanti realtà commerciali del momento. Il maggiore

interesse che il consumatore attribuisce alla ricerca di più elevati standard qualitativi nei

prodotti consumati e, di conseguenza, la maggiore attenzione per il proprio benessere e

per la salvaguardia dell’ambiente, trovano nelle produzioni biologiche un’alternativa

naturale e soddisfacente. Per tale motivo, l’agricoltura biologica è stata caratterizzata,

negli ultimi anni, da uno sviluppo sempre più consistente.

Il metodo di produzione biologica rappresenta un sistema di gestione dell’impresa

agricola, caratterizzato da una serie di specifiche tecniche agronomiche, riconducibili

alle seguenti azioni:

• adozione di tecniche colturali idonee a preservare la struttura e gli equilibri

microrganici del terreno;

• utilizzo di varietà colturali adatte allo specifico ambiente pedo-climatico;

• esclusione dell’utilizzo di fertilizzanti ed antiparassitari di sintesi;

• divieto dell’utilizzo di organismi geneticamente modificati;

• controllo da parte di organismi autorizzati, di tutte la fasi della produzione,

dalla lavorazione alla trasformazione dei prodotti.

L’agricoltura biologica si definisce, dunque, come “un’insieme di tecniche

agronomiche che, fondate sulle naturali interazioni tra organismi viventi, pedoclima ed

azione dell’uomo, escludono l’impiego di prodotti chimici di sintesi”. Si tratta di un

sistema produttivo sofisticato, in cui la produttività non costituisce un obiettivo

primario, ma viene orientata nel raggiungimento di una maggiore tutela della salute

dell’uomo e dell’ambiente circostante.

Questa inversione di tendenza a cui sono andate incontro le scelte dei diversi

operatori agricoli, durante la realizzazione dei processi produttivi, ha portato, nel corso

degli anni, ad una crisi dell’agricoltura convenzionale.

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L’agricoltura di tipo intensivo, caratterizzata da pratiche agricole in cui è

consentito l’utilizzo di prodotti di sintesi chimica, sia per la concimazione, che per la

difesa delle piante da malattie e parassiti se, da un lato, ha assicurato rese unitarie non

indifferenti, dall’altro, ha creato problemi per l’ambiente e per la salute pubblica; basti

pensare alla tossicità dei prodotti chimici utilizzati che vengono rilasciati e ritrovati

sottoforma di residui nel terreno, negli alimenti e nelle falde idriche, di cui si conoscono

solo pochi e parziali risvolti a danno della salute dei consumatori. Come se non

bastasse, i parassiti e le infestanti naturali hanno acquistato, con il tempo, una maggiore

resistenza ai trattamenti, per cui è risultato necessario creare nuovi pesticidi a più alta

tossicità, entrando così in un processo praticamente infinito o destinato a finire solo

quando la capacità di assorbimento dell’ambiente si sarà esaurita. La tendenza a

realizzare maggiori rese, ha determinato, inoltre, una progressiva erosione genetica, sia

animale, che vegetale; sono state, infatti, utilizzate ingenti risorse economiche per

introdurre nuove specie colturali ed animali, tralasciando il miglioramento di varietà e

razze locali. Non si può, inoltre, tralasciare il fenomeno dello sconvolgimento degli

equilibri ambientali, legato all’industrializzazione dell’agricoltura; interi paesaggi agrari

sono stati modificati e disboscati, aumentando, in tal modo, il fenomeno dell’erosione

eolica e da ruscellamento, che provocano una perdita progressiva della fertilità dei suoli.

L’attenzione crescente dei consumatori, verso le problematiche ambientali, ha

convinto i diversi operatori del settore agricolo ad adottare un’agricoltura di tipo

sostenibile. Il metodo di produzione biologico, infatti, viene visto come un’adeguata

alternativa per cercare di realizzare un contenimento dei danni ambientali appena citati.

Con il presente lavoro si è cercato di fornire una panoramica dello sviluppo

dell’agricoltura attuata secondo i metodi biologici, sia a livello nazionale, che, nello

specifico, a livello regionale, cercando di analizzare i risvolti economici, ma anche di

individuare i trend attualmente in atto.

In particolare, gli obiettivi che la ricerca si propone, possono essere riassunti in

quanto segue:

• individuazione, attraverso, sia l’utilizzo di fonti statistiche ufficiali, che di

informazioni direttamente acquisite presso gli operatori del settore, della

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rilevanza dell’agricoltura biologica siciliana in termini di superfici, aziende,

ordinamenti colturali, mercati, tipologie distributive;

• analisi della domanda delle produzioni biologiche più rappresentative

realizzate nell’isola;

• definizione dei principali punti di forza e di debolezza che contraddistinguono

l’agricoltura biologica siciliana, nonché le potenzialità di penetrazione nei

mercati esteri.

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2. LA NORMATIVA IN MATERIA DI AGRICOLTURA BIOLOGICA

2.1 - Generalità

Le prime tematiche relative ad una nuova forma di agricoltura, nella quale il

rispetto delle attività produttive verso gli ecosistemi naturali, venga visto come

elemento fondamentale per lo sviluppo sociale, risalgono agli inizi del 900.

Nel 1928, viene realizzata in Germania la prima Associazione per l’agricoltura

biodinamica, una particolare forma di agricoltura biologica, i cui principi si rifacevano

agli insegnamenti antroposofici di Rudolf Steiner. Nel 1941, i nazisti sciolsero

l’Associazione per l’agricoltura biodinamica, non tanto per le ideologie politiche del

fondatore, quanto per i presupposti, poco graditi all’industria chimica, su cui si basava

la nuova concezione di agricoltura. Infatti, i pensieri contrastanti che Steiner

manifestava sull’impiego di prodotti chimici di sintesi, rappresentavano un ostacolo allo

sviluppo dell’agro-chimica, a quel tempo ancora agli albori (Zanoli, 1995).

In Italia, l’Associazione per l’agricoltura biodinamica, nasce nel 1947. Nel 1954

inizia ad operare, invece, l’organizzazione Suolo e Salute. In quegli anni, l’industria

chimica riesce a ritagliarsi spazi sempre più ampi anche in Italia, impadronendosi

dell’assistenza tecnica e della divulgazione in agricoltura, come conseguenza dello

scarso interesse che le istituzioni pubbliche mostravano verso il settore. E’ facilmente

comprensibile intuire perché i sostenitori dell’agricoltura biologica, di un’agricoltura

cioè caratterizzata dal basso impiego di prodotti di sintesi chimica, venissero considerati

come una setta nostalgica e diffidente nei confronti del progresso e come tali venissero

emarginati (Zanoli, 1995).

Bisogna aspettare la fine degli anni Settanta per assistere ad una prima inversione

di tendenza nei confronti delle iniziative poste in atto dai pionieri dell’agricoltura

biologica. Nel 1972, infatti, nasce l’IFOAM (International Federation of Organic

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Agricolture Moviments), l’organismo internazionale che raggruppa e coordina tutte le

associazioni e le organizzazioni che operano in materia di produzione, certificazione,

ricerca, formazione e promozione dell’agricoltura biologica. I disciplinari introdotti

dalla federazione, a partire dal 1990, costituiscono un punto di riferimento di enorme

valore, in quanto individuano i metodi di produzione e di trasformazione dei prodotti

biologici nel mondo.

Negli anni Ottanta si assiste ad un progressivo aumento dell’interesse da parte dei

consumatori verso i prodotti biologici, sia nei principali paesi europei, sia negli Stati

Uniti, Canada, Australia e Giappone, con il conseguente aumento del numero di

produttori. Questo mutato atteggiamento culturale e politico si riflette, anche, a livello

istituzionale, tanto che, a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, si assiste

all’emanazione dei Regolamenti CEE 797/85 e 1760/87 che avevano come scopo, tra

l’altro, quello di “contribuire alla protezione dell’ambiente e alla conservazione duratura

delle risorse naturali dell’agricoltura” (Zanoli, 1995). Se, infatti, in un primo momento,

il dibattito sulla Politica Agricola Comunitaria era stato incentrato sulla sostenibilità

economica e politica dei Paesi membri, successivamente, si assiste ad un ampliamento

dello stesso, fino ad individuare come obiettivo primario, nella riforma della PAC, il

riequilibrio ambientale (De Wit, 1998; Struik-Torssell-Zanoli, 1991).

La Francia è il primo Paese dell’allora CEE a dotarsi, nel 1980, di norme che

disciplinano le produzioni agro-biologiche. Successivamente, nel 1987, la Gran

Bretagna istituisce l’UKROFS (United Kingdom Register of Organic Food Standards) e

nello stesso anno anche la Danimarca si dota di una regolamentazione specifica per il

settore.

La regolamentazione d’oltreoceano deve attendere fino agli anni Novanta per

essere ufficializzata; nel 1990, infatti, viene approvato l’Organic Food Act negli Stati

Uniti; nello stesso anno l’Australia istituisce una Commissione del Ministero delle

Industrie Primarie e dell’Energia (Organic Produce Advisory Committee) che, nel 1992,

approva il National Standard for Organic and Biodynamic Produce (Harding, 1994;

Wynen, 1994).

Nel 1991, l’Unione Europea adotta il Regolamento CEE 2092/91, relativo al

metodo di produzione biologica dei prodotti agricoli; tale regolamento, nel corso degli

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anni, subisce numerose modifiche ed integrazioni, la più significativa delle quali, nel

1999, ha esteso il campo di applicazione al metodo di allevamento biologico.

Nel 1999, la Commissione del Codex Alimentarius, adotta le “Linee direttrici in

materia di produzione, trasformazione, etichettatura e commercializzazione degli

alimenti derivati dalla produzione biologica”. Queste ultime, nel 2001, sono state

aggiornate, aggiungendo alcune sezioni relative agli allevamenti e alle produzioni

zootecniche e apistiche.

L’Unione Europea, il Codex Alimentarius e l’IFOAM, sebbene presentino alcune

differenze di impostazione dovute ai diversi ruoli che ogni soggetto è chiamato a

svolgere, hanno, comunque, un approccio comune sui temi relativi all’agricoltura

biologica.

L’Italia, si è contraddistinta per un certo “ritardo applicativo delle norme”,

attribuibile, sostanzialmente, a due motivazioni di fondo: istituzionale e culturale. Il

ritardo di tipo “istituzionale”, è dovuto agli organi governativi e legislativi che, a causa

della loro tendenza a ricercare, nella norma, un’eccessiva perfezione e minuziosità sia

formale che sostanziale, spesso, rischiano di non riuscire a farla applicare per

l’eccessiva complessità, rischiando, in tal modo, di rimanere indietro rispetto agli altri

Paesi europei. Il ritardo di tipo “culturale e strutturale”, è legato, invece, sia all’elevato

grado di diffidenza dimostrato dagli operatori agricoli e dalle istituzioni nei confronti

delle nuove problematiche di tipo salutistico, legate alla produzione ed al consumo dei

beni alimentari, sia alle condizioni storiche di arretratezza tipiche di alcune zone e

regioni le quali, spesso, si mostrano indifferenti alle problematiche ambientali, rispetto a

quelle di miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni rurali, senza, invece,

riflettere sul fatto che, i due aspetti, risultano strettamente correlati (Zanoli, 1995).

L’introduzione di norme specifiche in merito all’agricoltura biologica in mercati

in forte sviluppo, quali Stati Uniti e Giappone, ha, inevitabilmente, costretto gli

organismi italiani di certificazione a sottoporsi alle procedure di accreditamento previsti

da tali paesi, al fine di garantire, al nostro Paese, un’equivalente possibilità di esportare i

propri prodotti.

Uno dei più importanti punti di forza dell’agricoltura biologica sta nel fatto che,

all’interno dell’Unione Europea, rappresenta un metodo di produzione, oramai,

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riconosciuto dai singoli paesi membri. La possibilità, infatti, dei consumatori europei di

poter riconoscere e, quindi, scegliere, attraverso un’etichettatura uniforme, un prodotto

biologico in qualsiasi Stato Membro, rappresenta una prerogativa fondamentale per ciò

che concerne la riconoscibilità del prodotto. Gli stessi produttori, inoltre, dovendo

affrontare problematiche tecniche e commerciali comuni nelle diverse aree dell’Unione,

si trovano a confrontarsi con un impianto normativo unico.

Al vertice della piramide, che regola l’impianto normativo, troviamo la

Commissione Europea che, con un’apposita area funzionale, coordina l’impianto

normativo del sistema stesso. Presso la Commissione, così come definito dall’art. 14 del

Reg. CEE 2092/91, è attivo un comitato permanente, costituito dai rappresentanti di

tutti gli Stati Membri, che è chiamato ad esprimere un parere sulle modifiche da

apportare alla regolamentazione comunitaria ed alle modalità di applicazione di alcune

disposizioni. In ogni Stato Membro è designata un’autorità competente in materia di

agricoltura biologica; in Italia tale compito è affidato in parte al Ministero delle

Politiche Agricole e Forestali (MiPAF) che, presso la Direzione generale per la qualità

dei prodotti agroalimentari e la tutela dei consumatori, ha istituito un apposito Ufficio

Agricoltura Biologica, ed in parte alle singole Amministrazioni regionali, che

rappresentano, dunque, l’autorità competente, nei differenti territori, per alcuni aspetti

applicativi. Alle regioni spetta la competenza di tutte le politiche di sviluppo territoriale

ed è demandata l’attività di vigilanza sugli Organismi di certificazione autorizzati dal

MiPAF. Completano il quadro di riferimento istituzionale gli Organismi di controllo,

strutture private che vengono autorizzate dal MiPAF ad esercitare attività di controllo e

di certificazione presso gli operatori dell’agricoltura biologica. Questi organismi devono

operare in conformità alle norme UNI CEI EN 45011 e la maggior parte tra essi risulta

anche accreditata, per maggior garanzia, dal SINCERT.

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2.2 – Evoluzione della normativa nell’Unione Europea (UE)

Lo sviluppo e l’espansione dell’agricoltura biologica nei diversi paesi dell’Unione

Europea è dovuta, sicuramente, all’introduzione di politiche specifiche ed ai sussidi

destinati alle aziende che decidono di applicare tale tipo di metodo produttivo (Le

Goullou e Sharrpè, 2001). In un primo momento viene emanato il regolamento CEE

2092/91, che detta le norme per la realizzazione di una agricoltura di tipo biologico, con

tutte le sue modifiche ed integrazioni; nel 1999, sempre in merito di produzioni

biologiche, viene emanato il regolamento CE 1804/99, specifico per le produzioni

zootecniche. Per quanto riguarda i sussidi finanziari, un importante passo in avanti è

stato fatto grazie all’applicazione del regolamento CEE 2078/92, sostituito,

successivamente, dal regolamento 1257/99.

2.2.1 - Il Regolamento CEE 2092/91 sul “metodo di produzione biologica”

Il Reg. CEE 2092/91 disciplina le diverse azioni relative alla produzione,

preparazione, commercializzazione, etichettatura ed al controllo di prodotti agricoli

destinati all’alimentazione umana ed animale. Tale Regolamento distingue l’agricoltura

biologica da quella convenzionale per l’applicazione di norme di produzione definite,

per le procedure di certificazione che prevedono controllo obbligatori e per le norme di

etichettatura specifiche.

a) Le norme di produzione

In base al Regolamento CEE 2092/91, le norme di produzione devono essere

applicate negli appezzamenti di terreno per un periodo di conversione di almeno due

anni per le colture annuali o, nel caso di colture perenni, di almeno tre anni prima di

poter essere commercializzate come prodotti biologici. I periodi di conversione, a

seconda dell’utilizzazione anteriore degli appezzamenti ed in seguito alla decisione

dell’Organismo di controllo e al consenso dell’autorità competente, possono essere

prolungati o abbreviati. Per quanto riguarda la fertilità e l’attività biologica del suolo,

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questa va mantenuta sia, attuando appropriate tecniche agronomiche come, la rotazione

pluriennale, sia realizzando la concimazione organica. L’integrazione con altri concimi

organici e minerali ammessi (indicati in uno specifico elenco), è consentita unicamente

quando, in loro assenza, non è possibile ottenere un adeguato nutrimento dei vegetali in

rotazione o un ottimale condizionamento del terreno. La lotta contro i parassiti, le

malattie e le piante infestanti si basa, principalmente, sulla prevenzione, adottando

particolari tecniche agronomiche quali la scelta di specie e varietà resistenti, un idoneo

programma di rotazione colturale, il diserbo meccanico, la protezione dai nemici

naturali e dai parassiti attraverso provvedimenti favorevoli come la predisposizione di

siepi, la diffusione dei particolari specie di predatori ed, ancora, l’eliminazione delle

malerbe tramite la bruciatura.

b) L’etichettatura

Le norme per l’etichettatura, previste dal Regolamento CEE 2092/91, prevedono

che un prodotto per poter essere definito come prodotto ottenuto da agricoltura

biologica, deve essere realizzato nel rispetto delle norme di produzione, deve essere

ottenuto senza l’impiego di OGM e l’operatore deve essere assoggettato al sistema di

controllo. Nell’etichetta devono, inoltre, comparire delle specifiche indicazioni dello

Stato Membro, quali il nome o il codice dell’autorità competente e/o dell’organismo di

controllo. Da febbraio 2000, con il Reg. CE 331/2000, è stato introdotto il nuovo logo

europeo per il biologico, previsto dal Reg. CEE 2092/91. Tale logo non è obbligatorio e,

pertanto, i produttori possono utilizzarlo volontariamente quando i loro prodotti

soddisfano i requisiti richiesti. Il marchio consente una più immediata identificazione

del prodotto biologico e costituisce un’ulteriore garanzia per i consumatori. Per il

prodotto sfuso (frutta, ortaggi, pane, ecc), al momento dell’acquisto, va controllato che

il contenitore riporti la dicitura “da agricoltura biologica”, con tutte le prescrizioni di

legge, così come per le altre etichette. Inoltre, è possibile richiedere la visione dei

certificati che hanno accompagnato la merce.

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c) I controlli

I controlli sui prodotti biologici, come riportato nel regolamento comunitario,

vengono realizzati attraverso un sistema di controllo gestito da una o più autorità di

controllo (organismi di certificazione), designati dagli stati membri, ai quali sono

soggetti tutti gli operatori che producono, preparano e commercializzano determinati

prodotti alimentari.

I prodotti agricoli che, dopo i controlli, risultano conformi alle disposizioni,

possono riportare sull’etichetta l’indicazione e/o il logo specifico relativo al metodo di

produzione biologica.

Il regolamento suddetto ha avuto un notevole sviluppo anche grazie

all’applicazione del Reg. CEE 2078/92, abrogato dal Reg. CE 1257/99, che prevede

degli incentivi significativi per gli operatori che scelgono di adottare l’opzione

produttiva di tipo biologico.

2.2.2 – Il Regolamento CEE 2078/92 “sui metodi di produzione agricola compatibili

con le esigenze di protezione dell’ambiente e con la cura dello spazio rurale”

La diffusione dei metodi di produzione ecocompatibili è stata fortemente stimolata

dall’entrata in vigore del Regolamento CEE 2078 del 1992. Attraverso un sistema di

incentivi finanziari, il Consiglio Europeo, si è impegnato a limitare le forme di

“inquinamento” agricolo dell’ambiente, a ridurre le produzioni ancora eccedentarie e,

nello stesso tempo, a valorizzare i contributi che l’attività agricola può dare alla

salvaguardia delle risorse naturali nelle aree rurali, in particolare nelle zone a rischio

rurale.

Il regolamento ha istituito un regime di aiuti per gli agricoltori che si impegnano a

ridurre le produzioni, con effetti positivi sotto il profilo ambientale. Lo scopo dei

contributi messi a disposizione è quello di compensare le perdite di reddito dovute alla

riduzione delle rese e/o all’aumento dei costi di produzione. Per poter ricevere tali aiuti,

i produttori devono impegnarsi a rispettare, per un periodo di almeno cinque anni,

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determinati vincoli tecnici e produttivi e/o a realizzare o conservare particolari elementi

paesaggistici all’interno della propria azienda.

In base ai piani predisposti dall’autorità regionale possono essere finanziati tutti o

alcuni dei seguenti impegni:

• il rispetto di disciplinari che prevedano la riduzione dell’impiego di concimi e

fitofarmaci (Misure A1 e A2);

• la coltivazione secondo il metodo dell’agricoltura biologica descritto nel Reg.

CEE 2092/91 (Misura A3 e A4);

• l’adozione di pratiche che riducano le produzioni vegetali–estensivizzazione,

ad esempio la conversione di seminativi in prati e pascoli (Misura B);

• la riduzione del numero di capi bovini ed ovicaprini ad ettaro (Misura C);

• la cura dello spazio rurale e del paesaggio, ad esempio tramite la

conservazione o la ricostruzione di siepi, stagni, muretti a secco (Misura D1);

• l’allevamento di specie animali in via di estinzione (Misura D2);

• la coltura di specie vegetali adatte alle condizioni locali ed in via di estinzione

(Misura D3);

• la cura dei terreni agricoli o forestali che risultino abbandonati rispettivamente

da almeno tre o dieci anni (Misura E);

• il ritiro ventennale dei seminativi dalla produzione con lo scopo di conservare

o ricreare elementi di particolare valore ambientale (Misura F);

• l’utilizzo di terreni aziendali per attività ricreative aperte al pubblico (Misura

G);

• attività di formazione e divulgazione (Misura H).

Gli Stati membri applicano il regime di aiuti, sulla totalità del territorio ed in base

alle proprie esigenze specifiche, per mezzo di programmi zonali pluriennali. Tali

programmi tengono conto della diversità delle condizioni ambientali e naturali, delle

strutture agrarie, dei principali orientamenti agricoli e delle priorità comunitarie in

materia ambientale. Ciascun programma si riferisce ad una zona omogenea dal punto di

vista dell’ambiente e dello spazio naturale e prevede l’applicazione di tutti gli aiuti

precedentemente citati.

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Per conseguire gli obiettivi del presente regolamento, gli Stati membri devono

soddisfare determinate condizioni ed, in particolare, sono tenuti a stabilire:

• le condizioni per poter ottenere la concessione dell’aiuto;

• l’importo degli aiuti, in base all’impegno sottoscritto dal beneficiario e

tenendo conto delle perdite di reddito ed al carattere dell’incentivazione della

misura;

• le condizioni in base alle quali l’aiuto per la cura delle superfici abbandonate

possa essere concesso, essendo assente l’agricoltore, a persone che non sono

agricoltori;

• le condizioni che il beneficiario deve sottoscrivere, in particolare, ai fini di

verifica e di controllo dell’osservanza degli impegni assunti;

• le condizioni per la concessione dell’aiuto, nel caso in cui l’agricoltore stesso

non sia in grado di sottoscrivere un impegno per il periodo minimo richiesto.

In base al regolamento, non possono essere concessi aiuti per superfici soggette al

ritiro dei seminativi ed utilizzate per produzioni non alimentari. Inoltre, l’aiuto può

essere limitato ad un importo massimo per azienda e diversificato a seconda delle

dimensioni aziendali, fermo restante il carattere d’incentivo dell’aiuto stesso.

2.2.3 – Il Regolamento CE 1257/99 sul “sostegno allo sviluppo rurale”

Il Reg. CE 1257/99 che abroga il Reg. CEE 2078/92, definisce il quadro del

sostegno comunitario per lo sviluppo rurale sostenibile. Le misure per lo sviluppo rurale

integrano altri strumenti della politica agricola comune e contribuiscono a promuovere

lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo (regioni

Obiettivo 1) e a sostenere la riconversione socio-economica delle zone con difficoltà

strutturali (zone Obiettivo 2).

Il sostegno agli investimenti nelle aziende agricole contribuisce a migliorare non

solo i redditi agricoli, ma anche le condizioni di vita, di lavoro e di produzione. Gli

obiettivi di tali investimenti sono riconducibili a:

a) riduzione dei costi di produzione;

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b) miglioramento e riconversione della produzione;

c) miglioramento della qualità;

d) tutela e miglioramento dell’ambiente, delle condizioni igieniche e del benessere

degli animali;

e) sostegno della diversificazione delle attività aziendali.

Il sostegno agli investimenti viene concesso alle aziende agricole che dimostrino

una sufficiente redditività, che rispettino i requisiti minimi in materia di ambiente,

igiene e benessere animale e che siano condotte da imprenditori con adeguate

conoscenze e competenze professionali.

Ogni stato membro applica, in base alle proprie esigenze specifiche ed in base al

territorio interessato, dei programmi zonali pluriennali. Ciascun programma si riferisce

ad una zona omogenea sia dal punto di vista ambientale, che spaziale e prevede, in linea

generale, tutti gli aiuti più convenienti in base alle caratteristiche specifiche di una

determinata zona.

In genere, il valore totale degli aiuti, espresso in percentuale del volume

d’intervento che può beneficiare degli aiuti, è limitato al 40% al massimo e, per le zone

svantaggiate, al 50% al massimo. Nel caso di investimenti effettuati da giovani

agricoltori, tali percentuali possono raggiungere al massimo rispettivamente il 45 e il

55%.

a) Misure Agro-Ambientali

Il sostegno alla produzione agricola, la cui finalità è quella di proteggere

l’ambiente e conservare lo spazio naturale, fornisce un contributo alla realizzazione

degli obiettivi delle politiche comunitarie in materia agricola ed ambientale. I propositi

di tale intervento sono i seguenti:

a) sostenere forme di conduzione dei terreni agricoli compatibili con la tutela e con il

miglioramento dell’ambiente, del paesaggio e delle sue caratteristiche, delle

risorse naturali, del suolo e della diversità genetica

b) promuovere l’estensivizzazione della produzione agricola e la gestione dei sistemi

di pascolo a scarsa intensità;

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c) favorire la tutela di ambienti agricoli ad alto valore naturale esposti a rischi;

d) incoraggiare la salvaguardia del paesaggio e delle caratteristiche tradizionali dei

terreni agricoli;

e) sostenere il ricorso alla pianificazione ambientale nell’ambito della produzione

agricola.

Gli agricoltori ricevono un sostegno in relazione a determinati vincoli agronomici

che gli stessi si impegnano a rispettare per un periodo di durata minima di cinque anni.

Il sostegno viene concesso annualmente e viene calcolato tenendo conto del mancato

guadagno dell’azienda, dei costi aggiuntivi derivanti dall’impegno assunto e dalla

valutazione dell’effettiva necessità di fornire un incentivo.

Il sostegno agli investimenti favorisce il miglioramento e la razionalizzazione

delle condizioni di trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli,

contribuendo, in tal modo, ad aumentare la competitività ed il valore aggiunto dei

prodotti agricoli ottenuti.

Obiettivi di tale sostegno sono i seguenti:

a) orientare la produzione in base all’andamento prevedibile dei mercati o favorire

la creazione di nuovi sbocchi per la produzione agricola;

b) migliorare o razionalizzare i circuiti di commercializzazione e/o i processi di

trasformazione;

c) migliorare la presentazione e il confezionamento dei prodotti o contribuire ad un

migliore impiego o ad una eliminazione dei sottoprodotti o dei rifiuti;

d) applicare nuove tecnologie;

e) favorire investimenti innovativi;

f) migliorare e controllare la qualità;

g) migliorare e controllare le condizioni sanitarie;

h) proteggere l’ambiente.

Il sostegno viene concesso a quelle aziende agricole che dimostrano redditività e

che rispettino i requisiti minimi in materia di ambiente, di igiene e di benessere degli

animali. Il valore di tale sostegno, espresso in percentuale del volume di investimento, è

pari al 75% per quanto riguarda le regioni dell’Obiettivo 1 e al 40% per tutte le altre

regioni.

17

2.2.4 – Il Regolamento CE 1804/99 “sul metodo delle produzioni animali biologiche”

In riferimento alle produzioni animali, disciplinate dal Reg. CE 1804/99, si può

affermare che queste ultime, rappresentano una componente sempre più importante

dell’attività svolta da numerose aziende agricole che operano nel settore dell’agricoltura

biologica. Le produzioni animali, infatti, devono contribuire al mantenimento

dell’equilibrio dei sistemi di produzione agricola, garantendo il corretto apporto di

elementi nutritivi alle colture e migliorando la fertilità del suolo. L’allevamento,

praticato nel quadro dell’agricoltura biologica, è inteso come una produzione legata alla

terra. Gli animali devono disporre di un’area di pascolo; il numero di capi per unità di

superficie deve consentire una gestione integrata delle produzioni animali e vegetali per

ridurre al minimo ogni forma di inquinamento, in particolare del suolo e delle acque

superficiali e sotterranee. E’ ammessa in azienda la presenza di animali non allevati

secondo le disposizione del regolamento comunitario, purchè tali animali vengano

allevati in una unità distinta, provvista di stalle e pascoli nettamente separati da quelli

adibiti alla produzione biologica e a condizione che si tratti di animali di specie diversa.

In caso di conversione di un’unità di produzione, l’intera superficie dell’unità

utilizzata per l’alimentazione degli animali deve rispondere alle norme di produzione

dell’agricoltura biologica, rispettando i diversi periodi di conversione. Per quanto

riguarda i prodotti animali, questi possono essere venduti con la denominazione

biologica solo se sono stati allevati secondo le norme del regolamento, per un periodo

variabile a seconda della specie considerata (12 mesi per equini e bovini, 6 mesi per i

piccoli ruminanti ed i suini, ma anche per gli animali da latte, 10 settimane per il

pollame destinato alla produzione di carne, 6 settimane per le ovaiole).

Nella scelta delle razze o delle varietà si deve tener conto della capacità degli

animali di adattarsi alle condizioni locali, ma anche della loro vitalità e resistenza alle

malattie. Le razze e le varietà devono essere selezionate in modo tale da evitare malattie

specifiche o problemi sanitari legati ad alcune razze o varietà utilizzate nelle produzioni

intensive, indirizzando la scelta verso razze e varietà autoctone.

L’alimentazione degli animali è finalizzata all’ottenimento di un prodotto di

qualità, piuttosto che a massimizzare la produzione stessa, rispettando, comunque, le

esigenze nutrizionali degli animali nei vari stadi fisiologici. Le pratiche di ingrasso sono

18

autorizzate nella misura in cui sono reversibili in qualunque fase dell’allevamento.

Risulta del tutto evitata l’alimentazione forzata. Gli animali devono essere alimentati

con alimenti biologici, preferibilmente prodotti nella stessa unità; qualora ciò non sia

possibile si devono utilizzare alimenti prodotti in altre unità o in altre imprese ma,

comunque, conformi alle disposizione del regolamento.

La profilassi veterinaria è basata su specifiche azioni preventive, riconducibili a:

• scelta ottimale delle razze o delle linee e ceppi appropriati;

• applicazione di pratiche di allevamento adeguate alle esigenze di ciascuna specie

che stimolino un’elevata resistenza alle malattie ed evitino le infezioni;

• uso di alimenti di alta qualità, abbinato al regolare movimento fisico ed alla

facilità d’accesso ai pascoli, stimolando così le difese immunologiche naturali

degli animali;

• adeguata densità degli animali, evitando il sovraffollamento e qualsiasi problema

sanitario che ne potrebbe derivare.

Nel caso in cui un animale risultasse ferito o malato, nonostante le azioni

preventive, lo stesso va immediatamente curato e, se necessario, isolato in appositi

locali. Nei casi di effettiva necessità possono essere utilizzati specifici medicinali

riportati in un apposito elenco.

Per quanto riguarda la riproduzione degli animali allevati biologicamente, questa,

in linea di principio, deve basarsi su metodi naturali; è, comunque, consentita

l’inseminazione artificiale.

19

3. L’AGRICOLTURA BIOLOGICA IN ITALIA

Negli ultimi quindici anni, in ambito europeo, l’agricoltura biologica è stata

caratterizzata da uno sviluppo senza precedenti. Negli ultimi cinque anni, dal 1999 al

2003, infatti, la superficie destinata alla coltivazione biologica nell’Unione Europea, è

passata da circa 3 milioni e 780 mila a circa 4 milioni e 600 mila ettari, con un

incremento del 21% circa. Questo fenomeno può essere spiegato, in parte, dalla

decisione, da parte degli Stati membri, di aderire alle politiche di sostegno per la

conversione ed il mantenimento del metodo biologico, previste dalle misure di

accompagnamento della nuova PAC.

In seno all’Unione Europea, l’Italia è il principale paese per superfici destinate

all’agricoltura biologica. Nel 2003, infatti, con una superficie di circa 1 milione e 100

mila ettari e più di 60.000 operatori, l’Italia si conferma il terzo paese al mondo ed il

primo in Europa per capacità produttiva. Nel triennio 2001-2003, il numero di aziende,

così come la superficie totale (in biologico ed in conversione), sono state caratterizzate

da un certo incremento, rispettivamente del 20 e del 4% (Tab. 1). In particolare, il

numero di operatori è passato da circa 51 mila a quasi 62 mila unità, mentre gli ettari di

superficie interessata sono passati da quasi milione e 70 mila a circa 1 milione e 116

mila (Fig. 1).

20

Tabella 1 - Evoluzione della SAU coltivata con il metodo biologico in Italia per

principali aree geografiche (*)

Aree e Regioni 2001 2003

ha % ha %

Nord Ovest 63.996 6,0 79.175 7,1 100 124

- Piemonte 44.557 4,2 54.419 4,9 100 122

- Altre 19.439 1,8 24.756 2,2 100 127

Nord Est 119.812 11,2 138.069 12,4 100 115

- Em.-Romagna 101.777 9,5 106.923 9,6 100 105

- Altre 18.035 1,7 31.146 2,8 100 173

Centro 148.976 13,9 220.951 19,8 100 148

- Toscana 55.752 5,2 80.177 7,2 100 144

- Lazio 36.346 3,4 58.642 5,2 100 161

- Altre 56.878 5,3 82.132 7,4 100 144

Sud 266.865 25,0 262.498 23,5 100 98

- Campania 14.887 1,4 16.808 1,5 100 113

- Puglia 132.932 12,4 107.393 9,6 100 81

- Calabria 92.537 8,6 71.722 6,4 100 77

- Altre 26.509 2,6 66.575 6,0 100 251

Isole 469.693 43,9 415.218 37,1 100 88 - Sicilia 162.487 15,2 192.529 17,2 100 118

- Sardegna 307.206 28,7 222.689 19,9 100 72 Italia 1.069.342 100,0 1.115.911 100,0 100 104

(*) Fonte: nostre elaborazioni su dati Bio Bank.

21

Figura1 - Evoluzione dell'agricoltura biologica in Italia,2001 -2003

0

10.000

20.000

30.000

40.000

50.000

60.000

70.000

1999 2000 2001

Azi

ende

(N)

1.000.0001.020.0001.040.0001.060.0001.080.0001.100.0001.120.0001.140.0001.160.0001.180.0001.200.000

SA

U (H

a)

Numero di aziende SAU (Ha)

Fonte: elaborazioni su dati BIO BANK.

Tuttavia, come riportato nella figura 1, nel 2003, si è iniziato ad assistere ad un

leggero decremento, rispetto all’anno precedente, sia del numero di aziende (3%), sia

delle superfici investite (6%). In questo arco temporale, tale flessione, può essere,

almeno in parte ricondotta alla tendenza manifestata da un certo numero di aziende a

non rinnovare il proprio impegno nell’applicare il metodo di produzione biologica,

come conseguenza della riduzione delle risorse finanziarie messe a disposizione per il

biologico, verificatesi in molte regioni italiane. Si può affermare che l’agricoltura

biologica, nonostante negli anni passati, abbia manifestato un significativo incremento,

quest’ultimo non si è realizzato in modo omogeneo, né sotto il profilo territoriale, né

sotto quello inerente gli indirizzi produttivi. Tale fenomeno può essere giustificato da

diversi fattori, tra cui, particolare importanza, ha assunto, a livello produttivo, il

maggiore peso delle colture foraggiere (permanenti ed avvicendate) e cerealicole,

evidenziato in alcune regioni del Sud e delle Isole, sul totale della SAU biologica

nazionale.

A questo fenomeno, va aggiunta la differente localizzazione che si osserva tra la

fase produttiva, concentrata maggiormente nelle regioni meridionali e nelle isole, e

22

quella della trasformazione che, invece, vede prevalere le regioni del Nord. Per quanto

riguarda i consumi, inoltre, è opportuno notare la maggiore diffusione che

contraddistingue le regioni del Centro-Nord. La forte e, per certi versi, disomogenea

crescita della filiera di produzione-trasformazione-consumo, ha avuto i suoi effetti poco

positivi, non solo a valle della produzione agricola, rendendo difficile l’adeguamento

dei diversi segmenti di filiera, ma anche sulle attività di ricerca e servizio, facendo sì

che l’organizzazione in filiere produttive dell’agricoltura biologica nazionale resti

ancora debole (ISMEA, 2004).

A fronte degli aspetti appena citati, che rappresentano dei punti di debolezza per il

comparto, è opportuno analizzare quelli che rappresentano punti di forza sui quali

sarebbe necessario riflettere maggiormente. Innanzitutto, non possono essere tralasciati i

tentativi che, negli ultimi anni, sono stati realizzati per attuare un maggior

coordinamento all’interno del comparto; in tal senso, è cresciuta la capacità produttiva

ed organizzativa a livello primario, grazie alla costituzione di associazioni di produttori

e alla presenza di aziende di trasformazione altamente strutturate e già operanti nel

settore dell’agro-alimentare. Inoltre, non bisogna trascurare la rilevante crescita

registrata nei consumi, grazie al massiccio ingresso nella commercializzazione dei

prodotti biologici della Grande Distribuzione Organizzata. Nel complesso, dunque,

l’importanza economica del comparto biologico risulta in crescita, specie se confrontato

con l’andamento generale del settore. I suddetti elementi, di forza e di debolezza,

sottolineano la necessità di informazioni sempre più puntuali e precise, allo scopo di

cogliere con prontezza le tendenze in atto e fornire un supporto alle attività economiche

e di governo portate avanti dagli operatori e dalle istituzioni.

23

3.1 - La struttura produttiva in Italia

Secondo i dati forniti dal SINAB, l’agricoltura biologica nazionale, dopo un

periodo di notevole sviluppo, che vede il proprio culmine nel 2001, in cui le aziende

operanti nel settore avevano raggiunto circa le 60 mila unità, nei due anni successivi,

registra una fase di contrazione. Le aziende agricole biologiche italiane, infatti, pari, nel

2003, a poco più di 48 mila, mostrano, rispetto al 2001, un significativo decremento di

oltre il 20% (Tab. 2).

Tabella 2 - Evoluzione del numero di operatori certificati in

Italia per tipologia di attività (*)

Operatori 2001 2003

n % n %

Produttori 56.440 93,3 44.034 90,8 100 78

Trasformatori 3.947 6,5 4.264 8,8 100 108

Importatori 122 0,2 175 0,4 100 143

Totale operatori 60.509 100,0 48.473 100,0 100 80 (*) Fonte: nostre elaborazioni su dati SINAB.

24

Tabella 3 - Evoluzione del numero di operatori certificati in Italia per tipologia e per principali aree geografiche(*)

2001 2003 Produzione Trasformazione Importazione Produzione Trasformazione Importazione Aree e Regioni n % n % n % n % n % n %

Nord 11.191 19,8 1,836 42,8 100 82,0 10.512 23,9 2.013 47,2 136 77,7 100 100 100 94 110 136

- Emilia-Romagna 4.535 8,0 531 12,4 39 32,0 4.046 9,2 623 14,6 40 22,8 100 100 100 89 117 102

- Lombardia 1.023 1,8 379 8,8 23 18,8 1.099 2,5 397 9,3 32 18,3 100 100 100 107 105 139

- Veneto 1.257 2,2 392 9,1 19 15,6 1.261 2,9 416 9,7 28 16,0 100 100 100 100 106 147

Centro 7.093 12,6 753 17,5 13 10,6 7.799 17,7 850 19,9 26 14,8 100 100 100 110 113 200

- Lazio 2.415 4,3 225 5,2 - 0,0 2.526 5,7 247 5,8 3 1,7 100 100 100 104 110 300 - Toscana 1.923 3,4 318 7,4 7 5,7 2.340 5,3 383 9,0 13 7,4 100 100 100 122 120 186

Sud 18.133 32,1 846 19,7 9 7,4 13.045 29,6 902 21,1 9 5,1 100 100 100 72 107 100

- Puglia 6.470 11,5 361 8,4 3 2,4 4.267 9,7 352 8,2 2 1,1 100 100 100 66 97 66

- Calabria 7.807 13,8 100 2,3 - 0,0 4.220 9,6 162 3,8 - 0,0 100 100 100 54 162

Isole 20.023 35,5 512 11,9 - 0,0 12.669 28,8 499 11,7 4 2,3 100 100 100 63 97 400

- Sicilia 12.225 21,7 424 9,9 - 0,0 8.003 18,2 403 9,4 4 2,3 100 100 100 65 95 400

- Sardegna 7.798 13,8 88 2,0 - 0,0 4.666 10,6 96 2,2 - 0,0 100 100 100 60 109

Italia 56.440 100,0 4.293 100,0 122 100,0 44.034 100,0 4.264 100,0 175 100,0 100 100 100 78 99 143

(*) Fonte: nostre elaborazioni su dati Sinab.

25

Oltre che il risultato nel suo complesso, è significativo analizzare i dati che

evidenziano le differenti tendenze evolutive all’interno delle diverse classi di operatori

(Tab. 3).

Nel triennio 2001-2003, il decremento più sensibile appare quello registrato per le

aziende di produzione (-22%), la cui consistenza numerica ha subito una riduzione pari

a 12 mila e 400 unità. In generale, comunque, tale tendenza viene compensata

dall’andamento delle aziende di trasformazione per le quali, rispetto al 2001, si

registrano valori pressoché stabili, ma soprattutto delle aziende di importazione, il cui

incremento rispetto al 2001 è risultato di circa il 43%.

Analizzando i dati forniti dal SINAB, si osserva chiaramente che il decremento

più significativo si registra al Sud e nelle Isole. In queste due aree geografiche, infatti,

nel triennio considerato, le aziende di produzione hanno subito un brusco calo,

rispettivamente, del 28 e del 37%. Nella prima circoscrizione è interessante notare come

i decrementi più rilevanti si registrano in quelle regioni che più delle altre e più

rapidamente si erano sviluppate in tal senso e, cioè in Puglia ed in Calabria. Per quanto

riguarda le Isole, la contrazione è molto più accentuata, con decrementi del 35 e del

40% registrati, rispettivamente, in Sicilia ed in Sardegna. Di contro, a parte il Nord

Italia in cui non si registra una crescita notevole, il Centro sembra essere l’area in cui il

numero di aziende di produzione continua ad aumentare, tanto che, nel triennio

considerato, si è registrato un incremento del 10%.

Questa particolare distribuzione geografica, presenta delle differenziazioni se

consideriamo le differenti tipologie di operatori (Tab. 3). In particolare, con riferimento

alle aziende di produzione queste, risultano concentrate al Sud e nelle Isole, in cui

ricoprono quasi il 60% del totale nazionale. I trasformatori e gli importatori, invece,

sono maggiormente localizzati al Nord, rispettivamente con il 47 ed il 78% sul totale

nazionale.

Tenendo in considerazione i dati contenuti nella tabella, interessanti

considerazioni possono essere fatte tenendo conto delle ripartizione a livello regionale.

La Sicilia, risulta la regione che presenta il maggior numero di aziende di

produzione, con un’incidenza sul totale pari a poco più del 18%, e registra, al contempo,

una discreta presenza di aziende di trasformazione, pari a circa il 9%. Poco significativa

26

nel panorama nazionale è l’incidenza delle aziende di importazione siciliane, pari a

poco più del 2%, sebbene il dato appare in lieve crescita. Una situazione alquanto simile

a quella registrata in Sicilia, si registra in Puglia, sebbene la consistenza delle aziende di

produzione e di importazione appaia inferiore rispetto a quelle siciliane. Per quanto

riguarda le altre due regioni del meridione, la Calabria e la Sardegna, che si

caratterizzano per una rilevante presenza di aziende di produzione (rispettivamente il

9,6 ed oltre il 10%), la crescita sembra interessare le sole aziende di trasformazione,

che, in tre anni sono aumentate, rispettivamente, del 62 e del 9%. Assenti risultano, in

entrambi i casi, le aziende che si occupano di importazione.

La situazione del Nord Italia può essere ben rappresentata attraverso i dati di

alcune regioni, come la Lombardia ed il Veneto, in cui, ad un numero decisamente

limitato di aziende di produzione, in entrambi i casi inferiori al 3%, corrisponde

un’elevata presenza di trasformatori, le cui quote sfiorano quasi il 10%, e di importatori;

in quest’ultimo caso, le quote relative alle aziende di importazione rappresentano

rispettivamente il 18 ed il 16% del totale nazionale. Per quanto riguarda l’Emilia-

Romagna, si può osservare una situazione, tra le diverse tipologie aziendali, un pò più

bilanciata, tanto che è possibile rilevare un’equilibrata presenza tra produttori (poco più

del 9%), trasformatori (quasi il 15%), ed importatori, la cui incidenza percentuale sfiora

il 23% e pone la regione ai vertici nazionali.

In alcune regioni del Centro, soprattutto in Toscana, viene rilevata una situazione

ancora diversa, in cui sembrano prevalere le aziende che effettuano la trasformazione

dei prodotti, fenomeno probabilmente dovuto alla tradizionale diffusione, nella regione

considerata, di colture come l’olivo e la vite.

Dal 2001 al 2003 (Fig. 2 ), i pesi relativi delle singole aree geografiche si sono

modificati. In particolare, le Isole passano dal 34% al 27%. Il Sud detiene, nel 2003, con

il 29% sul totale nazionale, il primo posto; mentre, il Nord ed il Centro, assumono un

peso sempre maggiore, passando da una quota di incidenza, rispettivamente, del 22 e

13%, nel 2001, ad una quota del 26 e 18% nel 2003.

27

Figura 2 - Variazione della distribuzione degli operatori biologici in Italia per area geografica

22%

13%

31%34%

26%

18%

29%27%

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

40%

Nord Centro Sud Isole

2001

2003

Fonte: elaborazione su dati SINAB.

3.1.1 - Le produzioni vegetali

I dati nazionali relativi agli orientamenti produttivi, confermano come, nel corso

dell’ultimo triennio 2001-2003, le superficie totali destinate alle coltivazioni biologiche

siano state caratterizzate da una fase di crescita, avvenuta con un andamento altalenante.

Analizzando gli ultimi dati SINAB, relativi al 2003, si osserva che, rispetto al 2001,

anno di notevole crescita del comparto, la superficie investita al biologico, ha subito una

parziale contrazione pari al 15% (Tab. 4).

28

Tabella 4 - Evoluzione delle superfici coltivate con il metodo

biologico in Italia per orientamento produttivo (*)

Orientamento produttivo 2001

2003

ha % ha %

Cereali 221.436 18,0 209.376 20,0 100 94 Leguminose da granella 8.709 0,7 11.662 1,1 100 134

Colture industriali 27.962 2,3 32.313 3,1 100 115

Orticoltura 11.675 0,9 11.354 1,1 100 97

Foraggi 397.878 32,3 296.997 28,3 100 75

Fruttiferi 41.827 3,4 52.214 5,0 100 125

Frutta secca 22.033 1,8 10.826 1,0 100 49

Agrumi 18.295 1,5 16.749 1,6 100 91

Olivo 121.363 9,8 86.201 8,2 100 71

Vite 44.175 3,6 31.709 3,0 100 72

Prati e pascoli 241.157 19,6 263.003 25,1 100 109

Altro 75.318 6,1 25.970 2,5 100 34

Totale 1.231.828 100,0 1.048.374 100,0 100 85 (*) Fonte: nostre elaborazioni su dati SINAB.

29

Facendo riferimento ai dati forniti dal SINAB, è possibile fare alcune

considerazioni, in relazione ai principali orientamenti produttivi che caratterizzano il

territorio nazionale.

Dai dati contenuti nella tabella 4, si evidenzia una distribuzione della SAU

biologica fortemente orientata verso le colture foraggiere, sia permanenti, che

avvicendate. Questo fenomeno può essere facilmente compreso se si tiene conto del

fondamentale ruolo svolto dai contributi previsti dal Regolamento CEE 2078/92,

modificato dal Regolamento CE 1257/99, sulle scelte imprenditoriali, che hanno reso

particolarmente conveniente la destinazione delle produzioni foraggiere verso il

comparto della zootecnia. Nel complesso, questo comparto produttivo, che ricopre, con

circa 300 mila ettari, il 28% della superficie totale, appare in contrazione; infatti,

rispetto al 2001, in cui la superficie destinata a questo tipo di coltura rappresentava il

32% circa, ha subito un decremento di circa il 25%. La regione leader per superficie

biologica investita a specie foraggiere è la Sardegna, con una quota di oltre il 30%;

segue l’Emilia – Romagna, con quasi il 13% e la Sicilia, con un peso relativo di poco

superiore al 12% circa (Tab. 5).

Un altro importante orientamento produttivo è quello cerialicolo, la cui incidenza

è aumentata dal 18% nel 2001, al 20% nel 2003, nonostante, nel triennio considerato, si

osservi una contrazione del 6% della superficie destinata a tale tipo di produzione.

Facendo riferimento ai dati della tabella 5, le regioni che detengono il primato sono la

Sicilia e la Puglia, con oltre 30 mila ettari destinati a tale coltura. Tra le regioni del Nord

Italia spicca l’Emilia – Romagna, con una quota di incidenza di quasi il 13%; mentre tra

le regioni del Centro prevale la Toscana, con una superficie di circa 20 mila ettari, pari a

quasi il 9% del totale.

Notevole è l’espansione che ha caratterizzato le leguminose da granella, la cui

superficie è passata da circa 8 mila e 700 ettari nel 2001, a circa 11 mila e 600 ettari nel

2003, con un incremento del 23%. Stesse valutazioni possono essere dedotte per le

colture industriali, che rappresentano quasi il 3% degli orientamenti colturali coltivati.

Altro importante comparto è quello relativo ai prati ed ai pascoli, che rappresenta

il 25% circa della superficie biologica nazionale coltivata e che, nel corso del triennio

considerato, ha incrementato la propria quota d’incidenza del 9%.

30

Tra le colture arboree, la maggiore diffusione si riscontra per l’olivo, che con una

superficie di oltre 86 mila ettari incide per circa l’8% sul totale della SAU biologica

nazionale; va, comunque, evidenziato il decremento, pari ad oltre il 10%, che ha

caratterizzato il triennio 2001 – 2003. La vite, con una superficie di quasi 32 mila ettari

ed un’incidenza del 3%, costituisce, la seconda coltura arborea per diffusione ed

incidenza sulla SAU biologica complessiva. Anche in questo caso è da evidenziare il

decremento della superficie investita alla viticoltura biologica, che nell’arco temporale

2001-2003, ha sfiorato il 30%.

Per quanto riguarda i fruttiferi, è possibile osservare, una crescita nell’arco di

tempo considerato, tanto che nel 2003, si è registrato un incremento in termini di

superfici investite pari al 25%, rispetto al 2001. Notevole appare, invece, il

disinvestimento della SAU per la frutta secca, la cui superficie, pari a quasi 11 mila

ettari, registra una riduzione di quasi il 50%, rispetto al 2001. Di contro gli agrumi, pur

mostrando un modesto calo, mantengono una collocazione di rilievo tra le colture

arboree, con una superficie di quasi 17 mila ettari ed un’incidenza sulla SAU biologica

nazionale del 1,6%.

Dal punto di vista della localizzazione regionale (Tab. 5), si rileva che,

l’olivicoltura biologica risulta maggiormente diffusa nelle regioni meridionali ed in

quelle centrali, zone tradizionalmente vocate per tale tipo di coltura. Le due regioni

leader sono la Calabria e la Puglia, nelle quali la diffusione dell’olivicoltura biologica è

stata particolarmente rapida negli ultimi anni; le due regioni, intercettano,

rispettivamente, oltre il 31e quasi il 23% della SAU olivicola biologica nazionale.

Seguono la Sicilia e la Toscana, rispettivamente, con quasi l’11 e l’8%.

Per quanto concerne la distribuzione geografica della viticoltura, questa risulta la

più omogenea, anche se si nota una lieve polarizzazione verso il Nord e le Isole. La

maggiore diffusione di superficie a vite si riscontra in Sicilia che, con quasi il 29% della

superficie viticola biologica, detiene il primato nazionale. Tra le regioni del Sud

primeggiano l’Abruzzo e la Puglia, con pesi relativi, rispettivamente, dell’12 e dell’7%

circa; mentre al Centro spicca il dato relativo alla Toscana, che incide con oltre il 10%

sul totale nazionale. Al Nord, in cui si concentra quasi il 20% della SAU biologica

31

totale, le regioni con maggiore diffusione sono rappresentate dall’Emilia – Romagna e

dal Veneto, con un’incidenza di circa il 6%, in entrambi i casi (Tab. 5).

Relativamente alle colture orticole, le superfici coltivate con il metodo biologico,

si sono mantenute pressoché stabili. Il contributo di questa produzione, è stato sinora

limitato e la motivazione di questo fenomeno va ricercata, soprattutto,

nell’inadeguatezza degli incentivi proposti dal vigente regolamento comunitario, che

spesso non riescono a compensare le perdite di reddito che si osservano, in molti casi,

con l’adozione del sistema biologico. L’orticoltura rappresenta appena l’1% della SAU

biologica complessiva e si trova concentrata in 6 regioni, l’Emilia–Romagna, la

Lombardia, le Marche, la Sicilia, e la Puglia che, insieme, costituiscono oltre il 61%

della SAU orticola biologica nazionale.

Oltre agli orientamenti produttivi sinora descritti, i dati forniti nella tabella 4,

evidenziano come una certa quota (2,5%) della SAU biologica, pari a circa 26 mila

ettari, sia utilizzata per alcune colture che rientrano in un gruppo non specificato,

denominato come “altro”. In genere all’interno di tale aggregato vengono compresi i

boschi e varie essenze forestali, gli arboreti da legno, i terreni a riposo o set-aside, le

siepi. Nell’insieme vengono, anche, inclusi le essenze officinali, cui concorrono

numerose specie, tra le quali le più diffuse sono il prezzemolo, il rosmarino e il basilico.

32

Tabella 5 - Consistenza delle superfici coltivate con il metodo biologico in Italia per regione e per principale ordinamento produttivo, 2003 (*)

Cereali Colture industriali Foraggi Colture arboree Vite Olivo Orticoltura Altro Regione

ha % ha % ha % ha % ha % ha % ha % ha % Nord 53.079 23,3 11.056 44,0 130.862 23,8 11.957 18,1 7.349 19,7 780 0,76 4.328 32,5 25.675 17,7

Piemonte Valle d'Aosta 7.531 3,3 2.581 10,3 36.750 6,7 4.478 6,8 1.232 3,3 1 0,0 416 3,1 5.804 4,0

Liguria 76 0,0 8 0,0 1.987 0,4 158 0,2 61 0,2 180 0,2 91 0,7 115 0,1

Lombardia 11.954 5,2 2.566 10,2 9.887 1,8 445 0,7 980 2,6 108 0,1 1.222 9,2 1.755 1,2

Trentino-A.A. 21 0,0 0 0,0 5.084 0,9 372 0,6 79 0,2 6 0,0 95 0,7 7.125 4,9

Veneto 3.936 1,7 2.672 10,6 6.054 1,1 1.119 1,7 2.218 5,9 176 0,2 608 4,6 700 0,5

Friuli-V.G. 762 0,3 364 1,4 1.569 0,3 322 0,5 355 0,9 5 0,0 165 1,2 648 0,4

Emilia-Romagna 28.799 12,6 2.864 11,4 69.528 12,6 5.063 7,7 2.424 6,5 304 0,3 1.730 13,0 9.527 6,6

Centro 58.984 25,9 8.804 35,0 108.947 19,8 6.673 10,1 7.931 21,2 19.517 19,1 2.352 17,7 31.869 22,0

Toscana 20.186 8,9 3.250 12,9 24.222 4,4 1.509 2,3 4.037 10,8 8.720 8,5 562 4,2 21.683 15,0

Marche 15.643 6,9 1.736 6,9 32.579 5,9 336 0,5 1.967 5,3 818 0,8 855 6,4 4.703 3,2

Umbria 8.888 3,9 1.955 7,8 14.772 2,7 415 0,6 531 1,4 4.394 4,3 196 1,5 2.327 1,6

Lazio 14.267 6,3 1.862 7,4 37.375 6,8 4.414 6,7 1.395 3,7 5.585 5,5 740 5,6 3.157 2,2

Sud 61.059 26,8 4.647 18,5 74.700 13,6 22.453 34,0 9.855 26,4 65.943 64,6 4.554 34,2 24.970 17,2

Abruzzo 2.180 1,0 724 2,9 17.556 3,2 454 0,7 4.530 12,1 2.663 2,6 327 2,5 1.291 0,9

Molise 2.200 1,0 717 2,9 2.143 0,4 334 0,5 393 1,1 1.262 1,2 253 1,9 359 0,2

Campania 2.711 1,2 121 0,5 2.622 0,5 5.143 7,8 1.069 2,9 4.668 4,6 562 4,2 1.521 1,1

Puglia 31.944 14,0 2.609 10,4 28.358 5,2 3.808 5,8 2.778 7,4 23.092 22,6 2.518 18,9 4.445 3,1

Basilicata 10.297 4,5 220 0,9 10.437 1,9 2.712 4,1 355 0,9 2.213 2,2 542 4,1 3.025 2,1

Calabria 11.727 5,1 255 1,0 13.584 2,5 10.003 15,1 730 2,0 32.045 31,4 351 2,6 14.330 9,9

Isole 54.826 24,1 624 2,5 235.763 42,8 25.005 37,8 12.243 32,8 15.815 15,5 2.089 15,7 62.262 43,0

Sicilia 34.285 15,0 48 0,2 67.820 12,3 23.762 36,0 10.575 28,3 10.911 10,7 1.846 13,9 56.637 39,1

Sardegna 20.541 9,0 576 2,3 167.943 30,5 1.243 1,9 1.669 4,5 4.904 4,8 243 1,82 5.625 3,9

Italia 227.948 100,0 25.131 100,0 550.272 100,0 66.088 100,0 37.379 100,0 102.055 100,0 13.323 100,0 144.776 100,0

(*) Fonte: elaborazioni su dati ISMEA

33

3.1.2 - Le produzioni animali

I dati disponibili sulla zootecnia biologica sono pochi e presentano una minore

disaggregazione rispetto a quelli relativi alle produzioni vegetali. Questo è dovuto,

essenzialmente, al fatto che, la zootecnia biologica in Italia è ancora scarsamente

diffusa, considerato che il suo sviluppo è avvenuto a seguito dell’emanazione, nel 1999,

delle norme comunitarie e nazionali sul metodo di produzione biologica applicato alle

produzioni animali. In ogni caso, la zootecnia biologica sembra avere un destino

evolutivo simile a quello dell’agricoltura biologica, soprattutto in seguito alla crescita

della domanda di prodotti animali con alti standards qualitativi. Tale affermazione è

supportata da alcuni dati forniti dal SINAB e riportati nella tabella 6.

34

Tabella 6 - Evoluzione del numero di capi allevati con il metodo biologico in Italia per specie (*)

Specie 2001 2002 2003

n % n % n %

Bovini 330.701 23,9 164.536 8,8 189.806 9,0 100 50 57

Ovini 301.601 21,8 608.687 32,7 436.186 20,6 100 202 145

Caprini 26.290 1,9 59.764 3,2 101.211 4,8 100 227 385

Suini 25.435 1,8 19.917 1,1 20.513 1,0 100 78 81

Pollame 648.693 47,0 939.396 50,5 1.287.131 61,0 100 145 198

Conigli 1.682 0,1 1.377 0,1 1.068 0,0 100 82 63

Api (in arnie) 48.228 3,5 67.353 3,6 76.607 3,6 100 140 159

Totale 1.382.630 100,0 1.861.030 100,0 2.112.522 100,0 100 135 153 (*) Fonte: nostre elaborazioni su dati SINAB.

La tabella mostra come, nel triennio considerato, il numero dei capi allevati sia

notevolmente aumentato, passando da circa 1 milione e 400 mila capi nel 2001, a circa

2 milioni e 100 mila unità nel 2003 e facendo realizzare, quindi, un incremento

complessivo di poco superiore al 50%.

Dai dati contenuti in tabella emerge che il comparto in forte espansione risulta

essere quello del pollame; infatti, con un numero di capi di circa 1 milione e 300 mila

unità e con una quota di incidenza del 61% sul totale di capi allevati in Italia, si

conferma al primo posto. Questo è dovuto, probabilmente, alla crescente domanda di

prodotti avicoli che si è registrata negli ultimi anni.

35

Si può notare che gli allevamenti che manifestano decisi incrementi, sono quelli di

tipo estensivo, legati al pascolo, come dimostrano i dati relativi ad ovini e caprini, per i

quali, nel 2003, rispetto al 2001, si registra un incremento pari, rispettivamente, al 45 ed

al 285%. Di contro, risultati poco soddisfacenti si registrano per gli allevamenti

tradizionalmente più intensivi come bovini e suini, per i quali il numero di capi allevati

è in contrazione, decisa nel primo caso, il 43%, con un totale di quasi 190 mila capi, e

meno evidente nel caso dei suini, per i quali il numero si riduce del 20%, per un totale

complessivo di circa 20 mila capi.

Dato interessante è quello relativo alle api; infatti, anche per un allevamento

orientato, per tradizione, alla qualità dei prodotti, come può essere quello apistico, si

registra un notevole incremento, pari al 59%, con un numero di arnie superiore a 76

mila.

Irrilevante risulta l’allevamento con metodo biologico dei conigli.

Per quanto riguarda la localizzazione della zootecnia biologica, alcuni

informazioni si possono ottenere attraverso l’analisi della diffusione geografica delle

aziende zootecniche. Dalla figura 3 si può notare che, come per le produzioni biologiche

vegetali, la zootecnica biologica si concentra per oltre il 50% nella circoscrizione delle

Isole, sia per quanto riguarda il numero totale di aziende, sia in relazione alle diverse

tipologie produttive. In particolare, al 2003, la Sicilia rappresenta la regione in cui si

registra una più massiccia concentrazione di capi da carne, con un peso relativo del

43%, mentre le aziende che allevano capi da latte, risultano più numerose in Sardegna,

che da sola incide per più del 50% sul totale nazionale (Tab. 7).

Figura 3-Ripartizione della consistenza delle aziende zootecniche biologiche per area geografica (2003)

22%

19%4%

55% Nord

Centro

Sud

Isole

Fonte: elaborazione su dati BIO BANK

36

Tabella 7 - Ripartizione delle aziende zootecniche biologiche per tipologia e per area geografica in Italia (*)

2001 2003

da latte da carne miste da latte da carne miste Area

n % n % n % n % n % n %

Nord-Ovest 15 4,0 31 5,0 9 2,0 85 7,0 196 9,0 58 7,0 100 100 100 567 632 644

Nord-Est 226 57,0 134 20,0 24 7,0 167 15,0 258 12,0 165 21,0 100 100 100 74 192 687

Centro 65 16,0 175 26,0 60 17,0 151 13,0 486 22,0 143 18,0 100 100 100 232 278 238

Sud 9 2,0 21 3,0 14 4,0 25 2,0 87 4,0 45 6,0 100 100 100 278 414 321

Sicilia 3 1,0 299 45,0 41 11,0 141 12,0 921 43,0 199 25,0 100 100 100 4700 308 485

Sardegna 81 20,0 3 1,0 213 59,0 580 50,0 217 10,0 185 23,0 100 100 100 716 7233 87

Isole 84 21,0 302 46,0 254 70,0 721 62,0 1.138 53,0 384 48,0 100 100 100 858 377 151

Totale 399 100,0 663 100,0 361 100,0 1.149 100,0 2.165 100,0 795 100,0 100 100 100 288 326 220 (*) Fonte: elaborazioni su dati BIO BANK

37

3.2 - Il consumo nazionale dei prodotti biologici

I consumatori italiani, negli ultimi anni, hanno iniziato a porre maggiore

attenzione verso il consumo di prodotti provenienti dall’agricoltura biologica, sia allo

stato fresco, che trasformati. Attualmente, il consumo abituale di prodotti biologici

interessa meno del 5% dei consumatori italiani. E’ da rilevare, tuttavia, che almeno un

consumatore su 3 ha acquistato almeno una volta un prodotto venduto con il marchio

biologico (ISMEA, 2004).

Negli anni ‘70 e ‘80, quando i primi prodotti biologici si sono affacciati sul

mercato interno, le motivazioni del loro acquisto erano sostanzialmente legate a

motivazioni etico-politiche ed, in particolare, alla salvaguardia dell’ambiente. I

consumatori, caratterizzati da una spiccata coscienza ecologica, richiedevano prodotti

ottenuti con processi produttivi a basso impatto ambientale, accettando di consumare,

sia prodotti allo stato fresco, quali frutta e verdura, esteticamente poco interessanti, sia

prodotti trasformati, soprattutto pasta, confezionati in modo essenziale. Il mercato,

comunque, era abbastanza limitato e di scarso interesse dal punto di vista economico.

Negli anni successivi, a seguito dell’emanazione del Reg. CEE 2092/91, i consumatori

hanno cominciato a mostrare maggiore attenzione non solo verso gli aspetti ambientali

ma anche verso quelli legati alla sicurezza alimentare. L’incremento del consumo di

prodotti biologici, registrato negli ultimi anni, che risulta riconducibile, almeno in parte,

alle particolari strategie commerciali operate dalla Grande Distribuzione Organizzata,

trova altre ragioni di sviluppo in determinati eventi che hanno contribuito ad

incrementare la crisi di alcuni settori commerciali. Basti pensare, ad esempio, ai casi di

BSE e di altre particolari patologie animali, che si sono verificati, negli ultimi anni, in

diversi Paesi ed ai numerosi scandali registrati, a più riprese, nel nostro Paese, inerenti

l’utilizzo di prodotti agroalimentari non idonei alla trasformazione e che hanno

comportato casi di alterazione microbiologica, o di presenza nell’alimento di parassiti

animali.

38

3.2.1 - Gli acquisti nazionali

In Italia (ISMEA, 2003), le preferenze, dei consumatori, circa l’acquisto dei

prodotti biologici seguono un andamento riconducibile a quanto riportato nella figura 4.

Facendo riferimento all’intero paniere considerato, emerge che i prodotti che

incidono per quasi i 2/3 sul totale rientrano, sostanzialmente, in quattro categorie e

sono: i prodotti lattiero-caseari che rappresentano più del 25%; i biscotti ed i dolci che,

insieme ai prodotti ortofrutticoli, incidono ciascuno per quasi il 14%; infine, le bevande

che fanno registrare un’incidenza del 10% circa. Seguono i consumi relativi alle uova,

con quasi il 7%, ai prodotti per l’infanzia ed alla pasta ed al riso, rispettivamente, con il

6 ed il 5%. Per quanto riguarda la quota relativa al consumo di condimenti (4,3), il peso

maggiore è determinato dai derivati del pomodoro; mentre, in riferimento agli oli

vegetali, il cui consumo raggiunge una quota di quasi il 4% sul totale nazionale, ruolo

fondamentale, rispetto alle diverse tipologie, viene assunto dall’olio di oliva.

Tra le voci riportate nel paniere, non compaiono la carne e i suoi derivati, i quali,

non avendo assunto una significativa importanza in termini di quota di mercato, sono

stati inseriti nella voce altri prodotti.

39

Figura 4-Principali prodotti bio acquistati

25,4

13,9 13,8

10,3

6,8 5,94,9 4,3 3,6 3,5 3,4

1,6 1,4 1,2

0

5

10

15

20

25

30

Latte

e d

eriv

ati

Bis

cotti

e d

olci

Fru

tta e

verd

ura

Bev

ande

Uov

a

Pro

dotti

per

l'inf

anzi

a

Pas

ta e

riso

Con

dim

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Oli

vege

tali

Zuc

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affè

Gel

ati e

surg

elat

i

Pro

dotti

diet

etic

i

Pan

e e

sost

ituti

Altr

i pro

dotti

Fonte: elaborazione su dati ISMEA–ACNielsen.

Nella tabella 8, viene riportato il valore complessivo della spesa destinata agli

acquisti dei prodotti alimentari a marchio biologico che, nel 2003, è stata stimata

intorno a 295 milioni di euro. Dall’analisi dei dati, emerge che l’incidenza percentuale

della spesa destinata all’acquisto di prodotti biologici, rispetto al totale della spesa

alimentare, per i prodotti monitorati durante l’indagine ISMEA, è risultata di appena

l’1,3%, anche se è possibile rilevare delle sensibili variazioni per alcune tipologie di

prodotto (Tab. 8). In particolare, per alcuni prodotti, quali uova, prodotti per l’infanzia e

prodotti dietetici, si registra una maggiore attenzione da parte del consumatore nello

scegliere prodotti corredati da un marchio di certificazione biologica, anche, perché si

tratta di alimenti particolarmente sensibili, sia sotto il profilo della sicurezza alimentare,

come per le uova, sia in riferimento al target di destinazione, nel caso degli altri due

gruppi. Nello specifico, per quanto riguarda il mercato delle uova, la quota destinata

all’acquisto di prodotti riconosciuti, mediante apposita etichetta, come biologici, è pari

al 7,6% del totale, mentre per i prodotti dietetici e per quelli destinati all’alimentazione

dell’infanzia, la quota di mercato si attesta, per ciascuno, ad un valore superiore al 5%

40

sul totale. Riflessione, per un certo senso, simile può essere fatta, anche, per i prodotti

ortofrutticoli, la cui quota di mercato, rispetto al totale, è pari al 2,2%.

Tabella 8 - Valore degli acquisti "bio" in Italia (2003) (*)

Spesa Prodotti

000 euro %

Quota bio/totale mercato

Frutta e verdura 40.6 13,8 2,1 Riso e pasta 14.4 4,9 0,7 Pane e sostituti 4.2 1,4 0,8 Oli vegetali 10.6 3,6 1,1 Latte e derivati 75.0 25,4 1,3 Biscotti e dolci 41.0 13,9 1,0 Bevande 30.4 10,3 1,2 Uova 20.0 6,8 7,6 Condimenti 12.7 4,3 1,4 Prodotti dietetici 4.7 1,6 5,0 Prodotti per l'infanzia 17.5 5,9 5,5 Zucchero, thè, caffè 10.4 3,5 0,8 Gelati e surgelati 10.0 3,4 0,5 Altri prodotti 3.5 1,2 0,2 Totale bio 295.0 100,0 1,2 (*) Fonte: elaborazioni su dati ISMEA-ACNielsen.

41

Dal punto di vista territoriale, si rileva che, i maggiori acquisti di prodotti a

marchio bio, si realizzano nelle aree settentrionali della penisola, ed in particolare nel

Nord Ovest, in cui si concentra circa il 40% del volume di affari (Fig. 5). Il Sud e le

Isole rappresentano soltanto l’11% del totale nazionale, in contrapposizione con il dato

relativo alla spesa alimentare complessiva, che vede, invece, le regioni meridionali al

primo posto negli acquisti.

Figura 5 - Distribuzione degli acquisti dei prodotti biologici per area geografica

Centro29%

Nord Est20%

Nord Ovest40%

Sud e Isole11%

Fonte: elaborazioni su dati ISMEA – ACNielsen.

42

3.2.2 - I canali distributivi dei prodotti biologici

La commercializzazione dei prodotti biologici, sul territorio nazionale (Fig. 6),

segue percorsi diversi a seconda delle dimensioni e della localizzazione dell’azienda di

produzione che si considera (ISMEA, 2003).

Figura 6 – Principali canali distributivi in relazione alle dimensioni aziendali (*)

(*)Fonte: elaborazione su dati ISMEA.

Cooperativa

Export

Grossista

Catering Industria

Piccola azienda di produzione

Media azienda di produzione

Grande azienda di produzione

Piccolo dettaglio

Consumatore

GDO

43

Relativamente alle aziende agricole biologiche di piccola dimensione, si nota

come queste mostrino una maggiore propensione per il canale di commercializzazione

corto; sono, cioè, più orientate verso la vendita diretta ai consumatori. E’da rilevare che

i punti di vendita diretta dei prodotti sono maggiormente localizzati nell’Italia

settentrionale e dal punto di vista strutturale, si tratta soprattutto di vendite in spacci

aziendali o su area pubblica, all’interno di mercati rionali. Le piccole aziende di

produzione forniscono, anche, i punti vendita specializzati; in questo caso, però, si tratta

di piccoli negozi al dettaglio, considerato che, la grande distribuzione, preferisce

rifornirsi presso i grossisti, semplificando, così, il loro percorso. Un’ulteriore sbocco per

le produzioni realizzate dalle piccole aziende è rappresentato dalle cooperative locali.

Le aziende di più piccole dimensioni, quindi, risultano più concentrate nei mercati locali

ed espletano attività mirate alla valorizzazione dei prodotti ottenuti, quali:

• agriturismo;

• vendita diretta anche di prodotti trasformati;

• rapporti diretti con i consumatori;

• rapporti diretti con i negozi specializzati più vicini;

• partecipazione a mercatini specializzati;

• conferimento a piattaforme di commercializzazione locali.

Le aziende di piccole dimensioni localizzate nelle aree meridionali si ritrovano in

una posizione di maggiore svantaggio, rispetto a quelle del Nord e a quelle del Centro,

a causa della minore presenza di punti vendita specializzati, di mercati e di

cooperative, oltre che per l’esigua presenza di consumatori effettivamente interessati

(ISMEA, 2003). Le aree del Centro, in particolare, oltre ad essere caratterizzate da un

certo numero di negozi specializzati, possono far leva su un discreto flusso di turismo

rurale e gastronomico, particolarmente pubblicizzato tramite l’organizzazione di

numerose fiere e mercati.

Le cooperative sono strutture commerciali che ricevono i prodotti anche dalle

aziende di medie dimensioni. Spesso provvedono al condizionamento, anche se,

l’interesse maggiore è quello di concentrare il prodotto già confezionato ed inviarlo

alla commercializzazione. I principali acquirenti della cooperativa vengono

riconosciuti nelle figure del dettagliante e del grossista.

44

Le aziende di media dimensione, grazie alla specializzazione produttiva e alla

meccanizzazione che le distingue, vengono riconosciute come strutture competitive

capaci di instaurare rapporti proficui con grossisti, industria ed imprese di

esportazione.

I grossisti, a loro volta, rappresentano le figure capaci di stabilire rapporti con il

dettaglio specializzato, il canale Horeca (hotel, ristorazione e catering), l’industria, la

GDO, e di provvedere all’esportazione dei prodotti.

Le aziende di grandi dimensioni, cercano di evitare il rapporto diretto con il

piccolo dettaglio. La finalità di tale scelta è quella di evitare le elevate spese che si

dovrebbero affrontare a causa della scarsa quantità di prodotto movimentato, di non

incorrere in difficoltà dal punto di vista della logistica e di non dover affrontare gli

oggettivi ostacoli ed i problemi amministrativi che si presenterebbero nel seguire

fornitori diffusi sul territorio nazionale. In questo caso, le grandi aziende mirano ad

instaurare rapporti con figure intermedie, quali l’industria, la GDO, l’Horeca e le

aziende che si occupano di esportazione. In tal modo, l’industria, nello specifico, può

fare riferimento ad ampi volumi di prodotti acquistati, riuscendo in tal modo, a far

fronte alle crescenti richieste di mercato; i grossisti, dal canto loro, stabilendo rapporti

di tipo continuo e non occasionali, possono rendere più agevole la programmazione e

la gestione dei loro affari commerciali.

La GDO rappresenta, attualmente, il principale canale di commercializzazione

attraverso il quale, negli ultimi anni, la domanda di prodotti biologici ha manifestato

una notevole crescita. Questo anche perché, gli operatori di questo tipo di canale

commerciale sono riusciti ad identificare alcuni fattori fondamentali per lo sviluppo

del settore. Innanzitutto, sono riusciti a far conoscere i prodotti biologici ai

consumatori, garantendo, per i prodotti di largo consumo, caratteristiche di qualità

organolettiche, igienico–sanitarie e merceologiche uniformi e continue nel tempo.

Inoltre, gli operatori commerciali della GDO, hanno trovato una corretta rispondenza

nel rapporto qualità/prezzo per i diversi prodotti biologici commercializzati.

Il canale Horeca, indicato nella figura 6, comprende la ristorazione collettiva ed in

misura minore quella ospedaliera. Nonostante la legge 488/1999, preveda l’utilizzo

45

quotidiano di prodotti biologici nei menù delle mense scolastiche ed ospedaliere, sono

ancora poche le Amministrazioni locali che ne hanno avviato l’effettivo inserimento.

Infine, rimangono da considerare i negozi specializzati, che risultano

prevalentemente collocati nelle regioni del Nord e Centro Italia. Si tratta di canali

commerciali i cui punti di forza si concretizzano nell’ampia gamma di assortimento; in

una maggiore competenza specifica; nel rapporto più diretto con il consumatore. Inoltre,

per alcuni consumatori, la riduzione del quantitativo di imballaggio, rappresenta un

elemento di ulteriore pregio, come conferma il fatto che, la maggior parte di prodotti

ortofrutticoli, vengono venduti non confezionati. Contemporaneamente però, lo stesso

elemento diventa uno dei punti critici del settore specializzato; infatti, la maggior parte

dei negozi considerati, pur essendo dei preparatori riconosciuti ai sensi del Regolamento

CEE 2092/91, non sono inseriti nel sistema di controllo.

46

4. CONSISTENZA DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA IN SICILIA

Nel panorama generale, caratterizzato da una significativa crisi del settore agricolo

ed alimentare, è stato posto come obiettivo fondamentale quello di ricercare alternative

oggettivamente attuabili, sia in riferimento ai modelli produttivi, sia in relazione ai

modelli di scelta alimentare. I consumatori più consapevoli orientano le proprie scelte

verso prodotti alimentari che soddisfino determinate caratteristiche qualitative,

riassumibili in:

• sicurezza alimentare, dimostrata dal fatto che vengono richiesti prodotti

alimentari sicuri dal punto di vista nutrizionale ed igienico–sanitario.

• sostenibilità ambientale. Si ricercano, infatti, prodotti alimentari ottenuti

mediante l’utilizzo di risorse locali e rinnovabili; si mira al mantenimento della fertilità

del suolo, all’uso di prodotti e procedimenti naturali, al mantenimento della diversità

biologica, al rispetto delle condizioni di vita degli animali allevati.

A tutto questo va aggiunto la maggiore attenzione manifestata verso altri aspetti

economici, sociali ed etici legati alla produzione che sempre più è chiamata a rispondere

anche in termini di tipicità, trasparenza e rintracciabilità.

In un’economia fortemente globalizzata e basata sulla concorrenza dei prezzi e

sugli strumenti pubblicitari, si apre, dunque, uno spiraglio per un modello di sviluppo

sostenibile. La sostenibilità non va vista solo da un punto di vista tecnico, legato alla

gestione economica delle produzioni, ma come modello di sviluppo capace di portare

importanti cambiamenti socio–economici e di garantire una significativa rivalutazione

di molti prodotti.

In questo particolare contesto, il modello dell’agricoltura biologica rappresenta

l’approccio migliore all’agricoltura sostenibile. Un approccio di tipo settoriale, oggi,

non è più sufficiente; è necessario, pertanto, avviare una campagna di promozione per la

sostenibilità su scala più vasta, allo scopo di raggiungere la maggior parte degli

operatori agricoli.

47

Non si tratta, dunque, di allargare una nicchia di produttori e di consumatori

rispetto a quella convenzionale, ma di avviare un processo di riconversione dell’attuale

modello di produzione e di consumo alimentare.

La crescente richiesta di qualità da parte del consumatore, rappresenta

un’opportunità da non perdere per lo sviluppo economico nazionale ed, in particolare,

regionale.

In Sicilia il metodo di produzione biologica, negli anni, ha manifestato un discreto

sviluppo, ma potrebbe continuare a crescere, se solo venissero sfruttate, in modo

adeguato, le opportunità offerte dal territorio regionale. Da sempre la Sicilia si distingue

per determinate realtà che possiamo identificare in:

• Condizioni pedo-climatiche particolarmente favorevoli per l’ottenimento

di produzioni con elevate caratteristiche qualitative, senza ricorrere all’utilizzo di imput

esterni per quanto riguarda la difesa delle colture dalle avversità ambientali e dagli

attacchi parassitari.

• Presenza di un patrimonio zootecnico di pregio, fortemente adattato alle

condizioni ambientali e, quindi, in grado di valorizzare le aree marginali.

• Valenza paesaggistica ed elementi di naturalità tali da garantire

prospettive di sviluppo per attività quali agriturismo, attraverso i quali integrare il

reddito delle aziende agricole biologiche.

• Ricchezza di tradizioni produttive locali dovute alla presenza, sull’isola,

di un tessuto socio-economico ancora vitale in alcune zone rurali fortemente vocate per

la realizzazione di produzioni tipiche con spiccate caratteristiche di genuinità.

• Grandi potenzialità del turismo regionale che può generare un incremento

della domanda delle produzioni ad elevati standard qualitativi.

• Presenza di giovani imprenditori sensibili ai temi di sostenibilità

ambientale, ma capaci anche di presentare delle innovazioni.

• Maggiore sensibilità della popolazione agli aspetti ambientali ed alla

fruizione del territorio.

48

4.1 - La consistenza dell’agricoltura biologica in Sicilia

Nel corso degli ultimi anni, l’agricoltura biologica siciliana ha avuto un

andamento che riflette per linee generali quello che si è registrato a livello nazionale.

Sulla scorta dei dati riportati nella tabella 9, emerge che, nel triennio considerato, il

2001 può essere valutato come l’anno di vero e proprio boom per lo sviluppo

dell’agricoltura biologica dell’isola. Durante tale anno, infatti, si contavano oltre 12

mila aziende che ricoprivano una superficie di circa 207 mila ettari. Negli anni

successivi al 2001 si è osservata un’inversione di tendenza; infatti, nel periodo

considerato, è stato registrato un decremento sia del numero di aziende, che della

superficie investita pari, rispettivamente, al 32 e al 9%.

Tabella 9 - Evoluzione del numero di aziende e delle

superfici biologiche in Sicilia (*)

Indicazioni 2001 2002

2003

Aziende (n) 12.355 9.722 8.410 100 79 68

Superficie (ha) 207.287 206.102 188.380 100 99 91 (*) Fonte: dati forniti dall'Assessorato Agricoltura e Foreste.

Anche in questo caso, così come si è verificato nel resto d’Italia, la riduzione del

numero di operatori agricoli biologici e delle superfici investite, sembra legata alla

diminuzione degli investimenti disponibili, messi a disposizione dalla nuova normativa

49

europea adottata a livello regionale, che ha, oramai, abrogato il Reg. CEE 2078/92 in

materia di finanziamenti.

Analizzando i dati contenuti nella tabella 10, è possibile fare delle considerazioni

in riferimento ai comparti produttivi maggiormente interessati al metodo di coltivazione

biologico.

Nel complesso, si può facilmente notare che, nel triennio considerato, si è

registrato un significativo incremento, pari al 17%, della superficie destinata alle

coltivazioni agricole biologiche, che è passata da circa 144 mila ettari nel 2001 a quasi

169 mila ettari nel 2003.

50

Tabella 10 - Evoluzione delle superfici coltivate con il metodo biologico in

Sicilia per orientamento produttivo (*)

2001

2003 Orientamento produttivo

ha % ha %

Cerealicolo 27.952 19,4 29.656 17,6 100 106 Orticolo 1.494 1,0 6.558 3,9 100 439 Frutticolo ed agrumicolo 22.809 15,8 19.369 11,5 100 89

Viticolo 14.837 10,3 14.278 8,5 100 96

Olivicolo 11.593 8,0 8.395 5,0 100 72

Floro-vivaistico 294 0,2 1.210 0,7 100 411

Colture industriali 2.258 1,6 171 0,1 100 7

Foraggero 49.961 34,6 36.338 21,6 100 73 Foraggero-zootecnico 977 0,7 9.215 5,5 100 943

Altro 12.235 8,5 43.270 25,7 100 354

Totale 144.410 100,0 168.460 100,0 100 117 (*) Fonte: nostre elaborazioni su dati BIO BANK.

51

Sulla base dei dati a nostra disposizione emerge che, tra le colture annuali, spicca

il dato relativo al comparto cerealicolo, che, con quasi 30 mila ettari, ricopre il 17,6%

dell’intera superficie regionale. Fra le colture arboree, invece, riveste un ruolo di

particolare rilievo l’orientamento frutticolo ed agrumicolo, con un’incidenza relativa del

11,5%, seguito da quello viticolo ed olivicolo, che interessano, rispettivamente, circa 14

ed 8 mila ettari, incidendo con l’8,5 ed il 5% sul totale dell’isola. Significativo è il dato

relativo al comparto foraggero, che incide per quasi il 22% sul totale della superficie ed

ancora di più il dato riferito al comparto foraggero–zootecnico, la cui evoluzione, nel

corso degli anni considerati, è stata caratterizzata da un trend fortemente esponenziale,

anche in conseguenza dell’entrata in vigore della regolamentazione comunitaria relativa

alle produzioni zootecniche biologiche. Tra i comparti considerati, l’unico a subire una

contrazione di oltre il 90% è quello relativo alle colture industriali, la cui incidenza sul

totale regionale, già significativamente bassa, durante il periodo considerato, ha assunto

un valore quasi nullo. Di contro il comparto floro-vivaistico che, nel 2001, ricopriva

soltanto quasi 300 ettari del territorio regionale, nel 2003 raggiunge un’estensione

superficiale di circa 1,2 mila ettari, portando, così, la propria aliquota relativa ad

un’incidenza di quasi l’1%.

Con riferimento alla Superficie Agricola Utilizzabile (SAU) delle aziende agricole

biologiche siciliane, emerge la maggiore diffusione delle aziende con un’ampia

estensione superficiale (Tab. 11). In particolare incidono con quasi il 45%, le tipologie

aziendali che presentano una superficie compresa tra i 50 ettari fino ad ampiezze

superiori ai 100 ettari, per una superficie complessiva di circa 40 mila ettari. Seguono le

aziende con un’estensione compresa tra 10 e 50 ettari, che rappresentano quasi il 40%

del totale regionale e le aziende la cui classe di ampiezza risulta compresa tra 5 e 10

ettari, con una quota di circa l’8%. Poco rappresentate, infine, risultano le aziende la cui

estensione superficiale è inferiore ai 2 ettari e quelle che appartengono alla classe

compresa tra 2 e 5 ettari, che rappresentano rispettivamente il 2 ed il 5% del totale

regionale.

Per quanto riguarda il numero di aziende presenti nel territorio siciliano e

differenziate per classi di SAU, i dati disponibili appaiono sostanzialmente opposti

rispetto a quanto osservato precedentemente (Tab. 11). Dall’analisi dei dati riportati

52

nella stessa tabella, emerge che le aziende maggiormente presenti nel territorio, in

termini numerici, sono quelle la cui estensione superficiale non raggiunge i 2 ettari;

queste, infatti, incidono sul totale con un’aliquota di oltre il 31%. Seguono le aziende

con una superficie compresa tra i 2 ed i 5 ettari (21%) e, quindi, con un’incidenza pari a

poco meno del 29%, le aziende che hanno un’ampiezza superficiale compresa tra i 5 e i

20 ettari. L’incidenza delle aziende con estensioni maggiori decresce passando dalle

classi comprese tra i 20 e i 30 ettari e tra i 30 e i 50 ettari, che incidono ciascuna per il

6%, fino ad arrivare alla classe con estensione superficiale superiore ai 100 ettari; in

quest’ultimo caso, il numero totale di aziende appartenenti alla classe, è di 129 unità,

che rappresentano appena il 2% del totale regionale.

L’analisi dei dati contenuti nella tabella, conferma, ancora una volta, la forte

frammentazione delle aziende agricole siciliane, dovuta alla significativa presenza di

aziende di piccole dimensioni.

53

Tabella 11 - Superfici e numero di aziende biologiche per classe di SAU

in Sicilia (*)

Classi di SAU Aziende Superficie

(ha) n % ha %

< 2 1.940 31,5 1.730 2,0

2,00 - 4,99 1.299 21,1 4.215 5,0

5,00 - 9,99 966 15,7 6.684 7,9

10,00 - 19,99 807 13,1 11.134 13,1

20,00 - 29,99 362 6,0 8.714 10,3

30,00 - 49,99 370 6,0 14.062 16,6

50,00 - 99,99 278 4,5 18.371 21,7

> 100,00 129 2,1 19.813 23,4

Sicilia 6.151 100,0 84.772 100,0 (*) Fonte:ISTAT, V° Censimento Generale dell'Agricoltura, Roma 2000.

54

L’emanazione e l’applicazione di una normativa comunitaria specifica per le

produzioni animali, ha rappresentato un’importante tappa per il settore zootecnico, in

quanto ha fornito maggiori garanzie per gli allevatori che decidono di attuare un

allevamento seguendo il metodo biologico, come valida alternativa di sviluppo e,

quindi, di maggiore competitività.

In Sicilia, come nel resto d’Italia, la filiera zootecnica biologica, ha mostrato

interessanti dinamiche di crescita, sia in relazione al numero degli operatori coinvolti,

sia per quanto riguarda le superfici agricole convertite dal convenzionale.

La zootecnia biologica è una realtà recente, per cui, specie a livello regionale, non

si dispone di dati particolarmente specifici e dettagliati. I dati di cui disponiamo sono

quelli forniti da BIO BANK e contenuti nella tabella 12.

Dall’analisi dei suddetti dati emerge che, nei tre anni considerati, il numero di

aziende zootecniche biologiche ha registrato un forte incremento, passando da 343

aziende nel 2001 ad oltre 1.200 nel 2003, con un aumento di oltre il 250%. Nel corso

del triennio preso in considerazione, le aziende zootecniche da carne hanno confermato

il loro primato regionale, con una quota del 73% sul totale; seguono le aziende miste

con quasi il 16%. La zootecnia da carne rappresenta, infatti, un comparto di grande

interesse per gli operatori, in quanto consente di realizzare processi di valorizzazione

delle razze autoctone. Il dato in assoluto più significativo è, comunque, quello relativo

alle aziende zootecniche da latte; queste ultime, infatti, nonostante mantengano il terzo

posto nelle scelte degli allevatori, con poco più dell’11% sul totale, hanno mostrato,

rispetto alle altre due categorie considerate, l’incremento più importante. Il fenomeno

che con gli anni si sta via via sviluppando viene, principalmente giustificato, dal fatto

che, il mercato del latte e dei prodotti lattiero–caseari, rappresenta uno dei mercati in cui

i prodotti biologici si sono facilmente e velocemente diffusi e dove le possibilità di

crescita sono abbastanza interessanti.

55

Tabella 12 - Evoluzione del numero delle aziende zootecniche biologiche in Sicilia per indirizzo

produttivo (*)

2001

2002

2003 Indirizzo produttivo

n % n % n %

Da latte 3 0,9 142 9,8 141 11,2 100 4.767 4.700 Da carne 299 87,2 490 33,8 921 73,0 100 164 308 Miste 41 11,9 819 56,4 199 15,8 100 1.997 485

Totale 343 100,0 1.451 100,0 1.261 100,0 100 423 368

(*) Fonte: nostre elaborazioni su dati BIO BANK.

56

Per quanto riguarda l’analisi realizzata considerando le classi di Superficie

Agricola Utilizzabile, dai dati contenuti nella tabella 13, si conferma per grosse linee

quanto evidenziato, precedentemente, per le aziende agricole biologiche. Anche in

questo caso, infatti, si evidenzia una maggiore diffusione di aziende con elevata

estensione superficiale. Primeggiano, infatti, con oltre il 37% del totale, le aziende con

classi di ampiezza superiore ai 100 ettari; seguono le due classi di ampiezza

immediatamente precedenti e, cioè, quella con superficie compresa tra i 50 e i 100 ettari

e la classe compresa tra i 30 e i 50 ettari che rappresentano, rispettivamente, il 24 ed il

18%. Relativamente importanti sono le aziende zootecniche con estensione superficiale

compresa tra i 10 e i 20 ettari e tra i 20 e i 30 ettari; ciascuna registra una quota di

incidenza dell’8%. Infine, poco rilevante appare il contributo delle classi di ampiezza tra

i 2 e i 10 ettari, con poco più del 3% e quella inferiore ai 2 ettari, con solo lo 0,7%, sul

totale siciliano.

Anche i questo caso, relativamente al numero delle aziende presenti sul territorio,

in relazione alla SAU, sulla base dei dati a nostra disposizione, bisogna fare

considerazioni opposte alle precedenti. Maggiormente diffuse sono, infatti le aziende di

piccole dimensioni, con estensione inferiore ai due ettari. Seguono le aziende di

dimensioni medio–grandi, cioè quelle che si estendono dai 10 ai 20 ettari (15,3%), e

quelle che appartengono alla classe compresa tra i 30 e i 50 ettari (13%). Per tutte le

altre classi di ampiezza considerate, vi è una distribuzione pressoché costante, tra il 9 e

il 9,5%, eccetto che per la classe superiore ai 100 ettari che, con una quota di quasi il

6%, costituisce quella meno rappresentativa.

Anche per le aziende zootecniche biologiche, dunque, si rileva, anche se in modo

meno evidente rispetto alle aziende agricole, una certa frammentazione, dovuta alla

distribuzione di molte piccole aziende di modeste dimensioni.

57

Tabella 13 - Superfici ed aziende zootecniche biologiche per classe di SAU

in Sicilia (*)

Classi di SAU Aziende Superficie

ha n % ha %

< 2 95 29,1 61 0,7

2,00 - 4,99 31 9,5 97 1,1

5,00 - 9,99 29 8,9 194 2,2

10,00 - 19,99 50 15,3 688 8,0

20,00 - 29,99 30 9,2 709 8,1

30,00 - 49,99 42 13,0 1.529 18,1

50,00 - 99,99 30 9,2 2.109 24,2

> 100,00 19 5,8 3.280 37,6

Totale 326 100,0 8.719 100,0 (*) Fonte:ISTAT, V° Censimento Generale dell'Agricoltura, Roma 2000.

E’ auspicabile che il sistema zootecnico biologico non rimanga espressione di

un’economia locale incentrata, esclusivamente, sulla trasformazione e sulla

commercializzazione di prodotti tipici e sul turismo rurale, ma possa diventare un

elemento di importanza economica ed occupazionale sempre maggiore, in tutta l’isola,

ed in particolare in quelle aree rurali che fanno della zootecnia la loro principale fonte di

sviluppo.

58

4.2 - L’applicazione delle misure agro – ambientali in Sicilia

La precedente programmazione comunitaria, attuata mediante l’applicazione del

Regolamento CEE 2078/92 che prevedeva l’adozione di misure agroambientali, per il

periodo compreso tra il 1993 al 1998, ha stimolato una crescente diffusione dei sistemi

di coltivazione correlati all’agricoltura ecocompatibile sulla nostra Isola, ed una

maggiore attenzione, da parte degli operatori agricoli, agli aspetti legati alla

salvaguardia dell’ambiente. Nei cinque anni compresi tra il 1994 e il 1998, il

programma agroambientale ha incontrato un favorevole riscontro, certamente superiore

alle aspettative. Le superfici interessate, infatti, durante tale intervallo di tempo, erano

pari a 222 mila ettari, mentre il numero delle aziende agricole ammontava a circa 35

mila unità, con un finanziamento complessivo di circa 585 miliardi di lire. Le misure

contenute nel Piano di Sviluppo Rurale (PSR, 1994-1999) della regione Sicilia,

maggiormente utilizzate sono risultate quelle relative alla riduzione dei fitofarmaci (A1)

e quelle inerenti l’agricoltura biologica (A2) che, nel complesso, hanno interessato oltre

il 70% della superficie utilizzata e dei finanziamenti erogati. In particolare, la misura A1

ha riguardato una superficie di quasi 63 mila ettari ed oltre 15 mila agricoltori, mentre la

misura A2 è stata attuata su circa 88 mila ettari da oltre 7 mila operatori.

Le valutazioni finali sull’applicazione del suddetto regolamento hanno, comunque,

reso opportuni alcuni interventi correttivi, recepiti e quindi applicati nella

predisposizione delle azioni previste dal nuovo PSR. Nello specifico, è stata confermata

l’utilità degli interventi in materia di agricoltura biologica, conversione dei seminativi,

mantenimento delle produzioni estensive ed allevamento di razze locali in pericolo di

estinzione. Inoltre, in base ai risultati conseguiti, sono state eliminate alcune misure

ritenute non riproponibili.

Una prima modificazione apportata al precedente regolamento, è quella relativa

alla zonizzazione delle misure previste dal PSR, che nasce dalla constatazione di una

differenziazione dei fabbisogni d’intervento, dovuta alle specifiche caratteristiche delle

aree rurali siciliane. La situazione attuale dell’isola viene caratterizza da differenti livelli

di sviluppo e di problematiche ambientali; riuscire ad individuare le aree in cui

59

applicare le singole azioni, diventa una condizione necessaria per una corretta

interpretazione dei criteri che distinguono le diverse misure considerate.

L’attuazione del PSR, porta con sé una serie di riflessi di tipo economico, sociale

ed ambientale, non sempre facili da quantificare. In genere, tutte le misure previste dal

piano hanno manifestato un’incidenza positiva dal punto di vista occupazionale.

Comunque, per poter valutare correttamente gli effetti ottenuti, bisogna tenere

sempre in considerazione l’obiettivo globale del PSR, che si propone di incrementare la

competitività delle aree rurali, in un contesto di sviluppo intersettoriale compatibile con

la tutela e la salvaguardia del territorio, del paesaggio e dell’agroecosistema.

La validità del PSR è stata prevista per sette anni, dal 2000 al 2006, in coerenza

con quanto stabilito a livello comunitario.

Al fine di attuare il regime di aiuti previsto dal Reg. CE 1257/99, il PSR risulta

articolato nelle seguenti quattro misure:

• Misura F “Agroambiente”;

• Misura E “Zone svantaggiate”;

• Misura H “Imboschimento delle superfici agricole”;

• Misura D “Prepensionamento”.

Le suddette misure, a loro volta, si articolano in azioni che perseguono degli

specifici obiettivi operativi.

La misura F ha come obiettivo generale quello di diffondere metodi di produzione

agricola e di gestione dei terreni compatibili con la tutela dell’ambiente e del suolo,

salvaguardando la redditività dell’impresa. Gli obiettivi specifici sono quattro e si

riconducono in:

• F1: introduzione e mantenimento di metodi di produzione a basso impatto

ambientale, anche in funzione della valorizzazione commerciale delle produzioni

ottenute;

• F2: difesa e tutela del territorio regionale dai fenomeni di dissesto, erosione,

dagli incendi e gestione di sistemi foraggeri estensivi;

• F3: ricostruzione e mantenimento del paesaggio agrario tradizionale in aree

sensibili;

• F4: incremento e salvaguardia della biodiversità.

60

Con la misura E gli obiettivi che si vogliono raggiungere sono quelli di frenare

l’esodo rurale, favorendo e garantendo attraverso un uso regolare delle superfici

agricole, il mantenimento di una comunità rurale vitale; conservare lo spazio naturale e

mantenere e promuovere sistemi di produzione agricola sostenibili.

La misura H ha come obiettivo generale quello di incentivare l’imboscamento

delle superfici agricole, allo scopo di diversificare l’orientamento produttivo aziendale e

di ridurre i fenomeni di dissesto idrogeologico. Gli obiettivi specifici della misura sono

riassumibili in:

• H1: imboschimento di terreni agricoli con finalità produttiva;

• H2: creazione di popolamenti forestali naturali stabili.

La misura D, infine, persegue l’obiettivo di favorire il ricambio generazionale

nelle aziende agricole ed assicurare un reddito agli imprenditori anziani che cessano

l’attività.

L’obiettivo globale del piano e gli obiettivi specifici delle misure sono stati fissati

in coerenza con gli orientamenti della nuova Politica Agricola Comunitaria (PAC),

puntando sullo sviluppo rurale e sulla sostenibilità dell’attività produttiva agricola. In

particolare, i riflessi positivi attesi, riguarderanno i seguenti aspetti:

• consolidamento e rafforzamento della diffusione dei metodi produttivi a basso

impatto ambientale;

• prevenzione e riduzione dell’abbandono dei terreni, dissesto ed erosione dei

suoli;

• incremento delle superfici forestali in sostituzione di terreni agricoli;

• miglioramento del paesaggio agrario ed incremento della biodiversità;

• incentivazione del ricambio generazionale in agricoltura.

Dall’esame del piano finanziario distinto per misura, riportato nella tabella 14, è

possibile riportare alcune considerazioni.

La copertura finanziaria complessiva disponibile è di 558,8 milioni di euro; di

questa somma 419 milioni di euro provengono da contributi comunitari, mentre la

restante parte è a carico dello Stato. Va evidenziato che, circa 436 milioni di euro sono

destinati alla spesa obbligatoria da destinare al pagamento degli impegni che fanno capo

alla precedente programmazione (regolamenti 2078/92, 2079/92, 2080/92), ne

61

consegue, dunque, che, per la nuova programmazione, la disponibilità residua viene

notevolmente ridotta, ad un valore di circa 122 milioni di euro. Da quanto

precedentemente esposto, si può osservare che la misura che incide maggiormente,

assorbendo oltre il 73% della spesa totale del PSR, è la misura F. Quanto affermato

viene giustificato dalla rilevanza strategica che assumono gli obiettivi specifici della

stessa misura. Fra le azioni contenute nella misura agroambientale, particolare rilevanza

assume quella relativa all’agricoltura e alla zootecnia biologica, i cui obiettivi operativi

rivestono una notevole importanza per lo sviluppo delle aree rurali dell’isola. L’azione,

infatti, assorbe quasi il 42% della copertura finanziaria della misura. Una quota

altrettanto importante, pari al 49% sul totale della misura, è stata attribuita al

finanziamento delle azioni F2, F3, F4, allo scopo di intervenire efficacemente sulle

emergenze relative ai fenomeni di erosione e dissesto delle aree maggiormente a rischio;

tali fenomeni, infatti, costituiscono uno dei principali fattori di rischio agroambientali.

Per quanto riguarda le altre misure, quella relativa al settore forestale, incide per quasi il

25% sulla spesa totale del PSR, mentre le azioni relative al prepensionamento assorbono

soltanto l’1% delle risorse disponibili.

Considerate le limitate risorse finanziarie disponibili per le nuova

programmazione, sia a livello comunitario, che nazionale, assorbite principalmente per

il soddisfacimento degli impegni assunti con la precedente programmazione, la Regione

ha predisposto dei finanziamenti aggiuntivi, utilizzando le proprie risorse iscritte nel

bilancio di spesa, allo scopo di garantire una copertura finanziaria superiore rispetto a

quella assegnata con delibera CIPE n. 225/99 del 21/12/1999.

La dotazione finanziaria regionale aggiuntiva avrà un importo massimo di 154,94

milioni di euro, suddiviso così come riportato nella tabella 15.

62

Tabella 14 – Risorse finanziarie disponibili per le Misure contenute nel PSR Sicilia (*)

Totale Misura

Costo a carico

FEOGA (M. euro)

Costo a carico dello

Stato (M. euro)

M. euro %

F-Agroambiente 307,2 102,4 409,6 73,3

E-Zone Svantaggiate 3,8 1,3 5,1 0,9

H-Imboschimento delle superfici agricole 103,8 34,6 138,4 24,8

D-Prepensionamento 4,3 1,4 5,7 1,0

Totale 419,1 139,6 558,8 100,0 (*) Fonte: PSR 2000 – 2006, Regione Siciliana.

63

Tabella 15 - Aiuti regionali aggiuntivi per Misura (2000-2006) (*)

Misura

Costo annuale (M. euro)

Costo totale

(M. euro)

F - Agroambiente 13,3 80,0

E - Zone Svantaggiate 8,7 52,0

H - Imboschimento delle superfici agricole 3,5 21,0

D - Prepensionamento 0,3 1,9

Totale 25,8 154,9 (*) Fonte: PSR 2000 – 2006, Regione Siciliana.

Una particolarità della nuova programmazione è data dalla suddivisione in zone

del territorio, grazie alla quale viene favorita una corretta distribuzione delle risorse, allo

scopo di raggiungere gli obiettivi specifici della misura a cui le singole azioni da

applicare si riferiscono.

In particolare, fra le aree d’intervento considerate per l’applicazione delle singole

azioni e/o ai fini dell’individuazione delle priorità d’intervento rientrano:

• i bacini imbriferi di fiumi con significativa concentrazione di nitrati;

• i territori con elevata intensità colturale;

• le aree ad elevata vulnerabilità ai sensi della Direttiva 91/676;

• i parchi, le riserve naturali istituiti secondo la normativa regionale vigente;

• le oasi di protezione e rifugio della fauna selvatica di cui alla L.R. n. 37/81;

• i siti d’importanza comunitaria individuati ai sensi della Direttiva 43/92;

• le zone di protezione speciale (ZPS) individuate ai sensi della Direttiva 79/409

“Uccelli”;

64

• i territori compresi nella rete ecologica prevista dall’asse I del POR Sicilia;

• i terreni sottoposti a vincoli idrogeologici e/o paesaggistici;

• la cartografia tematica riguardante le colture ad elevata valenza paesaggistica;

• le aree di rispetto di corsi d’acqua, pozzi, sorgenti e bacini artificiali.

L’azione Fb1, della misura F (Agroambiente) contenuta nel PSR, è attuabile su

tutto il territorio regionale. L’applicazione diffusa dell’agricoltura e della zootecnia

biologica, viene, infatti, considerata come un’azione di miglioramento degli

agroecosistemi, comportando, in maniera effettiva, una riduzione dell’impatto

ambientale dell’attività agricola. In ogni caso, si è voluto attivare un regime di aiuto

differenziato per aree, ponendo maggiore attenzione alle zone più vulnerabili dal punto

di vista ambientale.

L’applicazione dei metodi di coltivazione e di allevamento biologici, mira al

conseguimento di determinati obiettivi che si riflettono, positivamente, sull’ambiente e

sugli operatori. Gli obiettivi che si intendono raggiungere possono essere riassunti nelle

seguenti azioni:

• ristabilimento progressivo dell’equilibrio biologico, con particolare attenzione

all’entomofauna e alla fauna selvatica;

• aumento della sostanza organica nel terreno;

• salvaguardia della salute degli operatori e dei consumatori.

Oltre a ridurre l’impatto ambientale che i metodi di produzione e di allevamento,

spesso, comportano, l’azione è finalizzata alla valorizzazione delle produzioni

biologiche regionali, che a tutt’oggi non risultano orientate al mercato. E’ il caso delle

colture foraggere che potranno avere, in tal modo, uno specifico riconoscimento dovuto

alla certificazione, soprattutto in seguito all’applicazione del Reg. 1804/99. In tal modo,

è auspicabile che la zootecnia biologica, possa assumere particolare rilievo nelle aree

interne collinari dell’isola, dove l’allevamento brado o semibrado di razze autoctone è

oramai consolidato, essendo parte integrante della cultura rurale di tali territori (PSR

Sicilia).

La possibilità, dunque, di valorizzare le produzioni tradizionali provenienti dagli

allevamenti estensivi, attraverso un processo biologico riconosciuto a livello europeo,

65

può rappresentare un’importante leva strategica per lo sviluppo dell’agricoltura

regionale.

L’adesione a questa azione, che deve essere applicata all’intera superficie agricola

utilizzata (al momento della sottoscrizione all’impegno) e su tutte le colture presenti,

comporta l’obbligo del rispetto delle prescrizioni stabilite dal Reg. 2092/91 e successive

modifiche. Nel caso di aziende in cui è prevista la presenza di animali da allevamento,

diventa obbligatoria anche la sottoscrizione dell’impegno riferita all’attività zootecnica,

nel rispetto del Reg. CE 1804/99.

Per quanto riguarda le aziende agricole, la distribuzione degli elementi

fertilizzanti deve essere realizzata attraverso un piano di concimazione e di gestione del

suolo, predisposto in base all’analisi su di un campione di terreno effettuata, a spese del

beneficiario, durante il primo anno di impegno e poi ripetuta all’ultimo anno, allo scopo

di valutare l’evoluzione del tenore di sostanza organica. La gestione del suolo va

realizzata attraverso l’adozione di tecniche di lavorazione che riducano i fenomeni

erosivi, rispettando le condizioni pedoclimatiche ed orografiche dell’azienda.

L’azione può essere associata, in modo facoltativo, all’azione F4b “Allevamento

di specie animali locali in pericolo di estinzione”, sempre rispettando i massimali

previsti dal Reg. CE 1257/99.

Nella tabella 16 sono riportati i livelli di aiuto massimali per ettaro e per coltura

previsti dal regolamento comunitario 1257/99.

66

Tabella 16 - Livelli di aiuto (euro/ha/anno) AREA DI APPLICAZIONE

COLTURE ORDINARIA Premio

PREFERENZIALE Premio

COLTURE NON IN PRODUZIONE

Premio

Grano duro 300 350 - Altri cereali 280 310 - Cereali con allevamento zootecnico biologico da 1 a 2 UBA escluso grano duro 500 540 - Leguminose da granella, veccia, trifoglio, lupinella ed altre foraggere avvicendate 180 200 - Veccia, trifoglio, lupinella ed altre foraggere avvicendate con allevamento zootecnico biologico da 1 a 2 UBA 450 500 -

Leguminose da granella con allevamento zootecnico biologico da 1 a 2 UBA 550 590 - Cereali, legunimose da granella, veccia, trifoglio, lupinella, ed altre foraggere avvicendate con allevamento zootecnico biologico in associazione all’azione F4b 600 600 -

Ortive 550 600 -

ANNUALI

Aromatiche ed officinali annuali 500 550 - Agrumi 850 900 160 Olivo 750 800 160 Fruttiferi 750 800 160 Pistacchio 750 800 160 Mandorlo, nocciolo, e carrubo 480 500 160

PERENNI SPECIALIZZATE

Vite da vino e cappero 600 650 160

PERENNI NON SPECIALIZZATE 400 450 -

AROMATICHE ED OFFICINALI pluriennali 450 450 -

FORAGGERE NON ANNUALI 180 200 - PASCOLI NATURALI E FORAGGERE NON ANNUALI con allevamento zootecnico biologico da 1 a 2 UBA 350 385 -

PASCOLI NATURALI E FORAGGERE NON ANNUALI con allevamento zootecnico biologico in associazione all’azione F4b 450 450 -

(*) Fonte: elaborazione su dati forniti dall’Assessorato Agricoltura e Foreste.

67

In riferimento alla tabella precedentemente esposta, è opportuno fare alcune

precisazioni. In particolare, per quanto riguarda le colture perenni, si intende soddisfatto

il requisito della specializzazione solo quando, la destinazione del terreno viene rivolta

esclusivamente ad un’unica specie; è, comunque, ammessa una particolare deroga

qualora la presenza di altre colture perenni non superi il 10% della superficie

assoggettata all’impegno. Per tali quote, viene corrisposto lo stesso livello di aiuto dato

per la coltura specializzata.

Nelle tabelle 17, 18 e 19 vengono riportate i dati riferiti al triennio 2001-2003

sugli importi versati in relazione agli ettari utilizzati ed alla tipologia colturale, distinti

in relazione alle colture ordinarie e preferenziali; in quest’ultimo caso, il premio

stabilito è leggermente superiore rispetto alle colture ordinarie.

Nel corso del triennio considerato, gli importi versati si sono progressivamente

ridotti, passando da circa 6 milioni a poco più di 3 milioni di euro, per le colture

biologiche preferenziali e da quasi 11 milioni a circa 7 milioni di euro per le colture

ordinarie, mostrando un calo del 43% nel primo caso e del 34% nel secondo caso.

Tutto ciò deriva dalla riduzione del numero di domande presentate e dalle

superfici destinate alle produzioni di tipo biologico, come si può dedurre dai dati

riportati nelle stesse tabelle. Le domande di integrazione presentate per le colture

biologiche preferenziali, infatti, hanno subito una riduzione del 38%, rispetto al 2001,

mentre per le colture biologiche ordinarie la contrazione registrata è stata del 33%.

Stessa osservazione può essere fatta per le superfici investite a coltivazioni biologiche,

sia preferenziali, che ordinarie. Nel primo caso, infatti, la riduzione delle superfici

registrata è stata del 44%, mentre nel caso delle colture biologiche ordinarie, si è

registrato un’incidenza leggermente inferiore ma, comunque, consistente, pari a circa il

38%. Questo fenomeno potrebbe essere giustificato dal tentativo, da parte degli

imprenditori agricoli, di produrre secondo il metodo biologico in modo indipendente

dalla fruizione dei premi, come conseguenza del fatto che, il mercato in cui si opera,

sembrerebbe supportare il prodotto biologico in termini di prezzo.

Facendo riferimento alle specializzazioni colturali, emerge che, tra gli

orientamenti produttivi che rientrano nella coltivazione biologica preferenziale, quello

foraggero annuale e quello dei pascoli e foraggero non annuale, con allevamento

68

zootecnico associato, hanno mantenuto il loro primato regionale, intercettando oltre il

60% degli importi versati, e quasi il 61% delle superfici investite e, con un numero di

domande di adesione, pari ad oltre il 42% del totale. Altro importante comparto è quello

cerealicolo, con quasi il 21% delle domande presentate, all’interno del quale circa il

20% è rappresentato dalla coltivazione del grano duro. Gli importi liquidati in questo

caso, intercettano quasi il 17% del totale, mentre le superfici destinate a tale tipo di

coltivazione rappresentano oltre il 19% del totale regionale sottoposto all’applicazione

dell’azione Fb1 del Reg. CE 1257/99.

Per quanto riguarda le coltivazioni biologiche di tipo ordinario, l’orientamento

produttivo più significativo è rappresentato dagli agrumi. Nello specifico, le domande di

integrazione presentate, per l’applicazione all’azione Fb1, incidono per il 16% sul

totale, mentre la superficie investita, pari ad oltre 2 mila ettari, copre quasi il 14%. In

riferimento agli importi liquidati, il comparto, con oltre 1 milione ed 800 mila euro, si

conferma al primo posto, intercettando oltre il 26% del totale dei finanziamenti. Anche

in questo caso le coltivazioni foraggere annuali con allevamento zootecnico, rivestono

una notevole importanza, confermandosi, infatti, seconda coltura per importanza, con

circa 1 milione di euro finanziati. Seguono le coltivazioni cerealicole, con una quota di

domande presentate di quasi il 16%, un’estensione di oltre 3 mila ettari, e con

un’incidenza di circa il 13%. sul totale degli importi liquidati. Infine, i pascoli e le

foraggere non annuali con allevamento zootecnico biologico registrano 121 domande

presentate, con oltre 2 mila 600 ettari di superficie interessata ed intercettando un

importo liquidato di circa 900 mila euro, (si confermano al quarto posto nelle preferenze

degli operatori agricoli).

Occorre rilevare che, per alcune colture, appartenenti ad una produzione di tipo

preferenziale e/o ordinaria, con un numero di domande presentate ed una relativa

estensione, venga registrato un finanziamento evidentemente più alto, rispetto ad

un’altra coltura il cui numero di domande presentate e le superfici investite risultano

maggiori. Questo è dovuto al fatto che, come precedentemente accennato, i premi

offerti, per ettaro di superficie, sono sensibilmente differenti a seconda della coltura

considerata. Può succedere, dunque, di osservare una non perfetta corrispondenza tra

numero di domande presentate, superficie investita ed importi effettivamente liquidati.

69

Tabella 17 - Applicazione dell'azione Fb1 del Reg. CE 1257/99 (2001) (*)

BIOLOGICO (AREE PREFERENZIALI)

BIOLOGICO

Domande Superfici

Importi liquidati

(000 �) Domande Superfici

Importi liquidati

(000 �) Orientamento colturale

n % ha % Euro % n % ha % Euro %

Cereali 222 18,8 2.733 19,0 955 16,2 541 18,2 6.277 24,7 1.879 17,5 di cui Grano duro 213 18,1 2.707 18,7 947 16,0 504 16,9 6.086 24,0 1.826 17,0 Cereali con all. zootecnico biologico 33 2,8 382 2,7 206 3,5 66 2,2 418 1,6 209 2,0 Leguminose da granella 101 8,6 1.134 8,0 227 3,8 270 9,1 3.190 12,5 574 5,3

Leguminose da granella con all. zootecnico biolog. 16 1,3 156 1,2 92 1,6 21 0,7 150 0,6 82 0,8

Foraggere annuali con all. zootecnico biolog. 205 17,4 3.878 27,8 1.939 32,8 228 7,7 3.849 15,1 1.732 16,1

Foraggere non annuali 25 2,1 254 1,7 51 1,0 28 1,0 244 1,0 44 0,4 Ortive 9 0,8 4 0,0 2 0,0 67 2,2 250 1,0 137 1,3 Fruttiferi 7 0,6 14 0,1 11 0,2 61 2,0 328 1,3 246 2,3 Frutta secca 11 1,0 22 0,1 11 0,2 278 9,3 979 3,8 470 4,5 Pistacchio 87 7,4 24 0,3 19 0,3 5 0,2 20 0,1 15 0,1 Agrumi 57 4,8 393 2,8 354 6,0 360 12,1 2.533 10,0 2.153 20,1 Olivo 98 8,3 202 1,5 162 2,7 471 16,0 1.178 4,6 883 8,2 Vite da vino e cappero 13 1,1 21 0,1 14 0,2 168 5,6 867 3,4 520 4,8

Pascoli e foraggere non annuali con all. zootecnico biolog. 281 23,8 4.853 34,6 1.857 31,4 204 6,8 4.754 18,7 1.618 15,1

Perenni non specializzate 13 1,2 20 0,1 9 0,1 207 6,9 408 1,6 163 1,5 Totale 1.178 100,0 14.489 100,0 5.909 100,0 2.975 100,0 25.444 100,0 10.725 100,0 (*) Fonte: elaborazioni su dati forniti dall’Assessorato Agricoltura e Foreste. Nella voce cereali viene escluso il grano duro.

70

Tabella 18 - Applicazione dell'azione Fb1 del Reg. CE 1257/99 (2002) (*)

BIOLOGICO (AREE PREFERENZIALI)

BIOLOGICO

Domande Superfici

Importi liquidati

(000 �) Domande Superfici

Importi liquidati

(000 �) Orientamento colturale

n % ha % Euro % n % ha % Euro %

Cereali 173 19,2 2.314 18,5 809 15,9 338 15,0 3.854 20,0 1.153 13,8 di cui Grano duro 170 18,9 2.285 18,3 800 15,6 312 13,8 3.693 19,1 1.108 13,2 Cereali con all. zootecnico biologico 13 1,4 170 1,4 92 1,8 50 2,2 259 1,3 130 1,5 Leguminose da granella 91 10,1 1.393 11,2 279 5,4 221 9,7 3.011 15,6 542 6,5

Leguminose da granella con all. zootecnico biolog. 8 1,0 20 0,2 12 0,2 17 0,7 189 1,0 104 1,2

Foraggere annuali con all. zootecnico biolog.

189 21,0 3.537 28,4 1.768 34,5 171 7,5 2.967 15,4 1.335 16,0

Foraggere non annuali 23 2,5 278 2,2 56 1,1 21 1,0 167 0,9 30 0,3 Ortive 2 0,2 1 0,0 0,6 0,0 47 2,1 147 0,8 81 1,0 Fruttiferi 6 0,7 13 0,1 10 0,2 47 2,1 286 1,5 214 2,5 Frutta secca 13 1,4 25 0,2 12 0,2 209 9,2 759 3,9 364 4,3 Pistacchio 5 0,5 24 0,2 19 0,4 0 0 0 Agrumi 45 5,0 313 2,5 282 5,5 337 15,0 2.339 12,0 2.000 24,0 Olivo 93 10,3 216 1,7 173 3,4 354 15,6 912 4,7 684 8,2 Vite da vino e cappero 12 1,3 22 0,2 14 0,3 132 5,8 688 3,6 413 5,0

Pascoli e foraggere non annuali con all. zootecnico biolog. 221 24,5 4.149 33,2 1.597 31,1 159 7,0 3.332 17,3 1.166 13,9

Perenni non specializzate 7 0,9 7 0,0 3 0,0 162 7,1 383 2,0 153 1,8 Totale 901 100,0 12.482 100,0 5.127 100,0 2.265 100,0 19.293 100,0 8.369 100,0 (*) Fonte: elaborazioni su dati forniti dall’Assessorato Agricoltura e Foreste. Nella voce cereali viene escluso il grano duro

71

Tabella19 - Applicazione dell'azione Fb1 del Reg. CE 1257/99 (2003) (*)

BIOLOGICO (AREE PREFERENZIALI)

BIOLOGICO

Domande Superfici

Importi liquidati

(000 �) Domande Superfici

Importi liquidati

(000 �) Orientamento colturale

n % ha % Euro % n % ha % Euro %

Cereali 126 20,6 1.608 19,7 562 16,8 315 15,8 3.220 20,4 953 13,6 di cui Grano duro 123 20,1 1.582 19,4 554 16,4 288 14,5 3.086 19,5 926 13,1 Cereali con all. zootecnico biologico 8 1,3 20 0,2 11 0,3 43 2,2 254 1,5 127 1,8 Leguminose da granella 60 9,8 802 9,9 160 4,8 184 9,3 2.288 13,5 412 5,8

Leguminose da granella con all. zootecnico biolog.

7 1,1 38 0,5 22 0,6 14 0,7 82 0,5 45 0,6

Foraggere annuali con all. zootecnico biolog. 118 19,3 2.125 26,0 1.062 31,5 137 7,0 2.322 13,6 1.045 14,8

Foraggere non annuali 19 3,1 243 3,0 49 1,4 9 0,4 47 3,0 8 0,1 Ortive 5 0,8 3 0,0 2 0,0 40 2,0 157 1,0 86 1,2 Fruttiferi 6 1,0 9 0,1 7 0,2 41 2,1 220 1,4 165 2,3 Frutta secca 8 1,3 14 0,2 7 0,2 195 9,8 710 4,4 341 4,8 Pistacchio 4 0,6 21 0,2 17 0,6 5 0,2 19 0,1 14 0,2 Agrumi 33 5,4 264 3,2 238 7,1 319 16,0 2.194 13,8 1.865 26,5 Olivo 60 9,8 158 2,0 126 3,7 306 15,4 796 4,9 597 8,5 Vite da vino e cappero 9 1,5 12 0,1 8 0,2 111 5,6 582 3,6 349 5,0

Pascoli e foraggere non annuali con all. zootecnico biolog.

143 23,4 2.841 34,8 1.094 32,6 121 6,1 2.601 16,4 910 13,0

Perenni non specializzate 6 1,0 7 0,1 3 0,0 147 7,4 321 1,9 128 1,8 Totale 612 100,0 8.165 100,0 3.368 100,0 1.987 100,0 15.813 100,0 7.045 100,0 (*) Fonte: elaborazioni su dati forniti dall’Assessorato Agricoltura e Foreste. Nella voce cereali viene escluso il grano duro

72

4.3 - La commercializzazione dei prodotti biologici realizzati in Sicilia

Negli ultimi quindici anni, uno dei fenomeni più significativi che ha interessato il

settore dell’agroalimentare, è rappresentato dalla crescente richiesta, da parte dei

consumatori, sia nazionali, che europei, di prodotti ottenuti attraverso processi

produttivi a ridotto impatto ambientale ed, in particolare, quelli ottenuti da agricoltura

biologica (De Stefano et al., 2000). Le aziende produttrici sono riuscite a far fronte a

questo tipo di richiesta, realizzando prodotti ottenuti mediante processi produttivi

conformi al Regolamento CEE 2092/91. Tale tipo di atteggiamento è stato, inoltre,

supportato dai premi che vengono offerti ai produttori agricoli che decidono di aderire

ai programmi comunitari attraverso un impegno pluriennale, come definito dal

Regolamento CEE 2078/92, poi sostituito dal Regolamento CE 1257/99.

Dopo un ampio periodo, durante il quale il Reg. CEE 2092/91, è stato applicato,

sostanzialmente, per orientamenti produttivi di tipo estensivo, come foraggi, cereali,

prati e pascoli, ed in misura minore per coltivazioni arboree, quali agrumi, olivo, vite,

negli ultimi anni l’interesse degli operatori agricoli si è spostato verso altre tipologie

produttive, rappresentate principalmente dalle produzioni ortofrutticole e da quelle

zootecniche.

Anche i moderni sistemi distributivi, identificati, soprattutto, nella Grande

Distribuzione Organizzata (GDO), hanno manifestato un crescente interesse verso i

prodotti ottenuti da agricoltura biologica, riuscendo, in tal modo, a proporsi come valida

alternativa ai tradizionali punti vendita specializzati ed offrendo ai consumatori la

possibilità di scegliere tra un’ampia gamma di prodotti alimentari.

Nel presente lavoro si è cercato di definire, per linee generali, i principali aspetti

che caratterizzano il mercato dei prodotti biologici in Sicilia. L’indagine è stata

orientata, soprattutto, sull’acquisizione di informazioni inerenti ad alcuni caratteri

specifici della commercializzazione delle produzioni biologiche, individuando le

principali categorie di prodotto maggiormente richieste e, quindi commercializzate,

nonché i principali canali distributivi ed i mercati di destinazione di tali prodotti.

73

I caratteri specifici inerenti alla commercializzazione dei prodotti biologici in

Sicilia, sono stati analizzati utilizzando informazioni raccolte mediante un’indagine

condotta su un gruppo di imprenditori e responsabili commerciali del settore. Grazie a

tale indagine è stato possibile delineare, dunque, gli aspetti commerciali delle

produzione oggetto di indagine, i principali canali distributivi ed i mercati di

destinazione degli stessi.

Per quanto riguarda le tipologie produttive maggiormente commercializzate, dai

dati forniti, emerge che oltre il 50% è rappresentato dai prodotti ortofrutticoli freschi,

mentre una quota inferiore è determinata dai prodotti trasformati. Per quanto riguarda il

comparto ortofrutticolo ed, in particolare la frutta, una notevole percentuale viene

ricoperta dagli agrumi, tra i quali spiccano per importanza, con quasi il 70% le arance; il

restante 30%, invece, viene determinato dalle altre tipologie agrumicole quali

clementine, mandarini e limoni. In riferimento ai prodotti trasformati, viene rilevato che

significative quote dei prodotti commercializzati sul territorio siciliano (15 – 20%),

sono rappresentate dalla pasta e dalle marmellate e confetture , l’8% dalle conserve

vegetali; carne ed olio costituiscono il 5% dei prodotti commercializzati; infine, con

solo il 2% sul totale, ritroviamo un altro derivato cerealicolo, rappresentato dal pane

biologico.

La natura stessa del prodotto considerato, è strettamente correlata ad una specifica

tipologia di confezionamento. Generalmente i prodotti ortofrutticoli freschi vengono

commercializzati allo stato sfuso o confezionati in appositi contenitori di cartone o

plastica di dimensioni variabili, ricoperti da film plastico trasparente. I prodotti

trasformati, come marmellate e confetture, olio, vino, conserve, vengono confezionati in

contenitori realizzati per lo più in vetro e le cui capacità di contenimento variano a

secondo del prodotto che si considera.

Qualunque sia il tipo di confezione utilizzata, per la messa in commercio del

prodotto, questa deve obbligatoriamente riportare, in etichetta, la dicitura che il prodotto

è stato ottenuto da “Agricoltura Biologica” ed, inoltre, tutte le informazioni rese

obbligatorie dalla normativa vigente, in relazione alla tracciabilità ed alla garanzia

fornita dall’Organismo di Controllo.

74

Tenendo in considerazione le mutate condizioni di mercato, appare interessante

conoscere alcuni aspetti inerenti ai canali distributivi, oltre che individuare i principali

mercati di destinazione di tali produzioni. Questi elementi risultano indivisibili per gli

operatori e gli analisti del settore, per individuare idonee strategie di mercato da parte

delle imprese che commercializzano tali produzioni (Bracco, D’Amico, 2001).

In genere, da quanto emerge dalla figura 7, il 70% delle produzioni (in quantità)

viene commercializzata da associazioni di produttori, mentre, per il restante 30% viene

veicolata dai singoli produttori.

Figura 7 – Canali distributivi dei prodotti biologici in Sicilia (2005)

PRODUZIONE (100)

SINGOLI PRODUTTORI (30)

ASSOCIAZIONI DI PRODUTTORI (70)

IMPORTATORI

PUNTI VENDITA TRADIZIONALI

PUNTI VENDITA SPECIALIZZATI

GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA

BROKERS

55 15 30

5 10

10 30 20

75

Per quanto riguarda i circuiti distributivi, è stato rilevato che, in circa il 55% dei

casi, i prodotti realizzati vengono intercettati da importatori, soprattutto esteri (USA,

Canada), che, spesso, rilavorano i prodotti e li commercializzano con marchi

commerciali propri o di catene distributrici. L’indagine ha permesso di rilevare che solo

il 30% dei prodotti biologici raggiunge direttamente il mercato al consumo e sempre

attraverso il circuito distributivo della Grande Distribuzione Organizzata (GDO). Dalla

figura 7, è possibile notare che, per quanto riguarda la distribuzione al dettaglio,

notevole risulta l’aliquota veicolata attraverso la GDO (60%). Quest’ultima risulta,

dunque, il circuito distributivo maggiormente utilizzato per i prodotti biologici, al pari

dei circuiti seguiti dai prodotti convenzionali. Mantengono, tuttavia, una certa

importanza i punti vendita specializzati (organic store), mentre i punti vendita

tradizionali continuano ad attraversare un periodo di crisi, in seguito al fatto che tali

prodotti non sono facilmente reperibili presso questa tipologia di struttura commerciale.

Per quanto riguarda i mercati verso cui vengono destinati i prodotti biologici

realizzati in Sicilia, dall’analisi delle informazioni raccolte, emerge che circa il 65%

delle produzioni biologiche viene commercializzata attraverso il mercato

extranazionale. Nello specifico, il 50% interessa il mercato europeo, dove vengono

interessati in diversa misura alcuni Paesi, tra i quali spiccano l’Austria e la Germania,

mentre il 15% viene intercettato dai mercati extra europei, tra i quali particolare rilievo

assumono il mercato americano e quello canadese (Fig. 8). Solo circa il 35% delle

produzioni realizzate sull’isola viene veicolato nel mercato interno e, di questa quota,

appena il 5% rimane sul territorio siciliano.

76

Figura 8 – Mercati di destinazione dei prodotti biologici realizzati in Sicilia

PRODUZIONE (100)

MERCATO ESTERO

65,0

MERCATO NAZIONALE

35,0

UE 50,O

EXTRA UE 15,0

SICILIA 5,0

RESTO D’ITALIA

30,0

AUSTRIA 25,0

GERMANIA 20,0

OLANDA 5,0

USA 9,5

CANADA 5,5

77

5. ANALISI DEL CONSUMO DEI PRODOTTI BIOLOGICI REALIZZATI IN

SICILIA

5.1 - Introduzione

Negli ultimi decenni i Paesi ad avanzato sviluppo economico, sono stati

caratterizzati da un interessante cambiamento nello stile di vita e nelle abitudini

alimentari dei consumatori. Il tutto è stato determinato da variabili non solo di natura

economica, quali possono essere l’aumento del reddito pro-capite, o la riduzione dei

prezzi internazionali di alcuni prodotti, ma anche da variabili di natura socio-culturale e

tecnologiche. Sono mutati, dal punto di vista sociale e culturali, alcuni aspetti legati, in

particolare, alla composizione del nucleo familiare, che vede prevalere la condizione dei

singles o, comunque, delle famiglie con pochi membri, al ruolo della donna

nell’ambiente lavorativo, alla scelta dei prodotti alimentari, orientata sempre più verso

un’omologazione dei consumi. Dal punto di vista tecnologico, invece, le nuove scelte

dei consumatori sono correlate alle nuove tecniche di trasformazione e conservazione,

che hanno consentito un diverso utilizzo degli alimenti stessi.

Alla tendenza dell’omologazione dei consumi si è contrapposta, specie negli

ultimi anni, un’attenzione sempre più spiccata verso prodotti alimentari caratterizzati da

un elevato contenuto in servizi e in requisiti qualitativi, quali, in particolare, quelli

dietetici, salutistici ed igienico-sanitari.

Come conseguenza di tutto ciò, si è osservata da parte dei consumatori, una

crescente richiesta di prodotti agroalimentari ottenuti con processi produttivi a ridotto

impatto ambientale, facendo emergere un nuovo concetto di qualità che tiene conto non

soltanto delle caratteristiche finali del prodotto, ma anche delle tecniche utilizzate per

ottenerlo.

78

Nel presente lavoro, è stata condotta un’indagine sui principali caratteri relativi al

consumo di prodotti biologici in Sicilia. In particolare, si è cercato di accertare il grado

di conoscenza ed il tipo di comportamento che i consumatori mostrano di fronte

all’acquisto di prodotti ottenuti da agricoltura biologica, ma si è anche voluto

individuare e valutare le attuali tendenze in atto associate al consumo di tali prodotti.

L’analisi è stata realizzata allo scopo di individuare i principali punti di forza e di

debolezza che ancora contraddistinguono il mercato delle produzione biologiche.

Tali valutazioni potranno fornire validi elementi di riflessione, sia per quanto

riguarda gli aspetti che distinguono il mercato al consumo, sia per ciò che concerne le

future prospettive di mercato, nella nostra Isola.

5.2 - Metodo d’indagine

L’indagine è stata condotta, seguendo uno schema metodologico utilizzato in

numerose indagini, effettuate nello stesso ambito territoriale (D’Amico, La Via, 2001),

nell’arco temporale compreso tra il 1° ed il 31 agosto 2005, su un campione di 500

consumatori siciliani, utilizzando una scheda-questionario opportunamente predisposta.

Allo scopo di contenere l’errore di campionamento si è fatto ricorso al metodo di

campionamento casuale.

Le rilevazioni sono state effettuate attraverso una scheda-questionario, contenente

domande a risposta libera o vincolata (binaria o multipla), realizzando delle interviste

dirette, con il metodo face to face. In questo modo è stato possibile raccogliere

informazioni di carattere qualitativo e quantitativo sui diversi aspetti socio-economici e

culturali degli intervistati, nonché sul comportamento degli stessi durante la fase di

acquisto e sulla percezione della qualità e del prezzo dei prodotti biologici.

La scheda-questionario è stata articolata in cinque sezioni.

La prima sezione ha mirato alla raccolta di informazioni sul grado di conoscenza

dell’esatta definizione di prodotto biologico, sui principali canali attraverso i quali è

79

stato possibile attingere informazioni su tali produzioni, sulle caratteristiche del

consumo dei prodotti biologici, quali frequenza e motivi d’acquisto, tipologie di

prodotti biologici maggiormente consumati o di potenziale interesse.

La seconda sezione ha consentito l’acquisizione di informazioni sulle

caratteristiche relative alla distribuzione commerciale dei prodotti biologici, cercando di

individuare le diverse tipologie distributive presso cui viene effettuato l’acquisto, sulla

percezione dei corrispondenti prezzi e sulla disponibilità a pagare per

l’approvvigionamento di tali prodotti.

La terza parte è stata indirizzata all’acquisizione di informazioni circa il livello di

conoscenza che i consumatori mostrano di avere in riferimento ai principali Organismi

di controllo ed agli aspetti inerenti alla certificazione ed etichettatura dei prodotti

biologici.

La quarta sezione ha consentito di individuare le motivazioni che spingono il

consumatore a rinunciare all’acquisto di prodotti biologici.

La quinta ed ultima sezione ha permesso di acquisire informazioni sulle

caratteristiche generali dei consumatori, facendo riferimento in particolare all’età, al

sesso, al numero dei componenti il nucleo familiare, al grado d’istruzione, alla

professione, al reddito.

Il limitato intervallo di tempo durante il quale sono state condotte le rilevazioni e

la consistenza del campione intervistato, hanno consentito di ottenere un insieme di dati

abbastanza attendibile in grado di fornire dei risultati finali altamente rappresentativi.

80

5.3 - Caratteristiche del consumo dei prodotti biologici

5.3.1 - Aspetti generali

I dati relativi alle caratteristiche socio-economiche del campione di consumatori

intervistato, sono riassunte nella tabella di seguito riportata.

Dall’analisi esplorativa dei dati contenuti nelle 500 schede-questionario rilevate, è

emerso che la componente più significativa è quella femminile che, con 305 unità,

rappresenta il 61% del campione. La distribuzione per fascia d’età evidenzia come, nel

complesso, il campione risulti meglio rappresentato da consumatori al di sotto dei 50

anni; le classi più rappresentative sono state, infatti, quelle tra i 18 e i 30 anni, con il

23% circa, ma ancora di più la classe compresa tra i 31 e i 50 anni, con una quota del

51%. In riferimento al titolo di studio, si rileva un’aliquota consistente di consumatori in

possesso di un livello culturale medio-alto, infatti quasi il 64% dei soggetti intervistati

possiede un diploma di Scuola Media Superiore, e nel 47,6% dei casi, i consumatori

hanno dichiarato di essere in possesso di una Laurea. Relativamente alla professione

svolta dagli intervistati è emerso che la figura più rappresentativa si identifica negli

impiegati (33%), seguita dalla classe delle casalinghe (quasi il 23%). Infine, per quanto

riguarda il reddito familiare degli intervistati, è emerso che la classe più rappresentativa

(47%) è quella con un reddito medio-alto, compreso tra i gli 11 e i 20 mila �, mentre

oltre il 26% degli intervistati ha un reddito compreso tra i 21 e i 40 mila �.

81

Tabella 20 - Caratteri generali del campione esaminato (*)

Indicazioni n %

Indicazioni n %

Sesso Professione

Donne 305 61,0 Artigiano 11 2,2

Uomini 195 39,0 Impiegato 165 33,0

Totale 500 100,0 Operaio 44 8,8

Casalinga 114 22,8

Età (classe) Studente 21 4,2

18-30 117 23,4 Professionista 46 9,2

31-50 257 51,4 Dirigente 11 2,2

51-70 112 22,4 Disoccupato 15 3,0

oltre 70 14 2,8 Pensionato 42 8,4

Totale 500 100,0 Altro 31 6,2

Totale 500 100,0

Titolo di studio Reddito

Nessuno 4 0,8 � 10.000 � 100 20,0

Lic. Elementare 38 7,6 11-20 mila � 233 46,6

Lic. Media 145 29,0 21-40 mila � 132 26,4

Diploma 238 47,6 � 40 mila � 28 5,6

Laurea 75 15,0 N. R. 7 1,4

Totale 500 100,0 Totale 500 100,0 (*) Fonte: dati rilevati in maniera diretta.

82

Allo scopo di valutare il grado di conoscenza dei prodotti biologici da parte dei

consumatori intervistati, a ciascuno di loro è stato chiesto se conoscesse la differenza tra

prodotto biologico e prodotto convenzionale e, a questo riguardo, l’86,2% ha dichiarato

di esserne a conoscenza. Tuttavia, per verificare il grado di attendibilità della risposta

data, è stato chiesto se si avesse conoscenza delle caratteristiche tecniche specifiche del

processo produttivo “biologico”. Dall’analisi dei dati raccolti, è emerso che, il 45%

degli intervistati definisce come “biologico” un prodotto ottenuto attraverso un

processo produttivo dal quale sono esclusi prodotti di sintesi chimica; il 39% ritiene

biologico un prodotto che non contiene residui di pesticidi, mentre per il 16% dei

soggetti sottoposti all’intervista, biologico è un prodotto ottenuto attraverso l’impiego

esclusivo di sostanze organiche.

Con riferimento ai canali di informazione, attraverso i quali i consumatori hanno

avuto modo di ricevere informazioni circa i prodotti biologici, i principali sono risultati:

la televisione (30%), la stampa (poco più del 21%), gli amici (circa il 18%), le riviste

specializzate (oltre il 15%) ed, infine, i punti vendita specializzati (quasi il 13%). Sulla

scorta dei dati rilevati, risulta poco significativo il grado di informazioni acquisite

attraverso canali differenti dai precedenti (2% circa) (Fig. 9)

Figura 9 - Principali canali d'informazione dei prodotti biologici

15,4

30,0

21,318,3

12,9

2,1

0

10

20

30

40

50

riviste specil. televisione stampa amici P.v.s. altro

83

5.3.2 - Il consumo dei prodotti biologici

Dall’indagine effettuata, emerge che 193 unità, pari al 44,8% del campione

intervistato, ha dichiarato di aver acquistato prodotti biologici, mentre della restante

aliquota, il 26,7%, ha dichiarato che, pur non avendo mai acquistato tali prodotti,

sarebbe, comunque, interessata al loro futuro acquisto.

Nello specifico, le scelte dei potenziali consumatori (i soggetti che pur non avendo

mai acquistato prodotti biologici si sono mostrati interessati ad un loro futuro acquisto),

come è possibile osservare nella figura seguente, ricadono, principalmente, sui prodotti

freschi, quali frutta (oltre il 70%) ed ortaggi (quasi il 60%), ma richieste significative si

osservano per altre tipologie di prodotto, come olio, latte, vino e carne, con quote di

incidenza, rispettivamente del 40, 34, 24, 21% circa.

Figura 10 - Prodotti biologici preferiti dai potenziali consumatori

70,47,8

58,39,6

20,934

1324,3

9,627

12,224,3

4011,3

1,7

0 20 40 60 80

frutta frescafrutta secca

ortaggilegumi secchi

carnelatte

yogurtformaggi

conserve tipiche regionalimarmellate e confetture

pane e pastavinoolio

mielealtro

84

Focalizzando l’indagine sugli effettivi consumatori di prodotti biologici, possono

essere fatte ulteriori deduzioni. Innanzitutto, la domanda di prodotti biologici, come si

può dedurre dalla figura 11, risulta maggiormente orientata verso prodotti freschi, come

frutta fresca (61,7%) ed ortaggi (48,7%). Rilevante risulta, anche, la domanda di alcune

particolari tipologie di prodotti trasformati quali, l’olio di oliva, con quasi il 51% delle

preferenze, seguito dalle marmellate e confetture di frutta e dal vino, rispettivamente,

con circa il 41% ed il 36%. Inferiore, anche se con un valore medio del 25% delle

preferenze, è l’attenzione mostrata verso altri prodotti, come ad esempio latte e derivati,

carne, pane e pasta. Inoltre, dai dati raccolti durante le interviste, risulta che il 77% dei

soggetti intervistati ha dichiarato di effettuare tali acquisti da almeno un anno, anche se,

quasi il 60%, ammette che si tratta di acquisti saltuari.

Figura 11 - Principali prodotti biologici consumati

61,79,8

48,716,6

25,931,6

28,524,3

20,241,4

25,435,7

50,820,7

4,7

0 20 40 60 80

frutta frescafrutta secca

ortaggilegumi secchi

carnelatte

yogurtformaggi

conserve tipiche regionalimarmellate e confetture

pane e pastavinoolio

mielealtro

85

In riferimento ai motivi che spingono al consumo di questi prodotti (Fig. 12), dalle

indicazioni fornite dagli intervistati, emerge che le componenti più rilevanti sono

associate a requisiti di maggiore sicurezza, nel 23,3% dei casi, e di maggiore salubrità,

nel 22,8%. Significative sono le percentuali di consumatori che scelgono un prodotto

biologico, perché ritenuto più nutriente o più gustoso, con quasi il 16%. Solo il 12% dei

consumatori intervistati, ha dichiarato di orientare le proprie scelte verso i prodotti

biologici per aiutare l’ambiente; mentre nel 10% dei casi è stato dichiarato di effettuare

determinate scelte solo per semplice curiosità.

Figura 12 - Motivi del consumo dei prodotti biologici

22,8 23,3

15,5 15,512,5

10,1

0

10

20

30

40

50

Più salubre Più sicuro Più nutriente Più gustoso Per aiutarel'ambiente

Per curiosita

86

5.3.3 - La distribuzione commerciale ed i prezzi dei prodotti biologici

In base ai dati raccolti durante le interviste, è stata costruita la figura 13 dove è

possibile individuare il tipo di preferenza dei consumatori per quanto riguarda il luogo

d’acquisto dei prodotti in oggetto. Dall’analisi è risultato che quasi la metà del

campione (circa il 48%), effettua gli acquisti nei punti vendita della Grande

Distribuzione Organizzata (GDO) (ipermercati e supermercati); il 17,6% direttamente

dal produttore, il 15,6% presso dettaglianti specializzati, mentre la rimanente parte,

poco più del 18%, effettua le proprie scelte presso altre forme distributive. Dai dati

rilevati emerge come, anche in Sicilia, la GDO si afferma come luogo preferito per

l’acquisto dei beni alimentari, indipendentemente dalla natura dei prodotti, sia che si

tratti di prodotti allo stato fresco, sia di prodotti trasformati.

Figura 13 - Luoghi d'acquisto dei prodotti biologici

24,5 23,8

8,5

15,6

10,1

17,6

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

Ipermercato Supermercato Mercato rionale Dettagliospecializzato

Dettagliotradizionale

Direttamente dalproduttore

87

Per quanto riguarda l’incidenza della quota dei prodotti biologici sulla spesa

alimentare complessiva, è emerso che, quasi l’84% dei soggetti intervistati, non

raggiunge livelli superiori al 10%. Solo il 4% dei consumatori, infatti, ha dichiarato che

la spesa relativa ai prodotti biologici rappresenta il 20% della spesa complessiva; mentre

per il 12% dei soggetti sottoposti ad intervista, la quota dei prodotti biologici incide dal

10 al 20% sul totale. La mancata proporzionalità tra la crescita dell’offerta di prodotti

biologici e l’effettivo consumo, può essere spiegata con il fatto che, a tutt’oggi, sono

ancora notevoli le ragioni che frenano l’acquisto dei suddetti prodotti. Secondo quanto

rilevato nell’intervista, infatti, l’ostacolo più ricorrente durante l’acquisto di prodotti

biologici, è risultato il prezzo elevato (37%), seguito dalla difficoltà di reperimento e

scarso assortimento, entrambe con un peso percentuale del 23,2%; per il 16,5% degli

intervistati, infine, l’ostacolo principale è stato riscontrato nel fatto che il prodotto

acquistato sia di qualità merceologica scadente (Fig. 14).

Figura 14 - Principali ostacoli per l'acquisto dei prodotti biologici

23,2

37,0

16,5

23,2

0

10

20

30

40

50

Difficoltà direperimento

Prezzi elevati Qualitàmerceologica

scadente

Scarsoassortimento

88

L’indagine ha proceduto, inoltre, a valutare il grado di percezione, da parte del

consumatore, del prezzo dei prodotti biologici presenti sul mercato siciliano. Sulla

scorta delle dichiarazioni raccolte, è emerso che 125 unità, pari al 64,8% degli

intervistati, trova il prezzo di tali prodotti elevato, il 21,2% proporzionato ed il 14%

eccessivamente elevato. L’indagine ha, anche, permesso di constatare come i

consumatori valutino la differenza di prezzo tra un prodotto biologico ed uno

convenzionale. Quasi l’80% degli intervistati ha dichiarato di riscontrare tra le due

diverse tipologie di prodotto, un differenziale di prezzo compreso tra il 10 e il 30%.

Questo dato è molto vicino ai valori medi registrati e dimostra come, il consumatore

metta particolare attenzione durante la fase di acquisto dei beni agroalimentari, specie in

un periodo in cui, a livello regionale, si registra una sfavorevole congiuntura economica.

Gli stessi, infatti, nel 56% dei casi, si dichiarano disposti a pagare un differenziale di

prezzo sino al 10% a favore del prodotto biologico rispetto a quello convenzionale.

Comunque, notevole è anche la percentuale di consumatori (42%) che riconoscono

implicitamente nel prodotto biologico un premium price, mostrando, in questo caso, una

disponibilità a pagare un differenziale di prezzo compreso tra il 10 e il 30% in più.

5.3.4 - Il grado di conoscenza sulla certificazione e motivi del diniego al consumo dei

prodotti biologici

Accertato il differente grado di conoscenza sulle caratteristiche e sul consumo dei

prodotti biologici da parte dei consumatori siciliani, è stato chiesto agli stessi se fossero

a conoscenza dell’obbligatorietà di certificazione di tali prodotti da parte di un

Organismo di controllo riconosciuto. Dall’analisi delle rilevazioni effettuate è emerso

che, il 77,2% degli intervistati sono a conoscenza di tale obbligatorietà. Si è, quindi,

voluto accertare in modo più specifico il grado di informazione inerente alla

certificazione dei prodotti. A tal fine, nel questionario, è stata inserita una domanda

specifica sull’argomento, in cui è stato incluso, oltre ad AIAB ed Ecocert, due degli Enti

certificatori riconosciuti in Italia, anche un nominativo non biologico, ma spesso

89

associato a prodotti biologici, qual è, appunto, Oasi ecologica Plasmon. In particolare, è

emerso che, quasi il 74% dei consumatori intervistati, crede che quest’ultimo marchio

identifichi un prodotto come biologico, mentre, solo il 18,4% riconosce i marchi AIAB

ed Ecocert; questo evidenzia un grado di informazione, ancora, insufficiente (Fig. 15).

Nel 69,3% dei casi, gli intervistati hanno ammesso di considerare affidabile la

certificazione attuata dagli Organismi di controllo.

Figura 15 - Grado di conoscenza dei Marchi biologici

73,7

6,711,7

7,8

0

15

30

45

60

75

90

Oasi ecologicaPlasmon

AIAB Ecocert Altri

Allo scopo di definire un quadro complessivo sulla situazione del mercato dei

prodotti biologici in Sicilia, è stato chiesto a quella parte di intervistati, pari a 115 unità,

che pur non avendo consumato prodotti biologici, si era mostrata interessata ad un

potenziale consumo degli stessi, quali fossero state le motivazioni che li avevano portati

a non consumare i prodotti in oggetto. A tal proposito (Fig. 16), è emerso che il 36% dei

soggetti intervistati considera elevato il prezzo di vendita unitario; il 28% dichiara di

non possedere adeguate informazioni al riguardo; il 23,8% si dichiara indifferente

90

all’argomento biologico, mentre il 12,1% ammette di trovare difficoltà nel reperimento

del prodotto.

Figura 16 - Motivazione della rinuncia a consumare prodotti biologici

28,0

36,0

12,1

23,8

0

10

20

30

40

Mancanza diinformazioni

adeguate

Prezzi elevati Difficoltà direperimento

Indifferenza

La mancanza di informazioni adeguate e la difficoltà di reperimento

rappresentano, comunque, una percentuale notevole, quasi il 40%. In particolare, la

prima motivazione, ha come conseguenza il fatto che, nonostante i consumatori

cerchino di avvicinarsi ai prodotti biologici, questo tipo di mercato continua a rimanere

un mercato di nicchia, in cui le informazioni disponibili non sempre risultano chiare e

trasparenti. Al tema delle informazioni si collega, poi, quello relativo ai controlli ed alla

loro affidabilità, altro elemento ritenuto poco trasparente e che, quindi, tende a creare un

alone di sfiducia sul mercato in oggetto. La scarsa reperibilità è, invece, dovuta al fatto

che manca una omogenea distribuzione territoriale dei punti vendita della GDO e dei

negozi specializzati. Informazione e “attributi di fiducia”, così come reperibilità dei

prodotti, sono elementi determinanti per lo sviluppo del mercato del biologico, senza i

91

quali si può arrivare a disattendere le aspettative dei consumatori, con la conseguenza

che, trovandosi disorientati, si arrivi ad una riduzione della domanda e, quindi, del

livello medio dei prezzi.

92

6. CONCLUSIONI

Il presente studio, ha permesso di aggiornare ed, in parte, ampliare l’insieme di

conoscenze relative al comparto dell’agricoltura biologica in Sicilia. Tale metodo

produttivo, caratterizzato dall’uso esclusivo di sostanze di natura organica, comporta

una notevole e significativa riduzione dell’impatto ambientale, che caratterizza, invece,

i processi produttivi di tipo convenzionale. La presenza sul mercato di prodotti

igienicamente sicuri, in cui sono escluse sostanze di natura chimica, potenzialmente

nocive, fornisce, sicuramente, maggiori garanzie per la tutela della salute, non solo dei

consumatori, ma anche degli operatori agricoli che si trovano ad operare in condizioni

di maggiore “sicurezza sanitaria”.

In oltre un decennio dall’emanazione del Regolamento CEE 2092/91 e successive

modifiche, si è riscontrato un certo successo dell’agricoltura biologica anche nel nostro

Paese, con oltre 1 milione e 115 mila ettari coltivati, nel 2003, con tale metodo di

produzione (BIO BANK, 2004).

La Sicilia risulterebbe attualmente (BIO BANK, 2004) la seconda regione italiana

per superfici investite (17,2%), con oltre 195 mila ettari coltivati. Nella nostra Isola, nel

periodo interessato dall’ultima programmazione comunitaria (2000-2006), si può

riscontrare che, lo strumento applicativo di tali interventi di politica agraria (Reg. CE

1257/99), nel settennio di programmazione ha avuto, per la misura F-Agroambiente

contenuta nel PSR della Regione Siciliana, disponibilità finanziaria pari a quasi 500

milioni di euro. Tali risorse, tuttavia, sono risultate non adeguate rispetto alle richieste

degli imprenditori, anche perché impiegate per i vecchi impegni finanziari del Reg. CEE

2078/92 (programmazione 1994-1999) Si è, infatti, assistito, in questi ultimi anni, ad

una contrazione delle superfici interessate dall’azione Fb1 (introduzione e

mantenimento di metodi di produzione a basso impatto ambientale, anche in funzione

della valorizzazione commerciale delle produzioni ottenute) della misura F, contenuta

nel PSR siciliano, di circa il 40%, rispetto a quelle della fine degli anni ’90.

93

L’agricoltura biologica sembrerebbe, quindi, disancorarsi, in termini di superfici,

dalla consistenza e dalla disponibilità dei “premi” comunitari. Tale fenomeno potrebbe

essere dovuto al fatto che, gli imprenditori agricoli stiano iniziando a produrre secondo

il metodo biologico, indipendentemente dalla fruizione dei premi, consapevoli di

ritrovarsi ad operare in un mercato disposto a valorizzare il prodotto biologico

attraverso un premium price, in grado di remunerare positivamente i loro sforzi.

In riferimento alla collocazione finale dei prodotti biologici realizzati dalle

aziende siciliane, è emerso che i prodotti sia allo stato fresco che trasformati, vengono

immessi sul mercato con i marchi delle aziende che si occupano di commercializzarli

sui mercati al dettaglio e raggiungono i consumatori finali, nazionali ed esteri,

principalmente, attraverso il circuito della GDO (circa il 60%), che anche nella nostra

isola si configura come il modello distributivo maggiormente utilizzato.

Per quanto concerne il consumo di prodotti biologici in Sicilia, l’indagine condotta

ha consentito di definire un quadro più ampio delle principali variabili che influenzano

ed orientano le scelte dei consumatori durante le fasi di acquisto dei prodotti biologici. I

risultati dell’indagine di mercato condotta sul consumo di prodotti biologici in Sicilia,

hanno confermato, ancora una volta, analoghi elementi emersi in precedenti indagini,

realizzate nel contesto territoriale regionale (D’Amico, La Via, 2000), e hanno posto

particolare attenzione al mutato rapporto tra le produzioni biologiche e le moderne

strutture di distribuzione.

L’elaborazione dei dati rilevati, ha evidenziato che, i consumatori effettivi di

prodotti biologici costituiscono quasi il 45% del campione intervistato, costituito da 500

soggetti. Il dato indica che, anche se con un andamento lento, le azioni volte al

miglioramento del livello informativo per valorizzare le produzioni ottenute con metodo

biologico, cominciano a dare risultati di un certo interesse. Il 77% dei consumatori

effettivi di prodotti biologici, infatti, ha dichiarato di consumare tali prodotti da oltre un

anno, anche se hanno ammesso che si tratta di acquisti saltuari. Sembra, inoltre, che, i

prodotti freschi, come frutta e verdura iniziano ad occupare nuovi segmenti di mercato

che, negli anni precedenti, apparivano preclusi a tali tipologie di prodotto. Maggiori

difficoltà sono state rilevate per alcuni prodotti trasformati, come latte e derivati, carne,

pane e pasta, mentre per altre tipologie produttive, in particolare olio, vino, confetture e

94

marmellate, l’interesse dimostrato da parte dei consumatori per il loro acquisto, risulta

abbastanza significativo.

Generalmente, i principali ostacoli all’acquisto di prodotti biologici, sia allo stato

fresco, sia trasformati, sono riconducibili alla mancanza di fiducia, che spesso traspare

dalle dichiarazioni fornite dai consumatori, nei confronti della certificazione delle

diverse fasi del processo di produzione e/o trasformazione, ma anche all’elevato prezzo

di vendita con cui tali prodotti sono immessi sul mercato e alla difficoltà di reperimento

di determinate categorie di prodotto ricercato. Significativa risulta, anche, quella quota

di consumatori (16% circa) che non mostra interesse nell’acquisto di prodotti biologici,

perchè riscontra in questi ultimi una qualità merceologica particolarmente scadente, non

paragonabile a quella dei corrispondenti prodotti ottenuti attraverso processi produttivi

di tipo convenzionale.

L’indagine ha messo, anche, in evidenza il limitato grado di conoscenza che

ancora contraddistingue i consumatori siciliani, circa alcuni caratteri specifici delle

produzioni biologiche, tutt’altro che marginali, quali l’obbligo della certificazione

biologica, o ancora gli organismi di certificazione accreditati. Questi dubbi che

persistono ancora nella cultura dell’isola, sono una conseguenza della scarsa trasparenza

del mercato e non permettono di veicolare le corrette informazioni che dovrebbero

attribuire maggiore fiducia alle produzioni biologiche.

Appare evidente, dunque, che le azioni, lungo le diverse fasi della filiera, volte a

caratterizzare e differenziare le produzioni biologiche, come elemento strategico per una

maggiore competitività aziendale, producano effetti assai limitati in mancanza di

interventi mirati tra il livello di conoscenza che i consumatori possiedono sulle

peculiarità di tali tipologie di prodotto ed i corrispondenti marchi che dovrebbero

contraddistinguerli.

Risulta necessario, dunque, agire sul piano delle conoscenze, attraverso cmpagne

di comunicazione ad hoc. Va, ancora, sottolineata la necessità di predisporre di una

adeguata campagna di divulgazione sull’importanza dell’utilizzo del marchio biologico,

al fine di poter attuare una più sicura promozione dei prodotti in oggetto. L’uso del

marchio bio, se da un lato andrebbe visto come elemento distintivo di un prodotto

rispetto ad un altro, dall’altro lato offrirebbe maggiori garanzie ai consumatori che, a

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causa di certi episodi legati a scandali (BSE, ecc.) e frodi alimentari, sono sempre più

diffidenti.

Infine, è possibile affermare che, il fenomeno del biologico in Italia, così come sulla

nostra Isola, tende a consolidarsi e, pur mantenendo quelle connotazioni di

un’agricoltura di nicchia, può essere visto come un idoneo strumento di competitività

delle imprese.

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