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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) - art. 1, comma 1, D.C.B. Trento - Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132. Direttore responsabile: Sergio Ben- venuti - Distribuzione gratuita - Taxe perçue - ISSN 1720 - 6812 CONTIENE I.P. www.museostorico.it - [email protected] IN QUESTO NUMERO Per una memoria condivisa anno decimo numero venticinque maggio 2008 ASSICURAZIONI DAL 1937 Un filo rosso collega fra loro alcuni dei testi ospitati in questo numero di Altrestorie: è la storia dell’emi- grazione e del faticoso rapporto degli immigrati con il paese ospite. Ovunque la difficoltà dell’inseri- mento in una nuova realtà origina spesso il rifiuto e la negazione delle reciproche storie. Si com- prende allora come il tema della condivisione delle memorie non rappresenti solo un valore civile e strumento di crescita culturale per qualsiasi comunità; è passag- gio fondamentale per favorire il funzionamento di quella società multietnica verso la quale spinge inesorabilmente il processo di globalizzazione in atto. Le vicende e le esperienze presentate muo- vono in questa direzione e offrono testimonianza di come praticare concretamente i valori della con- vivenza. “Guardare il mondo con occhi diversi” intervista con Ermete Zandonai di Paolo Piffer “Sarebbe bello ma non è facile”: intervista con Altin Braka di Paolo Piffer Vite che scorrono accanto Sinti e zingari di Elena Andreotti «Finestre Aperte per Giovani Creativi»: un progetto al Centro Astalli Cesare Battisti o come si porta un uomo alla morte di Massimo Parolini

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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) - art. 1, comma 1, D.C.B. Trento - Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132. Direttore responsabile: Sergio Ben-venuti - Distribuzione gratuita - Taxe perçue - ISSN 1720 - 6812

CONTIENE I.P.

www.museostorico.it - [email protected]

IN QUESTO NUMEROPer una memoria condivisa

anno decimo numero venticinque maggio 2008

ASSICURAZIONI

DAL 1937

Un filo rosso collega fra loro alcuni dei testi ospitati in questo numero di Altrestorie: è la storia dell’emi-grazione e del faticoso rapporto degli immigrati con il paese ospite. Ovunque la difficoltà dell’inseri-mento in una nuova realtà origina spesso il rifiuto e la negazione delle reciproche storie. Si com-prende allora come il tema della condivisione delle memorie non rappresenti solo un valore civile e strumento di crescita culturale per qualsiasi comunità; è passag-gio fondamentale per favorire il funzionamento di quella società multietnica verso la quale spinge inesorabilmente il processo di globalizzazione in atto. Le vicende e le esperienze presentate muo-vono in questa direzione e offrono testimonianza di come praticare concretamente i valori della con-vivenza.

“Guardare il mondo con occhi diversi” intervista con Ermete Zandonai

di Paolo Piffer

“Sarebbe bello ma non è facile”: intervista con Altin Braka

di Paolo Piffer

Vite che scorrono accanto

Sinti e zingari

di Elena Andreotti

«Finestre Aperte per Giovani Creativi»: un progetto al Centro Astalli

Cesare Battisti o come si porta un uomo alla morte

di Massimo Parolini

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Ha fatto parte della se-conda ondata dell’emi-grazione trentina in Cile, nella regione di Coquimbo, nei primi anni cinquanta. E il suo nucleo familiare era il più numeroso. Madre, padre e tredici

fratelli (4 femmine e 9 ma-schi). A 21 anni, poco prima di partire, si era sposato. Sedici persone in tutto. Ermete Zan-donai, originario di Pedersano, diplomato perito, nel Paese sudamericano – dove aveva impiantato un’officina ma ha anche coltivato una terra diffi-cile e improduttiva – c’è stato fino al 1965. Poi è ritornato in Trentino con i cinque figli nati lì. Parlare con lui, oltre a ricordare le dif-ficoltà alle quali andarono in-contro i trentini, serve a capire quanto il confronto tra culture diverse, la memoria della terra da cui si era partiti e, ora, dopo tanti anni, la percezione di un Paese che si è lasciato da tempo, concorrano a costruire un tessuto culturale che è an-che antidoto contro gli stereo-tipi che caratterizzano alcuni fenomeni odierni. In primis l’immigrazione. In quello che

“Guardare il mondo con occhi diversi” intervista con Ermete Zandonai

di Paolo Piffer

dice Zandonai – 77 anni e gli occhi lucidi quando parla del padre morto in Cile – c’è in-nanzitutto la netta sensazione, perché vissuta, per quanto pa-recchi anni fa, che l’impatto con la popolazione cilena fu soprattutto un incontro tra diversità. “Quelli di noi, ed io tra questi, che avevano in te-sta, e praticavano, la cultura del lavoro, del rimboccarsi le maniche di fronte ad una si-tuazione complicata – dice – rimanevano come spaesati di fronte alla popolazione del po-sto. Nei cileni c’era un modo di vivere giorno dopo giorno, senza porsi obiettivi di media e lunga durata. Non conosce-vano il risparmio. Era una filosofia che per uno come me che veniva da un’educazione che risentiva di echi asburgici era difficile comprendere. I cileni erano espansivi, accoglienti, ma molto diversi da noi. Sapevano che venivamo da un Paese uscito da poco dalla guerra, che eravamo poveri. Nel loro immaginario eravamo arrivati come adesso sbarcano con le carrette, sulle nostre coste, gli immigrati. Devo peraltro dire che se molti trentini, vista la situazione, cercarono di darsi

da fare, altri si lasciarono an-dare”. Zandonai fa cenno anche alla proverbiale riservatezza tren-tina che se, almeno a prima vista, può sembrare uno ste-reotipo, calato in una realtà lontana assume contorni tali da frenare quei processi di av-vicinamento e comprensione che favoriscono l’integrazione. E infatti Zandonai afferma quanto i trentini, alla fin fine, “non fossero integrabili nono-stante la disponibilità di pa-recchi cileni”. Anche perché, aggiunge, ri-cordando che quanto afferma si riferisce ai primi quindici anni di immigrazione trentina in quella landa cilena, “tutto sommato ci sentivamo supe-riori a loro proprio per questo senso di responsabilità nei confronti della famiglia che ci portava a costruire qualcosa, a realizzare il nostro futuro. Tutti aspetti che si ritenevano fondamentali ma che non vedevamo nei cileni. Avevo un profondo rispetto per la popolazione locale e ho un bellissimo ricordo di questa esperienza di vita – pur con le difficoltà che ci sono state, specialmente nei primi due anni e mezzo – ma percepivo anche una forte differenza. Non capivo, e l’ho realizzato solo quando sono tornato, quando mi dicevano: “Beh, insomma, se sei riuscito a fare un po’ di soldi e a stare bene è arrivato il momento di fermarti e goderti la vita”. Nella comu-nità trentina c’era quindi una forte difesa della propria iden-tità a fronte di una disponibi-lità cilena all’accoglienza che si potrebbe dire “naturale”. “E’ innegabile che la cultura trentina, quella della famiglia, almeno nei primi dieci-quin-dici anni, non è stata scalfita. Basti pensare che matrimoni misti ce ne furono pochissimi, non erano assolutamente ben visti tra di noi. Ad un certo punto decisi di tornare. Non solo perché ritenevo di aver concluso il debito di ricono-scenza nei confronti dei miei genitori per il loro progetto di

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“Pensare alla mia me-moria di emigrante e condividerla con tanti trentini che, in pas-sato, hanno fatto lo stesso percorso. Sa-rebbe bello ma non è facile”. Altin Braka, 25 anni, albanese, presidente del “Forum

Alb Trentino” vive da sei anni a Pergine con la famiglia. E’ sposato con un figlio, lavora nel negozio del padre e stu-dia mediazione linguistica alla facoltà di Lettere e Filosofia a Trento. “Ho conosciuto dei trentini che sono emigrati e poi tornati al loro paese. Aiuta a capirsi meglio. Una volta – racconta Altin Braka – un ex emigrato trentino mi ha detto che se c’è gente, magari anche qui in Trentino, che, in qual-che modo, ha degli atteggia-menti razzisti è anche perché non è ‘uscita’ non ha provato cosa vuol dire vivere fuori dal Paese dove sei nato. Aver pro-vato queste esperienze, mica solo perché si è dovuto emi-grare ma anche viaggiando, aiuta ad aprirsi e a non avere pregiudizi. Anche perché chi se ne è andato spesso ha sof-ferto, sa cosa vuol dire lavo-rare in un altro Paese e in certi casi essere discriminato, fare fatica a trovare casa. In teoria sarebbe bello riuscire a creare una memoria condivisa ma nei fatti è difficile. Comunque, il mio è un auspicio”.Che memoria ha della sua terra, cosa le è rimasto den-tro?Tante cose. Vi ho passato l’in-fanzia e l’adolescenza. Per me è indimenticabile la scuola

dove ho studiato, sia la media che le superiori. I miei com-pagni e i professori. E la casa dove vivevo. Queste cose non si perdono mai.Quando ritorna in Albania, ciò che trova corrisponde alla sua memoria?In parte. Ci sono stati tanti cambiamenti. Quando vado a vedere la scuola o mi parlano del sistema complessivo del Paese, noto dei mutamenti. Le faccio un esempio, e riguarda i ragazzi. C’è un lato positivo, e cioè una maggiore apertura mentale, ma anche aspetti ne-gativi e riguardano i costumi. Quando andavo a scuola io, e non sono passati tanti anni, non si sapeva neanche cosa fosse uno spinello. Adesso ne girano parecchi. E non solo quelli. E’ un problema.Nel corso degli anni trentini la sua memoria è rimasta inal-terata o si è, per così dire, “impastata” con la realtà del luogo dove vive ogni giorno?C’è una parte “fissa”, è rima-sta inalterata, mi sono sforzato di mantenerla perché fa parte dell’identità. Però ci sono altri aspetti che si mischiano con la realtà. Perché la realtà influi-sce sulla memoria e nel modo

di vedere le cose. Adesso ho un’esperienza in più. Anche in me, nel corso di questi ultimi sei anni, ci sono stati dei cam-biamenti. Non sono più quello di sei anni fa. Ho conosciuto tante persone di tutto il mondo e gente del posto. Sono più aperto. Tutto ciò influisce an-che sull’identità di ognuno di noi migranti.E’ un lavoro culturale che viene svolto anche dall’associazione che lei presiede?Certo, l’obiettivo è duplice. Da una parte mantenere la nostra identità e contribuire nel sostenere la nostra gente perché conosca ancora di più la propria cultura. Special-mente i ragazzi che nascono qui. Vanno aiutati a sentire un legame con la propria lingua, cultura, fede. Ma, dall’altra parte, cerchiamo di interagire con la gente del posto e partecipare il più pos-sibile alla vita sociale e cultu-rale di Pergine e del Trentino. Per adesso l’esperienza è po-sitiva. Lavoriamo con altre associazioni e proseguiamo in questo cammino per cono-scerci meglio l’un l’altro. Sono obiettivi che perseguiamo con la stessa intensità.

vita, ma anche perché, avendo avuto cinque figli, ho preferito portarli in Italia da piccoli. Se avessi aspettato di più, e fos-sero cresciuti lì, e guardi che in Cile ormai mi ero sistemato, intui vo che avrebbero sofferto di uno spaesamento che sa-rebbe stato difficile recupe-rare”. Le riflessioni di Zan-donai si soffermano sull’at-tualità in riferimento alla sua

esperienza di emigrazione che guarda il fenomeno dell’immi-grazione in Italia. “Che in Ita-lia ci sia paura degli immigrati mi pare una realtà. E questo perché non siamo preparati ad accogliere. E a ben vedere è il paradosso tra la nostra cul-tura cristiana e la salvaguardia della nazionalità. L’intreccio tra le culture è difficile, è un processo lungo. E lo dico per

esperienza personale. Solo al mio ritorno ho capito quello che volevano dirmi i cileni. Guardare al futuro senza avere la pretesa di insegnare agli altri, con più fiducia e speranza. A me mancavano ma poi, poco a poco, sono stato influenzato dalla loro cultura. E così ho cominciato a guardare il mondo con oc-chi diversi”.

“Sarebbe bello ma non è facile”: intervista con Altin Braka

di Paolo Piffer

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Vite che scorrono accanto

Renzo. Perù. Lima.Nato e vissuto a Lima. Con chi? Fino a quando? Come?La mamma. Diciotto anni. Ha una bimba. Poi un’altra. Morta a cinque mesi. Un marito che a un certo punto se ne va. Poi a trent’anni un altro

figlio, Renzo.Il padre. Un rapporto occasio-nale. Ha già un’altra moglie, un’altra famiglia, altri figli.Per Renzo non c’è, un paio di incontri, niente di più.La madre già da anni cresce la prima figlia in casa del nonno e così è con Renzo. Sta a casa, cura i figli, che fre-quentano una scuola privata, è già un privilegio. Renzo ha difficoltà di concentrazione, è seguito da un’insegnante, ma l’insegnante è un costo in più e le ore sono ridotte.Poi la decisione di partire, verso un altro mondo, clande-stinamente, in cerca di qual-cosa di meglio.E i figli? Il nonno da solo non ce la fa, ma c’è la sorella con la famiglia. Sì, si possono affi-dare a lei.Destinazione Italia, Milano. Lavoro nero, badante, puli-zie, baby sitter. Manca la cosa fondamentale per una vita più serena, più dignitosa, per riu-

nire la famiglia, quei figli rima-sti là: il permesso di soggiorno. Una parte dei soldi, tutto il possibile, in Perù, per loro. Un anno dopo la decisione della figlia più grande. “Vengo in Italia, no, dalla zia non si sta bene, ci lesina il cibo, ci tratta male. Sono grande, posso lavorare, vengo”.Renzo ha nove anni. La sua vita continua lì, con la “fami-glia”. “Lo zio è buono, mi porta con lui qualche volta, sul suo furgone, a vedere altri posti. La zia, no, si arrabbia spesso, mi picchia per un nonnulla”.La madre, in Italia. “La mia amica, sì, posso chiedere a lei. Forse Renzo starà meglio”. Soldi in più, per il manteni-mento, ma anche come com-penso per l’incarico accettato. “E’ difficile, ma va bene, sono più tranquilla”.E invece no, le cose non vanno bene, i soldi non comprano l’affetto, l’attenzione, l’ascolto dei bisogni di un ragazzino.Poi l’offerta (disinteressata?) di un’amica conterranea. “Puoi far venire tuo figlio con il passaporto del mio, è già stato fatto, mia sorella è arrivata allo stesso modo. In quindici giorni lo avrai qui con te”.“Cinquemilacinquecento euro e una tappa in Bolivia, ma in quindici giorni lo avrai qui con te, sicuro”.Quindici giorni e poi altri quin-dici e poi altri quindici. “Non preoccuparti, c’è qualche problema. Renzo deve venire prima adottato da una fami-glia, intanto è con una signora e altri ragazzi. Sì, la famiglia l’abbiamo trovata, non preoc-cuparti è questione di poco”. “E Renzo che fa?”. “E’ con altri ragazzi, tranquilla”.“Renzo, come è andata in Bolivia?”. “Un po’ bene, un po’ male”. Erano lasciati a se stessi, tutto il giorno, niente scuola, nessun controllo. “Chi erano gli altri ragazzi? Ci andavi d’accordo?”. Silenzio.

Quattro mesi dopo, finalmente, la partenza. “Sì, l’adozione è stata fatta. Tranquilla per il viaggio. Lo accompagnerà il ‘padre adottivo’”. “Sì, Renzo è partito, sta arrivando, no, è da solo, no, non lo hanno accom-pagnato”. “Ma come? E’ un ragazzino, non ha mai viag-giato. E se sbaglia e se suc-cede qualcosa?”. “Tranquilla”.Notte insonne. Bogotà, .............................., Milano.Finalmente mio figlio, final-mente è qui, finalmente lo posso, lo possiamo, io e sua sorella, stringere tra le brac-cia, finalmente insieme. Come è cresciuto, come è magro.Ma come, Renzo, non mi abbracci, non ci abbracci?Renzo è rigido, i suoi occhi non trasmettono le emozioni.E’ arrivato a scuola, lo sguardo mite ma un po’ inquieto di chi non sa cosa aspettarsi. L’espressione seria, e a volte assente, che si apre in un sorriso appena gli parli. Forse adesso andrà meglio? “Sì, ma non conosco nessuno, a scuola mi piace perché a casa non so cosa fare, ma ho un cagnolino, mi fa compagnia, vado in giro con lui”.La mamma è a Milano, lavora lì, tutto il giorno, dalla mat-tina alla sera, ha trovato un nuovo compagno, da poco, il rapporto non è ancora conso-lidato e poi Milano è una città difficile e forse pericolosa per un ragazzino di questa età. Meglio, per intanto, studiare a Trento e vivere con la sorella, che non lavora, ha una bimba piccola, può seguirlo di più: di nuovo una separazione, un altro abbondono.E Renzo il sabato prende il treno e va a Milano dalla mamma. Da solo. Senza ancora il passaporto.Renzo ci tiene a non perdere l’anno, ci tiene a completare la seconda e ad andare in terza.I discorsi per convincerlo che forse è meglio riprendere da

La storia di queste pagine è reale. Ogni riferimento per-sonale è stato però omesso per rispetto alle vigenti nor-mative sulla privacy e sulla tutela dei minori.

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capo un anno “scolastica-mente” travagliato non sono serviti. Renzo vuole andare in seconda, vuole essere in terza l’anno prossimo. Non lo so perché, non l’ho capito fino in fondo.Renzo ha tredici anni, le sue competenze scolastiche non sono del tutto adeguate “al programma” di seconda, ma le sue esperienze di vita? E forse non abbiamo in classe molti ragazzi che proseguono il loro percorso senza aver raggiunto del tutto “gli obiettivi”?Renzo vuole andare in seconda. Potevamo non chiederglielo, potevamo decidere secondo parametri squisitamente sco-lastici. Ma forse non bastano e lo abbiamo ascoltato. Nuovi compagni, la ricerca di nuove amicizie, le prime che ci vengono incontro. Ma non sono quelle giuste e Renzo lo capisce, si ritrae, preferisce tornare a portare a spasso il suo cagnolino.L’inserimento al Giocalabora-torio lo aiuta, una spensierata settimana estiva al mare.Ma Renzo è un adolescente, inquieto, a volte indisponente come tutti gli adolescenti ma forse con dentro qualche rabbia in più. La sorella è gio-vane, ha la sua famiglia e i rapporti diventano difficiltosi.La sua infanzia è un vestito pieno di strappi, che vanno ricuciti con molta delicatezza, con la sapienza e l’amore di una madre.In settembre, quando già mi domandavo come sarebbe rientrato Renzo dalla vacanze, che tipo di lavoro impostare con lui, la telefonata della mamma. “Lo porto con me, a Milano, sarà difficile ma Renzo ha bisogno di me, così non va, ce la faremo”.Qualche mese dopo una nuova telefonata. “Renzo sta benissimo, a scuola gli piace, i professori lo aiutano, ha amici italiani. Sa, professoressa,

non vuol più parlare spagnolo, vuole solo la cucina italiana!” Ma quanto costa rinunciare alle proprie radici pur di sen-tirsi accettato, integrato?C’è solo ancora un particolare: né Renzo, né la madre hanno il permesso di soggiorno.Cosa gli riserva il futuro? Un rimpatrio in Perù insieme

alla madre o rimarrà in Italia come minore iscritto a scuola a completare gli studi sepa-randosi nuovamente da una madre appena ritrovata o riu-scirà attraverso qualche sma-gliatura nella legge sull’immi-grazione a trovare quel po’ di stabilità che gli spetta?Vite che ci scorrono accanto.

Relazione sull’alunno Renzo[Renzo], al suo arrivo, appariva disorientato e assente, biso-gnoso di attenzioni da parte degli adulti e di legami d’amici-zia con i coetanei.Ha frequentato inizialmente il laboratorio di insegnamento dell’italiano come L2.In questo primo periodo si è cercato di ricostruire, attraverso colloqui con lui e con la famiglia, facilitati dalla presenza di una mediatrice interculturale di lingua spagnola, la sua storia personale.Ne è emerso un vissuto difficile fatto di abbandoni, in par-ticolare la separazione a otto anni dalla madre, emigrata in Italia per far fronte al mantenimento dei figli, e, dopo un anno, dalla sorella che aveva raggiunto la madre in Italia. Renzo è rimasto a vivere con gli zii, e in seguito con un’amica di famiglia. Il suo racconto evidenzia quanto questa fase sia stata spesso di forte disagio. Nel viaggio di avvicinamento all’Italia, Renzo ha vissuto quattro mesi in Bolivia, dove era stato portato come tappa intermedia e dove sarebbe dovuto rimanere solo un paio di settimane. Non è chiaro con chi e in quali condizioni si trovasse.Il suo disagio era evidente, per cui gli è stato proposto un colloquio con la psicologa della scuola. Sollecitato a parlare dell’ultimo periodo passato in Bolivia, Renzo è stato eva-sivo ed ha opposto un silenzio difficilmente penetrabile, che secondo la psicologa poteva nascondere esperienze trauma-tiche.Le sue competenze scolastiche pregresse, valutate attraverso una serie di esercitazioni in lingua madre, risultavano piut-tosto insicure, ma è stato inserito comunque in una classe seconda, corrispondente all’età anagrafica, per favorire l’in-contro con ragazzi della stessa età.Renzo lamentava particolarmente la mancanza di amicizie fuori dalla scuola, cosa che lo rendeva triste e depresso. E’ stato perciò iscritto ad un Giocalaboratorio, che lo ha seguito nel lavoro scolastico, ma soprattutto ne ha curato la socializ-zazione attraverso esperienze ludiche di gruppo.Verso la fine dell’anno scolastico, il ragazzo incominciava ad apparire più sereno, sia pure ancora con momenti di chiu-sura.All’inizio, la madre ha ritenuto opportuno portarlo con sé a Milano per potergli stare vicino.Si allega la relazione della mediatrice interculturale basata sui colloqui in lingua madre con l’alunno.

La referente per gli alunni stranieri

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Sinti e zingari

di Elena Andreotti

Athinganoi: intoccabili. Da cui tsiganes, zingari.Sinti: da Sinth, altopiano da cui nasce l’Indo nell’attuale Paki-stan, zona d’origine di queste popolazioni, non popolo, ma arcipelago di minoranze anche molto diverse tra loro.Due termini diversi per indi-care le stesse persone: il nostro e il loro.Gli zingari: ci accompagnano da sempre, una realtà paral-lela, conosciuta e nello stesso tempo ignorata.Chi di noi, che abbia raggiunto un’età matura, non ricorda le signore che di tanto in tanto suonavano alla porta con il loro corredo di pizzi, centrini, mollette o il campo nomadi passando in bicicletta con il suo alone un po’ misterioso, un po’ pauroso, o le donne e i bimbi che chiedono l’ele-mosina davanti alla chiesa o la paura degli zingari che por-tano via i bambini? “Te pari’n zinghen”, dicevano le nonne, quando ci si presentava par-ticolarmente sporchi, disordi-nati, scarmigliati. Fotogrammi

(o frammenti) dell’immagina-rio infantile.Poi da grandi, da insegnanti, l’incontro con i ragazzi sinti e rom che frequentano la scuola. La difficoltà, spesso, di aprire un varco di comunicazione, di far coincidere universi paral-leli, ma vicendevolmente sco-nosciuti e difficilmente conci-liabili. Quest’anno, come refe-rente all’intercultura, arriva la proposta di occuparsi di un progetto in rete con altre scuole della città in collabora-zione con il Comune e con la cooperativa Kaleidoscopio, che da anni si interessa alla comu-nità sinta della città. L’idea di base del progetto era quella di cercare, attraverso la presenza di un mediatore interculturale sinto nella scuola, di costru-ire rapporti più costruttivi con i ragazzi e le loro famiglie, di incominciare un dialogo.Contemporaneamente, all’in-terno dell’anno di formazione sull’intercultura e l’integra-zione degli alunni stranieri, ho partecipato ad un seminario tenuto da Carlo Berini, presi-

dente dell’Istituto di cultura sinta di Mantova.Per scoprire tante piccole e grandi cose che aprono gli occhi sul fatto che c’è sem-pre qualcuno più diverso degli altri e che, proprio perché per certi versi più vicino da sempre delle nuove comu-nità e nazionalità che stanno entrando a far parte del nostro tessuto sociale, più difficile da accettare.Per scoprire che la diffidenza che noi proviamo nei con-fronti della comunità sinta è la stessa che loro provano nei confronti della società dei gage, la nostra.Per scoprire che gli “zingari” vivono in Italia dal 1400 e sono cittadini italiani, ma aspettano ancora il riconosci-mento di minoranza etnica, avvenuto in altri Paesi euro-pei.Per domandarsi che senso abbia il nostro insegnamento per una cultura che è ancora fondamentalmente orale. La “Storia” come costruzione di un’identità culturale che par-tendo dai Greci e passando attraverso la storia romana, il Rinascimento e l’Illuminismo struttura la nostra visione della vita, non ha alcuna presa sui ragazzi sinti. E rimane comun-que la storia di coloro da cui da sempre si sentono rifiutati e discriminati.Per un popolo il cui riferimento temporale è il presente, la tra-smissione delle conoscenze avviene attraverso i racconti degli anziani e non va oltre la seconda generazione. La costruzione dell’identità collet-tiva più che affondare le radici nella definizione delle pro-prie origini è determinata dal

“Quando Heinrich Boll fu sepolto c’era un’orchestrina di zingari che conduceva i portatori della sua bara. Era stato un suo desiderio. Lasciate che un milione di Sinti e Rom vivano tra noi. Ne abbiamo bisogno. Potrebbe aiutarci a scompigliare un pò del nostro ordine rigido. Potrebbero insegnarci quanto prive di significato sono tutte le frontiere: incuranti dei confini i Rom e i Sinti sono di casa in tutta Europa. Sono ciò che noi proclamiamo di voler essere: cittadini d’Europa. Forse ci servono proprio coloro che temiamo tanto”. Gunther Grass.

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riferimento ai valori fondanti della lingua, della famiglia, del rispetto per gli anziani, per tutte le forme di vita e per i defunti che non rappresen-tano il passato ma continuano ad accompagnare la comunità come presenze significative e determinanti.Quindi per i sinti la scuola è al massimo un luogo di istru-

zione, non certo un luogo di “educazione” e, anzi, proprio questo aspetto temono dal momento che sentono i loro valori molto diversi dai nostri, visti come pericolosi, devianti, e comunque non condivisi.Queste reciproche diffidenze ed incomprensioni incomin-ciano ad incrinarsi grazie al lavoro di quelli tra sinti e gage che credono nella possibilità di un nuovo modello di inte-razione che preveda il ricono-scimento e la legittimazione dei valori di riferimento di entrambe le culture.Oggi molte famiglie sinte pensano che la scuola possa essere un’opportunità per i loro figli in un mondo in cui nuove competenze sono indispen-sabili per poter esprimere le potenzialità di ognuno e dove oggettivamente certe modalità di vita vanno ripensate.

La scuola da parte sua può cominciare a far trovare al ragazzo sinto tracce del suo mondo concreto, della sua sto-ria. Almeno quando sarebbe facile e doveroso inserirla: mi riferisco al genocidio di sinti e rom nei campi di sterminio. Letture, film, immagini riguar-dano quasi sempre il popolo ebreo, cui si aggiunge la lista delle altre vittime, omoses-suali, oppositori politici, sinti, rom, comunisti, testimoni di Geova... In questo senso è stata una bella iniziativa quella di portare la mostra “Porraj-mos” (divoramento), presen-tata attraverso la lettura di poesie in lingua sinta accom-pagnata da un violino tzigano, in alcune scuole medie di Trento e accolta con interesse e stupore dai ragazzi, incre-duli davanti alla durezza delle immagini.

LibertàNoi Zingari abbiamo una sola religione: la libertà.In cambio di questa rinunciamo alla ricchezza, al potere, alla scienza ed alla gloria.Viviamo ogni giorno come se fosse l’ultimo.Quando si muore si lascia tutto: un miserabile carrozzone come un grande impero.E noi crediamo che in quel momento sia molto meglio essere stati Zingari che re.Non pensiamo alla morte. Non la temiamo, ecco tutto.Il nostro segreto sta nel godere ogni giorno le piccole coseche la vita ci offre e che gli altri uomini non sanno apprezzare:una mattina di sole, un bagno nella sorgente,lo sguardo di qualcuno che ci ama.E’ difficile capire queste cose, lo so. Zingari si nasce.Ci piace camminare sotto le stelle.Si raccontano strane cose sugli Zingari. Si dice che leggono l’avvenire nelle stellee che possiedono il filtro dell’amore.La gente non crede alle cose che non sa spiegarsi.Noi invece non cerchiamo di spiegarci le cose in cui crediamo.La nostra è una vita semplice, primitiva.Ci basta avere per tetto il cielo,un fuoco per scaldarcie le nostre canzoni, quando siamo tristi.

Spatzo (Vittorio Mayer Pasquale)

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Incontrare altre memo-rie, condividerle negli sguardi, nel quoti-diano; tessere rela-zioni, creare con il cuore oltre che con la testa.Passare dalle comode stanze dell’elabora-zione e della cono-

scenza reciproca alle strade, muniti di telecamera, micro-foni, di qualche nozione di regia e di elementi base di edizione e produzione. Ma, soprattutto, di moltissima voglia di fare, di mettersi in gioco. Tanto che le difficoltà, evidenti fin dall’inizio per una troupe di dilettanti allo sbara-glio come la nostra, si supe-rano quasi per magia, con un incrociarsi di occhi, con un sostegno fatto di rara sensibi-lità e cura reciproca. Ecco in breve il progetto, come è nato tutto. Aprile 2007, al

«Finestre Aperte per Giovani Creativi»:un progetto al Centro Astalli

Centro Astalli Trento, distac-camento trentino di un’asso-ciazione che opera a livello nazionale nell’accoglienza di migranti e rifugiati politici in particolare (a sua volta costola italiana del Jesuit Refugee Service), alcuni volontari deci-dono di presentare un progetto che vada un po’ oltre l’abituale sensibilizzazione nelle scuole, realizzata dal progetto “Fine-stre”: creare un gruppo di giovani che racconti, tramite un cortometraggio, qualcosa della vita dei rifugiati, ovvero di quei migranti che chiedono asilo nel nostro paese per sfug-gire a persecuzioni e situazioni di alto rischio. Titolo, giusta-mente: Finestre Aperte per Giovani Creativi. Con nostra sorpresa, il progetto ottiene l’appoggio completo del Fondo provinciale per le politiche giovanili. Da ottobre quindi, pubblicità nelle scuole, nelle

università, fra associazioni e amici. Ci ritroviamo il 15 dicembre scorso e il gruppo è pronto: siamo 12, fra cui 4 volontari-coordinatori, 5 nazio-nalità diverse e tre rifugiati. Guidati da Abdel Azim Koko prima e da Roberto Marafante e Gisella e Hugo Munoz poi, ci addentriamo nel mondo dei richiedenti asilo, appren-dendo alcune nozioni di base di video-making, approdando alla scrittura della sceneggia-tura ed infine alle riprese, tut-tora in corso. Storie di par-tenze improvvise e nostalgie, di ricerca e di radici. Storie che vanno ascoltate, raccontate in silenzio. Il gruppo è formato da: Ambrose Lienga, Davide Scutari, Fabio Colombo, Farid Mahdavi, Federica Polin, Garip Matur, Giacomo Zandonini, Giulia Vettori, Khando Zethsa, Novella Benedetti, Qorban Yaqhubi, Thierry Poli.

Il Centro Astalli Trento è un’associazione di volontariato che si ispira al Jesuit Refugee Service (Servizio dei Gesuiti per i rifugiati) e ai principi della solidarietà sociale. Il Centro, che aderisce alla rete territoriale della Fondazione Centro Astalli di Roma, si propone di svolgere funzioni di servizio socio-assistenziale e culturale a favore di immigrati e delle loro famiglie ed in partico-lare di persone aventi lo status di rifugiati, di richiedenti asilo, apolidi, profughi di guerra ed immigrati per altri motivi a carattere umanitario.L’Associazione ha la propria sede all’interno dell’area di Villa Sant’Ignazio, in via alle Laste, in un edificio denominato “Ca’ Bianca”, inaugurato nel gennaio 2006. Sono disponibili tra gli otto e i dodici posti letto per ospitare, ogni anno, una ventina di persone.Accanto all’accoglienza, l’Associazione ha fra i suoi obiettivi la sensibilizzazione dei cittadini al tema dell’immigrazione e del diritto di asilo anche attraverso attività culturali. Nei progetti che vengono realizzati, si cerca di dare il maggior spazio possibile ai rifugiati stessi affinché possano raccontare in prima persona ciò che riguarda la loro vita. In particolare vengono rea-lizzati progetti nelle scuole, incontri pubblici e altri momenti di riflessione.Per informazioni e approfondimenti: http://centroastalli.vsi.it, tel. 340.7745394.

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Cesare Battisti o come si porta un uomo alla morte

di Massimo Parolini

Cesare Battisti raccontò il 19 novembre 1900 sul giornale socialista “Il Popolo” (di cui era direttore) la cronaca dell’impiccagione di Floriano Grossrubatscher, un celibe ventiseienne della Val Badia, reo confesso del duplice omi-cidio di Giovanni Alton (pre-side del ginnasio di Rovereto) e di sua figlia Maria. Di recente, un giovane tirocinante dell’Università di Trento, ha individuato presso il Museo storico del Trentino, in un gruppo di lettere e documenti sparsi donati da un privato alla biblioteca, una lettera rivolta dal martire irredentista al figlio Gigino, primo sindaco di Trento al termine della seconda guerra mondiale. Lo studente è riuscito a inserire tale missiva proprio all’interno della cronaca giornalistica sopra citata, rivelando alcuni

particolari a dir poco inquie-tanti. Per gentile concessione del Museo storico pubbli-chiamo di seguito alcuni stralci della lettera inserendola tra parentesi quadre dopo qual-che passo della cronaca pro-cessuale di Battisti.

“Di te conserveranno gradito ricordo quanti ebbero occa-sione di avvicinarti” (Orazione funebre in occasione della sepoltura di Joseph Lang, pom-piere volontario e ultimo boia dell’impero austro-ungarico)

“Il Grossrubatscher dichiarò di essere disposto a lasciare che il suo corpo venga sezionato da questo ospedale. Chiese la grazia che dal denaro trovato-gli indosso vengano prelevati 5 fiorini per far dire delle messe alla sua anima. Ha anche con-fessato di essere stato l’au-

tore dell’assassinio misterioso avvenuto ad Innsbruck due anni or sono sulla moglie di un operaio. Il Grossrubatscher aveva saputo dell’operaio che in casa teneva qualche rispar-mio e che teneva la donna sola. Gli vi si recò di notte, mentre l’operaio dormiva nello stabilimento, e uccise la donna a colpi di scure asportando il denaro. […] Sono quasi le 7. L’aria è ancora bigia. Piove a dirotto. Nel corridoio del tri-bunale, guardati dai soldati, passano seri, quasi atter-riti, perfino coloro che chie-sero il biglietto per pura curio-sità. Nel cortile delle carceri sta disposta a semicerchio una cinquantina di soldati. Alle 7 precise entra la com-missione giudiziale compo-sta dai consiglieri Tranquil-lini e Goio, dal procuratore, dal segretario Marinelli e dal

E’ stato di recente distribuito il volume “Come si porta un uomo alla morte” (Trento, Museo storico in Trento, 2007) a cura di Diego Leoni. Nel libro è stata ricostruita e ripro-posta la sequenza fotografica degli ultimi giorni di vita di Cesare Battisti, dal momento della cattura fino all’esecuzione avvenuta il 12 luglio 1916 nel Castello del Buonconsi-glio. Una pagina di storia e un evento editoriale che hanno suggerito a Massimo Parolini lo spunto per un breve racconto nel quale l’Autore immagina il ritrovamento di una lettera scritta da Battisti stesso al figlio Gigino poco prima della sua morte.

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protocollista Zelger. Di lì ad un momento, accompagnato dai cancellieri e dal confes-sore, entra il condannato. Pro-prio in quell’istante mi sfugge l’occhio all’angolo del cortile dove è la forca. V’è lì il boia con i suoi due aiutanti, vestiti di nero, inguantati, impas-sibili come se si trattasse di macellai pronti ad accoppare un manzo. Nell’aria risuonano orribili, insistenti, i rintocchi dell’agonia. Il Grossrubatscher è pallidissimo, però si regge da sé. Viene condotto davanti alla commissione giudiziale. Il presidente di essa gli rivolge le sacramentali parole: Flo-riano Grossrubatscher eccovi giunto al momento supremo. Avete qualche cosa da dire? Il condannato con voce distinta risponde: Sì, io in questo momento domando perdono a tutti del mio delitto. Do un addio a tutti nel mondo e a mia madre. Affronterò con-tento la pena per espiazione di quanto ho fatto. Il presi-dente dice in tedesco al boia: signor carnefice, compia la sua funzione. S’avvicinano gli

aiutanti, legano le mani die-tro il dorso della vittima che viene posta appiedi al palo. Il boia sale per una scaletta, fa passare il laccio per una car-rucola che sta alla cima del palo. Poi non sono più stato capace di guardare e quanti ho interrogato mi hanno rispo-sto altrettanto. [Qualcuno, quando con penna e taccu-ino in mano gli ho chiesto ‘ha assistito al momento più tre-mendo’? tentando di annotare particolari macabri su questo bestiale retaggio dell’umanità, qualcuno… mi ha addirittura fissato con un vago senso di orrore o… perlomeno stupore, non riuscendo nemmeno a proferire un accenno di rispo-sta. Ecco, pensai, a tal punto arriva lo sdegno del popolo ai nostri tempi di fronte a quello che tua madre, caro Gigino, in un suo bell’articolo avrebbe definito ‘cannibali-smo moderno’. Le coscienze moderne rimangono attonite e inorridite e non riescono nemmeno a usare il linguag-gio più comune e quotidiano in quei momenti. Eppure – pensai subito dopo – tali impressioni di orrore e disgu-sto, pur violente, sono passeg-gere e presto vengono dimen-ticate, come ci ha insegnato il grande Cesare Beccaria, mio caro Gigino, e non riescono a servire d’esempio alcuno per impedire a chi assiste all’im-piccagione di qualche condan-nato di commettere a sua volta dei delitti in futuro. Mi imma-ginavo il Grossrubatscher che fa da chierichetto – come mi è stato raccontato – alla pro-pria messa funebre, il mattino stesso dell’esecuzione. Ma fui distratto da tali riflessioni e riportato giù, tra la gente, da sguardi sempre più spaventati e turbati di una folla che indie-treggiava al mio passaggio, come inorridita da una rivela-zione improvvisa e insoppor-tabile. Le madri chiudevano

gli occhi ai loro figli, i cani ini-ziavano a ululare indietreg-giando, molte bigotte si face-vano ripetutamente il segno della croce. Io non capivo e ciò aumentava il mio disagio. ‘Vada retro’ disse qualcuno e a quelle parole la folla ini-ziò disordinatamente a scap-pare in varie direzioni. Rimase davanti a me solo un bambino, molto piccolo. Avrà avuto sì e no tre anni. Era in carne, paf-futello. Indossava calzoni e giubba tirolesi e un cappel-lino con la piuma. Mi fissò. Aveva lo sguardo innocente e allo stesso tempo marziale. Accennò un dolce sorriso e continuando a fissarmi puntò l’indice destro nella direzione dell’impiccato. Guardai lì dove il bimbo mi invitava a guar-dare e vidi… vidi me stesso, ma di qualche anno più vec-chio, dell’età che posso avere adesso. Al posto di Grossru-batscher c’ero io a penzoloni con quel completo a quadri che domattina indosserò alla fossa del Buonconsiglio. In cima alla forca il boia Lang appoggiava le sue grasse mani e gongolava visibilmente sod-disfatto col suo faccione, rivol-gendo gli occhi verso di me. A fianco del mio fantoccio ormai privo di vita, normali cittadini e standschützen si accalcavano fissandomi con un ghigno di approvazione. “Non ancora” – disse una vocina al mio fianco –. Il bimbo era sparito; al suo posto una ragazzina pimpante saltellava, allontanandosi da me e, girandosi, mi guardava con malizia, canticchiando: “Sora el Doss te dormirai, sol-datin de l’Italietta; su la fossa i scolaretti poche robe i capirà. Con l’Alcide bega e pugna fin chel fògh ariverà; ti sul Doss lu en çima a Roma, tuti en posto troveré”. Scomparve anche lei: rimase solo il freddo pun-gente, le foglie secche, l’ac-censione improvvisa dei nuovi lampioni elettrici].

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INFOMUSEO

Gennaio 2008

I ricordi di Giuliano VitaliIl 24 gennaio è stato presentato presso la Sala Rosa del Palazzo della Regione di Trento lo scritto di Giuliano Vitali Memorie di un inter-nato, curato da Giancarlo Ianes.Il trentino Giuliano Vitali, classe 1924, dal settembre 1943 all’apri-le 1945 fu internato nei campi di lavoro forzato a Bremerworde e successivamente ad Amburgo. A

64 anni dal suo internamento ha sentito il bisogno di raccogliere alcune note, tratte dal suo diario di prigionia, per conservarne la memoria.All’incontro, organizzato in collaborazione con il Circolo ricreativo Ente Regione Trentino-Alto Adige, hanno parte-cipato l’autore, il curatore e Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino.

Edizione 2008 della “Giornata della memoria”In occasione della “Giornata della memoria” il Comu-ne di Trento e la Fondazione Museo storico del Trentino hanno organizzato, presso Palazzo Geremia di Trento, un momento di celebrazione ufficiale.All’incontro, svoltosi il 25 gennaio e moderato da Giu-seppe Ferrandi, sono intervenuti Alberto Pacher, sindaco di Trento, Alberto Pattini, presidente del Consiglio comu-nale di Trento e Maria Luisa Crosina, studiosa della storia della comunità ebraica in Trentino.

Spettacolo teatrale sulla vicenda dei sette fratelli CerviAll’interno delle iniziative per la “Giornata della memoria” la Fondazione Museo storico del Trentino ha proposto per il 30 gennaio la messa in scena dello spettacolo teatra-le Cuori di terra: memoria per i sette fratelli Cervi della Compagnia Teatro dell’Orsa di Reggio Emilia, con gli attori Bernardino Bonzani e Monica Morini.Quella dei Cervi rappre-senta la storia di molte famiglie emiliane, di un popolo che matura una consapevolezza politica e sociale orien-tata verso i principi di solidarietà e di umanità, in un cammino di emancipazione che inizia sul finire dell’Otto-cento e si manifesta con l’antifascismo e la Resistenza. L’iniziativa è stata rivolta sopratuttto alle scolaresche.

Febbraio 2008

Una mostra su Giacomo MatteottiSi è svolta l’8 febbraio presso la Sala delle ex-Marangonerie del Castello del Buonconsi-glio di Trento l’inaugurazio-ne della mostra fotografica e documentaria sulla figura del deputato socialista Giacomo Matteotti, intitolata Giacomo Matteotti fra storia e memo-ria. L’iniziativa è stata propo-sta dalla Fondazione Museo storico del Trentino, dalla Fondazione di studi storici “Filippo Turati”, dall’Associa-zione nazionale “Sandro Per-tini” e dalla Provincia autono-ma di Trento.All’evento sono intervenuti il Presidente della Provincia autonoma di Trento Lorenzo Dellai, Giuseppe Ferrandi, Direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, Nicola Zoller in rappresentanza dell’Associazione Nazio-nale “Sandro Pertini”, Monica Mengoni responsabile del progetto grafico e dell’allestimento della mostra.L’esposizione, curata da Stefano Caretta, è stata aperta dal 9 febbraio al 15 marzo 2008.

Storie di emigrazioneIn occasione dello spettacolo teatrale Di qua a là …ci vuole 30 giorni: storie di emigrazione di e con Andrea Castelli e Antonio Caldonazzi, il Comune di Trento, As-sessorato alla cultura, turismo e biblioteche, in collabo-razione con la Fondazione Museo storico del Trentino ha proposti alcuni momenti di riflessione sul tema dell’emi-grazione.Il 19 febbraio, presso la Sala degli Affreschi della Biblio-teca comunale di Trento, è stato proiettato il documen-tario Storie del mondo, girato e sceneggiato da Lorenzo Pevarello, coprodotto dal Museo storico del Trentino e da Format Centro audiovisivi della Provincia autonoma di Trento: un filmato di 37 minuti che raccoglie le testi-monianze di tanti trentini emigrati negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso.Con il regista sono intervenuti Giuseppe Ferrandi, diret-tore della Fondazione Museo storico del Trentino e Valen-tina Galasso, ricercatrice della Fondazione.Il 22 febbraio, sempre presso la Biblioteca comunale di Trento, il critico Paolo Toniolatti ha incontrato lo scrittore e giornalista Renzo Maria Grosselli, autore dei volumi Il tirolese e Oltre ogni confine, entrambi incentrati sul tema dell’emigrazione trentina.

9 febbraio - 15 marzo 2008 Inaugurazione

venerdì 8 febbraio 2008 ore 17.30

Castello del Buonconsiglio

Sala ex - Marangonerie

Giacomo Matteotti fra storia e memoria

Sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica

Con il patrocinio di: Senato della Repubblica

Camera dei Deputati

Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Mostra fotografica e documentaria

segreteria organizzativa:

FONDAZIONE MUSEO STORICO DEL TRENTINO Via Torre d’Augusto 41, Trento Tel. 0461.230482 Fax 0461.237418

Sito web: http://www.museostorico.tn.it

ASSOCIAZIONE NAZIONALE “SANDRO PERTINI” Via Michelangelo Buonarroti 13, Firenze Tel. 055.244811/055.243123

Sito web: http://www.pertini.it

ORARIO DI APERTURA: Martedì - Domenica 9.30 - 17.00

Associazione Nazionale “Sandro Pertini”

Fondazione di Studi Storici “Filippo Turati”

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

f o n d a z i o n e MUSEO STORICO del T r e n t i n o

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Spionaggio e irredentismoE’ stato presentato il 21 febbraio presso la bibliote-ca della Fondazione Museo storico del Trentino L’affare Colpi: spionaggio e irredentismo alla vigilia della Gran-de Guerra, volume scritto da Vittorino Tarolli, autore di numerosi studi e pubblicazioni dedicati alla storia locale e alla prima guerra mondiale. Attraverso fonti giudiziarie rintracciate presso l’Archivio del Tribunale della città di Vienna e sulla base di pubblicazioni e articoli della stam-pa dell’epoca, sia di lingua italiana che tedesca, l’Autore ricostruisce la vicenda che vide protagonista, nella Trento dei primi anni del Novecento, Giuseppe Colpi. Tale vi-cenda viene inquadrata nel più ampio contesto dell’irre-dentismo trentino, fenomeno che in quegli anni sembrò conoscere nuovo vigore grazie anche al sostegno offerto dal Servizio informazioni dell’esercito del Regno d’Italia e da influenti personaggi di varie affiliazioni.L’incontro è stato condotto da Vincenzo Calì, alla presen-za dell’autore e dello storico Cristoph H. von Hartungen.

Verso una rete territoriale della storia e della memoria La Fondazione Museo storico del Trentino ha organizza-to per sabato 23 febbraio un seminario quale momento iniziale di un ampio confronto sulle modalità di costitu-zione e sviluppo di una rete territoriale della storia e della memoria. Agli interventi mattutini di Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Rodolfo Taiani, Quinto Antonelli e Matteo Gentilini della Fondazione Museo storico del Trentino è seguita nel pomeriggio la discussione.

Omaggio a quattro voci a Giacomo MatteottiLa Fondazione Museo storico del Trentino, nell’ambito della mostra fotografica e documentaria dedicata a Gia-como Matteotti, il 29 febbraio, presso la Sala delle ex-Marangonerie del Castello del Buonconsiglio di Trento, ha proposto un recital a quattro voci scritto e diretto dal poeta trentino Alfonso Masi. Lo spettacolo, messo in sce-na dagli attori Mariabruna Fait, Riccardo Gadotti e Bruno Vanzo, ha ripercorso alcuni momenti significativi della vita di Giacomo Matteotti, dal rapporto con la moglie Velia, alla Grande Guerra, dalla militanza politica alle in-timidazioni fasciste fino al discorso del 30 maggio 1924 in Parlamento che ne segnò la condanna a morte.

Marzo 2008

In ricordo di Mario PasiIl 15 marzo, nel corso di una breve cerimonia presso l’ospedale Santa Chiara di Trento, è stato commemorato il partigiano e medico Mario Pasi.Sono intervenuti il Presidente dell’Ordine dei medici Giu-seppe Zumiani e Giuseppe Ferrandi, direttore della Fon-dazione Museo storico del Trentino

Il 500.mo anniversario dell’incoronazione di Massimiliano IIn occasione del 500.mo an-niversario dell’incoronazione imperiale di Massimiliano I a Trento, il Land Tirol, la Pro-vincia autonoma di Trento e la Provincia autonoma di Bolzano hanno organizzato, il 29 e 30 marzo 2008, vari appuntamenti di commemo-razione storica con riflessioni di studiosi e con momenti di rievocazione affidati a gruppi in costume.La Fondazione Museo storico del Trentino, e in partico-lare Valentina Bergonzi, hanno curato un opuscolo divul-gativo (Massimiliano I: 1508-2008. Cinquecento anni dalla proclamazione a «Imperatore Romano Eletto») per contestualizzare tale evento nell’ambito della storia del Sacro Romano Impero e del Tirolo.

La figura di don Domenico GirardiAll’interno della Settimana della Cultura la Fondazione Museo storico del Trentino ha proposto per il 31 marzo la proiezione del film-documentario Don Domenico Girardi. Matricola 10626, per la regia di Lorenzo Pevarello.All’appuntamento, presso la sala video del Centro servizi culturali Santa Chiara di Trento, sono intervenuti Giu-seppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino e Bartolomeo Costantini, procuratore presso la Procura militare della Repubblica di Verona. Costui è titolare dell’inchiesta che ha portato, nel 2000, alla condanna all’ergastolo dell’ex caporale SS Misha Sei-fert, per i crimini di guerra da lui commessi nel lager di Bolzano. Arrestato il 18 gennaio 1945 a Montalbiano di Valfloriana, don Girardi fu condotto nelle carceri di Trento. Intorno alla fine di marzo, fu inviato nel campo di concentramento di via Resia a Bolzano dove rimase fino alla liberazione avvenuta nell’aprile 1945.

Aprile 2008

L’Aquila di San Venceslao al prof. Sergio BenvenutiIl giorno 4 aprile, nel Salone di Rappresentanza di Palaz-zo Geremia, è stata conferita l’Aquila ardente di S. Ven-ceslao, antico sigillo della città di Trento, al prof. Sergio Benvenuti, direttore del Museo del Risorgimento e della lotta per la libertà dal 1971 al 1985 e attuale direttore scientifico della rivista Archivio Trentino.Un profilo del prof. Benvenuti è stato tracciato dalla prof.ssa Maria Garbari, dalla prof.ssa Lia de Finis e da Giu-seppe Ferrandi.

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Un convegno su Giovanni PirelliLa Fondazione Museo storico del Trentino, in collabora-zione con il Comune di Borgo Valsugana e il Sistema Cul-turale Valsugana Orientale, ha organizzato il convegno di studi Giovanni Pirelli, un industriale nella Resistenza, svoltosi il 17 e 18 aprile presso Palazzo Trentini a Trento e presso la Biblioteca di Borgo Valsugana.Quella di Pirelli è una figura eclettica: rifiutò il ruolo di imprenditore nell’azienda di famiglia, abbracciando gli ideali socialisti e diventando comandante partigiano durante la seconda guerra mondiale. Autore inquieto e ribelle, fu una delle più vivide voci del “romanzo indu-striale”. Scrisse anche la sceneggiatura per alcuni docu-mentari, libretti per spettacoli teatrali, testi drammatici per opere musicali. Fu consigliere di amministrazione delle Edizioni Einaudi, diresse le Edizioni del Gallo, fondò la Arcophone per la diffusione della musica italiana del Sei e Settecento. Negli ultimi anni della sua vita diresse anche l’Istituto Ernesto de Martino.Hanno partecipato con proprie relazioni: Gabriella Solaro (Istituto Nazionale per la Storia della Resistenza italiana),

Cesare Bermani, (Istituto Ernesto de Martino, Sesto Fiorentino), Donato Barbone (Archivio Pirelli, Milano), Gianluigi Bozza (critico cinematogra-fico), Mario Bernardo (capo partigia-no e direttore della fotografia). Nella seconda giornata di convegno sono stati proiettati i cortometraggi Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana (regia di Fausto Fornari), Il delitto Matteotti (regia di Nelo Risi), I fratelli Rosselli (regia di Nelo Risi).

Celebrazioni per il 25 aprileLunedì 21 aprile presso la Sala Manzoni della Bibliote-ca comunale di Trento i rappresentanti dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, dell’Assessorato alla cultura del Comune di Trento, della Biblioteca comunale di Tren-to e della Fondazione Museo storico del Trentino hanno inaugurato la mostra storico-documentaria La Resistenza nel campo di Bolzano, 1944-45. L’esposizione ha raccontato l’esperienza dei 9.500 pri-gionieri del famigerato campo di transito di via Resia, contribuendo a restituire voce e dignità alle donne e agli uomini che si opposero al nazifascismo.

L’assemblea dei soci dell’Associazione Museo storico in TrentoSi è tenuta lunedì 21 aprile alle ore 17.30, presso i lo-cali del Museo in via Torre d’Augusto, l’Assemblea dei soci dell’Associazione Museo storico in Trento. Si è trat-

tato di un’Assemblea dalla doppia valenza: da una parte ha concluso il quinquennio 2003/2008 e quindi è stata chiamata a rieleggere gli organi sociali; dall’altra, con la nascita della Fondazione Museo storico del Trentino di cui l’Associazione è socio fondatore, si sono ridefiniti gli obiettivi e la funzione culturale dell’Associazione Museo storico in Trento. Un’Associazione che non ha più il com-pito di gestire il Museo e le sue attività istituzionali, ma che si candida ad essere luogo di riflessione e di promo-zione della conoscenza storica.Nel corso dell’Assemblea i famigliari del prof. Bruno Bet-ta, protagonista della Resistenza degli internati militari e figura straordinaria di educatore e intellettuale, hanno donato ufficialmente al Museo la documentazione della sua esperienza di internamento.

Ricordi di guerraIl 27 aprile, presso l’Auditorium della Scuola media di Revò, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Mu-seo storico del Trentino, ha condotto la conferenza-dibat-tito Ricordi di guerra. Memorie e racconti della seconda guerra mondiale alla quale, hanno partecipato alcuni Re-duci della seconda guerra mondiale.Al termine dell’incontro è stato proiettato il filmato Me-morie di una comunità, un breve documentario girato da Lorenzo Pevarello con testimonianze di vita e di eventi nel Trentino del Novecento.

PRESENTAZIONI La Fondazione Museo storico del Trentino ha presentato alcuni dei suoi prodotti editoriali nelle seguenti occasioni:

18 gennaio 2008, MoenaLa responsabile del settore Emigrazione della Fondazione Museo storico del Trentino Valentina Galasso ha presen-tato il volume di Renzo Maria Grosselli, Oltre ogni con-fine: l’emigrazione da un distretto alpino tra Ottocento e Novecento: il Vanoi nelle fonti orali.L’autore, da anni impegnato a recuperare le storie dei tanti protagonisti che dal Trentino mossero altrove per ricercare nuove opportunità di vita, ripercorre in questo testo le caratteristiche e le cause del fenomeno migra-torio di natura permanente che, da un certo periodo in avanti, ha iniziato a interessare il Vanoi, l’alta valle alpi-na in provincia di Trento.

22 febbraio 2008, ZambanaAlla presenza di Giuseppe Ferrandi e Chiara Paolazzi, Assessore alla cultura del Comune di Zambiana è stato proiettato il documentario di Lorenzo Pevarello Zambana ’55-’56. Memorie di una comunità. Il video, co-prodotto dal Museo storico in Trento e dal Centro Audiovisivi della Provincia autonoma di Trento, ri-costruisce le vicende della comunità di Zambana prima,

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NOVITÀ EDITORIALI

durante e dopo la frana degli anni 1955-1956, evento calamitoso che segnò una frattura nella storia del paese.

30 marzo 2008, CoredoE’ stato presentato e proiettato il video-documentario di Lorenzo Pevarello L’epopea di S. Giustina. Storia di una valle, frutto di una coproduzione Museo storico in Tren-to e Format-Centro audiovisivi del Trentino. Attraverso le interviste a sette testimoni dell’epoca, il video fotografa il mondo contadino di un tempo, le condizioni di lavo-ro, il rapporto con la terra, la vicenda degli espropri che ha fatto da cornice al riempimento dell’invaso di Santa Giustina.

23 aprile, ArcoLa Fondazione Museo storico del Trentino e l’Assessorato alla cultura del comune di Arco, hanno proposto nella cornice di Palazzo Panni ad Arco, la presentazione del volume autobiografico di Leo Zelikowski Mon Témoi-gnage. La mia testimonianza. Da Arco ad Auschwitz e ritorno.Nel corso dell’incontro, in cui hanno preso la parola Maria Luisa Crosina, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino e Ruggero Mo-randi, Assessore alla cultura del Comune di Arco, è stato attivato un collegamento video con il Canada, che ha permesso l’intervento di Leo Zelikowski.

Leo Zelikowski, Mon témoignage la mia testimonian-za: da Arco ad Auschwitz e ritorno, pp. 165, € 13,50 (Grenzen/confini, 8)“Tutto è cominciato a Vilna, in Russia, il 15 aprile dell’an-no 1910. Una giovane donna mette al mondo due ge-melli, Leo e Israel (Ralla). Questo avvenimento diventerà paradossalmente la causa e la chiave di tutto quello che seguirà: infatti, il solo ‘delitto’ di cui i miei futuri perse-cutori m’incolperanno si riassume in quattro parole: ‘Tu sei nato ebreo!’”.Con queste parole si apre il racconto autobiografico di

Leo Zelikowski che si snoda lungo un percorso esistenziale segnato da un’unica ma evocativa parola: Auschwitz. Il 21 dicembre 1943 l’ingegner Zelikowski vie-ne arrestato ad Arco e trasferito nelle carceri di Trento. Due mesi dopo viene portato, con il con-voglio 08, lo stesso con il quale partì Primo Levi, nel campo di Monowitz (Auschwitz III). Tutti i ricordi dell’Autore riconducono pertanto a questo momento impresso indelebilmente nella memoria storica dell’intera umanità del XX secolo. Il testo viene proposto nella versione originale francese e nella sua traduzione italiana a fronte.

Massimo Tiezzi, L’eroe conteso: la costruzione del mito di Cesare Battisti negli anni 1916-1935, pp. 291, € 18,00 (Vesti del ricordo, 10)Il testo ripercorre la costruzione del mito, che ha se-

gnato, con alti e bassi, la vicenda battistiana a partire dal 12 luglio 1916, data della tragi-ca morte del deputato di Trento, fino al 1935, anno d’inaugurazione del monumento nazionale sul Doss Trento. In que-sto periodo prevalse for-temente, in perfetto stile dannunziano, l’immagine dell’eroe, che, al grido di “viva Trento italiana” lan-ciato dalla forca quando già le mani del boia gli si

stringevano al collo, vinse la propria ventennale battaglia contro l’Austria imperiale, trascinando con sé nella tom-ba il decrepito Francesco Giuseppe.L’Autore mette in luce le contraddizioni dell’apparato mi-litare sabaudo, che stenta a cogliere immediatamente la potenza propagandistica della fine di Battisti, le succes-sive difficoltà del fascismo, che trova proprio nell’epica dannunziana un ostacolo nel fare propria fino in fondo la figura del patriota trentino, ed infine la crescita, lenta e minoritaria fin che si vuole, ma carica di potenziali-tà future per la storiografia battistiana, dell’immagine dell’anti-eroe, vittima di quella guerra europea fratricida che aveva segnato la fine dell’ideale socialista di fratel-lanza universale.

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L’EROE CONTESO

MUSEO STORICO IN TRENTO ONLUS

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Il testo ripercorre la costruzione del mito, che ha segnato, con alti e bassi, la vicenda battistiana a partire dal 12 luglio 1916, data della tragica morte del deputato di Trento, fino al 1935, anno d’inaugurazione del monumento nazionale sul Doss Trento. In questo periodo prevalse forte-mente, in perfetto stile dannunziano, l’immagine dell’eroe, che, al grido di «viva Trento italiana» lanciato dalla forca quando già le mani del boia gli si stringevano al collo, vinse la propria ventennale battaglia contro l’Austria imperiale, trascinando con sé nella tomba il decrepito Francesco Giuseppe.L’Autore mette in luce le contraddizioni dell’ap-parato militare sabaudo, che stenta a cogliere immediatamente la potenza propagandistica della fine di Battisti, le successive difficoltà del fascismo, che trova proprio nell’epica dan-nunziana un ostacolo nel fare propria fino in fondo la figura del patriota trentino, ed infine la crescita, lenta e minoritaria fin che si vuole, ma carica di potenzialità future per la storiografia battistiana, dell’immagine dell’anti-eroe, vittima di quella guerra europea fratricida che aveva segnato la fine dell’ideale socialista di fratellanza universale.

Sommario: Premessa; Introduzione; CAPITOLO PRIMO: L’eroe della Patria; CAPITOLO SECONDO: La costruzione del mito; CAPITOLO TERZO: La contesa sulla memoria; Riferimenti bibliografici; Indice dei nomi.

Massimo Tiezzi è dottore di ricerca in Storia dei partiti e dei movimenti politici. Questo volume rielabora la sua tesi di dottorato intitolata «Ce-sare Battisti: nascita ed evoluzione di un mito (1916-1935)».

ISBN 978-88-7197-100-1E 18,00

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ALTRESTORIE - Periodico di informazione - Direttore responsabile: Sergio BenvenutiComitato di redazione: Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Paolo Piffer, Rodolfo TaianiHanno collaborato a questo numero: Elena Andreotti, Massimo Parolini, Francesca Rocchetti e Caterina Tomasi Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1.132 ISSN 1720-6812Progetto grafico: Graficomp - Pergine (TN)

Via Torre d’Augusto, 35/4138100 TRENTOTel. 0461.230482 Fax [email protected] www.museostorico.it Per ricevere la rivista o gli arretrati, fino ad esaurimento, inoltrare richiesta alla Fondazione Museo storico del Trentino.

Ugo Tartarotti, LaResistenza in Vallagarina: sulle montagne della destra Adige dal febbraio 1944 al maggio 1945, pp. 64, € 6,80 (Quaderni di Archivio Trentino, 16) Prima di scrivere questa testimonianza dedicata alla sua vicenda resisten-ziale, Ugo Tartarotti si è cimentato nella scrittura pubblicando tre romanzi: nel 1990, Il lungo cam-mino, nel 1993, La Wil-ma va in città, nel 1996, La Corte Celeste. Questa volta non è un romanzo ma un’intensa «memoria resistenziale». Anche i suoi roman-zi avevano come sfondo la ricca biografia dell’autore: il mondo contadino, la guerra e la Resistenza, la militanza e l’impegno politico. Evocando le fasi principali della sua esperienza vissuta con il nome di battaglia «Giorgio», Ugo Tartarotti riesce a trasmettere un’idea, per quanto ovviamente parziale, di quella che fu la guerra partigiana in una zona geografica-mente delimitata del Trentino meridionale.

Paolo Piffer, L’Astra, il cinema in casa:gli Artuso e il cinematografo, pp. 79, € 12,50 (Quaderni di Archivio Trentino, 17) È il 20 settembre 1952 quando il cinema «Astra» inaugura ufficialmente a Trento la sua attività con la proiezione della pellicola «Clandestino a Trieste». Fra gli interpreti anche l’attrice trentina Edda Albertini. Inizia così una storia che

riassume in sé qualcosa di più della semplice vicenda di

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una sala cinematografica. È la cronaca di vita di un’inte-ra famiglia, delle tante persone che ne hanno condiviso il progetto imprenditoriale e nel contempo il riflesso di una città e di una società in continua e rapida trasfor-mazione.L’Autore, grazie soprattutto alla testimonianza di Ernesto Artuso, primo titolare del cinema “Astra”, ripercorre la tappe di questi eventi convergenti, restituendo al lettore le intramontabili magie del grande schermo e il fascino del “piacevole buio”.

Aldo Pantozzi, Im Angesicht des Todes=Sotto gli occhi della morte: von Bozen bis nach Mauthausen, a cura di Rodolfo Taiani, pp. 138. € 11,00 (Grenzen/Confini, 10)Edita per la prima volta nel 1946, ad appena un anno di distanza dall’ini-zio delle vicende in essa narrate, questa ricostru-zione autobiografica di Aldo Pantozzi è il raccon-to dei cento terribili gior-ni trascorsi nell’inferno di Mauthausen nei pri-mi mesi del 1945. Una cruda testimonianza, che narra degli orrori che si consumarono in quel luo-go di indicibili sofferenze umane. Oggi, grazie all’apporto fondamentale del Comu-ne di Bolzano e della Provincia autonoma di Bolzano, viene proposta la traduzione in tedesco della versione già edita nel 2002 e successivamente nel 2007.

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Prima di scrivere questa testimonianza dedicata alla sua vicenda resistenziale, Ugo Tartarotti si è cimentato nella scrittura pubblicando tre romanzi: nel 1990, Il lungo cammino, nel 1993, La Wilma va in città, nel 1996, La Corte Celeste. Questa volta non è un romanzo ma un’intensa «memoria resistenziale». Anche i suoi romanzi avevano come sfondo la ricca biografia dell’autore: il mondo contadino, la guerra e la Resistenza, la militanza e l’impegno politico. Evocando le fasi principali della sua esperienza vissuta con il nome di battaglia «Giorgio», Ugo Tartarotti riesce a trasmettere un’idea, per quanto ovviamente parziale, di quella che fu la guerra partigiana in una zona geograficamente delimitata del Trentino meridionale.

SommarioLa memoria del partigiano «Giorgio», di Giuseppe Ferrandi; La Resistenza in Vallagarina; Profili biografici e appendice documentaria.

Ugo TartarottiNato a Pomarolo il 27 luglio 1920, partecipa attivamente alla Resistenza. Dopo la guerra milita nel Partito comunista italiano nelle cui liste sarà eletto consigliere comunale nel 1956 presso il Comune di Trento. Nel 1965 costituisce l’Alleanza Contadini del Trentino assumendone la presidenza fino al 1980. Nel 1974 viene eletto Sindaco di Pomarolo. Nel 1979 approda nel Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige e nel Consiglio della Provincia autonoma di Trento. Dal 1992 è presidente dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia (ANPI)-Sezione di Trento.

ISBN 978-88-7197-102-5

E 6,80

Ugo Tartarotti La Resistenza in Vallagarina

La Resistenza in Vallagarina

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È il 20 settembre 1952 quando il cinema «Astra» inaugura ufficialmente a Trento la sua attività con la proiezione della pellicola «Clandestino a Trieste». Fra gli interpreti anche l’attrice trentina Edda Albertini. Inizia così una storia che riassume in sé qualcosa di più della semplice vicenda di una sala cinematografica. È la cronaca di vita di un’intera famiglia, delle tante persone che ne hanno condiviso il progetto imprenditoriale e nel contempo il riflesso di una città e di una società in continua e rapida trasformazione.L’Autore, grazie soprattutto alla testimonianza di Ernesto Artuso, primo titolare del cinema «Astra», ripercorre la tappe di questi eventi convergenti, restituendo al lettore le intramontabili magie del grande schermo e il fascino del «piacevole buio».

Sommario Premessa di Giuseppe Ferrandi; Quel campo incolto; Ricordi; Dal Veneto al Trentino, dal «Littorio» al «Roma»; La lettera a Degasperi e la «battaglia» dell’Astra; I disegni dell’Astra: le bozze dei progetti non realizzati; L’operatore; «Lascia o raddoppia?» e la crisi di pubblico; L’alluvione e «Malombra»; Il pubblico; Il «Cineforum»; I registri di Ernesto; il racconto della ristrutturazione di Gabriella Daldoss; Presente e futuro

Paolo PifferNato a Trento nel 1961, è giornalista professionista dal 1995. Ha lavorato in radio e televisione. Collabora con il quotidiano Trentino e partecipa all’interno della Fondazione Museo storico del Trentino al comitato di redazione della rivista AltreStorie.

L’Astra il cinema in casa

Paolo Piffer

ISBN 978-88-7197-103-2

E 12,50

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Die erste Auflage des vorliegenden autobiografischen Werks wurde 1946 herausgegeben, nur ein Jahr nach dem Beginn der tragischen Umstände, die darin erzählt werden. Es handelt sich um den schonungslosen Bericht von Aldo Pantozzi über seine schreckliche Erfahrung im Lager Mauthausen: Hundert Tage verbrachte er Anfang 1945 in diesem Ort des Grauens und der tiefsten Verletzung der Menschenwürde.2002 gab das Historische Museum von Trient mit dem Einverständnis der Familie Pantozzi eine kommentierte Neuauflage des Buches heraus, die in kürzester Zeit ausverkauft war. Nun wird das Werk erneut publiziert und dank der wesentlichen Unterstützung der Stadt Bozen und der Autonomen Provinz Bozen auch in deutscher Sprache veröffentlicht, um allen den Zugang zu diesem sowohl in historisch-dokumentarischer als auch in menschlicher Hinsicht wertvollen Buch zu ermöglichen.

InhaltsverzeichnisVorworte. Einführung von Ada Neiger. Aldo Pantozzi (1919-1995): biografische Daten. Im Angesicht des Todes: von Bozen bis nach Mauthausen. Redaktionsvermerk. Vorwort der ersten Auflage. Vorwort des Autors. Namenstag. «Durchgangslager». Block E. Leidensgenossen aus La Spezia. Zu Besuch bei den «Ukrainern». Von oben fällt Freiheit herab. Ins Ungewisse. Adieu, Italien! Die bestialische Reise. Mauthausen! Diebstahl und Verbrechen. «Ruski-Lager»: Block 1. Verpflegung und Ruhe. Grabstätte für Lebende. Die «Weberei». Arbeit, Peitsche, Hunger. Block 9: Ende der Weberei. Vernichtung durch Hunger. Die «Zugänge». Zu den Gaskammern. Die Befreiung. Das kleine Tagebuch von Mario. Ende. Bibliographie. Namensverzeichnis.

Aldo Pantozzi Wurde 1919 in Avezzano geboren. Er besuchte das Gymnasium in Trient und Meran, anschließend das Lyzeum in Bozen. 1942 schloss er sein Rechtsstudium in Bologna ab. Wegen der Bombardierung von Bozen musste er im September 1943 mit seiner Familie nach Cavalese fliehen, wo er einen Lehrauftrag im Schulzentrum von Ezio Mosna erhielt. Am 1. Dezember 1944 wurde er von Beamten des Sicherheitsdienstes verhaftet, ins Gefängnis von Trient überstellt und dort bis zum 10. Januar 1945 gefangen gehalten. Es folgte die Überführung ins Lager Bozen und am 1. Februar 1945 die Deportation in das Vernichtungslager Mauthausen. Nach seiner Rückkehr nach Bozen übte er mit großem Einsatz seine Tätigkeit als Anwalt und ab 1950 als Notar aus. Er starb am 10. November 1995 in Bozen

ISBN 978-88-7197-092-9

E 11,00

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Aldo Pantozzi

Im Angesicht des Todesvon Bozen bis nach Mauthausen

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Im Angesicht des Todesvon Bozen bis nach Mauthausen

Aldo Pantozzi

Provincia Autonoma di Bolzano/Alto Adige

Autonome ProvinzBozen/Südtirol

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Città di BolzanoStadt Bozen

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