Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber...degl'Italiani poetassero volgarmente. V. Se gl'Italiani...

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Storia della letteratura italiana del cav.Abate Girolamo Tiraboschi – Tomo 3. – Parte 2: Dalla caduta dell'impero occidentale fino all'annoMCLXXXIIIAUTORE: Tiraboschi, GirolamoTRADUTTORE:CURATORE:NOTE: Il testo è presente in formato immagine sulsito The Internet Archive (http://www.archive.org/).Alcuni errori sono stati verificati e corretti sullabase dell'edizione di Milano, Società tipograficade' classici italiani, 1823, presente sul sito OPALdell'Università di Torino(http://www.opal.unito.it/psixsite/default.aspx).

CODICE ISBN E-BOOK: 9788828101321

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: [elaborazione da] "Teodolinda, regina deiLongobardi, sposa Agilulfo, duca di Torino (detta-

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TITOLO: Storia della letteratura italiana del cav.Abate Girolamo Tiraboschi – Tomo 3. – Parte 2: Dalla caduta dell'impero occidentale fino all'annoMCLXXXIIIAUTORE: Tiraboschi, GirolamoTRADUTTORE:CURATORE:NOTE: Il testo è presente in formato immagine sulsito The Internet Archive (http://www.archive.org/).Alcuni errori sono stati verificati e corretti sullabase dell'edizione di Milano, Società tipograficade' classici italiani, 1823, presente sul sito OPALdell'Università di Torino(http://www.opal.unito.it/psixsite/default.aspx).

CODICE ISBN E-BOOK: 9788828101321

DIRITTI D'AUTORE: no

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COPERTINA: [elaborazione da] "Teodolinda, regina deiLongobardi, sposa Agilulfo, duca di Torino (detta-

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glio).” - 1444 - Duomo di Monza. - https://commons.-wikimedia.org/wiki/File:Theodelinda_married_Agi-lulf_(detail).jpg - Pubblico Dominio.

TRATTO DA: Storia della letteratura italiana delcav. abate Girolamo Tiraboschi ... Tomo 3. [-9.]Dalla rovina dell'impero occidentale fino all'anno1183. 1. - Firenze : presso Molini, Landi, e C. o,1806. - VI, [1] p., p. 230-469, [1] p

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 17 febbraio 2014

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:LIT004200 CRITICA LETTERARIA / Europea / Italiana

DIGITALIZZAZIONE:Ferdinando Chiodo, [email protected] t

REVISIONE:Claudio Paganelli, [email protected] Santamaria

IMPAGINAZIONE:Ferdinando Chiodo, [email protected] (ODT)Carlo F. Traverso (ePub)Ugo Santamaria (revisione ePub)

PUBBLICAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected]

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glio).” - 1444 - Duomo di Monza. - https://commons.-wikimedia.org/wiki/File:Theodelinda_married_Agi-lulf_(detail).jpg - Pubblico Dominio.

TRATTO DA: Storia della letteratura italiana delcav. abate Girolamo Tiraboschi ... Tomo 3. [-9.]Dalla rovina dell'impero occidentale fino all'anno1183. 1. - Firenze : presso Molini, Landi, e C. o,1806. - VI, [1] p., p. 230-469, [1] p

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 17 febbraio 2014

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4Indice, e Sommario del Tomo III. Parte II......................9Storia della letteratura italiana dalla rovina dell'imperooccidentale fino all'anno MCLXXXIII.........................17

Continuazione del Libro III. Storia della Letteratu-ra Italiana da' tempi di Carlo Magno fino alla mortedi Ottone III..........................................................17

Capo III. Belle lettere.......................................17Capo IV. Filosofia, Matematica, Medicina......59Capo V. Giurisprudenza...................................71Capo VI. Arti liberali.......................................76

LIBRO IV. Storia della Letteratura Italiana dallamorte di Ottone iii fino alla pace di Costanza.. . . .81

Capo I. Idea generale dello stato civile, e lette-rario d'Italia in quest'epoca.............................82Capo II. Studj sacri.........................................105Capo III. Belle lettere.....................................177Capo IV. Principj della poesia provenzale e del-la italiana........................................................209Capo V. Filosofia e Matematica.....................231Capo VI. Medicina.........................................265Capo VII. Giurisprudenza civile e canonica, eprincipj della università di Bologna...............288Capo VIII. Arti liberali...................................360

Catalogo......................................................................380

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4Indice, e Sommario del Tomo III. Parte II......................9Storia della letteratura italiana dalla rovina dell'imperooccidentale fino all'anno MCLXXXIII.........................17

Continuazione del Libro III. Storia della Letteratu-ra Italiana da' tempi di Carlo Magno fino alla mortedi Ottone III..........................................................17

Capo III. Belle lettere.......................................17Capo IV. Filosofia, Matematica, Medicina......59Capo V. Giurisprudenza...................................71Capo VI. Arti liberali.......................................76

LIBRO IV. Storia della Letteratura Italiana dallamorte di Ottone iii fino alla pace di Costanza.. . . .81

Capo I. Idea generale dello stato civile, e lette-rario d'Italia in quest'epoca.............................82Capo II. Studj sacri.........................................105Capo III. Belle lettere.....................................177Capo IV. Principj della poesia provenzale e del-la italiana........................................................209Capo V. Filosofia e Matematica.....................231Capo VI. Medicina.........................................265Capo VII. Giurisprudenza civile e canonica, eprincipj della università di Bologna...............288Capo VIII. Arti liberali...................................360

Catalogo......................................................................380

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STORIA DELLA

LETTERATURA ITALIANADEL CAV. ABATE

GIROLAMO TIRABOSCHI

TOMO III. - PARTE II. DALLA ROVINA DELL'IMPERO OCCIDEN-

TALE FINO ALL'ANNO MCLXXXIII.

www.liberliber.it

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STORIA DELLA

LETTERATURA ITALIANADEL CAV. ABATE

GIROLAMO TIRABOSCHI

TOMO III. - PARTE II. DALLA ROVINA DELL'IMPERO OCCIDEN-

TALE FINO ALL'ANNO MCLXXXIII.

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INDICE, E SOMMARIO DELTOMO III. PARTE II.

Continuazione del Libro III. Storia della LetteraturaItaliana da' tempi di Carlo Magno fino alla morte di

Ottone III.

CAPO III.Belle lettere.

I. La lingua greca continuò ad essere coltivata in alcune, non af-fatto dimenticata in altre provincie. II. Numero non picciolo dipoeti, benché assai rozzi, di questa età. III. Si entra a parlar deglistorici, e primieramente di Paolo diacono. IV. Sua nascita, e suoistudj ed impieghi sotto i re longobardi. V. Vicende di esso dopo larovina dei Longobardi secondo alcuni scrittori. VI. Si esamina seesse meritin fede. VII. Si pruova che Paolo diacono non andò inFrancia se non quando era già monaco. VIII. E prima della mortedi Arigiso principe di Benevento. IX. Anzi probabilmente finodall'an. 781. X. Si stabiliscono l'epoche più verisimili di questotratto della vita di Paolo. XI. Suo ritorno in Italia, e tempo dellasua morte. XII. Elogi ad esso fatti, e stima in cui avealo Carlo M.XIII. Notizie delle principali opere di Paolo. XIV. Altre operò delmedesimo. XV. Andrea da Bergamo cronista. XVI. Erchempertoscrittor di una Storia dei Principi longobardi di Benevento. XVII.Anonimi salernitano e beneventano. XVIII. Altri storici accenna-ti. XIX. Notizie de' primi anni dello storico Liutprando. XX.Quando scrivesse la sua Storia: carattere di essa. XXI. È fatto ve-scovo di Cremona: sue azioni, e sua morte. XXII. Chi sia l'Anoni-

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INDICE, E SOMMARIO DELTOMO III. PARTE II.

Continuazione del Libro III. Storia della LetteraturaItaliana da' tempi di Carlo Magno fino alla morte di

Ottone III.

CAPO III.Belle lettere.

I. La lingua greca continuò ad essere coltivata in alcune, non af-fatto dimenticata in altre provincie. II. Numero non picciolo dipoeti, benché assai rozzi, di questa età. III. Si entra a parlar deglistorici, e primieramente di Paolo diacono. IV. Sua nascita, e suoistudj ed impieghi sotto i re longobardi. V. Vicende di esso dopo larovina dei Longobardi secondo alcuni scrittori. VI. Si esamina seesse meritin fede. VII. Si pruova che Paolo diacono non andò inFrancia se non quando era già monaco. VIII. E prima della mortedi Arigiso principe di Benevento. IX. Anzi probabilmente finodall'an. 781. X. Si stabiliscono l'epoche più verisimili di questotratto della vita di Paolo. XI. Suo ritorno in Italia, e tempo dellasua morte. XII. Elogi ad esso fatti, e stima in cui avealo Carlo M.XIII. Notizie delle principali opere di Paolo. XIV. Altre operò delmedesimo. XV. Andrea da Bergamo cronista. XVI. Erchempertoscrittor di una Storia dei Principi longobardi di Benevento. XVII.Anonimi salernitano e beneventano. XVIII. Altri storici accenna-ti. XIX. Notizie de' primi anni dello storico Liutprando. XX.Quando scrivesse la sua Storia: carattere di essa. XXI. È fatto ve-scovo di Cremona: sue azioni, e sua morte. XXII. Chi sia l'Anoni-

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mo geografo di Ravenna.

CAPO IV.Filosofia, Matematica, Medicina.

I. In che senso si debba intendere, ove si trovano a questi tempinominati filosofi. II. Nè la filosofia nè la matematica fu puntocoltivata. III. Il solo celebre coltivatore di esse fu Gerberto: noti-zie della sua vita. IV. Sua elezione al pontificato col nome di Sil-vestro II, e sua morte. V. Suo fervore nel coltivare e promuoveregli studj: calunnia appostagli. VI. Riflessioni sull'elogio di Pacifi-co arcidiacono di Verona, e sulle invenzioni attribuitegli. VII.Astronomia coltivata in Italia. VIII. La medicina non ebbe uominiillustri: essa fu coltivata anche da' monaci.

CAPO V.Giurisprudenza.

I. Questo argomento è stato già illustrato da altri. II. Le diversenazioni che abitavan l'Italia, professavano diverse leggi. III. Ecce-zioni da questa regola generale. IV. Altre leggi pubblicate da' refranchi. V. Come si schivasse la confusione nata da tante leggi.VI. Ragione della brevità di questo capo.

CAPO VI.Arti liberali.

I. Si siegue a provare che le arti liberali non mancarono mai inItalia. II. Pitture, musaici e sculture fatte per ordin de' Papi. III.Altri somiglianti lavori in altre parti d'Italia.

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mo geografo di Ravenna.

CAPO IV.Filosofia, Matematica, Medicina.

I. In che senso si debba intendere, ove si trovano a questi tempinominati filosofi. II. Nè la filosofia nè la matematica fu puntocoltivata. III. Il solo celebre coltivatore di esse fu Gerberto: noti-zie della sua vita. IV. Sua elezione al pontificato col nome di Sil-vestro II, e sua morte. V. Suo fervore nel coltivare e promuoveregli studj: calunnia appostagli. VI. Riflessioni sull'elogio di Pacifi-co arcidiacono di Verona, e sulle invenzioni attribuitegli. VII.Astronomia coltivata in Italia. VIII. La medicina non ebbe uominiillustri: essa fu coltivata anche da' monaci.

CAPO V.Giurisprudenza.

I. Questo argomento è stato già illustrato da altri. II. Le diversenazioni che abitavan l'Italia, professavano diverse leggi. III. Ecce-zioni da questa regola generale. IV. Altre leggi pubblicate da' refranchi. V. Come si schivasse la confusione nata da tante leggi.VI. Ragione della brevità di questo capo.

CAPO VI.Arti liberali.

I. Si siegue a provare che le arti liberali non mancarono mai inItalia. II. Pitture, musaici e sculture fatte per ordin de' Papi. III.Altri somiglianti lavori in altre parti d'Italia.

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LIBRO IV.

Storia dalla Letteratura Italiana dalla morte di Ottone III finoalla pace di Costanza.

CAPO I.Idea generale dello stato civile e letterario d'Italia in quest'epo-

ca.I. Arduino eletto re d'Italia, e poscia spogliato del regno da ArrigoI imperatore. II. Regno di Corrado il Salico e di Arrigo II. III. Sta-to infelice dell'Italia nelle discordie tra 'l sacerdozio e l'impero a'tempi di Arrigo III. IV. Continuano le calamità e le guerre civilisotto Arrigo IV. V. Nel tempo stesso i Normanni invadono e occu-pano i regni di Napoli e di Sicilia. VI. Regno di Lottario III, diCorrado II, e di Federigo I. pace di Costanza. VII. Stato infelicedell'Italia riguardo alle lettere. VIII. I romani pontefici nondime-no ai studiano di promuoverle. IX. Scuole ecclesiastiche di Mila-no assai fiorenti per quell'età. X. Se oltre queste, altre pubblichescuole fossero in Milano. XI. Scuole in altre città, e singolarmen-te in Parma. XII. Se vi fosse allora università in Piacenza e in Na-poli. XIII. Tumulto destato in Francia da Benedetto priore dellaChiusa. XIV. Stato della biblioteca vaticana: suoi bibliotecarj.

CAPO II.Studj sacri.

I. Dall'Italia si sparsero in altre provincie i ristoratori degli studjsacri. II. Fullberto vesc. di Chartres fu probabilmente italiano. III.Suoi studj a sue opere. IV. Notizie di Lanfranco pavese arciv. diCantorberì; ove facesse i primi studj. V. Passato in Francia vi farifiorire gli studj. VI. Sue premure nel confrontare e nel corregge-re gli antichi codici. VII. Suo arcivescovado; sua morte e sue ope-

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LIBRO IV.

Storia dalla Letteratura Italiana dalla morte di Ottone III finoalla pace di Costanza.

CAPO I.Idea generale dello stato civile e letterario d'Italia in quest'epo-

ca.I. Arduino eletto re d'Italia, e poscia spogliato del regno da ArrigoI imperatore. II. Regno di Corrado il Salico e di Arrigo II. III. Sta-to infelice dell'Italia nelle discordie tra 'l sacerdozio e l'impero a'tempi di Arrigo III. IV. Continuano le calamità e le guerre civilisotto Arrigo IV. V. Nel tempo stesso i Normanni invadono e occu-pano i regni di Napoli e di Sicilia. VI. Regno di Lottario III, diCorrado II, e di Federigo I. pace di Costanza. VII. Stato infelicedell'Italia riguardo alle lettere. VIII. I romani pontefici nondime-no ai studiano di promuoverle. IX. Scuole ecclesiastiche di Mila-no assai fiorenti per quell'età. X. Se oltre queste, altre pubblichescuole fossero in Milano. XI. Scuole in altre città, e singolarmen-te in Parma. XII. Se vi fosse allora università in Piacenza e in Na-poli. XIII. Tumulto destato in Francia da Benedetto priore dellaChiusa. XIV. Stato della biblioteca vaticana: suoi bibliotecarj.

CAPO II.Studj sacri.

I. Dall'Italia si sparsero in altre provincie i ristoratori degli studjsacri. II. Fullberto vesc. di Chartres fu probabilmente italiano. III.Suoi studj a sue opere. IV. Notizie di Lanfranco pavese arciv. diCantorberì; ove facesse i primi studj. V. Passato in Francia vi farifiorire gli studj. VI. Sue premure nel confrontare e nel corregge-re gli antichi codici. VII. Suo arcivescovado; sua morte e sue ope-

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re. VIII. Elogio di s. Anselmo arciv. di Cantorberì. IX. Suoi studj,sue opere e pregio in cui debbono aversi. X. Elogi fatti ad Ansel-mo e a Lanfranco da' Maurini. XI. Notizie di Pier lombardo: que-stione intorno alla sua patria. XII. Epoche della sua vita. XIII.Sue opere: carattere del suo libro delle Sentenze. XIV. Ribattesi lacalunnia di plagio da alcuni appostagli. XV. Accuse date da alcu-ni alla sua dottrina. XVI. Notizie di Pietro Mangiatore: congettureper crederlo italiano. XVII. Lodolfo da Novara e Bernardo daPisa professori di teologia in Parigi. XVIII. Molti Italiani vannoalle scuole teologiche di Francia. XIX. Se ne annoverano alcuni.XX. Vescovi francesi in Italia, e dotti Italiani in Francia. XXI. Al-cuni romani pontefici lodati per dottrina. XXII. Compendio dellavita di s. Pier Damiano. XXIII. Sue opere e loro carattere. XXIV.Notizie di Alberico monaco casinese e delle sue opere. XXV. Di-versità di pareri degli antichi scrittori nel parlare di s. Brunonevescovo di Segni. XXVI. Compendio della sua vita. XXVII. Sueopere. XXVIII. Quanto debbano a' monaci di questi tempi tutti glistudj. XXIX. Compendio della vita, e notizia dell'opere di s. An-selmo vesc. di Lucca. XXX. Grossolano arcivescovo di Milano,sue vicende. XXXI. Continuazione delle vicende di Grossolano.XXXII. Quanto dotto uomo egli fosse: sue opere singolarmentecontro gli errori de' Greci. XXXIII. Notizie della vita e dell'operedel vescovo Bonizone. XXXIV. Altri scrittori contro gli errori de'Greci. XXXV. Scrittori di Storia sacra: Cronaca del monast. diFarfa. XXXVI. Cronache d'altri monasteri. XXXVII. Cronaca diMonte Casino scritta da Leone marsicano. XXXVIII. Continuatada Pietro diacono. XXXIX. Altre opere di esso. XL. Scrittori del-le Vite de' Papi. XLI. Altrove parlerassi de' canonisti.

CAPO III.Belle lettere.

I. Per qual ragione fosse ancora scarso il numero de' coltivatori

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re. VIII. Elogio di s. Anselmo arciv. di Cantorberì. IX. Suoi studj,sue opere e pregio in cui debbono aversi. X. Elogi fatti ad Ansel-mo e a Lanfranco da' Maurini. XI. Notizie di Pier lombardo: que-stione intorno alla sua patria. XII. Epoche della sua vita. XIII.Sue opere: carattere del suo libro delle Sentenze. XIV. Ribattesi lacalunnia di plagio da alcuni appostagli. XV. Accuse date da alcu-ni alla sua dottrina. XVI. Notizie di Pietro Mangiatore: congettureper crederlo italiano. XVII. Lodolfo da Novara e Bernardo daPisa professori di teologia in Parigi. XVIII. Molti Italiani vannoalle scuole teologiche di Francia. XIX. Se ne annoverano alcuni.XX. Vescovi francesi in Italia, e dotti Italiani in Francia. XXI. Al-cuni romani pontefici lodati per dottrina. XXII. Compendio dellavita di s. Pier Damiano. XXIII. Sue opere e loro carattere. XXIV.Notizie di Alberico monaco casinese e delle sue opere. XXV. Di-versità di pareri degli antichi scrittori nel parlare di s. Brunonevescovo di Segni. XXVI. Compendio della sua vita. XXVII. Sueopere. XXVIII. Quanto debbano a' monaci di questi tempi tutti glistudj. XXIX. Compendio della vita, e notizia dell'opere di s. An-selmo vesc. di Lucca. XXX. Grossolano arcivescovo di Milano,sue vicende. XXXI. Continuazione delle vicende di Grossolano.XXXII. Quanto dotto uomo egli fosse: sue opere singolarmentecontro gli errori de' Greci. XXXIII. Notizie della vita e dell'operedel vescovo Bonizone. XXXIV. Altri scrittori contro gli errori de'Greci. XXXV. Scrittori di Storia sacra: Cronaca del monast. diFarfa. XXXVI. Cronache d'altri monasteri. XXXVII. Cronaca diMonte Casino scritta da Leone marsicano. XXXVIII. Continuatada Pietro diacono. XXXIX. Altre opere di esso. XL. Scrittori del-le Vite de' Papi. XLI. Altrove parlerassi de' canonisti.

CAPO III.Belle lettere.

I. Per qual ragione fosse ancora scarso il numero de' coltivatori

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dell'amena letteratura. II. Non pochi Italiani si trovano che furondotti nel greco. III. E fra essi singolarmente Papia autore di unLessico latino. IV. E Burgondio pisano traduttore di molte operedal greco. V. Questi era ancor molto versato nelle scienze sacre.VI. Di eloquenza non si ha alcun saggio degno di memoria. VII.Molti monaci casinesi lodati allora come valorosi poeti. VIII.Poema di Guglielmo dalla Puglia: notizie di esso. IX. Donizone,l'Anonimo comasco, e Mosè da Bergamo: ricerche su quest'ulti-mo. X. Lorenzo diacono pisano e poeta. XI. Storici milanesi diquest'epoca. XII. Storici di altre città lombarde. XIII. Scrittoridella Storia di Genova destinati da quel pubblico. XIV. Storici na-poletani e siciliani. XV. Altri storici delle stesse provincie.

CAPO IV.Principj della poesia provenzale e della italiana.

I. A questi tempi appartiene l'origine della poesia volgare in Italia.II. L'uso della rima è antichissimo, e se ne trovano esempj pressotutte le nazioni. III. Il Petrarca attribuisce a' Siciliani la lode diavere i primi usato della rima. IV. Sembra che i Provenzali primadegl'Italiani poetassero volgarmente. V. Se gl'Italiani apprendes-sero a rimare da' Provenzali: Vite favolose di questi poeti. VI.Notizie di Folchetto: errori degli altri scrittori nel ragionarne. VII.Iscrizione in versi italiani nel duomo di Ferrara, se debba ammet-tersi per sincera. VIII. Altro saggio supposto di poesia italiana inuna lapida di casa Ubaldini. IX. Non si può a quest'epoca indicarealcun sicuro saggio di poesia italiana.

CAPO V.Filosofia e Matematica.

I. Queste scienze cominciano a risorgere in Italia. II. A Lanfrancoe a s. Anselmo deesi la lode di aver ravvivata in Francia la filoso-

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dell'amena letteratura. II. Non pochi Italiani si trovano che furondotti nel greco. III. E fra essi singolarmente Papia autore di unLessico latino. IV. E Burgondio pisano traduttore di molte operedal greco. V. Questi era ancor molto versato nelle scienze sacre.VI. Di eloquenza non si ha alcun saggio degno di memoria. VII.Molti monaci casinesi lodati allora come valorosi poeti. VIII.Poema di Guglielmo dalla Puglia: notizie di esso. IX. Donizone,l'Anonimo comasco, e Mosè da Bergamo: ricerche su quest'ulti-mo. X. Lorenzo diacono pisano e poeta. XI. Storici milanesi diquest'epoca. XII. Storici di altre città lombarde. XIII. Scrittoridella Storia di Genova destinati da quel pubblico. XIV. Storici na-poletani e siciliani. XV. Altri storici delle stesse provincie.

CAPO IV.Principj della poesia provenzale e della italiana.

I. A questi tempi appartiene l'origine della poesia volgare in Italia.II. L'uso della rima è antichissimo, e se ne trovano esempj pressotutte le nazioni. III. Il Petrarca attribuisce a' Siciliani la lode diavere i primi usato della rima. IV. Sembra che i Provenzali primadegl'Italiani poetassero volgarmente. V. Se gl'Italiani apprendes-sero a rimare da' Provenzali: Vite favolose di questi poeti. VI.Notizie di Folchetto: errori degli altri scrittori nel ragionarne. VII.Iscrizione in versi italiani nel duomo di Ferrara, se debba ammet-tersi per sincera. VIII. Altro saggio supposto di poesia italiana inuna lapida di casa Ubaldini. IX. Non si può a quest'epoca indicarealcun sicuro saggio di poesia italiana.

CAPO V.Filosofia e Matematica.

I. Queste scienze cominciano a risorgere in Italia. II. A Lanfrancoe a s. Anselmo deesi la lode di aver ravvivata in Francia la filoso-

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fia. III. Quanto debba la metafisica a s. Anselmo anche per dettodel Leibnizio. IV. Notizie di Giovanni filosofo italiano: Sue vi-cende alla corte di Costantinopoli. V. Suo strano metodo di dispu-tare: è costretto a ritrattare i suoi errori. VI. Sue opere. VII. Noti-zie di Gherardo cremonese: questione intorno alla sua patria.VIII. Codici ed autori che danno Cremona per patria a Gherardo.IX. Risposta agli argomenti in favor di Carmona. X. Sue traduzio-ni dall'arabo in latino. XI. Altri indici di studj filosofici e astrono-mici in Italia. XII. Guido d'Arezzo ristorator della musica; sipruova ch'ei fu monaco della Pomposa. XIII. Risposta alle contra-rie ragioni degli annalisti camaldolesi. XIV. Che cosa egli adope-rasse a perfezionare la musica.

CAPO VI.Medicina.

I. Anche la medicina comincia di questo tempo a rifiorire in Ita-lia. II. Fin dal X secolo Salerno era celebre pe' suoi medici. III. Èprobabile che la scuola salernitana dovesse molto alle opere diCostantino africano. IV. Precetti della scuola salernitana quantocelebri. V. Essi furono probabilmente diretti a Roberto di Nor-mandia pretendente al regno d'Inghilterra. VI. A qual occasionegli scrivessero essi. VII. Se ne crede autore Giovanni da Milano.VIII. Fama di cui godeva la scuola salernitana. IX. Nomi di alcu-ni medici a que' tempi famosi. X. Molti tra i monaci coltivaronoquesto studio. XI. Leggi de' Concilj per toglier gli abusi che nenascevano. XII. Non pare che fuor di Salerno fossero altre scuolepubbliche di medicina.

CAPO VII.Giurisprudenza civile e canonica, e principi dell'Università di

Bologna.

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fia. III. Quanto debba la metafisica a s. Anselmo anche per dettodel Leibnizio. IV. Notizie di Giovanni filosofo italiano: Sue vi-cende alla corte di Costantinopoli. V. Suo strano metodo di dispu-tare: è costretto a ritrattare i suoi errori. VI. Sue opere. VII. Noti-zie di Gherardo cremonese: questione intorno alla sua patria.VIII. Codici ed autori che danno Cremona per patria a Gherardo.IX. Risposta agli argomenti in favor di Carmona. X. Sue traduzio-ni dall'arabo in latino. XI. Altri indici di studj filosofici e astrono-mici in Italia. XII. Guido d'Arezzo ristorator della musica; sipruova ch'ei fu monaco della Pomposa. XIII. Risposta alle contra-rie ragioni degli annalisti camaldolesi. XIV. Che cosa egli adope-rasse a perfezionare la musica.

CAPO VI.Medicina.

I. Anche la medicina comincia di questo tempo a rifiorire in Ita-lia. II. Fin dal X secolo Salerno era celebre pe' suoi medici. III. Èprobabile che la scuola salernitana dovesse molto alle opere diCostantino africano. IV. Precetti della scuola salernitana quantocelebri. V. Essi furono probabilmente diretti a Roberto di Nor-mandia pretendente al regno d'Inghilterra. VI. A qual occasionegli scrivessero essi. VII. Se ne crede autore Giovanni da Milano.VIII. Fama di cui godeva la scuola salernitana. IX. Nomi di alcu-ni medici a que' tempi famosi. X. Molti tra i monaci coltivaronoquesto studio. XI. Leggi de' Concilj per toglier gli abusi che nenascevano. XII. Non pare che fuor di Salerno fossero altre scuolepubbliche di medicina.

CAPO VII.Giurisprudenza civile e canonica, e principi dell'Università di

Bologna.

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A quest'epoca comincia l'Italia ad esser celebre per lo studio delleleggi. II. Qual fosse in addietro lo stato della giurisprudenza. III.Questo studio comincia a rifiorire nell'XI secolo. IV. La mutaziondel governo in Italia ne fu il principal motivo. V. Quai leggi fos-sero in vigore: questione intorno al celebre codice delle Pandette.VI. Si pruova che il detto codice non potè essere allora il solo inItalia. VII. Ragioni per dubitare del fatto che di esso raccontasi.VIII. Si pruova che Lottario non annullò mai le altre leggi fuordelle romane. IX. Le leggi romane però più di tutte erano in uso.X. Bologna fu la sede della prima celebre scuola di leggi. XI.Non è provato abbastanza che Lanfranco ne fosse ivi professore.XII. Eran però ivi altre scuole a que' tempi. XIII. Qual origineavesse lo studio della giurisprudenza in Bologna. XIV. Irnerio nefu il primo fondatore. XV. Per qual ragione si rivolgesse egli allostudio delle leggi. XVI. Sue opere legali. XVII. Fama di cui go-deva: epoche della sua vita. XVIII. Celebrità da lui ottenuta allescuole bolognesi. XIX. Federigo I rende grandi onori a quattrogiureconsulti bolognesi. XX. E accorda privilegi a' professori eagli scolari. XXI. Notizie de' quattro giureconsulti suddetti; e pri-ma di Bulgaro. XXII. Di Martino Gosia. XXIII. Di Ugo e di Jaco-po da Porta Ravegnana. XXIV. L'Università di Bologna onoratada Alessandro III. XXV. Gran concorso ad essa di forestieri d'ogninazione. XXVI. Notizie di altri celebri giureconsulti in Bologna.XXVII. Scuole legali in altre città d'Italia, e prima in Modena.XXVIII. In Mantova, in Padova e in Piacenza. XXIX. Se fosseranche in Pisa. XXX. E in Milano: notizie di Oberto dall'Orto.XXXI. Vacario fa rifiorire in Inghilterra lo studio delle leggi. XX-XII. E il Piacentino in Montpellier. XXXIII. Storia della giuri-sprudenza canonica: incertezza intorno a Graziano. XXXIV. Anti-che Collezioni di Canoni. XXXV. Notizie meno dubbiose dellavita di Graziano. XXXVI. Sua Raccolta di Canoni: pregi e difettidi essa. XXXVII. Antichi interpreti di Graziano: Pocapaglia. XX-XVIII. Ognibene ed altri: concorso di stranieri a Bologna per tale

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A quest'epoca comincia l'Italia ad esser celebre per lo studio delleleggi. II. Qual fosse in addietro lo stato della giurisprudenza. III.Questo studio comincia a rifiorire nell'XI secolo. IV. La mutaziondel governo in Italia ne fu il principal motivo. V. Quai leggi fos-sero in vigore: questione intorno al celebre codice delle Pandette.VI. Si pruova che il detto codice non potè essere allora il solo inItalia. VII. Ragioni per dubitare del fatto che di esso raccontasi.VIII. Si pruova che Lottario non annullò mai le altre leggi fuordelle romane. IX. Le leggi romane però più di tutte erano in uso.X. Bologna fu la sede della prima celebre scuola di leggi. XI.Non è provato abbastanza che Lanfranco ne fosse ivi professore.XII. Eran però ivi altre scuole a que' tempi. XIII. Qual origineavesse lo studio della giurisprudenza in Bologna. XIV. Irnerio nefu il primo fondatore. XV. Per qual ragione si rivolgesse egli allostudio delle leggi. XVI. Sue opere legali. XVII. Fama di cui go-deva: epoche della sua vita. XVIII. Celebrità da lui ottenuta allescuole bolognesi. XIX. Federigo I rende grandi onori a quattrogiureconsulti bolognesi. XX. E accorda privilegi a' professori eagli scolari. XXI. Notizie de' quattro giureconsulti suddetti; e pri-ma di Bulgaro. XXII. Di Martino Gosia. XXIII. Di Ugo e di Jaco-po da Porta Ravegnana. XXIV. L'Università di Bologna onoratada Alessandro III. XXV. Gran concorso ad essa di forestieri d'ogninazione. XXVI. Notizie di altri celebri giureconsulti in Bologna.XXVII. Scuole legali in altre città d'Italia, e prima in Modena.XXVIII. In Mantova, in Padova e in Piacenza. XXIX. Se fosseranche in Pisa. XXX. E in Milano: notizie di Oberto dall'Orto.XXXI. Vacario fa rifiorire in Inghilterra lo studio delle leggi. XX-XII. E il Piacentino in Montpellier. XXXIII. Storia della giuri-sprudenza canonica: incertezza intorno a Graziano. XXXIV. Anti-che Collezioni di Canoni. XXXV. Notizie meno dubbiose dellavita di Graziano. XXXVI. Sua Raccolta di Canoni: pregi e difettidi essa. XXXVII. Antichi interpreti di Graziano: Pocapaglia. XX-XVIII. Ognibene ed altri: concorso di stranieri a Bologna per tale

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studio. XXXIX. Raccolte di Canoni del card. Laborante e delcard. Albino. XL. Epilogo: confutazione di un detto di monsig.Huet.

CAPO VIII.Arti liberali.

I. Pittura esercitata in diversi monasteri in questi due secoli. II.Esame del celebre passo di Leone ostiense. III. Anche i musaicipar che fossero lavoro degl'italiani. IV. Pitture fatte per comandode' papi. V. Altre pitture: Luca pittor fiorentino. VI. Pitture inPisa, in Bologna e altrove. VII. Magnifici tempj innalzati in di-verse parti d'Italia. VIII. Molte città si cingon di mura. IX. Le piùbelle torri d'Italia innalzate in questi tempi. X. Stato della scultu-ra.

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studio. XXXIX. Raccolte di Canoni del card. Laborante e delcard. Albino. XL. Epilogo: confutazione di un detto di monsig.Huet.

CAPO VIII.Arti liberali.

I. Pittura esercitata in diversi monasteri in questi due secoli. II.Esame del celebre passo di Leone ostiense. III. Anche i musaicipar che fossero lavoro degl'italiani. IV. Pitture fatte per comandode' papi. V. Altre pitture: Luca pittor fiorentino. VI. Pitture inPisa, in Bologna e altrove. VII. Magnifici tempj innalzati in di-verse parti d'Italia. VIII. Molte città si cingon di mura. IX. Le piùbelle torri d'Italia innalzate in questi tempi. X. Stato della scultu-ra.

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STORIADELLA

LETTERATURA ITALIANADALLA ROVINA DELL'IMPERO OCCIDENTALE FINO

ALL'ANNO MCLXXXIII.

Continuazione del Libro III. Storia della Lettera-tura Italiana da' tempi di Carlo Magno fino

alla morte di Ottone III.

CAPO III.Belle lettere.

I. Eccoci a un argomento in cui già da piùsecoli appena incontriamo oggetto che conpiacer ci trattenga; e che altro non ci offrecomunemente che rozzezza e barbarie. Ciònon ostante anche da questo incolto terrenonoi verrem raccogliendo, benchè a grandestento, qualche piccola spiga, che, se nonpotrà appagare per ora le nostre brame, dia-ci almeno speranza di più lieta messe ne'

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La lingua greca conti-nuò ad es-sere colti-vata in al-cune, non affatto di-menticata in altre pro-vincie.

STORIADELLA

LETTERATURA ITALIANADALLA ROVINA DELL'IMPERO OCCIDENTALE FINO

ALL'ANNO MCLXXXIII.

Continuazione del Libro III. Storia della Lettera-tura Italiana da' tempi di Carlo Magno fino

alla morte di Ottone III.

CAPO III.Belle lettere.

I. Eccoci a un argomento in cui già da piùsecoli appena incontriamo oggetto che conpiacer ci trattenga; e che altro non ci offrecomunemente che rozzezza e barbarie. Ciònon ostante anche da questo incolto terrenonoi verrem raccogliendo, benchè a grandestento, qualche piccola spiga, che, se nonpotrà appagare per ora le nostre brame, dia-ci almeno speranza di più lieta messe ne'

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La lingua greca conti-nuò ad es-sere colti-vata in al-cune, non affatto di-menticata in altre pro-vincie.

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tempi avvenire. E per cominciare dallo studio della lin-gua greca, come abbiam fatto anche nell'epoca prece-dente, niuno avrà a stupire ch'essa fosse tuttor coltivatada molti in quella estremità dell'Italia, che in parte eraancor sottoposta ai Greci; perciocchè il vicendevol com-mercio tra essi e gl'Italiani rendeane necessario lo stu-dio. Così abbiam veduto poc'anzi che Sergio padre eGregorio fratello di s. Atanasio vescovo di Napoli eransiin essa esercitati per modo, che potevano senza apprec-chio recar dal greco in latino dal latino in greco qualun-que scritto venisse loro offerto. Così ancor nell'elogio diun Landolfo conte, che vedesi in Isernia, e che sembraappartenere al X secolo, dicesi ch'egli era dottissimonella greca e nella latina favella (Murat. Thes. Inscript.vol. 4, p. 1897); e così pure è probabile che si potessedir di più altri, come suole avvenir nelle lingue di duepopoli vicini e commercianti. In Roma ancora per operade' romani pontefici se ne mantenne vivo lo studio el'esercizio. Perciocchè, come abbiamo osservato essersifatto dal pontef. Paolo I verso l'an. 766, altri ponteficiancora fondarono monasteri, i quali vollero che fosseroabitati da monaci che usassero ne' Divini Uffici la lin-gua e il rito greco. Nelle Vite de' romani Pont. attribuitead Anastasio ne abbiamo più pruove. Stefano IV, dettoda altri V, secondo questo scrittore l'an. 816 "fondò ilmonastero di s. Prassede, in cui raccolse una congrega-zione di monaci greci che dì e notte salmeggiassero colloro rito (Script. rer. ital. t. 3, pars 1, p. 215)". E LeonIV similmente verso la metà di questo medesimo secolo

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tempi avvenire. E per cominciare dallo studio della lin-gua greca, come abbiam fatto anche nell'epoca prece-dente, niuno avrà a stupire ch'essa fosse tuttor coltivatada molti in quella estremità dell'Italia, che in parte eraancor sottoposta ai Greci; perciocchè il vicendevol com-mercio tra essi e gl'Italiani rendeane necessario lo stu-dio. Così abbiam veduto poc'anzi che Sergio padre eGregorio fratello di s. Atanasio vescovo di Napoli eransiin essa esercitati per modo, che potevano senza apprec-chio recar dal greco in latino dal latino in greco qualun-que scritto venisse loro offerto. Così ancor nell'elogio diun Landolfo conte, che vedesi in Isernia, e che sembraappartenere al X secolo, dicesi ch'egli era dottissimonella greca e nella latina favella (Murat. Thes. Inscript.vol. 4, p. 1897); e così pure è probabile che si potessedir di più altri, come suole avvenir nelle lingue di duepopoli vicini e commercianti. In Roma ancora per operade' romani pontefici se ne mantenne vivo lo studio el'esercizio. Perciocchè, come abbiamo osservato essersifatto dal pontef. Paolo I verso l'an. 766, altri ponteficiancora fondarono monasteri, i quali vollero che fosseroabitati da monaci che usassero ne' Divini Uffici la lin-gua e il rito greco. Nelle Vite de' romani Pont. attribuitead Anastasio ne abbiamo più pruove. Stefano IV, dettoda altri V, secondo questo scrittore l'an. 816 "fondò ilmonastero di s. Prassede, in cui raccolse una congrega-zione di monaci greci che dì e notte salmeggiassero colloro rito (Script. rer. ital. t. 3, pars 1, p. 215)". E LeonIV similmente verso la metà di questo medesimo secolo

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monaci greci introdusse nel monastero de' ss. Stefano eCassiano (ib. p. 234). Quindi veggiamo che nella linguagreca era assai versato il sopraddetto Anastasio bibliote-cario, come raccogliesi dalle molte traduzioni di librigreci da lui fatte; e molti altri è probabile che fossero inRoma nella stessa lingua ben istruiti per la necessità incui erano i romani pontefici di rispondere alle lettere, edi esaminare i libri che venivan di Grecia. Anchenell'altre provincie che non avean co' Greci commercioalcuno, dobbiam credere nondimeno che la lingua grecanon fosse interamente dimenticata. Io non trovo, a dirvero, nel IX sec. scrittore alcuno di queste nostre pro-vincie, di cui si possa accertare che sapesse il greco; eanche di Teodolfo, di Paolino e di altri che furono i piùdotti uomini di questo tempo, non credo che vi sia argo-mento a persuadercelo. Solo di Paolo diacono che fiorìal fine del sec. VIII, vedrem tra poco ch'era sì esperto inquesta lingua, che fu scelto ad istruire in essa quei cheri-ci che accompagnar doveano la figlia di Carlo Magno aCostantinopoli. Ciò non ostante io osservo che nel X se-colo, che fu certamente il più rozzo, pure l'autore anoni-mo del Panegirico di Berengario, che credesi vissuto altempo medesimo, volle affettar cognizione della linguagreca, scrivendo in essa il titolo del suo componimento(ib. t. 2, pars 1); e che il vesc. Luitprando, di cui or par-leremo, parecchie parole greche andò spargendo nellasua Storia, per mostrare lo studio ch'egli n'avea fatto. Orse anche in mezzo a una sì grande barbarie, qual fuquella del X secolo, ebbevi nondimeno chi si volse allo

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monaci greci introdusse nel monastero de' ss. Stefano eCassiano (ib. p. 234). Quindi veggiamo che nella linguagreca era assai versato il sopraddetto Anastasio bibliote-cario, come raccogliesi dalle molte traduzioni di librigreci da lui fatte; e molti altri è probabile che fossero inRoma nella stessa lingua ben istruiti per la necessità incui erano i romani pontefici di rispondere alle lettere, edi esaminare i libri che venivan di Grecia. Anchenell'altre provincie che non avean co' Greci commercioalcuno, dobbiam credere nondimeno che la lingua grecanon fosse interamente dimenticata. Io non trovo, a dirvero, nel IX sec. scrittore alcuno di queste nostre pro-vincie, di cui si possa accertare che sapesse il greco; eanche di Teodolfo, di Paolino e di altri che furono i piùdotti uomini di questo tempo, non credo che vi sia argo-mento a persuadercelo. Solo di Paolo diacono che fiorìal fine del sec. VIII, vedrem tra poco ch'era sì esperto inquesta lingua, che fu scelto ad istruire in essa quei cheri-ci che accompagnar doveano la figlia di Carlo Magno aCostantinopoli. Ciò non ostante io osservo che nel X se-colo, che fu certamente il più rozzo, pure l'autore anoni-mo del Panegirico di Berengario, che credesi vissuto altempo medesimo, volle affettar cognizione della linguagreca, scrivendo in essa il titolo del suo componimento(ib. t. 2, pars 1); e che il vesc. Luitprando, di cui or par-leremo, parecchie parole greche andò spargendo nellasua Storia, per mostrare lo studio ch'egli n'avea fatto. Orse anche in mezzo a una sì grande barbarie, qual fuquella del X secolo, ebbevi nondimeno chi si volse allo

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studio di questa lingua, molto più dobbiam credere checiò avvenisse nel IX che fu assai meno incolto.

II. Gli altri studj di amena letteratura, e sin-golarmente la poesia e la storia, ebbero essipure i loro coltivatori. Le loro opere e le lorpoesie appena si posson leggere al presentesenza ridersi della rozzezza de' loro autori;ma essi erano allora i più splendidi luminari

che fosser tra noi, e parvero anche sì dotti, che dall'Italiachiamati furono in Francia, perchè vi facessero risorgergli studj quasi interamente caduti. Anzi il numero de'poeti di questa età è assai maggiore, che non credereb-besi al considerar l'ignoranza in cui era comunementeinvolto il mondo. Teodolfo vescovo d'Orleans, di cui giàabbiam favellato, era poeta, e presso i suoi contempora-nei dovea sembrare un nuovo Ovidio. Poeta ancora eraPaolino patriarca d'Aquileia, di cui pure già si è ragiona-to, e alcune sue poesie ancor ci rimangono. Anche Pie-tro pisano, il maestro in gramatica di Carlo Magno, fa-cea de' versi, come or ora vedremo. Alcuni versi innol-tre abbiam già rammentati del s. abate Bertario. Versiparimenti veggiamo aggiunti alle Vite de' Vescovi di Ra-venna scritte da Agnello, e se ne dice autore un anonimoscolastico, o soprastante alle scuole di quella città; ilquale però, se altra maniera di verseggiare non insegna-va a' suoi discepoli fuorchè la sua, meglio avrebbe fattoa deporre la cetra che troppo male stavagli fra le mani.

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Numero non piccio-lo di poeti, benchè as-sai rozzi di questa età.

studio di questa lingua, molto più dobbiam credere checiò avvenisse nel IX che fu assai meno incolto.

II. Gli altri studj di amena letteratura, e sin-golarmente la poesia e la storia, ebbero essipure i loro coltivatori. Le loro opere e le lorpoesie appena si posson leggere al presentesenza ridersi della rozzezza de' loro autori;ma essi erano allora i più splendidi luminari

che fosser tra noi, e parvero anche sì dotti, che dall'Italiachiamati furono in Francia, perchè vi facessero risorgergli studj quasi interamente caduti. Anzi il numero de'poeti di questa età è assai maggiore, che non credereb-besi al considerar l'ignoranza in cui era comunementeinvolto il mondo. Teodolfo vescovo d'Orleans, di cui giàabbiam favellato, era poeta, e presso i suoi contempora-nei dovea sembrare un nuovo Ovidio. Poeta ancora eraPaolino patriarca d'Aquileia, di cui pure già si è ragiona-to, e alcune sue poesie ancor ci rimangono. Anche Pie-tro pisano, il maestro in gramatica di Carlo Magno, fa-cea de' versi, come or ora vedremo. Alcuni versi innol-tre abbiam già rammentati del s. abate Bertario. Versiparimenti veggiamo aggiunti alle Vite de' Vescovi di Ra-venna scritte da Agnello, e se ne dice autore un anonimoscolastico, o soprastante alle scuole di quella città; ilquale però, se altra maniera di verseggiare non insegna-va a' suoi discepoli fuorchè la sua, meglio avrebbe fattoa deporre la cetra che troppo male stavagli fra le mani.

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Numero non piccio-lo di poeti, benchè as-sai rozzi di questa età.

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L'Anonimo salernitano ci ha conservata qual preziosogioiello un'elegia d'Ilderico monaco casinese (Chron. c.132). Molti epitafj poetici, dei principi longobardi chevissero in questi due secoli, sono stati raccolti da Cam-millo Pellegrino, e poscia pubblicati di nuovo con altreaggiunte dal can. Francesco Maria Pratillo (Hist. Princ.Langob. t. 3, p. 303). Liutprando ancora volle esser cre-duto valoroso poeta, e perciò nella sua Storia allega diquando in quando alcuni versi di Virgilio, e ce ne offretalvolta ancora de' suoi. Lo stesso dicasi di molti altrich'io potrei similmente venir noverando, se credessi benimpiegato il tempo in raccoglier le memorie di cotalitroppo rozzi lavori. Basti qui l'accennare per ultimo ilPanegirico, ossia la Vita dell'imp. Berengario (Script.rer. ital. t. 2, pars 2), il cui anonimo autore credesi fon-datamente dal Muratori vissuto nel X. secolo. Questinon solo ci ha lasciato un gran monumento del suo valo-re poetico in quel Panegirico, ma ci fa conoscere ancorache assai frequenti erano in quel tempo i poeti, e che lecittà al pari che le campagne risonavan di versi, e cheperciò appunto essi non si avean più in pregio: Desine: nunc etenim nullus tua carmia curat.

Hace faciunt urbi, haec quoque rure viri (in proleg.)

E certo era assai facile a questi tempi l'esser poeta; per-ciocchè i coltivatori della poesia non si degnavan giàessi, come troppo buonamente facevano Virgilio, Orazioe gli altri antichi, di scegliere l'espressioni che paresserloro più eleganti, nè di avvivare con leggiadre immagini

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L'Anonimo salernitano ci ha conservata qual preziosogioiello un'elegia d'Ilderico monaco casinese (Chron. c.132). Molti epitafj poetici, dei principi longobardi chevissero in questi due secoli, sono stati raccolti da Cam-millo Pellegrino, e poscia pubblicati di nuovo con altreaggiunte dal can. Francesco Maria Pratillo (Hist. Princ.Langob. t. 3, p. 303). Liutprando ancora volle esser cre-duto valoroso poeta, e perciò nella sua Storia allega diquando in quando alcuni versi di Virgilio, e ce ne offretalvolta ancora de' suoi. Lo stesso dicasi di molti altrich'io potrei similmente venir noverando, se credessi benimpiegato il tempo in raccoglier le memorie di cotalitroppo rozzi lavori. Basti qui l'accennare per ultimo ilPanegirico, ossia la Vita dell'imp. Berengario (Script.rer. ital. t. 2, pars 2), il cui anonimo autore credesi fon-datamente dal Muratori vissuto nel X. secolo. Questinon solo ci ha lasciato un gran monumento del suo valo-re poetico in quel Panegirico, ma ci fa conoscere ancorache assai frequenti erano in quel tempo i poeti, e che lecittà al pari che le campagne risonavan di versi, e cheperciò appunto essi non si avean più in pregio: Desine: nunc etenim nullus tua carmia curat.

Hace faciunt urbi, haec quoque rure viri (in proleg.)

E certo era assai facile a questi tempi l'esser poeta; per-ciocchè i coltivatori della poesia non si degnavan giàessi, come troppo buonamente facevano Virgilio, Orazioe gli altri antichi, di scegliere l'espressioni che paresserloro più eleganti, nè di avvivare con leggiadre immagini

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i lor pensieri, anzi neppure di osservare le leggi dellaquantità e del metro; e purchè facesser de' versi che inqualche modo avessero il numero delle sillabe e de' pie-di per ciò richiesti, essi credevan senz'altro di poter cin-gere alloro alla fronte, e dirsi poeti, e come tali erano infatti dalla moltitudine riconosciuti e venerati.

III. Io non tratterommi dunque a parlarde' poeti di questi secoli, ai quali non ab-biam motivo di mostrarci molto ricono-scenti per le poesie di cui ci han fattodono, che non sono comunemente nè diutile a' nostri studj, nè di onore all'Italia.

Maggior gratitudine dobbiamo agli storici i quali, ben-chè in rozzo e barbaro stile, ci han nondimeno traman-date assai importanti notizie, e ci han fatto conoscere lostato e le vicende di questi secoli. Fra essi per ogni ri-guardo deesi il primo luogo al celebre Paolo diacono, dicui abbiam fatta già più volte menzione, e di cui ora ciconvien favellare più stesamente; e molto più che iFrancesi stessi confessano ch'egli è uno di quelli a' qualiin gran parte si dee il risorgimento de' buoni studj inFrancia (Hist. littér. de la France t. 4, p. 7). Di lui, oltregli scrittori delle ecclesiastiche biblioteche, fra' quali,con più diligenza di tutti ha scritto l'Oudin (De Script.eccl. t. 1, p. 1933), ha trattato ampiamente il celebre p.Mabillon (Ann. Benedet. t. 2, l. 24, n. 83, ec.; l. 25, n.66; l. 26, n. 86, ec.); ma con assai maggiore esattezza ha

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Si entra a par-lar degli stori-ci, e primiera-mente di Pao-lo diacono.

i lor pensieri, anzi neppure di osservare le leggi dellaquantità e del metro; e purchè facesser de' versi che inqualche modo avessero il numero delle sillabe e de' pie-di per ciò richiesti, essi credevan senz'altro di poter cin-gere alloro alla fronte, e dirsi poeti, e come tali erano infatti dalla moltitudine riconosciuti e venerati.

III. Io non tratterommi dunque a parlarde' poeti di questi secoli, ai quali non ab-biam motivo di mostrarci molto ricono-scenti per le poesie di cui ci han fattodono, che non sono comunemente nè diutile a' nostri studj, nè di onore all'Italia.

Maggior gratitudine dobbiamo agli storici i quali, ben-chè in rozzo e barbaro stile, ci han nondimeno traman-date assai importanti notizie, e ci han fatto conoscere lostato e le vicende di questi secoli. Fra essi per ogni ri-guardo deesi il primo luogo al celebre Paolo diacono, dicui abbiam fatta già più volte menzione, e di cui ora ciconvien favellare più stesamente; e molto più che iFrancesi stessi confessano ch'egli è uno di quelli a' qualiin gran parte si dee il risorgimento de' buoni studj inFrancia (Hist. littér. de la France t. 4, p. 7). Di lui, oltregli scrittori delle ecclesiastiche biblioteche, fra' quali,con più diligenza di tutti ha scritto l'Oudin (De Script.eccl. t. 1, p. 1933), ha trattato ampiamente il celebre p.Mabillon (Ann. Benedet. t. 2, l. 24, n. 83, ec.; l. 25, n.66; l. 26, n. 86, ec.); ma con assai maggiore esattezza ha

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Si entra a par-lar degli stori-ci, e primiera-mente di Pao-lo diacono.

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preso a esaminare tutto ciò che a lui appartiene, il piùvolte da noi mentovato sig. Giangiuseppe Liruti (Lette-rati del Friuli t. 1, p. 163, ec.). Prima di lui alcune bellericerche intorno a Paolo diacono avea pubblicate l'ab. leBeuf (Diss. sur l'Hist de Paris t. 1. p. 370) il quale anco-ra ne ha tratti alla luce alcuni finallora inediti componi-menti. Sulle tracce di questi valorosi scrittori io verròbrevemente accennando ciò ch'è più degno di risapersidi questo celebre uomo e sforzerommi ancora talvolta,se mi venga fatto, di aggiugnere nuova luce a qualchepunto della sua vita.

IV. Intorno alla patria e a' genitori di Paolonon vi ha luogo a contrasto. Egli stesso ciha lasciato la genealogia della sua famiglia,e ci assicura ch'ei nacque in Cividal delFriuli, detta allora Forum Julii, da Varnefri-

do e da Teodelinda longobardi di origine (de GestisLangob. l. 4, c. 38). Il Liruti crede probabile che nellapatria stessa facesse Paolo i primi suoi studj; e a provar-lo si vale della legge di Lottario da noi già recata, in cuisi fa menzione della scuola ch'era in Cividale. Ma, comeho già osservato, sembra che quelle scuole fossero al-meno in gran parte da Lottario medesimo istituite, cioècirca un secolo dopo la nascita di Paolo. E innoltre lostesso Paolo favellando di Felice (ib. l. 6, c. 7) maestrodi gramatica in Pavia, dice ch'egli fu zio paterno di Fla-viano suo maestro: Felix patruus Flaviani praeceptoris

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Sua nascita,e suoi studj ed impieghisotto i re longobardi.

preso a esaminare tutto ciò che a lui appartiene, il piùvolte da noi mentovato sig. Giangiuseppe Liruti (Lette-rati del Friuli t. 1, p. 163, ec.). Prima di lui alcune bellericerche intorno a Paolo diacono avea pubblicate l'ab. leBeuf (Diss. sur l'Hist de Paris t. 1. p. 370) il quale anco-ra ne ha tratti alla luce alcuni finallora inediti componi-menti. Sulle tracce di questi valorosi scrittori io verròbrevemente accennando ciò ch'è più degno di risapersidi questo celebre uomo e sforzerommi ancora talvolta,se mi venga fatto, di aggiugnere nuova luce a qualchepunto della sua vita.

IV. Intorno alla patria e a' genitori di Paolonon vi ha luogo a contrasto. Egli stesso ciha lasciato la genealogia della sua famiglia,e ci assicura ch'ei nacque in Cividal delFriuli, detta allora Forum Julii, da Varnefri-

do e da Teodelinda longobardi di origine (de GestisLangob. l. 4, c. 38). Il Liruti crede probabile che nellapatria stessa facesse Paolo i primi suoi studj; e a provar-lo si vale della legge di Lottario da noi già recata, in cuisi fa menzione della scuola ch'era in Cividale. Ma, comeho già osservato, sembra che quelle scuole fossero al-meno in gran parte da Lottario medesimo istituite, cioècirca un secolo dopo la nascita di Paolo. E innoltre lostesso Paolo favellando di Felice (ib. l. 6, c. 7) maestrodi gramatica in Pavia, dice ch'egli fu zio paterno di Fla-viano suo maestro: Felix patruus Flaviani praeceptoris

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Sua nascita,e suoi studj ed impieghisotto i re longobardi.

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mei. Or se Felice teneva scuola in Pavia, egli è probabilech'ivi pur la tenesse il suo nipote Flaviano, e che iviavesse Paolo tra' suoi scolari. In un epitafio a lui fatto daIlderico monaco stato già suo discepolo, e pubblicatodal p. Mabillon (App. ad vol. 2 Ann. bened. n. 35), sidice che ei fu educato nella corte di Rachis re de' Lon-gobardi, e che per volere di questo principe egli appli-cossi agli studj sacri.

Divino instinctu regalis protinus aulaOb decus et lumen patriae te sumpsit alendum.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Omnia Sophiae coepisti culmina sacrae Rege movente pio Ratchis penetrare, decenter.

Poichè Rachis ebbe abbandonato il trono ed abbracciatala vita monastica, ed Astolfo gli succedette nel regno;non sappiam che avvenisse di Paolo, nè abbiamo indicioch'egli fosse dal nuovo sovrano trattenuto alla sua corte.Quindi potè forse avvenire che tornato al Friuli ivi fosseordinato diacono della chiesa di Aquileia, col qual nomeil viaggiamo appellato da Leone ostiense (Chron. casin.l. 1, c. 15). Certo egli era diacono fin dall'an. 763, com'èmanifesto da un monumento pubblicato dal p. abate del-la Noce (in not. ad Chron. casin. l. c.). Forse però ilnome di aquileiese, che si suol aggiugnere, parlando diPaolo, al nome di diacono, si riferisce solo alla patria, enon alla chiesa a cui fosse ascritto. Ma poichè Desiderioultimo re de' Longobardi fu sollevato al solio, ei vollepresso di sè il diacono Paolo, e ammettendolo a un'inti-

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mei. Or se Felice teneva scuola in Pavia, egli è probabilech'ivi pur la tenesse il suo nipote Flaviano, e che iviavesse Paolo tra' suoi scolari. In un epitafio a lui fatto daIlderico monaco stato già suo discepolo, e pubblicatodal p. Mabillon (App. ad vol. 2 Ann. bened. n. 35), sidice che ei fu educato nella corte di Rachis re de' Lon-gobardi, e che per volere di questo principe egli appli-cossi agli studj sacri.

Divino instinctu regalis protinus aulaOb decus et lumen patriae te sumpsit alendum.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Omnia Sophiae coepisti culmina sacrae Rege movente pio Ratchis penetrare, decenter.

Poichè Rachis ebbe abbandonato il trono ed abbracciatala vita monastica, ed Astolfo gli succedette nel regno;non sappiam che avvenisse di Paolo, nè abbiamo indicioch'egli fosse dal nuovo sovrano trattenuto alla sua corte.Quindi potè forse avvenire che tornato al Friuli ivi fosseordinato diacono della chiesa di Aquileia, col qual nomeil viaggiamo appellato da Leone ostiense (Chron. casin.l. 1, c. 15). Certo egli era diacono fin dall'an. 763, com'èmanifesto da un monumento pubblicato dal p. abate del-la Noce (in not. ad Chron. casin. l. c.). Forse però ilnome di aquileiese, che si suol aggiugnere, parlando diPaolo, al nome di diacono, si riferisce solo alla patria, enon alla chiesa a cui fosse ascritto. Ma poichè Desiderioultimo re de' Longobardi fu sollevato al solio, ei vollepresso di sè il diacono Paolo, e ammettendolo a un'inti-

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ma confidenza dichiarollo suo consigliere e cancelliereinsieme, come coll'autorità di Erchemperto, dell'Anoni-mo salernitano, e della Cronaca di s. Vincenzo di Voltur-no pruova il Liruti. L'Oudin e l'ab. le Beuf rigettan tra lefavole ciò che si narra da quegli scrittori degli onori chePaolo ebbe da Desiderio. Ma nel monumento da noipoc'anzi accennato, della cui sincerità non v'ha alcunmotivo di dubitare, Paolo così soscrive: "Paulus Nota-rius et diaconus ex jussione Domini nostri Desiderii Se-renissimi Regis scripsi: actum Civitate Papia, ec." Orpoichè Paolo era certamente in Pavia, ed era notaio. ilche allora era impiego più onorevole che non al presen-te, perchè negherem noi che altri maggiori onori ancoraegli poscia ne ricevesse? Erchemperto e l'Anonimo sa-lernitano di lui ragionando dicono che floruit in artegrammatica; colle quali parole non è ben chiaro s'essivoglian intendere solamente che nella gramatica egli eraassai erudito, o se ancora ci voglian dire ch'ei n'era mae-stro. A me sembra difficile che un consigliere e cancel-liere di Desiderio volesse, o potesse tenere scuola. Non-dimeno a questi tempi veggiam cose sì strane e sì ca-pricciose, ch'io non ardirei di negarlo espressamente.Ma forse ancora ciò deesi intender del tempo in cui Pao-lo abbracciata avea la vita monastica, come ora vedre-mo.

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ma confidenza dichiarollo suo consigliere e cancelliereinsieme, come coll'autorità di Erchemperto, dell'Anoni-mo salernitano, e della Cronaca di s. Vincenzo di Voltur-no pruova il Liruti. L'Oudin e l'ab. le Beuf rigettan tra lefavole ciò che si narra da quegli scrittori degli onori chePaolo ebbe da Desiderio. Ma nel monumento da noipoc'anzi accennato, della cui sincerità non v'ha alcunmotivo di dubitare, Paolo così soscrive: "Paulus Nota-rius et diaconus ex jussione Domini nostri Desiderii Se-renissimi Regis scripsi: actum Civitate Papia, ec." Orpoichè Paolo era certamente in Pavia, ed era notaio. ilche allora era impiego più onorevole che non al presen-te, perchè negherem noi che altri maggiori onori ancoraegli poscia ne ricevesse? Erchemperto e l'Anonimo sa-lernitano di lui ragionando dicono che floruit in artegrammatica; colle quali parole non è ben chiaro s'essivoglian intendere solamente che nella gramatica egli eraassai erudito, o se ancora ci voglian dire ch'ei n'era mae-stro. A me sembra difficile che un consigliere e cancel-liere di Desiderio volesse, o potesse tenere scuola. Non-dimeno a questi tempi veggiam cose sì strane e sì ca-pricciose, ch'io non ardirei di negarlo espressamente.Ma forse ancora ciò deesi intender del tempo in cui Pao-lo abbracciata avea la vita monastica, come ora vedre-mo.

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V. Fin qui la storia di Paolo diacono non in-contra gravi difficoltà. Ma intorno a ciò chea lui avvenisse, dappoichè il regno de' Lon-gobardi e l'ultimo loro re Desiderio caddenelle mani di Carlo Magno, non è sì agevolelo stabilir cosa alcuna con sicurezza. Leoneostiense ci parla di ciò lungamente (l. c.), e

dice prima che "dopo la prigionia di Desiderio, e la mor-te di Arigiso principe di Benevento, Paolo ritirossi aMonte Casino e vi prese l'abito monastico". Quindidopo aver parlato degli antenati, della patria e de' seco-lari impieghi di Paolo, viene a narrare più stesamenteciò che avvenisse di lui, e dice che, poichè fu presa Pa-via, egli divenne assai caro e famigliare a Carlo Magno;e che alcun tempo dopo ei fu accusato a Carlo, che peramore all'antico suo padrone avesse contro di lui orditacongiura con pensiero di ucciderlo. Carlo, prosiegue adire Leone, fattoselo venire innanzi il richiese se verafosse l'accusa; e Paolo francamente risposegli ch'eglinon avrebbe mai violata la fedeltà promessa al suo reDesiderio. Di che altamente sdegnato Carlo, comandòche gli fosser tosto troncate le mani. Ma poscia calmatoalquanto lo sdegno, se quest'uomo, disse ai suoi consi-glieri, perde le mani, ove troverem noi un sì elegantescrittore? Quindi chiesto ad essi consiglio di ciò che farsi dovesse, questi gli suggerirono che il facesse accieca-re, perchè non potesse scriver lettere sediziose ad alcu-no. Ma Carlo di nuovo. E dove troverem noi un altropoeta, un altro storico sì valoroso? Essi allora gli consi-

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Vicende di esso dopo la rovina dei Longo-bardi se-condo alcu-ni scrittori.

V. Fin qui la storia di Paolo diacono non in-contra gravi difficoltà. Ma intorno a ciò chea lui avvenisse, dappoichè il regno de' Lon-gobardi e l'ultimo loro re Desiderio caddenelle mani di Carlo Magno, non è sì agevolelo stabilir cosa alcuna con sicurezza. Leoneostiense ci parla di ciò lungamente (l. c.), e

dice prima che "dopo la prigionia di Desiderio, e la mor-te di Arigiso principe di Benevento, Paolo ritirossi aMonte Casino e vi prese l'abito monastico". Quindidopo aver parlato degli antenati, della patria e de' seco-lari impieghi di Paolo, viene a narrare più stesamenteciò che avvenisse di lui, e dice che, poichè fu presa Pa-via, egli divenne assai caro e famigliare a Carlo Magno;e che alcun tempo dopo ei fu accusato a Carlo, che peramore all'antico suo padrone avesse contro di lui orditacongiura con pensiero di ucciderlo. Carlo, prosiegue adire Leone, fattoselo venire innanzi il richiese se verafosse l'accusa; e Paolo francamente risposegli ch'eglinon avrebbe mai violata la fedeltà promessa al suo reDesiderio. Di che altamente sdegnato Carlo, comandòche gli fosser tosto troncate le mani. Ma poscia calmatoalquanto lo sdegno, se quest'uomo, disse ai suoi consi-glieri, perde le mani, ove troverem noi un sì elegantescrittore? Quindi chiesto ad essi consiglio di ciò che farsi dovesse, questi gli suggerirono che il facesse accieca-re, perchè non potesse scriver lettere sediziose ad alcu-no. Ma Carlo di nuovo. E dove troverem noi un altropoeta, un altro storico sì valoroso? Essi allora gli consi-

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Vicende di esso dopo la rovina dei Longo-bardi se-condo alcu-ni scrittori.

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gliarono che il rilegasse nelle isolette di Diomede, detteora Tremiti. Così fu fatto, e Paolo vi stette per alcuntempo; poscia condotto ad Arigiso principe di Beneven-to, fu da lui onorevolmente accolto nel suo stesso pala-gio. Morto poi Arigiso, il che avvenne l'an. 787, Paoloritirossi, come sopra si è detto, nel monastero di MonteCasino. Questa è in breve la narrazion di Leone, la qualcerto non lascia di avere qualche apparenza di favola edi romanzo. Nondimeno la veggiam ripetuta pressochècolle stesse parole nell'antica Cronaca del monastero delVolturno (Script. rer. ital. t. 1, pars 2, p. 365), il cui au-tore fu coetaneo di Leone; e più diffusamente ancoraespressa dall'Anonimo salernitano di amendue più anti-co (ib. t. 2, pars 2, p. 179, ec.), il quale gran cose innol-tre aggiugne (ib. p. 194) delle virtù religiose di ogni ma-niera da Paolo esercitate nel monastero. Alquanto menoinverisimile sembra il racconto di Romoaldo salernita-no, scrittore esso pure del XII secolo, ma posteriore aLeone di parecchi anni. Ei non fa motto nè di congiurada Paolo ordita contro di Carlo, nè di supplicio, alcunoda Carlo a lui minacciato; ma solo narra (ib. vol. 7, p.150) che Paolo più volte pregato da Carlo, acciocchè,dimenticando il suo antico signore, a lui si stringessecon fedeltà ed amore, non volle piegarsi giammai, eamò meglio di sofferire l'esiglio, che di servire a coluiche teneva cattivo il suo re Desiderio; che perciò rilega-to in un'isola, fu poscia chiamato alla sua corte da Arigi-so principe di Benevento.

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gliarono che il rilegasse nelle isolette di Diomede, detteora Tremiti. Così fu fatto, e Paolo vi stette per alcuntempo; poscia condotto ad Arigiso principe di Beneven-to, fu da lui onorevolmente accolto nel suo stesso pala-gio. Morto poi Arigiso, il che avvenne l'an. 787, Paoloritirossi, come sopra si è detto, nel monastero di MonteCasino. Questa è in breve la narrazion di Leone, la qualcerto non lascia di avere qualche apparenza di favola edi romanzo. Nondimeno la veggiam ripetuta pressochècolle stesse parole nell'antica Cronaca del monastero delVolturno (Script. rer. ital. t. 1, pars 2, p. 365), il cui au-tore fu coetaneo di Leone; e più diffusamente ancoraespressa dall'Anonimo salernitano di amendue più anti-co (ib. t. 2, pars 2, p. 179, ec.), il quale gran cose innol-tre aggiugne (ib. p. 194) delle virtù religiose di ogni ma-niera da Paolo esercitate nel monastero. Alquanto menoinverisimile sembra il racconto di Romoaldo salernita-no, scrittore esso pure del XII secolo, ma posteriore aLeone di parecchi anni. Ei non fa motto nè di congiurada Paolo ordita contro di Carlo, nè di supplicio, alcunoda Carlo a lui minacciato; ma solo narra (ib. vol. 7, p.150) che Paolo più volte pregato da Carlo, acciocchè,dimenticando il suo antico signore, a lui si stringessecon fedeltà ed amore, non volle piegarsi giammai, eamò meglio di sofferire l'esiglio, che di servire a coluiche teneva cattivo il suo re Desiderio; che perciò rilega-to in un'isola, fu poscia chiamato alla sua corte da Arigi-so principe di Benevento.

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VI. L'autorità di tutti questi antichi scrittorisembra che appena ci lasci luogo a dubitaredel lor racconto. E Leone singolarmente vis-suto nel monastero stesso di Monte Casino e

che all'occasione di scriverne la Storia dovea certo averricercate tutte le antiche memorie di esso, pare che deb-basi credere ben istruito in tutto ciò che apparteneva allavita e alle vicende di Paolo. Nondimeno convien confes-sare che tutti questi scrittori son di tre secoli almeno po-steriori a Paolo, trattone l'Anonimo salernitano che cre-desi vissuto al fine del X secolo, e che viveano in tempoin cui le storie de' secoli trapassati erano stranamenteguaste, e sparse in ogni parte di favole e di puerili ine-zie. Noi perciò non possiamo appoggiarci così franca-mente a' loro detti, che non ci rimanga alcun dubbio divenir da essi tratti in errore. In fatti abbiamo un altroscrittore coetaneo a Leone, cioè Sigeberto, il quale ditutte queste vicende di Paolo non fa alcun cenno; masolo dice (de Script. eccl. c. 80) ch'egli pel suo saper fuchiamato in Francia da Carlo: "Paulus monachus casi-nensis coenobii natione italus propter scientiam littera-rum a Carolo Magno imperatore adscitus, ec." Il qualpasso è sembrato all'Oudin che bastasse ad atterrar total-mente l'autorità di Leone e degli altri scrittori sopracci-tati. Ma a dir vero, se questo sol passo noi avessimo acontrapporre a Leone, a me sembra che questi potrebbeesigere a ragione che a lui più che a Sigeberto si dessefede; perciocchè egli italiano, vissuto nello stesso mona-stero di Paolo, e ben versato nella storia del monastero

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Si esamina se esse me-ritin fede.

VI. L'autorità di tutti questi antichi scrittorisembra che appena ci lasci luogo a dubitaredel lor racconto. E Leone singolarmente vis-suto nel monastero stesso di Monte Casino e

che all'occasione di scriverne la Storia dovea certo averricercate tutte le antiche memorie di esso, pare che deb-basi credere ben istruito in tutto ciò che apparteneva allavita e alle vicende di Paolo. Nondimeno convien confes-sare che tutti questi scrittori son di tre secoli almeno po-steriori a Paolo, trattone l'Anonimo salernitano che cre-desi vissuto al fine del X secolo, e che viveano in tempoin cui le storie de' secoli trapassati erano stranamenteguaste, e sparse in ogni parte di favole e di puerili ine-zie. Noi perciò non possiamo appoggiarci così franca-mente a' loro detti, che non ci rimanga alcun dubbio divenir da essi tratti in errore. In fatti abbiamo un altroscrittore coetaneo a Leone, cioè Sigeberto, il quale ditutte queste vicende di Paolo non fa alcun cenno; masolo dice (de Script. eccl. c. 80) ch'egli pel suo saper fuchiamato in Francia da Carlo: "Paulus monachus casi-nensis coenobii natione italus propter scientiam littera-rum a Carolo Magno imperatore adscitus, ec." Il qualpasso è sembrato all'Oudin che bastasse ad atterrar total-mente l'autorità di Leone e degli altri scrittori sopracci-tati. Ma a dir vero, se questo sol passo noi avessimo acontrapporre a Leone, a me sembra che questi potrebbeesigere a ragione che a lui più che a Sigeberto si dessefede; perciocchè egli italiano, vissuto nello stesso mona-stero di Paolo, e ben versato nella storia del monastero

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Si esamina se esse me-ritin fede.

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medesimo, dovrebbesi credere assai meglio in tai fattiistruito, che non Sigeberto, benchè questi vivesse perqualche tempo in Metz, ove pure per qualche tempoavea soggiornato Paolo. E benchè le circostanze del fat-to, qual da Leone si narra, sembrino favolose, potrebbe-si credere nondimeno che la sostanza ne fosse vera, eche la cosa avvenisse qual si racconta da Romoaldo sa-lernitano. Potrebbesi dir parimenti che il passo di Sige-berto non contraddice a Leone; che Paolo potè essercondotto in Francia da Carlo Magno dopo l'espugnaziondi Pavia, il che da Leone e dagli altri, benchè non si as-serisca, pur non si nega; che dopo essersi per più annicolà trattenuto, potè avvenire ciò che della congiura dalui tramata raccontano gli altri Storici; che perciò potèegli essere rilegato da Carlo, e passar poscia alla cortedel principe Arigiso; e finalmente, dopo la morte di luiavvenuta l'an. 787, ritirarsi a Monte Casino. Così di fattidispone la cronologia e le vicende della vita di Paolo ilsig. Liruti che con singolar diligenza ne ha esaminatoogni passo. Ma convien dire che questo dotto scrittorenon abbia veduti i monumenti pubblicati dall'ab. leBeuf, da' quali distruggesi interamente il sistema da luiseguito, e si scuopre con evidenza la falsità del raccontodi Leone, dell'Anonimo salernitano, e degli altri antichiscrittori da noi addotti poc'anzi. Colla scorta di essi e dialtri antichi monumenti facciamoci a rischiarare, se èpossible, un punto sì intralciato, e a porre in qualcheluce maggiore, che non si è fatto finora, la vita di unuom sì famoso.

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medesimo, dovrebbesi credere assai meglio in tai fattiistruito, che non Sigeberto, benchè questi vivesse perqualche tempo in Metz, ove pure per qualche tempoavea soggiornato Paolo. E benchè le circostanze del fat-to, qual da Leone si narra, sembrino favolose, potrebbe-si credere nondimeno che la sostanza ne fosse vera, eche la cosa avvenisse qual si racconta da Romoaldo sa-lernitano. Potrebbesi dir parimenti che il passo di Sige-berto non contraddice a Leone; che Paolo potè essercondotto in Francia da Carlo Magno dopo l'espugnaziondi Pavia, il che da Leone e dagli altri, benchè non si as-serisca, pur non si nega; che dopo essersi per più annicolà trattenuto, potè avvenire ciò che della congiura dalui tramata raccontano gli altri Storici; che perciò potèegli essere rilegato da Carlo, e passar poscia alla cortedel principe Arigiso; e finalmente, dopo la morte di luiavvenuta l'an. 787, ritirarsi a Monte Casino. Così di fattidispone la cronologia e le vicende della vita di Paolo ilsig. Liruti che con singolar diligenza ne ha esaminatoogni passo. Ma convien dire che questo dotto scrittorenon abbia veduti i monumenti pubblicati dall'ab. leBeuf, da' quali distruggesi interamente il sistema da luiseguito, e si scuopre con evidenza la falsità del raccontodi Leone, dell'Anonimo salernitano, e degli altri antichiscrittori da noi addotti poc'anzi. Colla scorta di essi e dialtri antichi monumenti facciamoci a rischiarare, se èpossible, un punto sì intralciato, e a porre in qualcheluce maggiore, che non si è fatto finora, la vita di unuom sì famoso.

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VII. Secondo la narrazion di Leone e deglialtri scrittori, e secondo il sistema del sig.Liruti, converrebbe affermare che Paolodopo la prigionia di Desiderio fosse condot-to in Francia; che rilegato dopo più anninell'isole di Tremiti passasse quindi alla cor-te di Arigiso, e che finalmente lui morto

l'an. 787 si ritirasse a Monte Casino, ed ivi menasse ilrimanente de' giorni suoi. Or noi troviamo che Paolo eramonaco molti anni prima anzi che non fu chiamato inFrancia se non già monaco. Il p. Mabillon era già statodi questa opinione, e aveane recato in pruova una letterada Paolo scritta ad Adelardo abate del monastero diCorbia (Ann. bened. t. 2, l. 25, n. 72), in cui gli dice chenelle state trascorsa, essendosi egli recato non lungi daquel monastero, avea ardentemente desiderato di abboc-carsi con lui; ma che la stanchezza de' suoi cavalli nongli avea permesso di continuar più oltre il viaggio. Inquesta lettera Paolo chiama più volte Adelardo col dolcenome di suo fratello; e quindi avea con non improbabilecongettura dedotto il p. Mabillon ch'ei fosse già mona-co. Ma assai più chiaramente ciò si dimostra di uno de'monumenti pubblicati dall'ab. le Beuf (Diss. sur l'Hist.de Paris t. 1, p. 415). Esso è una lettera dello stessoPaolo a Teodemaro che fu abate di Monte Casinodall'an. 777 fino al 796 (Ann. ben. t. 2, l. 26, n. 46), incui non solo egli il chiama suo padre, ma lungamente econ figlial tenerezza gli espone il desiderio ch'egli ha ditornare a quel suo monastero, e il rappresentarsi ch'egli

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Si pruova che Paolo diacono non andò inFrancia se non quandoera già mo-naco.

VII. Secondo la narrazion di Leone e deglialtri scrittori, e secondo il sistema del sig.Liruti, converrebbe affermare che Paolodopo la prigionia di Desiderio fosse condot-to in Francia; che rilegato dopo più anninell'isole di Tremiti passasse quindi alla cor-te di Arigiso, e che finalmente lui morto

l'an. 787 si ritirasse a Monte Casino, ed ivi menasse ilrimanente de' giorni suoi. Or noi troviamo che Paolo eramonaco molti anni prima anzi che non fu chiamato inFrancia se non già monaco. Il p. Mabillon era già statodi questa opinione, e aveane recato in pruova una letterada Paolo scritta ad Adelardo abate del monastero diCorbia (Ann. bened. t. 2, l. 25, n. 72), in cui gli dice chenelle state trascorsa, essendosi egli recato non lungi daquel monastero, avea ardentemente desiderato di abboc-carsi con lui; ma che la stanchezza de' suoi cavalli nongli avea permesso di continuar più oltre il viaggio. Inquesta lettera Paolo chiama più volte Adelardo col dolcenome di suo fratello; e quindi avea con non improbabilecongettura dedotto il p. Mabillon ch'ei fosse già mona-co. Ma assai più chiaramente ciò si dimostra di uno de'monumenti pubblicati dall'ab. le Beuf (Diss. sur l'Hist.de Paris t. 1, p. 415). Esso è una lettera dello stessoPaolo a Teodemaro che fu abate di Monte Casinodall'an. 777 fino al 796 (Ann. ben. t. 2, l. 26, n. 46), incui non solo egli il chiama suo padre, ma lungamente econ figlial tenerezza gli espone il desiderio ch'egli ha ditornare a quel suo monastero, e il rappresentarsi ch'egli

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Si pruova che Paolo diacono non andò inFrancia se non quandoera già mo-naco.

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fa di continuo all'animo la santa vita de' suoi fratelli el'amabil loro conversazione: "Io mi trovo, dic'egli fra lealtre cose, tra' Cattolici, e tra' seguaci di Cristo; tutti miveggono con piacere, e mi trattano cortesemente per ri-guardo al nostro padre s. Benedetto, e a' meriti vostri.Ma a confronto del monastero la corte mi è qual prigio-ne; e al paragone della tranquillità, di cui si gode costì, ame par di essere in una fiera burrasca" e conchiude assi-curando Teodomaro che, tosto che il re gliel permetta,egli volerà senza indugio a rinchiudersi nell'amata suacella. Possiam noi bramare altra pruova a persuaderciche Paolo non venne in Francia, se non dappoichè aveaabbracciata la vita monastica? E non basta egli ciò a di-struggere l'opinione di chi afferma che Paolo non si fèmonaco, se non dopo essere stato esiliato da Carlo Ma-gno?

VIII. Nè ciò solamente; ma parmi incontra-stabil ancora che Paolo era in Francia primadella morte di Arigiso principe di Beneven-to avvenuta l'an. 787, e che perciò prima diessa egli era già monaco. Lo stesso ab. le

Beuf ce ne ha dato un sicuro argomento, cioè alcuni ver-si di Pietro da Pisa scritti a nome di Carlo Magno inlode di Paolo colla risposta di Paolo stesso, ch'egli hadato alla luce (l. c. p. 404). Io ne riferirò tra poco ciòche spetta al sapere di Paolo: basti per ora l'addurre ciòche appartiene alla sua venuta in Francia. Carlo comin-

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E prima della morte di Arigiso principe di Benevento.

fa di continuo all'animo la santa vita de' suoi fratelli el'amabil loro conversazione: "Io mi trovo, dic'egli fra lealtre cose, tra' Cattolici, e tra' seguaci di Cristo; tutti miveggono con piacere, e mi trattano cortesemente per ri-guardo al nostro padre s. Benedetto, e a' meriti vostri.Ma a confronto del monastero la corte mi è qual prigio-ne; e al paragone della tranquillità, di cui si gode costì, ame par di essere in una fiera burrasca" e conchiude assi-curando Teodomaro che, tosto che il re gliel permetta,egli volerà senza indugio a rinchiudersi nell'amata suacella. Possiam noi bramare altra pruova a persuaderciche Paolo non venne in Francia, se non dappoichè aveaabbracciata la vita monastica? E non basta egli ciò a di-struggere l'opinione di chi afferma che Paolo non si fèmonaco, se non dopo essere stato esiliato da Carlo Ma-gno?

VIII. Nè ciò solamente; ma parmi incontra-stabil ancora che Paolo era in Francia primadella morte di Arigiso principe di Beneven-to avvenuta l'an. 787, e che perciò prima diessa egli era già monaco. Lo stesso ab. le

Beuf ce ne ha dato un sicuro argomento, cioè alcuni ver-si di Pietro da Pisa scritti a nome di Carlo Magno inlode di Paolo colla risposta di Paolo stesso, ch'egli hadato alla luce (l. c. p. 404). Io ne riferirò tra poco ciòche spetta al sapere di Paolo: basti per ora l'addurre ciòche appartiene alla sua venuta in Francia. Carlo comin-

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E prima della morte di Arigiso principe di Benevento.

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cia dal benedire Iddio che abbia mandato in Francia unuomo sì dotto:

Qui te, Paule, poetarum Vatumque doctissimum Linguis variis ad nostram Lampantem provinciam Misit, ut inertes aptes Fecundis seminibus.

Quindi dopo aver dette più cose a lode di Paolo cosìsoggiugne:

Haud te latet, quod jubente Christo nostra filia Michaele comitante Solers maris spatia Ad tenenda sceptra regni Transitura properat.

Colle quali parole egli allude com'è evidente, alla sua fi-glia Rotrude che dovea passare in Oriente promessasposa di Costantino figliuolo dell'imperadrice Irene; eperciò Carlo Magno continua a dire che Paolo istruivanella lingua greca que' cherici che con Rotrude si dispo-nevano a passare a Costantinopoli. Convien dunque ve-dere in qual anno ciò avvenisse, per quindi raccoglierein qual tempo Paolo diacono si trovasse in Francia. Oregli è certo, per testimonio di Teofane e d'altri antichiscrittori (V. Murat. Ann. d'Ital. ad an. 781; Pagi Crit. inBaron. ad an. 783, n. 1), che essa fu con solenne amba-sciata richiesta a Carlo Magno l'an. 781, e che questo fuun degli affari che si trattaron da Carlo nel viaggio che a

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cia dal benedire Iddio che abbia mandato in Francia unuomo sì dotto:

Qui te, Paule, poetarum Vatumque doctissimum Linguis variis ad nostram Lampantem provinciam Misit, ut inertes aptes Fecundis seminibus.

Quindi dopo aver dette più cose a lode di Paolo cosìsoggiugne:

Haud te latet, quod jubente Christo nostra filia Michaele comitante Solers maris spatia Ad tenenda sceptra regni Transitura properat.

Colle quali parole egli allude com'è evidente, alla sua fi-glia Rotrude che dovea passare in Oriente promessasposa di Costantino figliuolo dell'imperadrice Irene; eperciò Carlo Magno continua a dire che Paolo istruivanella lingua greca que' cherici che con Rotrude si dispo-nevano a passare a Costantinopoli. Convien dunque ve-dere in qual anno ciò avvenisse, per quindi raccoglierein qual tempo Paolo diacono si trovasse in Francia. Oregli è certo, per testimonio di Teofane e d'altri antichiscrittori (V. Murat. Ann. d'Ital. ad an. 781; Pagi Crit. inBaron. ad an. 783, n. 1), che essa fu con solenne amba-sciata richiesta a Carlo Magno l'an. 781, e che questo fuun degli affari che si trattaron da Carlo nel viaggio che a

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Roma ei fece in quell'anno. Se allora anche si celebras-sero gli sponsali, è cosa controversa tra gli scrittori; maè fuor di dubbio che verso l'an. 787 gli sponsali furonosciolti, e rotto il contratto che non erasi ancora eseguitoper l'immatura età di Rotrude. Veggiamo in fatti chel'anno seguente l'imperadrice Irene venne a guerra aper-ta con Carlo (Murat. ad an. 788), il che ci mostra chequalche tempo prima svanito era ogni progetto di matri-monio tra Costantino di lei figliuolo e la figliuola diCarlo. Non è egli dunque evidente che fin dal principiodell'an. 787 almeno Paolo, fatto già monaco, trovavasiin Francia? E dobbiam noi credere che l'anno stesso mo-risse Arigiso ai 26 di agosto, che fu il giorno appunto disua morte, e Paolo lui morto si facesse monaco, e subitopassasse in Francia, e avesse tempo di dar quel saggio dise medesimo che gli meritasse le grandi lodi di cui Pie-tro l'onora, e l'incarico d'istruire nella lingua greca ichierici del seguito di Rotrude; e tutto ciò prima che sisciogliesse il trattato di nozze, il che certamente avven-ne o al fine di quell'anno medesimo, o al cominciar delseguente? Certo a me sembra che dalle allegate paroledi Pietro raccolgasi chiaramente che Paolo diacono erain Francia qualche anno innanzi al rompimento del dettotrattato.

IX. Io vo ancora più oltre, e mi lusingo diavere una non ispregevole congettura aprovare che Paolo venne in Francia l'an.

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Anzi proba-bilmente fino dall'an. 781.

Roma ei fece in quell'anno. Se allora anche si celebras-sero gli sponsali, è cosa controversa tra gli scrittori; maè fuor di dubbio che verso l'an. 787 gli sponsali furonosciolti, e rotto il contratto che non erasi ancora eseguitoper l'immatura età di Rotrude. Veggiamo in fatti chel'anno seguente l'imperadrice Irene venne a guerra aper-ta con Carlo (Murat. ad an. 788), il che ci mostra chequalche tempo prima svanito era ogni progetto di matri-monio tra Costantino di lei figliuolo e la figliuola diCarlo. Non è egli dunque evidente che fin dal principiodell'an. 787 almeno Paolo, fatto già monaco, trovavasiin Francia? E dobbiam noi credere che l'anno stesso mo-risse Arigiso ai 26 di agosto, che fu il giorno appunto disua morte, e Paolo lui morto si facesse monaco, e subitopassasse in Francia, e avesse tempo di dar quel saggio dise medesimo che gli meritasse le grandi lodi di cui Pie-tro l'onora, e l'incarico d'istruire nella lingua greca ichierici del seguito di Rotrude; e tutto ciò prima che sisciogliesse il trattato di nozze, il che certamente avven-ne o al fine di quell'anno medesimo, o al cominciar delseguente? Certo a me sembra che dalle allegate paroledi Pietro raccolgasi chiaramente che Paolo diacono erain Francia qualche anno innanzi al rompimento del dettotrattato.

IX. Io vo ancora più oltre, e mi lusingo diavere una non ispregevole congettura aprovare che Paolo venne in Francia l'an.

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Anzi proba-bilmente fino dall'an. 781.

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781, e io la traggo da un altro de' poetici componimentidi Paolo pubblicati dall'ab. le Beuf (l. c. p. 414). Esso èuna elegia al re Carlo, in cui supplichevolmente gli spo-ne che un suo fratello già da sette anni trovasi prigion diguerra in Francia, e spiega il dolore ch'egli stesso perciòne soffre: Sum miser, ut mereor, quantumque ullus in orbe est.

Semper inest luctus tristis et hora mihi. Septimus annus adest, ex quo tua causa dolores

Multiplices generat et mea corde quatit. Captivus vestris ex tunc germanus in oris

Est meus, afflicto pectore, nudus, egens.

Prosiegue quindi a narrare che l'infelice moglie del pri-gioniero rimastasi in patria è costretta ad andare accat-tando il pane per Dio, che ha quattro teneri figli e appe-na trova di che vestirli, che una sua propria sorella con-secrata a Dio pel continuo piangere ha omai perduta lavista, che tutto il lor domestico avere è stato loro rapito.Poscia continua con questi versi. Nobilitas periit, miseris accessit egestas

Debuimus, fateor, asperiora pati; Sed miserere, potens rector, miserere, precamur,

Et tandem finem his, pie, pone malis.

L'ab. le Beuf, il quale pensa che Paolo fosse condotto inFrancia da Carlo Magno dopo l'espugnazion di Pavial'an. 774, afferma che il fratello di Paolo fu in quella oc-casione medesima condotto prigione; che Paolo per set-te anni non ebbe coraggio di farne motto a Carlo: ma

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781, e io la traggo da un altro de' poetici componimentidi Paolo pubblicati dall'ab. le Beuf (l. c. p. 414). Esso èuna elegia al re Carlo, in cui supplichevolmente gli spo-ne che un suo fratello già da sette anni trovasi prigion diguerra in Francia, e spiega il dolore ch'egli stesso perciòne soffre: Sum miser, ut mereor, quantumque ullus in orbe est.

Semper inest luctus tristis et hora mihi. Septimus annus adest, ex quo tua causa dolores

Multiplices generat et mea corde quatit. Captivus vestris ex tunc germanus in oris

Est meus, afflicto pectore, nudus, egens.

Prosiegue quindi a narrare che l'infelice moglie del pri-gioniero rimastasi in patria è costretta ad andare accat-tando il pane per Dio, che ha quattro teneri figli e appe-na trova di che vestirli, che una sua propria sorella con-secrata a Dio pel continuo piangere ha omai perduta lavista, che tutto il lor domestico avere è stato loro rapito.Poscia continua con questi versi. Nobilitas periit, miseris accessit egestas

Debuimus, fateor, asperiora pati; Sed miserere, potens rector, miserere, precamur,

Et tandem finem his, pie, pone malis.

L'ab. le Beuf, il quale pensa che Paolo fosse condotto inFrancia da Carlo Magno dopo l'espugnazion di Pavial'an. 774, afferma che il fratello di Paolo fu in quella oc-casione medesima condotto prigione; che Paolo per set-te anni non ebbe coraggio di farne motto a Carlo: ma

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che finalmente mosso a pietà del fratello e della fami-glia gli porse l'an. 781 la supplica da noi or riferita. Maè egli probabile che Paolo sì caro al re, e introdottotant'oltre nella real confidenza, per sette anni non gli fa-cesse parola per l'infelice fratello? Poteva egli temereche la sua richiesta non fosse favorevolmente accolta? Equando pure ciò si credesse possibile, e si concedesseche Paolo lasciasse trascorrer sett'anni senza giovarsidel favor del sovrano a pro del fratello, crederem noipossibile ancora che Paolo in questa supplica non dessealcun cenno de' beneficj ch'egli avea ricevuti da Carlo, edella grazia di cui l'onorava? Eppure leggansi tutti que'versi, non v'ha una sillaba da cui si raccolga che Paolofosse già conosciuto da Carlo; e uno straniero che per laprima volta si gittasse a' piedi di un principe, non po-trebbe usare espressioni diverse da quelle di Paolo. Que-sti anzi parlando di se medesimo dice che già da setteanni menava i giorni in continua afflizione e in continuopianto. Un uomo che già da sette anni godesse delle gra-zie di Carlo, dovrebbe egli parlare di tal maniera? Nondovrebbe anzi egli dire che benchè la grazia reale ren-desse a lui sì giocondi e sì onorati i suoi giorni, questinondimeno venivano amareggiati dal dolore che soste-neva per la prigionia di suo fratello? Quanto più io ri-fletto su questo componimento di Paolo, tanto più mipersuado ch'egli l'offerse a Carlo, quando non avea an-cor l'onore di essegli conosciuto e caro.

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che finalmente mosso a pietà del fratello e della fami-glia gli porse l'an. 781 la supplica da noi or riferita. Maè egli probabile che Paolo sì caro al re, e introdottotant'oltre nella real confidenza, per sette anni non gli fa-cesse parola per l'infelice fratello? Poteva egli temereche la sua richiesta non fosse favorevolmente accolta? Equando pure ciò si credesse possibile, e si concedesseche Paolo lasciasse trascorrer sett'anni senza giovarsidel favor del sovrano a pro del fratello, crederem noipossibile ancora che Paolo in questa supplica non dessealcun cenno de' beneficj ch'egli avea ricevuti da Carlo, edella grazia di cui l'onorava? Eppure leggansi tutti que'versi, non v'ha una sillaba da cui si raccolga che Paolofosse già conosciuto da Carlo; e uno straniero che per laprima volta si gittasse a' piedi di un principe, non po-trebbe usare espressioni diverse da quelle di Paolo. Que-sti anzi parlando di se medesimo dice che già da setteanni menava i giorni in continua afflizione e in continuopianto. Un uomo che già da sette anni godesse delle gra-zie di Carlo, dovrebbe egli parlare di tal maniera? Nondovrebbe anzi egli dire che benchè la grazia reale ren-desse a lui sì giocondi e sì onorati i suoi giorni, questinondimeno venivano amareggiati dal dolore che soste-neva per la prigionia di suo fratello? Quanto più io ri-fletto su questo componimento di Paolo, tanto più mipersuado ch'egli l'offerse a Carlo, quando non avea an-cor l'onore di essegli conosciuto e caro.

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X. Or ecco il sistema che a me sembrapotersi fondare su questi versi. Il fratellodi Paolo fu probabilmente condotto pri-gione in Francia insieme con Desiderio; ePaolo allora andò a rinchiudersi o subito,o qualche anno dopo a Monte Casino.

Dissi o subito, o qualche anno dopo, perciocchènell'Epitome delle Cronache Casinesi pubblicata dalMuratori (Script. rer. ital. vol. 2, pars 1, p. 368) si leggeche Paolo colà recossi essendo abate Teodemaro il qua-le, come si è detto, fu a quella carica innalzato solo l'an.777, onde potè avvenire che Paolo dopo la prigionia diDesiderio tornasse alla sua patria nel Friuli; e che soloqualche tempo dopo la sconfitta e la morte di Rodgausoduca di quella provincia, che avvenne l'an. 776, egli ab-bracciasse la vita monastica. L'an. 781, sette anni dopola prigionia del fratello di Paolo, Carlo Magno sen ven-ne a Roma; e in questa occasione io penso che Paolo ovenuto egli stesso a Roma offrisse a Carlo la mentovataelegia, o che dal suo monastero gliela trasmettesse, rap-presentandogli il dolore in cui egli era, e l'infelice statodi suo fratello e di tutta la sua famiglia. In tal supposi-zione l'elegia di Paolo non ha sentimento, o parola chenon convenga ottimamente a tutte le circostanze; ove alcontrario ella ci offre mille difficoltà, quando supponga-si da lui scritta, mentre già da più anni godeva del favo-re di Carlo. Questo principe che in ogni parte e in Italiasingolarmente andava in cerca d'uomini dotti per con-durli nella sua Francia, al leggere questa elegia che allo-

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Si stabiliscono le epoche più verisimili di questo tratto della vita di Paolo.

X. Or ecco il sistema che a me sembrapotersi fondare su questi versi. Il fratellodi Paolo fu probabilmente condotto pri-gione in Francia insieme con Desiderio; ePaolo allora andò a rinchiudersi o subito,o qualche anno dopo a Monte Casino.

Dissi o subito, o qualche anno dopo, perciocchènell'Epitome delle Cronache Casinesi pubblicata dalMuratori (Script. rer. ital. vol. 2, pars 1, p. 368) si leggeche Paolo colà recossi essendo abate Teodemaro il qua-le, come si è detto, fu a quella carica innalzato solo l'an.777, onde potè avvenire che Paolo dopo la prigionia diDesiderio tornasse alla sua patria nel Friuli; e che soloqualche tempo dopo la sconfitta e la morte di Rodgausoduca di quella provincia, che avvenne l'an. 776, egli ab-bracciasse la vita monastica. L'an. 781, sette anni dopola prigionia del fratello di Paolo, Carlo Magno sen ven-ne a Roma; e in questa occasione io penso che Paolo ovenuto egli stesso a Roma offrisse a Carlo la mentovataelegia, o che dal suo monastero gliela trasmettesse, rap-presentandogli il dolore in cui egli era, e l'infelice statodi suo fratello e di tutta la sua famiglia. In tal supposi-zione l'elegia di Paolo non ha sentimento, o parola chenon convenga ottimamente a tutte le circostanze; ove alcontrario ella ci offre mille difficoltà, quando supponga-si da lui scritta, mentre già da più anni godeva del favo-re di Carlo. Questo principe che in ogni parte e in Italiasingolarmente andava in cerca d'uomini dotti per con-durli nella sua Francia, al leggere questa elegia che allo-

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Si stabiliscono le epoche più verisimili di questo tratto della vita di Paolo.

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ra sarà sembrata di un'ammirabile eleganza dovette pro-babilmente invaghirsi di aver seco un uomo sì dotto; emolto più quand'egli riseppe che Paolo possedeva anco-ra la lingua greca, pregio opportunissimo allora, mentreappunto trattavasi del matrimonio di Rotrude coll'impe-rador greco. Questa a mio parere fu l'occasione e 'lmodo con cui Paolo passò in Francia. Così mi sembrache ogni cosa si spieghi felicemente, nè io veggo gravedifficoltà da cui questa opinione possa essere combattu-ta. Io nondimeno non fo che proporla come una sempli-ce mia congettura, e ne lascio la decisione a' più eruditi.

XI. Fino a qual anno si trattenesse Paolo inFrancia, non si ha monumento onde racco-glierlo sicuramente. Certamente il suo sog-giorno fu di alcuni anni, come si farà mani-festo dalla serie delle opere che ivi furono

da lui composte. Abbiam veduto poc'anzi nella letterada lui scritta al suo abate Teodemaro, ch'egli impazien-temente bramava di tornare al suo monastero, ma degnesono d'osservazione alcune parole di essa: "Quum pri-mum valuero, dic'egli, et mihi coeli Dominus per piumPrincipem noctem maeroris, meisque captivis juga mi-seriae demiserit... mox ad vestra consortia... repedabo".Queste espressioni mi fanno credere che Paolo non otte-nesse subito da Carlo la liberazione del suo fratello, masolo alcun tempo dopo la sua venuta in Francia; e cheperciò egli scrivesse a Teodemaro, che quando Dio per

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Suo ritorno in Italia e tempo dellasua morte.

ra sarà sembrata di un'ammirabile eleganza dovette pro-babilmente invaghirsi di aver seco un uomo sì dotto; emolto più quand'egli riseppe che Paolo possedeva anco-ra la lingua greca, pregio opportunissimo allora, mentreappunto trattavasi del matrimonio di Rotrude coll'impe-rador greco. Questa a mio parere fu l'occasione e 'lmodo con cui Paolo passò in Francia. Così mi sembrache ogni cosa si spieghi felicemente, nè io veggo gravedifficoltà da cui questa opinione possa essere combattu-ta. Io nondimeno non fo che proporla come una sempli-ce mia congettura, e ne lascio la decisione a' più eruditi.

XI. Fino a qual anno si trattenesse Paolo inFrancia, non si ha monumento onde racco-glierlo sicuramente. Certamente il suo sog-giorno fu di alcuni anni, come si farà mani-festo dalla serie delle opere che ivi furono

da lui composte. Abbiam veduto poc'anzi nella letterada lui scritta al suo abate Teodemaro, ch'egli impazien-temente bramava di tornare al suo monastero, ma degnesono d'osservazione alcune parole di essa: "Quum pri-mum valuero, dic'egli, et mihi coeli Dominus per piumPrincipem noctem maeroris, meisque captivis juga mi-seriae demiserit... mox ad vestra consortia... repedabo".Queste espressioni mi fanno credere che Paolo non otte-nesse subito da Carlo la liberazione del suo fratello, masolo alcun tempo dopo la sua venuta in Francia; e cheperciò egli scrivesse a Teodemaro, che quando Dio per

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Suo ritorno in Italia e tempo dellasua morte.

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mezzo di Carlo avesse recato conforto al suo dolore, equando a suo fratello fosse renduta la libertà, ei nonavrebbe indugiato a far ritorno a Monte Casino. Io credoperciò, che questa lettera fosse scritta da Paolo non mol-to dopo la sua venuta in Francia. Probabilmente ei nondovette aspettar molto a provare gli effetti della clemen-za di Carlo verso il suo fratello; e forse egli adoperossiallora per ottenere di ritirarsi di nuovo a Monte Casino.Ma Carlo troppo volentieri vedeva alla sua corte gli uo-mini dotti, e la partenza di Rotrude per Costantinopoli,che allora andavasi apparecchiando, dovette probabil-mente offerirgli un'opportuna occasione per trattenerlo.Ruppesi finalmente circa l'an. 787, come si è detto, iltrattato di nozze; e allora io penso che Paolo rinnovassele sue preghiere a Carlo per ottenere il bramato conge-do, e che lo ottenesse di fatto. E veramente io non trovopiù dopo quest'anno alcun monumento il quale ci dimo-stri che Paolo continuasse più oltre il suo soggiorno inFrancia. Veggo bensì ch'ei compose l'epitafio pel sepol-cro di Arigiso principe di Benevento, morto a' 26 d'ago-sto di quell'anno medesimo, il qual epitafio è statodall'Anonimo salernitano inserito nella sua Cronaca(Script. rer. ital. vol. 2, pars 2, p. 185). Io so bene cheanche standosi in Francia poteva Paolo comporlo, e chepotea anche comporlo molti anni dopo la morte di Ari-giso. Ma sembra nondimeno più verisimile ch'egli si tro-vasse non lungi da Benevento, cioè nell'antico suo mo-nastero, quando quel principe venne a morte, e che per-ciò egli fosse richiesto di ornarne co' versi il sepolcro. Il

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mezzo di Carlo avesse recato conforto al suo dolore, equando a suo fratello fosse renduta la libertà, ei nonavrebbe indugiato a far ritorno a Monte Casino. Io credoperciò, che questa lettera fosse scritta da Paolo non mol-to dopo la sua venuta in Francia. Probabilmente ei nondovette aspettar molto a provare gli effetti della clemen-za di Carlo verso il suo fratello; e forse egli adoperossiallora per ottenere di ritirarsi di nuovo a Monte Casino.Ma Carlo troppo volentieri vedeva alla sua corte gli uo-mini dotti, e la partenza di Rotrude per Costantinopoli,che allora andavasi apparecchiando, dovette probabil-mente offerirgli un'opportuna occasione per trattenerlo.Ruppesi finalmente circa l'an. 787, come si è detto, iltrattato di nozze; e allora io penso che Paolo rinnovassele sue preghiere a Carlo per ottenere il bramato conge-do, e che lo ottenesse di fatto. E veramente io non trovopiù dopo quest'anno alcun monumento il quale ci dimo-stri che Paolo continuasse più oltre il suo soggiorno inFrancia. Veggo bensì ch'ei compose l'epitafio pel sepol-cro di Arigiso principe di Benevento, morto a' 26 d'ago-sto di quell'anno medesimo, il qual epitafio è statodall'Anonimo salernitano inserito nella sua Cronaca(Script. rer. ital. vol. 2, pars 2, p. 185). Io so bene cheanche standosi in Francia poteva Paolo comporlo, e chepotea anche comporlo molti anni dopo la morte di Ari-giso. Ma sembra nondimeno più verisimile ch'egli si tro-vasse non lungi da Benevento, cioè nell'antico suo mo-nastero, quando quel principe venne a morte, e che per-ciò egli fosse richiesto di ornarne co' versi il sepolcro. Il

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p. Mabillon congettura (Ann. bened. vol. 2, l. 24, n. 73)che quando Carlo Magno l'an. 787 recossi a Monte Ca-sino, vi trovasse Paolo che già vi era tornato. In tal casoconverrebbe credere che sul principio di quell'an. al piùtardi Paolo vi fosse tornato, o fors'ancora che Carlo secol'avesse condotto quando verso la fine dell'anno prece-dente scese in Italia. Ma intorno a ciò non abbiam mo-numento, o ragione a cui appoggiarci. Quanti anni so-pravvivesse Paolo al suo ritorno in Italia, non possiamoaccertarlo, perchè niun antico scrittore ci ha di ciò la-sciata memoria. Ma il vedere ch'ei fu allevato in corte diRachis, il quale tenne il regno de' Longobardi finoall'an. 748, che Carlo Magno in alcuni versi a lui scritti,poichè era tornato a Monte Casino, il chiama vecchio, eche Paolo non mai dà a Carlo il nome d'imperadore, masol quello di re, tutto ciò tende probabile la comune opi-nione ch'egli al più vivesse fino all'an. 799. Così a mepare di aver posto in qualche maggior chiarezza la vitadi questo celebre uomo, purgandola dalle favole di cuila semplicità de' secoli scorsi l'avea oscurata, e ordinan-done, quanto fra tante tenebre mi è stato possibile, l'epo-che principali. Rimane ora a dir qualche cosa del saperedi cui fu Paolo fornito, e delle opere che ne furono ilfrutto.

XII. Ne' versi di Pietro pisano, da noi giàmentovati, tante e sì gran lodi si dicon diPaolo, che del più dotto e del più elegante

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Elogi ad esso fatti e stima incui avealo Carlo M.

p. Mabillon congettura (Ann. bened. vol. 2, l. 24, n. 73)che quando Carlo Magno l'an. 787 recossi a Monte Ca-sino, vi trovasse Paolo che già vi era tornato. In tal casoconverrebbe credere che sul principio di quell'an. al piùtardi Paolo vi fosse tornato, o fors'ancora che Carlo secol'avesse condotto quando verso la fine dell'anno prece-dente scese in Italia. Ma intorno a ciò non abbiam mo-numento, o ragione a cui appoggiarci. Quanti anni so-pravvivesse Paolo al suo ritorno in Italia, non possiamoaccertarlo, perchè niun antico scrittore ci ha di ciò la-sciata memoria. Ma il vedere ch'ei fu allevato in corte diRachis, il quale tenne il regno de' Longobardi finoall'an. 748, che Carlo Magno in alcuni versi a lui scritti,poichè era tornato a Monte Casino, il chiama vecchio, eche Paolo non mai dà a Carlo il nome d'imperadore, masol quello di re, tutto ciò tende probabile la comune opi-nione ch'egli al più vivesse fino all'an. 799. Così a mepare di aver posto in qualche maggior chiarezza la vitadi questo celebre uomo, purgandola dalle favole di cuila semplicità de' secoli scorsi l'avea oscurata, e ordinan-done, quanto fra tante tenebre mi è stato possibile, l'epo-che principali. Rimane ora a dir qualche cosa del saperedi cui fu Paolo fornito, e delle opere che ne furono ilfrutto.

XII. Ne' versi di Pietro pisano, da noi giàmentovati, tante e sì gran lodi si dicon diPaolo, che del più dotto e del più elegante

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Elogi ad esso fatti e stima incui avealo Carlo M.

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uomo del mondo non si potrebbon dire maggiori. Giàabbiam veduto ch'egli il chiama dottissimo sopra tutti ipoeti, e in varie lingue versato. Quindi prosiegue a dire:

Graeca cerneris Homerus, Latina Virgilius: In Hebraea quoque Philo, Tertullus in artibus, Flaccus crederis in metris, Tibullus eloquio.

Io non so se del più colto poeta siasi mai detto altrettan-to. Se non ci fosser rimaste le poesie di Paolo, noi ripu-teremmo ben luttuosa una tal perdita. Ma noi ancora neabbiamo alcune; ed esse, benchè siano per avventura lemigliori fra tutte quelle di questo secolo, troppo peròson lungi dal potersene uguagliare l'autore a' poeti no-minati da Pietro. Questi prosiegue a dire che Paolo tene-va ivi scuola di gramatica, col qual nome comprende-vansi allora le belle lettere, e che insegnava ancora lalingua greca; e rammenta, come già si è detto, l'istruireche in essa faceva i cherici destinati ad accompagnareRotrude. Paolo risponde nel medesimo metro a Pietro, opiuttosto a Carlo Magno a cui nome avea scritto Pietro,e dice modestamente che nelle lodi a lui date ei non po-tea ravvisare che uno scherzo e un'ironia. Egli sminuiscequanto più può il pregio attribuitogli di saper la linguagreca e l'ebraica; ma ci mostra insieme che qualche co-gnizione ne avea, e probabilmente maggiore assai diquella ch'gli confessa.

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uomo del mondo non si potrebbon dire maggiori. Giàabbiam veduto ch'egli il chiama dottissimo sopra tutti ipoeti, e in varie lingue versato. Quindi prosiegue a dire:

Graeca cerneris Homerus, Latina Virgilius: In Hebraea quoque Philo, Tertullus in artibus, Flaccus crederis in metris, Tibullus eloquio.

Io non so se del più colto poeta siasi mai detto altrettan-to. Se non ci fosser rimaste le poesie di Paolo, noi ripu-teremmo ben luttuosa una tal perdita. Ma noi ancora neabbiamo alcune; ed esse, benchè siano per avventura lemigliori fra tutte quelle di questo secolo, troppo peròson lungi dal potersene uguagliare l'autore a' poeti no-minati da Pietro. Questi prosiegue a dire che Paolo tene-va ivi scuola di gramatica, col qual nome comprende-vansi allora le belle lettere, e che insegnava ancora lalingua greca; e rammenta, come già si è detto, l'istruireche in essa faceva i cherici destinati ad accompagnareRotrude. Paolo risponde nel medesimo metro a Pietro, opiuttosto a Carlo Magno a cui nome avea scritto Pietro,e dice modestamente che nelle lodi a lui date ei non po-tea ravvisare che uno scherzo e un'ironia. Egli sminuiscequanto più può il pregio attribuitogli di saper la linguagreca e l'ebraica; ma ci mostra insieme che qualche co-gnizione ne avea, e probabilmente maggiore assai diquella ch'gli confessa.

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Graecam nescio loquelam, Ignoro hebraicam: Tres aut quatuor in scholis Quas didici sillabas, Ex his mihi est ferendus Manipulus adorea.

Altri versi abbiam parimenti che scriveansi l'unoall'altro questi due Italiani (l. c. p. 409, ec.), ne' qualiveggiamo che essi si propongono a vicenda a scioglierealcuni enimmi. Anzi lo stesso Carlo non isdegnava tal-volta di proporne alcuni a Paolo, come raccogliesi da al-cuni versi ch'egli gli scrive (ib. p. 413). Questo granprincipe avea pel nostro Paolo non solo la stima e il ri-spetto, ma direi quasi un'amichevole e tenera confiden-za. Egli gliene diede più pruove non solo quand'era inFrancia, ma dappoichè ancora fu ritornato a Monte Ca-sino; il che sempre più ci dimostra quanto sia falso ciòche della congiura da Paolo ordita, o almeno appostagli,si è detto di sopra. Due lettere abbiamo scrittegli amen-due in versi da questo sovrano, il qual pare che non sisapesse dimenticare di un uomo a lui sì caro. La prima ètra le opere d'Alcuino (carm. 186); e in essa il chiamasuo diletto fratello: Parvula rex Carolus seniori carmina Paulo

Dilecto fratri, mittit honore pio.

Quindi dopo essersi rivolto alla sua lettera stessa, dicen-dole che vada a Monte Casino, così continua: Illic quaere meum mox per sacra culmina Paulum:

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Graecam nescio loquelam, Ignoro hebraicam: Tres aut quatuor in scholis Quas didici sillabas, Ex his mihi est ferendus Manipulus adorea.

Altri versi abbiam parimenti che scriveansi l'unoall'altro questi due Italiani (l. c. p. 409, ec.), ne' qualiveggiamo che essi si propongono a vicenda a scioglierealcuni enimmi. Anzi lo stesso Carlo non isdegnava tal-volta di proporne alcuni a Paolo, come raccogliesi da al-cuni versi ch'egli gli scrive (ib. p. 413). Questo granprincipe avea pel nostro Paolo non solo la stima e il ri-spetto, ma direi quasi un'amichevole e tenera confiden-za. Egli gliene diede più pruove non solo quand'era inFrancia, ma dappoichè ancora fu ritornato a Monte Ca-sino; il che sempre più ci dimostra quanto sia falso ciòche della congiura da Paolo ordita, o almeno appostagli,si è detto di sopra. Due lettere abbiamo scrittegli amen-due in versi da questo sovrano, il qual pare che non sisapesse dimenticare di un uomo a lui sì caro. La prima ètra le opere d'Alcuino (carm. 186); e in essa il chiamasuo diletto fratello: Parvula rex Carolus seniori carmina Paulo

Dilecto fratri, mittit honore pio.

Quindi dopo essersi rivolto alla sua lettera stessa, dicen-dole che vada a Monte Casino, così continua: Illic quaere meum mox per sacra culmina Paulum:

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Ille habitat medio sub grege, credo, Dei. Inventumque senem devota mente saluta

Et dic: rex Carolus mandat aveto tibi.

Nell'altra, che da Leone ostiense è stata in parte inseritanella sua Cronaca (l. 1. c. 15), Carlo dopo avere per so-migliante maniera parlato alla sua lettera, soggiugne:

Colla mei Pauli gaudendo, amplecte benigne; Dicito multoties: salve, pater optime, salve.

A questa lettera dice Leone che Paolo rispose egli purein versi; ma questa risposta si è smarrita. L'amore diCarlo Magno verso il monaco Paolo fu probabilmente ilmotivo per cui egli determinossi a chiamare da MonteCasino in Francia alcuni monaci, perchè introducesseroin que' monasteri le regolari costumanze che in quello siusavano. Essi vi andaron di fatto, e l'abate Teodemarodiè loro una lettera ch'egli avea fatto distendere dallostesso Paolo, scritta a Carlo, in cui ragguagliavalo dellecose più importanti della lor regola. Essa ci è stata con-servata dal mentovato Leone (l. 1, c. 12); e veggasi ciòche ne ha scritto il p. Mabillon per confutar l'opinione dichi ha preteso ch'ella fosse supposta (Ann. bened. t. 2, l.25, n. 69; Acta SS. Ord. s. bened. Saec. 4, pars 1, praef.n. 95).

XIII. Io non mi tratterrò a parlare minu-tamente di tutte le poesie, di tutte le lette-re, di tutti gli opuscoli di Paolo diacono.

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Notizie delle principali ope-re di Paolo.

Ille habitat medio sub grege, credo, Dei. Inventumque senem devota mente saluta

Et dic: rex Carolus mandat aveto tibi.

Nell'altra, che da Leone ostiense è stata in parte inseritanella sua Cronaca (l. 1. c. 15), Carlo dopo avere per so-migliante maniera parlato alla sua lettera, soggiugne:

Colla mei Pauli gaudendo, amplecte benigne; Dicito multoties: salve, pater optime, salve.

A questa lettera dice Leone che Paolo rispose egli purein versi; ma questa risposta si è smarrita. L'amore diCarlo Magno verso il monaco Paolo fu probabilmente ilmotivo per cui egli determinossi a chiamare da MonteCasino in Francia alcuni monaci, perchè introducesseroin que' monasteri le regolari costumanze che in quello siusavano. Essi vi andaron di fatto, e l'abate Teodemarodiè loro una lettera ch'egli avea fatto distendere dallostesso Paolo, scritta a Carlo, in cui ragguagliavalo dellecose più importanti della lor regola. Essa ci è stata con-servata dal mentovato Leone (l. 1, c. 12); e veggasi ciòche ne ha scritto il p. Mabillon per confutar l'opinione dichi ha preteso ch'ella fosse supposta (Ann. bened. t. 2, l.25, n. 69; Acta SS. Ord. s. bened. Saec. 4, pars 1, praef.n. 95).

XIII. Io non mi tratterrò a parlare minu-tamente di tutte le poesie, di tutte le lette-re, di tutti gli opuscoli di Paolo diacono.

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Notizie delle principali ope-re di Paolo.

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L'Oudin, il Fabricio e il Liruti potranno in ciò soddisfarea chi voglia esserne pienamente istruito. Io accenneròsolo ciò che appartiene alle opere più importanti ch'eglici ha lasciate. Non parlo delle Vite de' Vescovi di Pavia,che il Galesini dice di aver vedute scritte da Paolo dia-cono (in not. ad Martyrol.). Egli è il solo a cui esse sianvenute sott'occhio e perciò il Muratori (praef. ad Hist.miscell. t. 1 Script. rer. ital.) dubita con ragione di qual-che equivoco. Abbiam bensì le Vite de' Vescovi di Metzscritte da Paolo, che dopo più altre edizioni sono state dinuovo date alla luce dall'eruditiss. Calmet (Hist. de Lor-raine t. 1). Egli le scrisse a istanza di Angelramno ve-scovo di quella città, che allor vivea, come si raccogliedalle ultime parole della stessa opera, e come altrove af-ferma lo stesso Paolo (Hist. langob. l. 6, c. 16). Il sig.Liruti pruova con ottimi argomenti che questo libro daPaolo fu scritto dopo l'an. 783. Io aggiungo ch'esso fucertamente scritto prima dell'anno 791, perchè inquell'anno morì Angelramno (Calmel, ib. p. 531); il checonferma ciò che sopra abbiam detto intorno al tempo incui Paolo trattennesi in Francia. Lo stesso Liruti affer-ma, seguendo il Cave, che Paolo scrisse innoltre separa-tamente la Vita del vescovo s. Arnolfo. Ma l'Oudin aveagià scoperto e dimostrato l'errore in ciò commesso dalCave. In Francia pure per commissione di Carlo fecePaolo diacono la raccolta di omelie de' SS. Padri sullediverse feste dell'anno, che abbiamo alle stampe sottonome di Omiliario. Vi si vede premessa una prefazionedello stesso Carlo Magno, in cui dice di aver di ciò inca-

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L'Oudin, il Fabricio e il Liruti potranno in ciò soddisfarea chi voglia esserne pienamente istruito. Io accenneròsolo ciò che appartiene alle opere più importanti ch'eglici ha lasciate. Non parlo delle Vite de' Vescovi di Pavia,che il Galesini dice di aver vedute scritte da Paolo dia-cono (in not. ad Martyrol.). Egli è il solo a cui esse sianvenute sott'occhio e perciò il Muratori (praef. ad Hist.miscell. t. 1 Script. rer. ital.) dubita con ragione di qual-che equivoco. Abbiam bensì le Vite de' Vescovi di Metzscritte da Paolo, che dopo più altre edizioni sono state dinuovo date alla luce dall'eruditiss. Calmet (Hist. de Lor-raine t. 1). Egli le scrisse a istanza di Angelramno ve-scovo di quella città, che allor vivea, come si raccogliedalle ultime parole della stessa opera, e come altrove af-ferma lo stesso Paolo (Hist. langob. l. 6, c. 16). Il sig.Liruti pruova con ottimi argomenti che questo libro daPaolo fu scritto dopo l'an. 783. Io aggiungo ch'esso fucertamente scritto prima dell'anno 791, perchè inquell'anno morì Angelramno (Calmel, ib. p. 531); il checonferma ciò che sopra abbiam detto intorno al tempo incui Paolo trattennesi in Francia. Lo stesso Liruti affer-ma, seguendo il Cave, che Paolo scrisse innoltre separa-tamente la Vita del vescovo s. Arnolfo. Ma l'Oudin aveagià scoperto e dimostrato l'errore in ciò commesso dalCave. In Francia pure per commissione di Carlo fecePaolo diacono la raccolta di omelie de' SS. Padri sullediverse feste dell'anno, che abbiamo alle stampe sottonome di Omiliario. Vi si vede premessa una prefazionedello stesso Carlo Magno, in cui dice di aver di ciò inca-

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ricato Paolo diacono suo famigliare, il che sembra indi-carci che Paolo fosse allora alla corte. Il p. Mabillonparla di questa fatica di Paolo all'anno 797 (Ann. bened.t. 2, l. 26, n. 62); ma egli stesso confessa che altro non sipuò affermare, se non che ella fu scritta innanzi all'an.800. Di essa ha parlato assai diligentemente l'Oudin(Script. eccl. t. 1, p. 1928). Sembra ancor verisimile chein Francia ei componesse il compendio dell'opera gra-maticale di Festo. Abbiamo in fatti la lettera con cui eglil'indirizzò a Carlo (Mabillon. t. 1 in App. n. 36), scriven-dogli ch'egli l'avea composto per farne dono alla biblio-teca da lui raccolta. Di questo compendio abbiamo alcu-ne edizioni che si rammentano dal sig. Liruti. L'Oudincrede che anche i sei libri della Storia de' Longobardiscritti fosser da Paolo nel suo soggiorno in Francia; e nereca in pruova le molte cose che in essa ha inserite inlode della famiglia di Carlo, e la maniera con cui egliparla della famosa quistione del trasporto del corpo di s.Benedetto d'Italia in Francia. Ma anche, poichè fu torna-to a Monte Casino, potea Paolo parlar con lode degli an-tenati di Carlo; e il passo menvato sulla traslazione delcorpo di s. Benedetto è così oscuro, che i Francesiugualmente che gl'Italiani lo interpretano in lor favore(V. Horat. Blanci notas ad l. 6 Hist. langob. c. 2; Script.rer. ital. t. 1). Non paion dunque abbastanza forti le ra-gioni che dall'Oudin si adducono; ma niuna pure ne ab-biamo che ci persuada ch'ei la scrivesse nel suo mona-stero. Checchessia di ciò, è certo che questa è l'opera percui più celebre è divenuto il nome di questo scrittore.

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ricato Paolo diacono suo famigliare, il che sembra indi-carci che Paolo fosse allora alla corte. Il p. Mabillonparla di questa fatica di Paolo all'anno 797 (Ann. bened.t. 2, l. 26, n. 62); ma egli stesso confessa che altro non sipuò affermare, se non che ella fu scritta innanzi all'an.800. Di essa ha parlato assai diligentemente l'Oudin(Script. eccl. t. 1, p. 1928). Sembra ancor verisimile chein Francia ei componesse il compendio dell'opera gra-maticale di Festo. Abbiamo in fatti la lettera con cui eglil'indirizzò a Carlo (Mabillon. t. 1 in App. n. 36), scriven-dogli ch'egli l'avea composto per farne dono alla biblio-teca da lui raccolta. Di questo compendio abbiamo alcu-ne edizioni che si rammentano dal sig. Liruti. L'Oudincrede che anche i sei libri della Storia de' Longobardiscritti fosser da Paolo nel suo soggiorno in Francia; e nereca in pruova le molte cose che in essa ha inserite inlode della famiglia di Carlo, e la maniera con cui egliparla della famosa quistione del trasporto del corpo di s.Benedetto d'Italia in Francia. Ma anche, poichè fu torna-to a Monte Casino, potea Paolo parlar con lode degli an-tenati di Carlo; e il passo menvato sulla traslazione delcorpo di s. Benedetto è così oscuro, che i Francesiugualmente che gl'Italiani lo interpretano in lor favore(V. Horat. Blanci notas ad l. 6 Hist. langob. c. 2; Script.rer. ital. t. 1). Non paion dunque abbastanza forti le ra-gioni che dall'Oudin si adducono; ma niuna pure ne ab-biamo che ci persuada ch'ei la scrivesse nel suo mona-stero. Checchessia di ciò, è certo che questa è l'opera percui più celebre è divenuto il nome di questo scrittore.

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Ella è la sola che abbiamo intorno alla Storia de' Longo-bardi; e benchè intorno alla prima loro origine egli pos-sa aver commessi più falli, benchè poco esatto ei sianell'ordine cronologico, benchè ci abbia narrate più coseche or si credono favolose, benchè finalmente ei non siacerto nè un Cesare nè un Livio nel suo stile, dobbiamperò essergli tenuti assai, perchè ci ha data una storiaquale a que' tempi poteasi aspettare, e ci ha lasciate mol-te importanti notizie che altrimenti sarebbon perite. Essadopo più altre edizioni è stata inserita dal Muratori nellasua gran raccolta degli Storici d'Italia (t. 1, pars 1), ilquale ancora ha pubblicato dopo altri un frammento, ocontinuazione della Storia medesima (ib. pars 2), che daalcuni credesi di autor più recente.

XIV. La storia romana ancora fu da Paoloillustrata. È celebre la Storia detta comu-nemente Miscella, che abbraccia quella

di Eutropio continuata ed accresciuta dal nostro Paolo, eposcia da più recente scrittore, che da alcuni credesiLandolfo il vecchio, da altri altro autore non conosciuto(V. Murat. Script. rer. ital. t. 1 praef ad Hist. miscell.).Qual parte vi avesse Paolo, si è disputato da molti. Masembra toglierne ogni dubbio Leone ostiense, il qualeafferma (Chron. Casin. l. 1, c. 15) che Paolo ad istanzadi Adelberga figlia del re Desiderio e moglie di Arigisoprincipe di Benevento alla Storia d'Eutropio aggiunsepiù cose tratte dalla Storia ecclesiastica, e l'accrebbe an-

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Altre opere del medesimo.

Ella è la sola che abbiamo intorno alla Storia de' Longo-bardi; e benchè intorno alla prima loro origine egli pos-sa aver commessi più falli, benchè poco esatto ei sianell'ordine cronologico, benchè ci abbia narrate più coseche or si credono favolose, benchè finalmente ei non siacerto nè un Cesare nè un Livio nel suo stile, dobbiamperò essergli tenuti assai, perchè ci ha data una storiaquale a que' tempi poteasi aspettare, e ci ha lasciate mol-te importanti notizie che altrimenti sarebbon perite. Essadopo più altre edizioni è stata inserita dal Muratori nellasua gran raccolta degli Storici d'Italia (t. 1, pars 1), ilquale ancora ha pubblicato dopo altri un frammento, ocontinuazione della Storia medesima (ib. pars 2), che daalcuni credesi di autor più recente.

XIV. La storia romana ancora fu da Paoloillustrata. È celebre la Storia detta comu-nemente Miscella, che abbraccia quella

di Eutropio continuata ed accresciuta dal nostro Paolo, eposcia da più recente scrittore, che da alcuni credesiLandolfo il vecchio, da altri altro autore non conosciuto(V. Murat. Script. rer. ital. t. 1 praef ad Hist. miscell.).Qual parte vi avesse Paolo, si è disputato da molti. Masembra toglierne ogni dubbio Leone ostiense, il qualeafferma (Chron. Casin. l. 1, c. 15) che Paolo ad istanzadi Adelberga figlia del re Desiderio e moglie di Arigisoprincipe di Benevento alla Storia d'Eutropio aggiunsepiù cose tratte dalla Storia ecclesiastica, e l'accrebbe an-

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Altre opere del medesimo.

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cor di due libri de' tempi di Giuliano, ove Eutropio aveafatto fine, fino a' tempi di Giustiniano I. Il ch. monsig.Mansi per mezzo di un codice ms. è giunto ad additareprecisamente, i passi che da Paolo furono inseriti nellaStoria di Eutropio (V. Zacharia Iter. litter. p. 19). Se èvero ciò che Leone afferma che Paolo si accingesse aquest'opera per comando di Adelberga, è probabile checiò avvenisse nei pochi anni ch'ei fu a Monte Casinoprima di passare in Francia, o poichè vi ebbe fatto ritor-no. Nel qual tempo pure è probabile ch'ei componesseque' versi, di cui, secondo lo stesso Leone (l. c.), egliornò i due palazzi che avea Arigiso, uno in Benevento,l'altro in Salerno. Io lascio di annoverare altre poesie diPaolo, come alcuni inni da lui composti, e quello singo-larmente in lode di s. Giovanni Battista, che comincia:Ut queant laxis, celebre per aver data l'origine alle notemusicali di Guido d'Arezzo, e i versi in lode de' ss. Be-nedetto e Mauro e Scolastica, e l'epitafio di VenanzioFortunato, e gli epitafj d'Ildegarde moglie di Carlo Ma-gno, e di altre reali principesse di quella famiglia, e piùaltri, intorno a' quali si veggano gli accennati scrittori, esingolarmente il sig. Liruti, il quale ancora ragiona di al-cune Vite de' Santi da lui pubblicate, e di quella fra lealtre di s. Gregorio il grande, che dopo altre edizioni èstata da' Maurini premessa alla nuova edizione dell'Ope-re di quel s. pontefice da essi fatta in Parigi l'an. 1705, edi più altre operette del nostro Paolo, delle quali io la-scio di favellare, sì per amore di brevità, sì per non an-noiare chi legge col ripetere semplicemente ciò che altri

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cor di due libri de' tempi di Giuliano, ove Eutropio aveafatto fine, fino a' tempi di Giustiniano I. Il ch. monsig.Mansi per mezzo di un codice ms. è giunto ad additareprecisamente, i passi che da Paolo furono inseriti nellaStoria di Eutropio (V. Zacharia Iter. litter. p. 19). Se èvero ciò che Leone afferma che Paolo si accingesse aquest'opera per comando di Adelberga, è probabile checiò avvenisse nei pochi anni ch'ei fu a Monte Casinoprima di passare in Francia, o poichè vi ebbe fatto ritor-no. Nel qual tempo pure è probabile ch'ei componesseque' versi, di cui, secondo lo stesso Leone (l. c.), egliornò i due palazzi che avea Arigiso, uno in Benevento,l'altro in Salerno. Io lascio di annoverare altre poesie diPaolo, come alcuni inni da lui composti, e quello singo-larmente in lode di s. Giovanni Battista, che comincia:Ut queant laxis, celebre per aver data l'origine alle notemusicali di Guido d'Arezzo, e i versi in lode de' ss. Be-nedetto e Mauro e Scolastica, e l'epitafio di VenanzioFortunato, e gli epitafj d'Ildegarde moglie di Carlo Ma-gno, e di altre reali principesse di quella famiglia, e piùaltri, intorno a' quali si veggano gli accennati scrittori, esingolarmente il sig. Liruti, il quale ancora ragiona di al-cune Vite de' Santi da lui pubblicate, e di quella fra lealtre di s. Gregorio il grande, che dopo altre edizioni èstata da' Maurini premessa alla nuova edizione dell'Ope-re di quel s. pontefice da essi fatta in Parigi l'an. 1705, edi più altre operette del nostro Paolo, delle quali io la-scio di favellare, sì per amore di brevità, sì per non an-noiare chi legge col ripetere semplicemente ciò che altri

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han detto. Io aggiugnerò solo che le tante e sì diversematerie su cui Paolo ha scritto, ci mostrano quanto dottouomo egli fosse, e ben degno perciò della stima edell'amore di Carlo Magno.

XV. Ci siam finor trattenuti intorno a Paolodiacono, perchè e ci è sembrato ch'ei nonfosse uomo da accennarsi sol di passaggio,e abbiam creduto opportuno il rischiarare,

quanto ci fosse possibile, alcuni tratti della sua vita,ch'erano ancor incerti ed oscuri. Degli altri storici diquesti due secoli parleremo assai più brevemente, poi-chè non vi è cosa per lor riguardo, di cui sia utile il di-sputar lungamente. Una breve Cronaca delle cose avve-nute in Italia dall'an. 568 fin circa l'an. 875 è stata dataalla luce prima da Gian Burcardo Menckenio (Script.rer. germ. t. 1), poscia dal Muratori (Antiq. Ital. t. 1, p.41, ec.). L'autore è un cotal prete Andrea, il qual perciòda alcuni è stato confuso con Agnello Andrea prete diRavenna, di cui già abbiam favellato. Ma il Muratori ri-flettendo che l'autore di questa Cronaca afferma di averegli stesso portato il cadavero dell'imp. Lodovico II pelterritorio di Bergamo, cioè per quel tratto che giace tral'Oglio e l'Adda, congettura (Ann. d'Ital. ad an. 875)ch'ei fosse natio di questa città. La qual congettura piùprobabile rendesi ancora da una lettera del ch. ab. Seras-si accennata dal co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 1, par.2, p. 691), in cui egli dice che da' monumenti che ancor

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Andrea da Bergamo cronista.

han detto. Io aggiugnerò solo che le tante e sì diversematerie su cui Paolo ha scritto, ci mostrano quanto dottouomo egli fosse, e ben degno perciò della stima edell'amore di Carlo Magno.

XV. Ci siam finor trattenuti intorno a Paolodiacono, perchè e ci è sembrato ch'ei nonfosse uomo da accennarsi sol di passaggio,e abbiam creduto opportuno il rischiarare,

quanto ci fosse possibile, alcuni tratti della sua vita,ch'erano ancor incerti ed oscuri. Degli altri storici diquesti due secoli parleremo assai più brevemente, poi-chè non vi è cosa per lor riguardo, di cui sia utile il di-sputar lungamente. Una breve Cronaca delle cose avve-nute in Italia dall'an. 568 fin circa l'an. 875 è stata dataalla luce prima da Gian Burcardo Menckenio (Script.rer. germ. t. 1), poscia dal Muratori (Antiq. Ital. t. 1, p.41, ec.). L'autore è un cotal prete Andrea, il qual perciòda alcuni è stato confuso con Agnello Andrea prete diRavenna, di cui già abbiam favellato. Ma il Muratori ri-flettendo che l'autore di questa Cronaca afferma di averegli stesso portato il cadavero dell'imp. Lodovico II pelterritorio di Bergamo, cioè per quel tratto che giace tral'Oglio e l'Adda, congettura (Ann. d'Ital. ad an. 875)ch'ei fosse natio di questa città. La qual congettura piùprobabile rendesi ancora da una lettera del ch. ab. Seras-si accennata dal co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 1, par.2, p. 691), in cui egli dice che da' monumenti che ancor

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Andrea da Bergamo cronista.

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si conservano nell'archivio del capitolo della cattedraledi Bergamo, si ricava che bergamasco fu lo scrittore diquesta Cronaca.

XVI. Visse circa il tempo medesimo Er-chemperto autor di una Storia de' Principilongobardi di Benevento, in cui conti-nuando la storia di Paolo diacono la con-duce fino all'anno 888. Essa fu primiera-mente data alla luce da Antonio Caraccio-

li, e quindi da Cammillo Pellegrino nella sua Storia de'Principi longobardi, poscia dal Muratori inserita nellasua gran raccolta degli Scrittori delle cose di Italia (t. 2,pars 1), e finalmente dopo altre edizioni di nuovo pub-blicata dal can. Pratillo (Hist. Princ. langob. t. 1). Fuegli monaco in Monte Casino, ed egli stesso racconta legravi e varie sventure a cui vivendo fu esposto. Percioc-chè l'an. 881 sorpreso in un castello, ove abitava, datruppe nemiche, fu spogliato di tutto ciò che fin dallasua fanciullezza egli avea acquistato, condotto prigionea Capova, e costretto a correre a piedi innanzi a' cavallidei vincitori (Hist. n. 44). Uscito da questa, cadde dopo5 anni in altra disgrazia; perciocchè venuto nelle manidei Greci, mentre di Monte Casino tornava a Capova,egli e i suoi compagni spogliati furono de' cavalli ed'ogni altra cosa, e convenne lor comperar con denaro lalibertà (ib. n. 61). Egli ebbe finalmente a soffrir le vio-lenze di Atenolfo conte di Capova, da cui fu a forza spo-

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Erchemperto scrittor di una storia dei prin-cipi longobar-di di Beneven-to.

si conservano nell'archivio del capitolo della cattedraledi Bergamo, si ricava che bergamasco fu lo scrittore diquesta Cronaca.

XVI. Visse circa il tempo medesimo Er-chemperto autor di una Storia de' Principilongobardi di Benevento, in cui conti-nuando la storia di Paolo diacono la con-duce fino all'anno 888. Essa fu primiera-mente data alla luce da Antonio Caraccio-

li, e quindi da Cammillo Pellegrino nella sua Storia de'Principi longobardi, poscia dal Muratori inserita nellasua gran raccolta degli Scrittori delle cose di Italia (t. 2,pars 1), e finalmente dopo altre edizioni di nuovo pub-blicata dal can. Pratillo (Hist. Princ. langob. t. 1). Fuegli monaco in Monte Casino, ed egli stesso racconta legravi e varie sventure a cui vivendo fu esposto. Percioc-chè l'an. 881 sorpreso in un castello, ove abitava, datruppe nemiche, fu spogliato di tutto ciò che fin dallasua fanciullezza egli avea acquistato, condotto prigionea Capova, e costretto a correre a piedi innanzi a' cavallidei vincitori (Hist. n. 44). Uscito da questa, cadde dopo5 anni in altra disgrazia; perciocchè venuto nelle manidei Greci, mentre di Monte Casino tornava a Capova,egli e i suoi compagni spogliati furono de' cavalli ed'ogni altra cosa, e convenne lor comperar con denaro lalibertà (ib. n. 61). Egli ebbe finalmente a soffrir le vio-lenze di Atenolfo conte di Capova, da cui fu a forza spo-

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Erchemperto scrittor di una storia dei prin-cipi longobar-di di Beneven-to.

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gliato di una cella ossia di una dipendenza del suo mo-nastero, che egli amministrava (ib. n. 69). Il Pellegrino eil Pratillo nelle lor prefazioni hanno con più diligenzaesaminate queste ed altre particolarità della vita di Er-chemperto, intorno alle quali io non credo giovevole iltrattenermi; e potrassi ancora vedere ciò ch'essi osserva-no intorno ad altre opere che dallo stesso Erchempertosi dicon composte.

XVII. Vuolsi qui ancora far brevementemenzione di due anonimi storici, i qualihanno continuata la Storia di Paolo dia-cono e di Erchemperto, scrivendo delle

imprese de' Longobardi, cioè di quelli che aveano le lorsignorie nell'estrema parte d'Italia. Essi da' nomi dellelor patrie si dicono salernitano il primo, beneventano ilsecondo. Il primo che da alcuni chiamasi, ma senza fon-damento abbastanza sicuro, Arderico, conduce la suaStoria fino all'an. 980. Il Pellegrino ne scelse alcuni piùutili e più necessari frammenti, e gl'inserì nella sua Sto-ria de' Longobardi. Questi furon di nuovo pubblicati dalMuratori (Script. rer. ital. t. 2, pars 1); il quale posciaper far cosa grata agli amatori della storia, diè alla luceancora il rimanente di questa Cronaca, che dal Pellegri-no erasi ommessa (ib. pars 2). Ma riuscendo grave a'lettori il ricercare in due diversi volumi le diverse partidella Storia medesima, il can. Pratillo ci ha data unanuova edizione di tutta insieme la Cronaca dell'Anoni-

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Anonimi saler-nitano e bene-ventano.

gliato di una cella ossia di una dipendenza del suo mo-nastero, che egli amministrava (ib. n. 69). Il Pellegrino eil Pratillo nelle lor prefazioni hanno con più diligenzaesaminate queste ed altre particolarità della vita di Er-chemperto, intorno alle quali io non credo giovevole iltrattenermi; e potrassi ancora vedere ciò ch'essi osserva-no intorno ad altre opere che dallo stesso Erchempertosi dicon composte.

XVII. Vuolsi qui ancora far brevementemenzione di due anonimi storici, i qualihanno continuata la Storia di Paolo dia-cono e di Erchemperto, scrivendo delle

imprese de' Longobardi, cioè di quelli che aveano le lorsignorie nell'estrema parte d'Italia. Essi da' nomi dellelor patrie si dicono salernitano il primo, beneventano ilsecondo. Il primo che da alcuni chiamasi, ma senza fon-damento abbastanza sicuro, Arderico, conduce la suaStoria fino all'an. 980. Il Pellegrino ne scelse alcuni piùutili e più necessari frammenti, e gl'inserì nella sua Sto-ria de' Longobardi. Questi furon di nuovo pubblicati dalMuratori (Script. rer. ital. t. 2, pars 1); il quale posciaper far cosa grata agli amatori della storia, diè alla luceancora il rimanente di questa Cronaca, che dal Pellegri-no erasi ommessa (ib. pars 2). Ma riuscendo grave a'lettori il ricercare in due diversi volumi le diverse partidella Storia medesima, il can. Pratillo ci ha data unanuova edizione di tutta insieme la Cronaca dell'Anoni-

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Anonimi saler-nitano e bene-ventano.

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mo salernitano (Hist. Princ. langob. t. 2). Egli è questiuno scrittore che oltre la rozzezza dello stile, che gli ècomune cogli altri autori di questa età, si piace ancora divenderci le più leggiadre fole del mondo, le quali adogni passo s'incontrano nella sua Cronaca. E nondimenonon lascia di aver essa ancora il suo pregio presso colo-ro che sanno dallo stesso loto raccoglier le gemme.L'altro, cioè l'Anonimo beneventano, sembra più saggioe più accertato scrittore, ma un sol frammento ne abbia-mo che, comprende la Storia dall'an. 996 fino al 998, edesso pure è stato dato alla luce dopo il Pellegrino e ilMuratori dal can. Pratillo (ib. t. 3).

XVIII. Io potrei qui annoverare alcunialtri autori di somiglianti cronichettepubblicate dagli eruditi raccoglitori de-

gli scrittori de' bassi secoli. Noi dobbiamo esser loro te-nuti per averci serbati cotai monumenti che, benchè bar-bari e rozzi, pur ci sono sovente di non piccol vantaggio.Ma io credo ancora che i lettori di questa mia Storia misaranno nulla meno tenuti, se io lascerò di più oltre an-noiarli coll'annoverare scrittori de' quali appena possiamprodurre il semplice nome, e che debbono aversi in con-to di utili benchè freddi compilatori, anzi che di scrittorieleganti ed esatti, di cui ne' fasti della letteratura si deb-ba serbar memoria. Farò dunque fine alla serie degli sto-rici del X sec. col parlare un po' più stesamente del ve-scovo Liutprando, il quale è il solo scrittore di questi

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Altri storici ac-cennati.

mo salernitano (Hist. Princ. langob. t. 2). Egli è questiuno scrittore che oltre la rozzezza dello stile, che gli ècomune cogli altri autori di questa età, si piace ancora divenderci le più leggiadre fole del mondo, le quali adogni passo s'incontrano nella sua Cronaca. E nondimenonon lascia di aver essa ancora il suo pregio presso colo-ro che sanno dallo stesso loto raccoglier le gemme.L'altro, cioè l'Anonimo beneventano, sembra più saggioe più accertato scrittore, ma un sol frammento ne abbia-mo che, comprende la Storia dall'an. 996 fino al 998, edesso pure è stato dato alla luce dopo il Pellegrino e ilMuratori dal can. Pratillo (ib. t. 3).

XVIII. Io potrei qui annoverare alcunialtri autori di somiglianti cronichettepubblicate dagli eruditi raccoglitori de-

gli scrittori de' bassi secoli. Noi dobbiamo esser loro te-nuti per averci serbati cotai monumenti che, benchè bar-bari e rozzi, pur ci sono sovente di non piccol vantaggio.Ma io credo ancora che i lettori di questa mia Storia misaranno nulla meno tenuti, se io lascerò di più oltre an-noiarli coll'annoverare scrittori de' quali appena possiamprodurre il semplice nome, e che debbono aversi in con-to di utili benchè freddi compilatori, anzi che di scrittorieleganti ed esatti, di cui ne' fasti della letteratura si deb-ba serbar memoria. Farò dunque fine alla serie degli sto-rici del X sec. col parlare un po' più stesamente del ve-scovo Liutprando, il quale è il solo scrittore di questi

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Altri storici ac-cennati.

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tempi, che sia meritevole di più distinta menzione.

XIX. Che Liutprando fosse spagnuolo dipatria, si è scritto da alcuni, ma non si è inalcun modo provato; talchè il medesimoNiccolò Antonio confessa che non v'ha al-cun fondamento a crederlo (Bibl. hisp. vet.

l. 6, c. 16), e che assai più probabilmente si può affer-mare ch'ei fu italiano e pavese di patria. Di che veggasiancora il ch. Muratori (praef. ad Hist. Liutpr. t. 2, pars 1Script. rer. ital.). Ebbe egli a padre un uomo ch'era assaicaro a Ugo re di Italia, di cui però non sappiamo ilnome. Solo di lui ci narra Liutprando (Hist. l. 3, c. 5),che mandato, come uomo di egregi costumi e buon par-latore, dal medesimo Ugo ambasciadore all'imperadorgreco, il che secondo il Muratori (Ann. d'Ital. ad an.927) avvenne l'an. 927, vi fu accolto a grande onore, ene riportò magnifici donativi; ma che pochi giorni dopoil suo arrivo in Italia ritiratosi in un monastero, e conse-cratosi a Dio, quindici giorni appresso sene morì, la-sciando il figliuol Liutprando in età fanciullesca. Ugo ri-volse al figlio quella clemenza e quell'amore medesimoche avea avuto pel padre; a che giovò ancora non pocola soavità della voce di Liutprando, come egli stessoracconta (l. 4, c. 1), per cui era sopra ogni altro carissi-mo al suo sovrano che piacevasi assai della musica. Mapoichè Ugo fu astretto a cedere il regno d'Italia a Beren-gario marchese d'Ivrea l'an. 946, i genitori di Liutpran-

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Notizie de' primi anni dello storico Liutprando.

tempi, che sia meritevole di più distinta menzione.

XIX. Che Liutprando fosse spagnuolo dipatria, si è scritto da alcuni, ma non si è inalcun modo provato; talchè il medesimoNiccolò Antonio confessa che non v'ha al-cun fondamento a crederlo (Bibl. hisp. vet.

l. 6, c. 16), e che assai più probabilmente si può affer-mare ch'ei fu italiano e pavese di patria. Di che veggasiancora il ch. Muratori (praef. ad Hist. Liutpr. t. 2, pars 1Script. rer. ital.). Ebbe egli a padre un uomo ch'era assaicaro a Ugo re di Italia, di cui però non sappiamo ilnome. Solo di lui ci narra Liutprando (Hist. l. 3, c. 5),che mandato, come uomo di egregi costumi e buon par-latore, dal medesimo Ugo ambasciadore all'imperadorgreco, il che secondo il Muratori (Ann. d'Ital. ad an.927) avvenne l'an. 927, vi fu accolto a grande onore, ene riportò magnifici donativi; ma che pochi giorni dopoil suo arrivo in Italia ritiratosi in un monastero, e conse-cratosi a Dio, quindici giorni appresso sene morì, la-sciando il figliuol Liutprando in età fanciullesca. Ugo ri-volse al figlio quella clemenza e quell'amore medesimoche avea avuto pel padre; a che giovò ancora non pocola soavità della voce di Liutprando, come egli stessoracconta (l. 4, c. 1), per cui era sopra ogni altro carissi-mo al suo sovrano che piacevasi assai della musica. Mapoichè Ugo fu astretto a cedere il regno d'Italia a Beren-gario marchese d'Ivrea l'an. 946, i genitori di Liutpran-

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Notizie de' primi anni dello storico Liutprando.

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do, cioè la madre e il nuovo marito ch'ella avea preso,ottennero a forza di gran donativi, che il nuovo re ilprendesse a suo cortigiano e segretario (l. 5, c. 14). Lafortuna gli fu per alcuni anni favorevole e lieta percioc-chè avendo bramato l'imperador greco Costantino Porfi-rogenito che Berengario gl'inviasse qualche suo amba-sciadore, questi, a cui tal consiglio piaceva assai, maspiacevan le spese cui perciò sarebbe convenuto di so-stenere, chiamato a sè il padrigno di Liutprando col lo-dargli l'ingegno, il senno e l'eloquenza di questo giova-ne, e col mostrargli quanto giovamento gli avrebbe reca-to il ben apprendere la lingua greca, lo invogliò di que-sta ambasceria per modo, che il buon padrigno si offersepronto a farne egli pel figlio tutte le spese (l. 5, c. 1).Abbiamo la descrizione ch'egli stesso ci ha fatta, del suoviaggio, dell'onore con cui fu accolto, de' doni che a sueproprie spese, ma in nome di Berengario, offerìall'imperadore, di quei ch'egli ne ricevette, e di altrecose che ivi egli vide (ib. c. 2, 3, ec.). Ma il miglior frut-to ch'egli ne trasse, fu la perizia del greco linguaggio, dicui ci ha lasciati nella sua Storia medesima alcuni saggi.Dopo alcuni anni però, qualunque fossene la ragione, ilfavore di Berengario verso Liutprando cambiossi inodio contro di lui e di tutta la sua famiglia. Ed ei fu co-stretto ad andarsene esule nella Germania (Prolog. l. 3);il che credesi dal Muratori che avvenisse verso l'an. 958.

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do, cioè la madre e il nuovo marito ch'ella avea preso,ottennero a forza di gran donativi, che il nuovo re ilprendesse a suo cortigiano e segretario (l. 5, c. 14). Lafortuna gli fu per alcuni anni favorevole e lieta percioc-chè avendo bramato l'imperador greco Costantino Porfi-rogenito che Berengario gl'inviasse qualche suo amba-sciadore, questi, a cui tal consiglio piaceva assai, maspiacevan le spese cui perciò sarebbe convenuto di so-stenere, chiamato a sè il padrigno di Liutprando col lo-dargli l'ingegno, il senno e l'eloquenza di questo giova-ne, e col mostrargli quanto giovamento gli avrebbe reca-to il ben apprendere la lingua greca, lo invogliò di que-sta ambasceria per modo, che il buon padrigno si offersepronto a farne egli pel figlio tutte le spese (l. 5, c. 1).Abbiamo la descrizione ch'egli stesso ci ha fatta, del suoviaggio, dell'onore con cui fu accolto, de' doni che a sueproprie spese, ma in nome di Berengario, offerìall'imperadore, di quei ch'egli ne ricevette, e di altrecose che ivi egli vide (ib. c. 2, 3, ec.). Ma il miglior frut-to ch'egli ne trasse, fu la perizia del greco linguaggio, dicui ci ha lasciati nella sua Storia medesima alcuni saggi.Dopo alcuni anni però, qualunque fossene la ragione, ilfavore di Berengario verso Liutprando cambiossi inodio contro di lui e di tutta la sua famiglia. Ed ei fu co-stretto ad andarsene esule nella Germania (Prolog. l. 3);il che credesi dal Muratori che avvenisse verso l'an. 958.

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XX. Mentre egli se ne stava in esilio scris-se la Storia delle cose a' suoi tempi avve-nute, come egli stesso afferma nel prologodel libro terzo. Era egli allora diacono del-la chiesa pavese, col qual titolo egli si no-

mina al principio di ciascun libro. Sei sono quelli chenoi ne abbiamo al presente; ma credesi comunementeche o egli non la conducesse al termine cui si era prefis-so, o che non piccola parte ne sia perita, e credesi anco-ra che gli ultimi sei capi del VI libro sian d'altro autore.Liutprando si scuopre nella sua Storia scrittor colto eleggiadro sopra gli altri storici del suo secolo; ma insie-me mordace e satirico più che a imparziale e onestoscrittore non si convenga; ed ove singolarmente egli ra-giona di Berengario e di Villa di lui moglie, appena satenere misura alcuna. Essa dopo più altre edizioni è statapubblicata di nuovo dal ch. Muratori (Script. rer. ital. t.1, pars 1). Ma ritorniamo alle vicende di Liutprando.

XXI. La caduta di Berengario, il qualel'an. 961 fu quasi interamente spogliato,del suo regno d'Italia da Ottone I, rendetteLiutprando alla sua patria, e non moltodopo ei fu consecrato vescovo di Cremona;

col qual carattere egli intervenne l'an. 963 a un'assem-blea di vescovi tenutasi in Roma contro il pontef. Gio-vanni XII che si era dichiarato fautore di Berengario (V.Baron. ad h. an.). Quindi l'an. 968 sostenne un'altra

52

Quando scri-vesse la sua Storia: carat-tere di essa.

È fatto ve-scovo di Cre-mona: sue azioni, e sua morte.

XX. Mentre egli se ne stava in esilio scris-se la Storia delle cose a' suoi tempi avve-nute, come egli stesso afferma nel prologodel libro terzo. Era egli allora diacono del-la chiesa pavese, col qual titolo egli si no-

mina al principio di ciascun libro. Sei sono quelli chenoi ne abbiamo al presente; ma credesi comunementeche o egli non la conducesse al termine cui si era prefis-so, o che non piccola parte ne sia perita, e credesi anco-ra che gli ultimi sei capi del VI libro sian d'altro autore.Liutprando si scuopre nella sua Storia scrittor colto eleggiadro sopra gli altri storici del suo secolo; ma insie-me mordace e satirico più che a imparziale e onestoscrittore non si convenga; ed ove singolarmente egli ra-giona di Berengario e di Villa di lui moglie, appena satenere misura alcuna. Essa dopo più altre edizioni è statapubblicata di nuovo dal ch. Muratori (Script. rer. ital. t.1, pars 1). Ma ritorniamo alle vicende di Liutprando.

XXI. La caduta di Berengario, il qualel'an. 961 fu quasi interamente spogliato,del suo regno d'Italia da Ottone I, rendetteLiutprando alla sua patria, e non moltodopo ei fu consecrato vescovo di Cremona;

col qual carattere egli intervenne l'an. 963 a un'assem-blea di vescovi tenutasi in Roma contro il pontef. Gio-vanni XII che si era dichiarato fautore di Berengario (V.Baron. ad h. an.). Quindi l'an. 968 sostenne un'altra

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Quando scri-vesse la sua Storia: carat-tere di essa.

È fatto ve-scovo di Cre-mona: sue azioni, e sua morte.

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onorevole ambasciata in nome di Ottone alla corte diCostantinopoli, affin di chiedere Teofania figliuoladell'imp. Romano juniore per moglie al giovane Ottonefigliuolo di Ottone I. Ma ei fu troppo mal ricevuto aquella imperial corte, e tornossene senza aver conchiusol'affare, e pieno di mal talento, cui seppe ben egli sfoga-re scrivendo le Relazione di questa sua ambasciata, cheva unita alla sua Storia, in cui leggiadramente deride ilfasto insieme e l'ignoranza di quella corte. In qual annomorisse Liutprando, non si può accertare. Ei si vede sot-toscritto a un Sinodo di Ravenna tenutosi l'an. 970, e ci-tato dal Rossi (Hist. Ravenn. l. 5), col nome di Liuziovescovo di Cremona, col qual nome vien egli ancorachiamato da qualche altro scrittore. Ma è probabile chenon molto più oltre ei prolungasse i suoi giorni. Alcunigli hanno attribuita ancora una cotal Cronaca favolosa ealcune Memorie, di cui si è fatta una bella edizione inAnversa l'an. 1640. Ma i più dotti scrittori le rigettanocome una mera impostura, di che è a vedere fra gli altriil già citato Niccolò Antonio. E lo stesso vuol dirsi dicerte Vite de romani Pontefici, che a lui pure senza alcu-na ragione sonosi attribuite.

XXII. Questo, per ultimo è il luogo acui più opportunamente che a qua-lunque altro esaminar dobbiamo ciòche appartiene a' cinque libri di Geo-

grafia, che van sotto nome di un Anonimo di Ravenna.

53

Chi sia l'Anonimo geografo di Ravenna.

onorevole ambasciata in nome di Ottone alla corte diCostantinopoli, affin di chiedere Teofania figliuoladell'imp. Romano juniore per moglie al giovane Ottonefigliuolo di Ottone I. Ma ei fu troppo mal ricevuto aquella imperial corte, e tornossene senza aver conchiusol'affare, e pieno di mal talento, cui seppe ben egli sfoga-re scrivendo le Relazione di questa sua ambasciata, cheva unita alla sua Storia, in cui leggiadramente deride ilfasto insieme e l'ignoranza di quella corte. In qual annomorisse Liutprando, non si può accertare. Ei si vede sot-toscritto a un Sinodo di Ravenna tenutosi l'an. 970, e ci-tato dal Rossi (Hist. Ravenn. l. 5), col nome di Liuziovescovo di Cremona, col qual nome vien egli ancorachiamato da qualche altro scrittore. Ma è probabile chenon molto più oltre ei prolungasse i suoi giorni. Alcunigli hanno attribuita ancora una cotal Cronaca favolosa ealcune Memorie, di cui si è fatta una bella edizione inAnversa l'an. 1640. Ma i più dotti scrittori le rigettanocome una mera impostura, di che è a vedere fra gli altriil già citato Niccolò Antonio. E lo stesso vuol dirsi dicerte Vite de romani Pontefici, che a lui pure senza alcu-na ragione sonosi attribuite.

XXII. Questo, per ultimo è il luogo acui più opportunamente che a qua-lunque altro esaminar dobbiamo ciòche appartiene a' cinque libri di Geo-

grafia, che van sotto nome di un Anonimo di Ravenna.

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Chi sia l'Anonimo geografo di Ravenna.

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Il p. d. Placido Porcheron della Congregazion di s. Mau-ro ne trovò un codice ms. nella biblioteca reale di Parigi,e il diè alla luce ornato di assai erudite annotazioni l'an.1688. Ma chi è egli questo autore? A qual tempo visse?Qual fede merita? Se io volessi qui usare co' miei lettoridi quella, per così dire, crudeltà erudita con cui alcuni sipiacciono di annojarli e di straziarli, ne avrei qui luogo emezzo opportuno. Ma dopo essermi io stesso per lungotempo inutilmente stancato per accertar qualche cosa,non voglio chiamar altri a parte della stessa nojosa fati-ca, di cui finalmente altro frutto non potrebbe ritrarsi,che di sapere chi sia l'autore di un'opera di cui nonavremmo a dolerci troppo che fosse smarrita. Percioc-chè chi è egli mai questo scrittore? Egli è uomo che ol-tre l'usare di uno stile il più barbaro che forse mai si leg-gesse, è ancora oscuro per modo, ch'io non so se possaavervi Edipo sì ingegnoso che ne sciolga gli enimmi.Egli è uomo che nomina alla rinfusa città, monti e fiumi,sicchè tu crederesti talvolta che una città sia un monte, oun fiume, e all'incontro che un monte, o un fiume siauna città; e che innoltre ci mette innanzi tai nomi chenon si sono uditi giammai. Rechiamone un saggio, dicui noi Italiani possiam giudicar meglio; perciocchè par-la de' nostri paesi medesimi: "Quam praefatam nobilissi-mam Italiam, dic'egli (l. 4, c. 30) quidam philosophi am-plius quam septingentas civitates habuisse dixerunt, exquibus aliquas denominare volumus, idest Alpediam,item Gessabone, Occellio, Fines, Staurinis, item juxtraAlpes est civitas quae dicitur Graja, item Arebridium,

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Il p. d. Placido Porcheron della Congregazion di s. Mau-ro ne trovò un codice ms. nella biblioteca reale di Parigi,e il diè alla luce ornato di assai erudite annotazioni l'an.1688. Ma chi è egli questo autore? A qual tempo visse?Qual fede merita? Se io volessi qui usare co' miei lettoridi quella, per così dire, crudeltà erudita con cui alcuni sipiacciono di annojarli e di straziarli, ne avrei qui luogo emezzo opportuno. Ma dopo essermi io stesso per lungotempo inutilmente stancato per accertar qualche cosa,non voglio chiamar altri a parte della stessa nojosa fati-ca, di cui finalmente altro frutto non potrebbe ritrarsi,che di sapere chi sia l'autore di un'opera di cui nonavremmo a dolerci troppo che fosse smarrita. Percioc-chè chi è egli mai questo scrittore? Egli è uomo che ol-tre l'usare di uno stile il più barbaro che forse mai si leg-gesse, è ancora oscuro per modo, ch'io non so se possaavervi Edipo sì ingegnoso che ne sciolga gli enimmi.Egli è uomo che nomina alla rinfusa città, monti e fiumi,sicchè tu crederesti talvolta che una città sia un monte, oun fiume, e all'incontro che un monte, o un fiume siauna città; e che innoltre ci mette innanzi tai nomi chenon si sono uditi giammai. Rechiamone un saggio, dicui noi Italiani possiam giudicar meglio; perciocchè par-la de' nostri paesi medesimi: "Quam praefatam nobilissi-mam Italiam, dic'egli (l. 4, c. 30) quidam philosophi am-plius quam septingentas civitates habuisse dixerunt, exquibus aliquas denominare volumus, idest Alpediam,item Gessabone, Occellio, Fines, Staurinis, item juxtraAlpes est civitas quae dicitur Graja, item Arebridium,

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item Augusta praetoria, Briticium, Eporea. Item suprascriptam civitatem quae dicitur Staurinis, est civitasquae appellatur Quadrata mumum. Item Rigomagus,Costias, Laumellon, Papia quae et Ticinus, Lambrum,Quadratam Padam. Item juxta suprascriptam Eporejamnon longe ab Alpe est civitas quae dicitur Victimula,item Oxilla, Scationa, Magesale, Bontia, Bellenica, Bel-litiona, Omala, Clavennae. Item ad partem inferioris Ita-liae sunt civitates, idest Plubia quae confinatur ex prae-dicto tenore Staurinensis. Item Vercellis, Novaria, Si-brium, Comum, Mediulanum, Laude Pompei, Perga-mum, Leuceris, Brixia, Acerculas, Cremona, Ariolita,Verona, Bedriaco, Mantua, Hostilia, Foralieni" Qual de-scrizione esatta è mai questa? Quanti nomi non più udi-ti? E il Lambro cambiato in città, e l'Alpi Graje cambia-te esse pure in città, che bel fregio sono esse di sì bellageografia? Egli è un uom finalmente di cui non v'ebbe ilpiù erudito, perciocchè veggiamo da lui citati autori sco-nosciuti ad ogni altro. "Pentesileo, Marpesio e il re To-lomeo filosofi degli Egiziani Macedoni (l. 4, c. 4); Ca-storio, Lolliano, e Arbizione filosofi de' Romani; e Aita-narido, Eldebaldo, Marcomiro, e Castorio filosofi de'Goti (l. 4, c. 41); Cincri e Blantasi egiziani (l. 3, c. 2.)Geone e Risi filosofi africani" (l. 3, c. 12), ed altri a lorsomiglianti, ecco i famosi scrittori a cui questo autoreappoggia le sue esatte ricerche; scrittori ch'egli soloebbe la sorte di aver tra le mani, e che prima e dopo dilui svanirono interamente fino a perdersene il nome e laricordanza; ossia, a parlare più chiaramente, scrittori che

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item Augusta praetoria, Briticium, Eporea. Item suprascriptam civitatem quae dicitur Staurinis, est civitasquae appellatur Quadrata mumum. Item Rigomagus,Costias, Laumellon, Papia quae et Ticinus, Lambrum,Quadratam Padam. Item juxta suprascriptam Eporejamnon longe ab Alpe est civitas quae dicitur Victimula,item Oxilla, Scationa, Magesale, Bontia, Bellenica, Bel-litiona, Omala, Clavennae. Item ad partem inferioris Ita-liae sunt civitates, idest Plubia quae confinatur ex prae-dicto tenore Staurinensis. Item Vercellis, Novaria, Si-brium, Comum, Mediulanum, Laude Pompei, Perga-mum, Leuceris, Brixia, Acerculas, Cremona, Ariolita,Verona, Bedriaco, Mantua, Hostilia, Foralieni" Qual de-scrizione esatta è mai questa? Quanti nomi non più udi-ti? E il Lambro cambiato in città, e l'Alpi Graje cambia-te esse pure in città, che bel fregio sono esse di sì bellageografia? Egli è un uom finalmente di cui non v'ebbe ilpiù erudito, perciocchè veggiamo da lui citati autori sco-nosciuti ad ogni altro. "Pentesileo, Marpesio e il re To-lomeo filosofi degli Egiziani Macedoni (l. 4, c. 4); Ca-storio, Lolliano, e Arbizione filosofi de' Romani; e Aita-narido, Eldebaldo, Marcomiro, e Castorio filosofi de'Goti (l. 4, c. 41); Cincri e Blantasi egiziani (l. 3, c. 2.)Geone e Risi filosofi africani" (l. 3, c. 12), ed altri a lorsomiglianti, ecco i famosi scrittori a cui questo autoreappoggia le sue esatte ricerche; scrittori ch'egli soloebbe la sorte di aver tra le mani, e che prima e dopo dilui svanirono interamente fino a perdersene il nome e laricordanza; ossia, a parlare più chiaramente, scrittori che

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non mai furono al mondo, e da lui finti a capriccio. Orun tale autore merita egli che ci affatichiamo a cercarnepiù esatta contezza? Sia egli dunque vissuto al VII,all'VIII, o, come altri pensano più probabilmente, al IX,o al X secolo, o anche più tardi; sia egli lo stesso cheGuido prete di Ravenna, di cui sappiamo che alcuneopere storiche avea composte, o sia un altro da lui diver-so; sia ella questa l'opera qual fu da lui scritta, o ne siaun solo compendio, a me poco monta, poichè chiunqueegli sia, ei non è che un misero copiatore, come gli altrihanno osservato, della carta Peutingeriana, e di qualchealtro geografo più antico, e innoltre un ignorante impo-store che conia e forma a suo talento autori e nomi,come meglio gli piace. Solo è certo che fu natio di Ra-venna, com'egli stesso afferma (l. 4, c. 31). Chi nondi-meno credesse ben impiegato il tempo in esaminare ciòche a lui e a questa sua opera appartiene, potrà leggereciò che eruditamente ne hanno scritto il sopraccitato p.Porcheron (praef. ad Anon. ravenn.), Gian Gorgio Ec-kart (Franciae orient. vol. 1, p. 902, ec.) Pietro Wasse-lingio (praef. ad Diatr. de Judaeor. Archont.), il p. Be-retti (Diss. de Tabula Chorogr. Ital. medii aevi sect. 2,vol. 10 Script. rer. ital.), il Fabricio (Bibl. lat. med. etinf. aetat. t. 6, p. 54, ec), e il p. ab. Ginanni (Scritt. ra-venn. t. 1, p. 428, ec.), oltre altri autori che da quest'ulti-mo vengono esattamente citati.

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non mai furono al mondo, e da lui finti a capriccio. Orun tale autore merita egli che ci affatichiamo a cercarnepiù esatta contezza? Sia egli dunque vissuto al VII,all'VIII, o, come altri pensano più probabilmente, al IX,o al X secolo, o anche più tardi; sia egli lo stesso cheGuido prete di Ravenna, di cui sappiamo che alcuneopere storiche avea composte, o sia un altro da lui diver-so; sia ella questa l'opera qual fu da lui scritta, o ne siaun solo compendio, a me poco monta, poichè chiunqueegli sia, ei non è che un misero copiatore, come gli altrihanno osservato, della carta Peutingeriana, e di qualchealtro geografo più antico, e innoltre un ignorante impo-store che conia e forma a suo talento autori e nomi,come meglio gli piace. Solo è certo che fu natio di Ra-venna, com'egli stesso afferma (l. 4, c. 31). Chi nondi-meno credesse ben impiegato il tempo in esaminare ciòche a lui e a questa sua opera appartiene, potrà leggereciò che eruditamente ne hanno scritto il sopraccitato p.Porcheron (praef. ad Anon. ravenn.), Gian Gorgio Ec-kart (Franciae orient. vol. 1, p. 902, ec.) Pietro Wasse-lingio (praef. ad Diatr. de Judaeor. Archont.), il p. Be-retti (Diss. de Tabula Chorogr. Ital. medii aevi sect. 2,vol. 10 Script. rer. ital.), il Fabricio (Bibl. lat. med. etinf. aetat. t. 6, p. 54, ec), e il p. ab. Ginanni (Scritt. ra-venn. t. 1, p. 428, ec.), oltre altri autori che da quest'ulti-mo vengono esattamente citati.

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CAPO IV.Filosofia, Matematica, Medicina.

I. Ciò che detto abbiamo finora dell'infelicestato della letteratura italiana negli amenistudj, ci persuade agevolmente che nullameno abbandonate e neglette dovean giacerele più serie scienze, a ben coltivare le quali fad'uopo di agio insieme e di fatica maggioreassai. Ciò non ostante, se noi prestiam fede auno storico di questi tempi, non vi ebbe forsemai secolo in cui la filosofia tanto lietamente

fiorisse in una parte dell'Italia, come nel IX di cui scri-viamo. Egli è questi l'Anonimo salernitano il quale assaiseriamente ci narra (Chron. c. 132) che quando l'imp.Lodovico II verso l'an. 870 era in Benevento insiemecon Adelgiso signore di quel ducato, trovavansi in quel-la città 32 filosofi. Tra questi uno de' più famosi era,com'egli dice, quell'Ilderico monaco casinese di cui ab-biam rammentate le poesie. Ma se il valor filosofico erain lui eguale al poetico, ei non era certo nè un Pittagoranè un Platone. E veramente già abbiam poc'anzi osser-vato, e per se stesso il conosce chiunque ne prende alegger la storia, che l'Anonimo salernitano è uno scritto-re assai vago di favolette, a cui sembra che piaccia piùdi dilettare con fole, che d'istruire con veri racconti isuoi lettori. Oltrechè, il nome di filosofo in questi secolibassi si dava ancora generalmente a chiunque era ornato

57

In che senso si debba in-tendere, ove si tro-vano a questi tempi no-minati fi-losofi.

CAPO IV.Filosofia, Matematica, Medicina.

I. Ciò che detto abbiamo finora dell'infelicestato della letteratura italiana negli amenistudj, ci persuade agevolmente che nullameno abbandonate e neglette dovean giacerele più serie scienze, a ben coltivare le quali fad'uopo di agio insieme e di fatica maggioreassai. Ciò non ostante, se noi prestiam fede auno storico di questi tempi, non vi ebbe forsemai secolo in cui la filosofia tanto lietamente

fiorisse in una parte dell'Italia, come nel IX di cui scri-viamo. Egli è questi l'Anonimo salernitano il quale assaiseriamente ci narra (Chron. c. 132) che quando l'imp.Lodovico II verso l'an. 870 era in Benevento insiemecon Adelgiso signore di quel ducato, trovavansi in quel-la città 32 filosofi. Tra questi uno de' più famosi era,com'egli dice, quell'Ilderico monaco casinese di cui ab-biam rammentate le poesie. Ma se il valor filosofico erain lui eguale al poetico, ei non era certo nè un Pittagoranè un Platone. E veramente già abbiam poc'anzi osser-vato, e per se stesso il conosce chiunque ne prende alegger la storia, che l'Anonimo salernitano è uno scritto-re assai vago di favolette, a cui sembra che piaccia piùdi dilettare con fole, che d'istruire con veri racconti isuoi lettori. Oltrechè, il nome di filosofo in questi secolibassi si dava ancora generalmente a chiunque era ornato

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In che senso si debba in-tendere, ove si tro-vano a questi tempi no-minati fi-losofi.

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di qualche letteratura, di qualunque genere ella fosse. Edè perciò assai probabile che questi 32 filosofi fossero fi-nalmente uomini che sapessero in qualche modo scriverlatino, e far de' versi, ch'era, per così dire, la più altacima di letteraria lode a cui allor si giugnesse.

II. Nel medesimo senso deesi intendereprobabilmente ciò che di Ugo re d'Italianarra Liutprando (Hist. l. 3, c. 5), cioèch'egli non solo amava, ma onorava an-cora assai i filosofi. Perciocchè egli è

certo che appena troviamo in questi due secoli alcuno acui il nome di filosofo nel vero suo senso si convenisse.E lo stesso dee dirsi ancora della matematica il cui nomepareva quasi a questi secoli sconosciuto in Italia; seppu-re non vogliam credere che il Dungalo maestro di Paviafosse lo stesso che il Dungalo a cui Carlo Magno chieseragione di una doppia ecclissi del sole, la quale diceasiavvenuta, come nel primo capo si è detto, e che questovenuto in Italia vi risvegliasse cotali studj. Ma noi ilpossiamo bensì proporre congetturando, ma non abbia-mo argomento a provarlo; ed è certo che di tutti gli auto-ri italiani che ci vengono innanzi in quest'epoca, non netroviamo un solo di cui si possa dire che ne' filosofici, onei matematici studj fosse bastevolmente erudito; se sene tragga qualche studio d'astronomia, di cui diremo piùsotto.

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Nè la filosofia nè la matemati-ca fu coltivata.

di qualche letteratura, di qualunque genere ella fosse. Edè perciò assai probabile che questi 32 filosofi fossero fi-nalmente uomini che sapessero in qualche modo scriverlatino, e far de' versi, ch'era, per così dire, la più altacima di letteraria lode a cui allor si giugnesse.

II. Nel medesimo senso deesi intendereprobabilmente ciò che di Ugo re d'Italianarra Liutprando (Hist. l. 3, c. 5), cioèch'egli non solo amava, ma onorava an-cora assai i filosofi. Perciocchè egli è

certo che appena troviamo in questi due secoli alcuno acui il nome di filosofo nel vero suo senso si convenisse.E lo stesso dee dirsi ancora della matematica il cui nomepareva quasi a questi secoli sconosciuto in Italia; seppu-re non vogliam credere che il Dungalo maestro di Paviafosse lo stesso che il Dungalo a cui Carlo Magno chieseragione di una doppia ecclissi del sole, la quale diceasiavvenuta, come nel primo capo si è detto, e che questovenuto in Italia vi risvegliasse cotali studj. Ma noi ilpossiamo bensì proporre congetturando, ma non abbia-mo argomento a provarlo; ed è certo che di tutti gli auto-ri italiani che ci vengono innanzi in quest'epoca, non netroviamo un solo di cui si possa dire che ne' filosofici, onei matematici studj fosse bastevolmente erudito; se sene tragga qualche studio d'astronomia, di cui diremo piùsotto.

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Nè la filosofia nè la matemati-ca fu coltivata.

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III. Anzi in tale dimenticanza giacevansicotali studj al fine del X secolo, che uno ilquale ebbe coraggio di coltivarli, ne fu avu-to da alcuni in concetto di mago. Io parlodel celebre Gerberto arcivescovo prima diRheims, poi di Ravenna, e finalmente som-mo pontefice col nome di Silvestro II. Io

non debbo di lui trattare distesamente, poichè ei fu fran-cese di nascita, e la maggior parte della sua vita passò inFrancia. Infatti gli autori della Storia letteraria di Fran-cia ne hanno parlato con diligenza ed erudizion singola-re (t. 6, p. 559). Ed io perciò sarò pago di accennare inbreve ciò ch'essi hanno esattamente provato, e solo mitratterrò con più agio in ciò a ch'ebbe parte l'Italia. Natoin Alvernia, e consecratosi ancor giovinetto a Dio nelmonastero di s. Gerardo in Aurillac, dopo essersi eserci-tato nei buoni studj, intraprese ancora più viaggi peraver agio di conoscere e di conversar cogli uomini persaper più famosi, e in tal maniera penetrar più addentronelle scienze. Con due di essi, cioè con Borello conte diBarcellona, e con Aitone vescovo di Ausona in Catalo-gna, andossene a Roma; ove conosciuto dall'imp. OttoneI ebbe da lui il governo del celebre monastero di Bobbioverso l'an. 970. Egli adoperossi singolarmente a farvi ri-fiorire gli studj, e i soprallodati Maurini affermanoch'egli il fece con sì felice successo, che fino da' piùlontani paesi pensavasi a mandargli studenti. La pruovach'essi ne arrecano, è una lettera dello stesso Gerberto,in cui scrivendo a Ecberto arcivescovo di Treviri, così

59

Il solo cele-bre coltiva-tore di essa fu Gerber-to: notizie della sua vita.

III. Anzi in tale dimenticanza giacevansicotali studj al fine del X secolo, che uno ilquale ebbe coraggio di coltivarli, ne fu avu-to da alcuni in concetto di mago. Io parlodel celebre Gerberto arcivescovo prima diRheims, poi di Ravenna, e finalmente som-mo pontefice col nome di Silvestro II. Io

non debbo di lui trattare distesamente, poichè ei fu fran-cese di nascita, e la maggior parte della sua vita passò inFrancia. Infatti gli autori della Storia letteraria di Fran-cia ne hanno parlato con diligenza ed erudizion singola-re (t. 6, p. 559). Ed io perciò sarò pago di accennare inbreve ciò ch'essi hanno esattamente provato, e solo mitratterrò con più agio in ciò a ch'ebbe parte l'Italia. Natoin Alvernia, e consecratosi ancor giovinetto a Dio nelmonastero di s. Gerardo in Aurillac, dopo essersi eserci-tato nei buoni studj, intraprese ancora più viaggi peraver agio di conoscere e di conversar cogli uomini persaper più famosi, e in tal maniera penetrar più addentronelle scienze. Con due di essi, cioè con Borello conte diBarcellona, e con Aitone vescovo di Ausona in Catalo-gna, andossene a Roma; ove conosciuto dall'imp. OttoneI ebbe da lui il governo del celebre monastero di Bobbioverso l'an. 970. Egli adoperossi singolarmente a farvi ri-fiorire gli studj, e i soprallodati Maurini affermanoch'egli il fece con sì felice successo, che fino da' piùlontani paesi pensavasi a mandargli studenti. La pruovach'essi ne arrecano, è una lettera dello stesso Gerberto,in cui scrivendo a Ecberto arcivescovo di Treviri, così

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Il solo cele-bre coltiva-tore di essa fu Gerber-to: notizie della sua vita.

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gli dice (ep. 13): Proinde sì deliberatis, an scholasticosin Italiam ad nos usque dirigatis, ec. Ma come la vocescholasticus avea il senso ancor di maestro (V. Du Can-ge Gloss. ad hanc voc.), non si può accertare se di mae-stri ragioni qui Gerberto, ovver di scolari. Pochi anniperò ei visse in quel monastero; perciocchè l'usurpazio-ne che molti avean fatta de' beni di esso, e l'invidia checontro di lui, forse perchè straniero, si accese, l'indussead abbandonarlo, ritenendo però il nome di abate, e atornarsene in Francia. Di quando in quando però vennea rivedere l'Italia; e una volta fra l'altre abbattutosi inOttone II ch'era in Pavia, e da lui condotto seco pel Po aRavenna, tenne ivi solenne e pubblica disputa con uncotal sassone detto Otrico, uomo a que' tempi dottissi-mo, su una quistione di matematica, in cui era dispareretra lui e Gerberto.

IV. Intorno alla maniera con cui egli fusollevato all'arcivescovado di Rheims l'an.991, dappoichè ne fu deposto Arnolfo, edelle contraddizioni che vi sostenne, dallequali fu finalmente costretto a cedere

quella sede l'an. 997 allo stesso Arnolfo, si posson vede-re i mentovati autori della Storia letteraria di Francia.Ritirossi egli allora presso il giovine Ottone III di cuiera stato maestro, e questi condottolo seco in Italia l'an.998 il fè innalzare alla sede arcivescovil di Ravenna, eposcia l'anno seguente, essendo morto il pontef. Grego-

60

Sua elezione al pontificato col nome di Silvestro II, e sua morte.

gli dice (ep. 13): Proinde sì deliberatis, an scholasticosin Italiam ad nos usque dirigatis, ec. Ma come la vocescholasticus avea il senso ancor di maestro (V. Du Can-ge Gloss. ad hanc voc.), non si può accertare se di mae-stri ragioni qui Gerberto, ovver di scolari. Pochi anniperò ei visse in quel monastero; perciocchè l'usurpazio-ne che molti avean fatta de' beni di esso, e l'invidia checontro di lui, forse perchè straniero, si accese, l'indussead abbandonarlo, ritenendo però il nome di abate, e atornarsene in Francia. Di quando in quando però vennea rivedere l'Italia; e una volta fra l'altre abbattutosi inOttone II ch'era in Pavia, e da lui condotto seco pel Po aRavenna, tenne ivi solenne e pubblica disputa con uncotal sassone detto Otrico, uomo a que' tempi dottissi-mo, su una quistione di matematica, in cui era dispareretra lui e Gerberto.

IV. Intorno alla maniera con cui egli fusollevato all'arcivescovado di Rheims l'an.991, dappoichè ne fu deposto Arnolfo, edelle contraddizioni che vi sostenne, dallequali fu finalmente costretto a cedere

quella sede l'an. 997 allo stesso Arnolfo, si posson vede-re i mentovati autori della Storia letteraria di Francia.Ritirossi egli allora presso il giovine Ottone III di cuiera stato maestro, e questi condottolo seco in Italia l'an.998 il fè innalzare alla sede arcivescovil di Ravenna, eposcia l'anno seguente, essendo morto il pontef. Grego-

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Sua elezione al pontificato col nome di Silvestro II, e sua morte.

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rio V, Ottone adoperossi per modo, che il suo Gerbertofu eletto pontefice, e prese il nome di Silvestro II. Ma 4anni soli potè egli godere di tal dignità, essendo mortoagli 11 di maggio dell'an. 1003, uomo che non si può inalcun modo difendere dalla taccia di ambizioso; ma chenel rimanente fu di accorgimento e di sapere non ordina-rio, e ciò che il rendette ancor più utile all'Italia eall'Europa tutta, pieno di zelo per risvegliare in tuttil'ardore del coltivamento de' buoni studj, che già da piùsecoli sembrava interamente estinto.

V. E veramente basta legger le Lette-re da lui scritte, e pubblicate dopo al-tri dal Du Chesne (Script. Hist.Franc. t. 2.), per riconoscere quantoegli a tal fine si adoperasse. Appena

vi fu scienza di sorte alcuna a cui egli non si volgesse.Noi veggiamo ch'egli tratta sovente non sol della mate-matica ch'era lo studio suo prediletto, ma della rettorica,della musica, della medicina ancora, e in tutti questi stu-dj ei si mostra versato (ep. 17, 92, 124, 151). Ma di niu-na cosa troviam più frequente menzione nel sue Lettere,come di biblioteche e di libri ch'egli era avidissimo diraccogliere fino ad importunare gli amici perchè glielitrasmettessero (ep. 7, 9, 17, 24, 25, 40, 72, ec. ec.); edegli stesso ci assicura (ep. 44) che come in Roma e inaltre parti d'Italia, così ancora nella Germania e nellaFiandra, avea con molta spesa raccolta un'assai ragguar-

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Suo fervore nel colti-vare e promover gli studj: calunnia appo-stagli.

rio V, Ottone adoperossi per modo, che il suo Gerbertofu eletto pontefice, e prese il nome di Silvestro II. Ma 4anni soli potè egli godere di tal dignità, essendo mortoagli 11 di maggio dell'an. 1003, uomo che non si può inalcun modo difendere dalla taccia di ambizioso; ma chenel rimanente fu di accorgimento e di sapere non ordina-rio, e ciò che il rendette ancor più utile all'Italia eall'Europa tutta, pieno di zelo per risvegliare in tuttil'ardore del coltivamento de' buoni studj, che già da piùsecoli sembrava interamente estinto.

V. E veramente basta legger le Lette-re da lui scritte, e pubblicate dopo al-tri dal Du Chesne (Script. Hist.Franc. t. 2.), per riconoscere quantoegli a tal fine si adoperasse. Appena

vi fu scienza di sorte alcuna a cui egli non si volgesse.Noi veggiamo ch'egli tratta sovente non sol della mate-matica ch'era lo studio suo prediletto, ma della rettorica,della musica, della medicina ancora, e in tutti questi stu-dj ei si mostra versato (ep. 17, 92, 124, 151). Ma di niu-na cosa troviam più frequente menzione nel sue Lettere,come di biblioteche e di libri ch'egli era avidissimo diraccogliere fino ad importunare gli amici perchè glielitrasmettessero (ep. 7, 9, 17, 24, 25, 40, 72, ec. ec.); edegli stesso ci assicura (ep. 44) che come in Roma e inaltre parti d'Italia, così ancora nella Germania e nellaFiandra, avea con molta spesa raccolta un'assai ragguar-

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Suo fervore nel colti-vare e promover gli studj: calunnia appo-stagli.

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devole biblioteca. Io non entrerò a parlare delle molteopere da lui composte, che in gran parte appartengonoad aritmetica e a geometria; perciocchè non vogliamousurparci ciò ch'è d'altrui, e tutta lasciamo a' Francesi lagloria che questo dotto scrittore ha recato alla sua patria,sulla speranza ch'essi in avvenire saranno pure a noiugualmente cortesi, e non cercheranno di toglierci ciòch'è nostro. Solo per mostrare quanto profonda fosse inque' secoli e universal l'ignoranza, non deesi passaresotto silenzio ciò che abbiamo accennato, cioè che Ger-berto, perchè era matematico, fu creduto mago. Il primo,ch'io sappia, che a Gerberto apponesse tal macchia, fu ilcard. Bennone celebre a' tempi di Gregorio VII pel fana-tismo con cui prese a mordere rabbiosamente lo stessopontefice. Egli intento a screditare Gregorio ed altripontefici e i loro sostenitori, credette di non poter me-glio ottenere il suo disegno, che rappresentandoli comealtrettanti stregoni che aveano un famigliare commerciocol mal demonio. Quindi la breve Vita da lui scritta diGregorio VII non è quasi altro che un continuo raccontodi maleficj e di stregherie; e di Silvestro II fra gli altriracconta che il demonio aveagli promesso che non sa-rebbe morto se non dippoichè avesse celebrata la messain Gerusalemme; ma che il buon papa non fu abbastanzaavveduto; perciocchè recatosi un giorno a dirla nellachiesa che in Roma chiamavasi di Santa Croce in Geru-salemme, il demonio che ivi appunto attendevalo, gli fuaddosso, e presto lo uccise. La qual fola fu poi adottatada più altri dei posteriori scrittori in que' tempi, ne' quali

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devole biblioteca. Io non entrerò a parlare delle molteopere da lui composte, che in gran parte appartengonoad aritmetica e a geometria; perciocchè non vogliamousurparci ciò ch'è d'altrui, e tutta lasciamo a' Francesi lagloria che questo dotto scrittore ha recato alla sua patria,sulla speranza ch'essi in avvenire saranno pure a noiugualmente cortesi, e non cercheranno di toglierci ciòch'è nostro. Solo per mostrare quanto profonda fosse inque' secoli e universal l'ignoranza, non deesi passaresotto silenzio ciò che abbiamo accennato, cioè che Ger-berto, perchè era matematico, fu creduto mago. Il primo,ch'io sappia, che a Gerberto apponesse tal macchia, fu ilcard. Bennone celebre a' tempi di Gregorio VII pel fana-tismo con cui prese a mordere rabbiosamente lo stessopontefice. Egli intento a screditare Gregorio ed altripontefici e i loro sostenitori, credette di non poter me-glio ottenere il suo disegno, che rappresentandoli comealtrettanti stregoni che aveano un famigliare commerciocol mal demonio. Quindi la breve Vita da lui scritta diGregorio VII non è quasi altro che un continuo raccontodi maleficj e di stregherie; e di Silvestro II fra gli altriracconta che il demonio aveagli promesso che non sa-rebbe morto se non dippoichè avesse celebrata la messain Gerusalemme; ma che il buon papa non fu abbastanzaavveduto; perciocchè recatosi un giorno a dirla nellachiesa che in Roma chiamavasi di Santa Croce in Geru-salemme, il demonio che ivi appunto attendevalo, gli fuaddosso, e presto lo uccise. La qual fola fu poi adottatada più altri dei posteriori scrittori in que' tempi, ne' quali

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tanto più era pregiato uno storico, quanto più strane eranle cose ch'ei raccontava. Io mi vergognerei di arrestarmipur un momento a confutar tali ciance; e solo a una qua-lunque discolpa dei nostri maggiori che sì facilmente silasciarono ingannare, rifletterò che non è maraviglia chein que' secoli barbari al vedere un uomo che contempla-va le stelle, che disegnava linee, triangoli e altri similicapricciose figure, di cui niuno intendeva nè il fine nè ilsenso, si credesse da alcuni che ei fosse operator d'artimagiche, e che una tal opinione avesse allora e posciamolti seguaci.

VI. A Gerberto aggiugnerò l'arcidiaconodi Verona Pacifico, che per ragione di etàavrebbe dovuto precederlo; ma percioc-chè non abbiam pruove abbastanza chiaredel suo sapere, ne accennerò qui in breveciò che si può congetturando affermarne.Il march. Maffei prima (praef. ad Com-

plex. Cassiod.), poscia il proposto Muratori (Antiq. Ital.med. aev. t. 3, p. 837) han pubblicato interamente il lun-ghissimo epitafio posto al sepolcro di questo arcidiaco-no, che ancor si vede nella cattedral di Verona. Ma iovorrei che l'autor di esso invece di esser sì lungo fossestato alquanto più chiaro; poichè in molti luoghi nons'intende che voglia egli dirci 1. Ciò ch'è chiaro ad inten-

1 L'erudito p. Girolamo di Prato della Congregaz. dell'Oratorio ha pubblica-to una bella dissertazione sull'epitafio dell'arcidiacono Pacifico, in cui si è

63

Riflessioni sull'elogio di Pacifico arci-diacono di Ve-rona, sulle in-venzioni attri-buitegli.

tanto più era pregiato uno storico, quanto più strane eranle cose ch'ei raccontava. Io mi vergognerei di arrestarmipur un momento a confutar tali ciance; e solo a una qua-lunque discolpa dei nostri maggiori che sì facilmente silasciarono ingannare, rifletterò che non è maraviglia chein que' secoli barbari al vedere un uomo che contempla-va le stelle, che disegnava linee, triangoli e altri similicapricciose figure, di cui niuno intendeva nè il fine nè ilsenso, si credesse da alcuni che ei fosse operator d'artimagiche, e che una tal opinione avesse allora e posciamolti seguaci.

VI. A Gerberto aggiugnerò l'arcidiaconodi Verona Pacifico, che per ragione di etàavrebbe dovuto precederlo; ma percioc-chè non abbiam pruove abbastanza chiaredel suo sapere, ne accennerò qui in breveciò che si può congetturando affermarne.Il march. Maffei prima (praef. ad Com-

plex. Cassiod.), poscia il proposto Muratori (Antiq. Ital.med. aev. t. 3, p. 837) han pubblicato interamente il lun-ghissimo epitafio posto al sepolcro di questo arcidiaco-no, che ancor si vede nella cattedral di Verona. Ma iovorrei che l'autor di esso invece di esser sì lungo fossestato alquanto più chiaro; poichè in molti luoghi nons'intende che voglia egli dirci 1. Ciò ch'è chiaro ad inten-

1 L'erudito p. Girolamo di Prato della Congregaz. dell'Oratorio ha pubblica-to una bella dissertazione sull'epitafio dell'arcidiacono Pacifico, in cui si è

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Riflessioni sull'elogio di Pacifico arci-diacono di Ve-rona, sulle in-venzioni attri-buitegli.

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dersi, si è primieramente che Pacifico morì l'an. 846 inetà di 68 anni, e che per lo spazio di 43 anni avea soste-nuta la dignità di arcidiacono. Aggiugnesi ancora ch'egliera uomo di sì raro sapere, e di sì leggiadro aspetto, chené alcuno a lui uguale era stato a que' tempi nè speravasiche fosse giammai, e che sette chiese di Verona, che ivisi nominano, egli avea o rinnovate, o fabbricate di nuo-vo. Quindi venendo a parlare distintamente de' frutti delsuo sapere, si dice:

Quicquid auro, vel argento, et metallis caeteris,Quicquid lignis ex diversis, et marmore candidoNullus unquam sic peritus in tantis operibus.

Colle quali parole se ci si voglia dire ch'ei fosse saggioestimatore de' lavori dell'arte, ovvero che ne' lavori me-desimi ei si esercitasse con singolare perizia, chi può in-dovinarlo? Si aggiugne innoltre:

Bis centenos terque senos codicesque fecerat.

Ma questi 218 codici furono esse opere da Pacificocomposte? furon codici da lui copiati? furon codici dalui donati alla cattedral di Verona? Il secondo senso par-mi il più verisimile, ma in uno stile sì barbaro come puòaccertarsi il vero? Più oscuro ancora è ciò che segue:

accinto a spiegarne ogni parte, e a mostrare ch'esso non è si oscuro, come ame e ad altri è sembrato (Raccolta Ferrar. d'Opusc. t. 10, p. 1, ec; t. 14, p.105, ec). Io desidero ch'esso sembri ora spiegato per modo, che non riman-ga più luogo a quistione; e lascio che ognun vegga nell'opuscolo stessocom'egli dichiara ogni cosa. Ciò che a me pare ch'egli abbia stabilito feli-cemente, si è che la morte dell'arcidiacono non dee fissarsi all'an. 846,come finora si è fatto, ma all'an. 844.

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dersi, si è primieramente che Pacifico morì l'an. 846 inetà di 68 anni, e che per lo spazio di 43 anni avea soste-nuta la dignità di arcidiacono. Aggiugnesi ancora ch'egliera uomo di sì raro sapere, e di sì leggiadro aspetto, chené alcuno a lui uguale era stato a que' tempi nè speravasiche fosse giammai, e che sette chiese di Verona, che ivisi nominano, egli avea o rinnovate, o fabbricate di nuo-vo. Quindi venendo a parlare distintamente de' frutti delsuo sapere, si dice:

Quicquid auro, vel argento, et metallis caeteris,Quicquid lignis ex diversis, et marmore candidoNullus unquam sic peritus in tantis operibus.

Colle quali parole se ci si voglia dire ch'ei fosse saggioestimatore de' lavori dell'arte, ovvero che ne' lavori me-desimi ei si esercitasse con singolare perizia, chi può in-dovinarlo? Si aggiugne innoltre:

Bis centenos terque senos codicesque fecerat.

Ma questi 218 codici furono esse opere da Pacificocomposte? furon codici da lui copiati? furon codici dalui donati alla cattedral di Verona? Il secondo senso par-mi il più verisimile, ma in uno stile sì barbaro come puòaccertarsi il vero? Più oscuro ancora è ciò che segue:

accinto a spiegarne ogni parte, e a mostrare ch'esso non è si oscuro, come ame e ad altri è sembrato (Raccolta Ferrar. d'Opusc. t. 10, p. 1, ec; t. 14, p.105, ec). Io desidero ch'esso sembri ora spiegato per modo, che non riman-ga più luogo a quistione; e lascio che ognun vegga nell'opuscolo stessocom'egli dichiara ogni cosa. Ciò che a me pare ch'egli abbia stabilito feli-cemente, si è che la morte dell'arcidiacono non dee fissarsi all'an. 846,come finora si è fatto, ma all'an. 844.

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Horologium nocturnum nullus ante viderat En invenit argumentum, et primus fundaverat.

Come mai dicesi che prima di questi tempi non si fosseveduto orologio notturno, mentre ne abbiam trovatamenzione nell'epoca precedente (V. l. 2, c. 4, n. 2)? For-se era questo orologio di altro genere nuovamente trova-to da questo arcidiacono? Ma quale era esso? Che è poil'argomento da Pacifico inventato, o anzi fondato? Èegli un nuovo metodo d'argomentare? è egli un ordignomeccanico? Ecco quanti enimmi racchiusi in poche pa-role. Nè qui finiscono essi:

Glossam veteris et novi Testamenti posuit.

Il march. Maffei crede (Ver. illustr. par. 2, l. 1) che qui siaffermi che fu composta da Pacifico una chiosa della sa-cra Scrittura, nel qual caso egli mostra che sarebbe lapiù antica fra tutte. Il Muratori al contrario pensa chequesto ancor fosse un codice donato da Pacifico al suocapitolo. Ma quella espressione posuit glossam è cosìbarbara ed oscura, ch'io, non so a qual sentimento appi-gliarmi. Finalmente di lui si dice:

Horologioque carmen sphaerae Coeli optimum,Plura alia graphiaque prudens inveniet.

Parole esse ancora di una impenetrabile oscurità. Il mar-ch. Maffei le intende di uno stromento per le sfere cele-sti. Ma come mai dare a uno stromento il nome di car-men? E quel plura alia graphia che significa egli mai?In somma questo epitafio sembra composto per farsi

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Horologium nocturnum nullus ante viderat En invenit argumentum, et primus fundaverat.

Come mai dicesi che prima di questi tempi non si fosseveduto orologio notturno, mentre ne abbiam trovatamenzione nell'epoca precedente (V. l. 2, c. 4, n. 2)? For-se era questo orologio di altro genere nuovamente trova-to da questo arcidiacono? Ma quale era esso? Che è poil'argomento da Pacifico inventato, o anzi fondato? Èegli un nuovo metodo d'argomentare? è egli un ordignomeccanico? Ecco quanti enimmi racchiusi in poche pa-role. Nè qui finiscono essi:

Glossam veteris et novi Testamenti posuit.

Il march. Maffei crede (Ver. illustr. par. 2, l. 1) che qui siaffermi che fu composta da Pacifico una chiosa della sa-cra Scrittura, nel qual caso egli mostra che sarebbe lapiù antica fra tutte. Il Muratori al contrario pensa chequesto ancor fosse un codice donato da Pacifico al suocapitolo. Ma quella espressione posuit glossam è cosìbarbara ed oscura, ch'io, non so a qual sentimento appi-gliarmi. Finalmente di lui si dice:

Horologioque carmen sphaerae Coeli optimum,Plura alia graphiaque prudens inveniet.

Parole esse ancora di una impenetrabile oscurità. Il mar-ch. Maffei le intende di uno stromento per le sfere cele-sti. Ma come mai dare a uno stromento il nome di car-men? E quel plura alia graphia che significa egli mai?In somma questo epitafio sembra composto per farsi

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giuoco de' posteri e per propor loro un insolubile enim-ma. E buon per noi che il Maffei e il Muratori eran trop-po saggi scrittori, perchè non si arrestassero a disputarlungamente su questa lapida. Se essa fosse caduta inmano di alcuno di que' pseudo antiquari che pensano diessersi renduti immortali, quando ad illustrare una cifradi qualche iscrizione han composto un grosso volume,chi sa da quante Dissertazioni e Difese e Conferme eRepliche saremmo stati innondati? Io certo non annoje-rò i miei lettori col trattenermi più a lungo su questobarbaro epitafio, di cui solo ho stimato di dover qui fa-vellare brevemente, perchè, comunque non si raccolgaprecisamente quai fosser gli studj e le opere di Pacifico,se ne raccoglie nondimeno quanto basta a mostrarcich'egli dovea essere un uomo che coltivati avesse connon infelice successo gli studj della meccanica edell'astronomia.

VII. Ma riguardo all'astronomia abbiamo unpregevolissimo documento a mostrarech'essa era nel IX sec. coltivata in Italia as-sai più che non credesi comunemente. Esso

è un Calendario del IX secolo, che conservasi nell'operadella Cattedral di Firenze, e ch'è stato pubblicato daldottiss. sig. ab Leonardo Ximenes nella Introduzionestorica al Gnomone Fiorentino, il quale ancora lo ha consomma dottrina illustrato, e con pruove tratte dal Calen-dario medesimo ha dimostrato ch'esso fu scritto l'an.

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Astronomiacoltivata inItalia.

giuoco de' posteri e per propor loro un insolubile enim-ma. E buon per noi che il Maffei e il Muratori eran trop-po saggi scrittori, perchè non si arrestassero a disputarlungamente su questa lapida. Se essa fosse caduta inmano di alcuno di que' pseudo antiquari che pensano diessersi renduti immortali, quando ad illustrare una cifradi qualche iscrizione han composto un grosso volume,chi sa da quante Dissertazioni e Difese e Conferme eRepliche saremmo stati innondati? Io certo non annoje-rò i miei lettori col trattenermi più a lungo su questobarbaro epitafio, di cui solo ho stimato di dover qui fa-vellare brevemente, perchè, comunque non si raccolgaprecisamente quai fosser gli studj e le opere di Pacifico,se ne raccoglie nondimeno quanto basta a mostrarcich'egli dovea essere un uomo che coltivati avesse connon infelice successo gli studj della meccanica edell'astronomia.

VII. Ma riguardo all'astronomia abbiamo unpregevolissimo documento a mostrarech'essa era nel IX sec. coltivata in Italia as-sai più che non credesi comunemente. Esso

è un Calendario del IX secolo, che conservasi nell'operadella Cattedral di Firenze, e ch'è stato pubblicato daldottiss. sig. ab Leonardo Ximenes nella Introduzionestorica al Gnomone Fiorentino, il quale ancora lo ha consomma dottrina illustrato, e con pruove tratte dal Calen-dario medesimo ha dimostrato ch'esso fu scritto l'an.

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Astronomiacoltivata inItalia.

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813. "Vi si osservano, dic'egli (Introd. ec. p. 4, ec.), trac-ce sì belle di osservazioni astronomiche, che è veramen-te da ammirare come mai in un secolo sì caliginoso sigiugnesse a questa chiarezza. Imperciocchè si vede daesso manifestamente che in Firenze fin dal sec. IX già sierano accorti dello spostamento de' punti equinoziali esolstiziali sofferto dal Concilio Niceno fino a quel tem-po nel Calendario giuliano, che allora la Chiesa seguiva.Nè ciò si arguisce, per qualche dubbiosa congettura, maapparisce manifestamente da quattro passi dello stessoCalendario che a prima vista reca ammirazione e confu-sione". E qui ei siegue recando le pruove di ciò che af-ferma, le quali nell'opera stessa si posson vedere, poichètroppo a lungo mi condurrebbe il volerle anche sol com-pendiare.

VIII. Per ciò che appartiene alla medicina,non abbiamo in tutta quest'epoca notizia alcu-na o di medici che in alcuna parte del mondo,non che in Italia, si rendessero illustri, o dinuove scoperte che in quest'arte si venisserfacendo. E se essa fra tante rivoluzioni nonperì interamente, noi ne siam debitori a que'monaci stessi da' quali anche le altre scienze

furon preservate in gran parte da una irreparabil rovina.Nell'epoche susseguenti vedremo alcuni di essi esercita-re con grande loro onore quest'arte. Qui basta il riflettereciò che sopra abbiam già accennato, cioè che nel IX sec.

67

La medi-cina non ebbe uo-mini illu-stri: essa fu colti-vata an-che dai monaci.

813. "Vi si osservano, dic'egli (Introd. ec. p. 4, ec.), trac-ce sì belle di osservazioni astronomiche, che è veramen-te da ammirare come mai in un secolo sì caliginoso sigiugnesse a questa chiarezza. Imperciocchè si vede daesso manifestamente che in Firenze fin dal sec. IX già sierano accorti dello spostamento de' punti equinoziali esolstiziali sofferto dal Concilio Niceno fino a quel tem-po nel Calendario giuliano, che allora la Chiesa seguiva.Nè ciò si arguisce, per qualche dubbiosa congettura, maapparisce manifestamente da quattro passi dello stessoCalendario che a prima vista reca ammirazione e confu-sione". E qui ei siegue recando le pruove di ciò che af-ferma, le quali nell'opera stessa si posson vedere, poichètroppo a lungo mi condurrebbe il volerle anche sol com-pendiare.

VIII. Per ciò che appartiene alla medicina,non abbiamo in tutta quest'epoca notizia alcu-na o di medici che in alcuna parte del mondo,non che in Italia, si rendessero illustri, o dinuove scoperte che in quest'arte si venisserfacendo. E se essa fra tante rivoluzioni nonperì interamente, noi ne siam debitori a que'monaci stessi da' quali anche le altre scienze

furon preservate in gran parte da una irreparabil rovina.Nell'epoche susseguenti vedremo alcuni di essi esercita-re con grande loro onore quest'arte. Qui basta il riflettereciò che sopra abbiam già accennato, cioè che nel IX sec.

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La medi-cina non ebbe uo-mini illu-stri: essa fu colti-vata an-che dai monaci.

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il santo abate Bertario fra i molti libri di cui arricchì labiblioteca di Monte Casino, due codici vi ripose appar-tenenti a medicina, ne' quali egli avea diligentementeraccolti moltissimi rimedj da lui tratti da più celebri au-tori (Leo ostiens. l. 1, c. 33). Anzi, che fra gli altri studjvenissero almeno alcuni tra' monaci esercitati anche inquello della medicina, raccogliesi chiaramente da ciòche si narra nella antica Cronaca del monastero di Farfa(Script. rer. ital. t. 2, pars 2, p. 257), cioè che Raffredoabate di quel monastero al principio del X secolo feceistruire nello studio della medicina un monaco allor gio-vinetto, detto Campone, il quale poscia troppo male cor-rispondendo alla paterna sollecitudine con cui quegliavealo allevato, datogli il veleno, s'intruse a forza nelgoverno di quel monastero, e ne dissipò i beni (Mabil-lon. Ann. bened. t. 3, l. 43, n. 74). Potrebbe a questo luo-go farsi menzione della celebre scuola salernitana chesembra che a questi tempi avesse già qualche nome; manoi ci riserveremo a parlarne nel libro seguente; percioc-chè nell'XI secolo singolarmente ella si rendette famosa.

CAPO V.Giurisprudenza.

I. Benchè anche in quest'epoca, come nellaprecedente non ci si offra giureconsulto al-cuno di chiara fama, dobbiamo qui ancornondimeno, per continuare la storia della

68

Questo ar-gomento ègià stato il-lustrato daaltri.

il santo abate Bertario fra i molti libri di cui arricchì labiblioteca di Monte Casino, due codici vi ripose appar-tenenti a medicina, ne' quali egli avea diligentementeraccolti moltissimi rimedj da lui tratti da più celebri au-tori (Leo ostiens. l. 1, c. 33). Anzi, che fra gli altri studjvenissero almeno alcuni tra' monaci esercitati anche inquello della medicina, raccogliesi chiaramente da ciòche si narra nella antica Cronaca del monastero di Farfa(Script. rer. ital. t. 2, pars 2, p. 257), cioè che Raffredoabate di quel monastero al principio del X secolo feceistruire nello studio della medicina un monaco allor gio-vinetto, detto Campone, il quale poscia troppo male cor-rispondendo alla paterna sollecitudine con cui quegliavealo allevato, datogli il veleno, s'intruse a forza nelgoverno di quel monastero, e ne dissipò i beni (Mabil-lon. Ann. bened. t. 3, l. 43, n. 74). Potrebbe a questo luo-go farsi menzione della celebre scuola salernitana chesembra che a questi tempi avesse già qualche nome; manoi ci riserveremo a parlarne nel libro seguente; percioc-chè nell'XI secolo singolarmente ella si rendette famosa.

CAPO V.Giurisprudenza.

I. Benchè anche in quest'epoca, come nellaprecedente non ci si offra giureconsulto al-cuno di chiara fama, dobbiamo qui ancornondimeno, per continuare la storia della

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Questo ar-gomento ègià stato il-lustrato daaltri.

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giurisprudenza, osservare qual fosse generalmente lostato di essa in Italia, e quali leggi servisser di norma a'giudizj. E in ciò noi potremmo stenderci assai lunga-mente, se molti dottissimi uomini non ci avesser già pre-venuto, illustrando per tal maniera questo punto di storiache nulla rimane che aggiugnere all'erudite loro fatiche.Io verrò dunque giovandomi delle loro ricerche, edesporrò qui in breve ciò ch'essi hanno ampiamente pro-vato, valendomi singolarmente di due tra loro che consingolare esattezza di ciò hanno scritto, cioè dello Stru-vio (Hist. jur. rom. et goth., ec. p. 365, ec.) e del Mura-tori (Antiq. Ital. vol. 2, diss. 22).

II. I re longobardi, come nell'epoca prece-dente si è dimostrato, allor quando promul-garono le loro leggi permisero nondimenoagl'Italiani lor sudditi che potessero tuttorvalersi delle romane, colle quali fino a queltempo si erano regolati. Due leggi dunqueaveano allor forza in Italia, la longobardica

e la romana. Ma dappoichè l'Italia cadde per la maggiorparte in potere di Carlo Magno e de' suoi successori,come da molte nazioni erano abitate queste provincie,così più altre nuove leggi vi s'introdussero. Fra le diver-se nazioni che ubbidivano a Carlo Magno nella Franciae nell'Allemagna, molti vi furono che, o per amore dinovità, o per isperanza di miglior sorte, vennero a stabi-lirsi in Italia; e vedeansi perciò in essa confusi Italiani,

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Le diversenazioni cheabitavanl'Italia, pro-fessavanodiverse leg-gi.

giurisprudenza, osservare qual fosse generalmente lostato di essa in Italia, e quali leggi servisser di norma a'giudizj. E in ciò noi potremmo stenderci assai lunga-mente, se molti dottissimi uomini non ci avesser già pre-venuto, illustrando per tal maniera questo punto di storiache nulla rimane che aggiugnere all'erudite loro fatiche.Io verrò dunque giovandomi delle loro ricerche, edesporrò qui in breve ciò ch'essi hanno ampiamente pro-vato, valendomi singolarmente di due tra loro che consingolare esattezza di ciò hanno scritto, cioè dello Stru-vio (Hist. jur. rom. et goth., ec. p. 365, ec.) e del Mura-tori (Antiq. Ital. vol. 2, diss. 22).

II. I re longobardi, come nell'epoca prece-dente si è dimostrato, allor quando promul-garono le loro leggi permisero nondimenoagl'Italiani lor sudditi che potessero tuttorvalersi delle romane, colle quali fino a queltempo si erano regolati. Due leggi dunqueaveano allor forza in Italia, la longobardica

e la romana. Ma dappoichè l'Italia cadde per la maggiorparte in potere di Carlo Magno e de' suoi successori,come da molte nazioni erano abitate queste provincie,così più altre nuove leggi vi s'introdussero. Fra le diver-se nazioni che ubbidivano a Carlo Magno nella Franciae nell'Allemagna, molti vi furono che, o per amore dinovità, o per isperanza di miglior sorte, vennero a stabi-lirsi in Italia; e vedeansi perciò in essa confusi Italiani,

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Le diversenazioni cheabitavanl'Italia, pro-fessavanodiverse leg-gi.

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Longobardi, Francesi, Allemanni. Or tutti questi novellie stranieri abitatori non era a sperare, singolarmente aque' tempi, che potessero sottomettersi a leggi non loro;e convenne perciò sofferire che ognuno potesse viveresecondo la legge di sua nazione; perciocchè era final-mente male assai più leggero l'introdurre una tale molti-plicità di leggi in Italia, che il fare che tutte fossero di-menticate e neglette coll'assoggettar tutti mal grado loroalla legge medesima. Quindi è che nelle carte di questitempi noi veggiam farsi menzione della nazion di colorodi cui in esse si tratta e della legge ch'essi seguivano, esì frequenti s'incontrano quelle formole: qui professussum ex natione mea lege vivere Longobardorum, e so-miglianti; rendendosi ciò necessario, perchè sapessero igiudici, secondo qual legge dovea ognuno esser giudica-to.

III. La nazione però non era sempre sicu-ro indicio a conoscere la legge cui alcunoseguisse perciocchè i servi doveano averela legge comun col padrone, e le mogli an-

cor col marito; benchè si trovino alcuni esempj, in cuivedesi il marito professar una legge, un'altra la moglie.Il Muratori osserva che gli ecclesiastici sì secolari comeregolari di qualunque nazione fossero attenevansi alleleggi romane; ma egli stesso dimostra che ciò non erasempre costante e convien dire perciò, che fosse questoun privilegio lor conceduto, di cui potessero essi bensì,

70

Eccezioni da questa regola generale.

Longobardi, Francesi, Allemanni. Or tutti questi novellie stranieri abitatori non era a sperare, singolarmente aque' tempi, che potessero sottomettersi a leggi non loro;e convenne perciò sofferire che ognuno potesse viveresecondo la legge di sua nazione; perciocchè era final-mente male assai più leggero l'introdurre una tale molti-plicità di leggi in Italia, che il fare che tutte fossero di-menticate e neglette coll'assoggettar tutti mal grado loroalla legge medesima. Quindi è che nelle carte di questitempi noi veggiam farsi menzione della nazion di colorodi cui in esse si tratta e della legge ch'essi seguivano, esì frequenti s'incontrano quelle formole: qui professussum ex natione mea lege vivere Longobardorum, e so-miglianti; rendendosi ciò necessario, perchè sapessero igiudici, secondo qual legge dovea ognuno esser giudica-to.

III. La nazione però non era sempre sicu-ro indicio a conoscere la legge cui alcunoseguisse perciocchè i servi doveano averela legge comun col padrone, e le mogli an-

cor col marito; benchè si trovino alcuni esempj, in cuivedesi il marito professar una legge, un'altra la moglie.Il Muratori osserva che gli ecclesiastici sì secolari comeregolari di qualunque nazione fossero attenevansi alleleggi romane; ma egli stesso dimostra che ciò non erasempre costante e convien dire perciò, che fosse questoun privilegio lor conceduto, di cui potessero essi bensì,

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Eccezioni da questa regola generale.

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ma non dovessero necessariamente usare. Alle pruovech'egli ne reca, un'altra se ne può aggiugnere trattadall'antica Cronaca del monastero di Farfa da lui pubbli-cata; perciocchè in essa veggiamo che quel monasteroanche verso il fine del X sec. seguiva negli atti giudicia-li le leggi de' Longobardi (Script. rer. ital. t. 2, pars 2, p.503).

IV. Oltre queste leggi particolari e propriea ciascheduna nazione, altre ve ne aveagenerali e comuni a tutte, quelle cioè cheda' re d'Italia venivansi successivamente

pubblicando, e che in tutte le provincie ad essi soggettedoveansi accettare e seguire. Egli è vero però, come os-serva il medesimo Muratori, che tali leggi non si pro-mulgavano dai sovrani senza il consenso de' capi dellanazione; costume introdotto da prima da' re longobardi,come ricavasi dall'esordio delle lor leggi nel quale si famenzione del consenso de' giudici e de' primari; e po-scia seguito ancor da' re franchi, e dagli altri che lor suc-cederono. Quindi è che veggiamo comunemente le loroleggi pubblicate nelle assemblee ossia diete che da essitenevansi ora in Cortelona, or nelle pianure di Ronca-glia, or in altro luogo. Ad esse intervenivano i più rag-guardevoli tra' signori d'Italia, ad esse proponevano i ree gl'imperadori le nuove leggi che credevano opportuneal buon regolamento di queste provincie, e col munirledel loro consentimento assicuravansi non solo di non in-

71

Altre leggi pubblicate da' re franchi.

ma non dovessero necessariamente usare. Alle pruovech'egli ne reca, un'altra se ne può aggiugnere trattadall'antica Cronaca del monastero di Farfa da lui pubbli-cata; perciocchè in essa veggiamo che quel monasteroanche verso il fine del X sec. seguiva negli atti giudicia-li le leggi de' Longobardi (Script. rer. ital. t. 2, pars 2, p.503).

IV. Oltre queste leggi particolari e propriea ciascheduna nazione, altre ve ne aveagenerali e comuni a tutte, quelle cioè cheda' re d'Italia venivansi successivamente

pubblicando, e che in tutte le provincie ad essi soggettedoveansi accettare e seguire. Egli è vero però, come os-serva il medesimo Muratori, che tali leggi non si pro-mulgavano dai sovrani senza il consenso de' capi dellanazione; costume introdotto da prima da' re longobardi,come ricavasi dall'esordio delle lor leggi nel quale si famenzione del consenso de' giudici e de' primari; e po-scia seguito ancor da' re franchi, e dagli altri che lor suc-cederono. Quindi è che veggiamo comunemente le loroleggi pubblicate nelle assemblee ossia diete che da essitenevansi ora in Cortelona, or nelle pianure di Ronca-glia, or in altro luogo. Ad esse intervenivano i più rag-guardevoli tra' signori d'Italia, ad esse proponevano i ree gl'imperadori le nuove leggi che credevano opportuneal buon regolamento di queste provincie, e col munirledel loro consentimento assicuravansi non solo di non in-

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Altre leggi pubblicate da' re franchi.

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contrare ostacolo, ma di trovare anche ajuto e sostegnonell'esigerne l'osservanza.

V. Questa moltiplicità e differenza di leggidovea riuscir gravosa singolarmente a' giu-reconsulti, a' quali conveniva necessaria-mente essere istruiti in tutte quelle che pote-vansi dalle parti seguire. Or se le sole leggi

romane hanno una ampiezza sì sterminata, che per poconon opprimono col loro peso, che dovrem noi pensare ditutte le altre raccolte insieme? Ma a ben riflettere eraquesta fatica minore assai che a primo aspetto non sem-bri. La difficoltà di trovar copie intere e compite delleleggi romane avea indotti, come osserva il ch. Muratori,i giureconsulti a formarne un assai breve compendio, incui eransi raccolti precisamente gli articoli più necessarjper loro regolamento; e perciò in poco tempo potevachiunque fosse divenire in esse perito e dotto. Le altreleggi poi, ch'erano assai più brevi, furono unite insieme,e si formarono codici che tutte le comprendessero. Taleè fra gli altri il bellissimo Codice che ancor si conservanell'archivio di questo insigne capitolo di Modena. Essofu scritto per ordine di Everardo duca del Friuli verso lametà del IX secolo, ed ivi si veggono unite le leggi de'Franchi ossia la legge salica, quelle degli Allemanni, de'Ripuarj, de' Bavari, popoli tutti della Germania, e quellede' Longobardi. E queste sono appunto le leggi che nelleCarte italiane di questi tempi si trovano nominate; ben-

72

Come si schivasse laconfusione nata da tan-te leggi.

contrare ostacolo, ma di trovare anche ajuto e sostegnonell'esigerne l'osservanza.

V. Questa moltiplicità e differenza di leggidovea riuscir gravosa singolarmente a' giu-reconsulti, a' quali conveniva necessaria-mente essere istruiti in tutte quelle che pote-vansi dalle parti seguire. Or se le sole leggi

romane hanno una ampiezza sì sterminata, che per poconon opprimono col loro peso, che dovrem noi pensare ditutte le altre raccolte insieme? Ma a ben riflettere eraquesta fatica minore assai che a primo aspetto non sem-bri. La difficoltà di trovar copie intere e compite delleleggi romane avea indotti, come osserva il ch. Muratori,i giureconsulti a formarne un assai breve compendio, incui eransi raccolti precisamente gli articoli più necessarjper loro regolamento; e perciò in poco tempo potevachiunque fosse divenire in esse perito e dotto. Le altreleggi poi, ch'erano assai più brevi, furono unite insieme,e si formarono codici che tutte le comprendessero. Taleè fra gli altri il bellissimo Codice che ancor si conservanell'archivio di questo insigne capitolo di Modena. Essofu scritto per ordine di Everardo duca del Friuli verso lametà del IX secolo, ed ivi si veggono unite le leggi de'Franchi ossia la legge salica, quelle degli Allemanni, de'Ripuarj, de' Bavari, popoli tutti della Germania, e quellede' Longobardi. E queste sono appunto le leggi che nelleCarte italiane di questi tempi si trovano nominate; ben-

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Come si schivasse laconfusione nata da tan-te leggi.

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chè le longobardiche e le romane assai più frequente-mente di tutte.

VI. Tal fu lo stato della giurisprudenza italia-na nell'epoca in questo libro compresa. E ioho creduto di far cosa grata a' miei lettori, ac-cennando così in breve ciò di che i sopprallo-dati dottissimi uomini hanno ampiamente trat-

tato. A che gioverebbero le fatiche di tanti eruditi scrit-tori, se, dappoichè essi hanno felicemente rischiarato al-cun punto, chi dopo loro ritorna sul medesimo argomen-to, in vece di giovarsi delle loro fatiche, volesse di nuo-vo ritessere la tela tutta, e ripetere stucchevolmente ciòch'essi han detto? A me par che debbasi lode a chi cercadi moltiplicare non già i libri, ma le cognizioni.

CAPO VI.Arti liberali.

I. Abbiam già preso nel precedente libro aribattere l'opinion di coloro i quali afferma-no che ne' secoli barbari, dei quali ora trat-tiamo, erano le belle arti interamente dimen-ticate in Italia; e abbiamo, come ci sembra,chiaramente mostrato che sculture e pittureed altri somiglianti lavori non sono mai

mancati tra noi, e che senza alcun fondamento si dice

73

Ragionedellabrevitàdi questocapo.

Si siegue a provare chele arti libe-rali non mancarono mai in Ita-lia.

chè le longobardiche e le romane assai più frequente-mente di tutte.

VI. Tal fu lo stato della giurisprudenza italia-na nell'epoca in questo libro compresa. E ioho creduto di far cosa grata a' miei lettori, ac-cennando così in breve ciò di che i sopprallo-dati dottissimi uomini hanno ampiamente trat-

tato. A che gioverebbero le fatiche di tanti eruditi scrit-tori, se, dappoichè essi hanno felicemente rischiarato al-cun punto, chi dopo loro ritorna sul medesimo argomen-to, in vece di giovarsi delle loro fatiche, volesse di nuo-vo ritessere la tela tutta, e ripetere stucchevolmente ciòch'essi han detto? A me par che debbasi lode a chi cercadi moltiplicare non già i libri, ma le cognizioni.

CAPO VI.Arti liberali.

I. Abbiam già preso nel precedente libro aribattere l'opinion di coloro i quali afferma-no che ne' secoli barbari, dei quali ora trat-tiamo, erano le belle arti interamente dimen-ticate in Italia; e abbiamo, come ci sembra,chiaramente mostrato che sculture e pittureed altri somiglianti lavori non sono mai

mancati tra noi, e che senza alcun fondamento si dice

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Ragionedellabrevitàdi questocapo.

Si siegue a provare chele arti libe-rali non mancarono mai in Ita-lia.

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da' sostenitori del contrario parere, che tali opere fossertutte de' Greci. Or ci conviene innoltrarci, e render sem-pre più evidente la nostra opinione, col dimostrare cheanche ne' due secoli de' quali abbiam trattato finora, se-coli che furon i più funesti all'Italia, pur le arti liberalinon venner meno, benchè per l'infelice condizione de'tempi, per la perdita degli antichi originali, e per la man-canza di stimoli e di emulazione non avesser che rozzied infelici coltivatori.

II. I romani pontefici come ne' secoli prece-denti, così in questi ancora furono i piùsplendidi fomentatori e protettori dell'arteco' lavori magnifici d'ogni maniera, che ag-giunsero alle chiese di Roma. Leggansi le

loro Vite scritte da Anastasio e da Guglielmo biblioteca-rj, e da altri antichi e contemporanei autori e tutte insie-me pubblicate dal ch. Muratori, e ad ogni passo se netroveranno pruove in gran numero. Moltissimi musaici epitture veggiamo rammentarsi di Leone III innalzatoalla sede romana l'an. 795 (Script. rer. ital. t. 2, pars 1,p. 196, 197, ec.), e degno è fra le altre cose d'osservazio-ne ciò che di lui dicesi da Anastasio che fece più fine-stre di vetro ornate di diversi colori, il quale è forse ilprimo esempio che trovisi di cotai vetri dipinti. Alcunepitture ancora si nominano di Stefano IV, detto da altriV (ib. p. 114, ec.), ch'era pontefice l'an. 816. Veggiam lechiese di santa Sabina e di s. Saturnino a miglior forma

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Pitture mu-saici, e sculture fat-te per ordindei papi.

da' sostenitori del contrario parere, che tali opere fossertutte de' Greci. Or ci conviene innoltrarci, e render sem-pre più evidente la nostra opinione, col dimostrare cheanche ne' due secoli de' quali abbiam trattato finora, se-coli che furon i più funesti all'Italia, pur le arti liberalinon venner meno, benchè per l'infelice condizione de'tempi, per la perdita degli antichi originali, e per la man-canza di stimoli e di emulazione non avesser che rozzied infelici coltivatori.

II. I romani pontefici come ne' secoli prece-denti, così in questi ancora furono i piùsplendidi fomentatori e protettori dell'arteco' lavori magnifici d'ogni maniera, che ag-giunsero alle chiese di Roma. Leggansi le

loro Vite scritte da Anastasio e da Guglielmo biblioteca-rj, e da altri antichi e contemporanei autori e tutte insie-me pubblicate dal ch. Muratori, e ad ogni passo se netroveranno pruove in gran numero. Moltissimi musaici epitture veggiamo rammentarsi di Leone III innalzatoalla sede romana l'an. 795 (Script. rer. ital. t. 2, pars 1,p. 196, 197, ec.), e degno è fra le altre cose d'osservazio-ne ciò che di lui dicesi da Anastasio che fece più fine-stre di vetro ornate di diversi colori, il quale è forse ilprimo esempio che trovisi di cotai vetri dipinti. Alcunepitture ancora si nominano di Stefano IV, detto da altriV (ib. p. 114, ec.), ch'era pontefice l'an. 816. Veggiam lechiese di santa Sabina e di s. Saturnino a miglior forma

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Pitture mu-saici, e sculture fat-te per ordindei papi.

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ridotte, e ornate in ogni parte di varie pitture, quella daEugenio II (ib. p. 219), e questa da Gregorio IV (ib. p.221) successori di Stefano; e più altre sculture ancora epitture e musaici si annoverano, opere dello stesso Gre-gorio. Sergio II che salì alla sede romana l'an 844, aven-do innalzato un portico a più archi innanzi alla basilicadel Salvatore, il fè abbellir di pitture, e pitture ancora emusaici aggiunse a più altre chiese (ib. p. 229, ec.). Lostesso dicasi di Leone IV (ib. p. 234, 244, ec.), di Nicco-lò I (ib. p. 256, ec.) e di Adriano II (ib. p. 263) nel me-desimo secolo, dei quali tutti leggiamo che molte chiesedi Roma o fabbricaron di nuovo, o ristorarono ed orna-rono di sculture, di pitture e di altri somiglianti orna-menti; di alcuni de' quali ci parlano gli antichi scrittoriche aveanli innanzi agli occhi, come di cose maraviglio-se; benchè io voglia ben credere ch'esse non fosser poitali da farci oggi inarcare per istupore le ciglia. I ponte-fici del X secolo, come non furon per la più parte digrande ornamento alla Chiesa colle loro virtù, così noncurarono comunemente di accrescere ai tempj nuovo de-coro. Solo in qualche Cronaca leggiam del papa Formo-so che rinnovò le pitture della basilica di s. Pietro (Rico-bald. Chronol. Script. rer. ital. vol. 9 p. 237).

III. Non furon però soli i romani ponteficiche in tal modo promovessero e fomentas-sero quanto era possibile, le belle arti. DiPaolo vescovo di Napoli verso il fine del

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Altri somi-glianti la-vori in altri parti d'Ita-lia.

ridotte, e ornate in ogni parte di varie pitture, quella daEugenio II (ib. p. 219), e questa da Gregorio IV (ib. p.221) successori di Stefano; e più altre sculture ancora epitture e musaici si annoverano, opere dello stesso Gre-gorio. Sergio II che salì alla sede romana l'an 844, aven-do innalzato un portico a più archi innanzi alla basilicadel Salvatore, il fè abbellir di pitture, e pitture ancora emusaici aggiunse a più altre chiese (ib. p. 229, ec.). Lostesso dicasi di Leone IV (ib. p. 234, 244, ec.), di Nicco-lò I (ib. p. 256, ec.) e di Adriano II (ib. p. 263) nel me-desimo secolo, dei quali tutti leggiamo che molte chiesedi Roma o fabbricaron di nuovo, o ristorarono ed orna-rono di sculture, di pitture e di altri somiglianti orna-menti; di alcuni de' quali ci parlano gli antichi scrittoriche aveanli innanzi agli occhi, come di cose maraviglio-se; benchè io voglia ben credere ch'esse non fosser poitali da farci oggi inarcare per istupore le ciglia. I ponte-fici del X secolo, come non furon per la più parte digrande ornamento alla Chiesa colle loro virtù, così noncurarono comunemente di accrescere ai tempj nuovo de-coro. Solo in qualche Cronaca leggiam del papa Formo-so che rinnovò le pitture della basilica di s. Pietro (Rico-bald. Chronol. Script. rer. ital. vol. 9 p. 237).

III. Non furon però soli i romani ponteficiche in tal modo promovessero e fomentas-sero quanto era possibile, le belle arti. DiPaolo vescovo di Napoli verso il fine del

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Altri somi-glianti la-vori in altri parti d'Ita-lia.

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VIII secolo racconta Giovanni diacono di quella chiesa,che ornò di pitture una torre ch'era innanzi alla chiesadell'apostolo S. Pietro (Vit. Episc. Neap. script. rer. ital.t. 1, pars 2, p. 312). E somigliantemente parlando delvescovo s. Atanasio nel sec. IX da noi già rammentatoaltre volte, annovera molte pitture di cui avea vagamen-te ornate più chiese (ib. p. 316). Nella Cronaca del mo-nastero di Farfa si fa menzion di tre monaci che insiemecol loro abate Giovanni verso la fine del X secolo, poi-chè ebbero riedificata una chiesa, la fecero e dentro efuori abbellir di pitture (Script. rer. ital. t. 2, pars 2, p.482). I monaci di Monte Casino ne aveano dato lorol'esempio; perciocchè dopo avere nel IX sec. rifabbrica-ta con singolare magnificenza la loro chiesa (Leoostiens. l. 1, c. 17), verso la metà del secol seguente neornaron per ogni parte di pitture le mura; e innanziall'altare di s. Benedetto stesero un pavimento a marmidi varj colori (ib. l. 2, c. 3). E io credo certo che, seavessimo scrittori di queste età e maggiori in numero, epiù esatti ne' loro racconti, assai più esempj ancora dicotai lavori si potrebbon recare (2). Ma questi bastano,

2 Molte più distinte notizie intorno alle pitture, alle sculture, e agli edificjdelle due Sicilie, non solo in questo secolo, ma anche nella precedenteepoca del regno de' Longobardi, ci ha date il ch. sig. Pietro Napoli Signo-relli (Vicende della Coltura nelle due Sicilie t. 2, p. 68, ec., 110. ec., 123.ec.), il quale pure dimostra che non v'ha ragione a provare ch'esse fosseroopera di greci artisti. Egli ancora osserva che, benchè i primi anni del re-gno degli Arabi in quelle provincie riuscisser loro funesti per le grandistragi che vi si fecero, poichè essi nondimeno vi ebber tranquillo dominio,diedero splendide pruove della loro magnificienza singolarmente nelle fab-briche; e descrive alcuni grandi edificj che ancor ne sussistono in Sicilia. E

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VIII secolo racconta Giovanni diacono di quella chiesa,che ornò di pitture una torre ch'era innanzi alla chiesadell'apostolo S. Pietro (Vit. Episc. Neap. script. rer. ital.t. 1, pars 2, p. 312). E somigliantemente parlando delvescovo s. Atanasio nel sec. IX da noi già rammentatoaltre volte, annovera molte pitture di cui avea vagamen-te ornate più chiese (ib. p. 316). Nella Cronaca del mo-nastero di Farfa si fa menzion di tre monaci che insiemecol loro abate Giovanni verso la fine del X secolo, poi-chè ebbero riedificata una chiesa, la fecero e dentro efuori abbellir di pitture (Script. rer. ital. t. 2, pars 2, p.482). I monaci di Monte Casino ne aveano dato lorol'esempio; perciocchè dopo avere nel IX sec. rifabbrica-ta con singolare magnificenza la loro chiesa (Leoostiens. l. 1, c. 17), verso la metà del secol seguente neornaron per ogni parte di pitture le mura; e innanziall'altare di s. Benedetto stesero un pavimento a marmidi varj colori (ib. l. 2, c. 3). E io credo certo che, seavessimo scrittori di queste età e maggiori in numero, epiù esatti ne' loro racconti, assai più esempj ancora dicotai lavori si potrebbon recare (2). Ma questi bastano,

2 Molte più distinte notizie intorno alle pitture, alle sculture, e agli edificjdelle due Sicilie, non solo in questo secolo, ma anche nella precedenteepoca del regno de' Longobardi, ci ha date il ch. sig. Pietro Napoli Signo-relli (Vicende della Coltura nelle due Sicilie t. 2, p. 68, ec., 110. ec., 123.ec.), il quale pure dimostra che non v'ha ragione a provare ch'esse fosseroopera di greci artisti. Egli ancora osserva che, benchè i primi anni del re-gno degli Arabi in quelle provincie riuscisser loro funesti per le grandistragi che vi si fecero, poichè essi nondimeno vi ebber tranquillo dominio,diedero splendide pruove della loro magnificienza singolarmente nelle fab-briche; e descrive alcuni grandi edificj che ancor ne sussistono in Sicilia. E

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s'io non erro, per dimostrarci che le arti, e la pittura sin-golarmente, coltivavansi in qualche modo anche in que-sti sì infelici e sì rozzi secoli. Anzi il ch. Muratori oltrepiù altri esempi di musaici in questi secoli lavorati haancor pubblicato (Antiq. Ital. vol. 2, p. 366) un bel mo-numento della biblioteca capitolare di Lucca scritto cir-ca 900 anni addietro, in cui si contengono diverse ma-niere per dipingere i musaici, per colorire i metalli e peraltri somiglianti lavori, i quali perciò convien credereche anche allora fossero e frequenti e pregiati. Che poinon si possa con alcun fondamento asserire che gli arte-fici fossero comunemente greci, oltre ciò che già dettone abbiamo nel precedente libro, farassi ancora più chia-ro da ciò che avremo a dirne nel libro seguente.

certo molti monumenti che ci sono rimasti degli Arabi, e le loro moneteconiate in Sicilia, alcune lapide che se ne son trovate in Pozzuoli, le meda-glie e i cammei che in alcune gallerie se ne veggono, ci mostrano chiara-mente che non eran già essi sì rozzi e sì barbari, come dal volgo credesicomunemente. Ma degli studj e delle arti degli Arabi tanto ha già scritto ilvaloroso sig. ab. Andres nel primo tomo della sua opera dell'Origine, ec. ditutte le Scienze che appena potremmo dir cosa che già da lui non fosse det-ta.

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s'io non erro, per dimostrarci che le arti, e la pittura sin-golarmente, coltivavansi in qualche modo anche in que-sti sì infelici e sì rozzi secoli. Anzi il ch. Muratori oltrepiù altri esempi di musaici in questi secoli lavorati haancor pubblicato (Antiq. Ital. vol. 2, p. 366) un bel mo-numento della biblioteca capitolare di Lucca scritto cir-ca 900 anni addietro, in cui si contengono diverse ma-niere per dipingere i musaici, per colorire i metalli e peraltri somiglianti lavori, i quali perciò convien credereche anche allora fossero e frequenti e pregiati. Che poinon si possa con alcun fondamento asserire che gli arte-fici fossero comunemente greci, oltre ciò che già dettone abbiamo nel precedente libro, farassi ancora più chia-ro da ciò che avremo a dirne nel libro seguente.

certo molti monumenti che ci sono rimasti degli Arabi, e le loro moneteconiate in Sicilia, alcune lapide che se ne son trovate in Pozzuoli, le meda-glie e i cammei che in alcune gallerie se ne veggono, ci mostrano chiara-mente che non eran già essi sì rozzi e sì barbari, come dal volgo credesicomunemente. Ma degli studj e delle arti degli Arabi tanto ha già scritto ilvaloroso sig. ab. Andres nel primo tomo della sua opera dell'Origine, ec. ditutte le Scienze che appena potremmo dir cosa che già da lui non fosse det-ta.

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LIBRO IV.Storia della Letteratura Italiana dalla morte

di Ottone III fino alla pace di Costanza.

Il regno de' tre Ottoni, con cui abbiam chiusa l'epocaprecedente, era stato comunemente per la tranquillità de'tempi e per le virtù de' sovrani felice all'Italia; alla qualenon altro omai sembrava mancare, se non che avesse taiprincipi che facendo in queste provincie stabil dimorapensassero seriamente a ristorarla de' gravissimi passatidanni, e a ricondurla all'antico suo fiorentissimo stato.Ella forse già cominciava a sperarlo; ma ben presto siavvide che non era questo che un breve intervallo frap-posto alle sue sventure; e trovossi fra non molto sepoltain un sì profondo abisso di mali, che per più secoli ellafu oggetto di terrore insieme e di compassione a' suoi vi-cini, e perfino a' suoi nimici medesimi. Scosso a poco apoco ogni freno di soggezione, ella non ebbe mai a sof-frire servitù sì crudele, come allor quando lusingossid'essere libera. Le contese tra i pretendenti al regno, e lefuneste discordie tra il sacerdozio e l'impero, le fazioni ele guerre perciò insorte di città e di cittadini gli uni con-tro gli altri, e quelli che di sì infelici cagioni soglionoessere effetti ancor più infelici, le carestie, le pestilenze,le stragi, le rovine, gl'incendj la condussero a si orribiledesolazione, che le fecer desiderare i tempi de' Goti ede' Longobardi. Questa è l'idea de' tempi de' quali dob-

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LIBRO IV.Storia della Letteratura Italiana dalla morte

di Ottone III fino alla pace di Costanza.

Il regno de' tre Ottoni, con cui abbiam chiusa l'epocaprecedente, era stato comunemente per la tranquillità de'tempi e per le virtù de' sovrani felice all'Italia; alla qualenon altro omai sembrava mancare, se non che avesse taiprincipi che facendo in queste provincie stabil dimorapensassero seriamente a ristorarla de' gravissimi passatidanni, e a ricondurla all'antico suo fiorentissimo stato.Ella forse già cominciava a sperarlo; ma ben presto siavvide che non era questo che un breve intervallo frap-posto alle sue sventure; e trovossi fra non molto sepoltain un sì profondo abisso di mali, che per più secoli ellafu oggetto di terrore insieme e di compassione a' suoi vi-cini, e perfino a' suoi nimici medesimi. Scosso a poco apoco ogni freno di soggezione, ella non ebbe mai a sof-frire servitù sì crudele, come allor quando lusingossid'essere libera. Le contese tra i pretendenti al regno, e lefuneste discordie tra il sacerdozio e l'impero, le fazioni ele guerre perciò insorte di città e di cittadini gli uni con-tro gli altri, e quelli che di sì infelici cagioni soglionoessere effetti ancor più infelici, le carestie, le pestilenze,le stragi, le rovine, gl'incendj la condussero a si orribiledesolazione, che le fecer desiderare i tempi de' Goti ede' Longobardi. Questa è l'idea de' tempi de' quali dob-

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biamo or cominciare a tenere ragionamento; tempi trop-po calamitosi, perchè sperar si potesse di veder risorgerl'italiana letteratura; ma tempi nondimeno, in cui la ve-dremo far qualche sforzo per rialzarsi dall'oppressionein cui si giaceva. I quali sforzi, se non ebbero alloratroppo felice successo, giovaron però a scuoterla inqualche modo e a ravvivarla, sicchè poscia al cessare disì funeste calamità essa tornasse, benchè a passi assailenti, al suo antico splendore. Ma questi lieti tempi ci simostrano ancor da lungi; e dobbiamo avvolgerci lunga-mente fra tenebre e fra orrori prima di veder risorgereuna chiara e luminosa aurora.

CAPO I.Idea generale dello stato civile, e letterario d'Italia in

quest'epoca.

I. Morto l'an. 1002 il giovane Ottone III, ivescovi, i principi e i signori d'Italia, cheprofittando della lunga assenza de' lor so-vrani si eran fatti potenti assai, e poco menoche arbitri e signori delle loro provincie,elessero a loro re Arduino marchese d'Ivrea.Ma Arrigo duca di Baviera, eletto re di Ger-

mania, e poscia imperadore I, di questo nome, volendoritenere ancora, come i suoi predecessori, il dominiod'Italia, gli mosse guerra. Arduino, benchè costretto acedere al troppo potente avversario, più volte nondime-

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Arduino eletto re d'Italia e poscia spo-gliato del regno da Arrigo I, imperatore.

biamo or cominciare a tenere ragionamento; tempi trop-po calamitosi, perchè sperar si potesse di veder risorgerl'italiana letteratura; ma tempi nondimeno, in cui la ve-dremo far qualche sforzo per rialzarsi dall'oppressionein cui si giaceva. I quali sforzi, se non ebbero alloratroppo felice successo, giovaron però a scuoterla inqualche modo e a ravvivarla, sicchè poscia al cessare disì funeste calamità essa tornasse, benchè a passi assailenti, al suo antico splendore. Ma questi lieti tempi ci simostrano ancor da lungi; e dobbiamo avvolgerci lunga-mente fra tenebre e fra orrori prima di veder risorgereuna chiara e luminosa aurora.

CAPO I.Idea generale dello stato civile, e letterario d'Italia in

quest'epoca.

I. Morto l'an. 1002 il giovane Ottone III, ivescovi, i principi e i signori d'Italia, cheprofittando della lunga assenza de' lor so-vrani si eran fatti potenti assai, e poco menoche arbitri e signori delle loro provincie,elessero a loro re Arduino marchese d'Ivrea.Ma Arrigo duca di Baviera, eletto re di Ger-

mania, e poscia imperadore I, di questo nome, volendoritenere ancora, come i suoi predecessori, il dominiod'Italia, gli mosse guerra. Arduino, benchè costretto acedere al troppo potente avversario, più volte nondime-

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Arduino eletto re d'Italia e poscia spo-gliato del regno da Arrigo I, imperatore.

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no ripigliò le armi, e non cessò di dar molestia ad Arrigofino all'an. 1015 in cui deposta la corona, e ritiratosi inun monastero vi finì i suoi giorni. Questa guerra, comeosserva il ch. Muratori (Ann. d'Ital. ad an. 1013), diedeorigine a due novità finallor non vedute in Italia, e chele furon poscia sommamente fatali, cioè in primo luogoalle guerre tra le une e le altre città, che in questa occa-sione ebber principio, essendo alcune di esse favorevoliad Arrigo, altre ad Arduino e innoltre alla facilità concui cominciarono gl'Italiani a prender da se medesimi learmi, quando e per qualunque motivo loro piacesse; dache poscia ne vennero e le guerre civili tra loro stessi, ele frequenti sollevazioni contro de' lor sovrani, che adogni passo troviam nelle storie di questi tempi.

II. Dopo la morte di Arduino niun altro ri-vale disputò ad Arrigo il regno d'Italia. Mapoichè egli ancora fu morto l'an. 1024 iprincipi italiani pensarono di chiamare a lorsignore alcuno de' principi della Francia, e

fissarono gli occhi singolarmente in Guglielmo duca diAquitania. Il trattato però non si condusse a fine, e men-tre gl'Italiani eran tra lor discordi nell'elezione del nuo-vo sovrano, Eriberto arcivescovo di Milano recatosi aCorrado il salico, ch'era stato eletto re di Germania, gliofferse la corona d'Italia. Corrado accettolla, e scese inItalia a riceverla. Ma le difficoltà e le resistenze ch'eglitrovò in Pavia e nella Toscana, le sedizioni che alla sua

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Regno di Corrado il salico, e Arrigo II.

no ripigliò le armi, e non cessò di dar molestia ad Arrigofino all'an. 1015 in cui deposta la corona, e ritiratosi inun monastero vi finì i suoi giorni. Questa guerra, comeosserva il ch. Muratori (Ann. d'Ital. ad an. 1013), diedeorigine a due novità finallor non vedute in Italia, e chele furon poscia sommamente fatali, cioè in primo luogoalle guerre tra le une e le altre città, che in questa occa-sione ebber principio, essendo alcune di esse favorevoliad Arrigo, altre ad Arduino e innoltre alla facilità concui cominciarono gl'Italiani a prender da se medesimi learmi, quando e per qualunque motivo loro piacesse; dache poscia ne vennero e le guerre civili tra loro stessi, ele frequenti sollevazioni contro de' lor sovrani, che adogni passo troviam nelle storie di questi tempi.

II. Dopo la morte di Arduino niun altro ri-vale disputò ad Arrigo il regno d'Italia. Mapoichè egli ancora fu morto l'an. 1024 iprincipi italiani pensarono di chiamare a lorsignore alcuno de' principi della Francia, e

fissarono gli occhi singolarmente in Guglielmo duca diAquitania. Il trattato però non si condusse a fine, e men-tre gl'Italiani eran tra lor discordi nell'elezione del nuo-vo sovrano, Eriberto arcivescovo di Milano recatosi aCorrado il salico, ch'era stato eletto re di Germania, gliofferse la corona d'Italia. Corrado accettolla, e scese inItalia a riceverla. Ma le difficoltà e le resistenze ch'eglitrovò in Pavia e nella Toscana, le sedizioni che alla sua

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Regno di Corrado il salico, e Arrigo II.

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venuta si eccitarono in Ravenna e in Roma, la ribelliondi Milano e di altre città di Lombardia, non gli permise-ro di goder della corona con una tranquillità uguale aquella con cui aveala ricevuta. Arrigo II suo figlio chel'an. 1039 gli succedette ne' regni di Germania e d'Italia,e che l'an. 1046 ebbe in Roma la corona imperiale, nonincontrò nè ostacolo nè ribellione in alcuna città d'Italia;e se mostrossi geloso del potere e della magnificenza diBonifacio marchese di Toscana, e padre della celebrecontessa Matilde (3), questi seppe contenersi per modo,che fece conoscere ad Arrigo ch'ei non avrebbe abusatodelle sue forze, se non vi fosse costretto. A' tempi peròdi questo imperadore ebber principio in Milano le guer-re civili fra la nobiltà e la plebe, da cui quella città fuper molti anni desolata miseramente (V. Hist. Mediol.ad an. 1041). A queste dissensioni si aggiunsero nonmolto dopo le altre non meno funeste nella stessa cittàcagionate dalla simonia e dalla incontinenza del clero,che poscia si accesero ancora in altre città d'Italia, e fu-ron origine di odj, di rivalità, di uccisioni continue. Ioaccenno in breve tai cose solo per ricordare l'infelicissi-mo stato in cui era a questi tempi l'Italia; ove però non èmaraviglia che a tutt'altro si rivolgesse il pensiero che ascienze e ad arti.

3 La celebre contessa Matilde dovrebbe aver luogo ancora tra le principessecoltivatrici e fomentatrici de' buoni studj, se pur basta ad accertarcenel'autorità di Benvenuto da Imola, che nel suo Comento su Dante pubblica-to dal Muratori di lei parlando dice: Fuit etiam literata, et magnam libro-rum habuit copiam (Antiq. Ital. t. 1, p. 1232).

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venuta si eccitarono in Ravenna e in Roma, la ribelliondi Milano e di altre città di Lombardia, non gli permise-ro di goder della corona con una tranquillità uguale aquella con cui aveala ricevuta. Arrigo II suo figlio chel'an. 1039 gli succedette ne' regni di Germania e d'Italia,e che l'an. 1046 ebbe in Roma la corona imperiale, nonincontrò nè ostacolo nè ribellione in alcuna città d'Italia;e se mostrossi geloso del potere e della magnificenza diBonifacio marchese di Toscana, e padre della celebrecontessa Matilde (3), questi seppe contenersi per modo,che fece conoscere ad Arrigo ch'ei non avrebbe abusatodelle sue forze, se non vi fosse costretto. A' tempi peròdi questo imperadore ebber principio in Milano le guer-re civili fra la nobiltà e la plebe, da cui quella città fuper molti anni desolata miseramente (V. Hist. Mediol.ad an. 1041). A queste dissensioni si aggiunsero nonmolto dopo le altre non meno funeste nella stessa cittàcagionate dalla simonia e dalla incontinenza del clero,che poscia si accesero ancora in altre città d'Italia, e fu-ron origine di odj, di rivalità, di uccisioni continue. Ioaccenno in breve tai cose solo per ricordare l'infelicissi-mo stato in cui era a questi tempi l'Italia; ove però non èmaraviglia che a tutt'altro si rivolgesse il pensiero che ascienze e ad arti.

3 La celebre contessa Matilde dovrebbe aver luogo ancora tra le principessecoltivatrici e fomentatrici de' buoni studj, se pur basta ad accertarcenel'autorità di Benvenuto da Imola, che nel suo Comento su Dante pubblica-to dal Muratori di lei parlando dice: Fuit etiam literata, et magnam libro-rum habuit copiam (Antiq. Ital. t. 1, p. 1232).

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III. E nondimeno questi non furono, percosì dire che i principj delle sciagure di que-sti secoli. Arrigo II, morto l'an. 1056, ebbeper successore il suo figlio Arrigo III, fan-ciullo allor di sei anni, che resse l'imperofino all'an. 1106; spazio di tempo nelle no-stre storie troppo famoso per le fatali e fu-nestissime dissensioni da cui fu sconvolta la

Germania non men che l'Italia. Al nominare Arrigo IIIognuno ricorda tosto i pontefici Alessandro II, GregorioVII, Vittore III, Urbano II, e Pasquale II che resser laChiesa, mentr'ei reggea l'impero, e ricorda la questionedelle investiture, che fu la principale cagione delle di-scordie ch'essi ebbero con Arrigo. Io guarderommidall'entrar qui o in racconti, o in discussioni che nullaappartengono al mio argomento, e più ancor guarderom-mi dal seguir l'esempio di alcuni tra' moderni scrittoriche non avendo per avventura nè sapere nè senno ba-stante a decidere una lite di pochi denari, ardiscono non-dimeno di chiamare al lor tribunale papi e monarchi, eseggon giudici tra 'l sacerdozio e l'impero. Copriam diun velo oggetti così funesti, e facciam voti e preghiereperchè non mai si rinnovino. Solo voglionsi accennare igravissimi danni che per tali discordie ebbe a soffrirel'Italia, perchè s'intenda quanto infelice ne fosse alloralo stato, e quanto contrario al risorgimento dell'arti e de-gli studj. Gli scismi non furon mai sì frequenti, e vidersiquasi sempre usurpatori della dignità pontificia conten-der con quelli che legittimamente n'erano rivestiti; Ca-

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Stato infeli-ce dell'Ita-lia nelle di-scordie tra 'l sacerdo-zio e l'impero a' tempi di Arrigo III.

III. E nondimeno questi non furono, percosì dire che i principj delle sciagure di que-sti secoli. Arrigo II, morto l'an. 1056, ebbeper successore il suo figlio Arrigo III, fan-ciullo allor di sei anni, che resse l'imperofino all'an. 1106; spazio di tempo nelle no-stre storie troppo famoso per le fatali e fu-nestissime dissensioni da cui fu sconvolta la

Germania non men che l'Italia. Al nominare Arrigo IIIognuno ricorda tosto i pontefici Alessandro II, GregorioVII, Vittore III, Urbano II, e Pasquale II che resser laChiesa, mentr'ei reggea l'impero, e ricorda la questionedelle investiture, che fu la principale cagione delle di-scordie ch'essi ebbero con Arrigo. Io guarderommidall'entrar qui o in racconti, o in discussioni che nullaappartengono al mio argomento, e più ancor guarderom-mi dal seguir l'esempio di alcuni tra' moderni scrittoriche non avendo per avventura nè sapere nè senno ba-stante a decidere una lite di pochi denari, ardiscono non-dimeno di chiamare al lor tribunale papi e monarchi, eseggon giudici tra 'l sacerdozio e l'impero. Copriam diun velo oggetti così funesti, e facciam voti e preghiereperchè non mai si rinnovino. Solo voglionsi accennare igravissimi danni che per tali discordie ebbe a soffrirel'Italia, perchè s'intenda quanto infelice ne fosse alloralo stato, e quanto contrario al risorgimento dell'arti e de-gli studj. Gli scismi non furon mai sì frequenti, e vidersiquasi sempre usurpatori della dignità pontificia conten-der con quelli che legittimamente n'erano rivestiti; Ca-

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Stato infeli-ce dell'Ita-lia nelle di-scordie tra 'l sacerdo-zio e l'impero a' tempi di Arrigo III.

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daloo contro Alessandro II, Guiberto contro GregorioVII, e gli altri pontefici che gli venner dopo fino a Pa-squale, a' cui tempi morto Guiberto l'an. 1100, tre altri sividero disputare allo stesso Pasquale il trono pontificio.Al medesimo tempo le discordie di Arrigo co' romanipontefici furon cagione che prima Rodolfo duca di Sve-via, poscia la contessa Matilde in Italia, e finalmente ilsuo figliuolo medesimo Arrigo contro di lui si volgesse-ro per privarlo del regno. Quindi turbolenze e sedizionie guerre continue. Le città d'Italia e i loro vescovi e si-gnori, altri favorevoli a' papi, altri ad Arrigo, e perciòarmati gli uni contro gli altri, e sempre intenti o a difen-dersi contro i vicini nimici, o ad assalirli e spesso ancorale città stesse internamente divise in due contrarj partitifomentati innoltre ed innaspriti vieppiù dalle animosediscordie cagionate, come, si è detto, dalla incontinenzae dalla simonia del clero. Chi può spiegare qual fosse inmezzo a tanti disordini lo sconvolgimento, l'agitazione,il tumulto della misera e sì travagliata Italia?

IV. La morte di Arrigo III, avvenuta, comeabbiam detto, l'an. 1106, sembrò recarequalche speranza di tranquillità e di pace.Ma poichè Arrigo di lui figliuolo, IV tragl'imperatori, e V tra' re di Germania scese

in Italia l'an. 1110, non solo infierì colle rovine ecogl'incendj contro varie città e castella che nol voleanoriconoscere, ma giunto a Roma, venne ad aperta discor-

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Continuanole calamitàe le guerrecivili sottoArrigo IV.

daloo contro Alessandro II, Guiberto contro GregorioVII, e gli altri pontefici che gli venner dopo fino a Pa-squale, a' cui tempi morto Guiberto l'an. 1100, tre altri sividero disputare allo stesso Pasquale il trono pontificio.Al medesimo tempo le discordie di Arrigo co' romanipontefici furon cagione che prima Rodolfo duca di Sve-via, poscia la contessa Matilde in Italia, e finalmente ilsuo figliuolo medesimo Arrigo contro di lui si volgesse-ro per privarlo del regno. Quindi turbolenze e sedizionie guerre continue. Le città d'Italia e i loro vescovi e si-gnori, altri favorevoli a' papi, altri ad Arrigo, e perciòarmati gli uni contro gli altri, e sempre intenti o a difen-dersi contro i vicini nimici, o ad assalirli e spesso ancorale città stesse internamente divise in due contrarj partitifomentati innoltre ed innaspriti vieppiù dalle animosediscordie cagionate, come, si è detto, dalla incontinenzae dalla simonia del clero. Chi può spiegare qual fosse inmezzo a tanti disordini lo sconvolgimento, l'agitazione,il tumulto della misera e sì travagliata Italia?

IV. La morte di Arrigo III, avvenuta, comeabbiam detto, l'an. 1106, sembrò recarequalche speranza di tranquillità e di pace.Ma poichè Arrigo di lui figliuolo, IV tragl'imperatori, e V tra' re di Germania scese

in Italia l'an. 1110, non solo infierì colle rovine ecogl'incendj contro varie città e castella che nol voleanoriconoscere, ma giunto a Roma, venne ad aperta discor-

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Continuanole calamitàe le guerrecivili sottoArrigo IV.

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dia col pontef. Pasquale II che da lui fu fatto prigione.Riconciliatosi poscia con lui, e ricevutane la corona im-periale, pochi anni dopo venne con lui a nuova guerra; emorto Pasquale l'an. 1118 ed eletto a succedergli Gela-sio II, Arrigo oppose a lui, e poscia a Callisto II che l'an.1119 eragli succeduto, un nuovo antipapa in MaurizioBurdino arcivescovo di Braga; finchè l'an. 1122 stabili-tasi con un solenne trattato la pace fra Arrigo e Callisto,videsi finalmente estinta la gran contesa delle investitu-re, e insieme riconciliati il sacerdozio e l'impero. Ma lecittà d'Italia frattanto avvezze già da più anni ad averl'armi in mano, e a seguir qual partito lor più piacesse,continuarono a nudrire l'una contro dell'altra odj e nimi-cizie mortali, che spesso finivano col totale eccidio ordell'une, or dell'altre. E celebre singolarmente fu a que-sti tempi la guerra tra Milano e Como, che, cominciatal'an. 1118, non ebbe fine che l'anno 1127, quando la se-conda città fu costretta a soggettarsi alla sua troppo po-tente rivale. Cotali guerre furon poscia in avvenire cosìfrequenti, che per lo spazio di oltre a tre secoli in altroquasi non veggiamo occupate le città italiane, che incombattersi e in distruggersi l'une le altre.

V. Mentre tale era lo stato di quella parted'Italia, che dipendeva dagl'imperadori, ementre quella che ubbidiva a' romanipontefici, era essa ancor travagliata dagliscismi e dalle discordie sopraccennate,

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Nel tempo stes-so i Normanni invadono e oc-cupano i regni di Napoli e di Sicilia.

dia col pontef. Pasquale II che da lui fu fatto prigione.Riconciliatosi poscia con lui, e ricevutane la corona im-periale, pochi anni dopo venne con lui a nuova guerra; emorto Pasquale l'an. 1118 ed eletto a succedergli Gela-sio II, Arrigo oppose a lui, e poscia a Callisto II che l'an.1119 eragli succeduto, un nuovo antipapa in MaurizioBurdino arcivescovo di Braga; finchè l'an. 1122 stabili-tasi con un solenne trattato la pace fra Arrigo e Callisto,videsi finalmente estinta la gran contesa delle investitu-re, e insieme riconciliati il sacerdozio e l'impero. Ma lecittà d'Italia frattanto avvezze già da più anni ad averl'armi in mano, e a seguir qual partito lor più piacesse,continuarono a nudrire l'una contro dell'altra odj e nimi-cizie mortali, che spesso finivano col totale eccidio ordell'une, or dell'altre. E celebre singolarmente fu a que-sti tempi la guerra tra Milano e Como, che, cominciatal'an. 1118, non ebbe fine che l'anno 1127, quando la se-conda città fu costretta a soggettarsi alla sua troppo po-tente rivale. Cotali guerre furon poscia in avvenire cosìfrequenti, che per lo spazio di oltre a tre secoli in altroquasi non veggiamo occupate le città italiane, che incombattersi e in distruggersi l'une le altre.

V. Mentre tale era lo stato di quella parted'Italia, che dipendeva dagl'imperadori, ementre quella che ubbidiva a' romanipontefici, era essa ancor travagliata dagliscismi e dalle discordie sopraccennate,

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Nel tempo stes-so i Normanni invadono e oc-cupano i regni di Napoli e di Sicilia.

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nulla meno infelice era la condizione de' principati diBenevento, di Capova, di Salerno e di altre provincieche or formano il regno di Napoli. Erano già più anniche i Greci, i Saracini e i Longobardi vi guerreggiavantra loro. Quando i Normanni, popoli settentrionali chedopo aver corse in addietro molte provincie, si eranostabiliti in quella parte di Francia, che dal lor nome fuappellata Normandia, chiamati a combattere i Greci l'an.1017, cominciarono ad occupare alcune di quelle città, equindi guerreggiando or cogli uni, or cogli altri de' si-gnori di quelle provincie, e passando ancora nella vicinaSicilia, dopo varie vicende ottennero sì ampio stato, evennero in sì grande potere, che l'an. 1130 Ruggieri, es-sendo signore della maggior parte di quelle ampie pro-vincie, prese il titolo di re di Sicilia, e gli antichi padronicostretti furono quai prima, quai poscia a cedere i lorostati a' nuovi conquistatori, e ad abbandonarli intera-mente. Io non fo che accennare brevissimamente taicose che non hanno alcuna relazione coll'italiana lettera-tura; e solo non si debbono ommettere interamente peraver qualche idea dello stato in cui era di questi tempil'Italia. Ma ritorniamo alla serie degl'imperadori.

VI. Morto l'an. 1125 l'imp. Arrigo IV sen-za lasciar alcun figlio che gli potesse suc-cedere, fu eletto a re di Germania e d'ItaliaLottario duca di Sassonia, III fra i re d'Ita-lia, e II fra gl'imperadori di questo nome.

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Regno di Lottario III, di Corrado II, e di Fede-rigo I. Pace di Costanza.

nulla meno infelice era la condizione de' principati diBenevento, di Capova, di Salerno e di altre provincieche or formano il regno di Napoli. Erano già più anniche i Greci, i Saracini e i Longobardi vi guerreggiavantra loro. Quando i Normanni, popoli settentrionali chedopo aver corse in addietro molte provincie, si eranostabiliti in quella parte di Francia, che dal lor nome fuappellata Normandia, chiamati a combattere i Greci l'an.1017, cominciarono ad occupare alcune di quelle città, equindi guerreggiando or cogli uni, or cogli altri de' si-gnori di quelle provincie, e passando ancora nella vicinaSicilia, dopo varie vicende ottennero sì ampio stato, evennero in sì grande potere, che l'an. 1130 Ruggieri, es-sendo signore della maggior parte di quelle ampie pro-vincie, prese il titolo di re di Sicilia, e gli antichi padronicostretti furono quai prima, quai poscia a cedere i lorostati a' nuovi conquistatori, e ad abbandonarli intera-mente. Io non fo che accennare brevissimamente taicose che non hanno alcuna relazione coll'italiana lettera-tura; e solo non si debbono ommettere interamente peraver qualche idea dello stato in cui era di questi tempil'Italia. Ma ritorniamo alla serie degl'imperadori.

VI. Morto l'an. 1125 l'imp. Arrigo IV sen-za lasciar alcun figlio che gli potesse suc-cedere, fu eletto a re di Germania e d'ItaliaLottario duca di Sassonia, III fra i re d'Ita-lia, e II fra gl'imperadori di questo nome.

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Regno di Lottario III, di Corrado II, e di Fede-rigo I. Pace di Costanza.

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Principe fornito di pietà, di valore, di prudenza non or-dinaria, e di tutte in somma quelle virtù che rendono unsovrano adorabile a' suoi sudditi, dovette nondimeno perle circostanze de' tempi mostrarsi rigoroso e severo con-tro molte delle città italiane, che seguendo il genio di li-bertà che già da lungo tempo erasi in esse introdotto, ri-cusato aveano di aprirgli le porte, e di riconoscerlo a lorsignore. Corrado fratello di Federigo duca di Svevia,che avea già inutilmente disputato a Lottario il regno diGermania e d'Italia, poichè questi fu morto l'an. 1137,gli fu dato a successore. Egli parve che si dimenticassedi avere in suo dominio l'Italia; ove perciò le guerre in-testine e civili si fecer sempre più aspre, e le città sem-pre più stabilironsi in quella indipendenza a cui già damolti anni eransi avvezzate. Federigo I soprannomatoBarbarossa, e figliuolo del già mentovato Federigo ducadi Svevia, e nipote perciò di Corrado, gli succedette l'an.1152, principe di magnanimi spiriti e di indole generosa,e che dovrebb'essere annoverato tra' più famosi sovrani,se la rea condizione de' tempi, il trasporto dell'impetuo-so suo sdegno, e lo scisma lungamente da lui fomentatoe sostenuto, non l'avesser condotto spesso a tai passi e atali risoluzioni, cui seguendo la natural sua rettitudineavrebb'egli stesso in altre circostanze disapprovato. Eglisi fissò in pensiero di voler ridurre al dovere le troppolibere e indipendenti città italiane; e alcune di esse, eMilano singolarmente, provarono i funesti effetti del suorisentimento. Ma ciò non ostante ei non potè condurread esecuzione il suo disegno. Le città lombarde insiem

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Principe fornito di pietà, di valore, di prudenza non or-dinaria, e di tutte in somma quelle virtù che rendono unsovrano adorabile a' suoi sudditi, dovette nondimeno perle circostanze de' tempi mostrarsi rigoroso e severo con-tro molte delle città italiane, che seguendo il genio di li-bertà che già da lungo tempo erasi in esse introdotto, ri-cusato aveano di aprirgli le porte, e di riconoscerlo a lorsignore. Corrado fratello di Federigo duca di Svevia,che avea già inutilmente disputato a Lottario il regno diGermania e d'Italia, poichè questi fu morto l'an. 1137,gli fu dato a successore. Egli parve che si dimenticassedi avere in suo dominio l'Italia; ove perciò le guerre in-testine e civili si fecer sempre più aspre, e le città sem-pre più stabilironsi in quella indipendenza a cui già damolti anni eransi avvezzate. Federigo I soprannomatoBarbarossa, e figliuolo del già mentovato Federigo ducadi Svevia, e nipote perciò di Corrado, gli succedette l'an.1152, principe di magnanimi spiriti e di indole generosa,e che dovrebb'essere annoverato tra' più famosi sovrani,se la rea condizione de' tempi, il trasporto dell'impetuo-so suo sdegno, e lo scisma lungamente da lui fomentatoe sostenuto, non l'avesser condotto spesso a tai passi e atali risoluzioni, cui seguendo la natural sua rettitudineavrebb'egli stesso in altre circostanze disapprovato. Eglisi fissò in pensiero di voler ridurre al dovere le troppolibere e indipendenti città italiane; e alcune di esse, eMilano singolarmente, provarono i funesti effetti del suorisentimento. Ma ciò non ostante ei non potè condurread esecuzione il suo disegno. Le città lombarde insiem

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collegate seppero sostenere e stancare per modo le po-tenti armate di Federigo, che questi fu finalmente co-stretto a capitolare con esse; e l'anno 1183 si stabilì latanto celebre pace di Costanza, per cui fu alle città ita-liane dipendenti dagl'imperadori confermata con cesareorescritto quella indipendenza che da essi consideravasiprima come ribellione e perfidia. Io non debbo parlarnepiù lungamente, poichè essa non ha relazione al mio ar-gomento. Oltre i trattatori del pubblico diritto, di essa hascritto colla consueta sua esattezza il ch. Muratori (An-tiq. Ital. med. aevi. diss. 48), e sopra essa abbiamo anco-ra la bell'opera del Carlini stampata in Verona nel 1763.A me basta riflettere che ciascheduna delle città d'Italiaprese in virtù di essa a reggersi a guisa di repubblica,senz'altra dipendenza dagl'imperadori, che quelladell'alto dominio, delle appellazioni, e di qualche altrodiritto; stato che sembrò loro dapprima il più lieto e feli-ce che potesse bramarsi, ma di cui non tardaron molto asentir gravi e funestissimi danni, come a suo luogo ve-dremo.

VII. L'idea che abbiam data finora dello sta-to in cui trovossi l'Italia ne' tempi che for-mano l'argomento di questo libro, basta afarci comprendere in quale condizione ebbea trovarsi l'italiana letteratura. In fatti come

e con quai mezzi poteva ella risorgere? Niunodegl'imperadori, de' quali abbiam ragionato, ebbe stabil

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Stato infeli-ce dell'Ita-lia riguardoalle lettere.

collegate seppero sostenere e stancare per modo le po-tenti armate di Federigo, che questi fu finalmente co-stretto a capitolare con esse; e l'anno 1183 si stabilì latanto celebre pace di Costanza, per cui fu alle città ita-liane dipendenti dagl'imperadori confermata con cesareorescritto quella indipendenza che da essi consideravasiprima come ribellione e perfidia. Io non debbo parlarnepiù lungamente, poichè essa non ha relazione al mio ar-gomento. Oltre i trattatori del pubblico diritto, di essa hascritto colla consueta sua esattezza il ch. Muratori (An-tiq. Ital. med. aevi. diss. 48), e sopra essa abbiamo anco-ra la bell'opera del Carlini stampata in Verona nel 1763.A me basta riflettere che ciascheduna delle città d'Italiaprese in virtù di essa a reggersi a guisa di repubblica,senz'altra dipendenza dagl'imperadori, che quelladell'alto dominio, delle appellazioni, e di qualche altrodiritto; stato che sembrò loro dapprima il più lieto e feli-ce che potesse bramarsi, ma di cui non tardaron molto asentir gravi e funestissimi danni, come a suo luogo ve-dremo.

VII. L'idea che abbiam data finora dello sta-to in cui trovossi l'Italia ne' tempi che for-mano l'argomento di questo libro, basta afarci comprendere in quale condizione ebbea trovarsi l'italiana letteratura. In fatti come

e con quai mezzi poteva ella risorgere? Niunodegl'imperadori, de' quali abbiam ragionato, ebbe stabil

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Stato infeli-ce dell'Ita-lia riguardoalle lettere.

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dimora in Italia; e quando essi vi scesero, vi si mostraro-no comunemente non già pacifici e liberali sovrani, maminacciosi conquistatori, e punitori severi delle ribellan-ti città. Il sol Federigo I è quegli da cui si legga che gliuomini dotti e le scienze avessero qualche onorevolecontrassegno di protezione e di stima. Ma noi ci riser-biamo a parlarne ove trattando della giurisprudenzaavremo a esaminare i principj della celebre università diBologna. Le città stesse e i cittadini divisi tra loro insanguinose fazioni a tutt'altro avean rivolti i pensieri chea lettere e a studj. Aggiungasi che in quest'epoca, cioè alfine dell'XI secolo, ebber principio le sì famose Crociateper la conquista di Terra Santa. Io non entrerò a cercarese esse fossero utili, ovver dannose alla società, nè en-trerò in alcuno di quegli esami di cui tanto si piacciono ifilosofi e i politici de' nostri giorni. Ma rifletterò sola-mente ch'esse alle lettere non recarono vantaggio alcu-no, ma anzi non leggier danno. Perciocchè i sovraniugualmente che i sudditi unicamente allora occupati diun tal pensiero non si curavan certo nè di promuoverenè di coltivare le scienze (4). Ciò non ostante da questa

4 Sembra ad alcuni che dalle Crociate molto vantaggio traesse l'italiana let-teratura. Ma esaminando la cosa attentamente, si vedrà forse che niunaparte ebbero nel renderla più fiorente e più colta. Il secolo delle Crociatefu singolarmente il XII, e quindi se esse avessero recato giovamento allelettere, in quel secolo principalmente e nel seguente se ne sarebbon vedutigli effetti. Or benchè non possa negarsi ch'essi non fossero meno infelicide' precedenti, nondimeno non si può in alcun modo affermare che seguis-se allora quella ben avventurata rivoluzione, che cambiò la faccia della let-teratura in Italia. Il primo frutto che se ne dovea raccogliere, era la notiziae l'uso de' codici greci che i Crocesegnati potevan portar seco dall'Oriente.

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dimora in Italia; e quando essi vi scesero, vi si mostraro-no comunemente non già pacifici e liberali sovrani, maminacciosi conquistatori, e punitori severi delle ribellan-ti città. Il sol Federigo I è quegli da cui si legga che gliuomini dotti e le scienze avessero qualche onorevolecontrassegno di protezione e di stima. Ma noi ci riser-biamo a parlarne ove trattando della giurisprudenzaavremo a esaminare i principj della celebre università diBologna. Le città stesse e i cittadini divisi tra loro insanguinose fazioni a tutt'altro avean rivolti i pensieri chea lettere e a studj. Aggiungasi che in quest'epoca, cioè alfine dell'XI secolo, ebber principio le sì famose Crociateper la conquista di Terra Santa. Io non entrerò a cercarese esse fossero utili, ovver dannose alla società, nè en-trerò in alcuno di quegli esami di cui tanto si piacciono ifilosofi e i politici de' nostri giorni. Ma rifletterò sola-mente ch'esse alle lettere non recarono vantaggio alcu-no, ma anzi non leggier danno. Perciocchè i sovraniugualmente che i sudditi unicamente allora occupati diun tal pensiero non si curavan certo nè di promuoverenè di coltivare le scienze (4). Ciò non ostante da questa

4 Sembra ad alcuni che dalle Crociate molto vantaggio traesse l'italiana let-teratura. Ma esaminando la cosa attentamente, si vedrà forse che niunaparte ebbero nel renderla più fiorente e più colta. Il secolo delle Crociatefu singolarmente il XII, e quindi se esse avessero recato giovamento allelettere, in quel secolo principalmente e nel seguente se ne sarebbon vedutigli effetti. Or benchè non possa negarsi ch'essi non fossero meno infelicide' precedenti, nondimeno non si può in alcun modo affermare che seguis-se allora quella ben avventurata rivoluzione, che cambiò la faccia della let-teratura in Italia. Il primo frutto che se ne dovea raccogliere, era la notiziae l'uso de' codici greci che i Crocesegnati potevan portar seco dall'Oriente.

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medesima sì infelice condizion dell'Italia io penso cheavesse origine una delle sue glorie maggiori, cioè il re-car ch'ella fece le scienze, singolarmente sacre, alle na-zioni straniere. Alcuni che sortito aveano dalla natura etalento e inclinazione agli studj, veggendo che le turbo-lenze della lor patria non permettevano il coltivarli nellepaterne lor case con quell'agio e con quel piacere ch'essiavrebbon voluto, si trasportaron ad altre provincie, edentrati in esse per farsi discepoli, vi divenner maestri.Noi avremo a vederlo più chiaramente nel capo seguen-te.

VIII. Alcuni de' romani pontefici, benchètravagliati continuamente da sinistre vicen-de, furon que' nondimeno che non dimenti-carono in questi tempi le scienze, e cheanzi si adoperarono, quanto fu loro possi-

bile, a ravvivarle. Così nel Sinodo tenuto in Roma daGregorio VII l'an. 1078 troviamo ordinato che tutti i ve-scovi facciano che nelle lor chiese vi abbia scuola di let-

E nondimeno fu così lungi l'Italia dall'arricchirsi allora di tali opere, che leversioni che nel secolo XIII si fecero degli autori greci, furon più soventeformate su le traduzioni arabiche, che sugli originali; indicio evidente chegrande era ancora in Italia la scarsezza de' greci codici, e che i Crocese-gnati non si eran molto curati di recarli seco dalle loro spedizioni. L'entu-siasmo per lo studio della lingua greca non si risvegliò in Italia che a' tem-pi del Petrarca e del Boccaccio, quando appena più parlavasi delle Crocia-te. Lo studio che nel sec. XII cominciò a fiorire principalmente tra noi, fuquel delle leggi, e in esso io non credo certo che parte alcuna avessero lespedizioni in Oriente. In somma io non trovo indicio di scienza alcuna cheper mezzo delle Crociate si possa dire risorta e coltivata fra noi.

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I romani pontefici nondimeno si studiano dipromuoverle.

medesima sì infelice condizion dell'Italia io penso cheavesse origine una delle sue glorie maggiori, cioè il re-car ch'ella fece le scienze, singolarmente sacre, alle na-zioni straniere. Alcuni che sortito aveano dalla natura etalento e inclinazione agli studj, veggendo che le turbo-lenze della lor patria non permettevano il coltivarli nellepaterne lor case con quell'agio e con quel piacere ch'essiavrebbon voluto, si trasportaron ad altre provincie, edentrati in esse per farsi discepoli, vi divenner maestri.Noi avremo a vederlo più chiaramente nel capo seguen-te.

VIII. Alcuni de' romani pontefici, benchètravagliati continuamente da sinistre vicen-de, furon que' nondimeno che non dimenti-carono in questi tempi le scienze, e cheanzi si adoperarono, quanto fu loro possi-

bile, a ravvivarle. Così nel Sinodo tenuto in Roma daGregorio VII l'an. 1078 troviamo ordinato che tutti i ve-scovi facciano che nelle lor chiese vi abbia scuola di let-

E nondimeno fu così lungi l'Italia dall'arricchirsi allora di tali opere, che leversioni che nel secolo XIII si fecero degli autori greci, furon più soventeformate su le traduzioni arabiche, che sugli originali; indicio evidente chegrande era ancora in Italia la scarsezza de' greci codici, e che i Crocese-gnati non si eran molto curati di recarli seco dalle loro spedizioni. L'entu-siasmo per lo studio della lingua greca non si risvegliò in Italia che a' tem-pi del Petrarca e del Boccaccio, quando appena più parlavasi delle Crocia-te. Lo studio che nel sec. XII cominciò a fiorire principalmente tra noi, fuquel delle leggi, e in esso io non credo certo che parte alcuna avessero lespedizioni in Oriente. In somma io non trovo indicio di scienza alcuna cheper mezzo delle Crociate si possa dire risorta e coltivata fra noi.

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I romani pontefici nondimeno si studiano dipromuoverle.

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tere (Concil. Collect. Harduin. t. 6, pars 1, p. 1580). Enel terzo Concilio generale lateranese, tenuto da Ales-sandro III l'an. 1179, non solo si ordina che i vescovi e isacerdoti debbano esser forniti di quella scienza che allor ministero e al lor carattere si conviene (ib. pars 1, p.1674); ma espressamente comandasi che, acciocchè ipoveri non rimangan privi di quel vantaggio che secoportan le lettere, in ogni chiesa cattedrale vi abbia unmaestro che tenga gratuitamente scuola a' cherici e adaltri scolari poveri, e che perciò qualche beneficio glivenga assegnato, di cui vivere onestamente; che se talcostume era stato in addietro in altre chiese, ovvero inaltri monasteri, di nuovo vi s'introduca; e che per la li-cenza di tenere scuola non si esiga prezzo da alcuno, nèsi vieti ad alcuno il tenerla quando egli abbiane avutal'approvazione, e sia creduto abile a tal impiego (ib. p.1680). Questi provvedimenti medesimi furon poscia in-seriti nel Corpo delle Leggi canoniche (Decret. l. 5 deMagistris), ove due altre leggi si veggono dello stessoAlessando III su questo argomento; cioè che non nellecattedrali soltanto, e in quelle chiese ove tal uso era giàintrodotto, ma in tutte, purchè avessero rendite e ciò ba-stanti, il vescovo insiem col capitolo dovessero eleggereun maestro che istruisse i cherici ed altri giovani ancoranella gramatica; e che innoltre nelle chiese metropolita-ne si eleggesse un teologo che istruisse il clero nellascienza della sacra Scrittura, e in tutto ciò che al reggi-mento dell'anime è necessario. Io rammento volentieriqueste sollecitudini de' romani pontefici di questa età

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tere (Concil. Collect. Harduin. t. 6, pars 1, p. 1580). Enel terzo Concilio generale lateranese, tenuto da Ales-sandro III l'an. 1179, non solo si ordina che i vescovi e isacerdoti debbano esser forniti di quella scienza che allor ministero e al lor carattere si conviene (ib. pars 1, p.1674); ma espressamente comandasi che, acciocchè ipoveri non rimangan privi di quel vantaggio che secoportan le lettere, in ogni chiesa cattedrale vi abbia unmaestro che tenga gratuitamente scuola a' cherici e adaltri scolari poveri, e che perciò qualche beneficio glivenga assegnato, di cui vivere onestamente; che se talcostume era stato in addietro in altre chiese, ovvero inaltri monasteri, di nuovo vi s'introduca; e che per la li-cenza di tenere scuola non si esiga prezzo da alcuno, nèsi vieti ad alcuno il tenerla quando egli abbiane avutal'approvazione, e sia creduto abile a tal impiego (ib. p.1680). Questi provvedimenti medesimi furon poscia in-seriti nel Corpo delle Leggi canoniche (Decret. l. 5 deMagistris), ove due altre leggi si veggono dello stessoAlessando III su questo argomento; cioè che non nellecattedrali soltanto, e in quelle chiese ove tal uso era giàintrodotto, ma in tutte, purchè avessero rendite e ciò ba-stanti, il vescovo insiem col capitolo dovessero eleggereun maestro che istruisse i cherici ed altri giovani ancoranella gramatica; e che innoltre nelle chiese metropolita-ne si eleggesse un teologo che istruisse il clero nellascienza della sacra Scrittura, e in tutto ciò che al reggi-mento dell'anime è necessario. Io rammento volentieriqueste sollecitudini de' romani pontefici di questa età

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nel dissipar l'ignoranza in cui giaceva l'Italia, o a dir me-glio il mondo tutto, perchè si vegga quanto ingiusto siail fanatismo di alcuni tra' moderni scrittori che ce li rap-presentano come uomini che invece di rimediare a' mali,onde era oppressa la Chiesa, gli inasprissero vie mag-giormente, com'essi dicono, colla loro ambizione. Seessi con animo men prevenuto prendessero a esaminarele cose, avrebbon a confessare, per tacer di altri punti iquali a questa mia opera punto non appartengono, che a'romani pontefici si dee in gran parte il non esser intera-mente perito in Italia ogni seme di buona letteratura, el'essersi in tal modo agevolata la strada al felice risorgi-mento delle scienze e delle arti.

IX. Egli è probabile che in molte chiese siconducessero ad effetto le sopraddette leg-gi del Concilio lateranese e di AlessandroIII. Ma egli è anche probabile che in moltecittà l'infelice condizione de' tempi ne so-

spendesse l'esecuzione. Certo per ciò che è della catte-dra teologica, noi vedremo che assai più tardi fu ellafondata nella chiesa metropolitana di Milano. Ma questanobilissima chiesa non era già ella priva di scuole, anzivi si coltivavan gli studj per modo, che appena ci sem-brerebbe credibile in questi secoli, se uno scrittore con-temporaneo non ce ne facesse fede. Landolfo il vecchio,scrittor milanese dell'XI secolo pubblicato dal Muratori(Script. rer. ital. t. 4), ci narra nella sua Storia (l. 2, c.

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Scuole eccle-siastiche di Milano assai fiorenti per quell'età.

nel dissipar l'ignoranza in cui giaceva l'Italia, o a dir me-glio il mondo tutto, perchè si vegga quanto ingiusto siail fanatismo di alcuni tra' moderni scrittori che ce li rap-presentano come uomini che invece di rimediare a' mali,onde era oppressa la Chiesa, gli inasprissero vie mag-giormente, com'essi dicono, colla loro ambizione. Seessi con animo men prevenuto prendessero a esaminarele cose, avrebbon a confessare, per tacer di altri punti iquali a questa mia opera punto non appartengono, che a'romani pontefici si dee in gran parte il non esser intera-mente perito in Italia ogni seme di buona letteratura, el'essersi in tal modo agevolata la strada al felice risorgi-mento delle scienze e delle arti.

IX. Egli è probabile che in molte chiese siconducessero ad effetto le sopraddette leg-gi del Concilio lateranese e di AlessandroIII. Ma egli è anche probabile che in moltecittà l'infelice condizione de' tempi ne so-

spendesse l'esecuzione. Certo per ciò che è della catte-dra teologica, noi vedremo che assai più tardi fu ellafondata nella chiesa metropolitana di Milano. Ma questanobilissima chiesa non era già ella priva di scuole, anzivi si coltivavan gli studj per modo, che appena ci sem-brerebbe credibile in questi secoli, se uno scrittore con-temporaneo non ce ne facesse fede. Landolfo il vecchio,scrittor milanese dell'XI secolo pubblicato dal Muratori(Script. rer. ital. t. 4), ci narra nella sua Storia (l. 2, c.

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Scuole eccle-siastiche di Milano assai fiorenti per quell'età.

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35), che nell'atrio interno di quel tempio metropolitanopresso alla porta settentrionale eranvi due scuole filoso-fiche, in cui i cherici della chiesa e della diocesi veniva-no in diverse scienze ammaestrati, che ai professori perantica istituzione dagli arcivescovi pagavasi annualmen-te il dovuto stipendio, e che gli arcivescovi stessi degna-vansi a quando a quando di onorare colla lor presenza lescuole medesime, e di esortare i maestri non meno chegli scolari all'adempimento de' lor doveri. Ma udiamo lestesse parole dello Storico: "In atrio interiori, quod erata latere portae respicientis ad Aquilonem, philosopho-rum scholae diversarum irtium peritiam habentium, ubiurbani et extranei clerici philosophiae doctrinis studioseimbuebantur, erant duae: in quibus, ut clerici, qui exer-citiis tradebantur, curiose docerentur, longa temporumordinatione, archiepiscoporum antecedentium stipendiisa camerariis illius archiepiscopi qui tum in tempore erat,annuatim aerum magistris donatis, ipse praesul multo-ries adveniens saeculi sullicitudines, a quibus gravaba-tur, a se depellebat, ac magistros et scholares in studiisadhortans, in palatiis sese demum recipiebat Ambrosia-nis". E certo non è piccola gloria di questa chiesa, che inun tempo in cui le scienze eran quasi interamente di-menticate, ella avesse nondimeno due professori di filo-sofia, i quali, se non facevano in essa nuove scoperte,serbassero almen la memoria di quelle, qualunque fosse-ro, cognizioni che dai lor maggiori aveano ricevute (5).5 L'uso delle scuole ecclesiastiche in tutte le chiese che avean capitolo, o

collegiata, provasi chiaramente dal titolo che fin da' tempi più antichi si

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35), che nell'atrio interno di quel tempio metropolitanopresso alla porta settentrionale eranvi due scuole filoso-fiche, in cui i cherici della chiesa e della diocesi veniva-no in diverse scienze ammaestrati, che ai professori perantica istituzione dagli arcivescovi pagavasi annualmen-te il dovuto stipendio, e che gli arcivescovi stessi degna-vansi a quando a quando di onorare colla lor presenza lescuole medesime, e di esortare i maestri non meno chegli scolari all'adempimento de' lor doveri. Ma udiamo lestesse parole dello Storico: "In atrio interiori, quod erata latere portae respicientis ad Aquilonem, philosopho-rum scholae diversarum irtium peritiam habentium, ubiurbani et extranei clerici philosophiae doctrinis studioseimbuebantur, erant duae: in quibus, ut clerici, qui exer-citiis tradebantur, curiose docerentur, longa temporumordinatione, archiepiscoporum antecedentium stipendiisa camerariis illius archiepiscopi qui tum in tempore erat,annuatim aerum magistris donatis, ipse praesul multo-ries adveniens saeculi sullicitudines, a quibus gravaba-tur, a se depellebat, ac magistros et scholares in studiisadhortans, in palatiis sese demum recipiebat Ambrosia-nis". E certo non è piccola gloria di questa chiesa, che inun tempo in cui le scienze eran quasi interamente di-menticate, ella avesse nondimeno due professori di filo-sofia, i quali, se non facevano in essa nuove scoperte,serbassero almen la memoria di quelle, qualunque fosse-ro, cognizioni che dai lor maggiori aveano ricevute (5).5 L'uso delle scuole ecclesiastiche in tutte le chiese che avean capitolo, o

collegiata, provasi chiaramente dal titolo che fin da' tempi più antichi si

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X. L'eruditiss. dottor Sassi che sì gran luceha recato alla storia letteraria della sua pa-tria, pensa che oltre le scuole ecclesiastichealtre ancor pubbliche ve ne avesse in Mila-no, i cui professori avessero dalla città me-desima un determinato stipendio (De studiis

mediol. c. 7). A provarlo egli adduce un passo di Lan-dolfo il giovane, detto ancor di s. Paolo, storico milane-se esso pure, e del XII secolo, il qual fa menzione di unArnaldo maestro in Milano: Cum presbytero Arnaldomagistro scholarum mediolanensis; o, come legge il Pu-ricelli, scholarum mediolanensium, e reca innoltre l'anti-ca Vita di s. Arialdo, da cui si raccoglie che anche nelladiocesi di Milano vi avea di tali maestri. Ma a dir vero,benchè non vi sia argomento a negare che altre pubbli-che scuole vi fossero oltre le ecclesiastiche, non parmiperò, che i due sopraccitati passi bastino a provarlo; per-ciocchè e le scuole della diocesi potevano essere quelleappunto delle chiese rurali, i cui parrochi, come più vol-te abbiamo osservato, dovean tenere scuola; e il preteArnaldo poteva essere un de' maestri della metropolita-na, il che si rende ancora più verisimile dallo stesso ca-rattere di sacerdote, ch'egli avea. Nè mi sembra chequelle parole scholarum mediolanensium abbiano quellaforza che pensa questo dotto scrittore, per inferirne chenon delle ecclesiastiche ivi si parli, ma di altre pubbli-

vede dato ad alcun de' canonici, e che in molte chiese tuttor si conserva,ove fra le dignità si annovera quella di magister scholarum, o scholasticus,o gymnasia, o magiscola.

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Se oltre queste altrepubbliche scuole fos-sero in Mi-lano.

X. L'eruditiss. dottor Sassi che sì gran luceha recato alla storia letteraria della sua pa-tria, pensa che oltre le scuole ecclesiastichealtre ancor pubbliche ve ne avesse in Mila-no, i cui professori avessero dalla città me-desima un determinato stipendio (De studiis

mediol. c. 7). A provarlo egli adduce un passo di Lan-dolfo il giovane, detto ancor di s. Paolo, storico milane-se esso pure, e del XII secolo, il qual fa menzione di unArnaldo maestro in Milano: Cum presbytero Arnaldomagistro scholarum mediolanensis; o, come legge il Pu-ricelli, scholarum mediolanensium, e reca innoltre l'anti-ca Vita di s. Arialdo, da cui si raccoglie che anche nelladiocesi di Milano vi avea di tali maestri. Ma a dir vero,benchè non vi sia argomento a negare che altre pubbli-che scuole vi fossero oltre le ecclesiastiche, non parmiperò, che i due sopraccitati passi bastino a provarlo; per-ciocchè e le scuole della diocesi potevano essere quelleappunto delle chiese rurali, i cui parrochi, come più vol-te abbiamo osservato, dovean tenere scuola; e il preteArnaldo poteva essere un de' maestri della metropolita-na, il che si rende ancora più verisimile dallo stesso ca-rattere di sacerdote, ch'egli avea. Nè mi sembra chequelle parole scholarum mediolanensium abbiano quellaforza che pensa questo dotto scrittore, per inferirne chenon delle ecclesiastiche ivi si parli, ma di altre pubbli-

vede dato ad alcun de' canonici, e che in molte chiese tuttor si conserva,ove fra le dignità si annovera quella di magister scholarum, o scholasticus,o gymnasia, o magiscola.

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Se oltre queste altrepubbliche scuole fos-sero in Mi-lano.

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che scuole; molto più che negli scrittori di questi tempinon conviene supporre una sì precisa esattezza, che dauna loro parola dubbiosa e d'incerta significazione deb-basi raccogliere un fatto che altronde non si può provareabbastanza. Lo stesso dicasi di Guido, di Azzone e diGiovanni, che in alcune carte milanesi dell'an. 1119 e1140 si veggon nominati col titolo di maestri, o di so-prastanti, alle scuole (Giulini Mem. di Mil. t. 5, p. 121,573); perciocchè forse queste ancora erano le scuole ec-clesiastiche.

XI. Scuole somiglianti a queste erano an-cora in altre città d'Italia, fra le quali sem-bra che a questi tempi Parma singolarmen-te fosse perciò rinomata. S. Pier Damianoal principio dell'XI sec. passato da Raven-

na sua patria a Faenza per coltivarvi gli studj, come eglistesso racconta (l. 6, ep. 30), venne poscia a continuarlia Parma (ib. l. 5, ep. 16), e rammenta egli stesso uno de'suoi maestri detto per nome Ivone (l. 6, ep. 17), benchènon esprima s'egli tenesse scuola in Parma, o in Faenza;e nel luogo medesimo fa menzione di un certo Gualterocompagno del detto Ivone, il quale dopo avere per pres-so a trent'anni corse per amor di sapere la Francia, laSpagna, e l'Allemagna, tornato finalmente in patria, pre-se ad istruire i fanciulli, ma fu poscia da un suo rivaleucciso miseramente. Ma più celebri ancora esser dovea-no gli studj in Parma nel seguente XII secolo; percioc-

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Scuole in al-tre città, e sin-golarmente inParma.

che scuole; molto più che negli scrittori di questi tempinon conviene supporre una sì precisa esattezza, che dauna loro parola dubbiosa e d'incerta significazione deb-basi raccogliere un fatto che altronde non si può provareabbastanza. Lo stesso dicasi di Guido, di Azzone e diGiovanni, che in alcune carte milanesi dell'an. 1119 e1140 si veggon nominati col titolo di maestri, o di so-prastanti, alle scuole (Giulini Mem. di Mil. t. 5, p. 121,573); perciocchè forse queste ancora erano le scuole ec-clesiastiche.

XI. Scuole somiglianti a queste erano an-cora in altre città d'Italia, fra le quali sem-bra che a questi tempi Parma singolarmen-te fosse perciò rinomata. S. Pier Damianoal principio dell'XI sec. passato da Raven-

na sua patria a Faenza per coltivarvi gli studj, come eglistesso racconta (l. 6, ep. 30), venne poscia a continuarlia Parma (ib. l. 5, ep. 16), e rammenta egli stesso uno de'suoi maestri detto per nome Ivone (l. 6, ep. 17), benchènon esprima s'egli tenesse scuola in Parma, o in Faenza;e nel luogo medesimo fa menzione di un certo Gualterocompagno del detto Ivone, il quale dopo avere per pres-so a trent'anni corse per amor di sapere la Francia, laSpagna, e l'Allemagna, tornato finalmente in patria, pre-se ad istruire i fanciulli, ma fu poscia da un suo rivaleucciso miseramente. Ma più celebri ancora esser dovea-no gli studj in Parma nel seguente XII secolo; percioc-

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Scuole in al-tre città, e sin-golarmente inParma.

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chè Donizone, quel desso che ci ha lasciata la Vita dellacontessa Matilde, ai cui tempi vivea, in uno stile assaibarbaro ed incolto, ci assicura che Parma per le lettere eper le scienze che vi si professavano, dicevasi greca-mente Crisopoli ossia città d'oro:

Chrysopolis dudum Graecorum dicitur usu, Aurea sub lingua sonat urbs haec esse latina; Scilicet urbs Parma, quia grammatica manet alta, Artes ac septem studiose sunt ibi lectae (Script. rer. ital. t.5, p. 354).

Le quali sette arti erano quelle stesse che co' barbarinomi di trivio e di quadrivio allora si appellavano, per-ciocchè il trivio comprendeva la gramatica, la rettorica ela dialettica, e il quadrivio l'aritmetica, la geometria, lamusica e l'astronomia (V. Murat. Antiq. Ital. t. 3, p.911). Io credo bene che in tali scienze non fossero nè iprofessori nè gli scolari troppo profondamente istruiti;ma quella che ora appena si chiamerebbe leggiera tintu-ra, dovea allora sembrare, e per riguardo a quegli infeli-cissimi tempi potevasi ancor chiamare, vastissima erudi-zione.

XII. Se vogliam credere a Alberto di Ripal-ta dottor piacentino, il quale l'an. 1471 dife-se i diritti dell'università della sua patriacontro quella di Pavia, come a suo luogo ve-dremo, fin dall'XI sec. era in quella città

uno studio generale di tutte le scienze. Egli parlando del

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Se vi fosse allora uni-versità in Piacenza e in Napoli.

chè Donizone, quel desso che ci ha lasciata la Vita dellacontessa Matilde, ai cui tempi vivea, in uno stile assaibarbaro ed incolto, ci assicura che Parma per le lettere eper le scienze che vi si professavano, dicevasi greca-mente Crisopoli ossia città d'oro:

Chrysopolis dudum Graecorum dicitur usu, Aurea sub lingua sonat urbs haec esse latina; Scilicet urbs Parma, quia grammatica manet alta, Artes ac septem studiose sunt ibi lectae (Script. rer. ital. t.5, p. 354).

Le quali sette arti erano quelle stesse che co' barbarinomi di trivio e di quadrivio allora si appellavano, per-ciocchè il trivio comprendeva la gramatica, la rettorica ela dialettica, e il quadrivio l'aritmetica, la geometria, lamusica e l'astronomia (V. Murat. Antiq. Ital. t. 3, p.911). Io credo bene che in tali scienze non fossero nè iprofessori nè gli scolari troppo profondamente istruiti;ma quella che ora appena si chiamerebbe leggiera tintu-ra, dovea allora sembrare, e per riguardo a quegli infeli-cissimi tempi potevasi ancor chiamare, vastissima erudi-zione.

XII. Se vogliam credere a Alberto di Ripal-ta dottor piacentino, il quale l'an. 1471 dife-se i diritti dell'università della sua patriacontro quella di Pavia, come a suo luogo ve-dremo, fin dall'XI sec. era in quella città

uno studio generale di tutte le scienze. Egli parlando del

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Se vi fosse allora uni-versità in Piacenza e in Napoli.

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privilegio perciò accordato a Piacenza da Innocenzo IVl'an. 1248, di cui favelleremo nel tomo seguente, affer-ma che dugento e più anni innanzi a tal privilegio eracotale studio in Piacenza: "Verum et per ducentos annoset ultra ante ipsum privilegium in alma civitate Placen-tiae vigebat viguitque studium literarum" (Ann. Placent.vol. 20 Script. rer. ital. p. 933), e a provarlo aggiugneche il celebre glossatore Ruggiero da Benevento ivi te-neva scuola; e il conferma coll'autorità di un altro anticogiureconsulto, cioè di Odofredo che visse nel XIII seco-lo. Ma in primo luogo Ruggiero visse nel XII, nonnell'XI secolo, come a suo luogo vedremo. In secondoluogo ancorchè sia vero che questo giureconsulto tenes-se scuola in Piacenza nel XII secolo, ciò prova soltantoch'ivi era studio di leggi, come era ancora in altre città,non già di tutte le altre scienze. Ma dello studio di legginon è qui tempo di ragionare. Non vi ha dunque monu-mento sicuro che ci dimostri uno studio generale in Pia-cenza di questi tempi, benchè per altro, come osserva ildottiss. proposto Poggiali (Stor. di Piac. t. 3, p. 217),qualche rara menzione si trovi prima d'Innocenzo IV discuole, di maestri e di studenti piacentini. La manieraperò con cui il Ripalta ragiona di questo studio, ci fa ve-dere che ancor non si era adottata l'opinione che posciasi sparse, e che ancor dal Sigonio fu sostenuta (De re-gno Ital. l. 7) cioè che Ottone III l'an. 996 con un suoamplissimo privilegio fondasse l'università di Piacenza;opinione, come osserva il soprallodato Poggiali, non ap-poggiata ad alcun fondamento, anzi combattuta abba-

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privilegio perciò accordato a Piacenza da Innocenzo IVl'an. 1248, di cui favelleremo nel tomo seguente, affer-ma che dugento e più anni innanzi a tal privilegio eracotale studio in Piacenza: "Verum et per ducentos annoset ultra ante ipsum privilegium in alma civitate Placen-tiae vigebat viguitque studium literarum" (Ann. Placent.vol. 20 Script. rer. ital. p. 933), e a provarlo aggiugneche il celebre glossatore Ruggiero da Benevento ivi te-neva scuola; e il conferma coll'autorità di un altro anticogiureconsulto, cioè di Odofredo che visse nel XIII seco-lo. Ma in primo luogo Ruggiero visse nel XII, nonnell'XI secolo, come a suo luogo vedremo. In secondoluogo ancorchè sia vero che questo giureconsulto tenes-se scuola in Piacenza nel XII secolo, ciò prova soltantoch'ivi era studio di leggi, come era ancora in altre città,non già di tutte le altre scienze. Ma dello studio di legginon è qui tempo di ragionare. Non vi ha dunque monu-mento sicuro che ci dimostri uno studio generale in Pia-cenza di questi tempi, benchè per altro, come osserva ildottiss. proposto Poggiali (Stor. di Piac. t. 3, p. 217),qualche rara menzione si trovi prima d'Innocenzo IV discuole, di maestri e di studenti piacentini. La manieraperò con cui il Ripalta ragiona di questo studio, ci fa ve-dere che ancor non si era adottata l'opinione che posciasi sparse, e che ancor dal Sigonio fu sostenuta (De re-gno Ital. l. 7) cioè che Ottone III l'an. 996 con un suoamplissimo privilegio fondasse l'università di Piacenza;opinione, come osserva il soprallodato Poggiali, non ap-poggiata ad alcun fondamento, anzi combattuta abba-

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stanza e distrutta anche dal solo silenzio de' più antichiscrittori, e del Ripalta singolarmente, a cui troppo op-portuna occasione erasi offerta di vantare un tal privile-gio. Lo stesso dicasi dello studio di Napoli, che vedesinominato in una lettera del celebre Pietro blesense circala metà del XII secolo (ep. 174), in cui egli consola igiovani che frequentavano quelle scuole per la morte dellor maestro Gualtero. Ma questa lettera e due altre cheseguono di somigliante argomento, trovansi ancor traquelle di Pier delle Vigne segretario di Federigo II nelsecolo seguente; e la maniera di scrivere apertamente cimostra che a questo secondo si debbono attribuire, e nonal primo; e che perciò non ha forza l'argomento da essetratto a provare che fosse fin da questi tempi in Napoliuno studio pubblico e generale (6).

XIII. E veramente ella è cosa omai postafuor di quistione, che università alcuna ossiapubbliche scuole in cui s'insegnin tutte lescienze non vi ebbe in Italia prima del sec.XIII, poichè quella ancor di Bologna, a cuinon si può contrastare il vanto d'antichità

sopra l'altre, non era però ancora di questi tempi intera-

6 Se noi crediamo ad Antonio Ferrari detto Galateo, non vi ebbe luogo nelregno di Napoli, in cui gli studj a questi tempi sì lietamente fiorissero,come in Nardò: Inclinante Graecorum fortuna, postquam a Graecis pro-vincia ad Latinos transmigravit, celeberrima Neriti hoc toto, regno fuereliterarum studia (De Situ Japigiae p. 132, ed. Lyciens.). Ma converrebbeche di questa sua asserzione ei ci recasse qualche pruova.

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Tumulto destato in Francia da Benedetto priore dellaChiusa.

stanza e distrutta anche dal solo silenzio de' più antichiscrittori, e del Ripalta singolarmente, a cui troppo op-portuna occasione erasi offerta di vantare un tal privile-gio. Lo stesso dicasi dello studio di Napoli, che vedesinominato in una lettera del celebre Pietro blesense circala metà del XII secolo (ep. 174), in cui egli consola igiovani che frequentavano quelle scuole per la morte dellor maestro Gualtero. Ma questa lettera e due altre cheseguono di somigliante argomento, trovansi ancor traquelle di Pier delle Vigne segretario di Federigo II nelsecolo seguente; e la maniera di scrivere apertamente cimostra che a questo secondo si debbono attribuire, e nonal primo; e che perciò non ha forza l'argomento da essetratto a provare che fosse fin da questi tempi in Napoliuno studio pubblico e generale (6).

XIII. E veramente ella è cosa omai postafuor di quistione, che università alcuna ossiapubbliche scuole in cui s'insegnin tutte lescienze non vi ebbe in Italia prima del sec.XIII, poichè quella ancor di Bologna, a cuinon si può contrastare il vanto d'antichità

sopra l'altre, non era però ancora di questi tempi intera-

6 Se noi crediamo ad Antonio Ferrari detto Galateo, non vi ebbe luogo nelregno di Napoli, in cui gli studj a questi tempi sì lietamente fiorissero,come in Nardò: Inclinante Graecorum fortuna, postquam a Graecis pro-vincia ad Latinos transmigravit, celeberrima Neriti hoc toto, regno fuereliterarum studia (De Situ Japigiae p. 132, ed. Lyciens.). Ma converrebbeche di questa sua asserzione ei ci recasse qualche pruova.

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Tumulto destato in Francia da Benedetto priore dellaChiusa.

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mente formata, come vedremo parlando della giurispru-denza. Nelle altre città altre scuole non vedeansi comu-nemente che di elementare letteratura, o di studj sacri.Ma non giova il cercare più minutamente in quali cittàesse fossero, e io invece recherò qui parte di un monu-mento appartenente in qualche modo all'italiana lettera-tura pubblicato dal p. Mabillon, di cui riuscirà, spero, dinon dispiacevole trattenimento ai miei lettori, ch'io dicaqui alcuna cosa. L'an. 1028, Benedetto priore del mona-stero di s. Michele della Chiusa in Piemonte venuto almonastero di s. Marziale in Limoges risvegliò tra que'monaci, e in altri monasteri ancora a cui fece passaggio,un gravissimo scandalo, col combattere la opinione rice-vuta allora comunemente che S. Marziale fosse imme-diatamente discepolo di Cristo e apostolo di se-cond'ordine. Ademaro monaco in Angouleme, il più ze-lante sostenitore di tal sentenza, inorridì a questa, comeei chiamavala, ereticale bestemmia; e scrisse una letteracircolare per prevenire le ree conseguenze che da' di-scorsi di Benedetto gli pareva che dovesser temersi; equesta è il sopraccennato monumento pubblicato dal p.Mabillon (Ann. Bened. vol. 4, App. n. 46). In essa dopoaver caricato il povero prior Benedetto delle maggiorivillanie del mondo, chiamandolo co' nomi di eretico, didemonio, e con altre somiglianti leggiadre espressioni,per renderlo odioso insieme e ridicolo lo introduce a fa-vellar per tal modo: "Io son nipote dell'abate della Chiu-sa; egli mi ha condotto a molte città della Lombardia edella Francia, perchè mi istruissi nella gramatica, e il

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mente formata, come vedremo parlando della giurispru-denza. Nelle altre città altre scuole non vedeansi comu-nemente che di elementare letteratura, o di studj sacri.Ma non giova il cercare più minutamente in quali cittàesse fossero, e io invece recherò qui parte di un monu-mento appartenente in qualche modo all'italiana lettera-tura pubblicato dal p. Mabillon, di cui riuscirà, spero, dinon dispiacevole trattenimento ai miei lettori, ch'io dicaqui alcuna cosa. L'an. 1028, Benedetto priore del mona-stero di s. Michele della Chiusa in Piemonte venuto almonastero di s. Marziale in Limoges risvegliò tra que'monaci, e in altri monasteri ancora a cui fece passaggio,un gravissimo scandalo, col combattere la opinione rice-vuta allora comunemente che S. Marziale fosse imme-diatamente discepolo di Cristo e apostolo di se-cond'ordine. Ademaro monaco in Angouleme, il più ze-lante sostenitore di tal sentenza, inorridì a questa, comeei chiamavala, ereticale bestemmia; e scrisse una letteracircolare per prevenire le ree conseguenze che da' di-scorsi di Benedetto gli pareva che dovesser temersi; equesta è il sopraccennato monumento pubblicato dal p.Mabillon (Ann. Bened. vol. 4, App. n. 46). In essa dopoaver caricato il povero prior Benedetto delle maggiorivillanie del mondo, chiamandolo co' nomi di eretico, didemonio, e con altre somiglianti leggiadre espressioni,per renderlo odioso insieme e ridicolo lo introduce a fa-vellar per tal modo: "Io son nipote dell'abate della Chiu-sa; egli mi ha condotto a molte città della Lombardia edella Francia, perchè mi istruissi nella gramatica, e il

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mio sapere gli costa finora duemila soldi che a' maestriegli ha dati. Nove anni mi son trattenuto nella gramati-ca, e sono ancora scolare. Siamo nove occupati in que-sto medesimo studio, e io sono un uomo perfettamentesapiente. Ho due gran case piene di libri, nè ancora gliho letti tutti, ma gli vo meditando ogni giorno. Non viha in tutto il mondo libro ch'io non abbia. Quando usci-rò dalla scuola, non vi sarà sotto il cielo uom dotto chemi stia a confronto..... Io son prior della Chiusa, e socomporre assai bene i sermoni..... Io saprei bene ordina-re e disporre un intero concilio: tanto son dotto....Nell'Aquitania non vi è dottrina di sorte alcuna: tutti sonrozzi; e se alcuno ha appreso un pocolin di gramatica, sicrede tosto di essere un nuovo Virgilio. In Francia vi èqualche erudizione; ma assai poco; ma nella Lombardia,ove ho fatto i miei studj, vi ha la sorgente della stessasapienza". A me sembra impossibile che questo monacopotesse favellar di tal guisa; e credo, certo che Ademaroper rivolgergli contro l'odio e il disprezzo comune gli af-fibbiasse tai sentimenti; molto più che in tutta questalettera ei ci si mostra uom fanatico e trasportato, chenon tiene moderazione alcuna, e che altro non cerca ched'ingiuriare e di mordere il suo avversario; il qual per al-tro avea per se la verità e la ragione, come or confessanoi più eruditi tra gli stessi Francesi. E quindi, se questomonaco italiano insultava in qualche maniera i suoi av-versarj convien confessare che in questo punto egli aveamotivo di credersi più di essi erudito.

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mio sapere gli costa finora duemila soldi che a' maestriegli ha dati. Nove anni mi son trattenuto nella gramati-ca, e sono ancora scolare. Siamo nove occupati in que-sto medesimo studio, e io sono un uomo perfettamentesapiente. Ho due gran case piene di libri, nè ancora gliho letti tutti, ma gli vo meditando ogni giorno. Non viha in tutto il mondo libro ch'io non abbia. Quando usci-rò dalla scuola, non vi sarà sotto il cielo uom dotto chemi stia a confronto..... Io son prior della Chiusa, e socomporre assai bene i sermoni..... Io saprei bene ordina-re e disporre un intero concilio: tanto son dotto....Nell'Aquitania non vi è dottrina di sorte alcuna: tutti sonrozzi; e se alcuno ha appreso un pocolin di gramatica, sicrede tosto di essere un nuovo Virgilio. In Francia vi èqualche erudizione; ma assai poco; ma nella Lombardia,ove ho fatto i miei studj, vi ha la sorgente della stessasapienza". A me sembra impossibile che questo monacopotesse favellar di tal guisa; e credo, certo che Ademaroper rivolgergli contro l'odio e il disprezzo comune gli af-fibbiasse tai sentimenti; molto più che in tutta questalettera ei ci si mostra uom fanatico e trasportato, chenon tiene moderazione alcuna, e che altro non cerca ched'ingiuriare e di mordere il suo avversario; il qual per al-tro avea per se la verità e la ragione, come or confessanoi più eruditi tra gli stessi Francesi. E quindi, se questomonaco italiano insultava in qualche maniera i suoi av-versarj convien confessare che in questo punto egli aveamotivo di credersi più di essi erudito.

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XIV. Tal fu lo stato in generale dell'italianaletteratura, che noi verremo frappoco piùparticolarmente svolgendo in ciascuna dellesue classi. Per ciò che riguarda alle bibliote-che ed a' libri, non era ancor giunta per essi

stagion felice; e benchè taluno vi fosse, come vedremotrattando dei monaci singolarmente, diligente raccogli-tore di quanti poteansene avere, non si vider però aprirepubbliche e ragguardevoli biblioteche che agevolassergli studj. In quale stato fosse la vaticana, non abbiammonumenti che ce lo mostrino. Solo veggiam la serie de'bibliotecarj della Chiesa romana continuata per tutto ilsec. XI dagli eruditissimi Assemani (praef. ad vol. 1Cat. Bibl. vatic. p. 56, ec.) i quali moltissimi cardinaliannoverano che in questo secolo furono di una tal caricaonorati. Da' monumenti medesimi però si raccoglie cheun tal impiego non conferivasi in modo che fosse dure-vole e perpetuo in una sola persona, perciocchè veggia-mo, a cagion d'esempio, Bosone cardinale e biblioteca-rio negli anni 1014, 1017, 1018, 1026, 1027, e insiemePietro cardinale l'an. 1016, e Dodone l'an. 1024, anzi an-cor nell'an. 1026 veggiamo con questo titolo Pellegrinoarcivescovo di Celonia, e nel 1027 Pietro vescovo di Pa-lestrina. E forse più d'uno al tempo medesimo aveanoquest'onorevole impiego; poichè sembra difficile a in-tendere come nello stesso anno si veggan più volte duebibliotecarj della Chiesa romana. Nel sec. XII non han-no i suddetti eruditissimi autori rinvenuta notizia che ditre soli onorati di tale carica, l'ultimo de' quali è il card.

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Stato della biblioteca vaticana; suoi biblio-tecarj.

XIV. Tal fu lo stato in generale dell'italianaletteratura, che noi verremo frappoco piùparticolarmente svolgendo in ciascuna dellesue classi. Per ciò che riguarda alle bibliote-che ed a' libri, non era ancor giunta per essi

stagion felice; e benchè taluno vi fosse, come vedremotrattando dei monaci singolarmente, diligente raccogli-tore di quanti poteansene avere, non si vider però aprirepubbliche e ragguardevoli biblioteche che agevolassergli studj. In quale stato fosse la vaticana, non abbiammonumenti che ce lo mostrino. Solo veggiam la serie de'bibliotecarj della Chiesa romana continuata per tutto ilsec. XI dagli eruditissimi Assemani (praef. ad vol. 1Cat. Bibl. vatic. p. 56, ec.) i quali moltissimi cardinaliannoverano che in questo secolo furono di una tal caricaonorati. Da' monumenti medesimi però si raccoglie cheun tal impiego non conferivasi in modo che fosse dure-vole e perpetuo in una sola persona, perciocchè veggia-mo, a cagion d'esempio, Bosone cardinale e biblioteca-rio negli anni 1014, 1017, 1018, 1026, 1027, e insiemePietro cardinale l'an. 1016, e Dodone l'an. 1024, anzi an-cor nell'an. 1026 veggiamo con questo titolo Pellegrinoarcivescovo di Celonia, e nel 1027 Pietro vescovo di Pa-lestrina. E forse più d'uno al tempo medesimo aveanoquest'onorevole impiego; poichè sembra difficile a in-tendere come nello stesso anno si veggan più volte duebibliotecarj della Chiesa romana. Nel sec. XII non han-no i suddetti eruditissimi autori rinvenuta notizia che ditre soli onorati di tale carica, l'ultimo de' quali è il card.

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Stato della biblioteca vaticana; suoi biblio-tecarj.

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Gherardo che fu poi papa l'an. 1144 col nome di LucioII. D'allora in poi per lo spazio di quasi due secoli nontrovasi più menzione di alcun bibliotecario della Chiesadi Roma forse perchè, essendo infelice lo stato di questabiblioteca, non si credesse nè utile nè necessario l'affi-darne l'amministrazione e il governo ad alcun cardinale,o ad altro ragguardevole prelato. Altre chiese però anco-ra è probabile (7) che avessero le loro biblioteche, qualipoteansi avere di questi tempi; e rammentansi espressa-mente da Arnolfo (Hist. Mediol. l. 3, c. 20; Script. rer.ital. t. 4; Giulini Mem. di Mil. t. 4, p. 186) quella dellametropolitana di Milano, che con irreparabile danno fudalle fiamme consunta l'an. 1075 (8).

7 Il dotiss. Sig. co. Rambaldo degli Azzoni Avagaro canonico della cattedraldi Trevigi ha pubblicato (Mem. per servire alla Stor. letter. t. 8, par. 5, p.25) un breve indice de' libri che l'an 1135 esistevano in quella chiesa, ilche conferma ciò che qui ho asserito, cioè ch'è probabile che fosse questouso a molte chiese comune.

8 Il sig. Landi si duole ch'io abbia trattato leggermente e sol di passaggio ciòche appartiene alle biblioteche di questi tempi (t. 1, p. 356) ed ha aggiuntoperciò un paragrafo su questo argomento (ivi p. 324, ec.). Ma in esso ionon trovo cosa riguardo all'Italia, che non sia stata pure da me avvertitanell'epoca a cui apparteneva.

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Gherardo che fu poi papa l'an. 1144 col nome di LucioII. D'allora in poi per lo spazio di quasi due secoli nontrovasi più menzione di alcun bibliotecario della Chiesadi Roma forse perchè, essendo infelice lo stato di questabiblioteca, non si credesse nè utile nè necessario l'affi-darne l'amministrazione e il governo ad alcun cardinale,o ad altro ragguardevole prelato. Altre chiese però anco-ra è probabile (7) che avessero le loro biblioteche, qualipoteansi avere di questi tempi; e rammentansi espressa-mente da Arnolfo (Hist. Mediol. l. 3, c. 20; Script. rer.ital. t. 4; Giulini Mem. di Mil. t. 4, p. 186) quella dellametropolitana di Milano, che con irreparabile danno fudalle fiamme consunta l'an. 1075 (8).

7 Il dotiss. Sig. co. Rambaldo degli Azzoni Avagaro canonico della cattedraldi Trevigi ha pubblicato (Mem. per servire alla Stor. letter. t. 8, par. 5, p.25) un breve indice de' libri che l'an 1135 esistevano in quella chiesa, ilche conferma ciò che qui ho asserito, cioè ch'è probabile che fosse questouso a molte chiese comune.

8 Il sig. Landi si duole ch'io abbia trattato leggermente e sol di passaggio ciòche appartiene alle biblioteche di questi tempi (t. 1, p. 356) ed ha aggiuntoperciò un paragrafo su questo argomento (ivi p. 324, ec.). Ma in esso ionon trovo cosa riguardo all'Italia, che non sia stata pure da me avvertitanell'epoca a cui apparteneva.

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CAPO II.Studj sacri.

I. Ciò che nell'epoca precedente a grandeonor dell'Italia abbiamo osservato, cioè uo-mini dotti da essa passati a sparger luce edottrina nelle provincie straniere, ci si offrepure, e forse ancora più gloriosamente,nell'epoca di cui ora trattiamo. Noi avremoa vedere non solamente la Francia, ma an-

cor l'Inghilterra, giovarsi del sapere di molti Italiani ne-gli studj sacri ugualmente che ne' profani, e alcuni traloro introdurre nuovi sistemi, farsi fondatori di scuole eassicurarsi presso i posteri un nome cui le vicende deitempi e la mutazione delle idee non hanno ancora potutonè potran forse mai cancellare. Noi verremo parlandopartitamente di ciascheduno di essi, e di molti altri chene' sacri studj ottennero di questi tempi gran lode; e ilfaremo per modo che ognun possa intendere che non ègià troppo favorevole pregiudizio che ci conduce a sen-tire così onorevolmente della comun nostra patria, maamore di verità, e zelo di mantenerle l'antica gloria, dicui abbiamo una quanto più fondata tanto più ragione-vole compiacenza.

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Dall'Italia si sparsero in altre pro-vincie i ri-storatori degli studj sacri.

CAPO II.Studj sacri.

I. Ciò che nell'epoca precedente a grandeonor dell'Italia abbiamo osservato, cioè uo-mini dotti da essa passati a sparger luce edottrina nelle provincie straniere, ci si offrepure, e forse ancora più gloriosamente,nell'epoca di cui ora trattiamo. Noi avremoa vedere non solamente la Francia, ma an-

cor l'Inghilterra, giovarsi del sapere di molti Italiani ne-gli studj sacri ugualmente che ne' profani, e alcuni traloro introdurre nuovi sistemi, farsi fondatori di scuole eassicurarsi presso i posteri un nome cui le vicende deitempi e la mutazione delle idee non hanno ancora potutonè potran forse mai cancellare. Noi verremo parlandopartitamente di ciascheduno di essi, e di molti altri chene' sacri studj ottennero di questi tempi gran lode; e ilfaremo per modo che ognun possa intendere che non ègià troppo favorevole pregiudizio che ci conduce a sen-tire così onorevolmente della comun nostra patria, maamore di verità, e zelo di mantenerle l'antica gloria, dicui abbiamo una quanto più fondata tanto più ragione-vole compiacenza.

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Dall'Italia si sparsero in altre pro-vincie i ri-storatori degli studj sacri.

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II. E prima di ogni altro vuolsi qui parlaredi uno che da alcuni tra' Francesi ci si con-cede qual nostro, ma che da altri ci si vor-rebbe rapire, dico di Fulberto vescovo diChartres. Il p. Mabillon inclina a pensare

ch'ei fosse romano di patria (Ann. bened. t. 4, l. 50, n.72; et Acta SS. Ord. s. Bened. saec. 5 praef. n. 43); e aquesta opinione si mostra, pur favorevole l'ab. Fleury(Hist. eccl. l. 58). Ma i Maurini autori della Storia lette-raria di Francia affermano che gli argomenti che se neadducono, sono assai equivoci, e che nol provano in al-cun modo (t. 7, p. 261). Or quali son essi? Un cotal Ei-nardo avea chiesto a Fulberto il suo sentimento intornoal rito di consegnare a' sacerdoti nuovamente ordinatiun'ostia in cui essi doveano nello spazio di 40 giornisuccessivamente venir consumando. Fulberto gli rispon-de (ep. 2) ch'egli avea già seco dalla sua patria portatoun libro con cui avrebbe potuto agevolmente soddisfarea una tal quistione; ma che avendolo lungamente cerca-to, o perchè l'avesse prestato ad altri, o perchè in tantiviaggi l'avesse smarrito, non gli era venuto fatto di rin-venirlo: "Haesitare diutius coepi, an mihi adhuc codi-cem illum unum haberem, quem a natali patria inter ce-teros devexeram, in quo ejusmodi exemplaria contine-bantur. Quem diu quaesitum, quoniam aut alicui praesti-tum, aut per tot locorum mutationem casu amissum noninvenio, ec." Quindi dopo avergli esposto ciò che nel li-bro medesimo ricordavasi di aver letto in addietro, con-chiude: "Haec pauca de multis, quae repetita memoria,

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Fulberto ve-scovo di Chartres fu probabilmenteitaliano.

II. E prima di ogni altro vuolsi qui parlaredi uno che da alcuni tra' Francesi ci si con-cede qual nostro, ma che da altri ci si vor-rebbe rapire, dico di Fulberto vescovo diChartres. Il p. Mabillon inclina a pensare

ch'ei fosse romano di patria (Ann. bened. t. 4, l. 50, n.72; et Acta SS. Ord. s. Bened. saec. 5 praef. n. 43); e aquesta opinione si mostra, pur favorevole l'ab. Fleury(Hist. eccl. l. 58). Ma i Maurini autori della Storia lette-raria di Francia affermano che gli argomenti che se neadducono, sono assai equivoci, e che nol provano in al-cun modo (t. 7, p. 261). Or quali son essi? Un cotal Ei-nardo avea chiesto a Fulberto il suo sentimento intornoal rito di consegnare a' sacerdoti nuovamente ordinatiun'ostia in cui essi doveano nello spazio di 40 giornisuccessivamente venir consumando. Fulberto gli rispon-de (ep. 2) ch'egli avea già seco dalla sua patria portatoun libro con cui avrebbe potuto agevolmente soddisfarea una tal quistione; ma che avendolo lungamente cerca-to, o perchè l'avesse prestato ad altri, o perchè in tantiviaggi l'avesse smarrito, non gli era venuto fatto di rin-venirlo: "Haesitare diutius coepi, an mihi adhuc codi-cem illum unum haberem, quem a natali patria inter ce-teros devexeram, in quo ejusmodi exemplaria contine-bantur. Quem diu quaesitum, quoniam aut alicui praesti-tum, aut per tot locorum mutationem casu amissum noninvenio, ec." Quindi dopo avergli esposto ciò che nel li-bro medesimo ricordavasi di aver letto in addietro, con-chiude: "Haec pauca de multis, quae repetita memoria,

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Fulberto ve-scovo di Chartres fu probabilmenteitaliano.

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et multo et tempore dissuta licet recitasse, ad praesenssufficiant, dum ego codicem de ejusmodi exemplaribusa romano scrinio prolatum perlegam." Alle quali parolepar che altro senso non possa darsi, se non che bastifrattanto ad Einardo ciò che coll'ajuto della memoriaglien'avea scritto, finchè gli riesca di trovare il codiceche seco avea portato da Roma. Or questo codice stessoavea poc'anzi detto di averlo seco recato dalla sua patria.Dunque la patria di Fulberto era Roma. I Maurini a que-sto argomento rispondono ch'esso è equivoco, e che nonprova abbastanza. Ma non basta asserirlo; convien pro-varlo; convien mostrare che in altro senso si possonopiù comodamente spiegare le recate parole; il che essinon hanno fatto, nè potrebbon per avventura fare giam-mai. Essi aggiungono che con maggior fondamento sipuò affermare ch'ei fosse nativo del Poitou, o in genera-le dell'Aquitania; che la stretta sua unione col duca Gu-glielmo V a cui quelle provincie ubbidivano, n'è un'assaiprobabile congettura, la quale prende ancor la forza dipruova al veder Fulberto riconoscersi come suddito diquesto principe cui chiama suo signore: Herus meus(ep. 15). A me non sembra di riconoscervi nè congetturanè pruova alcuna. Il frequente commercio di lettere, cheuno abbia con qualche principe, quando mai si è recatoa provare che egli gli sia suddito? Il titolo poi di padro-ne è ben connesso con quello di servidore, ma non conquello di suddito nazionale; e io credo certo che i Mau-rini si riderebbon di uno il qual per provare che il card.Mazzarini, a cagion d'esempio, era francese, si valesse

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et multo et tempore dissuta licet recitasse, ad praesenssufficiant, dum ego codicem de ejusmodi exemplaribusa romano scrinio prolatum perlegam." Alle quali parolepar che altro senso non possa darsi, se non che bastifrattanto ad Einardo ciò che coll'ajuto della memoriaglien'avea scritto, finchè gli riesca di trovare il codiceche seco avea portato da Roma. Or questo codice stessoavea poc'anzi detto di averlo seco recato dalla sua patria.Dunque la patria di Fulberto era Roma. I Maurini a que-sto argomento rispondono ch'esso è equivoco, e che nonprova abbastanza. Ma non basta asserirlo; convien pro-varlo; convien mostrare che in altro senso si possonopiù comodamente spiegare le recate parole; il che essinon hanno fatto, nè potrebbon per avventura fare giam-mai. Essi aggiungono che con maggior fondamento sipuò affermare ch'ei fosse nativo del Poitou, o in genera-le dell'Aquitania; che la stretta sua unione col duca Gu-glielmo V a cui quelle provincie ubbidivano, n'è un'assaiprobabile congettura, la quale prende ancor la forza dipruova al veder Fulberto riconoscersi come suddito diquesto principe cui chiama suo signore: Herus meus(ep. 15). A me non sembra di riconoscervi nè congetturanè pruova alcuna. Il frequente commercio di lettere, cheuno abbia con qualche principe, quando mai si è recatoa provare che egli gli sia suddito? Il titolo poi di padro-ne è ben connesso con quello di servidore, ma non conquello di suddito nazionale; e io credo certo che i Mau-rini si riderebbon di uno il qual per provare che il card.Mazzarini, a cagion d'esempio, era francese, si valesse

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delle lettere in cui egli chiama Luigi XIV suo padrone.Oltre che la lettera ch'essi accennano, di Fulberto a Ro-berto re di Francia, in cui dà a Guglielmo il nome di suopadrone, non solo non si può neppure accertare ch'essasia di Fulberto, poichè nel titolo così si legge: Dominesuo Regi Fulbert. Andegavorum Comes salutem et fide-le obsequium; il quale titolo di conte d'Angiò non con-vien certo a Fulberto; ma anzi sembra evidente ch'essafu scritta da Folco conte d'Angiò per ordine del ducaGuglielmo; e che quindi per errore facile ad avvenirenel titolo di essa in vece di Fulco si è poscia scritto Ful-bert. Veggasi in fatti la Storia di Francia del p. Daniel (t.3, p. 319 ed. 1755), che parla di questa lettera, edell'occasione a cui essa fu scritta. Essa dunque non cipuò dare nè congettura nè pruova alcuna dell'opinion de'Maurini. Essi finalmente aggiungono che se Fulbertoavesse nominato il vescovo a cui scrive la XII sua lette-ra, forse avrebbe tolta su questo punto ogni dubbiezza;poichè è certo ch'egli era nato ed avea avuta la primaeducazione nella diocesi, o fors'anche nella città vesco-vile di quel prelato. Ma non sembra, conchiudon essi,men certo che questa lettera non è scritta nè a un papa,nè a un vescovo d'Italia. Così questi dotti autori. Ma iotrovo bensì che Fulberto in quella lettera dice di esserestato da quel vescovo ne' primi anni educato: sum nam-que divina procurante gratia disciplinae tuae vernacu-lus a puero; ch'ei fosse nato in quella città medesima,non ne trovo alcun cenno. Onde poi raccolgono i Mauri-ni, ch'essa non sia scritta ad alcun vescovo italiano? Io

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delle lettere in cui egli chiama Luigi XIV suo padrone.Oltre che la lettera ch'essi accennano, di Fulberto a Ro-berto re di Francia, in cui dà a Guglielmo il nome di suopadrone, non solo non si può neppure accertare ch'essasia di Fulberto, poichè nel titolo così si legge: Dominesuo Regi Fulbert. Andegavorum Comes salutem et fide-le obsequium; il quale titolo di conte d'Angiò non con-vien certo a Fulberto; ma anzi sembra evidente ch'essafu scritta da Folco conte d'Angiò per ordine del ducaGuglielmo; e che quindi per errore facile ad avvenirenel titolo di essa in vece di Fulco si è poscia scritto Ful-bert. Veggasi in fatti la Storia di Francia del p. Daniel (t.3, p. 319 ed. 1755), che parla di questa lettera, edell'occasione a cui essa fu scritta. Essa dunque non cipuò dare nè congettura nè pruova alcuna dell'opinion de'Maurini. Essi finalmente aggiungono che se Fulbertoavesse nominato il vescovo a cui scrive la XII sua lette-ra, forse avrebbe tolta su questo punto ogni dubbiezza;poichè è certo ch'egli era nato ed avea avuta la primaeducazione nella diocesi, o fors'anche nella città vesco-vile di quel prelato. Ma non sembra, conchiudon essi,men certo che questa lettera non è scritta nè a un papa,nè a un vescovo d'Italia. Così questi dotti autori. Ma iotrovo bensì che Fulberto in quella lettera dice di esserestato da quel vescovo ne' primi anni educato: sum nam-que divina procurante gratia disciplinae tuae vernacu-lus a puero; ch'ei fosse nato in quella città medesima,non ne trovo alcun cenno. Onde poi raccolgono i Mauri-ni, ch'essa non sia scritta ad alcun vescovo italiano? Io

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confesso che comunque l'abbia più volte letta, non viscorgo una sillaba per cui si possa ciò asserire. L'espres-sioni sono sì generali, che posson convenire ugualmentea un vescovo ancor della Russia. Come dunque afferma-re che non è men certo ch'essa non è scritta ad alcun ve-scovo d'Italia? Non potrei io dire alla stessa maniera,ch'è certo ch'essa non è scritta ad alcun vescovo dellaFrancia? Ma a me basta il riflettere che da essa non sipuò ricavare di qual paese fosse il vescovo a cui essa èindirizzata; e che in conseguenza nè i Maurini han reca-to ragione alcuna che pruovi Fulberto essere stato fran-cese, nè hanno atterrate quelle che rendon probabilech'ei fosse italiano.

III. Io ho voluto stendermi alquanto suciò che appartiene alla patria di Fulber-to, per vendicare all'Italia un onore che

senza ragione da alcuni le è stato tolto. Ma non contra-sterò già a' Francesi la gloria di annoverarlo tra' loro;poichè egli veramente e nella Francia fece almeno inparte i suoi studj sotto la direzione del celebre Gerberto,di cui nel precedente libro si è ragionato, e in Chartresaprì una celebre scuola in cui egli venne formando molticelebri allievi, e di questa città medesima fu poi ordina-to vescovo, ed ivi finalmente morì, secondo la più pro-babile opinione, l'an. 1028. Tutte le quali cose io qui ac-cenno in breve; perchè propriamente non ci appartengo-no se non assai di lontano. Nemmeno entrerò a parlare

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Suoi studj e sueopere.

confesso che comunque l'abbia più volte letta, non viscorgo una sillaba per cui si possa ciò asserire. L'espres-sioni sono sì generali, che posson convenire ugualmentea un vescovo ancor della Russia. Come dunque afferma-re che non è men certo ch'essa non è scritta ad alcun ve-scovo d'Italia? Non potrei io dire alla stessa maniera,ch'è certo ch'essa non è scritta ad alcun vescovo dellaFrancia? Ma a me basta il riflettere che da essa non sipuò ricavare di qual paese fosse il vescovo a cui essa èindirizzata; e che in conseguenza nè i Maurini han reca-to ragione alcuna che pruovi Fulberto essere stato fran-cese, nè hanno atterrate quelle che rendon probabilech'ei fosse italiano.

III. Io ho voluto stendermi alquanto suciò che appartiene alla patria di Fulber-to, per vendicare all'Italia un onore che

senza ragione da alcuni le è stato tolto. Ma non contra-sterò già a' Francesi la gloria di annoverarlo tra' loro;poichè egli veramente e nella Francia fece almeno inparte i suoi studj sotto la direzione del celebre Gerberto,di cui nel precedente libro si è ragionato, e in Chartresaprì una celebre scuola in cui egli venne formando molticelebri allievi, e di questa città medesima fu poi ordina-to vescovo, ed ivi finalmente morì, secondo la più pro-babile opinione, l'an. 1028. Tutte le quali cose io qui ac-cenno in breve; perchè propriamente non ci appartengo-no se non assai di lontano. Nemmeno entrerò a parlare

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Suoi studj e sueopere.

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delle opere che di lui ci sono rimaste, le quali sono sin-golarmente molte lettere su diversi argomenti, e alcunisermoni, e alcuni altri opuscoli de' quali, oltre i soprallo-dati Maurini, si può vedere l'erudito p. Ceillier (Hist.des Aut. eccl. t. 20, p. 118, ec.). Noi non sappiamo sedella sua dottrina fosse Fulberto almeno in parte debito-re all'Italia, e perciò non dobbiamo senza bastevole fon-damento attribuirci una gloria a cui altri hanno forse mi-glior diritto.

IV. Assai più gloriosa all'Italia è lamemoria di due illustri prelati che inquesto secol medesimo colla lor san-tità non meno che col lor sapere re-carono alla Francia e all'Inghilterra

non piccol lume, dico Lanfranco e s. Anselmo, amenduearcivescovi di Cantorberì. Che Lanfranco nascesse inPavia d'illustre famiglia al principio dell'XI secolo, datutti gli antichi scrittori si afferma concordemente; manon è ugualmente certo come e dove egli passasse i pri-mi anni della sua gioventù. Milone Crispino monaco delmonastero di Bec, che ne ha scritta prima d'ogni altro laVita verso la metà del XII secolo, racconta (V. MabillonActa SS. Ord. s. Bened. t. 9; et Acta SS. Bolland. t. 6maii) che "Lanfranco in età ancor tenera avendo perdutoil padre, e dovendo egli succedergli nelle cariche e neglionori, abbandonata la patria, andossene agli studj perdesiderio d'istruirsi; che trattenutosi ivi per lungo tempo

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Notizie di Lanfranco pavese arciv. di Can-torberì: ove facesse i primi studj.

delle opere che di lui ci sono rimaste, le quali sono sin-golarmente molte lettere su diversi argomenti, e alcunisermoni, e alcuni altri opuscoli de' quali, oltre i soprallo-dati Maurini, si può vedere l'erudito p. Ceillier (Hist.des Aut. eccl. t. 20, p. 118, ec.). Noi non sappiamo sedella sua dottrina fosse Fulberto almeno in parte debito-re all'Italia, e perciò non dobbiamo senza bastevole fon-damento attribuirci una gloria a cui altri hanno forse mi-glior diritto.

IV. Assai più gloriosa all'Italia è lamemoria di due illustri prelati che inquesto secol medesimo colla lor san-tità non meno che col lor sapere re-carono alla Francia e all'Inghilterra

non piccol lume, dico Lanfranco e s. Anselmo, amenduearcivescovi di Cantorberì. Che Lanfranco nascesse inPavia d'illustre famiglia al principio dell'XI secolo, datutti gli antichi scrittori si afferma concordemente; manon è ugualmente certo come e dove egli passasse i pri-mi anni della sua gioventù. Milone Crispino monaco delmonastero di Bec, che ne ha scritta prima d'ogni altro laVita verso la metà del XII secolo, racconta (V. MabillonActa SS. Ord. s. Bened. t. 9; et Acta SS. Bolland. t. 6maii) che "Lanfranco in età ancor tenera avendo perdutoil padre, e dovendo egli succedergli nelle cariche e neglionori, abbandonata la patria, andossene agli studj perdesiderio d'istruirsi; che trattenutosi ivi per lungo tempo

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Notizie di Lanfranco pavese arciv. di Can-torberì: ove facesse i primi studj.

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e ben formatosi a tutte le profane scienze, tornò in pa-tria; dalla quale poscia di nuovo uscito, e passate l'Alpisen venne in Francia. E altrove aggiugne ch'egli neglianni puerili fu istruito nelle scuole delle arti liberali edelle leggi secolari secondo il costume della sua patria;ch'essendo ancor giovinetto, e perorando con grandeeloquenza vinse spesso nel trattare le cause i veteranioratori, e che seppe pronunciar tai sentenze, cui i giure-consulti, i giudici e i pretori della città udivano con pia-cere. Di ciò, conchiude egli, ben si ricorda Pavia". Cosìquesto scrittore che vivendo nel monastero medesimoove era lungamente vissuto, e di cui era stato prioreLanfranco, poteva facilmente essere ben istruito di ciòche a lui apparteneva. Or in queste parole alcuni moder-ni scrittori hanno scoperte molte altre cose, cui l'autordella Vita non avea certo pensato. Il p. Mabillon uomodi vastissima erudizione, e perciò ritenuto e modestonelle sue congetture, dice che la città a cui Lanfranco re-cossi per motivo di studio, fu forse Bologna (Ann. be-ned. t. 4, l. 58, n. 44); opinione che di fatto non è impro-babile; poichè in questa città, come vedremo trattandodella giurisprudenza, eranvi scuole di eloquenza e di fi-losofia prima ancora che lo studio delle leggi vi fosseintrodotto. Ma la congettura modesta del Mabillon pres-so altri è divenuto un fatto certissimo, di cui non è lecitoil dubitare, e il p. Ceillier afferma che Lanfranco andò aBologna a studiar l'eloquenza e le leggi (Hist. des Aut.eccl. t. 21, p. 1). Ma ciò non basta. Lanfranco secondoalcuni non solo studiò le leggi, ma ne fu ancora maestro

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e ben formatosi a tutte le profane scienze, tornò in pa-tria; dalla quale poscia di nuovo uscito, e passate l'Alpisen venne in Francia. E altrove aggiugne ch'egli neglianni puerili fu istruito nelle scuole delle arti liberali edelle leggi secolari secondo il costume della sua patria;ch'essendo ancor giovinetto, e perorando con grandeeloquenza vinse spesso nel trattare le cause i veteranioratori, e che seppe pronunciar tai sentenze, cui i giure-consulti, i giudici e i pretori della città udivano con pia-cere. Di ciò, conchiude egli, ben si ricorda Pavia". Cosìquesto scrittore che vivendo nel monastero medesimoove era lungamente vissuto, e di cui era stato prioreLanfranco, poteva facilmente essere ben istruito di ciòche a lui apparteneva. Or in queste parole alcuni moder-ni scrittori hanno scoperte molte altre cose, cui l'autordella Vita non avea certo pensato. Il p. Mabillon uomodi vastissima erudizione, e perciò ritenuto e modestonelle sue congetture, dice che la città a cui Lanfranco re-cossi per motivo di studio, fu forse Bologna (Ann. be-ned. t. 4, l. 58, n. 44); opinione che di fatto non è impro-babile; poichè in questa città, come vedremo trattandodella giurisprudenza, eranvi scuole di eloquenza e di fi-losofia prima ancora che lo studio delle leggi vi fosseintrodotto. Ma la congettura modesta del Mabillon pres-so altri è divenuto un fatto certissimo, di cui non è lecitoil dubitare, e il p. Ceillier afferma che Lanfranco andò aBologna a studiar l'eloquenza e le leggi (Hist. des Aut.eccl. t. 21, p. 1). Ma ciò non basta. Lanfranco secondoalcuni non solo studiò le leggi, ma ne fu ancora maestro

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in Pavia sua patria, quand'ei vi fece ritorno. Così ci nar-rano non solo il suddetto autore, ma anche i Maurini au-tori della Storia letteraria di Francia (t. 7, p. 151), i qualiaggiungono ch'egli insieme con Guarnerio spiegò il co-dice di Giustiniano. Or questo non è certo il senso dellecitate parole, nelle quali si afferma bensì che Lanfrancosi esercitò in Pavia nel trattare le cause, e che ottennefama di giovane dottissimo nel civile diritto; ma ch'ei netenesse scuola, non si accenna punto. Convien però con-fessare che ciò non si asserisce da' moderni scrittori sen-za l'autorità di qualche antico; perciocchè Roberto delMonte, che visse o al fine del XII secolo, o al principiodel XIII, così dice (in Accessione ad Chron. Sigibert.ad. an. 1032): "Lanfrancus Papiensis et Garnerius so-cius ejus repertis apud Bononiam legibus romanis Justi-niani imperatoris, operam dederunt eas legere, et aliisexponere". Ma in primo luogo Roberto non dice cheLanfranco e Guarnerio tenessero scuola in Pavia; anziegli sembra indicarci, che ciò avvenisse in Bologna. Einnoltre Guarnerio ossia Irnerio il primo interprete delleleggi, che qui si dà per compagno a Lanfranco, fiorìquasi un secolo dopo lui; e allor solamente, o non moltoprima, come a suo luogo vedremo, ebbe principio in Bo-logna lo studio delle leggi. Quindi le parole di questobenchè antico scrittore non bastano a stabilire questaopinione che è sembrata non ben certa anche al ch. Mu-ratori (Antiq. Ital. t. 3, diss. 44, p. 886). Ciò non ostanteanche il Gatti afferma (Histor. Gymnas. Ticin. c. 12) cheLanfranco tenne scuola in Pavia, e aggiunge che vi ebbe

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in Pavia sua patria, quand'ei vi fece ritorno. Così ci nar-rano non solo il suddetto autore, ma anche i Maurini au-tori della Storia letteraria di Francia (t. 7, p. 151), i qualiaggiungono ch'egli insieme con Guarnerio spiegò il co-dice di Giustiniano. Or questo non è certo il senso dellecitate parole, nelle quali si afferma bensì che Lanfrancosi esercitò in Pavia nel trattare le cause, e che ottennefama di giovane dottissimo nel civile diritto; ma ch'ei netenesse scuola, non si accenna punto. Convien però con-fessare che ciò non si asserisce da' moderni scrittori sen-za l'autorità di qualche antico; perciocchè Roberto delMonte, che visse o al fine del XII secolo, o al principiodel XIII, così dice (in Accessione ad Chron. Sigibert.ad. an. 1032): "Lanfrancus Papiensis et Garnerius so-cius ejus repertis apud Bononiam legibus romanis Justi-niani imperatoris, operam dederunt eas legere, et aliisexponere". Ma in primo luogo Roberto non dice cheLanfranco e Guarnerio tenessero scuola in Pavia; anziegli sembra indicarci, che ciò avvenisse in Bologna. Einnoltre Guarnerio ossia Irnerio il primo interprete delleleggi, che qui si dà per compagno a Lanfranco, fiorìquasi un secolo dopo lui; e allor solamente, o non moltoprima, come a suo luogo vedremo, ebbe principio in Bo-logna lo studio delle leggi. Quindi le parole di questobenchè antico scrittore non bastano a stabilire questaopinione che è sembrata non ben certa anche al ch. Mu-ratori (Antiq. Ital. t. 3, diss. 44, p. 886). Ciò non ostanteanche il Gatti afferma (Histor. Gymnas. Ticin. c. 12) cheLanfranco tenne scuola in Pavia, e aggiunge che vi ebbe

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fra gli altri a scolaro Anselmo da Baggio, che fu posciapontefice col nome di Alessandro II. E che questi fossescolaro di Lanfranco non può negarsi; ma è ugualmentecerto che ciò fu nel monastero di Bec, e non in Pavia.Ecco le parole con cui Alessandro, secondo il soprallo-dato Milone Crispino, si volse a quelli che si maravi-gliavano degli onori che da lui vedevano rendersi a Lan-franco allora arcivescovo: "Non ideo assurrexi ei, quiaarchiepiscopus Cantuariae est; sed quia Becci ad scho-lam ejus fui; et ad pedes ejus cum aliis auditor consedi(in Vita c. 5)". Non vi ha dunque alcun argomento baste-vole ad affermare che Lanfranco tenesse scuola o in Bo-logna, o in Pavia; e solo è certo ch'ei si fornì in Italia diquella vasta dottrina che poscia sì felicemente diffuse inFrancia e in Inghilterra. Ma intorno alla scuola di leggida Lanfranco aperta dovremo favellare più distesamen-te, ove tratteremo della giurisprudenza.

V. Passato in Francia Lanfranco aprì primie-ramente scuola in Avranches nella Norman-dia; poscia abbandonato il mondo, e conse-cratosi a Dio nel monastero di Bec nellastessa provincia, ivi ancora prese ad istruire

non i monaci solamente, ma altri ancora che da ogniparte accorrevano tratti dalla fama di sì illustre maestro(Vita c. 1). La stima ch'egli in questo impiego acquistos-si, fu tale che gli antichi scrittori non altrimenti di lui ciragionano che come di ristoratore delle scienze. "Latini-

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Passato in Francia vi fa rifiorire gli studj.

fra gli altri a scolaro Anselmo da Baggio, che fu posciapontefice col nome di Alessandro II. E che questi fossescolaro di Lanfranco non può negarsi; ma è ugualmentecerto che ciò fu nel monastero di Bec, e non in Pavia.Ecco le parole con cui Alessandro, secondo il soprallo-dato Milone Crispino, si volse a quelli che si maravi-gliavano degli onori che da lui vedevano rendersi a Lan-franco allora arcivescovo: "Non ideo assurrexi ei, quiaarchiepiscopus Cantuariae est; sed quia Becci ad scho-lam ejus fui; et ad pedes ejus cum aliis auditor consedi(in Vita c. 5)". Non vi ha dunque alcun argomento baste-vole ad affermare che Lanfranco tenesse scuola o in Bo-logna, o in Pavia; e solo è certo ch'ei si fornì in Italia diquella vasta dottrina che poscia sì felicemente diffuse inFrancia e in Inghilterra. Ma intorno alla scuola di leggida Lanfranco aperta dovremo favellare più distesamen-te, ove tratteremo della giurisprudenza.

V. Passato in Francia Lanfranco aprì primie-ramente scuola in Avranches nella Norman-dia; poscia abbandonato il mondo, e conse-cratosi a Dio nel monastero di Bec nellastessa provincia, ivi ancora prese ad istruire

non i monaci solamente, ma altri ancora che da ogniparte accorrevano tratti dalla fama di sì illustre maestro(Vita c. 1). La stima ch'egli in questo impiego acquistos-si, fu tale che gli antichi scrittori non altrimenti di lui ciragionano che come di ristoratore delle scienze. "Latini-

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Passato in Francia vi fa rifiorire gli studj.

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tas", dice Milone Crispino (ib.) "in antiquum scientiaestatum ab eo restituta, tota supremum debito cum amoreet honore agnoscit magistrum... ipsa quoque in liberali-bus studiis magistra Gentium Graecia discipulos illiuslibenter audiebat et admirabatur". Le quali parole veg-gonsi ancor ripetute da Guglielmo gemmeticense (Hist.Normann. l. 6). Guimondo vescovo di Aversa, e già di-scepolo di Lanfranco, dice che per mezzo di questo dot-tissimo uomo ravvivò Iddio, e fe' rifiorire le arti liberaliche nella Francia erano allor decadute (Lib. De Corp. etSang. Christi). E similmente Guglielmo Malmesburyscrittore del XII secolo afferma (De Gestis Reg. Anglor.l. 1) ch'egli tenne pubblica scuola di dialettica; e che sene sparse per ogni dove la fama, talchè la scuola del mo-nastero di Bec era sopra le altre celebre e rinomata. Eciò raccogliesi ancora dal numero, e dal sapere di moltitra quelli che a questa scuola concorsero; fra' quali vo-glionsi annoverare singolarmente Alessandro II, il sud-detto Guimondo vescovo d'Aversa, s. Anselmo arcive-scovo, di cui fra poco ragioneremo, il celebre Ivone diChartres ristoratore del diritto canonico in Francia, oltretanti altri che si annoverano dagli eruditi Maurini autoridella Storia letteraria di Francia (t. 7, p. 79).

VI. Ciò ch'è più degno di maraviglia, si èche il saper di Lanfranco fu di un generegià da lungo tempo dimenticato, e in cuiegli non potè avere altro maestro che il

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Sue premure nel confronta-re e nel cor-reggere gli antichi codici.

tas", dice Milone Crispino (ib.) "in antiquum scientiaestatum ab eo restituta, tota supremum debito cum amoreet honore agnoscit magistrum... ipsa quoque in liberali-bus studiis magistra Gentium Graecia discipulos illiuslibenter audiebat et admirabatur". Le quali parole veg-gonsi ancor ripetute da Guglielmo gemmeticense (Hist.Normann. l. 6). Guimondo vescovo di Aversa, e già di-scepolo di Lanfranco, dice che per mezzo di questo dot-tissimo uomo ravvivò Iddio, e fe' rifiorire le arti liberaliche nella Francia erano allor decadute (Lib. De Corp. etSang. Christi). E similmente Guglielmo Malmesburyscrittore del XII secolo afferma (De Gestis Reg. Anglor.l. 1) ch'egli tenne pubblica scuola di dialettica; e che sene sparse per ogni dove la fama, talchè la scuola del mo-nastero di Bec era sopra le altre celebre e rinomata. Eciò raccogliesi ancora dal numero, e dal sapere di moltitra quelli che a questa scuola concorsero; fra' quali vo-glionsi annoverare singolarmente Alessandro II, il sud-detto Guimondo vescovo d'Aversa, s. Anselmo arcive-scovo, di cui fra poco ragioneremo, il celebre Ivone diChartres ristoratore del diritto canonico in Francia, oltretanti altri che si annoverano dagli eruditi Maurini autoridella Storia letteraria di Francia (t. 7, p. 79).

VI. Ciò ch'è più degno di maraviglia, si èche il saper di Lanfranco fu di un generegià da lungo tempo dimenticato, e in cuiegli non potè avere altro maestro che il

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Sue premure nel confronta-re e nel cor-reggere gli antichi codici.

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suo genio medesimo. La buona critica fra la universalebarbarie che innondata avea l'Europa, era allora intera-mente perduta. Le opere degli uomini dotti passate permille mani di copisti spesso ignoranti eran malconcie econtraffatte per modo, che spesso o non poteasi rilevar-ne alcun senso, o rilevavasi totalmente contrario a queldell'autore. E i Libri sacri medesimi non erano andatiesenti da sì misero guasto, Lanfranco che conoscevaneil danno presente, e il molto peggiore che temer dovea-sene per l'avvenire, applicossi al noioso ma troppo allornecessario esercizio di esaminare, di confrontar, di cor-reggere, per lasciare in tal maniera codici esatti a cui po-tersi sicuramente affidare. Così egli fece per testimoniodel più volte lodato Milone Crispino (Vita c. 6) di tutti ilibri del Vecchio e del Nuovo Testamento, e di molteopere de' santi Padri; anzi di que' libri ancora che per gliufficj ecclesiastici erano in uso. Gli autori della Storialetteraria di Francia osservano (l. c. p. 117) che ne' mo-nasteri di s. Martino di Seez e di s. Vincenzio del Manstuttor conservansi alcuni codici delle Opere di Cassianoe di s. Ambrogio corretti per man di Lanfranco. E ben segli offerse occasione opportuna a mostrare quanto eifosse versato nella lettura de' santi Padri. Perciocchè Be-rengario che di que' tempi levò la fronte contro la dottri-na universal della Chiesa intorno al mistero dell'Eucari-stia, avendo avuto l'ardire, secondo l'ordinario costumede' Novatori, di citar passi falsi, o corrotti de' ss. Padri,Lanfranco ne scoprì tosto le frodi come veggiamdall'opera che contro di lui egli scrisse.

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suo genio medesimo. La buona critica fra la universalebarbarie che innondata avea l'Europa, era allora intera-mente perduta. Le opere degli uomini dotti passate permille mani di copisti spesso ignoranti eran malconcie econtraffatte per modo, che spesso o non poteasi rilevar-ne alcun senso, o rilevavasi totalmente contrario a queldell'autore. E i Libri sacri medesimi non erano andatiesenti da sì misero guasto, Lanfranco che conoscevaneil danno presente, e il molto peggiore che temer dovea-sene per l'avvenire, applicossi al noioso ma troppo allornecessario esercizio di esaminare, di confrontar, di cor-reggere, per lasciare in tal maniera codici esatti a cui po-tersi sicuramente affidare. Così egli fece per testimoniodel più volte lodato Milone Crispino (Vita c. 6) di tutti ilibri del Vecchio e del Nuovo Testamento, e di molteopere de' santi Padri; anzi di que' libri ancora che per gliufficj ecclesiastici erano in uso. Gli autori della Storialetteraria di Francia osservano (l. c. p. 117) che ne' mo-nasteri di s. Martino di Seez e di s. Vincenzio del Manstuttor conservansi alcuni codici delle Opere di Cassianoe di s. Ambrogio corretti per man di Lanfranco. E ben segli offerse occasione opportuna a mostrare quanto eifosse versato nella lettura de' santi Padri. Perciocchè Be-rengario che di que' tempi levò la fronte contro la dottri-na universal della Chiesa intorno al mistero dell'Eucari-stia, avendo avuto l'ardire, secondo l'ordinario costumede' Novatori, di citar passi falsi, o corrotti de' ss. Padri,Lanfranco ne scoprì tosto le frodi come veggiamdall'opera che contro di lui egli scrisse.

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VII. La fama che del saper di Lanfrancosi sparse per ogni luogo, gli aprì la strada,benchè suo malgrado, alle più ragguarde-voli dignità. Egli ricusò costantementel'arcivescovado di Rouen, che gli fu of-

ferto l'an. 1067. Ma non potè ugualmente sottrarsi aquello di Cantorberì, cui egli dovette finalmente accetta-re l'an. 1070. Ciò ch'egli vi operasse alla riforma del cle-ro, a vantaggio della sua chiesa e di tutto il regno, nonappartiene punto alla Storia della Letteratura; nè io deb-bo perciò trattenermi a favellarne più oltre. Ei morì l'an.1089; e, benchè non sia stato onorato di culto pubblico,se ne vede però inserito il nome in non pochi Martirolo-gi. Le opere che di lui ci sono rimaste, non sono puntoinferiori agli elogi che ne han fatto gli scrittori contem-poranei. Esse sono un Trattato contro la eresia di Beren-gario e a difesa della Dottrina della Chiesa cattolica in-torno l'Eucaristia; gli Statuti da lui composti pe' monacid'Inghilterra e per la celebrazione de' divini Ufficj; mol-te lettere da lui scritte, altre mentre era monaco, altrementre era arcivescovo di Cantorberì, per tacere di altreopere le quali o senza bastevole fondamento gli si attri-buiscono, e son certamente di altri autori; o furono bensìscritte da lui, ma or più non si trovano, o almeno nonsono ancora venute a luce. Di esse e di altre cose che aLanfranco appartengono, si veggano gli scrittori dellaStoria e delle Biblioteche ecclesiastiche, e tra questi sin-golarmente il p. Ceillier (l. c.), il quale secondo il co-mun sentimento osserva che nelle opere di Lanfranco si

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Suo arcivesco-vado, sua mor-te e sue opere.

VII. La fama che del saper di Lanfrancosi sparse per ogni luogo, gli aprì la strada,benchè suo malgrado, alle più ragguarde-voli dignità. Egli ricusò costantementel'arcivescovado di Rouen, che gli fu of-

ferto l'an. 1067. Ma non potè ugualmente sottrarsi aquello di Cantorberì, cui egli dovette finalmente accetta-re l'an. 1070. Ciò ch'egli vi operasse alla riforma del cle-ro, a vantaggio della sua chiesa e di tutto il regno, nonappartiene punto alla Storia della Letteratura; nè io deb-bo perciò trattenermi a favellarne più oltre. Ei morì l'an.1089; e, benchè non sia stato onorato di culto pubblico,se ne vede però inserito il nome in non pochi Martirolo-gi. Le opere che di lui ci sono rimaste, non sono puntoinferiori agli elogi che ne han fatto gli scrittori contem-poranei. Esse sono un Trattato contro la eresia di Beren-gario e a difesa della Dottrina della Chiesa cattolica in-torno l'Eucaristia; gli Statuti da lui composti pe' monacid'Inghilterra e per la celebrazione de' divini Ufficj; mol-te lettere da lui scritte, altre mentre era monaco, altrementre era arcivescovo di Cantorberì, per tacere di altreopere le quali o senza bastevole fondamento gli si attri-buiscono, e son certamente di altri autori; o furono bensìscritte da lui, ma or più non si trovano, o almeno nonsono ancora venute a luce. Di esse e di altre cose che aLanfranco appartengono, si veggano gli scrittori dellaStoria e delle Biblioteche ecclesiastiche, e tra questi sin-golarmente il p. Ceillier (l. c.), il quale secondo il co-mun sentimento osserva che nelle opere di Lanfranco si

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Suo arcivesco-vado, sua mor-te e sue opere.

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vede ordine, precisione, chiarezza, stil grave insieme esemplice e naturale, e giusto e forzoso ragionamento; iquai pregi, se in ogni età hanno renduto celebre unoscrittore, molto più a questa di cui trattiamo, quando erasì raro il trovare chi ne fosse fornito.

VIII. L'altro Italiano a cui la Francia nonmeno che l'Inghilterra dovettero in granparte il risorgimento de' buoni studj, fu s.Anselmo arcivescovo egli pure di Cantor-berì. Io spero che i Francesi non si sdegne-

ranno con noi, se lo annoveriamo tra' nostri, sì perchè einacque in Aosta, la qual città non negheranno che ap-partenga all'Italia, sì perchè Gondulfo di lui padre eranatio di Lombardia, e venuto a fissar sua dimora in Ao-sta, come racconta il monaco Eadmero che vissuto piùanni con questo santo arcivescovo, ne scrisse posciaesattamente la Vita. Ei nacque verso l'an. 1034, e nell'etàsua puerile istruito negli studj proprj di essa, vi fece nonordinarj progressi. Passato quindi in Francia, e venuto almonastero di Bec, ove allora teneva scuola Lanfranco,riprese con più ardore i suoi studi sotto la direzione di sìgrand'uomo, e poscia nel monastero medesimo conse-crossi a Dio nell'anno 27 di sua età. Le religiose virtùnon furono da lui coltivate con minor fervore; e in esseei si rendette sì perfetto modello, che quindi a tre anni fufatto priore, e poscia abate del monastero suddetto; dacui tratto l'an. 1093 per sollevarlo all'arcivescovado di

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Elogio di s. Anselmo arci-vesc. di Can-torberì.

vede ordine, precisione, chiarezza, stil grave insieme esemplice e naturale, e giusto e forzoso ragionamento; iquai pregi, se in ogni età hanno renduto celebre unoscrittore, molto più a questa di cui trattiamo, quando erasì raro il trovare chi ne fosse fornito.

VIII. L'altro Italiano a cui la Francia nonmeno che l'Inghilterra dovettero in granparte il risorgimento de' buoni studj, fu s.Anselmo arcivescovo egli pure di Cantor-berì. Io spero che i Francesi non si sdegne-

ranno con noi, se lo annoveriamo tra' nostri, sì perchè einacque in Aosta, la qual città non negheranno che ap-partenga all'Italia, sì perchè Gondulfo di lui padre eranatio di Lombardia, e venuto a fissar sua dimora in Ao-sta, come racconta il monaco Eadmero che vissuto piùanni con questo santo arcivescovo, ne scrisse posciaesattamente la Vita. Ei nacque verso l'an. 1034, e nell'etàsua puerile istruito negli studj proprj di essa, vi fece nonordinarj progressi. Passato quindi in Francia, e venuto almonastero di Bec, ove allora teneva scuola Lanfranco,riprese con più ardore i suoi studi sotto la direzione di sìgrand'uomo, e poscia nel monastero medesimo conse-crossi a Dio nell'anno 27 di sua età. Le religiose virtùnon furono da lui coltivate con minor fervore; e in esseei si rendette sì perfetto modello, che quindi a tre anni fufatto priore, e poscia abate del monastero suddetto; dacui tratto l'an. 1093 per sollevarlo all'arcivescovado di

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Elogio di s. Anselmo arci-vesc. di Can-torberì.

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Cantorberì, vacante già da 4 anni dopo la morte di Lan-franco, lo resse per 16 anni, benchè travagliato quasicontinuamente per le dissensioni che tra lui e i due red'Inghilterra, Guglielmo soprannomato il rosso, ed Arri-go I, si accesero sulla materia si caldamente allora agita-ta delle ecclesiastiche immunità e delle investiture; fin-chè riconciliatosi col sovrano l'an. 1106, governollo po-scia con maggior tranquillità fino all'an. 1109 in cui san-tamente morì. Tutto ciò mi basta aver brevemente ac-cennato; perciocchè, esse son cose troppo alienedall'argomento di questa Storia.

IX. Ma non vuolsi passar così di leggeri suciò che appartiene agli studj e al sapere diquesto prelato. Ei succedette a Lanfranconel reggimento della scuola del monasterodi Bec, e questa che pel valore di un Italia-no era già salita a fama non ordinaria, da

un altro Italiano fu renduta ancora più illustre. Egli an-cora occupossi, come il suo maestro Lanfranco, nel con-frontare e correggere i codici i quali, come dice Eadme-ro (in Vita Ans. l. 1), erano allora in ogni parte delmondo troppo guasti e scorretti. A' giovani che ancordalle più lontane parti a lui accorrevano per istruirsi, simostrava sollecito amorevole padre, e rimirandoli comepieghevole cera che facilmente riceve ogni impressione,cercava con ogni maniera di volgerli al bene, e collescienze istillava ne' teneri loro animi la pietà e la religio-

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Suoi studj, sue opere, e pregio in cui debbono aversi.

Cantorberì, vacante già da 4 anni dopo la morte di Lan-franco, lo resse per 16 anni, benchè travagliato quasicontinuamente per le dissensioni che tra lui e i due red'Inghilterra, Guglielmo soprannomato il rosso, ed Arri-go I, si accesero sulla materia si caldamente allora agita-ta delle ecclesiastiche immunità e delle investiture; fin-chè riconciliatosi col sovrano l'an. 1106, governollo po-scia con maggior tranquillità fino all'an. 1109 in cui san-tamente morì. Tutto ciò mi basta aver brevemente ac-cennato; perciocchè, esse son cose troppo alienedall'argomento di questa Storia.

IX. Ma non vuolsi passar così di leggeri suciò che appartiene agli studj e al sapere diquesto prelato. Ei succedette a Lanfranconel reggimento della scuola del monasterodi Bec, e questa che pel valore di un Italia-no era già salita a fama non ordinaria, da

un altro Italiano fu renduta ancora più illustre. Egli an-cora occupossi, come il suo maestro Lanfranco, nel con-frontare e correggere i codici i quali, come dice Eadme-ro (in Vita Ans. l. 1), erano allora in ogni parte delmondo troppo guasti e scorretti. A' giovani che ancordalle più lontane parti a lui accorrevano per istruirsi, simostrava sollecito amorevole padre, e rimirandoli comepieghevole cera che facilmente riceve ogni impressione,cercava con ogni maniera di volgerli al bene, e collescienze istillava ne' teneri loro animi la pietà e la religio-

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Suoi studj, sue opere, e pregio in cui debbono aversi.

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ne (ib.). Non fu però il solo monastero di Bec, che go-desse de' frutti del sapere di questo grand'uomo. Mentreegli era arcivescovo di Cantorberì, venuto a Roma inter-venne l'an. 1098 al Concilio di Bari, e disputò dottamen-te e con applauso di tutti contro l'error de' Greci intornoalla processione dello Spirito Santo. Ma le sue operesingolarmente sono e saranno sempre un chiarissimo te-stimonio della profonda dottrina di s. Anselmo. Io nonentrerò a parlare di ciascheduna di esse, per non ripetereinutilmente ciò che tanti altri ne hanno già detto; fra'quali più esattamente di tutti ne han ragionato il p. Ger-beron nella bella edizione che ci ha data dell'Opere diquesto santo dottore, i Maurini autori della Storia lette-raria di Francia (t. 9, p. 398), il p. Ceillier (Hist. des Aut.eccl. t. 21, p. 267), e il ch. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 1,par. 2). Qui basti solo il riflettere che oltre le Omelie, leLettere, e molte opere ascetiche, ne' suoi trattati teologi-ci, e singolarmente nel Monologio e nel Proslogio noiveggiamo esaminate e svolte felicemente le più astrusequistioni sull'esistenza, sulla natura, sugli attributi diDio, e ciò non tanto col ricorrere all'autorità della sacraScrittura e de' Padri, quanto cogli argomenti tratti dallaragione, da lui maneggiati con sottigliezza e con eviden-za non ordinaria; il che lo ha fatto considerare come ilpadre della scolastica teologia, la qual però non fu da luiinviluppata in quelle barbare voci che furon poscia in-trodotte nei secoli susseguenti. Lo stesso metodo eglitenne negli altri trattati della verità, del libero arbitrio,della concordia, della prescienza, della predestinazione,

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ne (ib.). Non fu però il solo monastero di Bec, che go-desse de' frutti del sapere di questo grand'uomo. Mentreegli era arcivescovo di Cantorberì, venuto a Roma inter-venne l'an. 1098 al Concilio di Bari, e disputò dottamen-te e con applauso di tutti contro l'error de' Greci intornoalla processione dello Spirito Santo. Ma le sue operesingolarmente sono e saranno sempre un chiarissimo te-stimonio della profonda dottrina di s. Anselmo. Io nonentrerò a parlare di ciascheduna di esse, per non ripetereinutilmente ciò che tanti altri ne hanno già detto; fra'quali più esattamente di tutti ne han ragionato il p. Ger-beron nella bella edizione che ci ha data dell'Opere diquesto santo dottore, i Maurini autori della Storia lette-raria di Francia (t. 9, p. 398), il p. Ceillier (Hist. des Aut.eccl. t. 21, p. 267), e il ch. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 1,par. 2). Qui basti solo il riflettere che oltre le Omelie, leLettere, e molte opere ascetiche, ne' suoi trattati teologi-ci, e singolarmente nel Monologio e nel Proslogio noiveggiamo esaminate e svolte felicemente le più astrusequistioni sull'esistenza, sulla natura, sugli attributi diDio, e ciò non tanto col ricorrere all'autorità della sacraScrittura e de' Padri, quanto cogli argomenti tratti dallaragione, da lui maneggiati con sottigliezza e con eviden-za non ordinaria; il che lo ha fatto considerare come ilpadre della scolastica teologia, la qual però non fu da luiinviluppata in quelle barbare voci che furon poscia in-trodotte nei secoli susseguenti. Lo stesso metodo eglitenne negli altri trattati della verità, del libero arbitrio,della concordia, della prescienza, della predestinazione,

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e della grazia colla libertà, della volontà di Dio, e in altrisomiglianti argomenti. Nè minor dottrina diede egli avedere in quelle materie che richiedevano argomentipresi dalle Scritture sacre e dalla tradizione, come neiTrattati del Sacramento dell'Altare, della Incarnazione,della Processione dello Spirito Santo, e in altri, i qualipure furono da lui trattati con giusto metodo e con filo-sofica precisione.

X. Di Lanfranco e di Anselmo avremo aragionar di bel nuovo, quando tratteremodella filosofia di questi tempi. Ma io nonvoglio frattanto differire più oltre a ripor-tare l'elogio che di questi due illustri Ita-

liani han fatto i Maurini autori della Storia letteraria diFrancia; elogio di cui tanto più noi dobbiam compiacer-ci, quanto più si credon sincere le lodi che vengono da-gli stranieri, e, diciamo ancor, da' rivali. "Lanfranco eAnselmo, dicono essi (t. 7 p. 76, ec.) che aveano per labella latinità e per le più alte scienze un finissimo gustodopo il decadimento delle lettere non ancor conosciuto,il comunicarono a' lor discepoli, e questi ad altri. Felicirivoluzioni, le cui influenze essendosi sparse a poco apoco in tutta la Francia, e passate ancor in Inghilterra, inItalia, e in Allemagna, furono la sorgente di quel risorgi-mento delle scienze, che si vide tra' nostri Francesi a'tempi di Luigi il giovane! Al monastero di Bec si deegiustamente la lode di essere stato per così dire la culla

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Elogi fatti ad Anselmo e a Lanfranco dai Maurini.

e della grazia colla libertà, della volontà di Dio, e in altrisomiglianti argomenti. Nè minor dottrina diede egli avedere in quelle materie che richiedevano argomentipresi dalle Scritture sacre e dalla tradizione, come neiTrattati del Sacramento dell'Altare, della Incarnazione,della Processione dello Spirito Santo, e in altri, i qualipure furono da lui trattati con giusto metodo e con filo-sofica precisione.

X. Di Lanfranco e di Anselmo avremo aragionar di bel nuovo, quando tratteremodella filosofia di questi tempi. Ma io nonvoglio frattanto differire più oltre a ripor-tare l'elogio che di questi due illustri Ita-

liani han fatto i Maurini autori della Storia letteraria diFrancia; elogio di cui tanto più noi dobbiam compiacer-ci, quanto più si credon sincere le lodi che vengono da-gli stranieri, e, diciamo ancor, da' rivali. "Lanfranco eAnselmo, dicono essi (t. 7 p. 76, ec.) che aveano per labella latinità e per le più alte scienze un finissimo gustodopo il decadimento delle lettere non ancor conosciuto,il comunicarono a' lor discepoli, e questi ad altri. Felicirivoluzioni, le cui influenze essendosi sparse a poco apoco in tutta la Francia, e passate ancor in Inghilterra, inItalia, e in Allemagna, furono la sorgente di quel risorgi-mento delle scienze, che si vide tra' nostri Francesi a'tempi di Luigi il giovane! Al monastero di Bec si deegiustamente la lode di essere stato per così dire la culla

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Elogi fatti ad Anselmo e a Lanfranco dai Maurini.

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di questo rinascimento. Lo storico della Vita di Lanfran-co, prevedendolo da lungi, lo prediceva fin da' suoi tem-pi; e perciò egli scrisse che tutta la Chiesa occidentale, enominatamente la Francia e l'Allemagna, godevano alvedersi rischiarate da luce sì luminosa.... Prima che Lan-franco e Anselmo di lui scolaro tenessero scuola in que-sto monastero, il latino dei Francesi era d'ordinario in-colto, grossolano, e barbaro: la lor teologia era rozza,inanimata, e mancante spesso di esattezza nei ragiona-menti; la lor filosofia ancora non consisteva che in unamisera dialettica, e della metafisica appena conoscevanoil nome. Ma dappoichè questi due grand'uomini ebberofatte le pubbliche loro lezioni così a voce come in iscrit-to, tutte queste facoltà letterarie giunsero a un grado diperfezione, cui i più illuminati secoli posteriori non han-no avuta difficoltà a prendere per modello. Lanfrancofece rivivere l'ingegnosa e trionfatrice maniera d'impie-gare le armi che a difender la Fede somministra la teolo-gia. Anselmo sciolse quistioni teologiche sconosciutefin a quel tempo ed oscure; e chiaramente mostrando laconformità delle sue decisioni coll'autorità della sacraScrittura, scoprì ai teologi un nuovo metodo di trattar lecose divine, accordando la ragione colla rivelazione. In-segnò a' filosofi a sollevarsi non solo sopra le sottigliez-ze e il barbarismo della scuola, ma ancora sopra tutte lecose sensibili, e a far uso dell'idee innate e del lume na-turale che il Creatore ha comunicato all'umano intendi-mento. Anselmo ne diede saggio egli stesso in diversi li-bri che gli hanno meritato il titolo del più eccellente me-

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di questo rinascimento. Lo storico della Vita di Lanfran-co, prevedendolo da lungi, lo prediceva fin da' suoi tem-pi; e perciò egli scrisse che tutta la Chiesa occidentale, enominatamente la Francia e l'Allemagna, godevano alvedersi rischiarate da luce sì luminosa.... Prima che Lan-franco e Anselmo di lui scolaro tenessero scuola in que-sto monastero, il latino dei Francesi era d'ordinario in-colto, grossolano, e barbaro: la lor teologia era rozza,inanimata, e mancante spesso di esattezza nei ragiona-menti; la lor filosofia ancora non consisteva che in unamisera dialettica, e della metafisica appena conoscevanoil nome. Ma dappoichè questi due grand'uomini ebberofatte le pubbliche loro lezioni così a voce come in iscrit-to, tutte queste facoltà letterarie giunsero a un grado diperfezione, cui i più illuminati secoli posteriori non han-no avuta difficoltà a prendere per modello. Lanfrancofece rivivere l'ingegnosa e trionfatrice maniera d'impie-gare le armi che a difender la Fede somministra la teolo-gia. Anselmo sciolse quistioni teologiche sconosciutefin a quel tempo ed oscure; e chiaramente mostrando laconformità delle sue decisioni coll'autorità della sacraScrittura, scoprì ai teologi un nuovo metodo di trattar lecose divine, accordando la ragione colla rivelazione. In-segnò a' filosofi a sollevarsi non solo sopra le sottigliez-ze e il barbarismo della scuola, ma ancora sopra tutte lecose sensibili, e a far uso dell'idee innate e del lume na-turale che il Creatore ha comunicato all'umano intendi-mento. Anselmo ne diede saggio egli stesso in diversi li-bri che gli hanno meritato il titolo del più eccellente me-

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tafisico che dopo i tempi di s. Agostino ci sia vissuto".Fin qui essi, e in più altri luoghi ancora dell'opera lorofanno somiglianti elogi di questi due celebri ristoratoridelle scienze e della buona letteratura: dopo i quali essici permetteranno, io spero, di trarne una conseguenzaall'Italia nostra troppo onorevole, cioè che a questi dueItaliani dee singolarmente la Francia l'onore e la fama acui salirono le scuole e i suoi studj, e che tanti Italianiancora colà condusse a coltivarli (9).

9 Non solo la Francia e l'Inghiltera ricevettero nel secolo XI non mediocrevantaggio dal sapere degli Italiani, ma esso fu ancora utile all'Ungheria. S.Gherardo veneziano di patria, e creduto da alcuni della illustre famigliaSagredo, fu da s. Stefano re d'Ungheria circa l'anno 1004 destinato a pro-mulgar l'Evangelio in quel regno, indi nominato istruttore del suo figlio s.Emerico fino all'an 1030 in cui fu nominato vescovo Morisano, e fu posciaucciso dagli infedeli circa l'an 1045. Di lui si posson vedere più esatte no-tizie presso il p. Stiltingo (Acta SS. Sept t. 2, p. 712, ec.), l'ab. StefanoKatona (Hist. Crit. Regum Hung Posenii. 1779, t. 1, 2), il p. Giorgio Pray(Ann. Reg. Hung. Vindob. 1163, pars 1, p. 51; Hierarchia Hung. pars. 2, p.281, 290), e il can. Giuseppe Kollar (Hist. Episcopat. Quinqueccles. Poso-nii, 1782, t. 1, p. 105). Il Sansovino avealo fatto autore di alcune opere(Ven. l. 13), ma niuno sapeva indicarci ove esse fossero. Il sig. card. Giu-seppe Garampi, il quale nel tempo della sua nunciatura alla corte di Viennaha esaminate molte biblioteche della Allemagna con quella diligenza e conquella esattezza che de' veri dotti è propria, e che ha voluto gentilmentecomunicarmi il frutto delle sue ricerche, mi ha indicato un codice in fol.della biblioteca capitolare della cattedrale di Frisinga scritto, come sembra,nel XII secolo. Essa ha per titolo: Deliberatio Gerardi Moresanae Eccle-siae episcopi super hymnum trium puerorum ad Insingrimum Liberalem,ed è diviso in otto libri o trattati scritti a foggia di prediche al popolo, ne'quali tropologicamente e anagogicamente si illustrano i soli primi versettidel cantico. Benchè lo stile ne sia intralciato ed oscuro, forse anche percolpa degli amanuensi, molte pregevoli notizie però vi s'incontrano per lastoria di que' tempi, e delle eresie allor nate, e delle persecuzioni dellachiesa, E due altre sue opere vi accenna egli, cioè a p. 69 un suo Comentosull'Epistola agli Ebrei, e a p. 165 un opuscolo de Divino Patrimonio, le

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tafisico che dopo i tempi di s. Agostino ci sia vissuto".Fin qui essi, e in più altri luoghi ancora dell'opera lorofanno somiglianti elogi di questi due celebri ristoratoridelle scienze e della buona letteratura: dopo i quali essici permetteranno, io spero, di trarne una conseguenzaall'Italia nostra troppo onorevole, cioè che a questi dueItaliani dee singolarmente la Francia l'onore e la fama acui salirono le scuole e i suoi studj, e che tanti Italianiancora colà condusse a coltivarli (9).

9 Non solo la Francia e l'Inghiltera ricevettero nel secolo XI non mediocrevantaggio dal sapere degli Italiani, ma esso fu ancora utile all'Ungheria. S.Gherardo veneziano di patria, e creduto da alcuni della illustre famigliaSagredo, fu da s. Stefano re d'Ungheria circa l'anno 1004 destinato a pro-mulgar l'Evangelio in quel regno, indi nominato istruttore del suo figlio s.Emerico fino all'an 1030 in cui fu nominato vescovo Morisano, e fu posciaucciso dagli infedeli circa l'an 1045. Di lui si posson vedere più esatte no-tizie presso il p. Stiltingo (Acta SS. Sept t. 2, p. 712, ec.), l'ab. StefanoKatona (Hist. Crit. Regum Hung Posenii. 1779, t. 1, 2), il p. Giorgio Pray(Ann. Reg. Hung. Vindob. 1163, pars 1, p. 51; Hierarchia Hung. pars. 2, p.281, 290), e il can. Giuseppe Kollar (Hist. Episcopat. Quinqueccles. Poso-nii, 1782, t. 1, p. 105). Il Sansovino avealo fatto autore di alcune opere(Ven. l. 13), ma niuno sapeva indicarci ove esse fossero. Il sig. card. Giu-seppe Garampi, il quale nel tempo della sua nunciatura alla corte di Viennaha esaminate molte biblioteche della Allemagna con quella diligenza e conquella esattezza che de' veri dotti è propria, e che ha voluto gentilmentecomunicarmi il frutto delle sue ricerche, mi ha indicato un codice in fol.della biblioteca capitolare della cattedrale di Frisinga scritto, come sembra,nel XII secolo. Essa ha per titolo: Deliberatio Gerardi Moresanae Eccle-siae episcopi super hymnum trium puerorum ad Insingrimum Liberalem,ed è diviso in otto libri o trattati scritti a foggia di prediche al popolo, ne'quali tropologicamente e anagogicamente si illustrano i soli primi versettidel cantico. Benchè lo stile ne sia intralciato ed oscuro, forse anche percolpa degli amanuensi, molte pregevoli notizie però vi s'incontrano per lastoria di que' tempi, e delle eresie allor nate, e delle persecuzioni dellachiesa, E due altre sue opere vi accenna egli, cioè a p. 69 un suo Comentosull'Epistola agli Ebrei, e a p. 165 un opuscolo de Divino Patrimonio, le

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XI. Nè qui ebber fine i vantaggi che inquest'epoca dall'Italia ritrasse la franceseletteratura sacra. All'onore che la scuola delmonastero di Bec in Normandia avea rice-vuto da Lanfranco e da Anselmo, si aggiun-se verso la metà del XII secolo quello che

alle scuole di Parigi recò il famoso Pietro lombardo. Diquest'uomo quanto è celebre il nome, altrettanto è oscu-ra l'origine. Gli antichi scrittori non con altro nome nespiegan la patria, che con quel di lombardo, parola ditroppo ampio significato, perchè si possa accertare oveegli nascesse. La comune opinione il fa natio dei territo-rio novarese; e io son ben lungi dal voler render dubbio-sa tal gloria di questa illustre città (10). Nondimeno ci

quali forse or sono smarrite.10 Io non vo' ritoccar la quistione della patria di Pietro lombardo, sulla quale

all'occasione di questo passo della mia Storia è nata una letteraria contesatra un Accademico Oscuro, il quale si e sforzato di dimostrare che Pietrofosse lucchese, e il ch. sig. co. Michelangelo Leonardi patrizio novareseche ha combattuto valorosamente per l'onor della sua patria. Amenduequesti scrittori mi hanno ne' loro libri onorato più ch'io non merito; e mispiace di non poter corrispondere alla lor gentilezza col dar ragione adamendue. Io non ho reputata, nè reputo certa l'opinione de' Novaresi, poi-chè a renderla tale ci mancano que' monumenti che ne tolgono ogni dub-bio. Ma ciò non ostante ella mi par meglio fondata, che quella dell'Accade-mico Oscuro, il quale non ha in suo favore che congetture. L'autorità dame prima non avvertita di Tolommeo da Lucca, scrittore nato nel 1236,cioè in tempo in cui non dovea essere ancor perita in quella città la memo-ria di un uom sì famoso, qual era Pietro, se quella città medesima avesseavuta a sua patria, e che nondimeno dice: Petrus lombardus de Novariatrahens originem, (Hist eccl. l. 20, c. 27. Script. rer. ital. vol. 11, p. 1108) èa mio parere una pruova che ha molta forza a combattere l'opinionedell'Accademico Oscuro, e a rendere ancor più probabile quella de' Nova-resi. "Quanto all'opera di Pier lombardo veggasi l'elogio di esso inserito ne'

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Notizie di Pier Lom-bardo: qui-stione in-torno alla sua patria.

XI. Nè qui ebber fine i vantaggi che inquest'epoca dall'Italia ritrasse la franceseletteratura sacra. All'onore che la scuola delmonastero di Bec in Normandia avea rice-vuto da Lanfranco e da Anselmo, si aggiun-se verso la metà del XII secolo quello che

alle scuole di Parigi recò il famoso Pietro lombardo. Diquest'uomo quanto è celebre il nome, altrettanto è oscu-ra l'origine. Gli antichi scrittori non con altro nome nespiegan la patria, che con quel di lombardo, parola ditroppo ampio significato, perchè si possa accertare oveegli nascesse. La comune opinione il fa natio dei territo-rio novarese; e io son ben lungi dal voler render dubbio-sa tal gloria di questa illustre città (10). Nondimeno ci

quali forse or sono smarrite.10 Io non vo' ritoccar la quistione della patria di Pietro lombardo, sulla quale

all'occasione di questo passo della mia Storia è nata una letteraria contesatra un Accademico Oscuro, il quale si e sforzato di dimostrare che Pietrofosse lucchese, e il ch. sig. co. Michelangelo Leonardi patrizio novareseche ha combattuto valorosamente per l'onor della sua patria. Amenduequesti scrittori mi hanno ne' loro libri onorato più ch'io non merito; e mispiace di non poter corrispondere alla lor gentilezza col dar ragione adamendue. Io non ho reputata, nè reputo certa l'opinione de' Novaresi, poi-chè a renderla tale ci mancano que' monumenti che ne tolgono ogni dub-bio. Ma ciò non ostante ella mi par meglio fondata, che quella dell'Accade-mico Oscuro, il quale non ha in suo favore che congetture. L'autorità dame prima non avvertita di Tolommeo da Lucca, scrittore nato nel 1236,cioè in tempo in cui non dovea essere ancor perita in quella città la memo-ria di un uom sì famoso, qual era Pietro, se quella città medesima avesseavuta a sua patria, e che nondimeno dice: Petrus lombardus de Novariatrahens originem, (Hist eccl. l. 20, c. 27. Script. rer. ital. vol. 11, p. 1108) èa mio parere una pruova che ha molta forza a combattere l'opinionedell'Accademico Oscuro, e a rendere ancor più probabile quella de' Nova-resi. "Quanto all'opera di Pier lombardo veggasi l'elogio di esso inserito ne'

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Notizie di Pier Lom-bardo: qui-stione in-torno alla sua patria.

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convien confessare che i più antichi autori, ch'io sappia,a cui questo sentimento si appoggia, sono Ricobaldo daFerrara, che scriveva al fine del XIII secolo, e fra Jaco-po d'Acqui domenicano, che scriveva l'an. 1328 (V. Cat.MSS. Reg. Bibl. Taurin. t. 2, p. 150); e perciò posterioriamendue di circa un secolo e mezzo alla morte di Pietrolombardo; e io perciò non intendo come il Cotta abbiapotuto chiamar Jacopo autore a lui assai vicino (MuseoNovar. p. 255). Ricobaldo non indica precisamente illuogo in cui nacque, ma dice solo in territorio Novariae(Script. rer. ital. vol. 9. p. 124). La più parte però de'moderni scrittori pensa ch'egli nascesse in una terra delnovarese, detta Nomenogno, intorno alla quale veggasiun'erudita lettera del ch. p. Guido Ferrari (Inscript. Epi-st., ec. vol. 2, p. 47). I Maurini autori della Storia lettera-ria di Francia hanno congetturato che la patria di Pierlombardo, detta da alcuni latinamente lumen omnium,fosse Lumello (t. 12, p. 585); congettura troppo malefondata, poichè questo luogo appartiene alla diocesi diPavia, non di Novara. Checchè sia di ciò, io vorrei che aprovare che Pier lombardo fosse natio di Nomenogno, eche questa terra già si dicesse lumen omnium, io vorrei,dico, che si recassero più certi autori che non son PaoloGiovio e Giambattista Piotto giureconsulto, scrittoriamendue del XVI secolo. Io so che il Cotta vi aggiugnela tradizione di detta terra, ove ancora si tiene in venera-zione la stanza in cui si crede che egli nascesse. Ma di

Piemontesi Illustri, ove si osservano i pregi non meno che i difetti dellamedesima (t. 1, p. 37, ec.)".

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convien confessare che i più antichi autori, ch'io sappia,a cui questo sentimento si appoggia, sono Ricobaldo daFerrara, che scriveva al fine del XIII secolo, e fra Jaco-po d'Acqui domenicano, che scriveva l'an. 1328 (V. Cat.MSS. Reg. Bibl. Taurin. t. 2, p. 150); e perciò posterioriamendue di circa un secolo e mezzo alla morte di Pietrolombardo; e io perciò non intendo come il Cotta abbiapotuto chiamar Jacopo autore a lui assai vicino (MuseoNovar. p. 255). Ricobaldo non indica precisamente illuogo in cui nacque, ma dice solo in territorio Novariae(Script. rer. ital. vol. 9. p. 124). La più parte però de'moderni scrittori pensa ch'egli nascesse in una terra delnovarese, detta Nomenogno, intorno alla quale veggasiun'erudita lettera del ch. p. Guido Ferrari (Inscript. Epi-st., ec. vol. 2, p. 47). I Maurini autori della Storia lettera-ria di Francia hanno congetturato che la patria di Pierlombardo, detta da alcuni latinamente lumen omnium,fosse Lumello (t. 12, p. 585); congettura troppo malefondata, poichè questo luogo appartiene alla diocesi diPavia, non di Novara. Checchè sia di ciò, io vorrei che aprovare che Pier lombardo fosse natio di Nomenogno, eche questa terra già si dicesse lumen omnium, io vorrei,dico, che si recassero più certi autori che non son PaoloGiovio e Giambattista Piotto giureconsulto, scrittoriamendue del XVI secolo. Io so che il Cotta vi aggiugnela tradizione di detta terra, ove ancora si tiene in venera-zione la stanza in cui si crede che egli nascesse. Ma di

Piemontesi Illustri, ove si osservano i pregi non meno che i difetti dellamedesima (t. 1, p. 37, ec.)".

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questa tradizione ancora converrebbe esaminare quantosia antica l'origine; e ognuno sa che molte di cotali po-polari opinioni non hanno alcun probabile fondamento.Fra queste vuolsi riporre quella non meno, secondo cuiPier lombardo fu d'illegittima nascita, e molto più quellache il fa fratello uterino di Graziano l'autor del Decreto,e di Pietro soprannomato il Mangiatore, e nato,com'essi, d'illecito amore; opinioni che non si veggonfondate su pruova alcuna che basti a renderle in qualchemodo probabili.

XII. Il sopraccitato Jacopo d'Acqui parlan-do della nascita di Pier lombardo dice sol-tanto ch'ei fu figliuol d'uom poverissimo, e

che andando alle scuole serviva i suoi condiscepoli, aiquali la madre di Pietro lavar solea le camicie, ed essi inricompensa sostenevano il figlio, e ajutavanlo ne' suoistudj. Il Piotto dice ch'egli fu istruito in Novara, e aggiu-gne che essendo prima d'ingegno torpido e lento, posciacol continuo studio e per divino favore fece straordinarjprogressi. Altri più comunemente raccontano ch'eglistudiò in Bologna. Tutte le quali cose forse son vere; manon vi ha testimonio, ch'io sappia, di antichi autori, chele renda certe. Nell'erudita Storia de' celebri Professoridell'Università di Bologna, che abbiamo di fresco avutoda' dottissimi pp. Sarti e Fattorini abati camaldolesi, sirecano più congetture a provare che Pier lombardo fosseancor professore di teologia in Bologna, e che anzi ivi

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Epoche della sua vita.

questa tradizione ancora converrebbe esaminare quantosia antica l'origine; e ognuno sa che molte di cotali po-polari opinioni non hanno alcun probabile fondamento.Fra queste vuolsi riporre quella non meno, secondo cuiPier lombardo fu d'illegittima nascita, e molto più quellache il fa fratello uterino di Graziano l'autor del Decreto,e di Pietro soprannomato il Mangiatore, e nato,com'essi, d'illecito amore; opinioni che non si veggonfondate su pruova alcuna che basti a renderle in qualchemodo probabili.

XII. Il sopraccitato Jacopo d'Acqui parlan-do della nascita di Pier lombardo dice sol-tanto ch'ei fu figliuol d'uom poverissimo, e

che andando alle scuole serviva i suoi condiscepoli, aiquali la madre di Pietro lavar solea le camicie, ed essi inricompensa sostenevano il figlio, e ajutavanlo ne' suoistudj. Il Piotto dice ch'egli fu istruito in Novara, e aggiu-gne che essendo prima d'ingegno torpido e lento, posciacol continuo studio e per divino favore fece straordinarjprogressi. Altri più comunemente raccontano ch'eglistudiò in Bologna. Tutte le quali cose forse son vere; manon vi ha testimonio, ch'io sappia, di antichi autori, chele renda certe. Nell'erudita Storia de' celebri Professoridell'Università di Bologna, che abbiamo di fresco avutoda' dottissimi pp. Sarti e Fattorini abati camaldolesi, sirecano più congetture a provare che Pier lombardo fosseancor professore di teologia in Bologna, e che anzi ivi

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Epoche della sua vita.

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scrivesse i suoi libri delle Sentenze (vol. 1, pars 2, p. 3,ec). Ma gli stessi chiarissimi autori confessano che que-ste non son che semplici congetture, e noi perciò nonavendo argomento alcuno per confermarle, non ci trat-terremo su di esse più lungamente. Ciò ch'è fuor di dub-bio, si è ch'egli raccomandato dal vescovo di Lucca a s.Bernardo sen venne in Francia per continuare i suoi stu-dj; che fermossi a tal fine per qualche tempo in Rheims,e poscia passò a Parigi; e abbiamo ancora la lettera concui s. Bernardo il raccomanda a Gilduino abate di s. Vit-tore (ep. 410), perchè il provegga di cibo pel breve tem-po ch'egli pensava di trattenersi in quella città. Essoperò non fu sì breve, come Pietro pensava; perciocchèpel suo ingegno e pel suo sapere venne in sì gran fama,ch'ei fu prescelto a tener pubblica scuola di teologia(Buleaus Hist. Univers. Paris. t. 2, p. 766). Ch'ei fossecanonico regolare in s. Genovefa, è cosa asserita da' mo-derni autori, ma dagli antichi o ignorata o taciuta. Altriscrivono ch'ei fu canonico di Chartres; e veramente nelruolo degli archiatri, ossia primarj medici de' re di Fran-cia pubblicato dal du Cange (Gloss. med. et inf. Latin. t.1 ad voc. Archiat.) veggiam nominato all'an. 1138 Pe-trus Lombardus Canonicus Carnotensis Archiater. Lu-dovici VII. Ma questo Pier lombardo medico è egli lostesse che il nostro teologo? Certo ei vivea al tempo me-desimo; ma il non aversi alcun indicio di studio di medi-cina, ch'egli facesse, ci persuade ch'ei sia un altro da luidiverso, e che questi, e non il nostro maestro delle Sen-tenze, avesse questa ecclesiastica dignità. Altro troppo

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scrivesse i suoi libri delle Sentenze (vol. 1, pars 2, p. 3,ec). Ma gli stessi chiarissimi autori confessano che que-ste non son che semplici congetture, e noi perciò nonavendo argomento alcuno per confermarle, non ci trat-terremo su di esse più lungamente. Ciò ch'è fuor di dub-bio, si è ch'egli raccomandato dal vescovo di Lucca a s.Bernardo sen venne in Francia per continuare i suoi stu-dj; che fermossi a tal fine per qualche tempo in Rheims,e poscia passò a Parigi; e abbiamo ancora la lettera concui s. Bernardo il raccomanda a Gilduino abate di s. Vit-tore (ep. 410), perchè il provegga di cibo pel breve tem-po ch'egli pensava di trattenersi in quella città. Essoperò non fu sì breve, come Pietro pensava; perciocchèpel suo ingegno e pel suo sapere venne in sì gran fama,ch'ei fu prescelto a tener pubblica scuola di teologia(Buleaus Hist. Univers. Paris. t. 2, p. 766). Ch'ei fossecanonico regolare in s. Genovefa, è cosa asserita da' mo-derni autori, ma dagli antichi o ignorata o taciuta. Altriscrivono ch'ei fu canonico di Chartres; e veramente nelruolo degli archiatri, ossia primarj medici de' re di Fran-cia pubblicato dal du Cange (Gloss. med. et inf. Latin. t.1 ad voc. Archiat.) veggiam nominato all'an. 1138 Pe-trus Lombardus Canonicus Carnotensis Archiater. Lu-dovici VII. Ma questo Pier lombardo medico è egli lostesse che il nostro teologo? Certo ei vivea al tempo me-desimo; ma il non aversi alcun indicio di studio di medi-cina, ch'egli facesse, ci persuade ch'ei sia un altro da luidiverso, e che questi, e non il nostro maestro delle Sen-tenze, avesse questa ecclesiastica dignità. Altro troppo

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maggior onore era a lui riservato; perciocchè morto Teo-baldo vescovo di Parigi, ed eletto a succedergli Filippofratello di Luigi VII, arcidiacono di quella chiesa, questicedette quell'onorevole dignità a Pier lombardo stato giàsuo maestro. Ma poco tempo egli ebbe a goderne, elettovescovo all'anno 1159, e morto l'anno seguente 1160,come provano i Maurini autori della Gallia Sacra (vol.7, p. 68). Noto è il fatto che di lui si racconta sull'autori-tà di Ricobaldo ferrarese (Script. rer. ital. vol. 9, p. 24) edi Jacopo d'Acqui (ap. Cottam l. c.), cioè che la madredi lui, poichè riseppe ch'egli era vescovo di Parigi, pas-sata in Francia gli venne innanzi in abito ricco e conve-niente alla dignità del figliuolo; ma che questi non de-gnossi di riconoscerla, finch'ella non si presentasse inquello stesso povero arredo in cui aveala lasciata in pa-tria. Il Piotto rammenta una statua d'oro innalzatagli das. Luigi re di Francia, e una gloriosa iscrizione ad essaaggiunta (Ferrari l. c.); ma converrebbe ch'egli ci aves-se indicato onde abbia tratte sì pellegrine notizie. Lasola iscrizione di cui si abbia contezza, è quella che an-cor vedesi al suo sepolcro nella chiesa collegiata delsobborgo di s. Marcello: "Hic jacet Petrus LombardusParisiensis Episcopus, qui composuit librum Sententia-rum, glossas Psalmorum et Epistolarum, cujus obitusdies est XIII Cal. Augusti"; nel qual giorno se ne celebraancora ogni anno l'anniversario, a cui debbono interve-nire i baccellieri dell'università (Hist. littér. de la Francet. 12, p. 587).

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maggior onore era a lui riservato; perciocchè morto Teo-baldo vescovo di Parigi, ed eletto a succedergli Filippofratello di Luigi VII, arcidiacono di quella chiesa, questicedette quell'onorevole dignità a Pier lombardo stato giàsuo maestro. Ma poco tempo egli ebbe a goderne, elettovescovo all'anno 1159, e morto l'anno seguente 1160,come provano i Maurini autori della Gallia Sacra (vol.7, p. 68). Noto è il fatto che di lui si racconta sull'autori-tà di Ricobaldo ferrarese (Script. rer. ital. vol. 9, p. 24) edi Jacopo d'Acqui (ap. Cottam l. c.), cioè che la madredi lui, poichè riseppe ch'egli era vescovo di Parigi, pas-sata in Francia gli venne innanzi in abito ricco e conve-niente alla dignità del figliuolo; ma che questi non de-gnossi di riconoscerla, finch'ella non si presentasse inquello stesso povero arredo in cui aveala lasciata in pa-tria. Il Piotto rammenta una statua d'oro innalzatagli das. Luigi re di Francia, e una gloriosa iscrizione ad essaaggiunta (Ferrari l. c.); ma converrebbe ch'egli ci aves-se indicato onde abbia tratte sì pellegrine notizie. Lasola iscrizione di cui si abbia contezza, è quella che an-cor vedesi al suo sepolcro nella chiesa collegiata delsobborgo di s. Marcello: "Hic jacet Petrus LombardusParisiensis Episcopus, qui composuit librum Sententia-rum, glossas Psalmorum et Epistolarum, cujus obitusdies est XIII Cal. Augusti"; nel qual giorno se ne celebraancora ogni anno l'anniversario, a cui debbono interve-nire i baccellieri dell'università (Hist. littér. de la Francet. 12, p. 587).

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XIII. Nella suddetta iscrizione abbiamvedute accennarsi in breve le opere daPier lombardo composte. Vincenzo bel-lovacese svolgendo più ampiamente ciòche ad esse appartiene, così ne ragiona

(Speculum historiale l. 29, c. 1) "Hic librum Sententia-rum, qui nunc in scholis theologiae publice legitur, labo-riosum certe opus, ex multorum sanctorum Patrum dic-tis utiliter compilavit: sed et majores glosas Psalterii etEpistolarum Pauli similiter ex multorum dictis collegitet ordinavit. Nam cum esset inter Franciae magistrosopinatissimus glosaturam Epistolarum et Psalterii abAnselmo per glosulas interlineares marginalesque di-stinctam, et post a Giliberto continuative productam la-tius et apertius explicuit, multaque de dictis Sanctorumaddidit. Idem etiam quosdam Sermones utiles compo-suit". Delle quali opere più copiose notizie si potrannoavere presso gli scrittori altre volte da noi citati. Io mitratterrò solo alquanto su quella per cui il nome di Pierlombardo è celebre singolarmente, cioè su' quattro libridelle Sentenze, su cui tanti illustri scrittori hanno negliscorsi secoli esercitato il loro ingegno. Io so che il nomedi teologia scolastica è ad alcuni spiacevole tanto e no-joso, che si fan beffe di quelli che in essa si occupano.Ma se è degna di riprensione, il che io loro concederòvolentieri, la maniera e il metodo con cui essa da molti èstata trattata, non vuolsene però incolpare la scienzastessa. E certo il fine che Pier lombardo si era prefisso,non potea essere nè più nobile nè più vantaggioso: for-

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Sue opere, ca-rattere del suo libro delle Sen-tenze.

XIII. Nella suddetta iscrizione abbiamvedute accennarsi in breve le opere daPier lombardo composte. Vincenzo bel-lovacese svolgendo più ampiamente ciòche ad esse appartiene, così ne ragiona

(Speculum historiale l. 29, c. 1) "Hic librum Sententia-rum, qui nunc in scholis theologiae publice legitur, labo-riosum certe opus, ex multorum sanctorum Patrum dic-tis utiliter compilavit: sed et majores glosas Psalterii etEpistolarum Pauli similiter ex multorum dictis collegitet ordinavit. Nam cum esset inter Franciae magistrosopinatissimus glosaturam Epistolarum et Psalterii abAnselmo per glosulas interlineares marginalesque di-stinctam, et post a Giliberto continuative productam la-tius et apertius explicuit, multaque de dictis Sanctorumaddidit. Idem etiam quosdam Sermones utiles compo-suit". Delle quali opere più copiose notizie si potrannoavere presso gli scrittori altre volte da noi citati. Io mitratterrò solo alquanto su quella per cui il nome di Pierlombardo è celebre singolarmente, cioè su' quattro libridelle Sentenze, su cui tanti illustri scrittori hanno negliscorsi secoli esercitato il loro ingegno. Io so che il nomedi teologia scolastica è ad alcuni spiacevole tanto e no-joso, che si fan beffe di quelli che in essa si occupano.Ma se è degna di riprensione, il che io loro concederòvolentieri, la maniera e il metodo con cui essa da molti èstata trattata, non vuolsene però incolpare la scienzastessa. E certo il fine che Pier lombardo si era prefisso,non potea essere nè più nobile nè più vantaggioso: for-

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Sue opere, ca-rattere del suo libro delle Sen-tenze.

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mar un compito e ben ordinato sistema di teologia; fis-sare i principj generali, e da essi successivamente dedur-re le conseguenze particolari; in ciascuna quistione reca-re le autorità delle Scritture e dei Padri, a cui ogni opi-nione si appoggia; e valersi della ragione a mostrare lagiustezza e la coerenza degli stessi principj, e delle illa-zioni che se ne traggono. L'ordine e il metodo da lui te-nuto non si può negare che non sia chiaro, preciso e giu-sto; sicchè in poco ei racchiude e svolge tutte le immen-se quistioni della teologia. Se egli vi ha trattati alcuni ar-gomenti troppo speculativi, e perciò inutili; se talvolta isuoi raziocinj non sono troppo esatti; se fra le autoritàch'egli allega ve ne ha delle supposte ed apocrife, ei puòben esigere a giusta ragione che noi ci ricordiamo deltempo a cui egli visse, quando la mancanza de' libri edegli altri mezzi necessarj a coltivare felicemente glistudj, e l'universale difetto di buona critica, e il cattivogusto sparso in ogni parte del mondo, facean cadere ipiù grand'uomini in quegli errori da cui ora si astengonosenza gran lode anche i più mediocri. Ma io non debboentrare a disputar dei sistemi e de' metodi teologici, esolo debbo cercare a chi si debba la gloria della loro in-venzione.

XIV. Questa gloria stessa però si nie-ga da alcuni a Pier lombardo; e gli siappone l'infame nome di plagiario (11).

11 L'ab. Lampillas non può darsi a credere (t. 1. p. 49) che un uomo eruditis-

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Ribattesi la calunniadi plagio da alcuni appostagli.

mar un compito e ben ordinato sistema di teologia; fis-sare i principj generali, e da essi successivamente dedur-re le conseguenze particolari; in ciascuna quistione reca-re le autorità delle Scritture e dei Padri, a cui ogni opi-nione si appoggia; e valersi della ragione a mostrare lagiustezza e la coerenza degli stessi principj, e delle illa-zioni che se ne traggono. L'ordine e il metodo da lui te-nuto non si può negare che non sia chiaro, preciso e giu-sto; sicchè in poco ei racchiude e svolge tutte le immen-se quistioni della teologia. Se egli vi ha trattati alcuni ar-gomenti troppo speculativi, e perciò inutili; se talvolta isuoi raziocinj non sono troppo esatti; se fra le autoritàch'egli allega ve ne ha delle supposte ed apocrife, ei puòben esigere a giusta ragione che noi ci ricordiamo deltempo a cui egli visse, quando la mancanza de' libri edegli altri mezzi necessarj a coltivare felicemente glistudj, e l'universale difetto di buona critica, e il cattivogusto sparso in ogni parte del mondo, facean cadere ipiù grand'uomini in quegli errori da cui ora si astengonosenza gran lode anche i più mediocri. Ma io non debboentrare a disputar dei sistemi e de' metodi teologici, esolo debbo cercare a chi si debba la gloria della loro in-venzione.

XIV. Questa gloria stessa però si nie-ga da alcuni a Pier lombardo; e gli siappone l'infame nome di plagiario (11).

11 L'ab. Lampillas non può darsi a credere (t. 1. p. 49) che un uomo eruditis-

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Ribattesi la calunniadi plagio da alcuni appostagli.

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Benedetto Chelidonio abate benedettino diè alla lucecolle stampe di Vienna l'anno 1519 un libro trovatopoco innanzi nella badia di Molk dal celebre GiovanniEckio, e intitolato Liber Sententiarum magistri Bandini.L'antichità del codice, e la sostanza del libro quasi inte-ramente conforme a quello di Pier lombardo, destò inessi qualche sospetto, a cui il Chelidonio singolarmentemostrossi assai inclinato, che il maestro Bandino fossescrittor più antico di Pietro; e che questi da lui avessetratta l'idea e la materia della sua opera. La loro opinio-ne è stata abbracciata da altri ancora, e specialmente daJacopo Tommasi (De Plagio liter. parag. 493, ec.) Ma adir vero ella non ha alcun fondamento. Di Bandino nonci hanno gli antichi scrittori lasciata notizia alcuna; ilche non sarebbe certo avvenuto, s'egli fosse stato il pri-mo a ridurre la scolastica teologia a un regolato sistema.Aggiungasi che Pier lombardo ebbe nimici assai, i quali

simo, come egli troppo gentilmente mi appella, ignorasse che il celebreTraione vescovo di Saragozza, il quale fiorì verso la metà del sec. VII, fuil primo autore del metodo di trattar la teologia, abbracciato poi da Pietrolombardo. Io confesso sinceramente la mia ignoranza, e protesto che nolsapeva, benchè pur sia vero che molti scrittori gli danno tal lode. Vuolsidunque ch'egli desse la prima idea della scolastica teologia ridotta a meto-do e a principj co' suoi quattro libri intitolati essi pure Libri Sententiarum,de' quali molti autori parlavano, ma che solo nel 1776 sono stati pubblicatinel t. XXXI della Espanna Sacrada. Io ho avuto di fresco questo volume;e confesso che non so intendere come si possa paragonare l'opera di Taio-ne con quella di Pier lombardo. Egli non fa altro che disporre, come sidice, in luoghi comuni diversi passi dell'opera di S. Gregorio Magno, ag-giuntovi talvolta qualche passo di S. Agostino. Se questo sia un corpo diteologia scolastica, ognuno il vede, e il vedrà sempre meglio chiunqueconfronterà insieme l'opera di Taione con quella di Pier lombardo.

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Benedetto Chelidonio abate benedettino diè alla lucecolle stampe di Vienna l'anno 1519 un libro trovatopoco innanzi nella badia di Molk dal celebre GiovanniEckio, e intitolato Liber Sententiarum magistri Bandini.L'antichità del codice, e la sostanza del libro quasi inte-ramente conforme a quello di Pier lombardo, destò inessi qualche sospetto, a cui il Chelidonio singolarmentemostrossi assai inclinato, che il maestro Bandino fossescrittor più antico di Pietro; e che questi da lui avessetratta l'idea e la materia della sua opera. La loro opinio-ne è stata abbracciata da altri ancora, e specialmente daJacopo Tommasi (De Plagio liter. parag. 493, ec.) Ma adir vero ella non ha alcun fondamento. Di Bandino nonci hanno gli antichi scrittori lasciata notizia alcuna; ilche non sarebbe certo avvenuto, s'egli fosse stato il pri-mo a ridurre la scolastica teologia a un regolato sistema.Aggiungasi che Pier lombardo ebbe nimici assai, i quali

simo, come egli troppo gentilmente mi appella, ignorasse che il celebreTraione vescovo di Saragozza, il quale fiorì verso la metà del sec. VII, fuil primo autore del metodo di trattar la teologia, abbracciato poi da Pietrolombardo. Io confesso sinceramente la mia ignoranza, e protesto che nolsapeva, benchè pur sia vero che molti scrittori gli danno tal lode. Vuolsidunque ch'egli desse la prima idea della scolastica teologia ridotta a meto-do e a principj co' suoi quattro libri intitolati essi pure Libri Sententiarum,de' quali molti autori parlavano, ma che solo nel 1776 sono stati pubblicatinel t. XXXI della Espanna Sacrada. Io ho avuto di fresco questo volume;e confesso che non so intendere come si possa paragonare l'opera di Taio-ne con quella di Pier lombardo. Egli non fa altro che disporre, come sidice, in luoghi comuni diversi passi dell'opera di S. Gregorio Magno, ag-giuntovi talvolta qualche passo di S. Agostino. Se questo sia un corpo diteologia scolastica, ognuno il vede, e il vedrà sempre meglio chiunqueconfronterà insieme l'opera di Taione con quella di Pier lombardo.

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cercarono di oscurarne la fama; come ora vedremo; maniuno gli oppose mai di essersi fatto bello delle fatichealtrui. Lo stesso Giovanni di Cornovaglia, uno de' piùcaldi impugnatori di Pier lombardo, accusollo soltanto,ch'egli non poco si fosse ajutato co' libri delle Sentenzedi Pietro Abailardo. E non è maraviglia che avendoAbailardo ancora raccolti i detti de' Padri su' principalidogmi della religione, Pier lombardo di questa raccoltausasse nel compilare la sua; ma di Bandino nè Giovanninè altri fra gli accusatori di lui non fecer mai motto. Perultimo un codice ms. trovato dal p. Bernardo Pez bene-dettino nella badia di Oberaltaich decide interamente lalite a favore di Pier lombardo, col mostrarci che non fugià questi che dell'opera di Bandino si giovasse a forma-re la sua, ma sì Bandino, chiunque egli fosse, e a qua-lunque tempo vivesse, che dell'opera di Pier lombardoformò un compendio; perciocchè il codice ha questo ti-tolo "Abbreviatio magistri Bandini de libro Sacramento-rum Petri parisiensis episcopi fideliter acta" (Pez Ther.Anecd. praef. t. 1, p. 45).

XV. Più gravi furon le accuse con cui alcu-ni cercarono di render sospetta la dottrinadi Pier lombardo. Giovanni di Cornova-glia, che n'era stato discepolo, fu il primo a

levarglisi contro; e poichè il suo maestro fu morto, accu-sollo al Concilio di Tours e al pontef. Alessandro IIIperchè avesse insegnato che Cristo come uomo non era

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Accuse date da alcuni allasua dottrina.

cercarono di oscurarne la fama; come ora vedremo; maniuno gli oppose mai di essersi fatto bello delle fatichealtrui. Lo stesso Giovanni di Cornovaglia, uno de' piùcaldi impugnatori di Pier lombardo, accusollo soltanto,ch'egli non poco si fosse ajutato co' libri delle Sentenzedi Pietro Abailardo. E non è maraviglia che avendoAbailardo ancora raccolti i detti de' Padri su' principalidogmi della religione, Pier lombardo di questa raccoltausasse nel compilare la sua; ma di Bandino nè Giovanninè altri fra gli accusatori di lui non fecer mai motto. Perultimo un codice ms. trovato dal p. Bernardo Pez bene-dettino nella badia di Oberaltaich decide interamente lalite a favore di Pier lombardo, col mostrarci che non fugià questi che dell'opera di Bandino si giovasse a forma-re la sua, ma sì Bandino, chiunque egli fosse, e a qua-lunque tempo vivesse, che dell'opera di Pier lombardoformò un compendio; perciocchè il codice ha questo ti-tolo "Abbreviatio magistri Bandini de libro Sacramento-rum Petri parisiensis episcopi fideliter acta" (Pez Ther.Anecd. praef. t. 1, p. 45).

XV. Più gravi furon le accuse con cui alcu-ni cercarono di render sospetta la dottrinadi Pier lombardo. Giovanni di Cornova-glia, che n'era stato discepolo, fu il primo a

levarglisi contro; e poichè il suo maestro fu morto, accu-sollo al Concilio di Tours e al pontef. Alessandro IIIperchè avesse insegnato che Cristo come uomo non era

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Accuse date da alcuni allasua dottrina.

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cosa alcuna; la qual dottrina essendo veramente erroneae contraria alla Fede, "il pontefice, dopo avere scrittonel 1179 a Guglielmo arcivescovo di Sens, acciocchèesaminasse se fondata fosse l'accusa (Matthieu Hist. adh. an.), e avutane probabilmente risposta che la confer-mava, condennolla solennemente". Il libro da Giovanniscritto contro di Pier lombardo, e intitolato Eulogio, èstato pubblicato dal p. Martene (Thes. noviss. anecd. t.5, p. 1655). Più caldamente ancora e più generalmenteprese a combattere la dottrina di Pier lombardo Gualteropriore di s. Vittore di Parigi, di cui conservasi ancoranella biblioteca del monastero medesimo un'opera inquattro libri divisa; e da lui intitolata Contro i quattroLabirinti della Teologia, col qual nome egli vuole indi-care Pietro lombardo, Pietro Abailardo, Gilberto porre-tano e Pietro di Poitiers. Il du Boulay ce ne ha dato uncopioso estratto (Hist. Univ. Paris. t. 2, p. 629, ec.); manon troviamo che le accuse di Gualtero ottenessero ef-fetto alcuno contro la dottrina di Pier lombardo. Final-mente il celebre abate Gioachimo di cui nel tomo se-guente dovrem ragionare, offrì allo stesso pontef. Ales-sandro III un libro in cui accusava Pier lombardo di ave-re ammessa in Dio, non già la Trinità di persona, mauna, com'ei chiamavala, Quaternità. Qual esito alloraavesse cotale accusa, non ne abbiamo notizia; e soloveggiamo che molti anni dopo, cioè l'an. 1215, nel Con-cilio lateranese il libro dell'abate Gioachimo contro diPier lombardo fu condennato, e la dottrina del maestrodelle sentenze su questo punto fu solennemente appro-

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cosa alcuna; la qual dottrina essendo veramente erroneae contraria alla Fede, "il pontefice, dopo avere scrittonel 1179 a Guglielmo arcivescovo di Sens, acciocchèesaminasse se fondata fosse l'accusa (Matthieu Hist. adh. an.), e avutane probabilmente risposta che la confer-mava, condennolla solennemente". Il libro da Giovanniscritto contro di Pier lombardo, e intitolato Eulogio, èstato pubblicato dal p. Martene (Thes. noviss. anecd. t.5, p. 1655). Più caldamente ancora e più generalmenteprese a combattere la dottrina di Pier lombardo Gualteropriore di s. Vittore di Parigi, di cui conservasi ancoranella biblioteca del monastero medesimo un'opera inquattro libri divisa; e da lui intitolata Contro i quattroLabirinti della Teologia, col qual nome egli vuole indi-care Pietro lombardo, Pietro Abailardo, Gilberto porre-tano e Pietro di Poitiers. Il du Boulay ce ne ha dato uncopioso estratto (Hist. Univ. Paris. t. 2, p. 629, ec.); manon troviamo che le accuse di Gualtero ottenessero ef-fetto alcuno contro la dottrina di Pier lombardo. Final-mente il celebre abate Gioachimo di cui nel tomo se-guente dovrem ragionare, offrì allo stesso pontef. Ales-sandro III un libro in cui accusava Pier lombardo di ave-re ammessa in Dio, non già la Trinità di persona, mauna, com'ei chiamavala, Quaternità. Qual esito alloraavesse cotale accusa, non ne abbiamo notizia; e soloveggiamo che molti anni dopo, cioè l'an. 1215, nel Con-cilio lateranese il libro dell'abate Gioachimo contro diPier lombardo fu condennato, e la dottrina del maestrodelle sentenze su questo punto fu solennemente appro-

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vata. Di queste e di altre somiglianti accuse date a que-sto illustre teologo, il quale certo nè è, nè debb'essere intutte le sue opinioni ciecamente seguito, tratta lunga-mente, oltre gli autori da noi già allegati, l'Oudin (DeScript. eccl. t. 2, p. 1223, ec.) e il d'Argentré (Collect.Judic. de Nov. Error. t. 1, p. 111, ec.).

XVI. Io non ho cercato poc'anzi parlan-do della nascita di Pier lombardo, sePietro Mangiatore fosse natio di Troyes,come veggiamo essere stato, finora co-mune opinione. Ma è ella veramente

certa e indubitabile? o non abbiam noi anzi qualche ar-gomento a crederlo nato in Italia? Ch'ei fosse decanodella chiesa di Troyes; che passasse poscia a Parigi, edivi fosse cancelliere di quella chiesa, e professorenell'università di Parigi; che poscia sul fin della vita siritirasse nella badia di s. Vittore e che ivi morisse l'an.1178, tutto ciò non può rivocarsi in dubbio; e se ne reca-no certe pruove dal du Boulay (Hist. univ. Paris. t. 2, p.261, 326, 406, 764), dall'Oudin, (De Script. eccl. t. 2, p.1526), dal Ceillier (Hist. des Aut. eccl. t. 23, p. 305) edagli autori della Gallia Cristiana (vol. 12, p. 25). Mache ei fosse nato in Troyes, non pruovasi che coll'autori-tà di Enrico di Gand (De Script. eccl.), che visse allafine del sec. XIII. Il dottiss. p. Sarti tra gl'interpreti deldiritto canonico vissuti in Bologna nel sec. XIII annove-ra un certo Manzator de Tuscia (De Profess. Acad. Bo-

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Notizie di Pietro Mangiatore: con-getture per cre-derlo italiano.

vata. Di queste e di altre somiglianti accuse date a que-sto illustre teologo, il quale certo nè è, nè debb'essere intutte le sue opinioni ciecamente seguito, tratta lunga-mente, oltre gli autori da noi già allegati, l'Oudin (DeScript. eccl. t. 2, p. 1223, ec.) e il d'Argentré (Collect.Judic. de Nov. Error. t. 1, p. 111, ec.).

XVI. Io non ho cercato poc'anzi parlan-do della nascita di Pier lombardo, sePietro Mangiatore fosse natio di Troyes,come veggiamo essere stato, finora co-mune opinione. Ma è ella veramente

certa e indubitabile? o non abbiam noi anzi qualche ar-gomento a crederlo nato in Italia? Ch'ei fosse decanodella chiesa di Troyes; che passasse poscia a Parigi, edivi fosse cancelliere di quella chiesa, e professorenell'università di Parigi; che poscia sul fin della vita siritirasse nella badia di s. Vittore e che ivi morisse l'an.1178, tutto ciò non può rivocarsi in dubbio; e se ne reca-no certe pruove dal du Boulay (Hist. univ. Paris. t. 2, p.261, 326, 406, 764), dall'Oudin, (De Script. eccl. t. 2, p.1526), dal Ceillier (Hist. des Aut. eccl. t. 23, p. 305) edagli autori della Gallia Cristiana (vol. 12, p. 25). Mache ei fosse nato in Troyes, non pruovasi che coll'autori-tà di Enrico di Gand (De Script. eccl.), che visse allafine del sec. XIII. Il dottiss. p. Sarti tra gl'interpreti deldiritto canonico vissuti in Bologna nel sec. XIII annove-ra un certo Manzator de Tuscia (De Profess. Acad. Bo-

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Notizie di Pietro Mangiatore: con-getture per cre-derlo italiano.

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non. t. 1, pars 2, p. 323); e riflette che questo nome do-vette venire probabilmente dalla voce italiana mangia-tore; e da altre cronache antiche raccoglie che fiorivanella città di s. Miniato in Toscana la famiglia de' Man-giatori in questo secolo stesso, e ancor nel seguente.Quindi confessa che qualche sospetto gli è nato che Pie-tro ancora fosse di questa famiglia; perciocchè è certo,com'egli osserva, e come io stesso ho riflettuto, che ne'più antichi codici della Storia scolastica da lui compo-sta, che è in somma un compendio della Storia biblicacoll'aggiunta di altre cose tratte dalla profana, egli èchiamato Petrus Manducator; al che io aggiungo che inuna lettera parimente scritta dal card. Pietro legato apo-stolico al pontef. Alessandro III, riferita in parte da' sud-detti scrittori, egli è chiamato col medesimo nome Lite-raturam et honestatem magistri Petri Manducatoris de-cani Trecensis vos non credimus ignorare. Solo qualchetempo dopo, forse per maggior eleganza, il nome diManducator fu cambiato in quello di Comestor. Or nonpotremmo noi credere che Pietro fosse della famiglia de'Mangiatori di S. Miniato, e che giovinetto passasse inFrancia? Il p. Sarti non ardisce di appoggiarsi troppo sutal congettura. E io ancora non ho coraggio di confer-marla. Non posso però dissimulare che abbiam noi puredue antichi scrittori che il dicono italiano. Uno è Tolo-meo da Lucca, che fu contemporaneo di Enrico di Gand,benchè alquanto a lui posteriore: Floruit magister Pe-trus Manducator qui et Comestor appellatur... Hic ge-nere lombardus, ec. (Script. rer. ital. vol. 11 p. 1112).

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non. t. 1, pars 2, p. 323); e riflette che questo nome do-vette venire probabilmente dalla voce italiana mangia-tore; e da altre cronache antiche raccoglie che fiorivanella città di s. Miniato in Toscana la famiglia de' Man-giatori in questo secolo stesso, e ancor nel seguente.Quindi confessa che qualche sospetto gli è nato che Pie-tro ancora fosse di questa famiglia; perciocchè è certo,com'egli osserva, e come io stesso ho riflettuto, che ne'più antichi codici della Storia scolastica da lui compo-sta, che è in somma un compendio della Storia biblicacoll'aggiunta di altre cose tratte dalla profana, egli èchiamato Petrus Manducator; al che io aggiungo che inuna lettera parimente scritta dal card. Pietro legato apo-stolico al pontef. Alessandro III, riferita in parte da' sud-detti scrittori, egli è chiamato col medesimo nome Lite-raturam et honestatem magistri Petri Manducatoris de-cani Trecensis vos non credimus ignorare. Solo qualchetempo dopo, forse per maggior eleganza, il nome diManducator fu cambiato in quello di Comestor. Or nonpotremmo noi credere che Pietro fosse della famiglia de'Mangiatori di S. Miniato, e che giovinetto passasse inFrancia? Il p. Sarti non ardisce di appoggiarsi troppo sutal congettura. E io ancora non ho coraggio di confer-marla. Non posso però dissimulare che abbiam noi puredue antichi scrittori che il dicono italiano. Uno è Tolo-meo da Lucca, che fu contemporaneo di Enrico di Gand,benchè alquanto a lui posteriore: Floruit magister Pe-trus Manducator qui et Comestor appellatur... Hic ge-nere lombardus, ec. (Script. rer. ital. vol. 11 p. 1112).

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L'altro è Benvenuto da Imola, che ne' suoi Comenti suDante dice: Iste Petrus Comestor fuit lombardus (Antiq.Ital. t. 1, p. l267). Se essi possano bastare a distruggerel'autorità di Enrico di Gand, o se forse essi non asseri-scono che Pietro Mangiator fu lombardo, appoggiati allafavola popolare da noi rigettata poc'anzi, io ne lascio adaltri la decisione.

XVII. Un altro professore certamente ita-liano ebbe l'università di Parigi, nonugualmente famoso, ma alquanto più an-tico; cioè Lodolfo detto da altri Leudaldo.In una lettera della celebre Eloisa al suoAbailardo egli ancora è detto lombardo

(Ap. Bulaeum Hist. Univ. Paris. t. 2, p. 753). Ma Ottonda Frisinga scrittor del medesimo secolo più espressa-mente il dice novarese (De gestis Frider. l. 1, c. 47).Egli venuto in Francia tenne per alcuni anni scuola diteologia in Rheims; e insieme con Alberico maestro nel-la stessa città levossi prima di ogni altro contro gli erroridi Abailardo, il che dovette avvenire, come osservano iMaurini autori della Storia letteraria di Francia (t. 9, p.33), innanzi all'an. 1121. Che avvenisse poi di Lodolfo,non ci è giunto a notizia. Ma ciò che ne abbiamo accen-nato, basta ad accrescere una nuova gloria a Novara suapatria, che può vantarsi di aver dati alla Francia due illu-stri maestri nella teologica facoltà; e io perciò mi stupi-sco che il Cotta non abbia fatta di Lodolfo menzione al-

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Lodolfo da No-vara, e Bernar-do da Pisa pro-fessori di teolo-gia in Parigi.

L'altro è Benvenuto da Imola, che ne' suoi Comenti suDante dice: Iste Petrus Comestor fuit lombardus (Antiq.Ital. t. 1, p. l267). Se essi possano bastare a distruggerel'autorità di Enrico di Gand, o se forse essi non asseri-scono che Pietro Mangiator fu lombardo, appoggiati allafavola popolare da noi rigettata poc'anzi, io ne lascio adaltri la decisione.

XVII. Un altro professore certamente ita-liano ebbe l'università di Parigi, nonugualmente famoso, ma alquanto più an-tico; cioè Lodolfo detto da altri Leudaldo.In una lettera della celebre Eloisa al suoAbailardo egli ancora è detto lombardo

(Ap. Bulaeum Hist. Univ. Paris. t. 2, p. 753). Ma Ottonda Frisinga scrittor del medesimo secolo più espressa-mente il dice novarese (De gestis Frider. l. 1, c. 47).Egli venuto in Francia tenne per alcuni anni scuola diteologia in Rheims; e insieme con Alberico maestro nel-la stessa città levossi prima di ogni altro contro gli erroridi Abailardo, il che dovette avvenire, come osservano iMaurini autori della Storia letteraria di Francia (t. 9, p.33), innanzi all'an. 1121. Che avvenisse poi di Lodolfo,non ci è giunto a notizia. Ma ciò che ne abbiamo accen-nato, basta ad accrescere una nuova gloria a Novara suapatria, che può vantarsi di aver dati alla Francia due illu-stri maestri nella teologica facoltà; e io perciò mi stupi-sco che il Cotta non abbia fatta di Lodolfo menzione al-

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Lodolfo da No-vara, e Bernar-do da Pisa pro-fessori di teolo-gia in Parigi.

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cuna nel suo Museo. Nè deesi finalmente tacere di Ber-nardo da Pisa, diverso da quello che fu poi papa colnome di Eugenio III. Egli tenne scuola di teologia in Pa-rigi; e di lui scrivendo Pietro cardinale di s. Grisogonoal pontef. Alessandro III, in una lettera riportata dal duBoulay (Hist. Univ. Paris. t. 2, p. 729), dice ch'egli erauomo di sì grande letteratura e di sì onesti costumi, cheera riputato degno de' sommi onori.

XVIII. Così l'Italia coll'inviare alla Franciai dotti professori, de' quali abbiam finoraparlato, giovò non poco a sollevare a granfama le scuole che ivi erano degli studj sa-cri. I Francesi si vantano, e con ragione,

ch'esse fosser sì rinomate, che dall'Italia vi accorressergiovani in gran numero per esservi istruiti. Noi non con-trasteremo loro tal gloria; ma li pregherem solo a nonvolere dimenticare che di questa gloria medesima furonessi in non piccola parte debitori all'Italia ed agl'Italiani,che venuti in Francia discepoli, vi divenner maestri. Emolti eran di fatto che per coltivare gli studj sacridall'Italia passavano in Francia. Ma i dotti Maurini auto-ri della Storia letteraria della lor patria hanno di ciò par-lando gonfiate alquanto le vele. "Chi può noverare, di-cono essi (t. 9. p. 77), tutti gl'Italiani che furono istruitialle medesime scuole? Si sa che papi, e singolarmenteAlessandro III, vi mandavan da Roma truppe intere diecclesiastici, i quali per lo più vi erano mantenuti dalle

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Molti Ita-liani vanno alle scuole teologiche di Francia.

cuna nel suo Museo. Nè deesi finalmente tacere di Ber-nardo da Pisa, diverso da quello che fu poi papa colnome di Eugenio III. Egli tenne scuola di teologia in Pa-rigi; e di lui scrivendo Pietro cardinale di s. Grisogonoal pontef. Alessandro III, in una lettera riportata dal duBoulay (Hist. Univ. Paris. t. 2, p. 729), dice ch'egli erauomo di sì grande letteratura e di sì onesti costumi, cheera riputato degno de' sommi onori.

XVIII. Così l'Italia coll'inviare alla Franciai dotti professori, de' quali abbiam finoraparlato, giovò non poco a sollevare a granfama le scuole che ivi erano degli studj sa-cri. I Francesi si vantano, e con ragione,

ch'esse fosser sì rinomate, che dall'Italia vi accorressergiovani in gran numero per esservi istruiti. Noi non con-trasteremo loro tal gloria; ma li pregherem solo a nonvolere dimenticare che di questa gloria medesima furonessi in non piccola parte debitori all'Italia ed agl'Italiani,che venuti in Francia discepoli, vi divenner maestri. Emolti eran di fatto che per coltivare gli studj sacridall'Italia passavano in Francia. Ma i dotti Maurini auto-ri della Storia letteraria della lor patria hanno di ciò par-lando gonfiate alquanto le vele. "Chi può noverare, di-cono essi (t. 9. p. 77), tutti gl'Italiani che furono istruitialle medesime scuole? Si sa che papi, e singolarmenteAlessandro III, vi mandavan da Roma truppe intere diecclesiastici, i quali per lo più vi erano mantenuti dalle

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Molti Ita-liani vanno alle scuole teologiche di Francia.

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liberalità de' vescovi e degli abati di Francia". Essi necitano in pruova una lettera dello stesso Alessandro III,pubblicato dal p. Martene (Vet. Script. Collect. t. 2, p.807); nella quale perciò io mi credeva di veder fattamenzione de' Papi che mandavano truppe intere di ec-clesiastici, e di vedervi affermato che essi per lo più vifossero caritatevolmente mantenuti da' vescovi e dagliabati francesi. Ma io veggo che Alessandro non parlache di un cotal Valando suo cherico, cui raccomandaall'abate di s. Remigio, perchè il mantenga alle scuole diParigi. Di altri papi, di truppe di ecclesiastici, di liberali-tà de' vescovi, e degli abati di Francia in questa letteranon trovo motto; e avrei bramato perciò, che i Maurinirecassero qualche più certa pruova del loro detto.

XIX. Ciò non ostante è certo, come ho dettopoc'anzi, che molti Italiani, e singolarmenteda Roma, andavano alle scuole francesi, sìper la fama di cui esse godevano, sì perchè

la Francia, assai meno sconvolta dalle domestiche turbo-lenze che non l'Italia, era più tranquillo e più sicuro ri-covero agli amatori delle scienze. Landolfo da s. Paoloscrittore del XII secolo narra di se medesimo (Hist. Me-diol. c. 13, 17, vol. 5, Script. rer. ital.), che unitosi adAnselmo dalla Pusterla e ad Olrico Vicedomino, i qualiamendue furon poscia arcivescovi di Milano, e portatosiin Francia frequentò le scuole di Tours e di Parigi. Cosìparimenti troviam memoria di un cotal Rainero cherico

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Se ne anno-verano al-cuni.

liberalità de' vescovi e degli abati di Francia". Essi necitano in pruova una lettera dello stesso Alessandro III,pubblicato dal p. Martene (Vet. Script. Collect. t. 2, p.807); nella quale perciò io mi credeva di veder fattamenzione de' Papi che mandavano truppe intere di ec-clesiastici, e di vedervi affermato che essi per lo più vifossero caritatevolmente mantenuti da' vescovi e dagliabati francesi. Ma io veggo che Alessandro non parlache di un cotal Valando suo cherico, cui raccomandaall'abate di s. Remigio, perchè il mantenga alle scuole diParigi. Di altri papi, di truppe di ecclesiastici, di liberali-tà de' vescovi, e degli abati di Francia in questa letteranon trovo motto; e avrei bramato perciò, che i Maurinirecassero qualche più certa pruova del loro detto.

XIX. Ciò non ostante è certo, come ho dettopoc'anzi, che molti Italiani, e singolarmenteda Roma, andavano alle scuole francesi, sìper la fama di cui esse godevano, sì perchè

la Francia, assai meno sconvolta dalle domestiche turbo-lenze che non l'Italia, era più tranquillo e più sicuro ri-covero agli amatori delle scienze. Landolfo da s. Paoloscrittore del XII secolo narra di se medesimo (Hist. Me-diol. c. 13, 17, vol. 5, Script. rer. ital.), che unitosi adAnselmo dalla Pusterla e ad Olrico Vicedomino, i qualiamendue furon poscia arcivescovi di Milano, e portatosiin Francia frequentò le scuole di Tours e di Parigi. Cosìparimenti troviam memoria di un cotal Rainero cherico

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Se ne anno-verano al-cuni.

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pistojese che l'anno 1145 si trasportò a studiar nelle Gal-lie (Sozomen. Pistor. in Hist. edita t. 1 Script. rer. ital.Flor. ad h. an.). In Francia pure e alla scuola di PietroAbailardo fu il celebre Arnaldo da Brescia, che posciainfettò de' suoi errori l'Italia (Bulaeus Hist. Univ. Paris.t. 2, p. 105). Più generalmente ancora si rammentano igiovani che da Roma recavansi a studiare in Francia, inuna lettera di Fulcone al celebre Pietro Abailardo(Abail. Op. p. 217): "Roma tibi suos docendos transmit-tebat alumnos, et quae olim omnium artium scientiamsolebat infundere sapientiorem te esse sapiente tran-smissis scolaribus monstrabat". Nelle quali espressioniperò vi sarà forse chi tema, e non senza giusto motivo,qualche esagerazione. Anche alcuni tra' romani pontefi-ci di questi tempi troviam che furono in Francia per mo-tivo di studio, come Alessandro II, Gregorio VII e Cele-stino II, per tacere di quelli che nati ed educati in Fran-cia furon poi sollevati alla sede apostolica, quai furonoLeon IX, Stefano IX e Urbano II. Quindi noi confessia-mo di dover molto a' Francesi che nell'ammaestrare tantiItaliani si adoperarono felicemente; ma speriamo insie-me ch'essi non vorranno mostrarsi ingrati alla memoriade' celebri professori italiani da cui essi furono istruiti, eche con quella medesima sincerità con cui noi confes-siamo che molti Italiani recavansi in Francia agli studjsacri, confesseranno essi pure che molti Francesi veni-vano al tempo stesso in Italia per gli studj legali, come asuo luogo vedremo.

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pistojese che l'anno 1145 si trasportò a studiar nelle Gal-lie (Sozomen. Pistor. in Hist. edita t. 1 Script. rer. ital.Flor. ad h. an.). In Francia pure e alla scuola di PietroAbailardo fu il celebre Arnaldo da Brescia, che posciainfettò de' suoi errori l'Italia (Bulaeus Hist. Univ. Paris.t. 2, p. 105). Più generalmente ancora si rammentano igiovani che da Roma recavansi a studiare in Francia, inuna lettera di Fulcone al celebre Pietro Abailardo(Abail. Op. p. 217): "Roma tibi suos docendos transmit-tebat alumnos, et quae olim omnium artium scientiamsolebat infundere sapientiorem te esse sapiente tran-smissis scolaribus monstrabat". Nelle quali espressioniperò vi sarà forse chi tema, e non senza giusto motivo,qualche esagerazione. Anche alcuni tra' romani pontefi-ci di questi tempi troviam che furono in Francia per mo-tivo di studio, come Alessandro II, Gregorio VII e Cele-stino II, per tacere di quelli che nati ed educati in Fran-cia furon poi sollevati alla sede apostolica, quai furonoLeon IX, Stefano IX e Urbano II. Quindi noi confessia-mo di dover molto a' Francesi che nell'ammaestrare tantiItaliani si adoperarono felicemente; ma speriamo insie-me ch'essi non vorranno mostrarsi ingrati alla memoriade' celebri professori italiani da cui essi furono istruiti, eche con quella medesima sincerità con cui noi confes-siamo che molti Italiani recavansi in Francia agli studjsacri, confesseranno essi pure che molti Francesi veni-vano al tempo stesso in Italia per gli studj legali, come asuo luogo vedremo.

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XX. Noi concederem parimenti a' Francesiciò che hanno con ragione affermato i piùvolte citati Maurini (Hist. littér. de laFrance t. 7, p. 156), cioè che alcuni de' ve-scovi che furon celebri a questi tempi in

Italia pel lor sapere, singolarmente nelle provincie cheformano ora il regno di Napoli e di Sicilia, furon france-si, ossia normanni, venuti colla loro nazione in Italia.Tali furono oltre Adalmanno cherico prima di Liegi, poivescovo di Brescia, stato già condiscepolo, e poscia op-pugnatore, di Berengario (V. Collect. PP. Brixiens. p.409 ec.), Milone arcivescovo di Benevento, Goffrido eGulmondo arcivescovi d'Aversa, e più altri citati daglistessi autori, i quali però hanno tra i dotti vescovi anno-verati alcuni del cui sapere non ci è rimasta memoria, omonumento alcuno. Ma desideriamo insieme ch'essi nonsi sdegnino di confessare che l'Italia non sol diè allaFrancia i cinque illustri maestri de' quali abbiam ragio-nato ma altri eziandio che col lor sapere ottennero ivistima e onori non ordinarj, i quali tanto più son da pre-giarsi, perchè i Francesi venuti in Italia ebbero comune-mente cotali onori da' lor nazionali, cioè da' Normanni;gl'Italiani al contrario passati in Francia gli ottennero pelsolo merito loro dagli stranieri. Un Guido lombardo dot-to nella divina al pari che nell'umana filosofia verso lametà dell'XI secolo era in Francia per testimonio di unantico scrittore (Hist. Franc. a Roberto rege ad mortemPhilip. reg. edita a Pitheo). Tra' vescovi di Avranchesveggiamo un Michele italiano di patria celebre per la

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Vescovi fran-cesi in Italia e dotti Italia-ni in Francia.

XX. Noi concederem parimenti a' Francesiciò che hanno con ragione affermato i piùvolte citati Maurini (Hist. littér. de laFrance t. 7, p. 156), cioè che alcuni de' ve-scovi che furon celebri a questi tempi in

Italia pel lor sapere, singolarmente nelle provincie cheformano ora il regno di Napoli e di Sicilia, furon france-si, ossia normanni, venuti colla loro nazione in Italia.Tali furono oltre Adalmanno cherico prima di Liegi, poivescovo di Brescia, stato già condiscepolo, e poscia op-pugnatore, di Berengario (V. Collect. PP. Brixiens. p.409 ec.), Milone arcivescovo di Benevento, Goffrido eGulmondo arcivescovi d'Aversa, e più altri citati daglistessi autori, i quali però hanno tra i dotti vescovi anno-verati alcuni del cui sapere non ci è rimasta memoria, omonumento alcuno. Ma desideriamo insieme ch'essi nonsi sdegnino di confessare che l'Italia non sol diè allaFrancia i cinque illustri maestri de' quali abbiam ragio-nato ma altri eziandio che col lor sapere ottennero ivistima e onori non ordinarj, i quali tanto più son da pre-giarsi, perchè i Francesi venuti in Italia ebbero comune-mente cotali onori da' lor nazionali, cioè da' Normanni;gl'Italiani al contrario passati in Francia gli ottennero pelsolo merito loro dagli stranieri. Un Guido lombardo dot-to nella divina al pari che nell'umana filosofia verso lametà dell'XI secolo era in Francia per testimonio di unantico scrittore (Hist. Franc. a Roberto rege ad mortemPhilip. reg. edita a Pitheo). Tra' vescovi di Avranchesveggiamo un Michele italiano di patria celebre per la

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Vescovi fran-cesi in Italia e dotti Italia-ni in Francia.

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sua dottrina, che tenne quella sede dall'an. 1071 finoall'an. 1094 (Gallia Christ. t. 11, p. 476). Lombardo pia-centino di patria, e poscia arcivescovo di Benevento,uomo ne' sacri canoni singolarmente versato assai, tro-vavasi in Francia, allor quando s. Tommaso arcivescovodi Cantoberì vi era in esilio, e istruì nella scienza mede-sima questo santo prelato (Ughell. Ital. sacra t. 9, p.121; Bulaeus Hist. Univ. Paris. t. 2, p. 753). Di un Olde-rico finalmente italiano di nascita, e poscia monaco nelmonastero di s. Vittore in Parigi, per nobiltà non menoche per sapere famoso, leggesi ancor l'epitafio nel mo-nastero medesimo (Bulaeus l. c. p. 778). Così la Franciae l'Italia venivansi vicendevolmente porgendo ajuto,questa col mandare alla Francia e dottissimi professoriche a grande onore sollevasser le scuole, e giovani inge-gnosi che nuovo lustro ad esse accrescessero, quella coldare un sicuro e dolce ricovero agl'Italiani che ne' torbi-di della lor patria difficilmente avrebbon potuto attende-re agli studj.

XXI. Ma comunque l'Italia arricchisse ditanti celebri professori la Francia, non ne ri-mase ella priva per modo, che molti in essaancora non si formassero felicemente aglistudj sacri, e vi acquistasser gran nome. Io

me ne spedirò brevemente, secondo il mio costume, trat-tenendomi solo ove alcuna cosa s'incontra degna di piùdiligente ricerca. E quanto a' romani pontefici di questi

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Alcuni ro-mani ponte-fici lodati per dottri-na.

sua dottrina, che tenne quella sede dall'an. 1071 finoall'an. 1094 (Gallia Christ. t. 11, p. 476). Lombardo pia-centino di patria, e poscia arcivescovo di Benevento,uomo ne' sacri canoni singolarmente versato assai, tro-vavasi in Francia, allor quando s. Tommaso arcivescovodi Cantoberì vi era in esilio, e istruì nella scienza mede-sima questo santo prelato (Ughell. Ital. sacra t. 9, p.121; Bulaeus Hist. Univ. Paris. t. 2, p. 753). Di un Olde-rico finalmente italiano di nascita, e poscia monaco nelmonastero di s. Vittore in Parigi, per nobiltà non menoche per sapere famoso, leggesi ancor l'epitafio nel mo-nastero medesimo (Bulaeus l. c. p. 778). Così la Franciae l'Italia venivansi vicendevolmente porgendo ajuto,questa col mandare alla Francia e dottissimi professoriche a grande onore sollevasser le scuole, e giovani inge-gnosi che nuovo lustro ad esse accrescessero, quella coldare un sicuro e dolce ricovero agl'Italiani che ne' torbi-di della lor patria difficilmente avrebbon potuto attende-re agli studj.

XXI. Ma comunque l'Italia arricchisse ditanti celebri professori la Francia, non ne ri-mase ella priva per modo, che molti in essaancora non si formassero felicemente aglistudj sacri, e vi acquistasser gran nome. Io

me ne spedirò brevemente, secondo il mio costume, trat-tenendomi solo ove alcuna cosa s'incontra degna di piùdiligente ricerca. E quanto a' romani pontefici di questi

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Alcuni ro-mani ponte-fici lodati per dottri-na.

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tempi, che furono italiani di patria, benchè nelle antichelor Vite pubblicate dal Muratori alcuni di essi venganlodati pe' felici progressi che fecero negli studj, e per lascienza di cui erano adorni, come Gelasio II (Script. rer.ital. t. 3, pars 1, p. 369, ec. 378) che da Urbano II erastato fatto suo cancelliere, affinchè, uomo colto com'egliera, richiamasse le lettere pontificie a quella eleganza dicui erano prive da lungo tempo Onorio II (ib. p. 421)Lucio II (ib. p. 437) e Alessandro III (ib. p. 448); e ben-chè altri ancora nelle lor lettere ci si mostrino uomininelle scienze sacre e proprie del loro stato assai beneistruiti; come nondimeno non ci è rimasta di essi, nèsappiamo che fosse da essi scritta opera alcuna apparte-nente a scienza, noi sarem paghi di averne qui accennatii nomi. Solo di Alessandro III dovrem favellare di nuo-vo, parlando della giurisprudenza, e ricercando l'originedell'università di Bologna mostreremo ch'ei vi fu profes-sore di scienze sacre. Passerò ancora sotto silenzio il ce-lebre card. Umberto che nel sec. XI si rendette illustreper alcuni trattati scritti contro gli errori de' Greci, pub-blicati dal card. Baronio (App. ad vol. 11 Ann. eccl.); eper tre libri contro de' Simoniaci, dati alla luce dal p.Martene (Anecd. t. 5); perciocchè ei fu lorenese di pa-tria, e solo in età provetta sen venne a Roma l'an. 1049col papa Leone IX, da cui fu posto nel ruolo de' cardina-li. Io parlo de' soli italiani, e tra questi ancora trascelgocoloro che ottennero maggior fama.

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tempi, che furono italiani di patria, benchè nelle antichelor Vite pubblicate dal Muratori alcuni di essi venganlodati pe' felici progressi che fecero negli studj, e per lascienza di cui erano adorni, come Gelasio II (Script. rer.ital. t. 3, pars 1, p. 369, ec. 378) che da Urbano II erastato fatto suo cancelliere, affinchè, uomo colto com'egliera, richiamasse le lettere pontificie a quella eleganza dicui erano prive da lungo tempo Onorio II (ib. p. 421)Lucio II (ib. p. 437) e Alessandro III (ib. p. 448); e ben-chè altri ancora nelle lor lettere ci si mostrino uomininelle scienze sacre e proprie del loro stato assai beneistruiti; come nondimeno non ci è rimasta di essi, nèsappiamo che fosse da essi scritta opera alcuna apparte-nente a scienza, noi sarem paghi di averne qui accennatii nomi. Solo di Alessandro III dovrem favellare di nuo-vo, parlando della giurisprudenza, e ricercando l'originedell'università di Bologna mostreremo ch'ei vi fu profes-sore di scienze sacre. Passerò ancora sotto silenzio il ce-lebre card. Umberto che nel sec. XI si rendette illustreper alcuni trattati scritti contro gli errori de' Greci, pub-blicati dal card. Baronio (App. ad vol. 11 Ann. eccl.); eper tre libri contro de' Simoniaci, dati alla luce dal p.Martene (Anecd. t. 5); perciocchè ei fu lorenese di pa-tria, e solo in età provetta sen venne a Roma l'an. 1049col papa Leone IX, da cui fu posto nel ruolo de' cardina-li. Io parlo de' soli italiani, e tra questi ancora trascelgocoloro che ottennero maggior fama.

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XXII. Fra questi senza pericol di erro-re si può affermare che il più illustre fus. Pietro Damiano, o, come avrebbe a

scriversi più giustamente, Pietro di Damiano, perciocchèegli al nome suo proprio quello aggiunse di un suo fra-tello, detto Damiano, da cui fu allevato pietosamentenell'abbandono in cui la crudele indolenza de' suoil'avea lasciato. Di lui hanno trattato e con singolar dili-genza tanti scrittori, che nè fa d'uopo, nè giova ch'io mitrattenga a favellarne diffusamente. Veggansi fra gli altrii continuatori del Bollando (ad d. 23 febr.), il Mabillon(Ann. bened. t. 4 l. 52; et Acta. SS. Ord. s. Bened. t. 9),l'Oudin (De Script. Eccl. t. 2, p. 686, ec.), il Ceillier(Hist. des Aut. eccl. t. 20, p. 512 ec.) i dottissimi autoridegli Annali Camaldolesi (Ann. camald. t. 1, 2), e il p.abate Ginanni (Scritt. ravenn. t. 2, p. 157, ec., e Letteranella quale si dimostra che Ravenna è la vera patria dis. Pier Damiano, ec. Assisi 1741). Io verrò dunque ac-cennando sol brevemente ciò ch'essi hanno e svolto am-piamente, e chiaramente provato. Pietro nato in Raven-na, secondo il comun parere degli scrittori, verso l'an.1007, dopo avere per alcuni anni sofferto nelle domesti-che mura un trattamento cui non avea ragion d'aspettare,per pietà avutane finalmente da suo fratello Damiano, fumandato alle scuole prima di Faenza, poscia di Parma,come nel capo precedente abbiam dimostrato; ed ei vifece sì felici progressi, che prese poscia a tener scuolaagli altri. In qual città la tenesse, l'antico scrittor dellaVita, cioè Giovanni di lui discepolo, non lo esprime; ma

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Compendio della vitadi s. Pier Damiano.

XXII. Fra questi senza pericol di erro-re si può affermare che il più illustre fus. Pietro Damiano, o, come avrebbe a

scriversi più giustamente, Pietro di Damiano, perciocchèegli al nome suo proprio quello aggiunse di un suo fra-tello, detto Damiano, da cui fu allevato pietosamentenell'abbandono in cui la crudele indolenza de' suoil'avea lasciato. Di lui hanno trattato e con singolar dili-genza tanti scrittori, che nè fa d'uopo, nè giova ch'io mitrattenga a favellarne diffusamente. Veggansi fra gli altrii continuatori del Bollando (ad d. 23 febr.), il Mabillon(Ann. bened. t. 4 l. 52; et Acta. SS. Ord. s. Bened. t. 9),l'Oudin (De Script. Eccl. t. 2, p. 686, ec.), il Ceillier(Hist. des Aut. eccl. t. 20, p. 512 ec.) i dottissimi autoridegli Annali Camaldolesi (Ann. camald. t. 1, 2), e il p.abate Ginanni (Scritt. ravenn. t. 2, p. 157, ec., e Letteranella quale si dimostra che Ravenna è la vera patria dis. Pier Damiano, ec. Assisi 1741). Io verrò dunque ac-cennando sol brevemente ciò ch'essi hanno e svolto am-piamente, e chiaramente provato. Pietro nato in Raven-na, secondo il comun parere degli scrittori, verso l'an.1007, dopo avere per alcuni anni sofferto nelle domesti-che mura un trattamento cui non avea ragion d'aspettare,per pietà avutane finalmente da suo fratello Damiano, fumandato alle scuole prima di Faenza, poscia di Parma,come nel capo precedente abbiam dimostrato; ed ei vifece sì felici progressi, che prese poscia a tener scuolaagli altri. In qual città la tenesse, l'antico scrittor dellaVita, cioè Giovanni di lui discepolo, non lo esprime; ma

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Compendio della vitadi s. Pier Damiano.

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solo accenna il numeroso concorso che da ogni parte fa-ceasi ad ascoltarlo per la stima in cui era salito: "moxalios erudire; clientium turba ad doctrinae ipsius famamundique confluente, studiosissime coepit". Ma i pericolia cui egli si vide esposto nel mondo, il consigliarono aritirarsi in un chiostro, ed egli scelse a tal fine il mona-stero di Fonte Avellana. Delle virtù da lui praticate inquesto monastero che fu il suo ordinario soggiorno, e inaltri a cui fu per alcun tempo chiamato, delle austeritàcon cui egli afflisse di continuo il suo corpo, dei prodigicon cui Iddio il volle glorificare, io lascerò che si con-sultino i mentovati scrittori, poichè ciò punto non appar-tiene al disegno di questa mia Storia. Io osserverò inve-ce che all'esercizio delle religiose virtù egli congiunseun assiduo e diligente studio di quelle materie singolar-mente di cui allora con più ardore si disputava; e che peresso ei divenne sì celebre, che non vi ebbe quasi impor-tante affar nella Chiesa, di cui a lui non si appoggiassetutta la cura. L'imp. Arrigo II volle ch'ei andasse aRoma per ajutare co' suoi consigli il pontef. ClementeII, come egli stesso narra in una sua lettera (l. 1, ep. 3);ove è a correggere il p. Ceillier che dice ciò avvenutol'an. 1042, poichè Clemente II non fu eletto ponteficeche l'an. 1046. D'allora in poi s. Pier Damiano fu quasidi continuo occupato ne' più rilevanti affari ecclesiastici.Non vi ebbe quasi sinodo a cui egli non intervenisse. Lasimonia e la incontinenza del clero erano allora i vizjche troppo bruttamente guastavano la Chiesa di Dio; edegli e co' suoi libri e co' viaggi intrapresi a diverse città,

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solo accenna il numeroso concorso che da ogni parte fa-ceasi ad ascoltarlo per la stima in cui era salito: "moxalios erudire; clientium turba ad doctrinae ipsius famamundique confluente, studiosissime coepit". Ma i pericolia cui egli si vide esposto nel mondo, il consigliarono aritirarsi in un chiostro, ed egli scelse a tal fine il mona-stero di Fonte Avellana. Delle virtù da lui praticate inquesto monastero che fu il suo ordinario soggiorno, e inaltri a cui fu per alcun tempo chiamato, delle austeritàcon cui egli afflisse di continuo il suo corpo, dei prodigicon cui Iddio il volle glorificare, io lascerò che si con-sultino i mentovati scrittori, poichè ciò punto non appar-tiene al disegno di questa mia Storia. Io osserverò inve-ce che all'esercizio delle religiose virtù egli congiunseun assiduo e diligente studio di quelle materie singolar-mente di cui allora con più ardore si disputava; e che peresso ei divenne sì celebre, che non vi ebbe quasi impor-tante affar nella Chiesa, di cui a lui non si appoggiassetutta la cura. L'imp. Arrigo II volle ch'ei andasse aRoma per ajutare co' suoi consigli il pontef. ClementeII, come egli stesso narra in una sua lettera (l. 1, ep. 3);ove è a correggere il p. Ceillier che dice ciò avvenutol'an. 1042, poichè Clemente II non fu eletto ponteficeche l'an. 1046. D'allora in poi s. Pier Damiano fu quasidi continuo occupato ne' più rilevanti affari ecclesiastici.Non vi ebbe quasi sinodo a cui egli non intervenisse. Lasimonia e la incontinenza del clero erano allora i vizjche troppo bruttamente guastavano la Chiesa di Dio; edegli e co' suoi libri e co' viaggi intrapresi a diverse città,

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usò di ogni sforzo per estirparli; e degno è singolarmen-te d'esser letto ciò ch'egli operò a tal fine nella chiesa diMilano, a cui fu inviato insieme con s. Anselmo vesco-vo di Lucca dal pontef. Niccolò II. Sollevato da StefanoIX l'an. 1057 alla dignità di cardinale e di vescovod'Ostia, dopo avere per più anni soddisfatto con incredi-bile zelo a' doveri delle sue cariche, bramoso di ritirarsialla dolce tranquillità del suo eremo, ottenne finalmenteda Alessandro II di poter dimettere il vescovado, e ditornarsene a Fonte Avellana. Ma poco tempo potè egligodere dello sperato riposo; e due altre legazioni assaifaticose dovette sostenere negli ultimi anni della sua vitaper ordine dello stesso Alessandro II, una in Francia,ove radunò il Sinodo di Chalons, l'altra in Germania,ove ottenne dall'imp. Arrigo III, che deponesse il pen-siero di ripudiare Berta sua moglie. Egli intervenne an-cora a un Concilio tenuto in Roma dallo stesso ponteficel'an. 1071, e finalmente da lui inviato nel seguente annoa Ravenna, perchè dopo la morte dell'arcivescovo Arri-go scomunicato riconciliasse quella chiesa colla sedeapostolica, compiuto felicemente il ministero commes-sogli, e venuto a Faenza, vi finì i suoi giorni.

XXIII. Le onorevoli cariche a cui fusollevato, e i difficili affari in cui fuoccupato s. Pier Damiano, potrebbon

bastare a farci conoscere in quale stima se ne avesse lasantità e la prudenza non men che il sapere. Ma pruova

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Sue opere e loro carattere.

usò di ogni sforzo per estirparli; e degno è singolarmen-te d'esser letto ciò ch'egli operò a tal fine nella chiesa diMilano, a cui fu inviato insieme con s. Anselmo vesco-vo di Lucca dal pontef. Niccolò II. Sollevato da StefanoIX l'an. 1057 alla dignità di cardinale e di vescovod'Ostia, dopo avere per più anni soddisfatto con incredi-bile zelo a' doveri delle sue cariche, bramoso di ritirarsialla dolce tranquillità del suo eremo, ottenne finalmenteda Alessandro II di poter dimettere il vescovado, e ditornarsene a Fonte Avellana. Ma poco tempo potè egligodere dello sperato riposo; e due altre legazioni assaifaticose dovette sostenere negli ultimi anni della sua vitaper ordine dello stesso Alessandro II, una in Francia,ove radunò il Sinodo di Chalons, l'altra in Germania,ove ottenne dall'imp. Arrigo III, che deponesse il pen-siero di ripudiare Berta sua moglie. Egli intervenne an-cora a un Concilio tenuto in Roma dallo stesso ponteficel'an. 1071, e finalmente da lui inviato nel seguente annoa Ravenna, perchè dopo la morte dell'arcivescovo Arri-go scomunicato riconciliasse quella chiesa colla sedeapostolica, compiuto felicemente il ministero commes-sogli, e venuto a Faenza, vi finì i suoi giorni.

XXIII. Le onorevoli cariche a cui fusollevato, e i difficili affari in cui fuoccupato s. Pier Damiano, potrebbon

bastare a farci conoscere in quale stima se ne avesse lasantità e la prudenza non men che il sapere. Ma pruova

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Sue opere e loro carattere.

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ancor più evidente ne abbiamo nell'opere da lui scritte.Esse son molte lettere appartenenti in gran parte agli af-fari di cui era incaricato, e che giovan non poco ad illu-strare la storia di quegli oscurissimi tempi; molti opu-scoli, ossia trattati su diversi argomenti appartenenti alladisciplina ecclesiastica, a' vizj che allor regnavan nelmondo, e singolarmente nel clero, a varj passi della sa-cra Scrittura, a quistioni teologiche, ad usanze monasti-che, e ad altre somiglianti materie, alcuni Sermoni, e al-cune Vite dei Santi, ed altre operette, delle quali si veg-gano gli scrittori da noi rammentati poc'anzi. In esse noiveggiamo uno stile assai più elegante, che non trovasicomunemente negli altri scrittori di questa età; egli siesprime or con grazia, ora con eloquenza degna di mi-glior secolo; e dà a veder chiaramente quanto egli fosseesercitato nello studio della Scrittura, de' santi Padri, de'canoni, e delle leggi. Se alcune cose vi s'incontrano, acui il buon senso e la più esatta critica de' nostri giorninon ci permettono di dar fede, dobbiam noi per ciò soloparlarne con biasimo e con disprezzo? Se quelli che in-sultano sì amaramente la semplice credulità de' nostribuoni maggiori, fosser vissuti a' lor tempi, non sarebbo-no essi ancora al presente l'oggetto delle risa de' critici?Lodiamo in tutti ciò che troviam degno di lode, e non ri-copriamo d'infamia il nome di quelli che, se vivessero alpresente, offuscherebbon forse le glorie de' loro disprez-zatori. S. Pier Damiano a' suoi tempi fu avuto, e a giustaragione, in conto del più dotto uomo che allor vivesse.Quindi Alessandro II scrivendo ai vescovi delle Gallie

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ancor più evidente ne abbiamo nell'opere da lui scritte.Esse son molte lettere appartenenti in gran parte agli af-fari di cui era incaricato, e che giovan non poco ad illu-strare la storia di quegli oscurissimi tempi; molti opu-scoli, ossia trattati su diversi argomenti appartenenti alladisciplina ecclesiastica, a' vizj che allor regnavan nelmondo, e singolarmente nel clero, a varj passi della sa-cra Scrittura, a quistioni teologiche, ad usanze monasti-che, e ad altre somiglianti materie, alcuni Sermoni, e al-cune Vite dei Santi, ed altre operette, delle quali si veg-gano gli scrittori da noi rammentati poc'anzi. In esse noiveggiamo uno stile assai più elegante, che non trovasicomunemente negli altri scrittori di questa età; egli siesprime or con grazia, ora con eloquenza degna di mi-glior secolo; e dà a veder chiaramente quanto egli fosseesercitato nello studio della Scrittura, de' santi Padri, de'canoni, e delle leggi. Se alcune cose vi s'incontrano, acui il buon senso e la più esatta critica de' nostri giorninon ci permettono di dar fede, dobbiam noi per ciò soloparlarne con biasimo e con disprezzo? Se quelli che in-sultano sì amaramente la semplice credulità de' nostribuoni maggiori, fosser vissuti a' lor tempi, non sarebbo-no essi ancora al presente l'oggetto delle risa de' critici?Lodiamo in tutti ciò che troviam degno di lode, e non ri-copriamo d'infamia il nome di quelli che, se vivessero alpresente, offuscherebbon forse le glorie de' loro disprez-zatori. S. Pier Damiano a' suoi tempi fu avuto, e a giustaragione, in conto del più dotto uomo che allor vivesse.Quindi Alessandro II scrivendo ai vescovi delle Gallie

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nel mandarlo colà suo legato, ne fa quest'elogio che solobasta a mostrare la stima che di lui si faceva: "Quoniamigitur pluribus ecclesiarum negotiis occupati ad vos ipsivenire non possumus, talem vobis destinare curavimus,quo nimirum post nos major in Romana Ecclesia aucto-ritas non habetur; Petrum videlicet Damianum ostien-sem episcopum, qui nimirum et noster est oculus, etapostolicae sedis immobile firmamentum" (t. 9 Concil.ed. Harduin. p. 1131, ep. 21).

XXIV. Contemporaneo e collega di s. PierDamiano, se vogliam credere ad alcuni mo-derni scrittori, nella dignità di cardinale, fuAlberico monaco di Monte Casino. S'eglifosse italiano, non abbiamo argomento adaffermarlo con sicurezza; ma molto meno

possono altri provare ch'ei fosse straniero (V. Mazzuc-chelli Scritt. ital. t. 1). Della vita da lui condotta non ciha lasciata contezza alcuna distinta Pietro diacono chene ha fatto l'elogio (de Vir. ill. Casin. c. 21). Ei solo cinarra che nel Concilio tenuto in Roma contro di Beren-gario "non essendo alcuno che avesse coraggio a resi-stergli, il monaco Alberico, avendo chiesto ed ottenutol'indugio di una settimana, scrisse un libro fondatosull'autorità de' Padri contro il medesimo Berengario, incui ne confutò e convinse tutti gli errori". Il card. Baro-nio crede (Ann. eccl. ad. an. 1059), e forse non senza ra-gione, che Pietro diacono abbia qui esagerato di troppo,

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Notizie di Alberico monaco ca-sinese, e delle sue opere.

nel mandarlo colà suo legato, ne fa quest'elogio che solobasta a mostrare la stima che di lui si faceva: "Quoniamigitur pluribus ecclesiarum negotiis occupati ad vos ipsivenire non possumus, talem vobis destinare curavimus,quo nimirum post nos major in Romana Ecclesia aucto-ritas non habetur; Petrum videlicet Damianum ostien-sem episcopum, qui nimirum et noster est oculus, etapostolicae sedis immobile firmamentum" (t. 9 Concil.ed. Harduin. p. 1131, ep. 21).

XXIV. Contemporaneo e collega di s. PierDamiano, se vogliam credere ad alcuni mo-derni scrittori, nella dignità di cardinale, fuAlberico monaco di Monte Casino. S'eglifosse italiano, non abbiamo argomento adaffermarlo con sicurezza; ma molto meno

possono altri provare ch'ei fosse straniero (V. Mazzuc-chelli Scritt. ital. t. 1). Della vita da lui condotta non ciha lasciata contezza alcuna distinta Pietro diacono chene ha fatto l'elogio (de Vir. ill. Casin. c. 21). Ei solo cinarra che nel Concilio tenuto in Roma contro di Beren-gario "non essendo alcuno che avesse coraggio a resi-stergli, il monaco Alberico, avendo chiesto ed ottenutol'indugio di una settimana, scrisse un libro fondatosull'autorità de' Padri contro il medesimo Berengario, incui ne confutò e convinse tutti gli errori". Il card. Baro-nio crede (Ann. eccl. ad. an. 1059), e forse non senza ra-gione, che Pietro diacono abbia qui esagerato di troppo,

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Notizie di Alberico monaco ca-sinese, e delle sue opere.

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e che per rilevare il merito di Alberico abbia ingiusta-mente depresso quello degli altri Padri del sinodo, a cuiin fatti intervenne ancor s. Brunone che fu poi vescovodi Segni, e nel confutar Berengario acquistossi egli an-cora gran nome. Ei pensa innoltre che questo fosse ilConcilio tenuto l'an. 1059. Ma il p. Mabillon ha chiara-mente provato colla testimonianza dello stesso Berenga-rio (Ann. bened. t. 5, l. 65, n. 52); che fu il convocato daGregorio VII l'an. 1079, e che Alberico fu quegli chenella formola di fede cui comandossi a Berengario disottoscrivere, volle che si esprimesse che nella Eucari-stia era il corpo di Cristo sostanzialmente, di che l'osti-nato e furioso eretico altamente sdegnato si scagliò conatroci ingiurie contro il temuto suo avversario. Oltre ciòAlberico scrisse un'apologia di Gregorio VII, alcuneVite de' Santi, e alcune Omelie, e Prose ed Inni per variefeste, e più altre operette, fra le quali io debbo singolar-mente osservare un libro sulla Astronomia, uno sullaDialettica, e un altro su la Musica. Il can. Mari afferma(in Not. ad Petr. diac. l. c.) che tutte l'opere di Albericotrovansi nella biblioteca di s. Croce in Firenze. Ma il p.Mabillon, avendo diligentemente cercata quella controdi Berengario e in Monte Casino e in Firenze, non potèrinvenirla (Ann. l. c.), e il co. Mazzucchelli ancor riferi-sce aver lui avuto riscontro che niuna cosa di Albericotrovavasi in quella biblioteca. Alberico morì in Roma,come il Fabricio seguito da altri afferma (Bibl. lat. med.et inf. aetat. t. 1, p. 38), l'an. 1088, ma io non veggoqual pruova ne arrechi, e solo dalle cose dette si può ac-

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e che per rilevare il merito di Alberico abbia ingiusta-mente depresso quello degli altri Padri del sinodo, a cuiin fatti intervenne ancor s. Brunone che fu poi vescovodi Segni, e nel confutar Berengario acquistossi egli an-cora gran nome. Ei pensa innoltre che questo fosse ilConcilio tenuto l'an. 1059. Ma il p. Mabillon ha chiara-mente provato colla testimonianza dello stesso Berenga-rio (Ann. bened. t. 5, l. 65, n. 52); che fu il convocato daGregorio VII l'an. 1079, e che Alberico fu quegli chenella formola di fede cui comandossi a Berengario disottoscrivere, volle che si esprimesse che nella Eucari-stia era il corpo di Cristo sostanzialmente, di che l'osti-nato e furioso eretico altamente sdegnato si scagliò conatroci ingiurie contro il temuto suo avversario. Oltre ciòAlberico scrisse un'apologia di Gregorio VII, alcuneVite de' Santi, e alcune Omelie, e Prose ed Inni per variefeste, e più altre operette, fra le quali io debbo singolar-mente osservare un libro sulla Astronomia, uno sullaDialettica, e un altro su la Musica. Il can. Mari afferma(in Not. ad Petr. diac. l. c.) che tutte l'opere di Albericotrovansi nella biblioteca di s. Croce in Firenze. Ma il p.Mabillon, avendo diligentemente cercata quella controdi Berengario e in Monte Casino e in Firenze, non potèrinvenirla (Ann. l. c.), e il co. Mazzucchelli ancor riferi-sce aver lui avuto riscontro che niuna cosa di Albericotrovavasi in quella biblioteca. Alberico morì in Roma,come il Fabricio seguito da altri afferma (Bibl. lat. med.et inf. aetat. t. 1, p. 38), l'an. 1088, ma io non veggoqual pruova ne arrechi, e solo dalle cose dette si può ac-

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certar ch'ei visse verso la fine dell'XI secolo (12).

XXV. Insieme con Alberico intervenne almentovato Concilio contro di Berengario s.Brunone vescovo di Segni, uomo a que'tempi celebre ugualmente per dottrina e persantità (13). Due sono gli antichi scrittori che

ne han narrata la Vita; Leon marsicano, ossia piuttostoPietro diacono continuator della Cronaca di Monte Casi-no da Leone incominciata, e un anonimo che sembra es-sere un canonico di Segni vissuto verso l'an. 1180. Maquesti due autori, benchè amendue poco lontani da s.Brunone, sono in molte cose l'uno a l'altro contrari. Orchi di loro dee ottener maggior fede? Il p. GiambattistaSollier uno de' più dotti e più esatti continuatori del Bol-lando ha su ciò disputato assai lungamente (Acta SS. jul.t. 4, ad d. 18); e a me pare che egli abbia mostrato conevidenza, che assai più meritevole di fede è l'anonimoche non Pietro diacono, il quale, come confessa lo stes-so p. abate Angelo della Noce (in not. ad Prolog. l. 4Chron. Casin.), che pur più d'ogni altro dovea sostener-ne l'autorità "molte cose scrisse, ma senza discernimen-12 Da questo Alberico monaco e cardinale deesi distinguere un altro Alberico

pur monaco casinese, ma vissuto nel secol seguente, di cui credesi la conti-nuazione della Cronaca Casinese pubblicata sotto il nome di un anonimo, edi cui trovasi ms. un'opera de Visione sua (V. Mazzucch. Scritt. ital. l. 1,par. 1, p. 290) dalla quale pretendono alcuni che Dante prendesse l'ideadella sua Commedia (V. Pelli Memoria di Dante p. 122).

13 Della vita e delle opere di s. Brunone ha trattato in una sua lezione il sig.ab. Odoardo Cocchis (Piemontesi ill. t. 3, p. 169, ec.).

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Diversità dipareri degliantichi scrittori nelparlare.

certar ch'ei visse verso la fine dell'XI secolo (12).

XXV. Insieme con Alberico intervenne almentovato Concilio contro di Berengario s.Brunone vescovo di Segni, uomo a que'tempi celebre ugualmente per dottrina e persantità (13). Due sono gli antichi scrittori che

ne han narrata la Vita; Leon marsicano, ossia piuttostoPietro diacono continuator della Cronaca di Monte Casi-no da Leone incominciata, e un anonimo che sembra es-sere un canonico di Segni vissuto verso l'an. 1180. Maquesti due autori, benchè amendue poco lontani da s.Brunone, sono in molte cose l'uno a l'altro contrari. Orchi di loro dee ottener maggior fede? Il p. GiambattistaSollier uno de' più dotti e più esatti continuatori del Bol-lando ha su ciò disputato assai lungamente (Acta SS. jul.t. 4, ad d. 18); e a me pare che egli abbia mostrato conevidenza, che assai più meritevole di fede è l'anonimoche non Pietro diacono, il quale, come confessa lo stes-so p. abate Angelo della Noce (in not. ad Prolog. l. 4Chron. Casin.), che pur più d'ogni altro dovea sostener-ne l'autorità "molte cose scrisse, ma senza discernimen-12 Da questo Alberico monaco e cardinale deesi distinguere un altro Alberico

pur monaco casinese, ma vissuto nel secol seguente, di cui credesi la conti-nuazione della Cronaca Casinese pubblicata sotto il nome di un anonimo, edi cui trovasi ms. un'opera de Visione sua (V. Mazzucch. Scritt. ital. l. 1,par. 1, p. 290) dalla quale pretendono alcuni che Dante prendesse l'ideadella sua Commedia (V. Pelli Memoria di Dante p. 122).

13 Della vita e delle opere di s. Brunone ha trattato in una sua lezione il sig.ab. Odoardo Cocchis (Piemontesi ill. t. 3, p. 169, ec.).

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Diversità dipareri degliantichi scrittori nelparlare.

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to e senza criterio; perciocchè fu uomo di vivace inge-gno ma troppo pronto, e talvolta precipitoso nel giudica-re". All'anonimo dunque più che a Pietro diacono si deefede; e a lui perciò atterrommi nell'accennar brevementeciò che appartiene alla vita di questo s. vescovo; e moltopiù che ciò che egli afferma, è stato con nuove ragioni, econ altre autorità confermato dal suddetto p. Sollier, cuipotrà consultare chi il brami.

XXVI. S. Brunone nacque, come conget-tura il p. Sollier l'an. 1049 in Solera villadella diocesi d'Asti di poveri genitori; ben-

chè Pietro diacono affermi ch'egli era uscito di una nobilfamiglia di cittadini astigiani, il che potrebbesi per av-ventura conciliare dicendo ch'ei fosse bensì di illustrefamiglia, ma venuta, come talvolta accade, a povero sta-to. Fatti i primi studj nel monastero di S. Perpetuo nelladiocesi d'Asti, passò per volere de' genitori a Bologna,ove attese ad apprendere quelle scienze che, come altro-ve abbiam detto, comprendevansi sotto il nome di trivioe di quadrivio; indi si volse singolarmente agli studj sa-cri, e con sì felice successo, che "a richiesta d'alcuni Ol-tramontani fece una sposizion compendiosa del Salteriosecondo la traslazion gallicana, cui poscia fatto già ve-scovo stese più ampiamente, e adattolla alla versione ro-mana". Compiuti gli studj, e onorato della dignità didottore, doctoris nomen assecutus et gratiam, comescrive l'anonimo, passò a Siena, e tra i canonici di quella

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Compendiodella sua vita.

to e senza criterio; perciocchè fu uomo di vivace inge-gno ma troppo pronto, e talvolta precipitoso nel giudica-re". All'anonimo dunque più che a Pietro diacono si deefede; e a lui perciò atterrommi nell'accennar brevementeciò che appartiene alla vita di questo s. vescovo; e moltopiù che ciò che egli afferma, è stato con nuove ragioni, econ altre autorità confermato dal suddetto p. Sollier, cuipotrà consultare chi il brami.

XXVI. S. Brunone nacque, come conget-tura il p. Sollier l'an. 1049 in Solera villadella diocesi d'Asti di poveri genitori; ben-

chè Pietro diacono affermi ch'egli era uscito di una nobilfamiglia di cittadini astigiani, il che potrebbesi per av-ventura conciliare dicendo ch'ei fosse bensì di illustrefamiglia, ma venuta, come talvolta accade, a povero sta-to. Fatti i primi studj nel monastero di S. Perpetuo nelladiocesi d'Asti, passò per volere de' genitori a Bologna,ove attese ad apprendere quelle scienze che, come altro-ve abbiam detto, comprendevansi sotto il nome di trivioe di quadrivio; indi si volse singolarmente agli studj sa-cri, e con sì felice successo, che "a richiesta d'alcuni Ol-tramontani fece una sposizion compendiosa del Salteriosecondo la traslazion gallicana, cui poscia fatto già ve-scovo stese più ampiamente, e adattolla alla versione ro-mana". Compiuti gli studj, e onorato della dignità didottore, doctoris nomen assecutus et gratiam, comescrive l'anonimo, passò a Siena, e tra i canonici di quella

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Compendiodella sua vita.

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cattedrale fu arrolato. Che in Siena e non in Asti, comescrive Paolo diacono, ei fosse canonico, si conferma dalp. Sollier colle parole del medesimo santo, il quale di sestesso scrive così (praef. in Apoc.): "Et prius quidemquam ad episcopatus dignitatem... conscenderem, Ingo-ni astensi episcopo Psalterium senensibus vero canoni-cis, cum quibus et ipse qualiscumque canonicus victita-bam, Cantica Canticorum, prout potui, exposui". Intornoal qual passo veggasi come ragiona lo stesso p. Sollier.L'an. 1079 trovossi presente al sinodo contro di Beren-gario tenuto in Roma; e tal saggio vi diede del suo sape-re, che Gregorio VII il dichiarò vescovo di Segni. Nèminori contrassegni di stima ebbe egli da Urbano II, dacui condotto in Francia intervenne al Concilio di Cler-mont l'an. 1095, e a quel di Tours l'an. 1096, e alla con-secrazione delle chiese del monastero di Clugny e delmonastero maggiore di Tours. Quindi mosso da deside-rio di un tranquillo e santo riposo, ritirossi l'an. 1102 aMonte Casino; e 5 anni appresso ne fu eletto abate. Maanche del suo monastero gli convenne uscire a ben dellaChiesa; e l'an. 1106 passò di nuovo legato apostolico inFrancia con Boemondo principe d'Antiochia, e vi radu-nò il Concilio di Poitiers; e poscia un'altra legazione an-cora sostenne in Sicilia. Mentre ei reggeva il monasterodi Monte Casino, il pontef. Pasquale II accordò il dirittodelle investiture all'imp. Arrigo IV. Di che facendosigran rumore da molti, a' quali sembrava ch'egli avessein ciò gravemente errato, e tra questi Brunone ancorarimproverando la condotta del papa, questi sdegnato co-

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cattedrale fu arrolato. Che in Siena e non in Asti, comescrive Paolo diacono, ei fosse canonico, si conferma dalp. Sollier colle parole del medesimo santo, il quale di sestesso scrive così (praef. in Apoc.): "Et prius quidemquam ad episcopatus dignitatem... conscenderem, Ingo-ni astensi episcopo Psalterium senensibus vero canoni-cis, cum quibus et ipse qualiscumque canonicus victita-bam, Cantica Canticorum, prout potui, exposui". Intornoal qual passo veggasi come ragiona lo stesso p. Sollier.L'an. 1079 trovossi presente al sinodo contro di Beren-gario tenuto in Roma; e tal saggio vi diede del suo sape-re, che Gregorio VII il dichiarò vescovo di Segni. Nèminori contrassegni di stima ebbe egli da Urbano II, dacui condotto in Francia intervenne al Concilio di Cler-mont l'an. 1095, e a quel di Tours l'an. 1096, e alla con-secrazione delle chiese del monastero di Clugny e delmonastero maggiore di Tours. Quindi mosso da deside-rio di un tranquillo e santo riposo, ritirossi l'an. 1102 aMonte Casino; e 5 anni appresso ne fu eletto abate. Maanche del suo monastero gli convenne uscire a ben dellaChiesa; e l'an. 1106 passò di nuovo legato apostolico inFrancia con Boemondo principe d'Antiochia, e vi radu-nò il Concilio di Poitiers; e poscia un'altra legazione an-cora sostenne in Sicilia. Mentre ei reggeva il monasterodi Monte Casino, il pontef. Pasquale II accordò il dirittodelle investiture all'imp. Arrigo IV. Di che facendosigran rumore da molti, a' quali sembrava ch'egli avessein ciò gravemente errato, e tra questi Brunone ancorarimproverando la condotta del papa, questi sdegnato co-

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mandò a' monaci di Monte Casino, che più nol dovesse-ro riconoscere a loro abate. Dal che presa occasione al-cuni di essi ch'erano per altre ragioni innaspriti controdel S. abate, il cacciarono con villanìa dal monasterol'an. 1111. Tornato ei dunque alla sua chiesa di Segni, laresse di nuovo con grande zelo fino all'an. 1123 in cui a'18 di luglio pose fine a' suoi giorni, e fu poscia da LucioIII annoverato tra' santi. Tutte le quali cose si possonovedere più ampiamente distese, e con opportuni argo-menti provate dal sopraccitato p. Sollier.

XXVII. Ciò che detto abbiam di Brunone,ci dimostra senz'altro ch'egli avea la fama di

uno de' più dotti uomini del suo tempo. Pruova ancorapiù chiara ne abbiamo nelle opere che di lui ci sono ri-maste. Pietro diacono ce ne ha lasciato un lungo catalo-go (de Vir. ill. Casin. c. 34); e molte di esse sono stateraccolte, e con un'erudita dissertazione illustrate dal p.d. Mauro Marchesi monaco casinese l'an. 1651 in duevolumi in folio. Di questi il primo abbraccia i Comentarjda lui scritti su molti libri della sacra Scrittura, il secon-do contiene molte Omelie attribuite già ad Eusebioemisseno e ad altri Padri più antichi; varj trattati su di-verse materie scritturali, teologiche e morali, in alcunedelle quali ancora ei combatte gli errori de' Greci, e ivizj che dominavano nella Chiesa, alcune Vite de' Santi,e alcune lettere, e finalmente sei libri intitolati delleSentenze, ossia riflessioni, o discorsi su diversi argo-

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Sue opere.

mandò a' monaci di Monte Casino, che più nol dovesse-ro riconoscere a loro abate. Dal che presa occasione al-cuni di essi ch'erano per altre ragioni innaspriti controdel S. abate, il cacciarono con villanìa dal monasterol'an. 1111. Tornato ei dunque alla sua chiesa di Segni, laresse di nuovo con grande zelo fino all'an. 1123 in cui a'18 di luglio pose fine a' suoi giorni, e fu poscia da LucioIII annoverato tra' santi. Tutte le quali cose si possonovedere più ampiamente distese, e con opportuni argo-menti provate dal sopraccitato p. Sollier.

XXVII. Ciò che detto abbiam di Brunone,ci dimostra senz'altro ch'egli avea la fama di

uno de' più dotti uomini del suo tempo. Pruova ancorapiù chiara ne abbiamo nelle opere che di lui ci sono ri-maste. Pietro diacono ce ne ha lasciato un lungo catalo-go (de Vir. ill. Casin. c. 34); e molte di esse sono stateraccolte, e con un'erudita dissertazione illustrate dal p.d. Mauro Marchesi monaco casinese l'an. 1651 in duevolumi in folio. Di questi il primo abbraccia i Comentarjda lui scritti su molti libri della sacra Scrittura, il secon-do contiene molte Omelie attribuite già ad Eusebioemisseno e ad altri Padri più antichi; varj trattati su di-verse materie scritturali, teologiche e morali, in alcunedelle quali ancora ei combatte gli errori de' Greci, e ivizj che dominavano nella Chiesa, alcune Vite de' Santi,e alcune lettere, e finalmente sei libri intitolati delleSentenze, ossia riflessioni, o discorsi su diversi argo-

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Sue opere.

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menti (14). Di queste e di altre opere o perite, o non ancorpubblicate di s. Brunone, veggansi singolarmente il p.Ceillier (Hist.des Aut. eccl. t. 21, p. 101, ec.), il Fabricio(Bibl. lat. med. et inf. aetat. t. 1, p. 281) e il co. Mazzuc-chelli (Scritt. ital. t. 2, par. 4), che ne parlano con esat-tezza. In esse, comunque non sian prive de' difetti delsecolo, ammirasi nondimeno una chiarezza, una erudi-zione e un'eleganza assai rara a vedersi negli scrittori diquesti tempi. Alle opere di s. Brunone si suol aggiugne-re un Comento su' Salmi di Odone monaco benedettinoed astigiano esso pure. Egli lo scrisse ad istanza dellostesso Brunone, e a lui perciò dedicollo, dal che si scuo-pre ch'ei vivea al tempo medesimo; ma questa è la solanotizia che di lui abbiamo.

XXVIII. Io mi riserbo a parlare ne' seguenticapi di altri famosi monaci casinesi che aquesti tempi coltivaron felicemente gli stu-dj; perciocchè, comunque ne' sacri fosserversati, e ce ne abbian lasciate pruove, non-dimeno in altri generi di letteratura furon

più illustri, come Alfano arcivescovo di Salerno, Pan-dolfo, Oderisio, Costantino ed altri che nella poesia, nel-la storia e nelle matematiche si esercitaron con lode. Trapoco rammenteremo ancora alcuni tra loro, che illustra-14 Le Omelie ossia il Comento sui Vangeli di s. Brunone vescovo di Segni è

stato pubblicato, dopo la prima edizione di questo tomo della mia Storia,in Roma nel 1775 in due tomi in 8, e nella prefazione ad esso premessa as-sai eruditamente si tratta dell'autore e dell'opera stessa.

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Quanto debbano a' monaci di questi tem-pi tutti gli studj.

menti (14). Di queste e di altre opere o perite, o non ancorpubblicate di s. Brunone, veggansi singolarmente il p.Ceillier (Hist.des Aut. eccl. t. 21, p. 101, ec.), il Fabricio(Bibl. lat. med. et inf. aetat. t. 1, p. 281) e il co. Mazzuc-chelli (Scritt. ital. t. 2, par. 4), che ne parlano con esat-tezza. In esse, comunque non sian prive de' difetti delsecolo, ammirasi nondimeno una chiarezza, una erudi-zione e un'eleganza assai rara a vedersi negli scrittori diquesti tempi. Alle opere di s. Brunone si suol aggiugne-re un Comento su' Salmi di Odone monaco benedettinoed astigiano esso pure. Egli lo scrisse ad istanza dellostesso Brunone, e a lui perciò dedicollo, dal che si scuo-pre ch'ei vivea al tempo medesimo; ma questa è la solanotizia che di lui abbiamo.

XXVIII. Io mi riserbo a parlare ne' seguenticapi di altri famosi monaci casinesi che aquesti tempi coltivaron felicemente gli stu-dj; perciocchè, comunque ne' sacri fosserversati, e ce ne abbian lasciate pruove, non-dimeno in altri generi di letteratura furon

più illustri, come Alfano arcivescovo di Salerno, Pan-dolfo, Oderisio, Costantino ed altri che nella poesia, nel-la storia e nelle matematiche si esercitaron con lode. Trapoco rammenteremo ancora alcuni tra loro, che illustra-14 Le Omelie ossia il Comento sui Vangeli di s. Brunone vescovo di Segni è

stato pubblicato, dopo la prima edizione di questo tomo della mia Storia,in Roma nel 1775 in due tomi in 8, e nella prefazione ad esso premessa as-sai eruditamente si tratta dell'autore e dell'opera stessa.

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Quanto debbano a' monaci di questi tem-pi tutti gli studj.

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rono co' loro scritti la storia sacra; e da ciò che abbiamdetto finora, e che dovrem dirne altrove, si renderà evi-dente che in questi due secoli, de' quali ora trattiamo, glistudj d'ogni maniera da' monaci più che da ogni altro or-dine di persone furono e coltivati e fomentati felicemen-te, talchè se noi volessimo lasciar essi in disparte, e fa-vellar solo di quelli che vissero fuor de' chiostri, assaiscarsa materia ci si offrirebbe di ragionare. Lo stessodee dirsi delle biblioteche e de' libri che, come ne' pas-sati secoli, così in questi ancora a' monaci più che adogni altro dovettero la loro conservazione. Io potrei ar-recarne più pruove tratte singolarmente dalla Cronacadel monastero di Monte Casino (Chron. Monast. Casin.l. 2, c. 51; 52; l. 3, c. 20). Ma basti il far menzione di al-cuni che sopra gli altri son degni d'essere qui rammenta-ti. E primo è il celebre Desiderio abate di Monte Casino,e poscia papa col nome di Vittore III, di cui raccontaPietro diacono (ib. l. 3, c. 63), che studiosamente adope-rossi a raccogliere e a far copiare gran numero di codici,molti de' quali appartenenti a diverse materie egli ivi an-novera; e il p. abate della Noce aggiugne (In not. ad h.l.) che parecchi di essi ancor si conservano nella biblio-teca di quel monastero. L'altro è Girolamo abate del mo-nastero della Pomposa, il quale verso la fine dell'XI sec.si diede con sommo ardore a ricercar da ogni parte codi-ci per accrescere sempre più la biblioteca dello stessomonastero, ch'era già stata cominciata dall'ab. Guido.Del grande impegno di Girolamo nel radunar libri ab-biamo una relazione manoscritta in questa biblioteca

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rono co' loro scritti la storia sacra; e da ciò che abbiamdetto finora, e che dovrem dirne altrove, si renderà evi-dente che in questi due secoli, de' quali ora trattiamo, glistudj d'ogni maniera da' monaci più che da ogni altro or-dine di persone furono e coltivati e fomentati felicemen-te, talchè se noi volessimo lasciar essi in disparte, e fa-vellar solo di quelli che vissero fuor de' chiostri, assaiscarsa materia ci si offrirebbe di ragionare. Lo stessodee dirsi delle biblioteche e de' libri che, come ne' pas-sati secoli, così in questi ancora a' monaci più che adogni altro dovettero la loro conservazione. Io potrei ar-recarne più pruove tratte singolarmente dalla Cronacadel monastero di Monte Casino (Chron. Monast. Casin.l. 2, c. 51; 52; l. 3, c. 20). Ma basti il far menzione di al-cuni che sopra gli altri son degni d'essere qui rammenta-ti. E primo è il celebre Desiderio abate di Monte Casino,e poscia papa col nome di Vittore III, di cui raccontaPietro diacono (ib. l. 3, c. 63), che studiosamente adope-rossi a raccogliere e a far copiare gran numero di codici,molti de' quali appartenenti a diverse materie egli ivi an-novera; e il p. abate della Noce aggiugne (In not. ad h.l.) che parecchi di essi ancor si conservano nella biblio-teca di quel monastero. L'altro è Girolamo abate del mo-nastero della Pomposa, il quale verso la fine dell'XI sec.si diede con sommo ardore a ricercar da ogni parte codi-ci per accrescere sempre più la biblioteca dello stessomonastero, ch'era già stata cominciata dall'ab. Guido.Del grande impegno di Girolamo nel radunar libri ab-biamo una relazione manoscritta in questa biblioteca

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estense fatta da Arrigo cherico di quel monastero che al-lor vivea, e pubblicata poscia dal p. Montfaucon (Diar.ital. c. 6) insieme col catalogo de' libri che già si eranraccolti, soggiunto alla stessa lettera da Arrigo. Nè deesitacer per ultimo de' monaci di Pescara ossia di Casauria,nella Cronaca del qual monastero pubblicata dal Mura-tori (Script. rer. ital. t. 1, pars 2, p. 879, 880) si dice chegrande era il fervore e continuo l'esercizio di essi nel co-piar libri, e si fa distinta menzione di alcuni tra loro cheaveano in ciò arte e leggiadria singolare, come di Mau-ro, di Giovanni e di Olderico, i quali tutti viveano nelsecolo XII. Ma dei monaci basti fin qui, e passiamoomai a parlare di tre altri vescovi celebri a questi tempiin Italia pel lor sapere.

XXIX. Il primo di essi è s. Anselmo vesco-vo di Lucca. Vi ha contesa fra Mantova efra Milano, qual di esse città abbia egli avu-ta a sua patria. Io non soglio entrar giudicein tai contese. Ma parmi che in questa appe-na rimanga luogo a dubbio; o a quistione;

perciocchè i Mantovani non possono a difesa della loroopinione allegare scrittore, o monumento alcuno diqualche antichità; i Milanesi al contrario hanno in lor fa-vore e lo scrittore contemporaneo della Vita del santo, ilquale racconta (V. Acta SS. Mart. ad d. 18) che, quandoegli andò legato a Milano insieme con Gerardo vescovod'Ostia, i riottosi miser le mani addosso a Gerardo, ma

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Compendiodella vita, enotizie del-le opere di s. Anselmo di Lucca.

estense fatta da Arrigo cherico di quel monastero che al-lor vivea, e pubblicata poscia dal p. Montfaucon (Diar.ital. c. 6) insieme col catalogo de' libri che già si eranraccolti, soggiunto alla stessa lettera da Arrigo. Nè deesitacer per ultimo de' monaci di Pescara ossia di Casauria,nella Cronaca del qual monastero pubblicata dal Mura-tori (Script. rer. ital. t. 1, pars 2, p. 879, 880) si dice chegrande era il fervore e continuo l'esercizio di essi nel co-piar libri, e si fa distinta menzione di alcuni tra loro cheaveano in ciò arte e leggiadria singolare, come di Mau-ro, di Giovanni e di Olderico, i quali tutti viveano nelsecolo XII. Ma dei monaci basti fin qui, e passiamoomai a parlare di tre altri vescovi celebri a questi tempiin Italia pel lor sapere.

XXIX. Il primo di essi è s. Anselmo vesco-vo di Lucca. Vi ha contesa fra Mantova efra Milano, qual di esse città abbia egli avu-ta a sua patria. Io non soglio entrar giudicein tai contese. Ma parmi che in questa appe-na rimanga luogo a dubbio; o a quistione;

perciocchè i Mantovani non possono a difesa della loroopinione allegare scrittore, o monumento alcuno diqualche antichità; i Milanesi al contrario hanno in lor fa-vore e lo scrittore contemporaneo della Vita del santo, ilquale racconta (V. Acta SS. Mart. ad d. 18) che, quandoegli andò legato a Milano insieme con Gerardo vescovod'Ostia, i riottosi miser le mani addosso a Gerardo, ma

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Compendiodella vita, enotizie del-le opere di s. Anselmo di Lucca.

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lasciaron libero Anselmo, perchè era lor cittadino, enato d'illustre prosapia; e innoltre Landolfo il vecchio,scrittor esso pure di que' tempi medesimi (Hist. l. 3, c.14, vol. 4 Script. rer. ital.), che dicendo milanese di pa-tria Alessandro II, zio paterno di Anselmo, ci mostrache milanese era ancora il nipote, e uscito come Ales-sandro della nobil famiglia di Baggio. Poichè ebbe colti-vati gli studj della gramatica e della dialettica, come at-testa l'antico scrittore della sua Vita, ch'era stato peni-tenziero del santo in Lucca (Mabillon Acta SS. s. Bened.t. 9), arrolato nel clero, fu fatto canonico ordinario dellachiesa di Milano (V. Giulini Mem. t. 3, 4), e poscia daAlessandro II, l'an. 1073, dichiarato vescovo di Lucca.Io non debbo qui entrare, poichè l'idea di questa miaopera non mel permette, a raccontar le vicende a cui eglifu esposto, l'investitura del suo vescovado, ch'ei ricevet-te dall'imp. Arrigo, per cui poscia tocco da pentimentoritirossi per qualche tempo nel monastero di Polirone, lepersecuzioni ch'egli sostenne dal suo clero insofferentedella ecclesiastica disciplina, a cui volea soggettarlo,l'assistenza da lui usata alla celebre contessa Matilde, acui da Gregorio VII era stato assegnato per consigliero,le legazioni da lui sostenute per comando dello stessopontefice, e i travagli, le sollecitudini e le fatiche concui si sforzò in quei sì torbidi tempi di riconciliare insie-me il sacerdozio e l'impero. Gli scrittori della Storia ec-clesiastica ne han già trattato ampiamente, e ad essi sipuò aggiugnere la Vita di questo santo vescovo assai di-ligentemente scritta dal p. Andrea Rota della comp. di

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lasciaron libero Anselmo, perchè era lor cittadino, enato d'illustre prosapia; e innoltre Landolfo il vecchio,scrittor esso pure di que' tempi medesimi (Hist. l. 3, c.14, vol. 4 Script. rer. ital.), che dicendo milanese di pa-tria Alessandro II, zio paterno di Anselmo, ci mostrache milanese era ancora il nipote, e uscito come Ales-sandro della nobil famiglia di Baggio. Poichè ebbe colti-vati gli studj della gramatica e della dialettica, come at-testa l'antico scrittore della sua Vita, ch'era stato peni-tenziero del santo in Lucca (Mabillon Acta SS. s. Bened.t. 9), arrolato nel clero, fu fatto canonico ordinario dellachiesa di Milano (V. Giulini Mem. t. 3, 4), e poscia daAlessandro II, l'an. 1073, dichiarato vescovo di Lucca.Io non debbo qui entrare, poichè l'idea di questa miaopera non mel permette, a raccontar le vicende a cui eglifu esposto, l'investitura del suo vescovado, ch'ei ricevet-te dall'imp. Arrigo, per cui poscia tocco da pentimentoritirossi per qualche tempo nel monastero di Polirone, lepersecuzioni ch'egli sostenne dal suo clero insofferentedella ecclesiastica disciplina, a cui volea soggettarlo,l'assistenza da lui usata alla celebre contessa Matilde, acui da Gregorio VII era stato assegnato per consigliero,le legazioni da lui sostenute per comando dello stessopontefice, e i travagli, le sollecitudini e le fatiche concui si sforzò in quei sì torbidi tempi di riconciliare insie-me il sacerdozio e l'impero. Gli scrittori della Storia ec-clesiastica ne han già trattato ampiamente, e ad essi sipuò aggiugnere la Vita di questo santo vescovo assai di-ligentemente scritta dal p. Andrea Rota della comp. di

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Gesù, e stampata in Verona l'an. 1733. Egli morì a' 18 dimarzo l'an. 1086 in Mantova, la qual città ancor ne con-serva con somma venerazione e con magnifica pompa ilsagro corpo incorrotto, e se ne vanta a ragione come disingolare tesoro. Alla prudenza nel maneggio de' piùdifficili affari, alle eroiche virtù cristiane di cui fu ador-no, congiunse egli ancora un non ordinario sapere, dicui diè pruove in più opere che ancor ci rimangono. Traesse, oltre alcune operette ascetiche, delle quali dubita-no alcuni s'ei debba credersi autore (V. Ceillier t. 20, p.677), abbiamo due libri in difesa di Gregorio VII control'antipapa Guiberto, in cui tratta ancor le quistioni delleinvestiture e delle immunità ecclesiastiche tanto allorcontroverse, e vi aggiunge una Raccolta di varj passitratti dalla sacra Scrittura, da' Concilj, e dalle Decretalisull'argomento medesimo. Ei fece inoltre un'ampia Col-lezione di Canoni divisa in 13 libri, di cui poscia giova-ronsi Graziano e gli altri raccoglitor de' medesimi. Neesiston più copie manoscritte nella biblioteca vaticana enella barberina, e in altre, dalle quali si prova assai chia-ramente contro alcuni che ne han dubitato, lui essere ve-ramente l'autore di tal raccolta; di che veggasi il suddet-to p. Rota che ne tratta assai lungamente (Vita s. Ans. c.32), e singolarmente l'appendice al primo tomo dellaStoria dei Professori dell'Università di Bologna (p. 191).Nella stessa Vita ancora potrà vedersi ciò che appartienea qualche altra opera o smarrita, o non ancor pubblicatadi s. Anselmo, fra le quali un breve opuscolo è statodato alla luce dal p. Rota tratto da questa insigne biblio-

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Gesù, e stampata in Verona l'an. 1733. Egli morì a' 18 dimarzo l'an. 1086 in Mantova, la qual città ancor ne con-serva con somma venerazione e con magnifica pompa ilsagro corpo incorrotto, e se ne vanta a ragione come disingolare tesoro. Alla prudenza nel maneggio de' piùdifficili affari, alle eroiche virtù cristiane di cui fu ador-no, congiunse egli ancora un non ordinario sapere, dicui diè pruove in più opere che ancor ci rimangono. Traesse, oltre alcune operette ascetiche, delle quali dubita-no alcuni s'ei debba credersi autore (V. Ceillier t. 20, p.677), abbiamo due libri in difesa di Gregorio VII control'antipapa Guiberto, in cui tratta ancor le quistioni delleinvestiture e delle immunità ecclesiastiche tanto allorcontroverse, e vi aggiunge una Raccolta di varj passitratti dalla sacra Scrittura, da' Concilj, e dalle Decretalisull'argomento medesimo. Ei fece inoltre un'ampia Col-lezione di Canoni divisa in 13 libri, di cui poscia giova-ronsi Graziano e gli altri raccoglitor de' medesimi. Neesiston più copie manoscritte nella biblioteca vaticana enella barberina, e in altre, dalle quali si prova assai chia-ramente contro alcuni che ne han dubitato, lui essere ve-ramente l'autore di tal raccolta; di che veggasi il suddet-to p. Rota che ne tratta assai lungamente (Vita s. Ans. c.32), e singolarmente l'appendice al primo tomo dellaStoria dei Professori dell'Università di Bologna (p. 191).Nella stessa Vita ancora potrà vedersi ciò che appartienea qualche altra opera o smarrita, o non ancor pubblicatadi s. Anselmo, fra le quali un breve opuscolo è statodato alla luce dal p. Rota tratto da questa insigne biblio-

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teca estense.

XXX. A un cittadin milanese, qual fu s. An-selmo, congiungiamo un arcivescovo dellastessa città, che per sapere non gli fu forseinferiore, ma in ciò ch'è santità de' costuminon può venire con lui a confronto. Questi è

il celebre Pier Grossolano ossia Crisolao. Il ch. Muratoricongettura (Ann. d'Ital. ad an. 1102) ch'ei fosse di patriacalabrese, e detto con greca voce Crisolao, e che posciail popolo milanese, alle cui orecchie per avventura riu-sciva duro quel nome, chiamasselo Grossolano. Mal'eruditiss. co. Giulini arreca varie e assai forti ragioni aprovare (Mem di Mil. t. 4. p. 434) ch'ei veramente dicea-si Grossolano, benchè poi per una cotal affettazione digrecheggiare esso si cambiasse in quello di Crisolao; ech'egli probabilmente era natio di Lombardia. Sì varie esì strane furono le vicende di questo arcivescovo, chenon dispiacerà, io credo, ai lettori il vederle qui almenbrevemente accennate. Dove ei nascesse, ove attendesseagli studj, in che si occupasse ne' primi anni della suavita, niuno ce n'ha lasciata memoria. Landolfo il giova-ne ch'è il solo tra gli antichi autori, che ci parli di luilungamente, il conduce per la prima volta sulla scena inun bosco (Hist. c. 3 vol. 5 Script. rer. ital.) presso un co-tal luogo detto Ferrara, che non è già la città di tal nome,ma un luogo tra Acqui e Savona, cioè o Ferrera, o Ferra-nia, come osserva il ch. Sassi (in not. ad Land. jun l. c.).

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Grossolano arcivescovodi Milano, sue vicen-de.

teca estense.

XXX. A un cittadin milanese, qual fu s. An-selmo, congiungiamo un arcivescovo dellastessa città, che per sapere non gli fu forseinferiore, ma in ciò ch'è santità de' costuminon può venire con lui a confronto. Questi è

il celebre Pier Grossolano ossia Crisolao. Il ch. Muratoricongettura (Ann. d'Ital. ad an. 1102) ch'ei fosse di patriacalabrese, e detto con greca voce Crisolao, e che posciail popolo milanese, alle cui orecchie per avventura riu-sciva duro quel nome, chiamasselo Grossolano. Mal'eruditiss. co. Giulini arreca varie e assai forti ragioni aprovare (Mem di Mil. t. 4. p. 434) ch'ei veramente dicea-si Grossolano, benchè poi per una cotal affettazione digrecheggiare esso si cambiasse in quello di Crisolao; ech'egli probabilmente era natio di Lombardia. Sì varie esì strane furono le vicende di questo arcivescovo, chenon dispiacerà, io credo, ai lettori il vederle qui almenbrevemente accennate. Dove ei nascesse, ove attendesseagli studj, in che si occupasse ne' primi anni della suavita, niuno ce n'ha lasciata memoria. Landolfo il giova-ne ch'è il solo tra gli antichi autori, che ci parli di luilungamente, il conduce per la prima volta sulla scena inun bosco (Hist. c. 3 vol. 5 Script. rer. ital.) presso un co-tal luogo detto Ferrara, che non è già la città di tal nome,ma un luogo tra Acqui e Savona, cioè o Ferrera, o Ferra-nia, come osserva il ch. Sassi (in not. ad Land. jun l. c.).

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Grossolano arcivescovodi Milano, sue vicen-de.

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Perciocchè narra Landolfo che ivi il trovarono alcunimessi spediti da Anselmo arcivescovo di Milano a Sa-vona, perchè facessero nominare un vescovo a quellasede, il quale insieme servisse a lui di vicario nel tempoche dimorava oltremare per la crociata, a cui allor dispo-nevasi, Quest'uomo che ivi probabilmente menava vitamonastica, o eremitica; e ch'era perciò squallido in vol-to, e incolto nel portamento, piacque per modo a' messi,che il presero a lor compagno, e, ciò ch'è più, piacqueancora a' Savonesi per modo, che non altro che lui vol-lero a lor pastore. I messi lieti di sì felice riuscimentodel loro viaggio, condussero Grossolano all'arcivescovoAnselmo, il quale ordinatolo vescovo di Savona, e di-chiaratolo suo vicario, andossene colle sue truppe allaguerra sacra. Ciò avvenne, come dimostra dopo altri ilsopraccitato co. Giulini (l. c.), l'an. 1100. Il nuovo onorea cui Grossolano videsi sollevato, non gli fè punto cam-biare abito e portamento, e avvertito di prender vesti piùconvenenti al suo grado, allegava a scusarsene la suapovertà, e il disprezzo ch'ei facea del mondo. Prestoperò si scoperse l'uomo scaltro ch'egli era; perciocchèl'an. 1102 giunta la nuova della morte dell'arcivesc. An-selmo, egli sì destramente sì adoperò, che ottenne di es-sere sollevato a quella sì illustre sede, e ottenutala sivide tosto cambiare i suoi logori panni in abiti splendidie ricchi, e i poveri cibi in isquisite vivande. Era allora inMilano il prete Liprando che nelle fatali discordie insor-te in quella chiesa negli anni addietro per la simonia eper l'incontinenza del clero avea combattuto contro gli

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Perciocchè narra Landolfo che ivi il trovarono alcunimessi spediti da Anselmo arcivescovo di Milano a Sa-vona, perchè facessero nominare un vescovo a quellasede, il quale insieme servisse a lui di vicario nel tempoche dimorava oltremare per la crociata, a cui allor dispo-nevasi, Quest'uomo che ivi probabilmente menava vitamonastica, o eremitica; e ch'era perciò squallido in vol-to, e incolto nel portamento, piacque per modo a' messi,che il presero a lor compagno, e, ciò ch'è più, piacqueancora a' Savonesi per modo, che non altro che lui vol-lero a lor pastore. I messi lieti di sì felice riuscimentodel loro viaggio, condussero Grossolano all'arcivescovoAnselmo, il quale ordinatolo vescovo di Savona, e di-chiaratolo suo vicario, andossene colle sue truppe allaguerra sacra. Ciò avvenne, come dimostra dopo altri ilsopraccitato co. Giulini (l. c.), l'an. 1100. Il nuovo onorea cui Grossolano videsi sollevato, non gli fè punto cam-biare abito e portamento, e avvertito di prender vesti piùconvenenti al suo grado, allegava a scusarsene la suapovertà, e il disprezzo ch'ei facea del mondo. Prestoperò si scoperse l'uomo scaltro ch'egli era; perciocchèl'an. 1102 giunta la nuova della morte dell'arcivesc. An-selmo, egli sì destramente sì adoperò, che ottenne di es-sere sollevato a quella sì illustre sede, e ottenutala sivide tosto cambiare i suoi logori panni in abiti splendidie ricchi, e i poveri cibi in isquisite vivande. Era allora inMilano il prete Liprando che nelle fatali discordie insor-te in quella chiesa negli anni addietro per la simonia eper l'incontinenza del clero avea combattuto contro gli

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scismatici con sì gran zelo, che dal lor furore gli eranostate troncate le nari e le orecchie. Egli così deforme,com'era, o sapendo di certo, o credendo per valide con-getture che Grossolano fosse salito a quella sede per si-monia, cominciò a montare sul pergamo nella sua chiesadi s. Paolo, e ad inveire contro il nuovo intruso arcive-scovo; e perchè questi mostrava di non fare alcun contodi tali invettive, Liprando lasciandosi trasportaretropp'oltre dal suo zelo, secondo l'ordinario costume diquei rozzi secoli, sfidollo al giudizio di Dio, offerendosipronto a passar tra le fiamme, e mostrar per tal modo,s'egli ne uscisse illeso, che Grossolano era simoniaco.L'arcivescovo usò prima d'ogni arte per sottrarsi a que-sto cimento; ma finalmente fu d'uopo cedere. Liprandonella piazza di s. Ambrogio entrò nel fuoco, e ne uscìsenza danno di sorte alcuna, e Grossolano confuso riti-rossi a Roma.

XXXI. Pasquale II che teneva allora lacattedra di s. Pietro, accolse onorevol-mente l'arcivescovo, o perchè egli saggia-mente non approvasse la maniera tenuta

nel condannarlo, o perchè il credesse innocente; e l'an.1105 radunato un Concilio nella basilica lateranese, ben-chè vi fosse presente Liprando venuto a giustificare sestesso, e ad accusar Grossolano, questi fu assoluto, e ri-mandato alla sua sede. Ma ciò non ostante il partito con-trario non gli permise di rientrarvi; talchè egli l'an. 1109

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Continuazionedelle vicendedi Grossolano.

scismatici con sì gran zelo, che dal lor furore gli eranostate troncate le nari e le orecchie. Egli così deforme,com'era, o sapendo di certo, o credendo per valide con-getture che Grossolano fosse salito a quella sede per si-monia, cominciò a montare sul pergamo nella sua chiesadi s. Paolo, e ad inveire contro il nuovo intruso arcive-scovo; e perchè questi mostrava di non fare alcun contodi tali invettive, Liprando lasciandosi trasportaretropp'oltre dal suo zelo, secondo l'ordinario costume diquei rozzi secoli, sfidollo al giudizio di Dio, offerendosipronto a passar tra le fiamme, e mostrar per tal modo,s'egli ne uscisse illeso, che Grossolano era simoniaco.L'arcivescovo usò prima d'ogni arte per sottrarsi a que-sto cimento; ma finalmente fu d'uopo cedere. Liprandonella piazza di s. Ambrogio entrò nel fuoco, e ne uscìsenza danno di sorte alcuna, e Grossolano confuso riti-rossi a Roma.

XXXI. Pasquale II che teneva allora lacattedra di s. Pietro, accolse onorevol-mente l'arcivescovo, o perchè egli saggia-mente non approvasse la maniera tenuta

nel condannarlo, o perchè il credesse innocente; e l'an.1105 radunato un Concilio nella basilica lateranese, ben-chè vi fosse presente Liprando venuto a giustificare sestesso, e ad accusar Grossolano, questi fu assoluto, e ri-mandato alla sua sede. Ma ciò non ostante il partito con-trario non gli permise di rientrarvi; talchè egli l'an. 1109

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Continuazionedelle vicendedi Grossolano.

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determinossi a viaggiare in Terra Santa. Questo viaggiodiede nuova occasione a' nimici di Grossolano, per pri-varlo della sua sede: si pretese che coll'andarsene oltre-mare egli avesse rinunciato alla sua chiesa; e nel primodi gennaio dell'an. 1112 il clero della metropolitana eles-se a suo arcivescovo Giordano di Clivi, che da tre ve-scovi suffraganei fu consecrato; e Pasquale II, benchè fi-nallora sostenitor costante di Grossolano, approvò non-dimeno tal elezione, e onorò del pallio il nuovo arcive-scovo. Tornato frattanto Grossolano in Italia, e ritrovatal'antica sua sede occupata da altri, sforzossi prima coiraggiri e coll'armi di scacciarne il rivale. Ma non venen-dogli fatto, ebbe di nuovo ricorso al pontefice, il qualel'an. 1116 radunò un altro Concilio nella stessa basilicalateranese. Questo però ebbe per Grossolano esito trop-po diverso dal primo, perciocchè egli fu condennato, evennegli ingiunto di far ritorno al primo suo vescovadodi Savona. Grossolano amò meglio di fermarsi in Roma,ove poscia nel seguente anno morì nel monastero di s.Saba. Di queste varie avventure di Grossolano si puòvedere ciò che più stesamente raccontano gli scrittorimilanesi, e singolarmente il più volte lodato co. Giulini(l. c. ec.).

XXXII. Ch'ei fosse uomo assai dotto,provasi dal Muratori (Antiq. Ital. t. 3,p. 918) col testimonio di Landolfo ilgiovane, da cui egli afferma che Gros-

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Quanto dotto uomoegli fosse: sue ope-re singolarmente contro gli errori de'Greci.

determinossi a viaggiare in Terra Santa. Questo viaggiodiede nuova occasione a' nimici di Grossolano, per pri-varlo della sua sede: si pretese che coll'andarsene oltre-mare egli avesse rinunciato alla sua chiesa; e nel primodi gennaio dell'an. 1112 il clero della metropolitana eles-se a suo arcivescovo Giordano di Clivi, che da tre ve-scovi suffraganei fu consecrato; e Pasquale II, benchè fi-nallora sostenitor costante di Grossolano, approvò non-dimeno tal elezione, e onorò del pallio il nuovo arcive-scovo. Tornato frattanto Grossolano in Italia, e ritrovatal'antica sua sede occupata da altri, sforzossi prima coiraggiri e coll'armi di scacciarne il rivale. Ma non venen-dogli fatto, ebbe di nuovo ricorso al pontefice, il qualel'an. 1116 radunò un altro Concilio nella stessa basilicalateranese. Questo però ebbe per Grossolano esito trop-po diverso dal primo, perciocchè egli fu condennato, evennegli ingiunto di far ritorno al primo suo vescovadodi Savona. Grossolano amò meglio di fermarsi in Roma,ove poscia nel seguente anno morì nel monastero di s.Saba. Di queste varie avventure di Grossolano si puòvedere ciò che più stesamente raccontano gli scrittorimilanesi, e singolarmente il più volte lodato co. Giulini(l. c. ec.).

XXXII. Ch'ei fosse uomo assai dotto,provasi dal Muratori (Antiq. Ital. t. 3,p. 918) col testimonio di Landolfo ilgiovane, da cui egli afferma che Gros-

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Quanto dotto uomoegli fosse: sue ope-re singolarmente contro gli errori de'Greci.

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solano vien detto uomo insigne, per greca e per latinaeloquenza. Ma, come ha già osservato monsig. Gradeni-go (Letterat. greco-ital. c. 7), cotai parole di Landolfonon si ritrovano. Nè però ci mancano altre testimonian-ze del sapere di Grossolano. Azzo vescovo di Lodi scri-vendo l'an. 1112 all'imp. Arrigo della deposizione diGrossolano, il chiama uomo letteratissimo, di accortoingegno ed eloquentissimo (Eccard. Script. Med. aevi t.2, p. 266). Ma più chiara pruova ne abbiamo in qualchesua opera che ci è rimasta. Nel viaggio di Terra Santa,ch'ei fece, venne ancora a Costantinopoli, e perchè allo-ra bollivano le controversie de' Latini co' Greci, Grosso-lano non temè di venir con essi a contesa, singolarmentesull'articolo più controverso della Processione dello Spi-rito Santo. Il card. Baronio, seguito da altri, pensa (Ann.eccl. ad an. 1116, n. 7) che dal pontefice ei fosse colàspedito col titolo di suo legato; ma, come ottimamenteriflette il p. Pagi (Crit. in Ann. ad h. an.), di questa lega-zione non vi ha pruova nè vestigio alcuno presso gli an-tichi scrittori, ed è più verisimile che il sol talento di farpompa del suo sapere conducesse colà Grossolano. Co-munque fosse, ei cimentossi co' più dotti uomini che al-lor fosser in Grecia. Il sopraccitato card. Baronio aven-do trovato nella biblioteca della Vallicella un opuscologreco, benchè imperfetto, del nostro arcivescovo, intito-lato Chrysolani Episcopi Mediolanensium Oratio adImperatorem Alexium Comnenum, lo inserì; tradotto inlingua latina dal vescovo Federigo Mezio, ne' suoi An-nali (l. c.); e lo stesso di nuovo è stato dato alla luce in

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solano vien detto uomo insigne, per greca e per latinaeloquenza. Ma, come ha già osservato monsig. Gradeni-go (Letterat. greco-ital. c. 7), cotai parole di Landolfonon si ritrovano. Nè però ci mancano altre testimonian-ze del sapere di Grossolano. Azzo vescovo di Lodi scri-vendo l'an. 1112 all'imp. Arrigo della deposizione diGrossolano, il chiama uomo letteratissimo, di accortoingegno ed eloquentissimo (Eccard. Script. Med. aevi t.2, p. 266). Ma più chiara pruova ne abbiamo in qualchesua opera che ci è rimasta. Nel viaggio di Terra Santa,ch'ei fece, venne ancora a Costantinopoli, e perchè allo-ra bollivano le controversie de' Latini co' Greci, Grosso-lano non temè di venir con essi a contesa, singolarmentesull'articolo più controverso della Processione dello Spi-rito Santo. Il card. Baronio, seguito da altri, pensa (Ann.eccl. ad an. 1116, n. 7) che dal pontefice ei fosse colàspedito col titolo di suo legato; ma, come ottimamenteriflette il p. Pagi (Crit. in Ann. ad h. an.), di questa lega-zione non vi ha pruova nè vestigio alcuno presso gli an-tichi scrittori, ed è più verisimile che il sol talento di farpompa del suo sapere conducesse colà Grossolano. Co-munque fosse, ei cimentossi co' più dotti uomini che al-lor fosser in Grecia. Il sopraccitato card. Baronio aven-do trovato nella biblioteca della Vallicella un opuscologreco, benchè imperfetto, del nostro arcivescovo, intito-lato Chrysolani Episcopi Mediolanensium Oratio adImperatorem Alexium Comnenum, lo inserì; tradotto inlingua latina dal vescovo Federigo Mezio, ne' suoi An-nali (l. c.); e lo stesso di nuovo è stato dato alla luce in

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greco e in latino dall'Allacci (Graeci orthod. t. 1, p. 379)col titolo Petri Episcopi Mediolanensis Oratio ad Impe-ratorem, ec.; il che è a stupire che non fosse avvertitodal p. Ceillier, il quale dice di non sapere che cosa alcu-na di Grossolano sia stata pubblicata (Hist. des Ant.eccl. t. 21, p. 115). L'Argelati pensa (Bibl. Script. me-diol. t. 1, pars 2, p. 712) che Grossolano scrivessequest'opera in greco, sì perchè nella traduzione latina siveggono più cambiamenti, sì perchè essendo essa indi-rizzata all'imperador greco, è probabile che in questalingua in cui era versato assai, la scrivesse. Ma potè an-cor Grossolano, s'io non m'inganno, scriverla in latino, epotè qualche altro traslatarla con qualche cambiamentoin greco. La traduzione però, che ora ne abbiamo, non ècertamente l'originale di Grossolano, perciocchè essa,come abbiam detto, fu lavoro del Mezio; e l'opuscolo diGrossolano non si è trovato che in greco. Questo è pro-babilmente lo stesso che si vede citato nel Catalogo de'Codici mss. dell'Inghilterra e dell'Irlanda, con questo ti-tolo: "Episcopi Mediolanensis, scriptum tamquam a La-tinis missum ad Alexium Comnenum Imperatorem deProcessione Spiritus Sancti (in Codd. Gugl. Landi, cod.78)". Questa operetta di Grossolano fu quella verisimil-mente che risvegliò i più dotti tra' Greci, a venir con luia contesa su questo punto, e sembra che una pubblicaconferenza perciò si tenesse tra Grossolano e alcuni gre-ci teologi. Tra i codici greci della biblioteca del re diFrancia uno contiene le due seguenti operette: "EustratiiNicaeni Metropolitae Acta Collationis habitae cum

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greco e in latino dall'Allacci (Graeci orthod. t. 1, p. 379)col titolo Petri Episcopi Mediolanensis Oratio ad Impe-ratorem, ec.; il che è a stupire che non fosse avvertitodal p. Ceillier, il quale dice di non sapere che cosa alcu-na di Grossolano sia stata pubblicata (Hist. des Ant.eccl. t. 21, p. 115). L'Argelati pensa (Bibl. Script. me-diol. t. 1, pars 2, p. 712) che Grossolano scrivessequest'opera in greco, sì perchè nella traduzione latina siveggono più cambiamenti, sì perchè essendo essa indi-rizzata all'imperador greco, è probabile che in questalingua in cui era versato assai, la scrivesse. Ma potè an-cor Grossolano, s'io non m'inganno, scriverla in latino, epotè qualche altro traslatarla con qualche cambiamentoin greco. La traduzione però, che ora ne abbiamo, non ècertamente l'originale di Grossolano, perciocchè essa,come abbiam detto, fu lavoro del Mezio; e l'opuscolo diGrossolano non si è trovato che in greco. Questo è pro-babilmente lo stesso che si vede citato nel Catalogo de'Codici mss. dell'Inghilterra e dell'Irlanda, con questo ti-tolo: "Episcopi Mediolanensis, scriptum tamquam a La-tinis missum ad Alexium Comnenum Imperatorem deProcessione Spiritus Sancti (in Codd. Gugl. Landi, cod.78)". Questa operetta di Grossolano fu quella verisimil-mente che risvegliò i più dotti tra' Greci, a venir con luia contesa su questo punto, e sembra che una pubblicaconferenza perciò si tenesse tra Grossolano e alcuni gre-ci teologi. Tra i codici greci della biblioteca del re diFrancia uno contiene le due seguenti operette: "EustratiiNicaeni Metropolitae Acta Collationis habitae cum

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Grossolano Mediolanensi Archiepiscopo de SpiritusSancti Processione. Archiepiscopi Mediolanens disputa-tio habita cum Joanne Phurne Monaco Montis Gani deSpiritus Sancti Processione (cod. 2830)". E nel mento-vato Catalogo dei Codici mss. dell'Inghilterra edell'Irlanda: "Joanns Phurini, disceptatio cum Petro Me-diolanensi Episcopo de Spiritus Sancti Processione".Un'altra opera di somigliante argomento trovasi in un al-tro codice della stessa biblioteca regia con questo titolo;"Objectiones Latinorum iisque contrariae oppositioneset inversiones Eustratii Metropolitae Nicaeni desumptaeex ejusdem libro de Spiritus Sancti processione ad Gros-solanum Mediolanensem Episcopum (cod. 1306)". Que-ste opere e queste conferenze ci fan vedere che Grosso-lano fu creduto da' Greci un formidabil nimico, controdi cui convenisse rivolgere le più possenti armi e i piùvalorosi guerrieri. Oltre Giovanni Forno ed Eustrazio diNicea, anche Niccolò di Metona prese a combattereGrossolano, e di lui pure abbiam qualche libro su questoargomento (V. Oudin. de Script. Eccl. t. 2, p. 854, ec.).Anzi lo stesso imper. Alessio Comneno, che voleva puresser creduto un profondo teologo, non si sdegnò dicontendere con questo prelato, come raccogliesi da unpasso del celebre Giovanni Vecco citato dall'Oudin (ib.p. 967), presso il quale rammentansi ancora altri libriche su questo argomento furono scritti. Vuolsi però cor-reggere un abbaglio da lui preso; perciocchè egli veg-gendo in diversi codici nominato l'arcivescovo di Mila-no or col nome di Pietro, or con quello di Grossolano,

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Grossolano Mediolanensi Archiepiscopo de SpiritusSancti Processione. Archiepiscopi Mediolanens disputa-tio habita cum Joanne Phurne Monaco Montis Gani deSpiritus Sancti Processione (cod. 2830)". E nel mento-vato Catalogo dei Codici mss. dell'Inghilterra edell'Irlanda: "Joanns Phurini, disceptatio cum Petro Me-diolanensi Episcopo de Spiritus Sancti Processione".Un'altra opera di somigliante argomento trovasi in un al-tro codice della stessa biblioteca regia con questo titolo;"Objectiones Latinorum iisque contrariae oppositioneset inversiones Eustratii Metropolitae Nicaeni desumptaeex ejusdem libro de Spiritus Sancti processione ad Gros-solanum Mediolanensem Episcopum (cod. 1306)". Que-ste opere e queste conferenze ci fan vedere che Grosso-lano fu creduto da' Greci un formidabil nimico, controdi cui convenisse rivolgere le più possenti armi e i piùvalorosi guerrieri. Oltre Giovanni Forno ed Eustrazio diNicea, anche Niccolò di Metona prese a combattereGrossolano, e di lui pure abbiam qualche libro su questoargomento (V. Oudin. de Script. Eccl. t. 2, p. 854, ec.).Anzi lo stesso imper. Alessio Comneno, che voleva puresser creduto un profondo teologo, non si sdegnò dicontendere con questo prelato, come raccogliesi da unpasso del celebre Giovanni Vecco citato dall'Oudin (ib.p. 967), presso il quale rammentansi ancora altri libriche su questo argomento furono scritti. Vuolsi però cor-reggere un abbaglio da lui preso; perciocchè egli veg-gendo in diversi codici nominato l'arcivescovo di Mila-no or col nome di Pietro, or con quello di Grossolano,

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ha creduto che fossero due diversi arcivescovi. Il Trite-mio afferma inoltre, non so su qual fondamento, cheGrossolano avea scritto un trattato sul mistero della Tri-nità, alcuni sermoni, e alcune pistole ed altri diversi trat-tati. L'Argelati vi aggiugne un sermone intitolato in Ca-pitulum Monachorum; e citando la Biblioteca de' Mano-scritti del p. Montfaucon, dice che ve ne ha copia nellebiblioteche medicea e riccardiana in Firenze. Ma il p.Montfaucon non fa motto di queste biblioteche, ma sìdell'ambrosiana in Milano (Bibl. MSS. t. 1, p. 515); esallo Dio, se anche in essa si trova tale operetta; poichèchi confronta i codici che in essa conservansi, col Cata-logo che ne ha pubblicato il detto p. Montfaucon, vedequanto esso sia imperfetto, e, ciò ch'è peggio, pieno dierrori. In Firenze però vi ha un esemplare di tale opu-scolo, non nella biblioteca laurenziana, ma in quella dis. Marco, ove attesta di averlo veduto l'erutiss. ab. Zac-caria (Iter. liter. p. 64).

XXXIII. L'ultimo de' dotti vescovi italianidi questi tempi, de' quali mi son prefisso diragionare, è Bonizone vescovo prima di Su-tri, poi di Piacenza. Della sua patria e de'primi suoi anni non sappiam cosa alcuna.

Solo troviamo che l'an. 1082 egli era vescovo di Sutri, eche nella guerra che allor faceva l'imp. Arrigo a Grego-rio VII, egli fu fatto prigione (V. Poggiali Stor. di Piac.t. 3, p. 372). Quindi cacciato dalla sua sede, dopo aver

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Notizie del-la vita e dell'opere del vescovoBonizone.

ha creduto che fossero due diversi arcivescovi. Il Trite-mio afferma inoltre, non so su qual fondamento, cheGrossolano avea scritto un trattato sul mistero della Tri-nità, alcuni sermoni, e alcune pistole ed altri diversi trat-tati. L'Argelati vi aggiugne un sermone intitolato in Ca-pitulum Monachorum; e citando la Biblioteca de' Mano-scritti del p. Montfaucon, dice che ve ne ha copia nellebiblioteche medicea e riccardiana in Firenze. Ma il p.Montfaucon non fa motto di queste biblioteche, ma sìdell'ambrosiana in Milano (Bibl. MSS. t. 1, p. 515); esallo Dio, se anche in essa si trova tale operetta; poichèchi confronta i codici che in essa conservansi, col Cata-logo che ne ha pubblicato il detto p. Montfaucon, vedequanto esso sia imperfetto, e, ciò ch'è peggio, pieno dierrori. In Firenze però vi ha un esemplare di tale opu-scolo, non nella biblioteca laurenziana, ma in quella dis. Marco, ove attesta di averlo veduto l'erutiss. ab. Zac-caria (Iter. liter. p. 64).

XXXIII. L'ultimo de' dotti vescovi italianidi questi tempi, de' quali mi son prefisso diragionare, è Bonizone vescovo prima di Su-tri, poi di Piacenza. Della sua patria e de'primi suoi anni non sappiam cosa alcuna.

Solo troviamo che l'an. 1082 egli era vescovo di Sutri, eche nella guerra che allor faceva l'imp. Arrigo a Grego-rio VII, egli fu fatto prigione (V. Poggiali Stor. di Piac.t. 3, p. 372). Quindi cacciato dalla sua sede, dopo aver

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Notizie del-la vita e dell'opere del vescovoBonizone.

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sostenuti molti travagli, venuto a Piacenza, vi fu dallaparte cattolica eletto vescovo o al fine dell'an. 1088, o alprincipio del seguente; ma sei mesi appresso dagli Sci-smatici che erano nella stessa città fu crudelmente ucci-so (ib. t. 4, p. 7, ec.). Niuno degli antichi scrittori delleecclesiastiche biblioteche, trattone l'Anonimo melliceseche appena l'accenna (c. 12), ci ha di lui favellato; enondimeno ei fu dottissimo uomo, come ci dimostranole opere da lui composte che conservansi manoscritte inalcune biblioteche. E in primo luogo nella imperial bi-blioteca di Vienna trovasi un compendio in otto libri di-viso delle opere e de' sentimenti di s. Agostino, intitola-to Paradisus Augustinianus; opera, come sembra, da luiintrapresa prima di essere fatto vescovo di Sutri, e dedi-cata all'abate Giovanni che credesi essere s. GiovanniGualberto fondatore dell'ordine di Vallombrosa. Il Lam-becio ha pubblicata la lettera con cui Bonizone gl'indi-rizzò questa sua fatica (Comm. Bibl. caesar. vol. 2, c. 8).Il ch. Muratori ha pur pubblicato da un codice della bi-blioteca ambrosiana un'operetta di Bonizone intorno a'Sacramenti (Antiq. Ital. t. 3, p. 599), da lui mandata aGualtero priore del Monastero di Leno, e questa, comedal titolo si raccoglie, fu da lui scritta mentre era vesco-vo di Sutri, e in essa ei fa ancora menzione di un libroch'egli avea scritto contro Ugone scismatico, cioè, comecredesi, contro il card. Ugone soprannomato Bianco.Nella suddetta imperial biblioteca conservasi ancoraun'altra assai pregevole opera di Bonizone, cioè una rac-colta di Decreti ecclesiastici tratti dalla sacra Scrittura,

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sostenuti molti travagli, venuto a Piacenza, vi fu dallaparte cattolica eletto vescovo o al fine dell'an. 1088, o alprincipio del seguente; ma sei mesi appresso dagli Sci-smatici che erano nella stessa città fu crudelmente ucci-so (ib. t. 4, p. 7, ec.). Niuno degli antichi scrittori delleecclesiastiche biblioteche, trattone l'Anonimo melliceseche appena l'accenna (c. 12), ci ha di lui favellato; enondimeno ei fu dottissimo uomo, come ci dimostranole opere da lui composte che conservansi manoscritte inalcune biblioteche. E in primo luogo nella imperial bi-blioteca di Vienna trovasi un compendio in otto libri di-viso delle opere e de' sentimenti di s. Agostino, intitola-to Paradisus Augustinianus; opera, come sembra, da luiintrapresa prima di essere fatto vescovo di Sutri, e dedi-cata all'abate Giovanni che credesi essere s. GiovanniGualberto fondatore dell'ordine di Vallombrosa. Il Lam-becio ha pubblicata la lettera con cui Bonizone gl'indi-rizzò questa sua fatica (Comm. Bibl. caesar. vol. 2, c. 8).Il ch. Muratori ha pur pubblicato da un codice della bi-blioteca ambrosiana un'operetta di Bonizone intorno a'Sacramenti (Antiq. Ital. t. 3, p. 599), da lui mandata aGualtero priore del Monastero di Leno, e questa, comedal titolo si raccoglie, fu da lui scritta mentre era vesco-vo di Sutri, e in essa ei fa ancora menzione di un libroch'egli avea scritto contro Ugone scismatico, cioè, comecredesi, contro il card. Ugone soprannomato Bianco.Nella suddetta imperial biblioteca conservasi ancoraun'altra assai pregevole opera di Bonizone, cioè una rac-colta di Decreti ecclesiastici tratti dalla sacra Scrittura,

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da' Concilj, dalle Lettere de' romani Pontefici, e dalleOpere de' ss. Padri. Di questa Raccolta un altro esem-plare conservasi in Brescia, e il diligentiss. monsig.Mansi di esso si è giovato a farne un esatto confrontocon quel di Vienna, mostrando la differenza che passafra l'uno e l'altro (V. Fabr. Bibl. lat. med. et inf. aet. t. 1.p. 261). Ad essa egli premise un Compendio della Storiade' Papi da s. Pietro fino ad Urbano II. Il Muratori aveain animo di pubblicare questo Compendio; ma ne ristret-te, poichè riseppe da Vienna che non era che un sempli-ce catalogo de' loro nomi (l. c.). De' pontefici però deisuoi tempi avea egli scritti più stesamente due libri, e ilsecondo di essi dovea essere quello appunto da lui indi-rizzato contro lo scismatico card. Ugone, come dimostral'Oudin (de Script. eccl. t. 2, p. 736, ec.) che di Bonizo-ne e delle opere da lui scritte ha parlato con singolar di-ligenza, e a cui perciò io rimetto chi bramasse di avernepiù ampie notizie; e a lui voglionsi aggiungnere, per ciò,che appartiene alla Collezione de' Canoni da lui fatta, idottissimi fratelli Ballerini che di essa trattano ampia-mente non meno che eruditamente (Diss. de Collect.Decretal. vol. 3 Op. s. Leon. pass 4, c. 15).

XXXIV. Io potrei ancora innoltrarmi a par-lar di più altri Italiani che a questi tempidierono saggio del loro ingegno e del lorostudio, singolarmente nelle contese co' Gre-ci scismatici, e in quelle delle investiture e

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Altri scrit-tori contro gli errori dei Greci.

da' Concilj, dalle Lettere de' romani Pontefici, e dalleOpere de' ss. Padri. Di questa Raccolta un altro esem-plare conservasi in Brescia, e il diligentiss. monsig.Mansi di esso si è giovato a farne un esatto confrontocon quel di Vienna, mostrando la differenza che passafra l'uno e l'altro (V. Fabr. Bibl. lat. med. et inf. aet. t. 1.p. 261). Ad essa egli premise un Compendio della Storiade' Papi da s. Pietro fino ad Urbano II. Il Muratori aveain animo di pubblicare questo Compendio; ma ne ristret-te, poichè riseppe da Vienna che non era che un sempli-ce catalogo de' loro nomi (l. c.). De' pontefici però deisuoi tempi avea egli scritti più stesamente due libri, e ilsecondo di essi dovea essere quello appunto da lui indi-rizzato contro lo scismatico card. Ugone, come dimostral'Oudin (de Script. eccl. t. 2, p. 736, ec.) che di Bonizo-ne e delle opere da lui scritte ha parlato con singolar di-ligenza, e a cui perciò io rimetto chi bramasse di avernepiù ampie notizie; e a lui voglionsi aggiungnere, per ciò,che appartiene alla Collezione de' Canoni da lui fatta, idottissimi fratelli Ballerini che di essa trattano ampia-mente non meno che eruditamente (Diss. de Collect.Decretal. vol. 3 Op. s. Leon. pass 4, c. 15).

XXXIV. Io potrei ancora innoltrarmi a par-lar di più altri Italiani che a questi tempidierono saggio del loro ingegno e del lorostudio, singolarmente nelle contese co' Gre-ci scismatici, e in quelle delle investiture e

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Altri scrit-tori contro gli errori dei Greci.

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delle ecclesiastiche immunità. Domenico patriarca diGrado scrisse intorno agli errori de' Greci verso la metàdell'XI secolo una erudita lettera pubblicata dal Cotelier(Monum. eccl. graec. t. 2, p. 108). Pietro arcivescovo diAmalfi, e Federigo nuncio di Leone IX alla corte di Co-stantinopoli, che fu poi papa col nome di Stefano IX,scrissero e disputarono contro il monaco Niceta, uno de'più fervidi difensori dello scisma, e lo strinser permodo, che ritrattò i suoi errori (Vita s. Leonis IX l. 2, c.5 ap. Bollan. t. 2, april.). Placido, monaco e priore delmonastero di Nonantola, e poscia vescovo non si sa diqual chiesa, scrisse un libro intitolato dell'Onor dellaChiesa verso l'an. 1070, in cui tratta le mentovate con-troversie tra 'l sacerdozio e l'impero. Esso è stato pubbli-cato dal p. Pez (thes. Anecd. t. 2, pars 1, p. 75). Nel se-colo susseguente Ugone Eteriano pisano combattè valo-rosamente contro gli errori de' Greci, e abbiamo ancoraalcune sue opere su tale argomento (V. Fabr. Bibl. lat.med. et inf. aet. t. 3, p. 292); il che pur fece Paolo geno-vese monaco di Monte Casino, e autore di molte opererammentate da Pietro diacono, il quale di lui racconta(de Vir. ill. Casin. c. 36) che era cieco, e che nondimenofu uom sì dotto, che veniva appellato il secondo Didi-mo. Ma di questi, e di altri, de' quali somigliantementepotrei ragionare, basti il detto fin qui, perchè non sembrich'io vada in cerca di ogni ancor più picciola coserella, eche brami di render voluminosa anzi che utile questamia Storia.

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delle ecclesiastiche immunità. Domenico patriarca diGrado scrisse intorno agli errori de' Greci verso la metàdell'XI secolo una erudita lettera pubblicata dal Cotelier(Monum. eccl. graec. t. 2, p. 108). Pietro arcivescovo diAmalfi, e Federigo nuncio di Leone IX alla corte di Co-stantinopoli, che fu poi papa col nome di Stefano IX,scrissero e disputarono contro il monaco Niceta, uno de'più fervidi difensori dello scisma, e lo strinser permodo, che ritrattò i suoi errori (Vita s. Leonis IX l. 2, c.5 ap. Bollan. t. 2, april.). Placido, monaco e priore delmonastero di Nonantola, e poscia vescovo non si sa diqual chiesa, scrisse un libro intitolato dell'Onor dellaChiesa verso l'an. 1070, in cui tratta le mentovate con-troversie tra 'l sacerdozio e l'impero. Esso è stato pubbli-cato dal p. Pez (thes. Anecd. t. 2, pars 1, p. 75). Nel se-colo susseguente Ugone Eteriano pisano combattè valo-rosamente contro gli errori de' Greci, e abbiamo ancoraalcune sue opere su tale argomento (V. Fabr. Bibl. lat.med. et inf. aet. t. 3, p. 292); il che pur fece Paolo geno-vese monaco di Monte Casino, e autore di molte opererammentate da Pietro diacono, il quale di lui racconta(de Vir. ill. Casin. c. 36) che era cieco, e che nondimenofu uom sì dotto, che veniva appellato il secondo Didi-mo. Ma di questi, e di altri, de' quali somigliantementepotrei ragionare, basti il detto fin qui, perchè non sembrich'io vada in cerca di ogni ancor più picciola coserella, eche brami di render voluminosa anzi che utile questamia Storia.

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XXXV. Rimane per ultimo a dir qualchecosa di quelli che illustrarono di questi tem-pi la storia sacra. E qui ancora io non faròmenzione, come ho fatto ne' precedenti li-bri, di quelli che scrisser la Vita, o i miracoli

di qualche santo, o qualche altra operetta di somiglianteargomento, il che sarebbe cosa e a me e a' lettori di som-ma noia ugualmente e di niun vantaggio. Io accenneròsolo coloro che qualche opera importante in questa ma-teria ci hanno lasciata. Tra essi vuolsi annoverare fra'primi Gregorio monaco ed archivista del monastero diFarfa, perciocchè egli fu il primo, per quanto io sappia,che si accingesse a una fatica, la quale, se in altri mona-steri ancora si fosse intrapresa, assai più utile, più sicu-ra, e più chiara sarebbe la loro Storia. Egli dunque versola fine dell'XI secolo in cui vivea, raccolse diligente-mente e copiò in due volumi tutti i diplomi appartenential suo monastero; e poscia sulla scorta di essi vennestendendo la Cronaca del medesimo, continuata poi fincirca l'an. 1100 da Teodoino parente di Gregorio, e dataalla luce dal ch. Muratori (Script. rer. ital. t. 2, pars 2); ilquale ancora vi ha aggiunta la relazione della distruzio-ne di quel monastero scritta da Ugone che n'era abateverso il principio dello stesso XI secolo. A' due mento-vati libri de' Diplomi, Giovanni gramatico e monaco nelmonastero medesimo un altro ne aggiunse l'an. 1092.Questo sì pregevol tesoro di antiche carte di cui non viha forse il più antico ne' monastici archivj, conservasiancora nel suddetto monastero di Farfa, e il Muratori ha

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Scrittori di storia sacra:Cronaca delmonastero di Farfa.

XXXV. Rimane per ultimo a dir qualchecosa di quelli che illustrarono di questi tem-pi la storia sacra. E qui ancora io non faròmenzione, come ho fatto ne' precedenti li-bri, di quelli che scrisser la Vita, o i miracoli

di qualche santo, o qualche altra operetta di somiglianteargomento, il che sarebbe cosa e a me e a' lettori di som-ma noia ugualmente e di niun vantaggio. Io accenneròsolo coloro che qualche opera importante in questa ma-teria ci hanno lasciata. Tra essi vuolsi annoverare fra'primi Gregorio monaco ed archivista del monastero diFarfa, perciocchè egli fu il primo, per quanto io sappia,che si accingesse a una fatica, la quale, se in altri mona-steri ancora si fosse intrapresa, assai più utile, più sicu-ra, e più chiara sarebbe la loro Storia. Egli dunque versola fine dell'XI secolo in cui vivea, raccolse diligente-mente e copiò in due volumi tutti i diplomi appartenential suo monastero; e poscia sulla scorta di essi vennestendendo la Cronaca del medesimo, continuata poi fincirca l'an. 1100 da Teodoino parente di Gregorio, e dataalla luce dal ch. Muratori (Script. rer. ital. t. 2, pars 2); ilquale ancora vi ha aggiunta la relazione della distruzio-ne di quel monastero scritta da Ugone che n'era abateverso il principio dello stesso XI secolo. A' due mento-vati libri de' Diplomi, Giovanni gramatico e monaco nelmonastero medesimo un altro ne aggiunse l'an. 1092.Questo sì pregevol tesoro di antiche carte di cui non viha forse il più antico ne' monastici archivj, conservasiancora nel suddetto monastero di Farfa, e il Muratori ha

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Scrittori di storia sacra:Cronaca delmonastero di Farfa.

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pubblicati i titoli di molte tra esse (Antiq. Ital. t. 5, p.687, ec.). In questo secolo in cui son venuti alla lucetanti antichi diplomi, non possiam noi lusingarci che an-che questa sì copiosa raccolta debba un dì farsi pubbli-ca? Qual vantaggio ne verrebbe alla storia ecclesiasticanon meno che alla profana?

XXXVI. Altri monasteri ancora vollero aquest'epoca avere i loro storici. Abbiamo laCronaca di quello della Novalesa, scrittaverso la metà dell'XI secolo; ma essa non ci

dà grande idea del suo anonimo autore: perciocchè egli,come osserva il Muratori che l'ha pubblicata (Script. rer.ital. t. 2, pars 2), l'ha riempita di puerili e favolosi rac-conti, in mezzo a' quali però si trovan buone ed opportu-ne notizie (15). Miglior metodo tennero Giovanni monacodel monastero di s. Vincenzio al Voltorno, e Giovanni diBerardo monaco del monastero di Casauria, perciocchèl'uno e l'altro tesserono e ornarono la lor narrazione diantichi diplomi, i quali e ne confermassero la verità, ene rendessero maggiore il frutto. Il primo la scrisse alprincipio del XII secolo, e l'an. 1108 la offerì al pontef.Pasquale II; il secondo la scrisse l'an. 1182, e amenduesono state date alla luce dal suddetto ch. Muratori (ib.):

15 Intorno all'autore della Cronaca della Novalesa meritan di esser lette le ri-flessioni del ch. sig. co. Galeani Napione di Cocconato, il quale pensach'ei fiorisse sulla fine del sec. X, e che qualche anno toccasse ancordell'XI (Piemontesi ill. t. 4, p. 150, ec.), e ragiona poscia di altre Cronachemonastiche del Piemonte circa il tempo medesimo scritte.

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Cronached'altri mo-nasteri.

pubblicati i titoli di molte tra esse (Antiq. Ital. t. 5, p.687, ec.). In questo secolo in cui son venuti alla lucetanti antichi diplomi, non possiam noi lusingarci che an-che questa sì copiosa raccolta debba un dì farsi pubbli-ca? Qual vantaggio ne verrebbe alla storia ecclesiasticanon meno che alla profana?

XXXVI. Altri monasteri ancora vollero aquest'epoca avere i loro storici. Abbiamo laCronaca di quello della Novalesa, scrittaverso la metà dell'XI secolo; ma essa non ci

dà grande idea del suo anonimo autore: perciocchè egli,come osserva il Muratori che l'ha pubblicata (Script. rer.ital. t. 2, pars 2), l'ha riempita di puerili e favolosi rac-conti, in mezzo a' quali però si trovan buone ed opportu-ne notizie (15). Miglior metodo tennero Giovanni monacodel monastero di s. Vincenzio al Voltorno, e Giovanni diBerardo monaco del monastero di Casauria, perciocchèl'uno e l'altro tesserono e ornarono la lor narrazione diantichi diplomi, i quali e ne confermassero la verità, ene rendessero maggiore il frutto. Il primo la scrisse alprincipio del XII secolo, e l'an. 1108 la offerì al pontef.Pasquale II; il secondo la scrisse l'an. 1182, e amenduesono state date alla luce dal suddetto ch. Muratori (ib.):

15 Intorno all'autore della Cronaca della Novalesa meritan di esser lette le ri-flessioni del ch. sig. co. Galeani Napione di Cocconato, il quale pensach'ei fiorisse sulla fine del sec. X, e che qualche anno toccasse ancordell'XI (Piemontesi ill. t. 4, p. 150, ec.), e ragiona poscia di altre Cronachemonastiche del Piemonte circa il tempo medesimo scritte.

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Cronached'altri mo-nasteri.

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la seconda però oltre qualche parte pubblicata da altriavea già veduto il giorno per opera del p. D'Achery(Spicil. t. 2, nov. ed. p. 929).

XXXVII. Ma il monastero di Monte Casinosuperiore a tutti gli altri in antichità e inonore non volle essere inferiore ad alcunonell'avere storici valorosi che ne illustrasse-ro il nome. Alcuni avean già trattato in parte

questo argomento, e molti il trattarono al tempo di cuiparliamo, i cui nomi si posson vedere indicati con qual-che elogio da Pietro diacono (de Viris ill. Casin.). Madue tra essi son degni di più onorevol menzione, Leonemarsicano, e il sopraddetto Pietro diacono. Il primo det-to marsicano dalla sua patria fu ancor giovinetto offertoa Dio nel monastero di Monte Casino, e vi si distinse fragli altri così per l'esercizio delle religiose virtù; comeper l'ardore nel coltivare gli studj. Perciò dall'abate Ode-risio ebbe l'onorevole incarico di scrivere un'intera edesatta storia del suo monastero, ed egli si accinseall'opera, e in tre libri condusse la Storia fino a' tempidell'abate Desiderio che fu poi Vittore III, di cui peròegli non ebbe o tempo, o agio a raccontare tutte le gesta:e perciò Pietro diacono ne continuò il lavoro comincian-do dal capo XXXV del terzo libro, e ad esso aggiugnen-do il quarto. Leone da Urbano II fu onorato l'an. 1101della dignità di cardinale e vescovo d'Ostia, ed era ancorvivo l'an. 1115, come prova il can. Mari (in not. ad Petr.

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Cronaca di Monte Ca-sino scritta da Leone marsicano.

la seconda però oltre qualche parte pubblicata da altriavea già veduto il giorno per opera del p. D'Achery(Spicil. t. 2, nov. ed. p. 929).

XXXVII. Ma il monastero di Monte Casinosuperiore a tutti gli altri in antichità e inonore non volle essere inferiore ad alcunonell'avere storici valorosi che ne illustrasse-ro il nome. Alcuni avean già trattato in parte

questo argomento, e molti il trattarono al tempo di cuiparliamo, i cui nomi si posson vedere indicati con qual-che elogio da Pietro diacono (de Viris ill. Casin.). Madue tra essi son degni di più onorevol menzione, Leonemarsicano, e il sopraddetto Pietro diacono. Il primo det-to marsicano dalla sua patria fu ancor giovinetto offertoa Dio nel monastero di Monte Casino, e vi si distinse fragli altri così per l'esercizio delle religiose virtù; comeper l'ardore nel coltivare gli studj. Perciò dall'abate Ode-risio ebbe l'onorevole incarico di scrivere un'intera edesatta storia del suo monastero, ed egli si accinseall'opera, e in tre libri condusse la Storia fino a' tempidell'abate Desiderio che fu poi Vittore III, di cui peròegli non ebbe o tempo, o agio a raccontare tutte le gesta:e perciò Pietro diacono ne continuò il lavoro comincian-do dal capo XXXV del terzo libro, e ad esso aggiugnen-do il quarto. Leone da Urbano II fu onorato l'an. 1101della dignità di cardinale e vescovo d'Ostia, ed era ancorvivo l'an. 1115, come prova il can. Mari (in not. ad Petr.

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Cronaca di Monte Ca-sino scritta da Leone marsicano.

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diac. c. 30); ma non si sa precisamente in qual anno mo-risse (16). La Cronaca di Monte Casino da lui scritta è lapiù esatta e la più compita che noi abbiam di quel cele-bre monastero, ed essa ha avute più edizioni, l'ultima ela migliore tra le quali è quella che ne ha fatta il Murato-ri (Script. rer. ital. vol. 4) colle note dal p. abate Angelodella Noce aggiunte ad essa fin dall'an. 1668. Di qual-che altra opera di Leon marsicano veggasi il sopraccita-to can. Mari e il Fabricio (Bibl. lat. med. et inf. aet. t. 4,p. 261).

XXXVIII. Non egual lode ha ottenuto pres-so i più giusti estimatori delle cose Pietrodiacono continuatore di Leon marsicano.Già abbiam recato poc'anzi il poco favore-

vol giudizio che ne ha recato il p. abate della Noce; e ilp. Mabillon il dice assai inferiore a Leone in gravità ein autorità (Ann. bened. t. 5, l. 67, n. 27). E certo ei par-la di se medesimo più che ad uom ritenuto e modestonon che a umile monaco non si convenga. Rammenta lanobiltà di sua famiglia che vantava consoli e generaliromani (Chron. Casin. l. 4, c. 113; ec.); narra diffusa-mente le dispute da sè sostenute in presenza d'Innocenzo

16 L'epoca della morte di Leon marsicano è stata scoperta dall'eruditiss. mon-sig. Stefano Borgia in un Necrologio della chiesa di Velletri, in cui è se-gnata a' 22 di maggio del sopraddetto anno 1115 (De Cruce Veliterna p.276). Altre più minute notizie intorno allo stesso Leone si posson vederenella recente opera del sig. Francescantonio Soria intorno agli Storici na-poletani (t. 2, p. 391).

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Continuata da Pietro diacono.

diac. c. 30); ma non si sa precisamente in qual anno mo-risse (16). La Cronaca di Monte Casino da lui scritta è lapiù esatta e la più compita che noi abbiam di quel cele-bre monastero, ed essa ha avute più edizioni, l'ultima ela migliore tra le quali è quella che ne ha fatta il Murato-ri (Script. rer. ital. vol. 4) colle note dal p. abate Angelodella Noce aggiunte ad essa fin dall'an. 1668. Di qual-che altra opera di Leon marsicano veggasi il sopraccita-to can. Mari e il Fabricio (Bibl. lat. med. et inf. aet. t. 4,p. 261).

XXXVIII. Non egual lode ha ottenuto pres-so i più giusti estimatori delle cose Pietrodiacono continuatore di Leon marsicano.Già abbiam recato poc'anzi il poco favore-

vol giudizio che ne ha recato il p. abate della Noce; e ilp. Mabillon il dice assai inferiore a Leone in gravità ein autorità (Ann. bened. t. 5, l. 67, n. 27). E certo ei par-la di se medesimo più che ad uom ritenuto e modestonon che a umile monaco non si convenga. Rammenta lanobiltà di sua famiglia che vantava consoli e generaliromani (Chron. Casin. l. 4, c. 113; ec.); narra diffusa-mente le dispute da sè sostenute in presenza d'Innocenzo

16 L'epoca della morte di Leon marsicano è stata scoperta dall'eruditiss. mon-sig. Stefano Borgia in un Necrologio della chiesa di Velletri, in cui è se-gnata a' 22 di maggio del sopraddetto anno 1115 (De Cruce Veliterna p.276). Altre più minute notizie intorno allo stesso Leone si posson vederenella recente opera del sig. Francescantonio Soria intorno agli Storici na-poletani (t. 2, p. 391).

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Continuata da Pietro diacono.

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II e di Lotario II intorno a' privilegi del suo monasteronella elezion dell'abate; e un'altra disputa ch'egli ebbecon un Greco sopra gli errori di quella nazione; in cuiegli piacque talmente allo stesso suo avversario, chequesti tradusse in greco ciò ch'egli avea detto, e man-donne copia all'imperadore e al patriarca di Costantino-poli; e annovera i luminosi titoli di cui l'imp. Lottarioperciò onorollo, e gli augusti personaggi che si unironoa ottenerglieli da quel sovrano. "Imperator etiam de liti-gia, quod Petrus diaconus cum Graeco habuerat, ultramodum gavisus, eundem diaconum, interventu Richizaepiissimae Augustae, et Henrici ducis Bajoariorum, etConradi ducis Svevorum, Loghothetam, a secretis, ex-ceptorem, auditorem, cartularium, ac cappellanum ro-mani imperii constituit (ib. c. 116)". De' quali titoli peròè certo che Pietro fu onorato, come da una lettera dellostesso imperador Lottario prova il p. abate della Noce(in not. ad h. loc.). Ei finalmente, oltre più altre cose,racconta di se medesimo (c. 118), che l'imperadore stes-so volle ch'egli vivesse con lui, e ne' suoi viaggil'accompagnasse. Fino a quanto tempo si stesse Pietrocoll'imp. Lottario, nol sappiamo. Solo abbiam due lette-re da lui scritte, all'imperadrice Richenza o Richiza perconsolarla nella morte del suo marito Luttario (Mabil-lon. App. ad vol. 6 Ann. bened. p. 624) avvenuta l'anno1137, cioè l'anno stesso in cui avea in sì solenne guisaonorato Pietro, il quale perciò è probabile che facesseallora ritorno al suo monastero. Il p. Mabillon pensach'egli vivesse fino a' tempi di Alessandro III (Ann. Be-

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II e di Lotario II intorno a' privilegi del suo monasteronella elezion dell'abate; e un'altra disputa ch'egli ebbecon un Greco sopra gli errori di quella nazione; in cuiegli piacque talmente allo stesso suo avversario, chequesti tradusse in greco ciò ch'egli avea detto, e man-donne copia all'imperadore e al patriarca di Costantino-poli; e annovera i luminosi titoli di cui l'imp. Lottarioperciò onorollo, e gli augusti personaggi che si unironoa ottenerglieli da quel sovrano. "Imperator etiam de liti-gia, quod Petrus diaconus cum Graeco habuerat, ultramodum gavisus, eundem diaconum, interventu Richizaepiissimae Augustae, et Henrici ducis Bajoariorum, etConradi ducis Svevorum, Loghothetam, a secretis, ex-ceptorem, auditorem, cartularium, ac cappellanum ro-mani imperii constituit (ib. c. 116)". De' quali titoli peròè certo che Pietro fu onorato, come da una lettera dellostesso imperador Lottario prova il p. abate della Noce(in not. ad h. loc.). Ei finalmente, oltre più altre cose,racconta di se medesimo (c. 118), che l'imperadore stes-so volle ch'egli vivesse con lui, e ne' suoi viaggil'accompagnasse. Fino a quanto tempo si stesse Pietrocoll'imp. Lottario, nol sappiamo. Solo abbiam due lette-re da lui scritte, all'imperadrice Richenza o Richiza perconsolarla nella morte del suo marito Luttario (Mabil-lon. App. ad vol. 6 Ann. bened. p. 624) avvenuta l'anno1137, cioè l'anno stesso in cui avea in sì solenne guisaonorato Pietro, il quale perciò è probabile che facesseallora ritorno al suo monastero. Il p. Mabillon pensach'egli vivesse fino a' tempi di Alessandro III (Ann. Be-

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ned. vol. 6, p. 138), da cui si crede, dic'egli, che avesseil governo del monastero di Venosa.

XXXIX. Delle sue opere ci ha lasciato eglistesso un esatto catalogo (de Vir. ill. Casin.c. 47). Fra esse oltre la continuazione della

Cronaca Casinese, di cui abbiam favellato, troviam regi-strate la Vita e il Martirio e la traslazione di molti Santi,parecchi sermoni, alcuni altri opuscoli appartenenti allaStoria del monastero di Monte Casino, e alcuni libriascetici e scritturali. Io lascio di farne qui distinta men-zione, potendosi vederli tutti annoverati da lui medesi-mo e dal can. Mari (in not. ad h. loc.) che segna innoltrequali tra essi si conservino ancor manoscritti. Io parleròsolo di alcune opere per le quali Pietro diacono ha otte-nuto maggior nome, e che meglio ci mostrano il saperedi cui egli era fornito. Tra esse deesi il primo luogo alpiù volte citato libro degli Uomini illustri di Monte Ca-sino, che è in somma la storia letteraria di quel monaste-ro, ossia la biblioteca degli scrittori che in esso vissero,col novero de' libri da essi composti. Egli è vero chel'autore in quest'opera non è sempre esatto, e spessosembra lodatore anzichè narratore. Ma ciò non ostanteella è opera alla storia letteraria utile assai, e di moltidottissimi uomini noi non conosceremmo il nome nonche le opere, se Pietro diacono non ce ne avesse in librolasciata memoria. Molte altre opere ancora su diversescienze avea egli composte, un trattato di astronomia

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Altre operedi esso.

ned. vol. 6, p. 138), da cui si crede, dic'egli, che avesseil governo del monastero di Venosa.

XXXIX. Delle sue opere ci ha lasciato eglistesso un esatto catalogo (de Vir. ill. Casin.c. 47). Fra esse oltre la continuazione della

Cronaca Casinese, di cui abbiam favellato, troviam regi-strate la Vita e il Martirio e la traslazione di molti Santi,parecchi sermoni, alcuni altri opuscoli appartenenti allaStoria del monastero di Monte Casino, e alcuni libriascetici e scritturali. Io lascio di farne qui distinta men-zione, potendosi vederli tutti annoverati da lui medesi-mo e dal can. Mari (in not. ad h. loc.) che segna innoltrequali tra essi si conservino ancor manoscritti. Io parleròsolo di alcune opere per le quali Pietro diacono ha otte-nuto maggior nome, e che meglio ci mostrano il saperedi cui egli era fornito. Tra esse deesi il primo luogo alpiù volte citato libro degli Uomini illustri di Monte Ca-sino, che è in somma la storia letteraria di quel monaste-ro, ossia la biblioteca degli scrittori che in esso vissero,col novero de' libri da essi composti. Egli è vero chel'autore in quest'opera non è sempre esatto, e spessosembra lodatore anzichè narratore. Ma ciò non ostanteella è opera alla storia letteraria utile assai, e di moltidottissimi uomini noi non conosceremmo il nome nonche le opere, se Pietro diacono non ce ne avesse in librolasciata memoria. Molte altre opere ancora su diversescienze avea egli composte, un trattato di astronomia

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Altre operedi esso.

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raccolto dagli antichi scrittori, e un altro sulle pietre pre-ziose. Avea fatto un Compendio del Polistore di Solinoe della Architettura di Vitruvio, e tradotto avea un librodi Evace re degli Arabi intorno alle pietre. Le quali ope-re ci mostrano un uomo in molti studj versato, benchè ilcarattere che in lui abbiamo osservato, ci muova nonleggero sospetto che fosse questa una tenue e superficialtintura di studio, anzichè un vasto e profondo sapere.Credesi ancor da molti, ch'ei riducesse in un sol corpo leleggi tutte de' Longobardi che andavan prima disperse(Heinec. Hist. Jur. l. 2, c. 5, parag. 27). Ma parmi diffi-cile che si aspettasse a far ciò in un tempo in cui quellecominciavano ad essere assai meno usate; e anche il ch.Muratori sembra dubitare della verità di una tal tradizio-ne (praef. ad Leg. Langob. Script. rer. ital. t. 1, pars 2,p. 7).

XL. La storia de' romani pontefici finalmen-te fu anche essa in questi tempi illustrata datre scrittori italiani, cioè da Guglielmo car-dinale bibliotecario della sede apostolica, da

Pietro esso pure bibliotecario, e da Pandolfo da Pisa. Ilprimo continuando la Storia di Anastasio scrisse le Vitede' Papi da Adriano II fino ad Alessandro II, a' cui tempivivea; ma quasi tutta quest'opera si è perduta, e ci è ri-masta solo la Vita del suddetto Adriano, e quella, ben-chè non intera, di Stefano V. Pietro bibliotecario scrissela Vita di Gregorio VII. Pandolfo da Pisa, che, come os-

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Scrittori delle Vite de' Papi.

raccolto dagli antichi scrittori, e un altro sulle pietre pre-ziose. Avea fatto un Compendio del Polistore di Solinoe della Architettura di Vitruvio, e tradotto avea un librodi Evace re degli Arabi intorno alle pietre. Le quali ope-re ci mostrano un uomo in molti studj versato, benchè ilcarattere che in lui abbiamo osservato, ci muova nonleggero sospetto che fosse questa una tenue e superficialtintura di studio, anzichè un vasto e profondo sapere.Credesi ancor da molti, ch'ei riducesse in un sol corpo leleggi tutte de' Longobardi che andavan prima disperse(Heinec. Hist. Jur. l. 2, c. 5, parag. 27). Ma parmi diffi-cile che si aspettasse a far ciò in un tempo in cui quellecominciavano ad essere assai meno usate; e anche il ch.Muratori sembra dubitare della verità di una tal tradizio-ne (praef. ad Leg. Langob. Script. rer. ital. t. 1, pars 2,p. 7).

XL. La storia de' romani pontefici finalmen-te fu anche essa in questi tempi illustrata datre scrittori italiani, cioè da Guglielmo car-dinale bibliotecario della sede apostolica, da

Pietro esso pure bibliotecario, e da Pandolfo da Pisa. Ilprimo continuando la Storia di Anastasio scrisse le Vitede' Papi da Adriano II fino ad Alessandro II, a' cui tempivivea; ma quasi tutta quest'opera si è perduta, e ci è ri-masta solo la Vita del suddetto Adriano, e quella, ben-chè non intera, di Stefano V. Pietro bibliotecario scrissela Vita di Gregorio VII. Pandolfo da Pisa, che, come os-

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Scrittori delle Vite de' Papi.

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serva l'eruditiss. monsig. Mansi (Fab. Bibl. lat. med. etinf. aet. t. 5, p. 193), dee distinguersi dal card. Pandolfoparimente pisano che fiorì al fine del XII secolo, scrisseegli pure la Vita di Gregorio VII, e de' seguenti ponteficifino ad Alessandro III. Io non mi arresto ad esaminarealcune più minute quistioni intorno a questi scrittori, chesi posson vedere trattate dagli autori delle ecclesiastichebiblioteche.

XLI. Potrebbe forse parer qui luogo oppor-tuno a trattare ancor dello studio de' sacricanoni, che in questi secoli prese a coltivar-si con grande ardore; ma mi è sembrato mi-glior consiglio il riservare a farlo, ove tratte-

remo della giurisprudenza, unendo così insieme le leggiecclesiastiche e le civili.

CAPO III.Belle lettere.

I. Benchè in questo ancora, come ne' treprecedenti libri, noi siamo per radunare sot-to un sol capo tutto ciò che appartiene allagramatica, all'eloquenza, alla poesia latina ealla storia profana, nondimeno tutte questematerie, benchè unite insieme, assai scarsoargomento ci somministrano a ragionarne. A

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Altrove parlerassi de' canoni-sti.

Per qual ra-gione fosse ancora scarso il numero dei coltivatori dell'amena letteratura.

serva l'eruditiss. monsig. Mansi (Fab. Bibl. lat. med. etinf. aet. t. 5, p. 193), dee distinguersi dal card. Pandolfoparimente pisano che fiorì al fine del XII secolo, scrisseegli pure la Vita di Gregorio VII, e de' seguenti ponteficifino ad Alessandro III. Io non mi arresto ad esaminarealcune più minute quistioni intorno a questi scrittori, chesi posson vedere trattate dagli autori delle ecclesiastichebiblioteche.

XLI. Potrebbe forse parer qui luogo oppor-tuno a trattare ancor dello studio de' sacricanoni, che in questi secoli prese a coltivar-si con grande ardore; ma mi è sembrato mi-glior consiglio il riservare a farlo, ove tratte-

remo della giurisprudenza, unendo così insieme le leggiecclesiastiche e le civili.

CAPO III.Belle lettere.

I. Benchè in questo ancora, come ne' treprecedenti libri, noi siamo per radunare sot-to un sol capo tutto ciò che appartiene allagramatica, all'eloquenza, alla poesia latina ealla storia profana, nondimeno tutte questematerie, benchè unite insieme, assai scarsoargomento ci somministrano a ragionarne. A

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Altrove parlerassi de' canoni-sti.

Per qual ra-gione fosse ancora scarso il numero dei coltivatori dell'amena letteratura.

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coltivare gli studj sacri venivano gl'Italiani eccitati dallecontroversie co' Greci, coi quali entravano spesso a con-ferenze e a dispute, ed era perciò necessario che si for-nissero di quella scienza che a ribattere i loro argomentisi richiedeva, e innoltre dalle dissensioni tra 'l sacerdo-zio e l'impero, per le quali combattendosi non solcoll'armi, ma ancor colla penna e coi libri, coloroch'eransi esercitati negli studj di tal natura, potevano lu-singarsi di ottenere scrivendo e grazia presso di quelli dicui sostenevan la causa, e fama presso de' posteri. Lebelle lettere non erano avvivate da tali stimoli; e perciòmen frequenti e men fervidi, erano i loro coltivatori. Einnoltre que' medesimi che le coltivavano, non potendocomunemente usare per le ragioni altre volte addotte diquello stil colto e vezzoso, senza cui esse non hanno al-cun pregio, non ci dieder tai saggi del loro ingegno e delloro studio, che meritassero ad essi la fama di scrittorivalorosi. Ma qualunque essi si fossero, i loro sforzi sondegni di lode, e noi dobbiamo perciò farne onorevolmenzione, e non permettere che perisca la memoria diquelli che in mezzo a gravissime difficoltà coltivaronoquesta sorta di studj.

II. E per cominciar, com'altre volte abbiamfatto, da quelli che si rivolsero allo studiodelle lingue straniere, abbiam vedutopoc'anzi che nella lingua greca era assai benversato l'arcivescovo di Milano Pier Grosso-

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Non pochi Italiani si trovano chefuron dotti nel greco.

coltivare gli studj sacri venivano gl'Italiani eccitati dallecontroversie co' Greci, coi quali entravano spesso a con-ferenze e a dispute, ed era perciò necessario che si for-nissero di quella scienza che a ribattere i loro argomentisi richiedeva, e innoltre dalle dissensioni tra 'l sacerdo-zio e l'impero, per le quali combattendosi non solcoll'armi, ma ancor colla penna e coi libri, coloroch'eransi esercitati negli studj di tal natura, potevano lu-singarsi di ottenere scrivendo e grazia presso di quelli dicui sostenevan la causa, e fama presso de' posteri. Lebelle lettere non erano avvivate da tali stimoli; e perciòmen frequenti e men fervidi, erano i loro coltivatori. Einnoltre que' medesimi che le coltivavano, non potendocomunemente usare per le ragioni altre volte addotte diquello stil colto e vezzoso, senza cui esse non hanno al-cun pregio, non ci dieder tai saggi del loro ingegno e delloro studio, che meritassero ad essi la fama di scrittorivalorosi. Ma qualunque essi si fossero, i loro sforzi sondegni di lode, e noi dobbiamo perciò farne onorevolmenzione, e non permettere che perisca la memoria diquelli che in mezzo a gravissime difficoltà coltivaronoquesta sorta di studj.

II. E per cominciar, com'altre volte abbiamfatto, da quelli che si rivolsero allo studiodelle lingue straniere, abbiam vedutopoc'anzi che nella lingua greca era assai benversato l'arcivescovo di Milano Pier Grosso-

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Non pochi Italiani si trovano chefuron dotti nel greco.

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lano. Era pure verso que' tempi medesimi in Milano pertestimonianza di Landolfo il vecchio (Hist. l. 3, c. 4) uncotale Ambrogio Biffi, così detto, se crediamo al mede-simo storico, perchè egli era Bifario, cioè perchè nellagreca non meno che nella latina favella esprimevasi conchiarezza e con eleganza maravigliosa. Lo stesso Lan-dolfo ci ha conservato un discorso fatto da Ambrogio(ib. c. 23) contro il celibato degli ecclesiastici, di cuiegli era ostinatissimo impugnatore; ma, a dir vero, que-sto discorso non ci dà grande idea del sapere e della eru-dizion del suo autore, e forse Landolfo ne esagerò al-quanto le lodi, perchè egli ancora era sostenitore dellamedesima causa. Somigliante elogio egli fa di un cotalprete Andrea milanese, di cui pur dice ch'"era nelle sa-cre e nelle profane, nelle greche e nelle latine lettere as-sai erudito (ib. c. 21)". Abbiamo ancora poc'anzi fattamenzione di Domenico patriarca di Grado, che una let-tera in lingua greca scrisse contro gli errori de' Greci; diUgone Eteriano versato esso pure nella lingua medesi-ma; a cui si può aggiugner Leone di lui fratello, il quale,come osserva il Tritemio (De Script. eccl. c. 400), eraalla corte di Manuello Comneno interprete delle leggiimperiali. Di questi due fratelli tratta assai eruditamenteil dottissimo e da me altre volte citato monsig. Giangiro-lamo Gradenigo (Della Letterat. greco-ital. c. 8). Nelcapo V dovrem ragionare di Giovanni famoso filosofoitaliano che pel suo sapere acquistossi in Costantinopolistraordinaria fama; e di altri pure dovrem rammentare letraduzioni che di più libri greci fecero in lingua latina.

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lano. Era pure verso que' tempi medesimi in Milano pertestimonianza di Landolfo il vecchio (Hist. l. 3, c. 4) uncotale Ambrogio Biffi, così detto, se crediamo al mede-simo storico, perchè egli era Bifario, cioè perchè nellagreca non meno che nella latina favella esprimevasi conchiarezza e con eleganza maravigliosa. Lo stesso Lan-dolfo ci ha conservato un discorso fatto da Ambrogio(ib. c. 23) contro il celibato degli ecclesiastici, di cuiegli era ostinatissimo impugnatore; ma, a dir vero, que-sto discorso non ci dà grande idea del sapere e della eru-dizion del suo autore, e forse Landolfo ne esagerò al-quanto le lodi, perchè egli ancora era sostenitore dellamedesima causa. Somigliante elogio egli fa di un cotalprete Andrea milanese, di cui pur dice ch'"era nelle sa-cre e nelle profane, nelle greche e nelle latine lettere as-sai erudito (ib. c. 21)". Abbiamo ancora poc'anzi fattamenzione di Domenico patriarca di Grado, che una let-tera in lingua greca scrisse contro gli errori de' Greci; diUgone Eteriano versato esso pure nella lingua medesi-ma; a cui si può aggiugner Leone di lui fratello, il quale,come osserva il Tritemio (De Script. eccl. c. 400), eraalla corte di Manuello Comneno interprete delle leggiimperiali. Di questi due fratelli tratta assai eruditamenteil dottissimo e da me altre volte citato monsig. Giangiro-lamo Gradenigo (Della Letterat. greco-ital. c. 8). Nelcapo V dovrem ragionare di Giovanni famoso filosofoitaliano che pel suo sapere acquistossi in Costantinopolistraordinaria fama; e di altri pure dovrem rammentare letraduzioni che di più libri greci fecero in lingua latina.

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Alcuni greci poetici componimenti di un Costantino si-ciliano, che dicesi filosofo e gramatico nel secolo XI,conservansi in Firenze nella biblioteca laurenziana(Bandin. Cat. MSS. Codd. gr. Bibl. laur. t. 2, p. 211). "Alprincipio del XI secolo anche alcuni notai affettarono dimostrarsi dotti nel greco, scrivendo in questa lingua illor nome al fine degli stromenti da essi stipulati. Dueesempj se ne posson vedere nel Codice Diplomatico No-nantolano da me pubblicato (Stor. della Badia di No-nant. t. 2, p. 152)". Aggiungansi alcune pitture di questitempi, in cui si veggono scritte lettere e parole greche, emolti codici greci scritti a questa medesima età, de' qualiperò converrebbe accertare se scritti fossero in Italia, one' tempi più tardi vi venisser d'altronde; de' quali argo-menti tratti dalle pitture e da' codici greci veggasi il so-praccitato monsig. Gradenigo (l. c. c. 5, 6). Io per nonallungarmi di troppo, mi ristringerò a due soli che mag-giori pruove diedero del lor sapere in questa lingua; cioèa Papia, e a Burgondione, o sia Burgondio pisano (17).

III. Di qual patria precisamente fosse Pa-pia, niuno ci ha lasciata memoria. Tolo-meo di Lucca, che scrisse al principio delXIV secolo, dice ch'gli era di nazion lom-

17 Agl'Italiani che nel sec. XII coltivarono la lingua greca, deesi aggiugnerePasquale vescovo di Equilio, città ora distrutta presso Venezia, il quale cir-ca il 1170 fu perciò scelto dal doge di Venezia ad andare in suo nome am-basciatore all'imperador di Costantinopoli (Flam. Cornel. Eccl. ven. vol.10, pars 3, p. 392).

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E fra essi sin-golarmente Papia autore di un Lessico latino.

Alcuni greci poetici componimenti di un Costantino si-ciliano, che dicesi filosofo e gramatico nel secolo XI,conservansi in Firenze nella biblioteca laurenziana(Bandin. Cat. MSS. Codd. gr. Bibl. laur. t. 2, p. 211). "Alprincipio del XI secolo anche alcuni notai affettarono dimostrarsi dotti nel greco, scrivendo in questa lingua illor nome al fine degli stromenti da essi stipulati. Dueesempj se ne posson vedere nel Codice Diplomatico No-nantolano da me pubblicato (Stor. della Badia di No-nant. t. 2, p. 152)". Aggiungansi alcune pitture di questitempi, in cui si veggono scritte lettere e parole greche, emolti codici greci scritti a questa medesima età, de' qualiperò converrebbe accertare se scritti fossero in Italia, one' tempi più tardi vi venisser d'altronde; de' quali argo-menti tratti dalle pitture e da' codici greci veggasi il so-praccitato monsig. Gradenigo (l. c. c. 5, 6). Io per nonallungarmi di troppo, mi ristringerò a due soli che mag-giori pruove diedero del lor sapere in questa lingua; cioèa Papia, e a Burgondione, o sia Burgondio pisano (17).

III. Di qual patria precisamente fosse Pa-pia, niuno ci ha lasciata memoria. Tolo-meo di Lucca, che scrisse al principio delXIV secolo, dice ch'gli era di nazion lom-

17 Agl'Italiani che nel sec. XII coltivarono la lingua greca, deesi aggiugnerePasquale vescovo di Equilio, città ora distrutta presso Venezia, il quale cir-ca il 1170 fu perciò scelto dal doge di Venezia ad andare in suo nome am-basciatore all'imperador di Costantinopoli (Flam. Cornel. Eccl. ven. vol.10, pars 3, p. 392).

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E fra essi sin-golarmente Papia autore di un Lessico latino.

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bardo (Hist. eccl. l. 21, c. 18, t. 11 Script. rer. ital.), e si-milmente il Tritemio lo chiama generalmente lombardo(De Script. eccl. c. 414); e quindi formandone un ma-gnifico elogio, dice ch'egli era "uomo nelle secolari let-tere eruditissimo, il più famoso gramatico de' suoi tem-pi, perfettamente istruito nella greca e nella latina favel-la, e anche nelle Divine Scritture non mediocrementeversato". Aggiugne che nell'una e nell'altra lingua aveascritte alcune eccellenti operette di diversi argomenti, eche tra esse eran solamente giunti a sua notizia un librodel metodo di favellare, un altro, de' vocaboli della lin-gua latina, e varie lettere, e conchiude dicendo che fiorìa' tempi di Arrigo VI l'an. 1200. Nel che però il Tritemioprese certamente errore, come ora vedremo. L'unicaopera che ci sia rimasta di Papia, è il suo Vocabolario, o,come egli l'intitolò, Elementario ch'è in somma un Les-sico delle voci latine, imperfetto al certo e mancante, e acui non convien sempre prestare una troppo cieca cre-denza, ma assai pregevole nondimeno, sì perchè ei fuuno de' primi che, innanzi al risorgimento delle lettere atal lavoro si accingessero, sì perchè molte utili osserva-zioni vi s'incontrano, che in vano cercherebbonsi pressoaltri autori. Egli il pubblicò l'an. 1053, come abbiamnella Cronaca d'Alberico monaco pubblicati dal Leibni-zio (Access. hist. t. 2 ad h. an.), o a meglio dire, comequesto scrittore prova chiaramente dalle parole stesse diPapia. Egli il compose singolarmente a uso de' suoi pro-prj figliuoli, e ad essi perciò indirizzollo con una letterache si vede premessa alle edizioni di questo libro, e par-

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bardo (Hist. eccl. l. 21, c. 18, t. 11 Script. rer. ital.), e si-milmente il Tritemio lo chiama generalmente lombardo(De Script. eccl. c. 414); e quindi formandone un ma-gnifico elogio, dice ch'egli era "uomo nelle secolari let-tere eruditissimo, il più famoso gramatico de' suoi tem-pi, perfettamente istruito nella greca e nella latina favel-la, e anche nelle Divine Scritture non mediocrementeversato". Aggiugne che nell'una e nell'altra lingua aveascritte alcune eccellenti operette di diversi argomenti, eche tra esse eran solamente giunti a sua notizia un librodel metodo di favellare, un altro, de' vocaboli della lin-gua latina, e varie lettere, e conchiude dicendo che fiorìa' tempi di Arrigo VI l'an. 1200. Nel che però il Tritemioprese certamente errore, come ora vedremo. L'unicaopera che ci sia rimasta di Papia, è il suo Vocabolario, o,come egli l'intitolò, Elementario ch'è in somma un Les-sico delle voci latine, imperfetto al certo e mancante, e acui non convien sempre prestare una troppo cieca cre-denza, ma assai pregevole nondimeno, sì perchè ei fuuno de' primi che, innanzi al risorgimento delle lettere atal lavoro si accingessero, sì perchè molte utili osserva-zioni vi s'incontrano, che in vano cercherebbonsi pressoaltri autori. Egli il pubblicò l'an. 1053, come abbiamnella Cronaca d'Alberico monaco pubblicati dal Leibni-zio (Access. hist. t. 2 ad h. an.), o a meglio dire, comequesto scrittore prova chiaramente dalle parole stesse diPapia. Egli il compose singolarmente a uso de' suoi pro-prj figliuoli, e ad essi perciò indirizzollo con una letterache si vede premessa alle edizioni di questo libro, e par-

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te della quale riportasi dal Fabricio (Bibl. lat. t. 2, p.464). Da alcuni versi premessi a un antico codice mano-scritto di questo Lessico, che sono stati pubblicatidall'Oudin (De Script. eccl. t. 2, p. 621), raccogliesi chea compitarlo egli impiegò dieci anni. Esso fu pubblicatola prima volta in Milano l'an. 1476 (Saxius Hist. typ.mediol. p. 565), e dopo questa altre posteriori edizionine abbiamo avute, benchè i più copiosi e più esatti lessi-ci che sonosi dappoi dati dalla luce, abbian fatti dimenti-care gli antichi. Or che Papia fosse assai bene istruitonella greca lingua, ciò che da noi deesi singolarmenteosservare, oltre la testimonianza del Tritemio, ne abbia-mo una certa pruova nel suo medesimo Vocabolario, oveall'occasione ei reca e parole e versi greci, come dimo-stra il sopraccitato monsig. Grandenigo (Rag. ec. c. 6).

IV. Perizia ancor maggiore nella linguagreca dovea avere Burgondio pisano, ilquale, benchè esercitasse la professione digiureconsulto, maggior fama però acqui-stossi nella greca letteratura. Da un passo

di Giovanni diacono veronese vissuto nel XIV secolo ilch. monsig. Mansi ebbe qualche sospetto (Fabr. Bibl.lat. med. et inf. aet. t. 1, p. 305) che l'età di Burgondiodovesse fissarsi non al XII secolo, come si è creduto fi-nora, ma al XIII. Troppi sono però gli autentici docu-menti a difesa della comune opinione, perchè le paroledi un antico scrittore, che facilmente ancora poteron es-

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E Burgondio pisano tra-duttore di molte opere del greco.

te della quale riportasi dal Fabricio (Bibl. lat. t. 2, p.464). Da alcuni versi premessi a un antico codice mano-scritto di questo Lessico, che sono stati pubblicatidall'Oudin (De Script. eccl. t. 2, p. 621), raccogliesi chea compitarlo egli impiegò dieci anni. Esso fu pubblicatola prima volta in Milano l'an. 1476 (Saxius Hist. typ.mediol. p. 565), e dopo questa altre posteriori edizionine abbiamo avute, benchè i più copiosi e più esatti lessi-ci che sonosi dappoi dati dalla luce, abbian fatti dimenti-care gli antichi. Or che Papia fosse assai bene istruitonella greca lingua, ciò che da noi deesi singolarmenteosservare, oltre la testimonianza del Tritemio, ne abbia-mo una certa pruova nel suo medesimo Vocabolario, oveall'occasione ei reca e parole e versi greci, come dimo-stra il sopraccitato monsig. Grandenigo (Rag. ec. c. 6).

IV. Perizia ancor maggiore nella linguagreca dovea avere Burgondio pisano, ilquale, benchè esercitasse la professione digiureconsulto, maggior fama però acqui-stossi nella greca letteratura. Da un passo

di Giovanni diacono veronese vissuto nel XIV secolo ilch. monsig. Mansi ebbe qualche sospetto (Fabr. Bibl.lat. med. et inf. aet. t. 1, p. 305) che l'età di Burgondiodovesse fissarsi non al XII secolo, come si è creduto fi-nora, ma al XIII. Troppi sono però gli autentici docu-menti a difesa della comune opinione, perchè le paroledi un antico scrittore, che facilmente ancora poteron es-

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E Burgondio pisano tra-duttore di molte opere del greco.

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ser guaste, debbano aver forza a distruggerla. Oltre uncodice di un libro attribuito a s. Gregorio nisseno, e dalBurgondio recato in latino, in cui dicesi ch'esso fu da luitradotto l'an. 1160, del qual codice favella l'erudito Pi-gnoria (ep. 39 ad Jo. Bonifacium); egli vedesi nominatoin due carte dell'an. 1146, e in un'altra del 1152, accen-nate dopo altri dal cav. Flaminio dal Borgo nella dottis-sima sua dissertazione sull'Origine dell'Università pisa-na (p. 86, ec.). Ma soprattutto noi il veggiamo in qualitàdi giudice de' Pisani insieme con Alberto lor console econ Marco conte inviato dalla sua patria a Costantinopo-li l'an. 1172 per confermare coll'imp. Manuello Comne-no i capitoli di vicendevole alleanza già stabiliti. "Adnostram Serenitatem" dice l'imp. Manuello nel suo di-ploma (Dal Borgo Racc. di Docum. pisani p. 135) "Le-gati ad hujusmodi terra equidem pervenerunt. prudentis-simus videlicet Consul hujusmodi terrae Albertus etcum co Judex Burgundius, et Comes Marcus". Di questaambasciata parla sotto quest'anno medesimo la Cronacadi Pisa pubblicata dopo l'Ughelli dal Muratori (Script.rer. ital. t. 6, p. 186), e ne ragiona lo stesso Burgondionel prologo, premesso alla sua traduzione dell'Omelie dis. Giovanni Grisostomo sul Vangelo di s. Giovanni(Martene Collect. vet. Script. t. 1, p. 828), in cui raccon-ta che essendo per affari di Pisa sua patria andato amba-sciadore a Costantinopoli, ed avendo ivi perduto permorte un suo figlio detto Ugolino, per recargli suffragiocon qualche opera di pietà, avea determinato di accin-gersi a tal versione, dacchè, ei dice, io avea già per

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ser guaste, debbano aver forza a distruggerla. Oltre uncodice di un libro attribuito a s. Gregorio nisseno, e dalBurgondio recato in latino, in cui dicesi ch'esso fu da luitradotto l'an. 1160, del qual codice favella l'erudito Pi-gnoria (ep. 39 ad Jo. Bonifacium); egli vedesi nominatoin due carte dell'an. 1146, e in un'altra del 1152, accen-nate dopo altri dal cav. Flaminio dal Borgo nella dottis-sima sua dissertazione sull'Origine dell'Università pisa-na (p. 86, ec.). Ma soprattutto noi il veggiamo in qualitàdi giudice de' Pisani insieme con Alberto lor console econ Marco conte inviato dalla sua patria a Costantinopo-li l'an. 1172 per confermare coll'imp. Manuello Comne-no i capitoli di vicendevole alleanza già stabiliti. "Adnostram Serenitatem" dice l'imp. Manuello nel suo di-ploma (Dal Borgo Racc. di Docum. pisani p. 135) "Le-gati ad hujusmodi terra equidem pervenerunt. prudentis-simus videlicet Consul hujusmodi terrae Albertus etcum co Judex Burgundius, et Comes Marcus". Di questaambasciata parla sotto quest'anno medesimo la Cronacadi Pisa pubblicata dopo l'Ughelli dal Muratori (Script.rer. ital. t. 6, p. 186), e ne ragiona lo stesso Burgondionel prologo, premesso alla sua traduzione dell'Omelie dis. Giovanni Grisostomo sul Vangelo di s. Giovanni(Martene Collect. vet. Script. t. 1, p. 828), in cui raccon-ta che essendo per affari di Pisa sua patria andato amba-sciadore a Costantinopoli, ed avendo ivi perduto permorte un suo figlio detto Ugolino, per recargli suffragiocon qualche opera di pietà, avea determinato di accin-gersi a tal versione, dacchè, ei dice, io avea già per

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l'addietro offerta al pontef. Eugenio III la traduzionedelle Omelie del medesimo santo sul Vangelo di s. Mat-teo. Quindi soggiugne che non avendo per la moltiplici-tà degli affari potuto ivi condurre a esecuzione il suo di-segno, nel suo ritorno giunto a Messina cominciò a reca-re quelle Omelie di greco in latino, e continuando ilviaggio continuò pure e trasse a fine la traduzione.Dall'epitaffio, di cui oror parleremo, raccogliesi ancorach'egli avea tradotte le Omelie di s. Gio. Grisostomo sule Lettere di s. Paolo. Inoltre egli recò dal greco in latinol'opera della Fede Ortodossa di s. Giovanni damascenocon alcuni altri opuscoli del medesimo. Delle quali e dialcune altre versioni, e de' codici manoscritti che ancorce ne restano, veggasi l'Oudin (De Script. eccl. t. 2, p.1296), il Fabricio (Bibl. lat. med. et inf. aet. t. 1, p. 304),il cav. dal Borgo (Orig. dell'Univ. pisana p. 87), monsig.Gradenigo (l. c. c. 7), il co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t.2, par. 2, p. 1768) e il ch. ab. Lorenzo Mehus (Vit.Ambr. Camald. p. 217). Tra queste versioni fatte dal gre-co per opera di Burgondio essi annoverano ancora dueopere di Galeno, cioè il trattato del Governo della sani-tà, e quello degli Alimenti. Ma oltre queste assai più al-tre ancora egli ne recò in latino, ch'essi non han ram-mentato, e che conservansi nella biblioteca del re diFrancia; cioè il libro delle Sette de' Medici, i quattro li-bri delle Differenze de' polsi, e i quattordici libridell'Arte del medicare, e parte ancora de' libri detti de'Sanativi (Cat. MSS. Bibl. reg. paris. t. 4, n. 6865, 6867).Anzi parlando in questo libro medesimo della medicina,

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l'addietro offerta al pontef. Eugenio III la traduzionedelle Omelie del medesimo santo sul Vangelo di s. Mat-teo. Quindi soggiugne che non avendo per la moltiplici-tà degli affari potuto ivi condurre a esecuzione il suo di-segno, nel suo ritorno giunto a Messina cominciò a reca-re quelle Omelie di greco in latino, e continuando ilviaggio continuò pure e trasse a fine la traduzione.Dall'epitaffio, di cui oror parleremo, raccogliesi ancorach'egli avea tradotte le Omelie di s. Gio. Grisostomo sule Lettere di s. Paolo. Inoltre egli recò dal greco in latinol'opera della Fede Ortodossa di s. Giovanni damascenocon alcuni altri opuscoli del medesimo. Delle quali e dialcune altre versioni, e de' codici manoscritti che ancorce ne restano, veggasi l'Oudin (De Script. eccl. t. 2, p.1296), il Fabricio (Bibl. lat. med. et inf. aet. t. 1, p. 304),il cav. dal Borgo (Orig. dell'Univ. pisana p. 87), monsig.Gradenigo (l. c. c. 7), il co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t.2, par. 2, p. 1768) e il ch. ab. Lorenzo Mehus (Vit.Ambr. Camald. p. 217). Tra queste versioni fatte dal gre-co per opera di Burgondio essi annoverano ancora dueopere di Galeno, cioè il trattato del Governo della sani-tà, e quello degli Alimenti. Ma oltre queste assai più al-tre ancora egli ne recò in latino, ch'essi non han ram-mentato, e che conservansi nella biblioteca del re diFrancia; cioè il libro delle Sette de' Medici, i quattro li-bri delle Differenze de' polsi, e i quattordici libridell'Arte del medicare, e parte ancora de' libri detti de'Sanativi (Cat. MSS. Bibl. reg. paris. t. 4, n. 6865, 6867).Anzi parlando in questo libro medesimo della medicina,

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vedremo ch'egli avea tradotti ancora gli Aforismid'Ippocrate, e che la traduzion da lui fattane era migliordi quella che nel secolo precedente n'avea fatta il mona-co Costantino africano. Finalmente tradusse ancoral'opera attribuita a s. Gregorio nisseno, ma veramente diNemesio, sulla Natura dell'uomo, che abbiamo allestampe, benchè poscia corretta da altri (Oudin. l. c.), eun libro intitolato Vindemiae, cui afferma di aver vedutomanoscritto il sudetto Pignoria (l. c.). Il libro attribuito as. Gregorio nisseno fu da lui dedicato all'imp. FederigoBarbarossa, e il prologo pubblicato dal p. Martene (Col.vet. Script. t. 1, p. 827) ha questo titolo: "Invictissimo etgloriosissimo Domino Federigo Dei gratia RomanorumImperatori et Caesari semper Augusto Burgundio Judexnatione Pisanus felicitatem et de inimicis triumphum".

V. Queste traduzioni di diverse opere sacrefatte da Burgondio ci mostrano che anchenelle scienze ecclesiastiche egli era proba-bilmente ben istruito; e due altre pruovene abbiamo ancor meno dubbiose. La pri-

ma si è l'assister ch'ei fece alla conferenza tenutasi inCostantinopoli intorno agli errori de' Greci da Anselmovescovo di Avelberga e poi arcivescovo di Ravenna spe-dito colà suo ambasciadore dall'imp. Lottario II co' piùdotti di quella nazione. Abbiamo ancora la relazione chequesti ne scrisse al pontef. Eugenio III (Dacher. Spicil.t. 1 nov. ed. p. 161), in cui parlando di color tra' Latini

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Questi era an-cor molto versato nelle scienze sacre.

vedremo ch'egli avea tradotti ancora gli Aforismid'Ippocrate, e che la traduzion da lui fattane era migliordi quella che nel secolo precedente n'avea fatta il mona-co Costantino africano. Finalmente tradusse ancoral'opera attribuita a s. Gregorio nisseno, ma veramente diNemesio, sulla Natura dell'uomo, che abbiamo allestampe, benchè poscia corretta da altri (Oudin. l. c.), eun libro intitolato Vindemiae, cui afferma di aver vedutomanoscritto il sudetto Pignoria (l. c.). Il libro attribuito as. Gregorio nisseno fu da lui dedicato all'imp. FederigoBarbarossa, e il prologo pubblicato dal p. Martene (Col.vet. Script. t. 1, p. 827) ha questo titolo: "Invictissimo etgloriosissimo Domino Federigo Dei gratia RomanorumImperatori et Caesari semper Augusto Burgundio Judexnatione Pisanus felicitatem et de inimicis triumphum".

V. Queste traduzioni di diverse opere sacrefatte da Burgondio ci mostrano che anchenelle scienze ecclesiastiche egli era proba-bilmente ben istruito; e due altre pruovene abbiamo ancor meno dubbiose. La pri-

ma si è l'assister ch'ei fece alla conferenza tenutasi inCostantinopoli intorno agli errori de' Greci da Anselmovescovo di Avelberga e poi arcivescovo di Ravenna spe-dito colà suo ambasciadore dall'imp. Lottario II co' piùdotti di quella nazione. Abbiamo ancora la relazione chequesti ne scrisse al pontef. Eugenio III (Dacher. Spicil.t. 1 nov. ed. p. 161), in cui parlando di color tra' Latini

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Questi era an-cor molto versato nelle scienze sacre.

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che vi erano intervenuti, tre Italiani nomina singolar-mente, come i più dotti fra gli altri: "Aderant quoquenon pauci Latini, inter quos fuerunt tres viri sapientes inutraque lingua periti et literarum doctissimi, Jacobus no-mine, veneticus natione, Burgundio nomine, pisanus na-tione; tertius inter alios praecipuus, graecarum et latina-rum literarum doctrina apud utramque gentem clarissi-mus, Moyses nomine, italus natione, ex civitate Perga-mo: iste ab universis electus est, ut utrinque fidus inter-pres esset" (l. 2, c. 1). Di Jacopo veneziano diremo neltomo seguente. Di Mosè da Bergamo dovrem parlare inquesto capo medesimo. Questi due adunque insiem conBurgondio intervennero, ed ebber parte alla conferenzamentovata poc'anzi; e il passo qui riferito ci fa vederequal concetto aveasi di questi tre valentuomini. L'altracelebre adunanza, a cui fu presente Burgondio, fu ilConcilio tenuto in Roma l'an. 1179, come dimostra ilMuratori (Ann. d'Ital. ad h. an.) e non nel 1180, comealtri scrissero. Roberto del Monte, scrittor quasi contem-poraneo a Burgondio, dice (in Chron. ap. Pistor. Script.rer. germ. t. 1) che tra gli altri andovvi questo celebregiureconsulto. "Inter quos vixit quidam civis pisanusnomine Burgundio peritus tam graecae quam latinaeeloquentiae; e aggiugne, ch'egli recovvi il Vangelo di s.Giovanni da lui tradotto dal greco, cui s. Giovanni Gri-sostomo avea colle sue Omelie esposto" colle quali, pa-role sembra indicare la traduzione delle Omelie di s.Gio. Grisostomo, di cui abbiam poc'anzi parlato, e cheaffermò di avere ancora tradotta in gran parte la Gene-

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che vi erano intervenuti, tre Italiani nomina singolar-mente, come i più dotti fra gli altri: "Aderant quoquenon pauci Latini, inter quos fuerunt tres viri sapientes inutraque lingua periti et literarum doctissimi, Jacobus no-mine, veneticus natione, Burgundio nomine, pisanus na-tione; tertius inter alios praecipuus, graecarum et latina-rum literarum doctrina apud utramque gentem clarissi-mus, Moyses nomine, italus natione, ex civitate Perga-mo: iste ab universis electus est, ut utrinque fidus inter-pres esset" (l. 2, c. 1). Di Jacopo veneziano diremo neltomo seguente. Di Mosè da Bergamo dovrem parlare inquesto capo medesimo. Questi due adunque insiem conBurgondio intervennero, ed ebber parte alla conferenzamentovata poc'anzi; e il passo qui riferito ci fa vederequal concetto aveasi di questi tre valentuomini. L'altracelebre adunanza, a cui fu presente Burgondio, fu ilConcilio tenuto in Roma l'an. 1179, come dimostra ilMuratori (Ann. d'Ital. ad h. an.) e non nel 1180, comealtri scrissero. Roberto del Monte, scrittor quasi contem-poraneo a Burgondio, dice (in Chron. ap. Pistor. Script.rer. germ. t. 1) che tra gli altri andovvi questo celebregiureconsulto. "Inter quos vixit quidam civis pisanusnomine Burgundio peritus tam graecae quam latinaeeloquentiae; e aggiugne, ch'egli recovvi il Vangelo di s.Giovanni da lui tradotto dal greco, cui s. Giovanni Gri-sostomo avea colle sue Omelie esposto" colle quali, pa-role sembra indicare la traduzione delle Omelie di s.Gio. Grisostomo, di cui abbiam poc'anzi parlato, e cheaffermò di avere ancora tradotta in gran parte la Gene-

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si, ossia le Omelie del medesimo santo sul detto libro.Morì Burgondio l'anno 1194 a' 30 d'ottobre, e vedesi an-cora in Pisa l'onorevole epitaffio in versi, di cui ne fu or-nato il sepolcro. Io lascio di qui riportarlo, perchè si puòvedere presso il Fabricio e presso il cav. dal Borgo (l.c.), il quale però, e a ragione, si duole che l'arca marmo-rea in cui fu sepolto questo grand'uomo nel tempio di s.Paolo a Ripa d'Arno sia stata poi trasportata fuor daltempio medesimo e abbandonata alle piogge ed a' venti.

VI. Di eloquenza non ci si offre ancora sag-gio, o esempio di sorta alcuna, se se ne trag-gono i sermoni e le omelie di alcuni di quel-li de' quali abbiamo parlato nel capo secon-do, e che non sono comunemente un troppoperfetto modello di ben ragionare. Ancorchè

i vescovi e gli altri sacri ministri che favellavano al po-polo, fosser uomini dotti, come nondimeno il popolo eracomunemente rozzo ed incolto, conveniva loro, seppurvolevano essere intesi, rendersi in certo modo rozzi edincolti, e adattarsi al pensare e al ragionare de' loro udi-tori. Altre occasioni di far pompa di eloquenza non sipresentavano; perciocchè il perorare nel foro, o innanzia' giudici non era molto in uso; e se in alcune città usa-vasi pure di trattare le cause per mezzo di avvocati cheperorassero, questi valevansi della scienza legale, anzi-chè dell'eloquenza, e giaceasi però quest'arte dimentica-ta quasi interamente e negletta. Sorte meno infelice ebbe

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Di eloquen-za non si haalcun sag-gio degno di memo-ria.

si, ossia le Omelie del medesimo santo sul detto libro.Morì Burgondio l'anno 1194 a' 30 d'ottobre, e vedesi an-cora in Pisa l'onorevole epitaffio in versi, di cui ne fu or-nato il sepolcro. Io lascio di qui riportarlo, perchè si puòvedere presso il Fabricio e presso il cav. dal Borgo (l.c.), il quale però, e a ragione, si duole che l'arca marmo-rea in cui fu sepolto questo grand'uomo nel tempio di s.Paolo a Ripa d'Arno sia stata poi trasportata fuor daltempio medesimo e abbandonata alle piogge ed a' venti.

VI. Di eloquenza non ci si offre ancora sag-gio, o esempio di sorta alcuna, se se ne trag-gono i sermoni e le omelie di alcuni di quel-li de' quali abbiamo parlato nel capo secon-do, e che non sono comunemente un troppoperfetto modello di ben ragionare. Ancorchè

i vescovi e gli altri sacri ministri che favellavano al po-polo, fosser uomini dotti, come nondimeno il popolo eracomunemente rozzo ed incolto, conveniva loro, seppurvolevano essere intesi, rendersi in certo modo rozzi edincolti, e adattarsi al pensare e al ragionare de' loro udi-tori. Altre occasioni di far pompa di eloquenza non sipresentavano; perciocchè il perorare nel foro, o innanzia' giudici non era molto in uso; e se in alcune città usa-vasi pure di trattare le cause per mezzo di avvocati cheperorassero, questi valevansi della scienza legale, anzi-chè dell'eloquenza, e giaceasi però quest'arte dimentica-ta quasi interamente e negletta. Sorte meno infelice ebbe

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Di eloquen-za non si haalcun sag-gio degno di memo-ria.

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la poesia, poichè se non vi furon leggiadri ed elegantipoeti, furon nondimeno a quest'epoca molti, e tra essi al-cuni non del tutto barbari verseggiatori. "Allor quandoFederigo I, venuto in Italia l'anno 1158, tenne la solenneassemblea in Roncaglia nel piacentino, racconta Radevi-co canonico di Frisinga, che alcuni poeti vi si trovarono,i quali presero a celebrare co' loro versi le azionidell'imperadore: "Fuere etiam, qui ibidem in publicofacta imperatoris carminibus favorabilibus celebrarent"(Script. rer. ital. t. 6, col. 786). Ma non sappiamo chifosser questi poeti; e probabilmente non dobbiamo do-lerci che coteste lor poesie non siano a noi pervenute". Imonaci che in questa furono i più indefessi coltivatori ditutti gli studj, a questo ancor si rivolsero, e noi comince-remo ad annoverare alcuni di loro, de' quali o ci sono ri-maste le poesie, o almen sappiamo che in esse si eserci-tarono.

VII. Molte poesie di Alfano prima monacocasinese e poi arcivescovo di Salerno dal1057 fino al 1085 si rammentano da Pietrodiacono (Da Vir. ill. c. 19), e ne abbiamo an-cora parecchie date alla luce dall'Ughelli(Ital. sacra t. 10 Colet. ed.), dal Mabillon

(Acta SS. Ord. s. Bened. t. 1) dal card. Baronio (Ann.eccl. ad an. 1111) e da altri, oltre molte che ancor ri-mangono manoscritte; delle quali e di altre opere dellostesso Alfano, oltre Pietro diacono, si posson vedere il

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Molti mo-naci casine-si lodati al-lora comevalorosipoeti.

la poesia, poichè se non vi furon leggiadri ed elegantipoeti, furon nondimeno a quest'epoca molti, e tra essi al-cuni non del tutto barbari verseggiatori. "Allor quandoFederigo I, venuto in Italia l'anno 1158, tenne la solenneassemblea in Roncaglia nel piacentino, racconta Radevi-co canonico di Frisinga, che alcuni poeti vi si trovarono,i quali presero a celebrare co' loro versi le azionidell'imperadore: "Fuere etiam, qui ibidem in publicofacta imperatoris carminibus favorabilibus celebrarent"(Script. rer. ital. t. 6, col. 786). Ma non sappiamo chifosser questi poeti; e probabilmente non dobbiamo do-lerci che coteste lor poesie non siano a noi pervenute". Imonaci che in questa furono i più indefessi coltivatori ditutti gli studj, a questo ancor si rivolsero, e noi comince-remo ad annoverare alcuni di loro, de' quali o ci sono ri-maste le poesie, o almen sappiamo che in esse si eserci-tarono.

VII. Molte poesie di Alfano prima monacocasinese e poi arcivescovo di Salerno dal1057 fino al 1085 si rammentano da Pietrodiacono (Da Vir. ill. c. 19), e ne abbiamo an-cora parecchie date alla luce dall'Ughelli(Ital. sacra t. 10 Colet. ed.), dal Mabillon

(Acta SS. Ord. s. Bened. t. 1) dal card. Baronio (Ann.eccl. ad an. 1111) e da altri, oltre molte che ancor ri-mangono manoscritte; delle quali e di altre opere dellostesso Alfano, oltre Pietro diacono, si posson vedere il

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Molti mo-naci casine-si lodati al-lora comevalorosipoeti.

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Fabricio (Bibl. lat. med. et inf. aet. t. 1, p. 70) e il co.Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 1, p. 473), i quali però sag-giamente distinguono due Alfani amendue arcivescovidi Salerno, uno di cui abbiam or favellato, l'altro che glisuccedette, e tenne quella sede fino all'anno 1121, e acui si debbono attribuire alcune delle poesie che traquelle del primo Alfano si veggono pubblicate. Verseg-giatore ammirabile dicesi da Pietro diacono (c. 20)Amato monaco egli pur casinese, e poscia vescovo nonsi sa di qual chiesa, e ne rammenta quattro libri di versiin lode de' ss. apostoli Pietro e Paolo, da lui mandati aGregorio VII, e alcune altre poesie. Noi soffrirem dibuon animo la perdita che di essi si è fatta (18), poichècrediamo che que' versi non fosser poi cotanto ammira-bili, come sembravano a Pietro diacono; ma s'egli èvero, come sembra accennare il can. Mari (in not. ad h.l.), che nella biblioteca di Monte Casino trovisi ancormanoscritta una Storia de' Normanni in otto libri, ch'egli

18 Ho detto seguendo la Comune Opinione, che il poema del monaco Amatoin lode de' ss. Pietro e Paolo si è smarrito. Ma il soprallodato p. Trombellipossedeva un antichissimo codice in cui contiensi il poema di Amato inlode di s. Pietro: esso ha per titolo: Liber Amati Monachi Cassinensis de-stinatus ad Domuum Gregorium Papam in honore Beati Petri Apostoli. In-cipit Praefatio ejusdem libri. Rechiam per saggio i versi di questa breveprefazione.

Agnus adest, cuncti qui tollit crimina mundi,Protinus Andreas quem post crucifixit EgeasProsequitur, tandem lucem transegit; eundemCum Christi fratri post curat notificari.Attrahit hunc secum valeat quo cernere Jesum;Hunc Deus ut vidit Simonem quem nomine scivitNomea mutavit, quem Cepham ipse vocavit.

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Fabricio (Bibl. lat. med. et inf. aet. t. 1, p. 70) e il co.Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 1, p. 473), i quali però sag-giamente distinguono due Alfani amendue arcivescovidi Salerno, uno di cui abbiam or favellato, l'altro che glisuccedette, e tenne quella sede fino all'anno 1121, e acui si debbono attribuire alcune delle poesie che traquelle del primo Alfano si veggono pubblicate. Verseg-giatore ammirabile dicesi da Pietro diacono (c. 20)Amato monaco egli pur casinese, e poscia vescovo nonsi sa di qual chiesa, e ne rammenta quattro libri di versiin lode de' ss. apostoli Pietro e Paolo, da lui mandati aGregorio VII, e alcune altre poesie. Noi soffrirem dibuon animo la perdita che di essi si è fatta (18), poichècrediamo che que' versi non fosser poi cotanto ammira-bili, come sembravano a Pietro diacono; ma s'egli èvero, come sembra accennare il can. Mari (in not. ad h.l.), che nella biblioteca di Monte Casino trovisi ancormanoscritta una Storia de' Normanni in otto libri, ch'egli

18 Ho detto seguendo la Comune Opinione, che il poema del monaco Amatoin lode de' ss. Pietro e Paolo si è smarrito. Ma il soprallodato p. Trombellipossedeva un antichissimo codice in cui contiensi il poema di Amato inlode di s. Pietro: esso ha per titolo: Liber Amati Monachi Cassinensis de-stinatus ad Domuum Gregorium Papam in honore Beati Petri Apostoli. In-cipit Praefatio ejusdem libri. Rechiam per saggio i versi di questa breveprefazione.

Agnus adest, cuncti qui tollit crimina mundi,Protinus Andreas quem post crucifixit EgeasProsequitur, tandem lucem transegit; eundemCum Christi fratri post curat notificari.Attrahit hunc secum valeat quo cernere Jesum;Hunc Deus ut vidit Simonem quem nomine scivitNomea mutavit, quem Cepham ipse vocavit.

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avea composta, noi non possiamo non desiderar calda-mente ch'essa venga alla luce. Non è gran danno che siperdano le poesie, qualunque esse siano; poichè tal per-dita si può riparar facilmente; ma una Storia, ancorchèscritta senza eleganza, ci può dare troppo bei lumi, per-chè non dobbiamo bramare di vederla un dì pubblicata(19). Lo stesso titolo di verseggiatore ammirabile, che do-vea allora darsi a buon prezzo, si concede da Pietro dia-cono all'abate Oderisio primo di questo nome (ib. c. 28).Anche quell'Alberico teologo illustre, di cui abbiam ra-gionato nel primo capo, avea fatto dei versi (ib. c. 21),probabilmente ammirabili anch'essi, come gli altri so-praccennati. Ma tali certamente erano, secondo lo stessoautore (ib. c. 33), que' di Gregorio prima monaco casi-nese e poi vescovo di Sinuessa verso il 1120, e que' diLandenolfo, i quali piacquer per modo all'abate Deside-rio, poscia papa col nome di Vittore III, ch'egli il fecescrivere all'intorno del Capitolo e del chiostro del mona-stero medesimo di Monte Casino (ib. c. 41), e molto piùquelli di Rainaldo, suddiacono "uomo nall'arte di ver-seggiare degno di essere in ogni cosa paragonato agliantichi (ib. c. 44), di cui sono, per testimonio del can.Mari (in not. ad h. l.), alcuni Inni nel Breviario benedet-tino. Altri per somigliante maniera valorosi poeti si ram-mentano da Pietro diacono; anzi appena vi è alcuno de'monaci casinesi di questi tempi, di cui egli ragioni, e di

19 La Storia di Amato qui indicata or più non travasi nel monastero di MonteCasino, come ha osservato l'eruditissimo p. d'Afflitto (Mem. degli Scritt.napol. T. I. pag. 272, ec.).

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avea composta, noi non possiamo non desiderar calda-mente ch'essa venga alla luce. Non è gran danno che siperdano le poesie, qualunque esse siano; poichè tal per-dita si può riparar facilmente; ma una Storia, ancorchèscritta senza eleganza, ci può dare troppo bei lumi, per-chè non dobbiamo bramare di vederla un dì pubblicata(19). Lo stesso titolo di verseggiatore ammirabile, che do-vea allora darsi a buon prezzo, si concede da Pietro dia-cono all'abate Oderisio primo di questo nome (ib. c. 28).Anche quell'Alberico teologo illustre, di cui abbiam ra-gionato nel primo capo, avea fatto dei versi (ib. c. 21),probabilmente ammirabili anch'essi, come gli altri so-praccennati. Ma tali certamente erano, secondo lo stessoautore (ib. c. 33), que' di Gregorio prima monaco casi-nese e poi vescovo di Sinuessa verso il 1120, e que' diLandenolfo, i quali piacquer per modo all'abate Deside-rio, poscia papa col nome di Vittore III, ch'egli il fecescrivere all'intorno del Capitolo e del chiostro del mona-stero medesimo di Monte Casino (ib. c. 41), e molto piùquelli di Rainaldo, suddiacono "uomo nall'arte di ver-seggiare degno di essere in ogni cosa paragonato agliantichi (ib. c. 44), di cui sono, per testimonio del can.Mari (in not. ad h. l.), alcuni Inni nel Breviario benedet-tino. Altri per somigliante maniera valorosi poeti si ram-mentano da Pietro diacono; anzi appena vi è alcuno de'monaci casinesi di questi tempi, di cui egli ragioni, e di

19 La Storia di Amato qui indicata or più non travasi nel monastero di MonteCasino, come ha osservato l'eruditissimo p. d'Afflitto (Mem. degli Scritt.napol. T. I. pag. 272, ec.).

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cui non rammenti qualche poetico componimento.L'esser poeta era allor cosa facile, perchè bastava farede' versi per ottenere un tal nome. Ma ciò non ostantenoi dobbiamo, come altre volte ho detto, e lodare e rin-graziare ancora questi, qualunque fossero, coltivatoridella poesia, poichè per mezzo loro e sono fino a noigiunte le migliori opere degli antichi poeti, e non è inte-ramente perita quest'arte, sicchè riuscisse poi troppo dif-ficile il ravvivarla.

VIII. Non si ristette però tra 'l silenzio de'chiostri monastici di Monte Casino lo studiodella poesia.; ma altri ancora vi ebbe che adessa si volsero, e taluno con assai maggiorefelicità che non era ad attendersi a que' tem-

pi. Fra essi io nominerò dapprima Guglielmo della Pu-glia, autore di un poema in cinque libri diviso su le im-prese de' Normanni in Italia dalla prima loro discesafino alla morte di Roberto Guiscardo. I Maurini autoridella Storia letteraria di Francia dicono (t. 8, p. 488, ec.)ch'egli ebbe il nome di pugliese, non perchè ei fosse na-tio di quella provincia, ma solo pel lungo soggiorno,ch'egli vi fece, e protestano, che il solo amore di verità liconduce a seguire questa opinione; e si sforzano di arre-care congetture e ragioni colle quali ad essi sembra didimostrare ch'egli era normanno di nascita. Ma che gio-vano anche i più forti argomenti a provare la patria diuno scrittore, se egli stesso ci mostra espressamente il

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Poema di Guglielmo della Pu-glia: notiziedi esso.

cui non rammenti qualche poetico componimento.L'esser poeta era allor cosa facile, perchè bastava farede' versi per ottenere un tal nome. Ma ciò non ostantenoi dobbiamo, come altre volte ho detto, e lodare e rin-graziare ancora questi, qualunque fossero, coltivatoridella poesia, poichè per mezzo loro e sono fino a noigiunte le migliori opere degli antichi poeti, e non è inte-ramente perita quest'arte, sicchè riuscisse poi troppo dif-ficile il ravvivarla.

VIII. Non si ristette però tra 'l silenzio de'chiostri monastici di Monte Casino lo studiodella poesia.; ma altri ancora vi ebbe che adessa si volsero, e taluno con assai maggiorefelicità che non era ad attendersi a que' tem-

pi. Fra essi io nominerò dapprima Guglielmo della Pu-glia, autore di un poema in cinque libri diviso su le im-prese de' Normanni in Italia dalla prima loro discesafino alla morte di Roberto Guiscardo. I Maurini autoridella Storia letteraria di Francia dicono (t. 8, p. 488, ec.)ch'egli ebbe il nome di pugliese, non perchè ei fosse na-tio di quella provincia, ma solo pel lungo soggiorno,ch'egli vi fece, e protestano, che il solo amore di verità liconduce a seguire questa opinione; e si sforzano di arre-care congetture e ragioni colle quali ad essi sembra didimostrare ch'egli era normanno di nascita. Ma che gio-vano anche i più forti argomenti a provare la patria diuno scrittore, se egli stesso ci mostra espressamente il

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Poema di Guglielmo della Pu-glia: notiziedi esso.

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contrario? Or io dico che Guglielmo apertamente ci favedere ch'ei non fu normanno, ma bensì italiano. Udia-mo com'egli spiega l'etimologia della parola Normannial principio del suo poema:

His quando ventus, quem lingua soli genialis North vocat, advexit boreas regionis ad oras A qua digressi fines petiere Latinos: Et Man est apud Hos, homo quod perhibetur apud Nos, Normanni dicuntur, idest homines boreales.

Poteva egli spiegare più chiaramente ch'ei non era nor-manno? Da essi si chiama man ciò che da noi si dicehomo. Chi mai ha usata tal maniera di favellare parlandodella sua nazione? O a dir meglio, qual espressione sipuò trovare che più evidentemente ci mostri che la pa-tria del poeta è diversa dalla patria di quelli di cui ragio-na? Era dunque certamente italiano Guglielmo, ed è ve-risimile che il soprannome di pugliese gli venissedall'esser la Puglia sua patria non che sua stanza. Egli èperò probabile ciò che aggiungono i Maurini, cioèch'egli fosse quel Guglielmo della Puglia, che trovossial Concilio di Bourdeaux l'anno 1096 (Baluz. Miscell. t.2, p. 173), essendo verisimilmente venuto in Franciacon Urbano II. E se essi pensano che ciò basti a riporlonel numero de' loro scrittori, noi ci rallegreremo con essiche possano a sì leggier costo accrescer di molto la Sto-ria della loro Letteratura. Quando ei morisse, non ne ab-biamo nè notizia nè congettura alcuna. Il principio delpoema da lui composto sembra prometterci eleganza a

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contrario? Or io dico che Guglielmo apertamente ci favedere ch'ei non fu normanno, ma bensì italiano. Udia-mo com'egli spiega l'etimologia della parola Normannial principio del suo poema:

His quando ventus, quem lingua soli genialis North vocat, advexit boreas regionis ad oras A qua digressi fines petiere Latinos: Et Man est apud Hos, homo quod perhibetur apud Nos, Normanni dicuntur, idest homines boreales.

Poteva egli spiegare più chiaramente ch'ei non era nor-manno? Da essi si chiama man ciò che da noi si dicehomo. Chi mai ha usata tal maniera di favellare parlandodella sua nazione? O a dir meglio, qual espressione sipuò trovare che più evidentemente ci mostri che la pa-tria del poeta è diversa dalla patria di quelli di cui ragio-na? Era dunque certamente italiano Guglielmo, ed è ve-risimile che il soprannome di pugliese gli venissedall'esser la Puglia sua patria non che sua stanza. Egli èperò probabile ciò che aggiungono i Maurini, cioèch'egli fosse quel Guglielmo della Puglia, che trovossial Concilio di Bourdeaux l'anno 1096 (Baluz. Miscell. t.2, p. 173), essendo verisimilmente venuto in Franciacon Urbano II. E se essi pensano che ciò basti a riporlonel numero de' loro scrittori, noi ci rallegreremo con essiche possano a sì leggier costo accrescer di molto la Sto-ria della loro Letteratura. Quando ei morisse, non ne ab-biamo nè notizia nè congettura alcuna. Il principio delpoema da lui composto sembra prometterci eleganza a

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que' tempi non ordinaria: Gesta ducum veterum veteres cecinere poetae;Aggrediar vates novus edere gesta novorum. Dicere fert animus, quo gens Normannica ductuVenerit Italiam, fuerit quae caussa morandi, Quosve secuta duces Latii sit adepta triumphum.

Ma poscia cade egli ancora ben tosto nell'usata rozzez-za, e pochi versi ci offre che possan leggersi con piace-re. Ei nondimeno dovea lusingarsi di esser poeta diqualche pregio, perciocchè al fin del poema volgendosia Ruggiero figliuol di Roberto, per cui comando avealoscritto, non teme di confrontarsi quasi a Virgilio:

Nostra, Rogere, tibi cognoscis carmina scribi: Mente tibi laeta studuit parere poeta. Semper et auctores hilares meruere datores. Tu duce romano dux dignior Octaviano Sis mihi, quaeso, boni spes, ut fuit ille Maroni.

Questo poema dopo altre edizioni, è stato inserito dalMuratori nella gran raccolta degli Scrittori delle coseitaliane (t. 5, p. 245).

IX. Tre altri poeti di questi tempi medesi-mi nulla più eleganti, e forse ancora più in-colti del precedente, abbiamo nella stessamentovata raccolta. Il primo è Donizoneprete e monaco nel monastero di Canossanel territorio di Reggio, il quale vivendo

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Donizone, l'Anonimo comasco, e Mosè di Ber-gamo: ricer-che su quest'ultimo.

que' tempi non ordinaria: Gesta ducum veterum veteres cecinere poetae;Aggrediar vates novus edere gesta novorum. Dicere fert animus, quo gens Normannica ductuVenerit Italiam, fuerit quae caussa morandi, Quosve secuta duces Latii sit adepta triumphum.

Ma poscia cade egli ancora ben tosto nell'usata rozzez-za, e pochi versi ci offre che possan leggersi con piace-re. Ei nondimeno dovea lusingarsi di esser poeta diqualche pregio, perciocchè al fin del poema volgendosia Ruggiero figliuol di Roberto, per cui comando avealoscritto, non teme di confrontarsi quasi a Virgilio:

Nostra, Rogere, tibi cognoscis carmina scribi: Mente tibi laeta studuit parere poeta. Semper et auctores hilares meruere datores. Tu duce romano dux dignior Octaviano Sis mihi, quaeso, boni spes, ut fuit ille Maroni.

Questo poema dopo altre edizioni, è stato inserito dalMuratori nella gran raccolta degli Scrittori delle coseitaliane (t. 5, p. 245).

IX. Tre altri poeti di questi tempi medesi-mi nulla più eleganti, e forse ancora più in-colti del precedente, abbiamo nella stessamentovata raccolta. Il primo è Donizoneprete e monaco nel monastero di Canossanel territorio di Reggio, il quale vivendo

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Donizone, l'Anonimo comasco, e Mosè di Ber-gamo: ricer-che su quest'ultimo.

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ancora la celebre contessa Matilde, prese a scriverneverseggiando la Vita; e poichè ella morì l'an. 1115, viaggiunse un capo a raccontarne la morte. Di lui veggasila prefazione del Muratori che, come si è detto, dopo al-tre edizioni l'ha di nuovo data alla luce (ib. p. 337), maassai più accresciuta e corretta. Più barbaro ancora è ilsecondo poeta, cioè quegli che ha scritta la Storia dellacrudele e funesta guerra che fu tra' Milanesi e i Coma-schi dall'an. 1118 fino al 1127. Chi egli fosse, non si puòaccertare; e perciò chiamasi col nome di Anonimo co-masco. Certo egli era a que' tempi, e scrisse ciò che aveaegli stesso veduto.

Vera referre volo, quantum queo: falsa tacebo,Quaeque meis oculis vidi, potius reserabo.

Esso è stato per la prima volta pubblicato dal Muratori(ib. p. 401), ed illustrato con assai erudite note dal p.Giuseppe Maria Stampa somasco, de' quali si possonvedere le prefazioni al poema stesso premesse. Il terzo èl'autor del poema delle lodi di Bergamo, pubblicato giàin Bergamo da Mario Mozzi l'anno 1596 insieme collePoesie di Achille suo padre; e poscia più correttamentedato di nuovo alla luce dal medesimo Muratori (ib. p.523). Nella prima edizione se ne fa autore Mosè Mozzidi Bergamo, e vi si premette una sua lettera all'imp. Giu-stiniano II, a cui offre il suo poema con questo titolo:"Splendore justitiae cum majestate Imperiali ac sapien-tia singulari fulgenti D. Justiniano hujus nominis II Im-peratori Constantinopolitano, etc. minimus servorum

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ancora la celebre contessa Matilde, prese a scriverneverseggiando la Vita; e poichè ella morì l'an. 1115, viaggiunse un capo a raccontarne la morte. Di lui veggasila prefazione del Muratori che, come si è detto, dopo al-tre edizioni l'ha di nuovo data alla luce (ib. p. 337), maassai più accresciuta e corretta. Più barbaro ancora è ilsecondo poeta, cioè quegli che ha scritta la Storia dellacrudele e funesta guerra che fu tra' Milanesi e i Coma-schi dall'an. 1118 fino al 1127. Chi egli fosse, non si puòaccertare; e perciò chiamasi col nome di Anonimo co-masco. Certo egli era a que' tempi, e scrisse ciò che aveaegli stesso veduto.

Vera referre volo, quantum queo: falsa tacebo,Quaeque meis oculis vidi, potius reserabo.

Esso è stato per la prima volta pubblicato dal Muratori(ib. p. 401), ed illustrato con assai erudite note dal p.Giuseppe Maria Stampa somasco, de' quali si possonvedere le prefazioni al poema stesso premesse. Il terzo èl'autor del poema delle lodi di Bergamo, pubblicato giàin Bergamo da Mario Mozzi l'anno 1596 insieme collePoesie di Achille suo padre; e poscia più correttamentedato di nuovo alla luce dal medesimo Muratori (ib. p.523). Nella prima edizione se ne fa autore Mosè Mozzidi Bergamo, e vi si premette una sua lettera all'imp. Giu-stiniano II, a cui offre il suo poema con questo titolo:"Splendore justitiae cum majestate Imperiali ac sapien-tia singulari fulgenti D. Justiniano hujus nominis II Im-peratori Constantinopolitano, etc. minimus servorum

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suorum Moyses Mutius Pergamensis devotam servitu-tem et prosperos successus"; dal che sembra provarsiche a' tempi di questo imperadore, cioè al principiodell'VIII secolo, fiorisse Mosè. Anzi egli stesso di ciò ciassicura; perciocchè conchiude il suo poemetto così:

Post septingentos annos septemque peractos Virginis a partu, et populos tibi Marte subactos.

Niuno avea ancora ardito di opporsi a tale opinione. Mail Muratori nel far la nuova edizione di questa operetta,prese a combatterla, e a sostenere che nè lo scrittore diessa era vissuto al sec. VIII, nè apparteneva alla nobile eantica famiglia de' Mozzi. E quanto alla prima quistione,egli ne ha addotte sì chiare pruove, che conviene essercieco per non vederne la forza. Il solo titolo che abbiamdi sopra recato, è tale argomento che non ammette ri-sposta; perciocchè nè lo stile è di que' tempi, nè allora a'nomi de' principi aggiugnevasi il Primo, Secondo, ec; nègli'imperadori dicevansi costantinopolitani, perciocchèessendovi un imperador solo, questi serbava il nomed'imperador de' Romani, de' quali in fatti egli era ancorasovrano. Aggiungasi il magistrato de' dodici, da cui reg-gevasi Bergamo ai tempi dell'autore; il che all'età de'Longobardi non compete in alcuna maniera; e più altrepruove che si potrebbono arrecare, ma che non son ne-cessarie a chi ha punto di lume di buona critica. Atterra-ta questa opinione, il Muratori propone la sua, cioè cheMosè autor di questo poema vivesse nel XII secolo. Egliosserva che parlando il poeta della famiglia de' Mozzi fa

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suorum Moyses Mutius Pergamensis devotam servitu-tem et prosperos successus"; dal che sembra provarsiche a' tempi di questo imperadore, cioè al principiodell'VIII secolo, fiorisse Mosè. Anzi egli stesso di ciò ciassicura; perciocchè conchiude il suo poemetto così:

Post septingentos annos septemque peractos Virginis a partu, et populos tibi Marte subactos.

Niuno avea ancora ardito di opporsi a tale opinione. Mail Muratori nel far la nuova edizione di questa operetta,prese a combatterla, e a sostenere che nè lo scrittore diessa era vissuto al sec. VIII, nè apparteneva alla nobile eantica famiglia de' Mozzi. E quanto alla prima quistione,egli ne ha addotte sì chiare pruove, che conviene essercieco per non vederne la forza. Il solo titolo che abbiamdi sopra recato, è tale argomento che non ammette ri-sposta; perciocchè nè lo stile è di que' tempi, nè allora a'nomi de' principi aggiugnevasi il Primo, Secondo, ec; nègli'imperadori dicevansi costantinopolitani, perciocchèessendovi un imperador solo, questi serbava il nomed'imperador de' Romani, de' quali in fatti egli era ancorasovrano. Aggiungasi il magistrato de' dodici, da cui reg-gevasi Bergamo ai tempi dell'autore; il che all'età de'Longobardi non compete in alcuna maniera; e più altrepruove che si potrebbono arrecare, ma che non son ne-cessarie a chi ha punto di lume di buona critica. Atterra-ta questa opinione, il Muratori propone la sua, cioè cheMosè autor di questo poema vivesse nel XII secolo. Egliosserva che parlando il poeta della famiglia de' Mozzi fa

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onorevol menzione singolarmente di un Ambrogio. Orun Ambrogio della famiglia de' Mozzi fu appunto ve-scovo di Bergamo dall'anno 1112 fino al 1129, e questisembra essere appunto il lodato dal nostro poeta. Lacongettura è ottima a provare che Mosè visse nel XII se-colo. Ma un'altra pruova assai più conchiudente avrebbeil Muratori potuto recarne, s'egli avesse posto mente alpasso di Anselmo vescovo d'Avelberga da noi poc'anzirecato, in cui tra quelli che intervennero alla conferenzatenutasi in Costantinopoli a' tempi di Lottario II, cioè tral'an. 1125 e il 1137, vien da lui nominato un Mosè ber-gamasco, e onorato con questo magnifico elogio: "ter-tius inter alios praecipuus, graecarum et latinarum litera-rum doctrina apud utramque gentem clarissimus, Moy-ses nomine, italus natione, ex civitate Pergamo: iste abuniversis electus est, ut utrinque fidus interpres esset".Possiam noi dubitare che questi non sia appunto il Mosèautore del poemetto di cui trattiamo? E molto più che inun codice ms. di esso veduto dal Muratori in una notaaggiuntavi così si legge: "Dicitur, quod cum quondammagister Moyses pergamensis valens et probus homo inscriptura esset in curia imperatoris constantinopolitani,et laudaret saepe civitatem suam, sicut est mos bonorumcivium, et dominus imperator saepe diceret ei: libenterscirem statum et conditionem illius civitatis; ipse magi-ster Moyses composuit hunc librum ad preces ipsius do-mini imperatoris". Qui non si nomina nè l'imperadore,nè l'anno in cui avvenne tal cosa; ma essendo certo, cheun Mosè bergamasco fu in Costantinopoli a' tempi di

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onorevol menzione singolarmente di un Ambrogio. Orun Ambrogio della famiglia de' Mozzi fu appunto ve-scovo di Bergamo dall'anno 1112 fino al 1129, e questisembra essere appunto il lodato dal nostro poeta. Lacongettura è ottima a provare che Mosè visse nel XII se-colo. Ma un'altra pruova assai più conchiudente avrebbeil Muratori potuto recarne, s'egli avesse posto mente alpasso di Anselmo vescovo d'Avelberga da noi poc'anzirecato, in cui tra quelli che intervennero alla conferenzatenutasi in Costantinopoli a' tempi di Lottario II, cioè tral'an. 1125 e il 1137, vien da lui nominato un Mosè ber-gamasco, e onorato con questo magnifico elogio: "ter-tius inter alios praecipuus, graecarum et latinarum litera-rum doctrina apud utramque gentem clarissimus, Moy-ses nomine, italus natione, ex civitate Pergamo: iste abuniversis electus est, ut utrinque fidus interpres esset".Possiam noi dubitare che questi non sia appunto il Mosèautore del poemetto di cui trattiamo? E molto più che inun codice ms. di esso veduto dal Muratori in una notaaggiuntavi così si legge: "Dicitur, quod cum quondammagister Moyses pergamensis valens et probus homo inscriptura esset in curia imperatoris constantinopolitani,et laudaret saepe civitatem suam, sicut est mos bonorumcivium, et dominus imperator saepe diceret ei: libenterscirem statum et conditionem illius civitatis; ipse magi-ster Moyses composuit hunc librum ad preces ipsius do-mini imperatoris". Qui non si nomina nè l'imperadore,nè l'anno in cui avvenne tal cosa; ma essendo certo, cheun Mosè bergamasco fu in Costantinopoli a' tempi di

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Lottario II, non è egli chiaro che di questo Mosè appun-to deesi intendere la recata nota? In fatti il sig. Ferdinan-do Caccia erudito scrittor bergamasco, il quale l'an.1748 avea pubblicata una sua operetta contro il Murato-ri, in cui erasi sforzato di sostenere l'antica opinione in-torno all'età di Mosè, poichè ebbe veduto l'arrecato testod'Anselmo, con quella sincerità ch'è propria degli uomi-ni dotti, ritrattò il suo parere in un'aggiunta alla stessaoperetta stampata l'an. 1764; anzi a conferma dell'opi-nione del Muratori aggiunse che in un archivio di Ber-gamo conservasi ancora una lettera dello stesso Mosèscritta da Costantinopoli a Pietro suo fratello e propostodella cattedrale nella stessa città di Bergamo (20). Che poiMosè appartenesse alla nobil famiglia de' Mozzi, che inBergamo sussiste e fiorisce ancora, a me pare che dalchiarissimo Muratori si neghi senza bastevole fonda-mento. Il negherei io pure, se credessi che Mosè fossevissuto al secolo ottavo, in cui i cognomi delle famiglienon usavansi ancora; ma nel secolo XII essi già comin-

20 Il sig. Caccia poteva dire più chiaramente che l'accennata lettera si conser-va nell'archivio capitolare di Bergamo; ma poteva anche aggiugnere ciòche avrebbe ultimata la questione intorno al suo cognome, e ciò che ora miobbliga a cambiar sentimento, cioè che in essa egli si dice Mosè del Brolo,e che egli perciò non appartiene alla famiglia dei Mozzi. Sembra che que-sti sia quel Mosè, detto scrittor greco, di cui nella reale biblioteca di Parigiconservasi un opucolo ms. in quo nonnulla s. Hieronymi Epistolae adPaulinum loca explicantur (Cat MSS. Bibl. Reg. paris. vol. 3, cod. 548),che trovasi pure in due codici di Lipsia riferiti dal Fellero (P. 62, 73), epare la stessa operetta che si conserva ancora nella biblioteca di s. Marco,come mi ha avvertito il sig. d. Jacopo Morelli. Questa così comincia:Praeteriere jam plures anni, posteaquam litteris suis me quidam clericusnomine, ec.

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Lottario II, non è egli chiaro che di questo Mosè appun-to deesi intendere la recata nota? In fatti il sig. Ferdinan-do Caccia erudito scrittor bergamasco, il quale l'an.1748 avea pubblicata una sua operetta contro il Murato-ri, in cui erasi sforzato di sostenere l'antica opinione in-torno all'età di Mosè, poichè ebbe veduto l'arrecato testod'Anselmo, con quella sincerità ch'è propria degli uomi-ni dotti, ritrattò il suo parere in un'aggiunta alla stessaoperetta stampata l'an. 1764; anzi a conferma dell'opi-nione del Muratori aggiunse che in un archivio di Ber-gamo conservasi ancora una lettera dello stesso Mosèscritta da Costantinopoli a Pietro suo fratello e propostodella cattedrale nella stessa città di Bergamo (20). Che poiMosè appartenesse alla nobil famiglia de' Mozzi, che inBergamo sussiste e fiorisce ancora, a me pare che dalchiarissimo Muratori si neghi senza bastevole fonda-mento. Il negherei io pure, se credessi che Mosè fossevissuto al secolo ottavo, in cui i cognomi delle famiglienon usavansi ancora; ma nel secolo XII essi già comin-

20 Il sig. Caccia poteva dire più chiaramente che l'accennata lettera si conser-va nell'archivio capitolare di Bergamo; ma poteva anche aggiugnere ciòche avrebbe ultimata la questione intorno al suo cognome, e ciò che ora miobbliga a cambiar sentimento, cioè che in essa egli si dice Mosè del Brolo,e che egli perciò non appartiene alla famiglia dei Mozzi. Sembra che que-sti sia quel Mosè, detto scrittor greco, di cui nella reale biblioteca di Parigiconservasi un opucolo ms. in quo nonnulla s. Hieronymi Epistolae adPaulinum loca explicantur (Cat MSS. Bibl. Reg. paris. vol. 3, cod. 548),che trovasi pure in due codici di Lipsia riferiti dal Fellero (P. 62, 73), epare la stessa operetta che si conserva ancora nella biblioteca di s. Marco,come mi ha avvertito il sig. d. Jacopo Morelli. Questa così comincia:Praeteriere jam plures anni, posteaquam litteris suis me quidam clericusnomine, ec.

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ciano a vedersi. Egli è vero che nel codice dal Muratoriveduto non si legge che il puro nome di Mosè, e chequesti non accenna mai ne' suoi versi di essere di tal fa-miglia. Ma ciò non ostante, le lodi di cui egli onora,come si è detto, il vescovo Ambrogio dei Mozzi, gli elo-gi ch'ei fa di questa famiglia, e la descrizione del Castel-lo di Mozzo, onde questa famiglia trae il suo nome, cisono un assai forte argomento a credere ch'egli fosse ap-punto di questa stessa famiglia, benchè egli espressa-mente nol dica. Certo non si adduce dal Muratori pruovadi sorta alcuna a mostrare che ciò non fosse. Benchèfosse però il nostro Mosè uomo sì dotto, come abbiamveduto poc'anzi, il suo poema, per vero dire, è assai bar-baro e rozzo, e, ciò che più il rende nojoso a leggersi,coi versi rimati l'uno coll'altro all'uso de' Francesi. Magià abbiamo osservato che anche i più dotti uomini diquesta età erano assai mediocri poeti.

X. Il meno incolto fra i poeti di questo tem-po è Lorenzo diacono della chiesa di Pisa, enatio o di Verona, o, come altrove si legge,di un luogo, qualunque egli sia, chiamatoVerna. Viveva egli al principio del XII se-

colo, quando i Pisani intrapresero e condussero felice-mente a fine negli anni 1114 e 1115 la famosa spedizio-ne contro le Isole Baleari, di cui si fecer signori. Questaprese egli a descrivere con un poema diviso in sette li-bri, che per la prima volta fu tratto a luce dall'Ughelli

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Lorenzo diacono pi-sano, e poe-ta.

ciano a vedersi. Egli è vero che nel codice dal Muratoriveduto non si legge che il puro nome di Mosè, e chequesti non accenna mai ne' suoi versi di essere di tal fa-miglia. Ma ciò non ostante, le lodi di cui egli onora,come si è detto, il vescovo Ambrogio dei Mozzi, gli elo-gi ch'ei fa di questa famiglia, e la descrizione del Castel-lo di Mozzo, onde questa famiglia trae il suo nome, cisono un assai forte argomento a credere ch'egli fosse ap-punto di questa stessa famiglia, benchè egli espressa-mente nol dica. Certo non si adduce dal Muratori pruovadi sorta alcuna a mostrare che ciò non fosse. Benchèfosse però il nostro Mosè uomo sì dotto, come abbiamveduto poc'anzi, il suo poema, per vero dire, è assai bar-baro e rozzo, e, ciò che più il rende nojoso a leggersi,coi versi rimati l'uno coll'altro all'uso de' Francesi. Magià abbiamo osservato che anche i più dotti uomini diquesta età erano assai mediocri poeti.

X. Il meno incolto fra i poeti di questo tem-po è Lorenzo diacono della chiesa di Pisa, enatio o di Verona, o, come altrove si legge,di un luogo, qualunque egli sia, chiamatoVerna. Viveva egli al principio del XII se-

colo, quando i Pisani intrapresero e condussero felice-mente a fine negli anni 1114 e 1115 la famosa spedizio-ne contro le Isole Baleari, di cui si fecer signori. Questaprese egli a descrivere con un poema diviso in sette li-bri, che per la prima volta fu tratto a luce dall'Ughelli

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Lorenzo diacono pi-sano, e poe-ta.

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(Ital. sacra t. 10 Colet. ed. p. 127), e poscia pubblicatodi nuovo dal Muratori (Script. rer. ital. t. 6, p. 112). Eglinon è certo un Virgilio; ma è assai migliore degli altripoeti di questa età; e alcuni versi possono sembrar degnidi miglior secolo. Alcuni altri poeti potrei qui rammen-tare; ma non giova trattenersi più oltre ragionando di taliscrittori che non furono comunemente uomini di cuimolto ci debba premere che si conservi la fama. Di Arri-go da Settimello, che visse in parte a quest'epoca, ci ri-serberemo a ragionare nella seguente, a cui singolar-mente fiorì. Di Giovanni milanese che in versi espose iprecetti della Scuola salernitana, parleremo in questo li-bro medesimo, ove dovrem trattare de' medici. A con-chiuder dunque il presente capo, rimane solo che favel-liamo degli scrittori che co' loro libri illustrarono la sto-ria profana.

XI. La città di Milano, che per le dissensio-ni da cui fu in questi tempi sconvolta, nonmeno che per le guerre infelici contro diFederigo I, diede di se stessa all'Italia sì

grande e sì luttuoso spettacolo, ebbe anche più storiciche ne tramandarono a' posteri le funeste vicende.L'immortal Muratori gli ha pubblicati altri per la primavolta, altri più accresciuti e corretti, nella sua gran rac-colta degli Scrittori delle cose italiane (Script. rer. ital.vol. 4, p. 3). Io ne verrò in breve accennando i nomi e ilibri, e lascerò che più ampie notizie se ne ricerchino, da

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Storici mila-nesi diquest'epoca.

(Ital. sacra t. 10 Colet. ed. p. 127), e poscia pubblicatodi nuovo dal Muratori (Script. rer. ital. t. 6, p. 112). Eglinon è certo un Virgilio; ma è assai migliore degli altripoeti di questa età; e alcuni versi possono sembrar degnidi miglior secolo. Alcuni altri poeti potrei qui rammen-tare; ma non giova trattenersi più oltre ragionando di taliscrittori che non furono comunemente uomini di cuimolto ci debba premere che si conservi la fama. Di Arri-go da Settimello, che visse in parte a quest'epoca, ci ri-serberemo a ragionare nella seguente, a cui singolar-mente fiorì. Di Giovanni milanese che in versi espose iprecetti della Scuola salernitana, parleremo in questo li-bro medesimo, ove dovrem trattare de' medici. A con-chiuder dunque il presente capo, rimane solo che favel-liamo degli scrittori che co' loro libri illustrarono la sto-ria profana.

XI. La città di Milano, che per le dissensio-ni da cui fu in questi tempi sconvolta, nonmeno che per le guerre infelici contro diFederigo I, diede di se stessa all'Italia sì

grande e sì luttuoso spettacolo, ebbe anche più storiciche ne tramandarono a' posteri le funeste vicende.L'immortal Muratori gli ha pubblicati altri per la primavolta, altri più accresciuti e corretti, nella sua gran rac-colta degli Scrittori delle cose italiane (Script. rer. ital.vol. 4, p. 3). Io ne verrò in breve accennando i nomi e ilibri, e lascerò che più ampie notizie se ne ricerchino, da

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Storici mila-nesi diquest'epoca.

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chi le brami, nelle eruditissime prefazioni ch'egli a cia-scheduno ha premesse. Il primo è Arnolfo che vivea a'tempi di Gregorio VII, e scrisse la Storia della sua patriadall'an. 925 fino al 1076. Scrittor fedele ed esatto, funondimeno per qualche tempo fervido difensore degliecclesiastici rivoltosi che scuoter volevano la legge delcelibato; ma egli stesso poi riconobbe e rittattò il suo er-rore (l. 4, c. 13). Non così il secondo scrittore vissuto altempo medesimo, cioè Landolfo soprannomato il vec-chio, che scrisse pure la Storia dei tempi suoi, ma impe-gnato ostinatamente nel medesimo errore, cui per qual-che tempo avea seguito Arnolfo, la riempiè di maldicen-ze e di villanie contro de' romani pontefici e di tutti i so-stenitori dell'ecclesiastico celibato. Nè in ciò solo, maanche nella scelta de' fatti si mostra Landolfo poco feli-ce; poichè imbratta i suoi racconti di favole e di errorisenza fine, di che veggasi il Muratori (Script. rer. ital. l.c. p. 49), il quale ancora sostiene esser questa quellaCronaca stessa che fu già attribuita a Dazio arcivescovodi Milano. Assai migliore storico è l'altro Landolfo, adistinzione del primo soprannomato il giovane, e dettoancora di s. Paolo, dalla chiesa al cui titolo egli era statoammesso agli ordini sacri. Ch'ei facesse in Francia i suoistudj, già l'abbiamo altrove mostrato (V. sup. l. 4, c. 2;n. 19). Egli ancora fu involto nelle turbolenze da cui Mi-lano sua patria era allora agitata per le accennate contro-versie sul celibato. Ma egli si tenne fermo per la buonacausa che avea uno de' più intrepidi difensori in Lipran-do zio del nostro storico. Delle vicende a cui Landolfo

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chi le brami, nelle eruditissime prefazioni ch'egli a cia-scheduno ha premesse. Il primo è Arnolfo che vivea a'tempi di Gregorio VII, e scrisse la Storia della sua patriadall'an. 925 fino al 1076. Scrittor fedele ed esatto, funondimeno per qualche tempo fervido difensore degliecclesiastici rivoltosi che scuoter volevano la legge delcelibato; ma egli stesso poi riconobbe e rittattò il suo er-rore (l. 4, c. 13). Non così il secondo scrittore vissuto altempo medesimo, cioè Landolfo soprannomato il vec-chio, che scrisse pure la Storia dei tempi suoi, ma impe-gnato ostinatamente nel medesimo errore, cui per qual-che tempo avea seguito Arnolfo, la riempiè di maldicen-ze e di villanie contro de' romani pontefici e di tutti i so-stenitori dell'ecclesiastico celibato. Nè in ciò solo, maanche nella scelta de' fatti si mostra Landolfo poco feli-ce; poichè imbratta i suoi racconti di favole e di errorisenza fine, di che veggasi il Muratori (Script. rer. ital. l.c. p. 49), il quale ancora sostiene esser questa quellaCronaca stessa che fu già attribuita a Dazio arcivescovodi Milano. Assai migliore storico è l'altro Landolfo, adistinzione del primo soprannomato il giovane, e dettoancora di s. Paolo, dalla chiesa al cui titolo egli era statoammesso agli ordini sacri. Ch'ei facesse in Francia i suoistudj, già l'abbiamo altrove mostrato (V. sup. l. 4, c. 2;n. 19). Egli ancora fu involto nelle turbolenze da cui Mi-lano sua patria era allora agitata per le accennate contro-versie sul celibato. Ma egli si tenne fermo per la buonacausa che avea uno de' più intrepidi difensori in Lipran-do zio del nostro storico. Delle vicende a cui Landolfo

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fu perciò esposto, e del ritirarsi che per due volte egli fucostretto a fare dalla sua chiesa, si vegga il sopraccitatoMuratori (ib. t. 5, p. 461), il quale giustamente rifletteche la Storia condotta da questo scrittore dal 1095 finoal 1137 è una delle più utili che di questi tempi ci sianrimaste. L'ultimo degli storici milanesi di questa età è uncotal Sire Raul di cui non si ha alcuna contezza, e di cuisolo abbiamo una buona Storia delle guerre che i Mila-nesi sostennero contro di Federigo I dall'an. 1154 fino al1157, la quale da un codice dell'insigne libreria del col-legio di Brera in Milano fu data alla luce dal medesimoMuratori (ib. t. 6, p. 1169).

XII. Altre città ancora di Lombardia ebberoi loro storici, perciocchè, oltre l'anonimopoeta che scrisse, come già si è detto, laStoria della guerra che i Milanesi ebbero co'

Comaschi dall'an. 1118 fino al 1127, due famosi storiciebbe Lodi, cioè Ottone Morena, e Acerbo di lui figliuo-lo, i quali un dopo l'altro scrisser delle Cose di FederigoI e della lor patria. Ottone il quale nella prefazione si dài titoli di giudice e di messo di Lottario, ch'ei chiama III,e di Corrado II, conduce la sua Storia fino all'anno 1162,dopo il qual tempo ella fu continuata da Acerbo. Questifu assai caro all'imp. Federigo; e da lui fu eletto podestàdella sua patria, e impiegato in più onorevoli commis-sioni, come dalla Storia medesima raccoglie il Muratori(ib. t. 6, p. 951). Egli giunse scrivendo fino all'an. 1157

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Storici di altre città lombarde.

fu perciò esposto, e del ritirarsi che per due volte egli fucostretto a fare dalla sua chiesa, si vegga il sopraccitatoMuratori (ib. t. 5, p. 461), il quale giustamente rifletteche la Storia condotta da questo scrittore dal 1095 finoal 1137 è una delle più utili che di questi tempi ci sianrimaste. L'ultimo degli storici milanesi di questa età è uncotal Sire Raul di cui non si ha alcuna contezza, e di cuisolo abbiamo una buona Storia delle guerre che i Mila-nesi sostennero contro di Federigo I dall'an. 1154 fino al1157, la quale da un codice dell'insigne libreria del col-legio di Brera in Milano fu data alla luce dal medesimoMuratori (ib. t. 6, p. 1169).

XII. Altre città ancora di Lombardia ebberoi loro storici, perciocchè, oltre l'anonimopoeta che scrisse, come già si è detto, laStoria della guerra che i Milanesi ebbero co'

Comaschi dall'an. 1118 fino al 1127, due famosi storiciebbe Lodi, cioè Ottone Morena, e Acerbo di lui figliuo-lo, i quali un dopo l'altro scrisser delle Cose di FederigoI e della lor patria. Ottone il quale nella prefazione si dài titoli di giudice e di messo di Lottario, ch'ei chiama III,e di Corrado II, conduce la sua Storia fino all'anno 1162,dopo il qual tempo ella fu continuata da Acerbo. Questifu assai caro all'imp. Federigo; e da lui fu eletto podestàdella sua patria, e impiegato in più onorevoli commis-sioni, come dalla Storia medesima raccoglie il Muratori(ib. t. 6, p. 951). Egli giunse scrivendo fino all'an. 1157

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Storici di altre città lombarde.

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in cui morì in Siena per testimonio di un incerto scritto-re che per qualche tratto continuò la Storia di questi dueautori. Essa ancora è avuta in gran pregio; benchè l'anti-ca, e, direi quasi, naturale avversione de' Lodigiani con-tro dei troppo potenti loro vicini i Milanesi si mostri inessa più chiaramente che non dovrebbesi. Sicardo ve-scovo di Cremona appartiene più alla seguente epoca,che a quella di cui trattiamo, e noi perciò ne rimettere-mo il discorso ad altro tempo.

XIII. Tutti gli storici finor nominati scrisse-ro la Storia o della lor patria, o di altro argo-mento, perchè ne venne loro il talento. Ge-nova è la sola città d'Italia, come osserva ilMuratori (ib.), che possa a questi tempi mo-strare Storie scritte per pubblico ordine, e

per pubblica determinazione approvate. Caffaro fu ilprimo che al principio del XII secolo si accinse a tale la-voro. Era egli uom d'alto affare, e onorato di varie cari-che, come dalla sua Storia medesima si raccoglie. Ei fualla guerra sacra in Siria l'anno 1100. (ib. p. 249). Fuconsole in Genova negli anni 1123, e 1126, e nel secon-do suo consolato segnalò con felici imprese il suo guer-riero valore contro i Pisani (ib. p. 255, 256). Più altrevolte ancora egli ottenne la medesima dignità; e l'an.1146 andò coll'armata de' suoi contro l'isola di Minori-ca, e ne fè la conquista (ib. p. 261). L'an. 1154 fu inviatoambasciadore de' Genovesi a Federigo Barbarossa, da

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Scrittori della Storiadi Genova destinati dal quel pubblico.

in cui morì in Siena per testimonio di un incerto scritto-re che per qualche tratto continuò la Storia di questi dueautori. Essa ancora è avuta in gran pregio; benchè l'anti-ca, e, direi quasi, naturale avversione de' Lodigiani con-tro dei troppo potenti loro vicini i Milanesi si mostri inessa più chiaramente che non dovrebbesi. Sicardo ve-scovo di Cremona appartiene più alla seguente epoca,che a quella di cui trattiamo, e noi perciò ne rimettere-mo il discorso ad altro tempo.

XIII. Tutti gli storici finor nominati scrisse-ro la Storia o della lor patria, o di altro argo-mento, perchè ne venne loro il talento. Ge-nova è la sola città d'Italia, come osserva ilMuratori (ib.), che possa a questi tempi mo-strare Storie scritte per pubblico ordine, e

per pubblica determinazione approvate. Caffaro fu ilprimo che al principio del XII secolo si accinse a tale la-voro. Era egli uom d'alto affare, e onorato di varie cari-che, come dalla sua Storia medesima si raccoglie. Ei fualla guerra sacra in Siria l'anno 1100. (ib. p. 249). Fuconsole in Genova negli anni 1123, e 1126, e nel secon-do suo consolato segnalò con felici imprese il suo guer-riero valore contro i Pisani (ib. p. 255, 256). Più altrevolte ancora egli ottenne la medesima dignità; e l'an.1146 andò coll'armata de' suoi contro l'isola di Minori-ca, e ne fè la conquista (ib. p. 261). L'an. 1154 fu inviatoambasciadore de' Genovesi a Federigo Barbarossa, da

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Scrittori della Storiadi Genova destinati dal quel pubblico.

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cui venne accolto con sommo onore (ib. p. 264). Eglidunque intraprese a scriver la Storia della sua patria, incui però si ristrinse a quel solo spazio di tempo di cuiegli era stato testimonio di veduta. Ecco, com'egli parladel suo disegno, e della solenne approvazione che la suaStoria ebbe l'onor di ottenere (ib. p. 247). "Caffarusnamque, quoniam a tempore praedicti stoli usque nuncpartem consulatuum Januensis civitatis rexit; et habuit,et alios consules, qui intra praedictum terminum fue-runt, vidit et agnovit, corde etiam meditando nomina eo-rum et tempora et varietates personarum, consulatuum,et compagniarum, et victorias, et mutationes monetarumeodem consulatu factas, sicut subtus legitur, per se me-tipsum dictavit, et consulibus quidem ejus temporis Tan-clerio et Rubaldo Bisaccia, et Ansaldo Spinula, et conci-lio pleno scriptum illud ostendit. Consulibus (forte con-sules) vero, audito consilio consiliatorum, palam coramconsiliatoribus, Guilelmo de Columba publico scribanopraeceperunt, ut librum a Caffaro compositum et nota-tum scriberet, et in comuni chartulario poneret, ut dein-ceps cuncto tempore futuris hominibus Januensis populivictoriae cognoscantur". Condusse dunque Caffaro lasua Storia dall'an. 1100 fino al 1163. Poichè egli fu mor-to in età d'an. 86, a Oberto cancelliere fu imposto da'consoli, che ne continuasse la Storia, come egli stessoracconta nell'esordio di essa (ib. p. 292). Egli intrapreseil lavoro, e innoltrollo per dieci anni, cioè fino all'an.1173. A lui sottentrò Ottobuono che prende il titolo discriba (ib. n. 351), e venne continuando la Storia fino

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cui venne accolto con sommo onore (ib. p. 264). Eglidunque intraprese a scriver la Storia della sua patria, incui però si ristrinse a quel solo spazio di tempo di cuiegli era stato testimonio di veduta. Ecco, com'egli parladel suo disegno, e della solenne approvazione che la suaStoria ebbe l'onor di ottenere (ib. p. 247). "Caffarusnamque, quoniam a tempore praedicti stoli usque nuncpartem consulatuum Januensis civitatis rexit; et habuit,et alios consules, qui intra praedictum terminum fue-runt, vidit et agnovit, corde etiam meditando nomina eo-rum et tempora et varietates personarum, consulatuum,et compagniarum, et victorias, et mutationes monetarumeodem consulatu factas, sicut subtus legitur, per se me-tipsum dictavit, et consulibus quidem ejus temporis Tan-clerio et Rubaldo Bisaccia, et Ansaldo Spinula, et conci-lio pleno scriptum illud ostendit. Consulibus (forte con-sules) vero, audito consilio consiliatorum, palam coramconsiliatoribus, Guilelmo de Columba publico scribanopraeceperunt, ut librum a Caffaro compositum et nota-tum scriberet, et in comuni chartulario poneret, ut dein-ceps cuncto tempore futuris hominibus Januensis populivictoriae cognoscantur". Condusse dunque Caffaro lasua Storia dall'an. 1100 fino al 1163. Poichè egli fu mor-to in età d'an. 86, a Oberto cancelliere fu imposto da'consoli, che ne continuasse la Storia, come egli stessoracconta nell'esordio di essa (ib. p. 292). Egli intrapreseil lavoro, e innoltrollo per dieci anni, cioè fino all'an.1173. A lui sottentrò Ottobuono che prende il titolo discriba (ib. n. 351), e venne continuando la Storia fino

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all'an. 1196, dopo il qual tempo altri gli succederononello stesso impiego, de' quali altrove ragioneremo. Orun corpo di storia scritta per pubblico ordine da perso-naggi gravi e contemporanei, e per pubblica autorità ap-provata, ognun vede in qual pregio si debba avere. Quidi fatto non trovansi le vecchie favole popolari di cuicomunemente son piene le storie di questi tempi; ma ifatti vi vengon narrati con uno stile certo non colto, masemplice e schietto, e che colla sua medesima semplicitàci dà un pegno sicuro della verità de' racconti; e moltoperciò dobiam esser tenuti al ch. Muratori che primad'ogni altro ha posti in luce questi scrittori.

XIV. Ma copia assai maggiore di storici eb-bero a questi tempi quelle provincie che orformano i regni di Napoli e Sicilia, perchèle grandi rivoluzioni che vi accaddero, ri-

svegliarono in molti il pensiero di tramandarne a' posterila memoria; ed anche perchè i principi che vi ottennerosignorìa, bramarono che le loro imprese fossero celebra-te. Guglielmo Pugliese avea in versi descritte le guerrede' Normanni, come poc'anzi abbiamo osservato. Lostesso argomento prese a trattare in prosa Goffredo so-prannomato Malaterra, di cui abbiam quattro libri diStoria della Sicilia da lui scritta per ordine di Ruggiericonte di quell'isola, a' cui tempi vivea, e condotti finoall'anno 1099. Di questo storico mi basta accennare ilnome e l'età, perchè non ci abbiano a rimproverare i

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Storici na-poletani esiciliani.

all'an. 1196, dopo il qual tempo altri gli succederononello stesso impiego, de' quali altrove ragioneremo. Orun corpo di storia scritta per pubblico ordine da perso-naggi gravi e contemporanei, e per pubblica autorità ap-provata, ognun vede in qual pregio si debba avere. Quidi fatto non trovansi le vecchie favole popolari di cuicomunemente son piene le storie di questi tempi; ma ifatti vi vengon narrati con uno stile certo non colto, masemplice e schietto, e che colla sua medesima semplicitàci dà un pegno sicuro della verità de' racconti; e moltoperciò dobiam esser tenuti al ch. Muratori che primad'ogni altro ha posti in luce questi scrittori.

XIV. Ma copia assai maggiore di storici eb-bero a questi tempi quelle provincie che orformano i regni di Napoli e Sicilia, perchèle grandi rivoluzioni che vi accaddero, ri-

svegliarono in molti il pensiero di tramandarne a' posterila memoria; ed anche perchè i principi che vi ottennerosignorìa, bramarono che le loro imprese fossero celebra-te. Guglielmo Pugliese avea in versi descritte le guerrede' Normanni, come poc'anzi abbiamo osservato. Lostesso argomento prese a trattare in prosa Goffredo so-prannomato Malaterra, di cui abbiam quattro libri diStoria della Sicilia da lui scritta per ordine di Ruggiericonte di quell'isola, a' cui tempi vivea, e condotti finoall'anno 1099. Di questo storico mi basta accennare ilnome e l'età, perchè non ci abbiano a rimproverare i

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Storici na-poletani esiciliani.

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Francesi, che facciam nostri i loro scrittori, essendo cer-to che Goffredo non fu italiano, ma probabilmente nor-manno. Si può vedere ciò che scrivon di lui i più voltecitati Maurini (Hist. litt. de la France t. 8, p. 481), e ilMuratori che dopo altri ne ha pubblicata la Storia(Script. rer. ital. vol. 5, p. 539), il quale ancora confuta inon pochi errori del Vossio intorno a questo scrittore.Alessandro abate del monastero di s. Salvadore in Tele-se (e non Celese, come altri scrivono) nel regno di Na-poli continuò in certo modo la Storia di Goffredo, per-ciocchè cominciandola dall'an. 1127 giunse fino all'an.1135. Egli racconta che ad intraprenderla fu sospintodalle istanze di Matilde sorella del re Ruggieri (ib.praef.). Vi ha chi 'l riprende, perchè ei non abbia segnatidistintamente gli anni a cui avvener le cose che narra.Ma ciò non ostante, come osserva il Muratori (Script.rer. ital. vol. 5, p. 609), non lascia di essere assai prege-vole questa Storia pe' molti lumi che sparge sulle cose diquesti tempi (21). E generalmente parlando, gli storici diqueste barbare età, se da qualche particolar passione nonè condotta la lor penna, sono rozzi, ma sinceri narratoridelle cose a' lor tempi avvenute. Ma guai a noi, se essiprendono a raccontarci le cose de' tempi andati. Non viha fola che non ci mettano innanzi con serietà ammira-bile. Rechiamone un esempio tratto da questa Storia me-

21 Veggansi più distinte notizie intorno ad Alessandro abate di Telesenell'opera dagli Storici napoletani del sig. Francescantonio Soria (t. 1, p.10, ec.) presso il quale si potranno ancor vedere quelle di Lupo Protospata(t. 2, p. 506, ec.) e di Falcone beneventano (t. 1, p. 250).

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Francesi, che facciam nostri i loro scrittori, essendo cer-to che Goffredo non fu italiano, ma probabilmente nor-manno. Si può vedere ciò che scrivon di lui i più voltecitati Maurini (Hist. litt. de la France t. 8, p. 481), e ilMuratori che dopo altri ne ha pubblicata la Storia(Script. rer. ital. vol. 5, p. 539), il quale ancora confuta inon pochi errori del Vossio intorno a questo scrittore.Alessandro abate del monastero di s. Salvadore in Tele-se (e non Celese, come altri scrivono) nel regno di Na-poli continuò in certo modo la Storia di Goffredo, per-ciocchè cominciandola dall'an. 1127 giunse fino all'an.1135. Egli racconta che ad intraprenderla fu sospintodalle istanze di Matilde sorella del re Ruggieri (ib.praef.). Vi ha chi 'l riprende, perchè ei non abbia segnatidistintamente gli anni a cui avvener le cose che narra.Ma ciò non ostante, come osserva il Muratori (Script.rer. ital. vol. 5, p. 609), non lascia di essere assai prege-vole questa Storia pe' molti lumi che sparge sulle cose diquesti tempi (21). E generalmente parlando, gli storici diqueste barbare età, se da qualche particolar passione nonè condotta la lor penna, sono rozzi, ma sinceri narratoridelle cose a' lor tempi avvenute. Ma guai a noi, se essiprendono a raccontarci le cose de' tempi andati. Non viha fola che non ci mettano innanzi con serietà ammira-bile. Rechiamone un esempio tratto da questa Storia me-

21 Veggansi più distinte notizie intorno ad Alessandro abate di Telesenell'opera dagli Storici napoletani del sig. Francescantonio Soria (t. 1, p.10, ec.) presso il quale si potranno ancor vedere quelle di Lupo Protospata(t. 2, p. 506, ec.) e di Falcone beneventano (t. 1, p. 250).

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desima. Al fin di essa l'abate Alessandro si volge al reRuggieri, e il prega che in ricompensa della fatica da luisostenuta voglia onorare della sua regal protezione ilmonastero ch'egli reggeva. "Perciocchè, dice, se Virgilioil massimo tra i poeti per due versi fatti in lode di Otta-viano Augusto ebbe da lui in ricompensa la signoria diNapoli e della Calabria, quanto più, ec." (ib. p. 644).Onde ha mai tratta l'abate Alessandro una sì pellegrinanotizia? Ma di tai romanzeschi racconti piene sono lestorie di questi tempi; ne' quali bastava per lo più cheuna qualunque cosa o si udisse, o si leggesse, perchèsenz'altro esame si adottasse per certa.

XV. A questa età e a queste provincie mede-sime appartengono Lupo Protospata natìodella Puglia, che scrisse una Cronaca dellecose avvenute nel regno di Napoli dall'an.

860 fino al 1102 (ib. vol. 5, p. 37) e Falcone da Bene-vento, che continuò la Storia delle stesse provinciedall'an. 1102 fino al 1140 (ib. p. 82); e alcune altre Cro-nache di questi tempi pubblicate prima dal p. Caraccioli,poscia dal Pellegrini, quindi dal Muratori, e finalmentedal can. Pratillo nella sua Storia de' Longobardi. Io nonmi trattengo a favellar di essi più stesamente, perchè nèmolte nè abbastanza sicure son le notizie che ne potrem-mo produrre, e quelle pure che qui si potrebbon recare,sono già state da' mentovati scrittori diligentemente rac-colte. Due altri storici soli rammenterò qui brevemente,

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Altri storicidelle stesseprovincie.

desima. Al fin di essa l'abate Alessandro si volge al reRuggieri, e il prega che in ricompensa della fatica da luisostenuta voglia onorare della sua regal protezione ilmonastero ch'egli reggeva. "Perciocchè, dice, se Virgilioil massimo tra i poeti per due versi fatti in lode di Otta-viano Augusto ebbe da lui in ricompensa la signoria diNapoli e della Calabria, quanto più, ec." (ib. p. 644).Onde ha mai tratta l'abate Alessandro una sì pellegrinanotizia? Ma di tai romanzeschi racconti piene sono lestorie di questi tempi; ne' quali bastava per lo più cheuna qualunque cosa o si udisse, o si leggesse, perchèsenz'altro esame si adottasse per certa.

XV. A questa età e a queste provincie mede-sime appartengono Lupo Protospata natìodella Puglia, che scrisse una Cronaca dellecose avvenute nel regno di Napoli dall'an.

860 fino al 1102 (ib. vol. 5, p. 37) e Falcone da Bene-vento, che continuò la Storia delle stesse provinciedall'an. 1102 fino al 1140 (ib. p. 82); e alcune altre Cro-nache di questi tempi pubblicate prima dal p. Caraccioli,poscia dal Pellegrini, quindi dal Muratori, e finalmentedal can. Pratillo nella sua Storia de' Longobardi. Io nonmi trattengo a favellar di essi più stesamente, perchè nèmolte nè abbastanza sicure son le notizie che ne potrem-mo produrre, e quelle pure che qui si potrebbon recare,sono già state da' mentovati scrittori diligentemente rac-colte. Due altri storici soli rammenterò qui brevemente,

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Altri storicidelle stesseprovincie.

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e con essi farò fine al presente capo. Il primo si è Ro-mualdo arcivescovo di Salerno secondo di questo nome,di cui abbiamo una Cronaca universale dal principio delmondo, fino all'an. 1178. Il Fabricio afferma (Bibl. lat.med. et inf. aet. t. 6, p. 124) che la prima parte di questaCronaca che giugne fino all'an. 1125 è opera dell'arcive-scovo di Salerno Romoaldo I, e ne adduce in pruovacerte parole che a quell'anno leggonsi nella Cronaca, amostrare tal distinzione. Ma nella Cronaca stessa chedal Muratori per la prima volta è stata data alla luce(Script. rer. ital. vol. 7, p. 2), io non trovo le parole dalFabricio allegate, e tutta la Cronaca così dal Muratori,come dal Sassi, viene attribuita a Romoaldo II. Questifu eletto arcivescovo di Salerno verso l'an. 1153, edebbe parte ne' più importanti affari del regno di Napoli edi Sicilia come egli stesso racconta. L'an. 1160 Gugliel-mo re di Sicilia essendo stato arrestato da alcuni controlui congiurati, Romoaldo con alcuni altri vescovi otten-ne che gli si rendesse la libertà (ib. p. 202). Ed egli po-scia spedito dal re nella Puglia, per impedir tra que' po-poli somigliante sollevazione, seppe destramente rivol-gerli a difesa del lor sovrano. Era egli ancora nell'artedella medicina versato assai; e perciò caduto gravemen-te infermo lo stesso re l'an. 1166, mandò per Romoaldoil quale venutogli innanzi, e accolto con sommo onore,gli prescrisse i rimedj che gli parvero opportuni; ma il revolle regolarsi a suo capriccio, e quindi avvenne, dice ilmedesimo Romoaldo (ib. p. 206), ch'ei ne morì. Gu-glielmo II, di lui figliuolo, fu unto a re dallo stesso arci-

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e con essi farò fine al presente capo. Il primo si è Ro-mualdo arcivescovo di Salerno secondo di questo nome,di cui abbiamo una Cronaca universale dal principio delmondo, fino all'an. 1178. Il Fabricio afferma (Bibl. lat.med. et inf. aet. t. 6, p. 124) che la prima parte di questaCronaca che giugne fino all'an. 1125 è opera dell'arcive-scovo di Salerno Romoaldo I, e ne adduce in pruovacerte parole che a quell'anno leggonsi nella Cronaca, amostrare tal distinzione. Ma nella Cronaca stessa chedal Muratori per la prima volta è stata data alla luce(Script. rer. ital. vol. 7, p. 2), io non trovo le parole dalFabricio allegate, e tutta la Cronaca così dal Muratori,come dal Sassi, viene attribuita a Romoaldo II. Questifu eletto arcivescovo di Salerno verso l'an. 1153, edebbe parte ne' più importanti affari del regno di Napoli edi Sicilia come egli stesso racconta. L'an. 1160 Gugliel-mo re di Sicilia essendo stato arrestato da alcuni controlui congiurati, Romoaldo con alcuni altri vescovi otten-ne che gli si rendesse la libertà (ib. p. 202). Ed egli po-scia spedito dal re nella Puglia, per impedir tra que' po-poli somigliante sollevazione, seppe destramente rivol-gerli a difesa del lor sovrano. Era egli ancora nell'artedella medicina versato assai; e perciò caduto gravemen-te infermo lo stesso re l'an. 1166, mandò per Romoaldoil quale venutogli innanzi, e accolto con sommo onore,gli prescrisse i rimedj che gli parvero opportuni; ma il revolle regolarsi a suo capriccio, e quindi avvenne, dice ilmedesimo Romoaldo (ib. p. 206), ch'ei ne morì. Gu-glielmo II, di lui figliuolo, fu unto a re dallo stesso arci-

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vescovo il quale fu poscia da lui prescelto, ad andarseneall'imp. Federigo I per trattare la pace tra lui e 'l pontef.Alessandro III, nel che ei si condusse per modo, che ot-tenne presso ambedue grazia e stima non ordinaria (ib.p. 217, ec.). Ei visse fino all'an. 1181, nel quale moren-do lasciò ai posteri gran nome di se medesimo pel suosapere non meno che per la sua destrezza nel maneggiode' più difficili affari. L'altro storico è Ugo Falcando dicui abbiamo una Storia della Sicilia, nella quale dopoavere in breve accennate le prime imprese de' Norman-ni, svolge più ampiamente le funeste sventure, da cuitravagliata fu la Sicilia dall'an. 1154 fino al 1169 sotto idue re Guglielmo I e II. Di questa Storia avevamo giàavute più edizioni prima che il Muratori le desse luogonella sua grande raccolta (ib. p. 249). Di qual patria eglifosse noi nol sappiamo, e lo stesso Mongitore confessa(App. ad Bibl. sic. t. 2, p. 51) che non sembra ch'ei fossenato in Sicilia, benchè pure sia certo che egli vi soggior-nò lungamente; il che ci basta perchè nol dobbiamo pas-sare sotto silenzio.

CAPO IV.Principj della poesia provenzale e della italiana.

I. Nuovo argomento ci si offre qui a trat-tare, e nuovo genere di letteratura, di cuinon ci è ancora avvenuto di dover tenereragionamento. La poesia non avea finora

203

A questi tempi appartiene l'ori-gine della poe-sia volgare in Italia.

vescovo il quale fu poscia da lui prescelto, ad andarseneall'imp. Federigo I per trattare la pace tra lui e 'l pontef.Alessandro III, nel che ei si condusse per modo, che ot-tenne presso ambedue grazia e stima non ordinaria (ib.p. 217, ec.). Ei visse fino all'an. 1181, nel quale moren-do lasciò ai posteri gran nome di se medesimo pel suosapere non meno che per la sua destrezza nel maneggiode' più difficili affari. L'altro storico è Ugo Falcando dicui abbiamo una Storia della Sicilia, nella quale dopoavere in breve accennate le prime imprese de' Norman-ni, svolge più ampiamente le funeste sventure, da cuitravagliata fu la Sicilia dall'an. 1154 fino al 1169 sotto idue re Guglielmo I e II. Di questa Storia avevamo giàavute più edizioni prima che il Muratori le desse luogonella sua grande raccolta (ib. p. 249). Di qual patria eglifosse noi nol sappiamo, e lo stesso Mongitore confessa(App. ad Bibl. sic. t. 2, p. 51) che non sembra ch'ei fossenato in Sicilia, benchè pure sia certo che egli vi soggior-nò lungamente; il che ci basta perchè nol dobbiamo pas-sare sotto silenzio.

CAPO IV.Principj della poesia provenzale e della italiana.

I. Nuovo argomento ci si offre qui a trat-tare, e nuovo genere di letteratura, di cuinon ci è ancora avvenuto di dover tenereragionamento. La poesia non avea finora

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A questi tempi appartiene l'ori-gine della poe-sia volgare in Italia.

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usata in Italia altra lingua fuorchè la latina. Ma comequesta nel parlar famigliare veniva ognor più corrom-pendosi, e dalle rovine di essa già cominciava a formarsiun nuovo idioma che sempre più andava stendendosi, edacquistando ogni giorno e parole ed espressioni e vezziin gran copia, così esso dopo essersi trattenuto per lungotempo, per così dire, entro le domestiche mura, divenneposcia più ardito, e osò ancora di uscire in pubblico, emostrarsi ne' libri e ne' monumenti che dovean passareai posteri. Di ciò già abbiam favellato nella Prefazione aquesto tomo premessa, ove abbiamo investigata l'originedella lingua italiana. Qui dobbiam solo cercare dellapoesia, e esaminare a qual tempo cominciasse in essa adusarsi questa lingua medesima. Su questo argomento an-cora si è scritto molto da molti; ed io non potrei uscirnegiammai, se tutte volessi esaminare le opinioni diversedi diversi scrittori, e scoprir tutti i falli in cui molti diessi sono caduti. Atterrommi dunque al mio usato costu-me di sceglier ciò solo ch'è più degno di risapersi, e ditrattare colla maggiore esattezza che mi sia possibile,quelle sole quistioni che alla storia dell'italiana letteratu-ra sono più importanti.

II. E primieramente a me sembra inutilequella che pur da alcuni si tratta diffusa-mente, cioè a qual nazione si debbal'invenzion della rima (22). Ogni lingua ha

22 Benchè antichissimo sia l'uso della rima, esso però non basta a trovar l'ori-

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L'uso della rima è antichissimo, ese ne trovano esempj presso tutte le nazioni.

usata in Italia altra lingua fuorchè la latina. Ma comequesta nel parlar famigliare veniva ognor più corrom-pendosi, e dalle rovine di essa già cominciava a formarsiun nuovo idioma che sempre più andava stendendosi, edacquistando ogni giorno e parole ed espressioni e vezziin gran copia, così esso dopo essersi trattenuto per lungotempo, per così dire, entro le domestiche mura, divenneposcia più ardito, e osò ancora di uscire in pubblico, emostrarsi ne' libri e ne' monumenti che dovean passareai posteri. Di ciò già abbiam favellato nella Prefazione aquesto tomo premessa, ove abbiamo investigata l'originedella lingua italiana. Qui dobbiam solo cercare dellapoesia, e esaminare a qual tempo cominciasse in essa adusarsi questa lingua medesima. Su questo argomento an-cora si è scritto molto da molti; ed io non potrei uscirnegiammai, se tutte volessi esaminare le opinioni diversedi diversi scrittori, e scoprir tutti i falli in cui molti diessi sono caduti. Atterrommi dunque al mio usato costu-me di sceglier ciò solo ch'è più degno di risapersi, e ditrattare colla maggiore esattezza che mi sia possibile,quelle sole quistioni che alla storia dell'italiana letteratu-ra sono più importanti.

II. E primieramente a me sembra inutilequella che pur da alcuni si tratta diffusa-mente, cioè a qual nazione si debbal'invenzion della rima (22). Ogni lingua ha

22 Benchè antichissimo sia l'uso della rima, esso però non basta a trovar l'ori-

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L'uso della rima è antichissimo, ese ne trovano esempj presso tutte le nazioni.

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parole che hanno la medesima desinenza; ogni linguadunque ha rime; e ogni nazione ha potuto usar dellerime. Anzi non solo ha potuto usarne; ma appena trove-rassi lingua in cui esse non veggansi talvolta usate. Ionon rinnoverò qui le contese insorte al principio di que-sto secolo in Italia intorno alla poesia degli Ebrei (Gior.

gine del verso italiano, perciocchè questo non si distingue sol dal latinoper mezzo della rima, la quale quanto di ornamento accresce alla italianapoesia, tanto ne toglie alla latina, ma ancora perchè il verso latino è forma-to singolarmente, come dicono i gramatici, dalle misure del tempo, e per-ciò chiamasi metrico, l'italiano è formato dal numero delle sillabe, e dallaposizion degli accenti: e perciò chiamasi armonico. Or chi furon i primi ausare di questa sorta di versi? Non furon certo gl'Italiani; perchè versi ar-monici si ritrovano molto più antichi dei più antichi versi italiani. A meperciò non appartiene l'esaminare una quistione che punto non è connessacolla storia dell'italiana letteratura; nè io entrerò qui in campo fra due valo-rosi combattenti spagnuoli, l'ab. d. Giovanni Andres, e l'ab. d. Stefano Ar-teaga. Il primo nel tomo primo della sua grand'opera Dell'origine, de' pro-gressi e dello stato attuale di ogni letteratura (p. 311), avea attribuita agliArabi la lode di avere nelle provincie meridionali dell'Europa introdotta lapoesia armonica (benchè la poesia arabica sia in parte anche metrica), e diavere singolarmente col loro esempio eccitato ne' Provenzali quell'amoredella poesia, che fu l'origine di tante lor rime. Il secondo nella prima edi-zione del primo tomo delle sue Rivoluzioni del teatro musicale italianocombattè modestamente l'opinione dell'ab. Andres (p. 145, ec.). Questi nelsecondo tomo della sua opera, avendo dovuto ritornare sullo stesso argo-mento, rispose in quella maniera che deesi usare tra' dotti in somiglianticontese, alle ragioni del suo avversario (p. 48). Ma l'ab. Arteaga più nontenne misura, e nella nuova edizione veneta dello stesso primo suo tomolusingossi di atterrare l'ab. Andres con una lunghissima nota piena di sar-casmi e di amare ironie (p. 162, 183). Ma io ripeto che non è di quest'operal'entrare alla disamina di questo punto, di cui ci tornerà in acconcio il trat-tare ad altra occasione che indicheremo tra poco. Molto meno debbo ioframmischiarmi in un'altra calda contesa risvegliatasi pochi anni sono tradue scrittori francesi. M. le Grand autore della raccolta de' Fabliaux etContes du XII et du XIII siècle stampata in Parigi in 4 tomi l'an 1779, ec.nella prefazione ad essa premessa affermò che queste Favole da lui pubbli-

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parole che hanno la medesima desinenza; ogni linguadunque ha rime; e ogni nazione ha potuto usar dellerime. Anzi non solo ha potuto usarne; ma appena trove-rassi lingua in cui esse non veggansi talvolta usate. Ionon rinnoverò qui le contese insorte al principio di que-sto secolo in Italia intorno alla poesia degli Ebrei (Gior.

gine del verso italiano, perciocchè questo non si distingue sol dal latinoper mezzo della rima, la quale quanto di ornamento accresce alla italianapoesia, tanto ne toglie alla latina, ma ancora perchè il verso latino è forma-to singolarmente, come dicono i gramatici, dalle misure del tempo, e per-ciò chiamasi metrico, l'italiano è formato dal numero delle sillabe, e dallaposizion degli accenti: e perciò chiamasi armonico. Or chi furon i primi ausare di questa sorta di versi? Non furon certo gl'Italiani; perchè versi ar-monici si ritrovano molto più antichi dei più antichi versi italiani. A meperciò non appartiene l'esaminare una quistione che punto non è connessacolla storia dell'italiana letteratura; nè io entrerò qui in campo fra due valo-rosi combattenti spagnuoli, l'ab. d. Giovanni Andres, e l'ab. d. Stefano Ar-teaga. Il primo nel tomo primo della sua grand'opera Dell'origine, de' pro-gressi e dello stato attuale di ogni letteratura (p. 311), avea attribuita agliArabi la lode di avere nelle provincie meridionali dell'Europa introdotta lapoesia armonica (benchè la poesia arabica sia in parte anche metrica), e diavere singolarmente col loro esempio eccitato ne' Provenzali quell'amoredella poesia, che fu l'origine di tante lor rime. Il secondo nella prima edi-zione del primo tomo delle sue Rivoluzioni del teatro musicale italianocombattè modestamente l'opinione dell'ab. Andres (p. 145, ec.). Questi nelsecondo tomo della sua opera, avendo dovuto ritornare sullo stesso argo-mento, rispose in quella maniera che deesi usare tra' dotti in somiglianticontese, alle ragioni del suo avversario (p. 48). Ma l'ab. Arteaga più nontenne misura, e nella nuova edizione veneta dello stesso primo suo tomolusingossi di atterrare l'ab. Andres con una lunghissima nota piena di sar-casmi e di amare ironie (p. 162, 183). Ma io ripeto che non è di quest'operal'entrare alla disamina di questo punto, di cui ci tornerà in acconcio il trat-tare ad altra occasione che indicheremo tra poco. Molto meno debbo ioframmischiarmi in un'altra calda contesa risvegliatasi pochi anni sono tradue scrittori francesi. M. le Grand autore della raccolta de' Fabliaux etContes du XII et du XIII siècle stampata in Parigi in 4 tomi l'an 1779, ec.nella prefazione ad essa premessa affermò che queste Favole da lui pubbli-

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de' Letter. d'Ital. t. 7, p. 269). Checchè sia di essi, egli ècerto che i Greci ancora e i Latini, benchè per lo più nonusassero de' versi rimati, pur ne usaron talvolta, e deiLatini singolarmente ha mostrato il ch. Muratori (Antiq.Ital. t. 2, diss. 40), che ve ne ha esempj fin dai tempi piùantichi, e che quanto più venne degenerando la purezzadi quella lingua, tanto più frequente divenne l'usar larima ne' versi; come se alla grazia dell'espressione, chepiù non v'era, si volesse supplire coll'armonia. Potevandunque gl'Italiani per lor medesimi osservare che, attesal'indole della lor lingua, la rima avrebbe aggiunta nuovabellezza a' lor versi: e potevano ancora essere invitati ausar della rima dall'esempio di qualunque nazione; poi-chè presso qualunque nazione, e presso i Latini singo-larmente, potean vederne la norma. Ciò che più è degnod'essere ricercato, si è quale delle due lingue volgari chea questo tempo cominciavano in Italia e nelle provincie

cate, e scritte nell'antica lingua francese, erano in grazia e in leggiadria as-sai superiori a tutte le poesie provenzali, e che le parti settentrionali dellaFrancia assai prima, e assai meglio delle meridionali aveano coltivate lelettere. Questa proposizione irritò altamente, come era ad attendersi, gliabitanti della Provenza, contro i quali era singolarmente rivolta; e parecchiopuscoli pubblicati furono a confutarla. Ma niuno con più impegno si ac-cinse alla difesa de' Provenzali, che l'autore del Viaggio letterario di Pro-venza (ch'è il p. Papon dell'oratorio autore ancora della recente Storia diProvenza) stampato in Parigi nel 1780, al fin del quale leggonsi cinque let-tere sui poeti provenzali dirette a sostenere la preminenza e l'onore di que-gli antichi poeti, e a screditare gli autori francesi delle Favole e de' Rac-conti. M. le Grand non si tacque, e l'anno seguente pubblicò in Parigi in ri-sposta al suo avversario le Observations sur les Troubadours. E forse laguerra non è ancora terminata. Ma noi ne staremo pacifici spettatori, senzaprendere parte alcuna in una contesa che punto non ci appartiene.

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de' Letter. d'Ital. t. 7, p. 269). Checchè sia di essi, egli ècerto che i Greci ancora e i Latini, benchè per lo più nonusassero de' versi rimati, pur ne usaron talvolta, e deiLatini singolarmente ha mostrato il ch. Muratori (Antiq.Ital. t. 2, diss. 40), che ve ne ha esempj fin dai tempi piùantichi, e che quanto più venne degenerando la purezzadi quella lingua, tanto più frequente divenne l'usar larima ne' versi; come se alla grazia dell'espressione, chepiù non v'era, si volesse supplire coll'armonia. Potevandunque gl'Italiani per lor medesimi osservare che, attesal'indole della lor lingua, la rima avrebbe aggiunta nuovabellezza a' lor versi: e potevano ancora essere invitati ausar della rima dall'esempio di qualunque nazione; poi-chè presso qualunque nazione, e presso i Latini singo-larmente, potean vederne la norma. Ciò che più è degnod'essere ricercato, si è quale delle due lingue volgari chea questo tempo cominciavano in Italia e nelle provincie

cate, e scritte nell'antica lingua francese, erano in grazia e in leggiadria as-sai superiori a tutte le poesie provenzali, e che le parti settentrionali dellaFrancia assai prima, e assai meglio delle meridionali aveano coltivate lelettere. Questa proposizione irritò altamente, come era ad attendersi, gliabitanti della Provenza, contro i quali era singolarmente rivolta; e parecchiopuscoli pubblicati furono a confutarla. Ma niuno con più impegno si ac-cinse alla difesa de' Provenzali, che l'autore del Viaggio letterario di Pro-venza (ch'è il p. Papon dell'oratorio autore ancora della recente Storia diProvenza) stampato in Parigi nel 1780, al fin del quale leggonsi cinque let-tere sui poeti provenzali dirette a sostenere la preminenza e l'onore di que-gli antichi poeti, e a screditare gli autori francesi delle Favole e de' Rac-conti. M. le Grand non si tacque, e l'anno seguente pubblicò in Parigi in ri-sposta al suo avversario le Observations sur les Troubadours. E forse laguerra non è ancora terminata. Ma noi ne staremo pacifici spettatori, senzaprendere parte alcuna in una contesa che punto non ci appartiene.

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con essa confinanti ad essere in uso, cioè l'italiana e laprovenzale, fosse la prima a usar de' versi rimati (23).

III. Se a decidere questa contesa vogliamusar solamente l'autorità di qualche anticoscrittore, sembra che la gloria di avere pri-ma d'ogni altra nazione usata ne' versi vol-gari la rima, debbasi agl'Italiani cioè a' Sici-liani. Il Castelvestro fu il primo, ch'io sap-pia, ad affermarlo, confutando la contraria

opinione del Bembo (Giunte alle Prose del Bembo p.38, ed. di Nap. 1714). E a provarla egli si vale di duepassi dell'Opere del Petrarca. Questi parlando de' diversigeneri di letteratura e di poesia allora usati "Pars, dice(praef. ad Epist. famil.) mulcendis vulgi auribus intentasuis et ipsa legibus utebatur. Quod genus apud Siculos(ut fama est) non multis ante saeculis renatum brevi peromnem Italiam ac longius manavit; apud Graecorumolim ac Latinorum vetustissimos celebratum, si quidemet Romanos vulgares rhythmico tantum carmine uti soli-tos accepimus". Qui veggiam dunque affermarsi dal Pe-trarca, come cosa di cui correva allor tradizione, che al-23 Avvertasi ch'io fo qui il confronto tra le due sole lingue provenzale e italia-

na; e che al più il confronto si può stendere alle altre lingue volgari forma-te dalla latina. Quindi non mi pare opportuna l'aggiunta fatta dal sig. Landi(t. 2, p. 14) a questo passo della mia Storia, ove ci dice che la lingua tede-sca può contrastare agl'Italiani l'antichità della poesia. Più altre lingue, esingolarmente l'arabica, potrebbon entrare in questo contrasto. Ma ogniunvede ch'io non ragiono delle lingue che diconsi madri, ma di quelle chedalla lingua latina si son formate.

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Il Petrarca attribuisce ai Siciliani la lode di aver i primiusato delle rime.

con essa confinanti ad essere in uso, cioè l'italiana e laprovenzale, fosse la prima a usar de' versi rimati (23).

III. Se a decidere questa contesa vogliamusar solamente l'autorità di qualche anticoscrittore, sembra che la gloria di avere pri-ma d'ogni altra nazione usata ne' versi vol-gari la rima, debbasi agl'Italiani cioè a' Sici-liani. Il Castelvestro fu il primo, ch'io sap-pia, ad affermarlo, confutando la contraria

opinione del Bembo (Giunte alle Prose del Bembo p.38, ed. di Nap. 1714). E a provarla egli si vale di duepassi dell'Opere del Petrarca. Questi parlando de' diversigeneri di letteratura e di poesia allora usati "Pars, dice(praef. ad Epist. famil.) mulcendis vulgi auribus intentasuis et ipsa legibus utebatur. Quod genus apud Siculos(ut fama est) non multis ante saeculis renatum brevi peromnem Italiam ac longius manavit; apud Graecorumolim ac Latinorum vetustissimos celebratum, si quidemet Romanos vulgares rhythmico tantum carmine uti soli-tos accepimus". Qui veggiam dunque affermarsi dal Pe-trarca, come cosa di cui correva allor tradizione, che al-23 Avvertasi ch'io fo qui il confronto tra le due sole lingue provenzale e italia-

na; e che al più il confronto si può stendere alle altre lingue volgari forma-te dalla latina. Quindi non mi pare opportuna l'aggiunta fatta dal sig. Landi(t. 2, p. 14) a questo passo della mia Storia, ove ci dice che la lingua tede-sca può contrastare agl'Italiani l'antichità della poesia. Più altre lingue, esingolarmente l'arabica, potrebbon entrare in questo contrasto. Ma ogniunvede ch'io non ragiono delle lingue che diconsi madri, ma di quelle chedalla lingua latina si son formate.

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Il Petrarca attribuisce ai Siciliani la lode di aver i primiusato delle rime.

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cuni secoli prima fosse tra' Siciliani rinato l'uso dellarima. Lo stesso sembra egli indicare nelle sue poesie an-noverando i poeti che scrisser d'amore.

Ecco i due Guidi che già furo in prezzo; Onesto bolognese, e i Siciliani Che fur già primi e quivi eran da sezzo (Trionfo d'Amorec. 4).

Nel qual secondo passo però non è abbastanza evidente,s'ei parli di primato di tempo, o anzi di merito (24). Manel primo non vi ha luogo ad alcun altro senso, fuorchèa quello che abbiam recato; e sembra perciò, che secon-do il parer del Petrarca debbasi ai Siciliani concederequesto vanto sopra i Provenzali. Nè egli era uomo, comeosserva li Muratori (l. c. ec. Della perfetta Poes. l. 1, c.3), a cui i Provenzali non fosser noti. Anzi egli vissutosì gran tempo fra loro, e giovatosi forse ancora talvoltade' loro versi, dovea pur risapere a qual tempo avessecominciato a fiorir tra essi la poesia e la rima.

24 Il ch. sig. d. Pietro Napoli Signorelli crede cotanto autorevole la testimo-nianza del Petrarca, il quale dà a' Siciliani la lode di avere i primi rinnova-ta l'arte del rimare che si meraviglia di me, come abbia potuto interpretarequelle parole in senso diverso (Vicende della coltura nelle due Sicilie t. 2,p. 194). E veramente se il Petrarca ce ne facesse sicura fede, non dovrem-mo sì facilmente rigettarne l'autorità. Ma per una parte ei ne parla come disemplice tradizione: ut fama est; per l'altra non abbiam finora rime sicilia-ne che nell'antichità agguaglino le provenzali, e perciò a me sembra che inquesta occasione a una testimonianza appoggiata alla semplice tradizionedebba antiporsi l'evidenza del fatto. Quanto poi all'origine e alle vicendedella poesia provenzale, più cose dovrem forse dire in altra occasione, cioèquando, piacendo a Dio, pubblicheremo il bell'opuscolo che su ciò scrissefin dal sec. XVI Giammaria Barbieri modenese, uomo in questa materiadottissimo.

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cuni secoli prima fosse tra' Siciliani rinato l'uso dellarima. Lo stesso sembra egli indicare nelle sue poesie an-noverando i poeti che scrisser d'amore.

Ecco i due Guidi che già furo in prezzo; Onesto bolognese, e i Siciliani Che fur già primi e quivi eran da sezzo (Trionfo d'Amorec. 4).

Nel qual secondo passo però non è abbastanza evidente,s'ei parli di primato di tempo, o anzi di merito (24). Manel primo non vi ha luogo ad alcun altro senso, fuorchèa quello che abbiam recato; e sembra perciò, che secon-do il parer del Petrarca debbasi ai Siciliani concederequesto vanto sopra i Provenzali. Nè egli era uomo, comeosserva li Muratori (l. c. ec. Della perfetta Poes. l. 1, c.3), a cui i Provenzali non fosser noti. Anzi egli vissutosì gran tempo fra loro, e giovatosi forse ancora talvoltade' loro versi, dovea pur risapere a qual tempo avessecominciato a fiorir tra essi la poesia e la rima.

24 Il ch. sig. d. Pietro Napoli Signorelli crede cotanto autorevole la testimo-nianza del Petrarca, il quale dà a' Siciliani la lode di avere i primi rinnova-ta l'arte del rimare che si meraviglia di me, come abbia potuto interpretarequelle parole in senso diverso (Vicende della coltura nelle due Sicilie t. 2,p. 194). E veramente se il Petrarca ce ne facesse sicura fede, non dovrem-mo sì facilmente rigettarne l'autorità. Ma per una parte ei ne parla come disemplice tradizione: ut fama est; per l'altra non abbiam finora rime sicilia-ne che nell'antichità agguaglino le provenzali, e perciò a me sembra che inquesta occasione a una testimonianza appoggiata alla semplice tradizionedebba antiporsi l'evidenza del fatto. Quanto poi all'origine e alle vicendedella poesia provenzale, più cose dovrem forse dire in altra occasione, cioèquando, piacendo a Dio, pubblicheremo il bell'opuscolo che su ciò scrissefin dal sec. XVI Giammaria Barbieri modenese, uomo in questa materiadottissimo.

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IV. Ma ad accertarci, se il Petrarca ab-bia scritto il vero, convien ricercare aqual tempo cominciassero i Provenzalia verseggiar volgarmente e a qual tem-po i Siciliani. Io lascio in disparte alcu-

ni più antichi esempj di poesie provenzali che si arreca-no dagli autori della Storia letteraria di Francia (t. 7,avertiss. p. 46, ec.) e dal Muratori (Antiq. Ital. vol. 3, p.708). Ma egli è certo che Guglielmo IX, conte di Poi-tiers, verso il fine dell'XI secolo e al principio del XIIscrisse poesie provenzali (Hist. littér. de la France t. 11,p. 44, Hist. de Languedoc. t. 2, p. 247) (25), alcune dellequali furono pubblicate, dall'Alteserra (Rerum Aquitan.l. 10, c. 14). Noi al contrario non possiamo addurre sicu-ro esempio di poesia italiana innanzi al fine del XII se-colo. Io so che il non trovarsi menzione di più antiche

25 Con quella stessa sincerità con cui ho confessato che si hanno poesie pro-venzali più antiche dell'italiane, avrei ancor confessato che delle poesiemedesime deesi l'onore e la lode non solo a' Francesi abitanti della Proven-za, ma anche agli Spagnoli abitanti della Catalogna, se avessi fatte le ri-flessioni che molto eruditamente ci vien schierando innanzi l'ab. Lampillas(par. 1, t. 2, p. 180), colle quali egli assai bene lo pruova. Questa quistionea me era indifferente, e pago di aver mostrato la mia imparzialità riguardoall'Italia, non ho creduto necessario l'entrare in una contesa che non puòessere che tra gli Spagnuoli e i Francesi. Ma che poi l'ab. Lampillas (p.193, ec.) affermi coraggiosamente che io e l'ab. Bettinelli per iscancellarnevieppiù ogni memoria, sfiguriamo stranamente il cognome de' loro princi-pi, senza che mai da noi vengano chiamati Conti di Barcellona, questo èuno de' consueti suoi complimenti, de' quali egli ci onora, dopo aver pro-fondamente spiate le secrete nostre intezioni "Egli innoltre troppo maggiorparte di lode nella prima origine della poesia provenzale alla sua nazioneha accordato di quel che veramente convengale. Ma non è di quest'operal'esame di questo punto".

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Sembra che i Pro-venzali prima degl'Italiani poe-tassero volgar-mente.

IV. Ma ad accertarci, se il Petrarca ab-bia scritto il vero, convien ricercare aqual tempo cominciassero i Provenzalia verseggiar volgarmente e a qual tem-po i Siciliani. Io lascio in disparte alcu-

ni più antichi esempj di poesie provenzali che si arreca-no dagli autori della Storia letteraria di Francia (t. 7,avertiss. p. 46, ec.) e dal Muratori (Antiq. Ital. vol. 3, p.708). Ma egli è certo che Guglielmo IX, conte di Poi-tiers, verso il fine dell'XI secolo e al principio del XIIscrisse poesie provenzali (Hist. littér. de la France t. 11,p. 44, Hist. de Languedoc. t. 2, p. 247) (25), alcune dellequali furono pubblicate, dall'Alteserra (Rerum Aquitan.l. 10, c. 14). Noi al contrario non possiamo addurre sicu-ro esempio di poesia italiana innanzi al fine del XII se-colo. Io so che il non trovarsi menzione di più antiche

25 Con quella stessa sincerità con cui ho confessato che si hanno poesie pro-venzali più antiche dell'italiane, avrei ancor confessato che delle poesiemedesime deesi l'onore e la lode non solo a' Francesi abitanti della Proven-za, ma anche agli Spagnoli abitanti della Catalogna, se avessi fatte le ri-flessioni che molto eruditamente ci vien schierando innanzi l'ab. Lampillas(par. 1, t. 2, p. 180), colle quali egli assai bene lo pruova. Questa quistionea me era indifferente, e pago di aver mostrato la mia imparzialità riguardoall'Italia, non ho creduto necessario l'entrare in una contesa che non puòessere che tra gli Spagnuoli e i Francesi. Ma che poi l'ab. Lampillas (p.193, ec.) affermi coraggiosamente che io e l'ab. Bettinelli per iscancellarnevieppiù ogni memoria, sfiguriamo stranamente il cognome de' loro princi-pi, senza che mai da noi vengano chiamati Conti di Barcellona, questo èuno de' consueti suoi complimenti, de' quali egli ci onora, dopo aver pro-fondamente spiate le secrete nostre intezioni "Egli innoltre troppo maggiorparte di lode nella prima origine della poesia provenzale alla sua nazioneha accordato di quel che veramente convengale. Ma non è di quest'operal'esame di questo punto".

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Sembra che i Pro-venzali prima degl'Italiani poe-tassero volgar-mente.

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poesie non basta a provare ch'esse non vi fossero vera-mente; poichè può essere che molto prima si comincias-se a poetare in lingua italiana, benchè di questi sì antichiversi non ci sia rimasta memoria. Ciò non ostante con-vien confessare che in cotai controversie, quegli credesivincitore, che ha in favor suo i monumenti più antichi.Quindi io inclino a credere che i Provenzali prima di noiprendessero a verseggiare. E forse il passo da noipoc'anzi allegato di Francesco Petrarca, in cui dice chela rima rinacque presso de' Siciliani, vuolsi intendere inquel senso in cui l'hanno spiegato gli autori della Storialetteraria di Francia (t. 7, avertiss. p. 49), cioè che i Nor-manni stabiliti nella Sicilia fin dall'XI secolo rinnovaro-no ivi l'uso della poesia rimata; e che da essi poi si spar-se per tutta l'Italia (26). Aggiungasi che un'altra pruovache dal Muratori si arreca (l. c. p. 705) a persuaderci chela poesia volgare non ebbe in Italia la prima origine da'Provenzali, a me pare che non abbia forza bastante apersuadercene. Egli produce l'autorità di Leonardo Are-tino, il quale nella Vita di Dante scrive così: "Comin-ciossi a dire in rima, secondo scrive Dante, innanzi a luicirca anni centocinquanta, e i primi furono in Italia Gui-do Guinizelli bolognese, ec." Ma non sembra questo adir vero, il sentimento di Dante. Egli nella Vita nuova ha

26 Se vuolsi attribuire a' Normanni l'origine della poesia rimata in Sicilia nonpuò accordarsi tal lode a' Provenzali; perciocchè due popoli furono essi dilingua e di costumi del tutto diversi. Ma io rifletto che non troviamo in Ita-lia saggio alcuno di poesia normanna, molti ne abbiamo di poesia proven-zale. E sembra perciò più verisimile che, se i Siciliani da altri appreserol'uso delle rime, da' provenzali l'apprendessero, non da' Normanni.

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poesie non basta a provare ch'esse non vi fossero vera-mente; poichè può essere che molto prima si comincias-se a poetare in lingua italiana, benchè di questi sì antichiversi non ci sia rimasta memoria. Ciò non ostante con-vien confessare che in cotai controversie, quegli credesivincitore, che ha in favor suo i monumenti più antichi.Quindi io inclino a credere che i Provenzali prima di noiprendessero a verseggiare. E forse il passo da noipoc'anzi allegato di Francesco Petrarca, in cui dice chela rima rinacque presso de' Siciliani, vuolsi intendere inquel senso in cui l'hanno spiegato gli autori della Storialetteraria di Francia (t. 7, avertiss. p. 49), cioè che i Nor-manni stabiliti nella Sicilia fin dall'XI secolo rinnovaro-no ivi l'uso della poesia rimata; e che da essi poi si spar-se per tutta l'Italia (26). Aggiungasi che un'altra pruovache dal Muratori si arreca (l. c. p. 705) a persuaderci chela poesia volgare non ebbe in Italia la prima origine da'Provenzali, a me pare che non abbia forza bastante apersuadercene. Egli produce l'autorità di Leonardo Are-tino, il quale nella Vita di Dante scrive così: "Comin-ciossi a dire in rima, secondo scrive Dante, innanzi a luicirca anni centocinquanta, e i primi furono in Italia Gui-do Guinizelli bolognese, ec." Ma non sembra questo adir vero, il sentimento di Dante. Egli nella Vita nuova ha

26 Se vuolsi attribuire a' Normanni l'origine della poesia rimata in Sicilia nonpuò accordarsi tal lode a' Provenzali; perciocchè due popoli furono essi dilingua e di costumi del tutto diversi. Ma io rifletto che non troviamo in Ita-lia saggio alcuno di poesia normanna, molti ne abbiamo di poesia proven-zale. E sembra perciò più verisimile che, se i Siciliani da altri appreserol'uso delle rime, da' provenzali l'apprendessero, non da' Normanni.

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queste parole (Op. t. 4, par. 1, p. 35 ed. ven. parag. 17):"E non è molto numero d'anni passati, che apparironoquesti poeti volgari.... e se volemo guardare in linguad'oco" (cioè nella provenzale) "e in lingua di si" (cioènella toscana) "noi non troviamo cose dette anzi il pre-sente tempo centocinquanta anni". Colle quali parole eisembra dare a un dipresso la medesima antichità allapoesia provenzale e alla italiana. Ma egli è certo che ab-biam poesie provenzali assai più di 150 anni innanzi a'tempi di Dante; perciocchè questi scrivea l'opera mento-vata l'an. 1295 (Vedi Mem. per la Vita di Dante parag.17); e già abbiam dimostrato, che almeno due secoli pri-ma erano quelle poesie in uso. Al contrario possiam cre-dere con fondamento che Dante abbia esagerata alquan-to l'antichità della poesia italiana, perchè egli stesso nonnomina poeta alcuno che sia vissuto innanzi al sec. XIII.Concediam dunque a' Provenzali il primato di temponella poesia volgare, e mostriamo con ciò, che paghidelle nostre glorie non invidiamo le altrui (27).

27 Il sig. ab. Lampillas ci avverte che al tempo di Federigo I, imperadore, gliSpagnuoli contribuirono assai alla coltura de' poeti siciliani (Sag.Apologet. par. 1, t. 2, p. 191). E come ciò? Perchè Federigo trovandosi inTorino fu visitato da Raimondo Berlinghieri conte di Barcellona e di Pro-venza accompagnato da gran turba di poeti provenzali, e avendo questi re-citate molte belle canzoni nella lor lingua, Federigo ne fu rapito per modo,che oltre al far loro splendidi doni compose egli medesimo in quella linguaun madrigale. La venuta del conte di Provenza Raimondo Berlinghieri II aTorino nel 1162 ad abboccarsi coll'imperadore Federigo è certa (V. PaponHist. de Provence t. 2, p. 239); e diasi ancora per vero ch'ei fosse accom-pagnato da molti poeti provenzali. Come sa egli l'ab. Lampillas, che que'poeti fossero spagnuoli? Raimondo Berlinghieri, dic'egli, era conte di Bar-cellona insieme e di Provenza. Ma ciò è falso. Conte di Barcellona era al-

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queste parole (Op. t. 4, par. 1, p. 35 ed. ven. parag. 17):"E non è molto numero d'anni passati, che apparironoquesti poeti volgari.... e se volemo guardare in linguad'oco" (cioè nella provenzale) "e in lingua di si" (cioènella toscana) "noi non troviamo cose dette anzi il pre-sente tempo centocinquanta anni". Colle quali parole eisembra dare a un dipresso la medesima antichità allapoesia provenzale e alla italiana. Ma egli è certo che ab-biam poesie provenzali assai più di 150 anni innanzi a'tempi di Dante; perciocchè questi scrivea l'opera mento-vata l'an. 1295 (Vedi Mem. per la Vita di Dante parag.17); e già abbiam dimostrato, che almeno due secoli pri-ma erano quelle poesie in uso. Al contrario possiam cre-dere con fondamento che Dante abbia esagerata alquan-to l'antichità della poesia italiana, perchè egli stesso nonnomina poeta alcuno che sia vissuto innanzi al sec. XIII.Concediam dunque a' Provenzali il primato di temponella poesia volgare, e mostriamo con ciò, che paghidelle nostre glorie non invidiamo le altrui (27).

27 Il sig. ab. Lampillas ci avverte che al tempo di Federigo I, imperadore, gliSpagnuoli contribuirono assai alla coltura de' poeti siciliani (Sag.Apologet. par. 1, t. 2, p. 191). E come ciò? Perchè Federigo trovandosi inTorino fu visitato da Raimondo Berlinghieri conte di Barcellona e di Pro-venza accompagnato da gran turba di poeti provenzali, e avendo questi re-citate molte belle canzoni nella lor lingua, Federigo ne fu rapito per modo,che oltre al far loro splendidi doni compose egli medesimo in quella linguaun madrigale. La venuta del conte di Provenza Raimondo Berlinghieri II aTorino nel 1162 ad abboccarsi coll'imperadore Federigo è certa (V. PaponHist. de Provence t. 2, p. 239); e diasi ancora per vero ch'ei fosse accom-pagnato da molti poeti provenzali. Come sa egli l'ab. Lampillas, che que'poeti fossero spagnuoli? Raimondo Berlinghieri, dic'egli, era conte di Bar-cellona insieme e di Provenza. Ma ciò è falso. Conte di Barcellona era al-

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V. Se poi gl'italiani apprendessero arimare da' Provenzali, ovver da altri,non è cosa sì agevole a stabilire.Converrebbe interrogar que' medesi-mi che prima d'ogni altro usarono

della rima; e chieder loro da chi prendesser l'esempio.

lora Raimondo Berlinghieri IV, zio del conte di Provenza (Art. de verifierles Dates ed. 1770, p. 743, 759), che postosi in viaggio col nipote morì pri-ma di giungere a Torino. Quindi se vi eran poeti in quel viaggio, essi pote-van essere ugualmente provenzali e spagnuoli. Ma fossero essi pure spa-gnuoli. Come contribuirono essi con ciò alla coltura de' poeti siciliani?Crede egli forse che Torino sia città della Sicilia? O forse crede che Fede-rigo I fosse re di Sicilia? Io nol crederò mai sì ignorante della geografia edella storia, ch'ei possa esser caduto in tali errori. Ci dica egli dunque digrazia, per qual modo l'accoglienza fatta da Federigo in Torino a' suppostipoeti spagnuoli e un madrigale da lui composto in lingua provenzale, potècontribuire al coltivamento dei Siciliani? Il sig. d. Pietro Napoli Signorelliha creduto (Vicende della coltura nelle due Sicilie t. 2, p. 237) che l'ab.Lampillas e gli autori da lui citati parlino dell'imp. Fedrigo II, di cui po-trebbesi ciò affermare con maggior verisimiglianza, se il fatto fosse vero.Ma essi parlano del primo. Anche il sig. ab. Arteaga ha creduto (Rivoluz.del teatro music. Ital. t. 1, p. 149 ed. ven.) che la venuta in Italia di Rai-mondo Berlinghieri o Berengario conte di Provenza e di Barcellona a visi-tare Federigo I molto contribuisse a spargere il gusto della poesia proven-zale in Italia. Ma è certo che a' tempi di Federigo I non troviamo tra gl'Ita-liani alcun poeta provenzale; e il solo che a quest'età appartiene, è Folchet-to di cui qui ragioniamo, il quale non già tra noi, ma in Marsiglia apprese apoetare provenzalmente, e il più antico Italiano che poetasse in Provenzaleè, a mio credere, il march. Alberto Malaspina, di cui diremo nel tomo se-guente; e che solo dopo il 1190 comincia ad essere nominato nelle storie.Non può negarsi però, che la poesia provenzale non cominciasse ad essereconosciuta e protetta in Italia poco dopo la metà del sec. XII. Ne abbiam lepruove nella Storia dell'ab. Millot, di cui diremo nella nota seguente. Veg-giamo in essa, che Bernardo di Ventadour diresse a Giovanna d'Este unasua canzone in cui esorta Federigo I a far pentire i Milanesi della lor ribel-lione (t. 1, p. 35), e in lode della medesima troviamo accennata una canzo-ne di un poeta anonimo, in cui si dice ch'essa rende pregevole il paese di

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Se gli italiani appren-dessero a rimare da' provenzali: Vite favo-lose di questi poeti.

V. Se poi gl'italiani apprendessero arimare da' Provenzali, ovver da altri,non è cosa sì agevole a stabilire.Converrebbe interrogar que' medesi-mi che prima d'ogni altro usarono

della rima; e chieder loro da chi prendesser l'esempio.

lora Raimondo Berlinghieri IV, zio del conte di Provenza (Art. de verifierles Dates ed. 1770, p. 743, 759), che postosi in viaggio col nipote morì pri-ma di giungere a Torino. Quindi se vi eran poeti in quel viaggio, essi pote-van essere ugualmente provenzali e spagnuoli. Ma fossero essi pure spa-gnuoli. Come contribuirono essi con ciò alla coltura de' poeti siciliani?Crede egli forse che Torino sia città della Sicilia? O forse crede che Fede-rigo I fosse re di Sicilia? Io nol crederò mai sì ignorante della geografia edella storia, ch'ei possa esser caduto in tali errori. Ci dica egli dunque digrazia, per qual modo l'accoglienza fatta da Federigo in Torino a' suppostipoeti spagnuoli e un madrigale da lui composto in lingua provenzale, potècontribuire al coltivamento dei Siciliani? Il sig. d. Pietro Napoli Signorelliha creduto (Vicende della coltura nelle due Sicilie t. 2, p. 237) che l'ab.Lampillas e gli autori da lui citati parlino dell'imp. Fedrigo II, di cui po-trebbesi ciò affermare con maggior verisimiglianza, se il fatto fosse vero.Ma essi parlano del primo. Anche il sig. ab. Arteaga ha creduto (Rivoluz.del teatro music. Ital. t. 1, p. 149 ed. ven.) che la venuta in Italia di Rai-mondo Berlinghieri o Berengario conte di Provenza e di Barcellona a visi-tare Federigo I molto contribuisse a spargere il gusto della poesia proven-zale in Italia. Ma è certo che a' tempi di Federigo I non troviamo tra gl'Ita-liani alcun poeta provenzale; e il solo che a quest'età appartiene, è Folchet-to di cui qui ragioniamo, il quale non già tra noi, ma in Marsiglia apprese apoetare provenzalmente, e il più antico Italiano che poetasse in Provenzaleè, a mio credere, il march. Alberto Malaspina, di cui diremo nel tomo se-guente; e che solo dopo il 1190 comincia ad essere nominato nelle storie.Non può negarsi però, che la poesia provenzale non cominciasse ad essereconosciuta e protetta in Italia poco dopo la metà del sec. XII. Ne abbiam lepruove nella Storia dell'ab. Millot, di cui diremo nella nota seguente. Veg-giamo in essa, che Bernardo di Ventadour diresse a Giovanna d'Este unasua canzone in cui esorta Federigo I a far pentire i Milanesi della lor ribel-lione (t. 1, p. 35), e in lode della medesima troviamo accennata una canzo-ne di un poeta anonimo, in cui si dice ch'essa rende pregevole il paese di

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Egli è certo però, che i nostri Italiani non sol conobberoi Provenzali, ma con loro ancora si unirono, e poetarononella lor lingua. Abbiamo le Vite de' Poeti provenzali,tra' quali se ne veggono alcuni italiani, scritte da Gio-vanni Nostradamus, e stampate a Lyon l'an. 1575. Egliafferma di averle tratte da alcune antiche Cronache de'monasteri di Lerins, di s. Vittore di Marsiglia, e di altri.Ma qualunque sia l'autorità di tali scrittori, le Vite da luipubblicate sono anzi favolosi romanzi, che vere Storie(28). Veggasi la dotta critica che ne hanno fatto i Maurini

Este, di Trevigi, della Lombardia, e della Toscana, e che risiede nel Ca-stello dell'Occasione (t. 3, p. 439, ec.), nome probabilmente allegorico.Questa Giovanna d'Este non è stata conosciuta dal Muratori, e fra i moltiprincipi di questa illustre famiglia, che circa la metà del XII secolo vissero,io non posso decidere di qual tra essi fosse figliuola. In un'altra canzone lostesso Bernardo nomina la Dama di Saluzzo, e la sua graziosa sorellaBeatrice del Viennese (t. 1, p. 36). Or la dama di Saluzzo dovette essereAlasia figlia di Guglielmo III, march. di Monferrato, e moglie di ManfredoII, march. di Saluzzo (V. Tenivelli Biografia piemont. t. 2, Albero de'Mar-ch. di Monferrato); della quale sembra che fosse sorella, benchè nell'Albe-ro de' Marchesi di Monferrato non sia nominata, Beatrice di Monferratomoglie di Guigo V, conte del Viennese succeduto già in età pupillare aGuido Delfino suo padre l'an 1149 (Art. de verifier les Dates p. 759). Con-vien dunque dire che i poeti provenzali cominciassero a spargersi per l'Ita-lia, e a trovar protezione presso i principi italiani. Nelle lor vite però pub-blicate da m. Millot io non trovo circa questi tempi menzion di alcun altropoeta provenzale che fosse tra noi, fuorchè di Oglero viennese a' tempi diFederigo I, di cui si dice che fu lungamente in Lombardia, e che lodò ilmarch. di Monferrato (t. 1, p. 340), cioè probabilmente il suddetto Gugliel-mo III.

28 Dopo la pubblicazione di questo e del seguente tomo della mia Storia, èstata pubblicata in Parigi nel 1774, l'Histoire littéraire des Troubadoursscritta dall'ab. Millot, e raccolta dagl'immensi volumi che su questo argo-mento avea compilati m. de Sainte-Palaye. Dopo le fatiche di questi qua-rant'anni, quanti ne ha spesi il secondo in radunar le materie di sì vastaopera, vi era motivo a sperare che la Storia de' Poeti provenzali dovesse

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Egli è certo però, che i nostri Italiani non sol conobberoi Provenzali, ma con loro ancora si unirono, e poetarononella lor lingua. Abbiamo le Vite de' Poeti provenzali,tra' quali se ne veggono alcuni italiani, scritte da Gio-vanni Nostradamus, e stampate a Lyon l'an. 1575. Egliafferma di averle tratte da alcune antiche Cronache de'monasteri di Lerins, di s. Vittore di Marsiglia, e di altri.Ma qualunque sia l'autorità di tali scrittori, le Vite da luipubblicate sono anzi favolosi romanzi, che vere Storie(28). Veggasi la dotta critica che ne hanno fatto i Maurini

Este, di Trevigi, della Lombardia, e della Toscana, e che risiede nel Ca-stello dell'Occasione (t. 3, p. 439, ec.), nome probabilmente allegorico.Questa Giovanna d'Este non è stata conosciuta dal Muratori, e fra i moltiprincipi di questa illustre famiglia, che circa la metà del XII secolo vissero,io non posso decidere di qual tra essi fosse figliuola. In un'altra canzone lostesso Bernardo nomina la Dama di Saluzzo, e la sua graziosa sorellaBeatrice del Viennese (t. 1, p. 36). Or la dama di Saluzzo dovette essereAlasia figlia di Guglielmo III, march. di Monferrato, e moglie di ManfredoII, march. di Saluzzo (V. Tenivelli Biografia piemont. t. 2, Albero de'Mar-ch. di Monferrato); della quale sembra che fosse sorella, benchè nell'Albe-ro de' Marchesi di Monferrato non sia nominata, Beatrice di Monferratomoglie di Guigo V, conte del Viennese succeduto già in età pupillare aGuido Delfino suo padre l'an 1149 (Art. de verifier les Dates p. 759). Con-vien dunque dire che i poeti provenzali cominciassero a spargersi per l'Ita-lia, e a trovar protezione presso i principi italiani. Nelle lor vite però pub-blicate da m. Millot io non trovo circa questi tempi menzion di alcun altropoeta provenzale che fosse tra noi, fuorchè di Oglero viennese a' tempi diFederigo I, di cui si dice che fu lungamente in Lombardia, e che lodò ilmarch. di Monferrato (t. 1, p. 340), cioè probabilmente il suddetto Gugliel-mo III.

28 Dopo la pubblicazione di questo e del seguente tomo della mia Storia, èstata pubblicata in Parigi nel 1774, l'Histoire littéraire des Troubadoursscritta dall'ab. Millot, e raccolta dagl'immensi volumi che su questo argo-mento avea compilati m. de Sainte-Palaye. Dopo le fatiche di questi qua-rant'anni, quanti ne ha spesi il secondo in radunar le materie di sì vastaopera, vi era motivo a sperare che la Storia de' Poeti provenzali dovesse

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autori della Storia generale della Linguadoca (t. 2, p.518, ec.) e l'ab. Goujet (Bibl. franc. t. 8. p. 298, ec.). Iomi stupisco però che non solo il Crescimbeni (Comm.della volgar. Poes. t. 2, par. 1, p. 5, ec.), ma il Quadrioancora (Stor. della Poes. t. 2, p. 108, ec.) vissuto in tem-pi assai più rischiarati, le abbiano troppo buonamenteadottate, e inserite nelle lor opere; benchè pure il Cre-scimbeni le abbia con alcune utili note illustrare soven-te, il che ha trascurato di fare il Quadrio. Assai migliorinotizie si potrebbon raccogliere da' codici mss. di cotaipoesie, che si conservano nella biblioteca reale in Parigi,nella vaticana, nella laurenziana, e in alcune altre d'Ita-lia, ne' quali veggonsi ancor le Vite de' loro autori, forseanch'esse non prive di favolosi racconti, ma certo assaimeno di quelle del Nostradamus. Due codici ne ha fra le

ormai essere rischiarata per modo, che appena rimanesser più tenebre adissipare. Ma l'aspettazione degli eruditi è stata delusa; e dopo la pubblica-zione di questa opera si può ben dire che son più note le poesie de' Proven-zali, e che molte belle notizie riguardo ai costumi di quell'età vi s'incontra-no; ma che le lor Vite son quasi avvolte nell'antica loro oscurità. In questogiornale di Modena è stato inserito l'estratto dell'accennata storia, in cui sene scuoprono molti errori e molte inesattezze; e si mostra tra le altre cose,che il bellissimo codice Estense delle Poesie provenzali, che pur è statoveduto da m. de Sainte-Palaye, si descrive in modo, come s'ei mai l'avesseveduto (t. 9, p. 63). Le Vite de' Poeti son tratte comunemente da' codicich'io pure ho citati, ma non sempre si confronta i lor racconti colle Storiepiù sicure di quell'età, il qual confronto avrebbe fatti scoprire non pochi er-rori che in dette Vite son corsi. Leggasi a cagion d'esempio la Vita di Fol-chetto da Marsiglia (t. 1, p. 179, ec.), e si vedrà che, benchè qui si ammet-tono alcune favole da me ancor confutate, altre cose però si affermano,senza recarne pruova, che a me son sembrate improbabili e false. Ciò chevi ha in questa di più pregevole è il racconto delle cose fatte da Folchettocontro gli Albigesi, mentr'era vescovo, delle quali io non ho fatta menzio-ne, perchè erano estranee al mio argomento.

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autori della Storia generale della Linguadoca (t. 2, p.518, ec.) e l'ab. Goujet (Bibl. franc. t. 8. p. 298, ec.). Iomi stupisco però che non solo il Crescimbeni (Comm.della volgar. Poes. t. 2, par. 1, p. 5, ec.), ma il Quadrioancora (Stor. della Poes. t. 2, p. 108, ec.) vissuto in tem-pi assai più rischiarati, le abbiano troppo buonamenteadottate, e inserite nelle lor opere; benchè pure il Cre-scimbeni le abbia con alcune utili note illustrare soven-te, il che ha trascurato di fare il Quadrio. Assai migliorinotizie si potrebbon raccogliere da' codici mss. di cotaipoesie, che si conservano nella biblioteca reale in Parigi,nella vaticana, nella laurenziana, e in alcune altre d'Ita-lia, ne' quali veggonsi ancor le Vite de' loro autori, forseanch'esse non prive di favolosi racconti, ma certo assaimeno di quelle del Nostradamus. Due codici ne ha fra le

ormai essere rischiarata per modo, che appena rimanesser più tenebre adissipare. Ma l'aspettazione degli eruditi è stata delusa; e dopo la pubblica-zione di questa opera si può ben dire che son più note le poesie de' Proven-zali, e che molte belle notizie riguardo ai costumi di quell'età vi s'incontra-no; ma che le lor Vite son quasi avvolte nell'antica loro oscurità. In questogiornale di Modena è stato inserito l'estratto dell'accennata storia, in cui sene scuoprono molti errori e molte inesattezze; e si mostra tra le altre cose,che il bellissimo codice Estense delle Poesie provenzali, che pur è statoveduto da m. de Sainte-Palaye, si descrive in modo, come s'ei mai l'avesseveduto (t. 9, p. 63). Le Vite de' Poeti son tratte comunemente da' codicich'io pure ho citati, ma non sempre si confronta i lor racconti colle Storiepiù sicure di quell'età, il qual confronto avrebbe fatti scoprire non pochi er-rori che in dette Vite son corsi. Leggasi a cagion d'esempio la Vita di Fol-chetto da Marsiglia (t. 1, p. 179, ec.), e si vedrà che, benchè qui si ammet-tono alcune favole da me ancor confutate, altre cose però si affermano,senza recarne pruova, che a me son sembrate improbabili e false. Ciò chevi ha in questa di più pregevole è il racconto delle cose fatte da Folchettocontro gli Albigesi, mentr'era vescovo, delle quali io non ho fatta menzio-ne, perchè erano estranee al mio argomento.

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altre questa estense biblioteca, uno di singolar pregioscritto l'an 1254, ma in esso non veggonsi le Vite de'Provenzali; l'altro assai più recente, e in esso se ne leg-gono alcune; delle quali ragioneremo nel tomo seguente,a cui per ragion di tempo appartengono. Tra quelli delprimo codice alcuni ve ne ha per avventura italiani, ben-chè dal Nostradamus si dican di patria provenzali; manon avendo noi più distinta contezza nè del tempo, a cuiessi vissero, nè della lor vita, non possiamo dirne più ol-tre.

VI. Quegli che sembra aver vissuto almenoin parte a questa età, benchè toccasse in par-te ancor la seguente, è Folco ossia Folchet-to, soprannomato di Marsiglia, ma genovesedi patria. Di lui narra il Nostradamus rico-piato e tradotto dal Crescimbeni e dal Qua-

drio (l. c. p. 115), che fu figliuolo di un mercatante ge-novese detto Alfonso che abitava in Marsiglia; che fuassai caro a Riccardo re d'Inghilterra, al conte Raimon-do di Tolosa, a Barral signore cioè visconte di Marsiglia,e ad Adelasia detta da altri Adelaide di lui moglie (29), in29 Nella prima edizione ho negato che Adelaide da Roccamartina fosse mo-

glie di Barral visconte di Marsiglia. Ma il p. Papon nella sua erudita edesatta Storia di Provenza ha osservato e provato (t. 2, p. 258) che ella fuveramente moglie di Barral, il quale poi ripudiatala verso il fin de' suoigiorni prese in seconde nozze Maria figlia di Guglielmo conte di Montpel-lier. Il sopraccitato p. Papon nel secondo e nel terzo tomo della suddettasua Storia molte notizie ha inserite de' poeti provenzali natii di quelle pro-vincie, tratte più dalle memorie MSS, di m. di Sainte-Palaye da lui comu-

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Notizie di Folchetto: errori degli altri scritto-ri nel ragio-narne.

altre questa estense biblioteca, uno di singolar pregioscritto l'an 1254, ma in esso non veggonsi le Vite de'Provenzali; l'altro assai più recente, e in esso se ne leg-gono alcune; delle quali ragioneremo nel tomo seguente,a cui per ragion di tempo appartengono. Tra quelli delprimo codice alcuni ve ne ha per avventura italiani, ben-chè dal Nostradamus si dican di patria provenzali; manon avendo noi più distinta contezza nè del tempo, a cuiessi vissero, nè della lor vita, non possiamo dirne più ol-tre.

VI. Quegli che sembra aver vissuto almenoin parte a questa età, benchè toccasse in par-te ancor la seguente, è Folco ossia Folchet-to, soprannomato di Marsiglia, ma genovesedi patria. Di lui narra il Nostradamus rico-piato e tradotto dal Crescimbeni e dal Qua-

drio (l. c. p. 115), che fu figliuolo di un mercatante ge-novese detto Alfonso che abitava in Marsiglia; che fuassai caro a Riccardo re d'Inghilterra, al conte Raimon-do di Tolosa, a Barral signore cioè visconte di Marsiglia,e ad Adelasia detta da altri Adelaide di lui moglie (29), in29 Nella prima edizione ho negato che Adelaide da Roccamartina fosse mo-

glie di Barral visconte di Marsiglia. Ma il p. Papon nella sua erudita edesatta Storia di Provenza ha osservato e provato (t. 2, p. 258) che ella fuveramente moglie di Barral, il quale poi ripudiatala verso il fin de' suoigiorni prese in seconde nozze Maria figlia di Guglielmo conte di Montpel-lier. Il sopraccitato p. Papon nel secondo e nel terzo tomo della suddettasua Storia molte notizie ha inserite de' poeti provenzali natii di quelle pro-vincie, tratte più dalle memorie MSS, di m. di Sainte-Palaye da lui comu-

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Notizie di Folchetto: errori degli altri scritto-ri nel ragio-narne.

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lode della quale scrisse molte canzoni; che essendo essimorti quasi tutti al medesimo tempo, annojato del mon-do entrò tra' Cisterciensi; che fu fatto abate di Torondet-to presso Luco in Provenza, indi vescovo prima di Mar-siglia, e poi di Tolosa, ove morì circa l'an. 1213. Cosìquesti scrittori, nel racconto de' quali molte cose sonoche non reggono a una giusta critica. I tre principi che sifanno morire quasi ad un tempo, morirono in molta di-stanza l'uno dall'altro; Riccardo I, re d'Inghilterra, l'an.1199, Raimondo V, conte di Tolosa, l'an. 1194, Barralvisconte di Marisiglia nell'an. 1192. (Hist. génér. deLanguedoc. t. 3, p. 94, 106). In un codice della real bi-blioteca di Parigi (ib. p. 142) si dice che Folchetto eraassai amato da Alfonso IX, re di Castiglia; e che quandoei fu disfatto a Calatrava da' Saracini, Folchetto adope-rossi per trovargli soccorso; che poscia Adelaide cac-ciollo lungi da sè; e che egli allor ritirossi presso Eudos-sia Comnena moglie di Guglielmo di Montpellier; e chedopo la morte de' suddetti signori ei si fè monaco nellamentovata badia, donde poi fu tratto per esser fatto ve-scovo di Tolosa. Benchè anche in questo codice si con-tengan più cose che a me sembrano favolose, nondime-no non vi si scorgono tanti errori, quanti nella Vita scrit-ta dal Nostradamus. Perciocchè questi, oltre le altrecose, dice, come abbiamo osservato, che Folco fu primavescovo di Marsiglia, e poi di Tolosa. Or tra' vescovi di

nicategli, che dal compendio fattone da m. Millot. Parla egli adunque an-cor di Folchetto; ma ne dice a un dipresso le cose stesse, che ne narra ilsuddetto m. Millot.

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lode della quale scrisse molte canzoni; che essendo essimorti quasi tutti al medesimo tempo, annojato del mon-do entrò tra' Cisterciensi; che fu fatto abate di Torondet-to presso Luco in Provenza, indi vescovo prima di Mar-siglia, e poi di Tolosa, ove morì circa l'an. 1213. Cosìquesti scrittori, nel racconto de' quali molte cose sonoche non reggono a una giusta critica. I tre principi che sifanno morire quasi ad un tempo, morirono in molta di-stanza l'uno dall'altro; Riccardo I, re d'Inghilterra, l'an.1199, Raimondo V, conte di Tolosa, l'an. 1194, Barralvisconte di Marisiglia nell'an. 1192. (Hist. génér. deLanguedoc. t. 3, p. 94, 106). In un codice della real bi-blioteca di Parigi (ib. p. 142) si dice che Folchetto eraassai amato da Alfonso IX, re di Castiglia; e che quandoei fu disfatto a Calatrava da' Saracini, Folchetto adope-rossi per trovargli soccorso; che poscia Adelaide cac-ciollo lungi da sè; e che egli allor ritirossi presso Eudos-sia Comnena moglie di Guglielmo di Montpellier; e chedopo la morte de' suddetti signori ei si fè monaco nellamentovata badia, donde poi fu tratto per esser fatto ve-scovo di Tolosa. Benchè anche in questo codice si con-tengan più cose che a me sembrano favolose, nondime-no non vi si scorgono tanti errori, quanti nella Vita scrit-ta dal Nostradamus. Perciocchè questi, oltre le altrecose, dice, come abbiamo osservato, che Folco fu primavescovo di Marsiglia, e poi di Tolosa. Or tra' vescovi di

nicategli, che dal compendio fattone da m. Millot. Parla egli adunque an-cor di Folchetto; ma ne dice a un dipresso le cose stesse, che ne narra ilsuddetto m. Millot.

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quella città noi troviamo bensì un Folco; ma egli era ve-scovo fin dal 1174 (Gallia sacra t. 1, p. 648 ed. paris.1715), e perciò se è vero che Folco abbracciasse la vitamonastica sol dopo la morte de' personaggi suddetti, einon poteva esser vescovo fin da quest'anno. Aggiungasiche per testimonio di Guglielmo di Puy Laurent scrittorecontemporaneo il Folco vescovo di Tolosa era stato pri-ma non vescovo di Marsiglia, ma abate di Torondetto, efu eletto vescovo l'an. 1205 (ib.); al che mi stupisco chenon abbiano posta mente gli autori della Storia letterariadi Francia, che hanno ciecamente seguito il racconto delNostradamus (t. 9, p. 177) (30). Più semplice, e perciòmeno inverisimile, si è il racconto che si legge in un co-dice della Vaticana citato dal Crescimbeni (Comm. dellavolg. Poes. t. 2, par. 1, p. 38), che alcune rime ancora neha pubblicato (ib. p. 237), ove senza tante amorose peri-pezie si legge solo che amò la moglie di Barral, e che fuavuto in pregio da' personaggi mentovati poc'anzi, che,morti essi, si fece monaco insiem colla moglie e con duefigliuoli, e poscia fu fatto abate, e quindi vescovo di To-losa. Ma perchè il saggio che abbiam qui dato dell'esat-tezza con cui sono scritte le Vite de' Poeti provenzali, ciavvisa a non affidarci troppo a' racconti del Nostrada-mus, e degli altri scrittori di cotai Vite, perciò io non ar-disco di diffinir su ciò cosa alcuna. Due sole circostanzedella vita di Folchetto si affermano ancor dal Petrarca,

30 La distinzione del Folco vescovo di Marsilia dal 1170 fino al 1185 dal poe-ta provenzale poi abate di Torondetto, e per ultimo vescovo di Tolosa nel1205, è stata chiaramente provata dal suddetto p. Papon (t. 1, p. 3, 47).

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quella città noi troviamo bensì un Folco; ma egli era ve-scovo fin dal 1174 (Gallia sacra t. 1, p. 648 ed. paris.1715), e perciò se è vero che Folco abbracciasse la vitamonastica sol dopo la morte de' personaggi suddetti, einon poteva esser vescovo fin da quest'anno. Aggiungasiche per testimonio di Guglielmo di Puy Laurent scrittorecontemporaneo il Folco vescovo di Tolosa era stato pri-ma non vescovo di Marsiglia, ma abate di Torondetto, efu eletto vescovo l'an. 1205 (ib.); al che mi stupisco chenon abbiano posta mente gli autori della Storia letterariadi Francia, che hanno ciecamente seguito il racconto delNostradamus (t. 9, p. 177) (30). Più semplice, e perciòmeno inverisimile, si è il racconto che si legge in un co-dice della Vaticana citato dal Crescimbeni (Comm. dellavolg. Poes. t. 2, par. 1, p. 38), che alcune rime ancora neha pubblicato (ib. p. 237), ove senza tante amorose peri-pezie si legge solo che amò la moglie di Barral, e che fuavuto in pregio da' personaggi mentovati poc'anzi, che,morti essi, si fece monaco insiem colla moglie e con duefigliuoli, e poscia fu fatto abate, e quindi vescovo di To-losa. Ma perchè il saggio che abbiam qui dato dell'esat-tezza con cui sono scritte le Vite de' Poeti provenzali, ciavvisa a non affidarci troppo a' racconti del Nostrada-mus, e degli altri scrittori di cotai Vite, perciò io non ar-disco di diffinir su ciò cosa alcuna. Due sole circostanzedella vita di Folchetto si affermano ancor dal Petrarca,

30 La distinzione del Folco vescovo di Marsilia dal 1170 fino al 1185 dal poe-ta provenzale poi abate di Torondetto, e per ultimo vescovo di Tolosa nel1205, è stata chiaramente provata dal suddetto p. Papon (t. 1, p. 3, 47).

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cioè ch'egli fosse genovese, benchè pel soggiorno inMarsiglia da questa seconda città prendesse il nome; ech'egli, abbandonato il mondo, si ritirasse in un chiostro:

Folchetto che a Marsiglia il nome ha dato, Ed a Genova tolto, ed a l'estremo Cangiò per miglior patria abito e stato (Trionfo d'Amore c.4).

Della patria di Folco abbiamo ancora una più antica te-stimonianza in Dante che lo introduce a favellare in talmodo:

Di quella valle fu' io littorano, Tra Ebro e Macra, che per cammin corto Lo genovese parte dal toscano (Parad. c. 9)

VII. Nulla men difficile a sciogliere è l'ulti-ma quistione che qui ci si offre a trattare,cioè quando precisamente avesse tra noi ori-gine la poesia italiana, e chi fosse il primoad usarne. Ciò che è certo, si è che poesieitaliane di regolar metro a questi tempi an-cor non si videro. Solo due abbozzi, per così

dire, se ne producon dopo altri dal Quadrio, uno dell'an.1135, l'altro del 1184; il quale secondo, benchè sia di unanno posteriore all'epoca di cui trattiamo, per la vicinan-za nondimeno del tempo e per la somiglianza dell'argo-mento ci cade in acconcio l'esaminare a questo luogo. Ilprimo saggio di poesia è un'iscrizione della chiesa catte-drale di Ferrara posta sopra l'arco dell'altar maggiore,

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Iscrizione in versi ita-liani nel duomo di Ferrara, se debba am-mettersi persincera.

cioè ch'egli fosse genovese, benchè pel soggiorno inMarsiglia da questa seconda città prendesse il nome; ech'egli, abbandonato il mondo, si ritirasse in un chiostro:

Folchetto che a Marsiglia il nome ha dato, Ed a Genova tolto, ed a l'estremo Cangiò per miglior patria abito e stato (Trionfo d'Amore c.4).

Della patria di Folco abbiamo ancora una più antica te-stimonianza in Dante che lo introduce a favellare in talmodo:

Di quella valle fu' io littorano, Tra Ebro e Macra, che per cammin corto Lo genovese parte dal toscano (Parad. c. 9)

VII. Nulla men difficile a sciogliere è l'ulti-ma quistione che qui ci si offre a trattare,cioè quando precisamente avesse tra noi ori-gine la poesia italiana, e chi fosse il primoad usarne. Ciò che è certo, si è che poesieitaliane di regolar metro a questi tempi an-cor non si videro. Solo due abbozzi, per così

dire, se ne producon dopo altri dal Quadrio, uno dell'an.1135, l'altro del 1184; il quale secondo, benchè sia di unanno posteriore all'epoca di cui trattiamo, per la vicinan-za nondimeno del tempo e per la somiglianza dell'argo-mento ci cade in acconcio l'esaminare a questo luogo. Ilprimo saggio di poesia è un'iscrizione della chiesa catte-drale di Ferrara posta sopra l'arco dell'altar maggiore,

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Iscrizione in versi ita-liani nel duomo di Ferrara, se debba am-mettersi persincera.

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che ha così: In mille cento trentacinque nato Fo questo tempio a Zorzi consecrato: Fo Nicolao Scolptore E Glielmo fo l'autore (Quadrio t. 1, p. 43)

Dalla qual iscrizione raccoglie il celebre Baruffaldi neldiscorso premesso alle Rime de' Poeti ferraresi, che inFerrara prima che altrove si cominciasse a verseggiarein lingua italiana. E certo se questa iscrizione fu vera-mente fatta a quel tempo, ella è il più antico, e perciò ilpiù pregevole monumento di volgar poesia. Ma chi cene assicura? Non potè egli forse accadere che a tempiofabbricato l'an. 1135 si aggiugnesse dopo molti anniquesta iscrizione? E parmi che vi sia qualche ragioneche ce ne muova sospetto. Egli è certissimo, per comuneconsenso, che a que' tempi non erasi ancor cominciato ascrivere italianamente; sicchè al più se ne trova congrande stento qualche rarissimo saggio qua e là sparso.Or è egli possibile che, trattandosi di un pubblico monu-mento, si volesse usare di questa lingua? Anche al pre-sente nelle iscrizioni di questo genere più frequentemen-te assai si adopera il latino che non l'italiano. Crederemnoi dunque che, mentre appena nasceva la nostra lingua,ella fosse usata in una tal occasione? Io confesso chenon so indurmi a crederlo, finchè non se ne adducanopiù certe pruove (31).

31 Il ch. p. Ireneo Affò nell'erudita dissertazione premessa al Dizionario poe-tico da lui stampato in Parma nel 1777, esamina minutamente questi dueantichissimi monumenti della volgar poesia, e ce ne dà una esattissima de-

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che ha così: In mille cento trentacinque nato Fo questo tempio a Zorzi consecrato: Fo Nicolao Scolptore E Glielmo fo l'autore (Quadrio t. 1, p. 43)

Dalla qual iscrizione raccoglie il celebre Baruffaldi neldiscorso premesso alle Rime de' Poeti ferraresi, che inFerrara prima che altrove si cominciasse a verseggiarein lingua italiana. E certo se questa iscrizione fu vera-mente fatta a quel tempo, ella è il più antico, e perciò ilpiù pregevole monumento di volgar poesia. Ma chi cene assicura? Non potè egli forse accadere che a tempiofabbricato l'an. 1135 si aggiugnesse dopo molti anniquesta iscrizione? E parmi che vi sia qualche ragioneche ce ne muova sospetto. Egli è certissimo, per comuneconsenso, che a que' tempi non erasi ancor cominciato ascrivere italianamente; sicchè al più se ne trova congrande stento qualche rarissimo saggio qua e là sparso.Or è egli possibile che, trattandosi di un pubblico monu-mento, si volesse usare di questa lingua? Anche al pre-sente nelle iscrizioni di questo genere più frequentemen-te assai si adopera il latino che non l'italiano. Crederemnoi dunque che, mentre appena nasceva la nostra lingua,ella fosse usata in una tal occasione? Io confesso chenon so indurmi a crederlo, finchè non se ne adducanopiù certe pruove (31).

31 Il ch. p. Ireneo Affò nell'erudita dissertazione premessa al Dizionario poe-tico da lui stampato in Parma nel 1777, esamina minutamente questi dueantichissimi monumenti della volgar poesia, e ce ne dà una esattissima de-

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VIII. Il secondo saggio di volgar poesia danoi accennato si riferisce da Vincenzo Bor-ghini (Discorsi par. 2, p. 26), e dopo altridal Quadrio (t. 2, p. 150), e dicesi tratto dauna lapida che a' tempi ancor del Borghiniconservavasi in Firenze nella nobil casaUbaldini. Questo autore l'ha fatta scolpire in

rame colla forma medesima de' caratteri che in essa siveggono. Ivi ella non è scritta a foggia di versi, ma tuttadi seguito come prosa. Io la recherò qui, qual è statapubblicata dal Quadrio, divisa, come sembra richiederequel qualunque metro, in cui è scritta.

De favore isto Gratias refero Christo. Factus in Festo Serenae Sanctae Mariae Magdalenae. Ipsa peculiariter adori Ad Deum pro me peccatori. Con lo meo cantare Dallo vero vero narrare

scrizione. Egli pure rigetta come supposta la lapida della nobil famigliaUbaldini; ma crede sicura ed autentica l'iscrizione ferrarese; e si fonda sin-golarmente sulla figura de' caratteri in essa usati. A me par certo di averveduta qualche iscrizione del sec. XIV, e anche del XV formata con carat-teri somiglianti; ma ancorchè ciò non fosse, perchè questo argomentoavesse tutta la sua forza, converrebbe aver sotto l'occhio il sasso medesi-mo, e la iscrizione, qual fu in essa scolpita. Ma esso più non esiste, e dellaiscrizione non abbiamo che copie, ed esse ancor fatte da tali persone, dellequali non possiamo abbastanza fidarci. Il che congiunto all'autorità delGuarini che afferma quella iscrizione non essere stata scolpita che nel1340, confesso che mi tien tuttora dubbioso sulla antichità di un tal monu-mento.

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Altro sag-gio suppo-sto di poe-sia italiana in una lapi-da di casa Ubaldini.

VIII. Il secondo saggio di volgar poesia danoi accennato si riferisce da Vincenzo Bor-ghini (Discorsi par. 2, p. 26), e dopo altridal Quadrio (t. 2, p. 150), e dicesi tratto dauna lapida che a' tempi ancor del Borghiniconservavasi in Firenze nella nobil casaUbaldini. Questo autore l'ha fatta scolpire in

rame colla forma medesima de' caratteri che in essa siveggono. Ivi ella non è scritta a foggia di versi, ma tuttadi seguito come prosa. Io la recherò qui, qual è statapubblicata dal Quadrio, divisa, come sembra richiederequel qualunque metro, in cui è scritta.

De favore isto Gratias refero Christo. Factus in Festo Serenae Sanctae Mariae Magdalenae. Ipsa peculiariter adori Ad Deum pro me peccatori. Con lo meo cantare Dallo vero vero narrare

scrizione. Egli pure rigetta come supposta la lapida della nobil famigliaUbaldini; ma crede sicura ed autentica l'iscrizione ferrarese; e si fonda sin-golarmente sulla figura de' caratteri in essa usati. A me par certo di averveduta qualche iscrizione del sec. XIV, e anche del XV formata con carat-teri somiglianti; ma ancorchè ciò non fosse, perchè questo argomentoavesse tutta la sua forza, converrebbe aver sotto l'occhio il sasso medesi-mo, e la iscrizione, qual fu in essa scolpita. Ma esso più non esiste, e dellaiscrizione non abbiamo che copie, ed esse ancor fatte da tali persone, dellequali non possiamo abbastanza fidarci. Il che congiunto all'autorità delGuarini che afferma quella iscrizione non essere stata scolpita che nel1340, confesso che mi tien tuttora dubbioso sulla antichità di un tal monu-mento.

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Altro sag-gio suppo-sto di poe-sia italiana in una lapi-da di casa Ubaldini.

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Nullo ne diparto. Anno milesimo Christi Salute centesimo Octuagesimo quarto. Cacciato da Veltri A furore per quindi eltri Mugellani cespi un Cervo Per li corni ollo fermato. Ubaldino Genio anticato Allo Sacro Imperio Servo Uco piede ad avacciarmi Et con le mani aggrapparmi Alli corni suoi d'un tratto Lo magno Sir Fedrico Che scorgeo lo 'ntralcico Acorso lo svenò di fatto. Però mi feo don della Cornata fronte bella, Et per le ramora degna: Et vuole che la sia De la Prosapia mia Gradiuta insegna. Lo meo Padre è Ugicio, E Guarento Avo mio Già d'Ugicio, già d'Azo Dello già Ubaldino, Dello già Gotichino, Dello già Luconazo.

Di questa lapida dice il Borghini che si fa ancora memo-ria in un contratto del 1414, come di cosa dagli uominidi quella famiglia avuta in gran pregio. Ma dovremmonoi forse sospettare qui ancora di qualche inganno? Il

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Nullo ne diparto. Anno milesimo Christi Salute centesimo Octuagesimo quarto. Cacciato da Veltri A furore per quindi eltri Mugellani cespi un Cervo Per li corni ollo fermato. Ubaldino Genio anticato Allo Sacro Imperio Servo Uco piede ad avacciarmi Et con le mani aggrapparmi Alli corni suoi d'un tratto Lo magno Sir Fedrico Che scorgeo lo 'ntralcico Acorso lo svenò di fatto. Però mi feo don della Cornata fronte bella, Et per le ramora degna: Et vuole che la sia De la Prosapia mia Gradiuta insegna. Lo meo Padre è Ugicio, E Guarento Avo mio Già d'Ugicio, già d'Azo Dello già Ubaldino, Dello già Gotichino, Dello già Luconazo.

Di questa lapida dice il Borghini che si fa ancora memo-ria in un contratto del 1414, come di cosa dagli uominidi quella famiglia avuta in gran pregio. Ma dovremmonoi forse sospettare qui ancora di qualche inganno? Il

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Fontanini ne mosse dubbio (Dell'Eloq. p. 118) fondatosulla forma medesima de' caratteri, i quali, a dir vero,anche a me sembrano di tempo assai posteriore. A que-sta difficoltà altro non risponde il Quadrio, se non chefrivole affatto sono le ragioni da dubitarne; risposta tan-to facile a darsi, quanto difficile a sostenersi. Ma un'altradifficoltà io vi trovo maggiore assai, benchè solo accen-nata come cosa dubbiosa dal Fontanini. Ne' versipoc'anzi recati si asserisce che Federigo I l'an. 1184 a'22 di luglio, nel qual giorno cade la festa di s. MariaMaddalena, era in Toscana, e andò a caccia in Mugello.Or egli è certo che l'an. 1184 nel mese di luglio Federi-go non fu in Toscana. Egli, celebrata in quell'anno laPentecoste in Magonza scese in Italia, ed essendogli an-dato incontro il pontef. Lucio III, amendue a' 31 di lu-glio s'incontrarono in Verona, dove trattenutisi per alcuntempo, Federigo continuò poscia il suo viaggio a Mila-no, ove entrò a' 19 di settembre. Tutto ciò può vedersichiaramente provato da' moderni esatti scrittori, comedal p. Pagi (Crit. ad Ann. Baron. ad an. 1185), dal Mu-ratori (Ann. d'Ital. ad. an. 1184) e dal co. Giulini (Mem.di Mil. t. 7, p. 11). Come dunque potè Federigo essere inToscana a' 22 di luglio, mentre non era ancor giunto inItalia? Egli è vero che Giovanni Villani a quest'annomedesimo pone la venuta in Toscana di Federigo(Chron. l. 5, c. 12). Ma egli è certo ancora ch'ella deedifferirsi all'anno seguente come il Muratori dimostra edalle cose già dette, e dalle Cronache antiche di Siena(ad an. 1185). Nè qui vi ha luogo alla diversa maniera di

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Fontanini ne mosse dubbio (Dell'Eloq. p. 118) fondatosulla forma medesima de' caratteri, i quali, a dir vero,anche a me sembrano di tempo assai posteriore. A que-sta difficoltà altro non risponde il Quadrio, se non chefrivole affatto sono le ragioni da dubitarne; risposta tan-to facile a darsi, quanto difficile a sostenersi. Ma un'altradifficoltà io vi trovo maggiore assai, benchè solo accen-nata come cosa dubbiosa dal Fontanini. Ne' versipoc'anzi recati si asserisce che Federigo I l'an. 1184 a'22 di luglio, nel qual giorno cade la festa di s. MariaMaddalena, era in Toscana, e andò a caccia in Mugello.Or egli è certo che l'an. 1184 nel mese di luglio Federi-go non fu in Toscana. Egli, celebrata in quell'anno laPentecoste in Magonza scese in Italia, ed essendogli an-dato incontro il pontef. Lucio III, amendue a' 31 di lu-glio s'incontrarono in Verona, dove trattenutisi per alcuntempo, Federigo continuò poscia il suo viaggio a Mila-no, ove entrò a' 19 di settembre. Tutto ciò può vedersichiaramente provato da' moderni esatti scrittori, comedal p. Pagi (Crit. ad Ann. Baron. ad an. 1185), dal Mu-ratori (Ann. d'Ital. ad. an. 1184) e dal co. Giulini (Mem.di Mil. t. 7, p. 11). Come dunque potè Federigo essere inToscana a' 22 di luglio, mentre non era ancor giunto inItalia? Egli è vero che Giovanni Villani a quest'annomedesimo pone la venuta in Toscana di Federigo(Chron. l. 5, c. 12). Ma egli è certo ancora ch'ella deedifferirsi all'anno seguente come il Muratori dimostra edalle cose già dette, e dalle Cronache antiche di Siena(ad an. 1185). Nè qui vi ha luogo alla diversa maniera di

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diverse città italiane nel numerare gli anni; perciocchè ovogliam seguire il costume de' Fiorentini, o il comuned'Italia, nel mese di luglio era per tutti l'anno medesimo.Se poi vogliamo attenerci all'anno pisano, quello che pelcomune d'Italia, anzi d'Europa, era l'an. 1185, pei Pisaniera il 1186, cominciato da' 25 di marzo, e questo perciòavrebbe dovuto segnarsi, e non il 1184. Or questo errorenell'anno che troviam nella lapida, e che non può attri-buirsi nè a negligenza di alcun copista, nè a verun'altrafortuita circostanza, non basta egli a destarci qualche so-spetto? Il Borghini dice che non si può sospettar d'impo-stura, poichè la casa Ubaldini non ne abbisogna per pro-vare l'antica sua nobiltà. E io son ben lungi dal sospetta-re impostura in alcuno de' personaggi di questa illustrefamiglia. Ma talvolta non mancano adulatori che si lu-singano di ottener grazia e premio col fingere cotai mo-numenti. La sperienza di ogni età cel mostra apertamen-te. Non potrebbesi egli dunque temere che talun di co-storo nel sec. XIV volendo recare una gloriosa originedello stemma degli Ubaldini, e leggendo in GiovanniVillani, che l'an. 1184 Federigo fu in Toscana, ne pren-desse occasione a scolpire la soprarecata iscrizione, e afingerla scolpita a que' tempi; e che ella fosse credutatale, e perciò ne fosse fatta menzione, come il Borghiniafferma, nella carta dell'anno 1414? Veggano gli eruditise queste ragioni sieno bastanti a render dubbiosa la ri-ferita iscrizione. Io certo non so arrendermi ad affermar-la sicuramente legittima.

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diverse città italiane nel numerare gli anni; perciocchè ovogliam seguire il costume de' Fiorentini, o il comuned'Italia, nel mese di luglio era per tutti l'anno medesimo.Se poi vogliamo attenerci all'anno pisano, quello che pelcomune d'Italia, anzi d'Europa, era l'an. 1185, pei Pisaniera il 1186, cominciato da' 25 di marzo, e questo perciòavrebbe dovuto segnarsi, e non il 1184. Or questo errorenell'anno che troviam nella lapida, e che non può attri-buirsi nè a negligenza di alcun copista, nè a verun'altrafortuita circostanza, non basta egli a destarci qualche so-spetto? Il Borghini dice che non si può sospettar d'impo-stura, poichè la casa Ubaldini non ne abbisogna per pro-vare l'antica sua nobiltà. E io son ben lungi dal sospetta-re impostura in alcuno de' personaggi di questa illustrefamiglia. Ma talvolta non mancano adulatori che si lu-singano di ottener grazia e premio col fingere cotai mo-numenti. La sperienza di ogni età cel mostra apertamen-te. Non potrebbesi egli dunque temere che talun di co-storo nel sec. XIV volendo recare una gloriosa originedello stemma degli Ubaldini, e leggendo in GiovanniVillani, che l'an. 1184 Federigo fu in Toscana, ne pren-desse occasione a scolpire la soprarecata iscrizione, e afingerla scolpita a que' tempi; e che ella fosse credutatale, e perciò ne fosse fatta menzione, come il Borghiniafferma, nella carta dell'anno 1414? Veggano gli eruditise queste ragioni sieno bastanti a render dubbiosa la ri-ferita iscrizione. Io certo non so arrendermi ad affermar-la sicuramente legittima.

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IX. Il Giambullari ragiona (Orig. della lin-gua fior. p. 134) di un cotal Lucio Drusi pi-sano ch'ei crede vissuto, circa l'an. 1170,ed essere stato il primo tra' Siciliani cheverseggiasse in lingua italiana. Ma io milusingo di poter mostrare a suo luogo chenon è abbastanza provato che a questi tem-

pi ei vivesse; e quindi da tutto ciò a me pare di poter in-ferire che non abbiamo alcun monumento, per cui pos-siam persuaderci che in quest'epoca, di cui scriviamo,fosse coltivata la poesia italiana. Quel Ciullo d'Alcamoche vuolsi il più antico fra tutti quelli di cui ci sian rima-ste rime, anche seguendo il parer di quelli che gli dannol'antichità maggiore che si possa concedergli, non fiorìche su gli ultimi anni del sec. XII, e non appartiene per-ciò a questo luogo. Ci basti dunque il fin qui dettodell'origine della volgar poesia, e riserbiamo ad altratempo il vederne più certi e pregevoli monumenti.

CAPO V.Filosofia e Matematica.

I. Abbiam già scorsi in questo tomo più se-coli che per la storia della filosofia e dellamatematica sono stati voti e sterili totalmen-te; e già da lungo tempo appena abbiam tro-vato in Italia a chi si potesse dare con qual-

che ragione l'illustre e onorevole nome di filosofo. Ma

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Non si può a quest'epoca indicare al-cun sicuro saggio di poesia italia-na.

Queste scienze co-minciano a risorgere inItalia.

IX. Il Giambullari ragiona (Orig. della lin-gua fior. p. 134) di un cotal Lucio Drusi pi-sano ch'ei crede vissuto, circa l'an. 1170,ed essere stato il primo tra' Siciliani cheverseggiasse in lingua italiana. Ma io milusingo di poter mostrare a suo luogo chenon è abbastanza provato che a questi tem-

pi ei vivesse; e quindi da tutto ciò a me pare di poter in-ferire che non abbiamo alcun monumento, per cui pos-siam persuaderci che in quest'epoca, di cui scriviamo,fosse coltivata la poesia italiana. Quel Ciullo d'Alcamoche vuolsi il più antico fra tutti quelli di cui ci sian rima-ste rime, anche seguendo il parer di quelli che gli dannol'antichità maggiore che si possa concedergli, non fiorìche su gli ultimi anni del sec. XII, e non appartiene per-ciò a questo luogo. Ci basti dunque il fin qui dettodell'origine della volgar poesia, e riserbiamo ad altratempo il vederne più certi e pregevoli monumenti.

CAPO V.Filosofia e Matematica.

I. Abbiam già scorsi in questo tomo più se-coli che per la storia della filosofia e dellamatematica sono stati voti e sterili totalmen-te; e già da lungo tempo appena abbiam tro-vato in Italia a chi si potesse dare con qual-

che ragione l'illustre e onorevole nome di filosofo. Ma

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Non si può a quest'epoca indicare al-cun sicuro saggio di poesia italia-na.

Queste scienze co-minciano a risorgere inItalia.

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ora a queste scienze ancora comincia a rendersi almenoin parte l'antico lustro, e i loro nomi non sono più pergl'Italiani stranieri e barbari, come in addietro. Ne' tem-pi più antichi avea la filosofia fatto tra gl'Italiani, quel sìfelice progresso che nel primo tomo abbiamo osservato,parlando delle due antiche scuole che singolarmente vifiorirono, la pittagorica e l'eleatica. I Romani col divol-gare i libri di Aristotele, e col recare nelle loro lingue leopinioni e i sistemi de' più illustri filosofi, aveanle ac-cresciuto nuovo ornamento. Or nel decadimento in cuiella era, gl'Italiani parimenti furono i primi (32) che, per

32 L'imparziale sincerità che mi è stata, e mi sarà sempre di guida in questericerche, mi obbliga a confessare che prima che in Italia cominciarono a ri-fiorire gli studj tra gli Arabi, i quali già da alcuni secoli coltivavano conardore la filosofia, alcune parti della matematica, e singolarmente l'astro-nomia, e inoltre la medicina ed altre scienze. Di fatto i primi esemplari chein questo e nel secol seguente si ebbero delle opere de' greci filosofi e me-dici, furono per lo più le traduzioni che fatte ne aveano gli Arabi, e su essecomunemente furono lavorate le prime versioni latine, benchè taluna findal secolo XII se ne facesse sugli originali greci, come vedremo nel tomo4. Veggasi intorno a ciò l'opera altre volte lodata del ch. ab. Andres(Dell'Origine, ec. d'ogni Letteratura t. 1, p. 158, ec.), il quale a ragione sipuò chiamare l'illustratore e il vindice dell'arabica letteratura. Egli si studiaancora di difender gli Arabi dalla taccia che da molti loro si appone, diavere introdotte le scolastiche sottigliezze. E se egli intende di provar sola-mente che cotali sottigliezze fossero usate assai prima, niuno, io credo,vorrà contrastarglielo. Non solo ne' secoli poco più antichi di quello di cuiparliamo, ma fin da' tempi di Seneca erasi quest'abuso introdotto; e parlan-do di quell'età io ho riferito un passo di questo scrittore (t. 2, p. 165), in cuiegli per saggio de' viziosi sofismi che regnavano nelle scuole, reca quellostesso ridicolo sillogismo: Mus syllaba est: syllaba autem caseum non ro-dit: mus ergo caseum non rodit, che l'ab. Andres ha trovato in una letteradi un certo ab. Wiboldo scritta a' tempi di Corrado III (l. c. p. 166). Non èdunque l'invenzione di tali sciocchezze, che si rimprovera agli Arabi, ma ildilatarsi che fecero per mezzo loro in Europa, e l'impadronirsi, per così

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ora a queste scienze ancora comincia a rendersi almenoin parte l'antico lustro, e i loro nomi non sono più pergl'Italiani stranieri e barbari, come in addietro. Ne' tem-pi più antichi avea la filosofia fatto tra gl'Italiani, quel sìfelice progresso che nel primo tomo abbiamo osservato,parlando delle due antiche scuole che singolarmente vifiorirono, la pittagorica e l'eleatica. I Romani col divol-gare i libri di Aristotele, e col recare nelle loro lingue leopinioni e i sistemi de' più illustri filosofi, aveanle ac-cresciuto nuovo ornamento. Or nel decadimento in cuiella era, gl'Italiani parimenti furono i primi (32) che, per

32 L'imparziale sincerità che mi è stata, e mi sarà sempre di guida in questericerche, mi obbliga a confessare che prima che in Italia cominciarono a ri-fiorire gli studj tra gli Arabi, i quali già da alcuni secoli coltivavano conardore la filosofia, alcune parti della matematica, e singolarmente l'astro-nomia, e inoltre la medicina ed altre scienze. Di fatto i primi esemplari chein questo e nel secol seguente si ebbero delle opere de' greci filosofi e me-dici, furono per lo più le traduzioni che fatte ne aveano gli Arabi, e su essecomunemente furono lavorate le prime versioni latine, benchè taluna findal secolo XII se ne facesse sugli originali greci, come vedremo nel tomo4. Veggasi intorno a ciò l'opera altre volte lodata del ch. ab. Andres(Dell'Origine, ec. d'ogni Letteratura t. 1, p. 158, ec.), il quale a ragione sipuò chiamare l'illustratore e il vindice dell'arabica letteratura. Egli si studiaancora di difender gli Arabi dalla taccia che da molti loro si appone, diavere introdotte le scolastiche sottigliezze. E se egli intende di provar sola-mente che cotali sottigliezze fossero usate assai prima, niuno, io credo,vorrà contrastarglielo. Non solo ne' secoli poco più antichi di quello di cuiparliamo, ma fin da' tempi di Seneca erasi quest'abuso introdotto; e parlan-do di quell'età io ho riferito un passo di questo scrittore (t. 2, p. 165), in cuiegli per saggio de' viziosi sofismi che regnavano nelle scuole, reca quellostesso ridicolo sillogismo: Mus syllaba est: syllaba autem caseum non ro-dit: mus ergo caseum non rodit, che l'ab. Andres ha trovato in una letteradi un certo ab. Wiboldo scritta a' tempi di Corrado III (l. c. p. 166). Non èdunque l'invenzione di tali sciocchezze, che si rimprovera agli Arabi, ma ildilatarsi che fecero per mezzo loro in Europa, e l'impadronirsi, per così

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così dire, la richiamassero a vita, e aprisser la via nonsolo a' lor nazionali, ma alle altre nazioni ancora, a sco-prir di nuovo quelle medesime verità che i loro antenatiaveano parimente illustrate, e a penetrare ancora più ol-tre nel regno della natura. Questo è ciò che dobbiamoora esaminare partitamente, ragionando di quelli checon più felice successo coltivaron tra noi questa sorta distudj, o che ne furon maestri ad altre nazioni.

II. Abbiam già favellato nel secondocapo di questo libro medesimo didue celebri Italiani, da' quali singo-larmente dee riconoscer la Francia ilfelice stato a cui ella giunse di questi

tempi ne' sacri studj, cioè di Lanfranco e di s. Anselmo.Nè punto meno dovettero a questi grand'uomini i filoso-fici studj che fino a quel tempo, eransi giaciuti in Fran-cia dimenticati e negletti. Rechiamone il testimonio de-gli stessi Maurini autori della Storia letteraria di Fran-cia, a cui niuno, io credo, darà la taccia di adulatoridegl'Italiani: "Fino a' tempi di Lanfranco e di s. Ansel-mo, dicono essi (t. 7, p. 131), non si videro tra' nostriFrancesi logici, o dialettici valorosi. La dialettica era se-condo la prima sua istituzione l'arte di ragionar giusta-mente e sodamente, e di arrivare per le vie più sicure

dire, delle scuole. E questo dal medesimo ab. Andres non ci si nega; anziegli confessa che all'introdursi de' libri arabici s'introdussero ancora, esempre più si diffusero le sottigliezze e le ridicole cavillazioni. (ivi p. 167).

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A Lanfranco e a s. Anselmo deesi la lodedi aver ravvivata in Francia la filosofia.

così dire, la richiamassero a vita, e aprisser la via nonsolo a' lor nazionali, ma alle altre nazioni ancora, a sco-prir di nuovo quelle medesime verità che i loro antenatiaveano parimente illustrate, e a penetrare ancora più ol-tre nel regno della natura. Questo è ciò che dobbiamoora esaminare partitamente, ragionando di quelli checon più felice successo coltivaron tra noi questa sorta distudj, o che ne furon maestri ad altre nazioni.

II. Abbiam già favellato nel secondocapo di questo libro medesimo didue celebri Italiani, da' quali singo-larmente dee riconoscer la Francia ilfelice stato a cui ella giunse di questi

tempi ne' sacri studj, cioè di Lanfranco e di s. Anselmo.Nè punto meno dovettero a questi grand'uomini i filoso-fici studj che fino a quel tempo, eransi giaciuti in Fran-cia dimenticati e negletti. Rechiamone il testimonio de-gli stessi Maurini autori della Storia letteraria di Fran-cia, a cui niuno, io credo, darà la taccia di adulatoridegl'Italiani: "Fino a' tempi di Lanfranco e di s. Ansel-mo, dicono essi (t. 7, p. 131), non si videro tra' nostriFrancesi logici, o dialettici valorosi. La dialettica era se-condo la prima sua istituzione l'arte di ragionar giusta-mente e sodamente, e di arrivare per le vie più sicure

dire, delle scuole. E questo dal medesimo ab. Andres non ci si nega; anziegli confessa che all'introdursi de' libri arabici s'introdussero ancora, esempre più si diffusero le sottigliezze e le ridicole cavillazioni. (ivi p. 167).

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A Lanfranco e a s. Anselmo deesi la lodedi aver ravvivata in Francia la filosofia.

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allo scoprimento del vero. A ciò non poteasi giugneresenza quelle giuste idee che dipendono dalla cogniziondelle cose; ma in questo secolo appena pensavasi ad ac-quistarle. La dialettica non si faceva consistere che inparole e in leggi, di cui comunemente non sapevasi farel'applicazione.... Per rimediare a questi essenziali difetti,s. Anselmo compose il suo trattato del Gramatico, che èun vero trattato di dialettica, in cui egli prende a farciconoscere i due generali oggetti di tutte le nostre idee, lasostanza e la qualità. Con ciò egli ottenne di purgar la fi-losofia del suo tempo, e di darle qualche grado di perfe-zione. Le opere filosofiche di Lanfranco, e quelle diOdone che fu poi vescovo di Cambrai, vi contribuironopure non poco. Per opera di questi tre grandi filosofi sivide risorgere il metodo degli antichi". Così essi; oveperò vuolsi avvertire che Odone vescovo di Cambrai fuposteriore di tempo a Lanfranco e a s. Anselmo (V. Hist.littér. de la France t. 9, p. 583, ec.), e che perciò a questidue Italiani deesi il vanto di aver richiamato in Franciail buon gusto, e di aver riaperta la strada allo scoprimen-to del vero.

III. Oltre la dialettica, la metafisica ancorafu da essi, per così dire, richiamata in vita, eda s. Anselmo singolarmente fu illustrataper modo, che i più celebri tra moderni filo-sofi non hanno sdegnato di attingere a que-sto fonte. Mi si permetta di recar per disteso

227

Quanto debba la metafisica as. Anselmo anche per detto del Leibnizio.

allo scoprimento del vero. A ciò non poteasi giugneresenza quelle giuste idee che dipendono dalla cogniziondelle cose; ma in questo secolo appena pensavasi ad ac-quistarle. La dialettica non si faceva consistere che inparole e in leggi, di cui comunemente non sapevasi farel'applicazione.... Per rimediare a questi essenziali difetti,s. Anselmo compose il suo trattato del Gramatico, che èun vero trattato di dialettica, in cui egli prende a farciconoscere i due generali oggetti di tutte le nostre idee, lasostanza e la qualità. Con ciò egli ottenne di purgar la fi-losofia del suo tempo, e di darle qualche grado di perfe-zione. Le opere filosofiche di Lanfranco, e quelle diOdone che fu poi vescovo di Cambrai, vi contribuironopure non poco. Per opera di questi tre grandi filosofi sivide risorgere il metodo degli antichi". Così essi; oveperò vuolsi avvertire che Odone vescovo di Cambrai fuposteriore di tempo a Lanfranco e a s. Anselmo (V. Hist.littér. de la France t. 9, p. 583, ec.), e che perciò a questidue Italiani deesi il vanto di aver richiamato in Franciail buon gusto, e di aver riaperta la strada allo scoprimen-to del vero.

III. Oltre la dialettica, la metafisica ancorafu da essi, per così dire, richiamata in vita, eda s. Anselmo singolarmente fu illustrataper modo, che i più celebri tra moderni filo-sofi non hanno sdegnato di attingere a que-sto fonte. Mi si permetta di recar per disteso

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Quanto debba la metafisica as. Anselmo anche per detto del Leibnizio.

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un altro bel passo dei sopraccitati Maurini su questo ar-gomento. Troppo io mi compiaccio, quando posso pro-durre a onor dell'Italia testimonianze tratte di bocca daque' medesimi che non ne sono troppo magnifici lodato-ri. "Ciò che a favor della metafisica fece Anselmo" (t. 9,p. 454, ec.), "fu più ancora di ciò che ei fece per la dia-lettica. Quand'egli cominciò a risplender nel mondo, ap-pena conoscevasene il nome. Ma egli sì felicementeadoperossi a svilupparne i principj, che ottenne la gloriadi ravvivarla. Giunse sì oltre colle sue cognizioni inessa, che le sue scoperte l'han fatto credere il migliormetafisico che dopo s. Agostino ci sia vissuto. Il suoMonologo e il suo Proslogio, da cui i begli spiriti delnostro e del passato secolo han tratti de' lumi onde sison renduti famosi, formano un eccellente e quasi interotrattato di teologia naturale di Dio e delle tre Persone inDio. Così Anselmo colla sua maniera di ragionare nonsolo insegnò ai filosofi a sollevarsi sopra la barbarie e lesottigliezze della scuola; ma insegnò lor parimente acontemplare in se stesso l'Esser Supremo, e a far usodelle idee innate, e di quel lume naturale che Iddio crea-tore ha comunicato allo spirito umano, considerando lecose indipendentemente da' sensi". Ella è in fatti osser-vazione di molti tra' moderni scrittori, che la dimostra-zione dell'esistenza di Dio tratta dall'idea stessa di unEsser Supremo, della quale credesi autore il Des Cartes,fu tanti secoli prima di lui trovata e posta in luce da s.Anselmo. Io non istancherò i lettori col recare qui i pas-si di questo grand'uomo, in cui propone e spiega questa

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un altro bel passo dei sopraccitati Maurini su questo ar-gomento. Troppo io mi compiaccio, quando posso pro-durre a onor dell'Italia testimonianze tratte di bocca daque' medesimi che non ne sono troppo magnifici lodato-ri. "Ciò che a favor della metafisica fece Anselmo" (t. 9,p. 454, ec.), "fu più ancora di ciò che ei fece per la dia-lettica. Quand'egli cominciò a risplender nel mondo, ap-pena conoscevasene il nome. Ma egli sì felicementeadoperossi a svilupparne i principj, che ottenne la gloriadi ravvivarla. Giunse sì oltre colle sue cognizioni inessa, che le sue scoperte l'han fatto credere il migliormetafisico che dopo s. Agostino ci sia vissuto. Il suoMonologo e il suo Proslogio, da cui i begli spiriti delnostro e del passato secolo han tratti de' lumi onde sison renduti famosi, formano un eccellente e quasi interotrattato di teologia naturale di Dio e delle tre Persone inDio. Così Anselmo colla sua maniera di ragionare nonsolo insegnò ai filosofi a sollevarsi sopra la barbarie e lesottigliezze della scuola; ma insegnò lor parimente acontemplare in se stesso l'Esser Supremo, e a far usodelle idee innate, e di quel lume naturale che Iddio crea-tore ha comunicato allo spirito umano, considerando lecose indipendentemente da' sensi". Ella è in fatti osser-vazione di molti tra' moderni scrittori, che la dimostra-zione dell'esistenza di Dio tratta dall'idea stessa di unEsser Supremo, della quale credesi autore il Des Cartes,fu tanti secoli prima di lui trovata e posta in luce da s.Anselmo. Io non istancherò i lettori col recare qui i pas-si di questo grand'uomo, in cui propone e spiega questa

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dimostrazione; ma mi basterà l'appoggiare ciò che iodopo più altri ho asserito, all'autorità di uno de' più su-blimi metafisici di questi ultimi tempi, dico del granLeibnizio, il quale a s. Anselmo espressamente attribui-sce la gloria di questa invenzione. "Sunt" dic'egli (vol. 5Op. p. 570 ed. Genev. 1768) "quae ab aliis pro novis in-ventis venditantur licet petita a scholasticis, ut illa Car-tesii demonstratio Divinae existentiae quae Anselmocantuariensi inter scholasticae theologiae fundatores ha-bendo debetur". Così accade talvolta che i moderni sifaccian belli delle scoperte di antichi autori; e che que-ste, che si sarebbon per avventura spregiate e derise,quando si fosser credute invenzioni de' secoli andati, ap-pajan degne di lode, quando si veggon apparir sotto ilnome d'uomini a' nostri giorni famosi. Un altro Italianotroviamo al principio del sec. XII professore, per quantosembra, di filosofia, o almeno di dialettica, in Francia.Perciocchè Landolfo il giovane raccontando per qualmaniera Giordano da Clivi fu richiamato dalla Francia aMilano, e fatto poscia arcivescovo di quella chiesa, dice(Hist. Mediol. c. 19): "placuit...... revocare Jordanum deClivi a provincia, quae dicitur Sancti Aegidii" (cioè del-la città di S. Gilles), "in qua ipse Jordanus legebat lec-tionem auctorum non divinorum, sed paganorum". Lequali parole sembra appunto che debban intendersi discuola filosofica, come di fatto le ha intese il Puricelli(Monum. basil. ambros. n. 314).

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dimostrazione; ma mi basterà l'appoggiare ciò che iodopo più altri ho asserito, all'autorità di uno de' più su-blimi metafisici di questi ultimi tempi, dico del granLeibnizio, il quale a s. Anselmo espressamente attribui-sce la gloria di questa invenzione. "Sunt" dic'egli (vol. 5Op. p. 570 ed. Genev. 1768) "quae ab aliis pro novis in-ventis venditantur licet petita a scholasticis, ut illa Car-tesii demonstratio Divinae existentiae quae Anselmocantuariensi inter scholasticae theologiae fundatores ha-bendo debetur". Così accade talvolta che i moderni sifaccian belli delle scoperte di antichi autori; e che que-ste, che si sarebbon per avventura spregiate e derise,quando si fosser credute invenzioni de' secoli andati, ap-pajan degne di lode, quando si veggon apparir sotto ilnome d'uomini a' nostri giorni famosi. Un altro Italianotroviamo al principio del sec. XII professore, per quantosembra, di filosofia, o almeno di dialettica, in Francia.Perciocchè Landolfo il giovane raccontando per qualmaniera Giordano da Clivi fu richiamato dalla Francia aMilano, e fatto poscia arcivescovo di quella chiesa, dice(Hist. Mediol. c. 19): "placuit...... revocare Jordanum deClivi a provincia, quae dicitur Sancti Aegidii" (cioè del-la città di S. Gilles), "in qua ipse Jordanus legebat lec-tionem auctorum non divinorum, sed paganorum". Lequali parole sembra appunto che debban intendersi discuola filosofica, come di fatto le ha intese il Puricelli(Monum. basil. ambros. n. 314).

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IV. Nè solo in Francia, ma in Grecia an-cora e alla stessa corte di Costantinopoli,ebbero gl'Italiani occasione di dar pruovadel loro ingegno e del loro sapere ne' filo-sofici studj. Io parlo del celebre Giovannisoprannomato dalla sua patria l'Italiano,che nel sec. XI mise a rumore quella gran

capitale, e a sè rivolse gli occhi di tutto il mondo. AnnaComnena, che almeno in parte potè esser testimoniodelle cose che nella sua storia ci narra, ragiona di luilungamente; e io recherò qui in compendio ciò che ellapiù ampiamente descrive (Alexias l. 5). Ella nol nominache coll'appellazion d'Italiano; ma ch'ei si chiamasseGiovanni, il raccogliamo da' codici delle opere da luiscritte, che poscia rammenteremo. Narra ella dunqueche Giovanni nato in Italia, ma in qual città ella noldice, fu ancor fanciullo condotto da suo padre in Sicilia;e che l'unica scuola a cui egli intervenisse, fu il campomilitare. Dacchè la Sicilia venne in potere di GiorgioManiaco, il quale l'an. 1043 ribellatosi a Costantino Mo-nomaco si fè proclamare imperadore, Giovanni col pa-dre passò in Lombardia, e quindi, qualunque ragion sene avesse, recossi a Costantinopoli. Ivi prese egli a col-tivare i filosofici studj sotto la disciplina di MichelePsello, uno de' più dotti uomini di quella età. Ma Gio-vanni era uomo di tardo ingegno e di indole aspra ed al-tera, per cui credendosi di superar tutti in sapere, controil suo maestro medesimo volgevasi arditamente, e gli fa-cea villanie. Questo è il carattere che Anna fa di questo

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Notizie di Gio-vanni filosofo italiano: sue vi-cende alla cor-te di Costanti-nopoli.

IV. Nè solo in Francia, ma in Grecia an-cora e alla stessa corte di Costantinopoli,ebbero gl'Italiani occasione di dar pruovadel loro ingegno e del loro sapere ne' filo-sofici studj. Io parlo del celebre Giovannisoprannomato dalla sua patria l'Italiano,che nel sec. XI mise a rumore quella gran

capitale, e a sè rivolse gli occhi di tutto il mondo. AnnaComnena, che almeno in parte potè esser testimoniodelle cose che nella sua storia ci narra, ragiona di luilungamente; e io recherò qui in compendio ciò che ellapiù ampiamente descrive (Alexias l. 5). Ella nol nominache coll'appellazion d'Italiano; ma ch'ei si chiamasseGiovanni, il raccogliamo da' codici delle opere da luiscritte, che poscia rammenteremo. Narra ella dunqueche Giovanni nato in Italia, ma in qual città ella noldice, fu ancor fanciullo condotto da suo padre in Sicilia;e che l'unica scuola a cui egli intervenisse, fu il campomilitare. Dacchè la Sicilia venne in potere di GiorgioManiaco, il quale l'an. 1043 ribellatosi a Costantino Mo-nomaco si fè proclamare imperadore, Giovanni col pa-dre passò in Lombardia, e quindi, qualunque ragion sene avesse, recossi a Costantinopoli. Ivi prese egli a col-tivare i filosofici studj sotto la disciplina di MichelePsello, uno de' più dotti uomini di quella età. Ma Gio-vanni era uomo di tardo ingegno e di indole aspra ed al-tera, per cui credendosi di superar tutti in sapere, controil suo maestro medesimo volgevasi arditamente, e gli fa-cea villanie. Questo è il carattere che Anna fa di questo

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Notizie di Gio-vanni filosofo italiano: sue vi-cende alla cor-te di Costanti-nopoli.

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filosofo; nel che però a me sembra che si possa non sen-za ragion sospettare che l'invidia greca avesse non pocaparte. E certo o convien dire che Giovanni non fosse disì tardo ingegno, come Anna afferma, o che ben rozzifossero allora i Greci, i quali, come ella stessa soggiu-gne, eran ripieni d'ammirazione per l'ingegno e pel saperdi Giovanni, che usando principalmente della dialetticadisputava sovente in pubblico contro lo stesso Psello, eciò con tal plauso, che benchè il primo vanto si dessedai Greci al Greco, era nondimeno Giovanni avuto in al-tissima stima, e dall'imp. Michel Duca e da tutta l'augu-sta famiglia sommamente onorato. Frattanto sorta essen-do nel cuor de' Greci qualche speranza di ricuperare ildominio dell'Italia, Giovanni fu mandato a Durazzonell'Albania, perchè più d'appresso potesse secondareque' movimenti che perciò si facevano. Ma Giovanni sicondusse per modo, che fu accusato di fellonìa all'imp.Michele; da cui perciò fu spedito chi il cacciasse fuor diDurazzo. Giovanni, avutone avviso, fuggissene a Roma;ed ivi sì destramente si adoperò, che, ottenuto da Miche-le il perdono, tornò a Costantinopoli, ove gli fu assegna-to a sua stanza il monastero detto del Fonte. Avvenne in-tanto che Niceforo Botoniate avendo l'an. 1078 usurpatol'impero tolto a Michele Duca e a Costantino di lui fi-gliuolo, Michele Psello fu involto nella loro rovina, emandato in esilio, e Giovanni fu a lui surrogato nellaprincipal cattedra di filosofia, e nell'onorevole nome disommo tra tutti i filosoli.

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filosofo; nel che però a me sembra che si possa non sen-za ragion sospettare che l'invidia greca avesse non pocaparte. E certo o convien dire che Giovanni non fosse disì tardo ingegno, come Anna afferma, o che ben rozzifossero allora i Greci, i quali, come ella stessa soggiu-gne, eran ripieni d'ammirazione per l'ingegno e pel saperdi Giovanni, che usando principalmente della dialetticadisputava sovente in pubblico contro lo stesso Psello, eciò con tal plauso, che benchè il primo vanto si dessedai Greci al Greco, era nondimeno Giovanni avuto in al-tissima stima, e dall'imp. Michel Duca e da tutta l'augu-sta famiglia sommamente onorato. Frattanto sorta essen-do nel cuor de' Greci qualche speranza di ricuperare ildominio dell'Italia, Giovanni fu mandato a Durazzonell'Albania, perchè più d'appresso potesse secondareque' movimenti che perciò si facevano. Ma Giovanni sicondusse per modo, che fu accusato di fellonìa all'imp.Michele; da cui perciò fu spedito chi il cacciasse fuor diDurazzo. Giovanni, avutone avviso, fuggissene a Roma;ed ivi sì destramente si adoperò, che, ottenuto da Miche-le il perdono, tornò a Costantinopoli, ove gli fu assegna-to a sua stanza il monastero detto del Fonte. Avvenne in-tanto che Niceforo Botoniate avendo l'an. 1078 usurpatol'impero tolto a Michele Duca e a Costantino di lui fi-gliuolo, Michele Psello fu involto nella loro rovina, emandato in esilio, e Giovanni fu a lui surrogato nellaprincipal cattedra di filosofia, e nell'onorevole nome disommo tra tutti i filosoli.

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V. Prese egli a spiegare allora i libri di Ari-stotele e di Platone, e benchè nella gramati-ca e nella eloquenza non fosse troppo versa-to, le sue dissertazioni ciò non ostante sem-bravano ingegnose e piene di ogni manierad'erudizione. Ma ei trionfava singolarmente

nel disputare, perciocchè con sì sottili e con sì forti ar-gomenti incalzava e stringeva il suo avversario, chequegli allacciato da ogni parte non poteva in alcunmodo schermirsi; e tanto più che il troppo ardente filo-sofo alla forza delle ragioni aggiugneva quella ancordella mano; e, poichè avea costretto a tacere il suo av-versario, gli si avventava alla barba, e malmenandola efacendone strazio, troppo crudelmente trionfava del vin-to nimico; benchè poscia cambiando tosto il furore inpietà, pregavalo colle lagrime agli occhi a perdonargli laricevuta ingiuria. Questa sì strana maniera di disputarefu in gran parte cagione, ch'ei non formasse alcun famo-so discepolo, e che anzi egli risvegliasse contro di semedesimo l'indegnazione di tutti per modo, che salitoall'impero l'an. 1081 Alessio Comneno, Giovanni fu alui accusato non sol de' tumulti che colle sue troppo cal-de contese sollevava nella città, ma anche di erronee eperniciose sentenze ch'ei sosteneva. L'imperadore aven-do inutilmente tentato di farlo ravvedere de' suoi erroriin una assemblea di ecclesiastici, commise al patriarcaEustrazio, che privatamente con lui disputando cercassedi convincerlo, e di condurlo a sentimenti migliori. Mail sottile e scaltro Italiano seppe per tal modo ravvolgere

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Suo strano metodo di disputare è costretto a ritrattare i suoi errori.

V. Prese egli a spiegare allora i libri di Ari-stotele e di Platone, e benchè nella gramati-ca e nella eloquenza non fosse troppo versa-to, le sue dissertazioni ciò non ostante sem-bravano ingegnose e piene di ogni manierad'erudizione. Ma ei trionfava singolarmente

nel disputare, perciocchè con sì sottili e con sì forti ar-gomenti incalzava e stringeva il suo avversario, chequegli allacciato da ogni parte non poteva in alcunmodo schermirsi; e tanto più che il troppo ardente filo-sofo alla forza delle ragioni aggiugneva quella ancordella mano; e, poichè avea costretto a tacere il suo av-versario, gli si avventava alla barba, e malmenandola efacendone strazio, troppo crudelmente trionfava del vin-to nimico; benchè poscia cambiando tosto il furore inpietà, pregavalo colle lagrime agli occhi a perdonargli laricevuta ingiuria. Questa sì strana maniera di disputarefu in gran parte cagione, ch'ei non formasse alcun famo-so discepolo, e che anzi egli risvegliasse contro di semedesimo l'indegnazione di tutti per modo, che salitoall'impero l'an. 1081 Alessio Comneno, Giovanni fu alui accusato non sol de' tumulti che colle sue troppo cal-de contese sollevava nella città, ma anche di erronee eperniciose sentenze ch'ei sosteneva. L'imperadore aven-do inutilmente tentato di farlo ravvedere de' suoi erroriin una assemblea di ecclesiastici, commise al patriarcaEustrazio, che privatamente con lui disputando cercassedi convincerlo, e di condurlo a sentimenti migliori. Mail sottile e scaltro Italiano seppe per tal modo ravvolgere

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Suo strano metodo di disputare è costretto a ritrattare i suoi errori.

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e avviluppare il buon patriarca, che questi dieglisi vinto,e prese anche egli a sostenere le opinioni medesime diGiovanni. Di che il popolo levossi in tal furore controGiovanni, che, se questi non si fosse nascosto, sarebbestato dalle alte sue stanze precipitato. Finalmente l'impe-radore il costrinse a ritrattare pubblicamente i suoi errorich'egli fece ridurre a undici capi. Quali essi fossero,Anna nol dice, ma solo aggiugne che avendo egli dinuovo ardito di spargerli, ed essendo perciò stato sco-municato, tornò per ultimo in senno, e ritrattò le antichesentenze "negando, dic'ella, il passaggio dell'animedall'un corpo all'altro, cessando di disprezzare e di con-dennare il culto delle sacre immagini, e correggendo anorma della dottrina cattolica ciò che intorno alle ideeaveva insegnato, e finalmente dando tutti gl'indizj dicondennare tutto ciò che contro la Fede avea sostenuto,e mostrandosi ben diverso da quello che avea eccitate sìgran turbolenze".

VI. Questo è in breve ciò che Anna rac-conta di questo filosofo, uomo strano per

certo, e a cui dobbiam bramare che niuno mai assomiglide' nostri filosofi, ma uomo insieme di molto e acuto in-gegno, e avuto, non sol mentre viveva, ma ancor ne' se-coli susseguenti, in altissima stima. Il che chiaramente siscuopre da' molti codici che di diverse sue opere ci sonrimasti, e che ancor si conservano in molte biblioteche.Tra esse vi sono molte questioni a lui proposte a spiega-

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Sue opere.

e avviluppare il buon patriarca, che questi dieglisi vinto,e prese anche egli a sostenere le opinioni medesime diGiovanni. Di che il popolo levossi in tal furore controGiovanni, che, se questi non si fosse nascosto, sarebbestato dalle alte sue stanze precipitato. Finalmente l'impe-radore il costrinse a ritrattare pubblicamente i suoi errorich'egli fece ridurre a undici capi. Quali essi fossero,Anna nol dice, ma solo aggiugne che avendo egli dinuovo ardito di spargerli, ed essendo perciò stato sco-municato, tornò per ultimo in senno, e ritrattò le antichesentenze "negando, dic'ella, il passaggio dell'animedall'un corpo all'altro, cessando di disprezzare e di con-dennare il culto delle sacre immagini, e correggendo anorma della dottrina cattolica ciò che intorno alle ideeaveva insegnato, e finalmente dando tutti gl'indizj dicondennare tutto ciò che contro la Fede avea sostenuto,e mostrandosi ben diverso da quello che avea eccitate sìgran turbolenze".

VI. Questo è in breve ciò che Anna rac-conta di questo filosofo, uomo strano per

certo, e a cui dobbiam bramare che niuno mai assomiglide' nostri filosofi, ma uomo insieme di molto e acuto in-gegno, e avuto, non sol mentre viveva, ma ancor ne' se-coli susseguenti, in altissima stima. Il che chiaramente siscuopre da' molti codici che di diverse sue opere ci sonrimasti, e che ancor si conservano in molte biblioteche.Tra esse vi sono molte questioni a lui proposte a spiega-

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Sue opere.

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re, e a cui egli soddisfece scrivendo. Il p. Montfauconne cita un codice della biblioteca del card. Mazzarinicon questo titolo: "Joannis sapientissimi philosophorumantesignani & magistri itali Quaestiones diversae diver-sis proponentibus" (Bibl. MSS. t. 2, p. 1323, cod. 154).Il quale sembra quel medesimo codice passato poscianella biblioteca del re di Francia, nel cui Catalogo vede-si registrato (Cat. Codd. MSS. Bibl. reg. t. 2, cod. 2002).Un altro ve ne ha nella imperial biblioteca di Vienna(Lambec. l. 7, p. 148). Più altre opere ancora dello stes-so Giovanni, scritte singolarmente a interpretazione dialcuni libri di Aristotele, tuttor si conservano nella so-prannomata biblioteca del re di Francia (ib. p. 409, cod.1843) e nella imperiale di Vienna (ib.), in quella di s.Marco in Venezia (Greca D. Marci Bibl. p. 130, cod.265) e nella medicea (Cat. Codd. graec. medic. vol. 3,p. 17). Il Lambecio è stato il primo a trattare di questoillustre, ma finallora sconosciuto, filosofo; e dopo lui nehan parlato pure l'Oudin (De Script. eccl. vol. 2, p. 760),e il più volte lodato monsig. Gradenigo (Della Letterat.greco-ital. c. 6), il quale ha osservato un errore del ch.Muratori che a Giovanni avea attribuito l'elogio da Annafatto a Michele Psello; e ha recata insieme una letteradello stesso autore, in cui con quella modestia che pro-pria è de' grand'uomini, riconosce e ritratta il suo errore.Lo stesso monsig. Gradenigo sembra maravigliarsi cheil Fabricio nella sua Biblioteca latina de' bassi secoli, eil ch. monsig. Mansi nelle Aggiunte ad essa fatte, nonabbiano di Giovanni fatta menzione alcuna. Ma a me

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re, e a cui egli soddisfece scrivendo. Il p. Montfauconne cita un codice della biblioteca del card. Mazzarinicon questo titolo: "Joannis sapientissimi philosophorumantesignani & magistri itali Quaestiones diversae diver-sis proponentibus" (Bibl. MSS. t. 2, p. 1323, cod. 154).Il quale sembra quel medesimo codice passato poscianella biblioteca del re di Francia, nel cui Catalogo vede-si registrato (Cat. Codd. MSS. Bibl. reg. t. 2, cod. 2002).Un altro ve ne ha nella imperial biblioteca di Vienna(Lambec. l. 7, p. 148). Più altre opere ancora dello stes-so Giovanni, scritte singolarmente a interpretazione dialcuni libri di Aristotele, tuttor si conservano nella so-prannomata biblioteca del re di Francia (ib. p. 409, cod.1843) e nella imperiale di Vienna (ib.), in quella di s.Marco in Venezia (Greca D. Marci Bibl. p. 130, cod.265) e nella medicea (Cat. Codd. graec. medic. vol. 3,p. 17). Il Lambecio è stato il primo a trattare di questoillustre, ma finallora sconosciuto, filosofo; e dopo lui nehan parlato pure l'Oudin (De Script. eccl. vol. 2, p. 760),e il più volte lodato monsig. Gradenigo (Della Letterat.greco-ital. c. 6), il quale ha osservato un errore del ch.Muratori che a Giovanni avea attribuito l'elogio da Annafatto a Michele Psello; e ha recata insieme una letteradello stesso autore, in cui con quella modestia che pro-pria è de' grand'uomini, riconosce e ritratta il suo errore.Lo stesso monsig. Gradenigo sembra maravigliarsi cheil Fabricio nella sua Biblioteca latina de' bassi secoli, eil ch. monsig. Mansi nelle Aggiunte ad essa fatte, nonabbiano di Giovanni fatta menzione alcuna. Ma a me

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sembra che questi due autori potrebbon rispondere chenon vi avea ragione per cui dovesser parlarne percioc-chè essi scrivevan di quelli che hanno scritto latinamen-te, e tutte le opere di Giovanni, che si conservano nellebiblioteche, sono scritte in greco.

VII. Che più? Anche alle Spagne si fè cono-scere il valore degl'Italiani nel coltivamentode' filosofici studj per opera del celebreGherardo cremonese. E so ben io che nonsol gli Spagnuoli pretendono di annoverarlotra' loro scrittori, ma che alcuni ancora tra

gl'Italiani troppo docilmente si arrendono alle ragioniche essi ne adducono. Io però mi lusingo di poter mo-strare con qualche evidenza che Gherardo fu veramentecremonese di patria. Sponiam dapprima lo stato dellaquestione; e poscia esaminiam le ragioni che dall'una edall'altra parte si posson recare. Conservansi in moltebiblioteche codici mss. di libri filosofici e medici tradot-ti dall'arabo da Gherardo. Or da questi codici raccogliesichiaramente che Gherardo visse assai lungo tempo inToledo, il che volentieri da noi si concede. Ma innoltre,dove in alcuni di questi codici ei dicesi cremonese, inaltri dicesi carmonese, cioè di Carmona, città della Spa-gna; ed ecco l'origine della contesa fra gl'Italiani e gliSpagnuoli. Questi non aveano mai pensato a riporreGherardo nel novero de' loro scrittori. Niccolò Antoniofu il primo che prendesse a rivendicare alla Spagna un

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Notizie di Gherardo cremonese: questione intorno allasua patria.

sembra che questi due autori potrebbon rispondere chenon vi avea ragione per cui dovesser parlarne percioc-chè essi scrivevan di quelli che hanno scritto latinamen-te, e tutte le opere di Giovanni, che si conservano nellebiblioteche, sono scritte in greco.

VII. Che più? Anche alle Spagne si fè cono-scere il valore degl'Italiani nel coltivamentode' filosofici studj per opera del celebreGherardo cremonese. E so ben io che nonsol gli Spagnuoli pretendono di annoverarlotra' loro scrittori, ma che alcuni ancora tra

gl'Italiani troppo docilmente si arrendono alle ragioniche essi ne adducono. Io però mi lusingo di poter mo-strare con qualche evidenza che Gherardo fu veramentecremonese di patria. Sponiam dapprima lo stato dellaquestione; e poscia esaminiam le ragioni che dall'una edall'altra parte si posson recare. Conservansi in moltebiblioteche codici mss. di libri filosofici e medici tradot-ti dall'arabo da Gherardo. Or da questi codici raccogliesichiaramente che Gherardo visse assai lungo tempo inToledo, il che volentieri da noi si concede. Ma innoltre,dove in alcuni di questi codici ei dicesi cremonese, inaltri dicesi carmonese, cioè di Carmona, città della Spa-gna; ed ecco l'origine della contesa fra gl'Italiani e gliSpagnuoli. Questi non aveano mai pensato a riporreGherardo nel novero de' loro scrittori. Niccolò Antoniofu il primo che prendesse a rivendicare alla Spagna un

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Notizie di Gherardo cremonese: questione intorno allasua patria.

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onore ch'egli credette rapitole ingiustamente dagli Italia-ni (Bibl. hisp. vet. t. 2, p. 263). E a confermare la suaopinione di tre argomenti si valse egli principalmente,de' codici e delle edizioni nelle quali ei dicesi carmone-se, non cremonese; degli autori che il dicono natìo diCarmona; e del lungo soggiorno da lui fatto in Toledo. Ildottor Francesco Arisi al contrario sostenne ch'ei fossedi patria cremonese (Cremona liter. t. 1, p. 269), appog-giato a non pochi codici che con tal nome il chiamano;benchè nel fissarne l'età andasse troppo lungi dal vero,credendol vissuto nel sec. XV. Gli autori del Giornalede' letterati d'Italia parlando dell'opera dell'Arisi confu-tarono questo suo sentimento (t. 10, p. 286), e ripetero-no gli argomenti dall'Antonio addotti a provare ch'egliera spagnuolo; e perchè l'Arisi pubblicò una sua lettera,in data de' 15 febbrajo del 1713, a difesa di questa e dialtre sue opinioni combattute da' giornalisti, questi tor-narono all'assalto, e ribatteron di nuovo le ragioni da luiarrecate (t. 15, p. 207). Io rispetto il parere di questi dot-ti scrittori. Ma penso ciò non ostante di poter franca-mente affermare che l'opinione dell'Arisi e de' Cremone-si è assai meglio fondata che non la loro e quella degliscrittori spagnuoli. Entriam brevemente all'esame diquesto punto.

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onore ch'egli credette rapitole ingiustamente dagli Italia-ni (Bibl. hisp. vet. t. 2, p. 263). E a confermare la suaopinione di tre argomenti si valse egli principalmente,de' codici e delle edizioni nelle quali ei dicesi carmone-se, non cremonese; degli autori che il dicono natìo diCarmona; e del lungo soggiorno da lui fatto in Toledo. Ildottor Francesco Arisi al contrario sostenne ch'ei fossedi patria cremonese (Cremona liter. t. 1, p. 269), appog-giato a non pochi codici che con tal nome il chiamano;benchè nel fissarne l'età andasse troppo lungi dal vero,credendol vissuto nel sec. XV. Gli autori del Giornalede' letterati d'Italia parlando dell'opera dell'Arisi confu-tarono questo suo sentimento (t. 10, p. 286), e ripetero-no gli argomenti dall'Antonio addotti a provare ch'egliera spagnuolo; e perchè l'Arisi pubblicò una sua lettera,in data de' 15 febbrajo del 1713, a difesa di questa e dialtre sue opinioni combattute da' giornalisti, questi tor-narono all'assalto, e ribatteron di nuovo le ragioni da luiarrecate (t. 15, p. 207). Io rispetto il parere di questi dot-ti scrittori. Ma penso ciò non ostante di poter franca-mente affermare che l'opinione dell'Arisi e de' Cremone-si è assai meglio fondata che non la loro e quella degliscrittori spagnuoli. Entriam brevemente all'esame diquesto punto.

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VIII. E in primo luogo è certo, come con-fessano anche gli avversarj, che in molti co-dici e in molte edizioni Gherardo dicesi cre-monese. Io non ne farò qui l'enumerazioneche può vedersi presso l'Arisi. Solo due al-tre edizioni ne aggiugnerò additatemi

dall'eruditissimo dott. Giov. Calvi prof. primario di me-dicina nell'università di Pisa, una del 1490. fatta in Ve-nezia, l'altra in Pavia nel 1510, nelle quali Gherardo èchiamato cremonese. Ma, come dicono i giornalisti, inaltre edizioni e in altri codici leggesi chermonese, o car-monese. Questo potrebbe render dubbiosa l'autorità de-gli altri codici, se non vedessimo che presso gli scrittoride' bassi secoli chermonese scrivesi talvolta in vece dicremonese, come presso Giovanni Villani (Croniche l.6, c. 73). Ma concedasi ancora che que' che dicono Ghe-rardo chermonese, intendesser Carmona città di Spagna.Chi sono essi finalmente? Non v'ha alcuno che sia piùantico del sec. XVI. E l'autorità di tali scrittori debb'ellaessere di sì gran peso trattandosi di un autore del sec.XII? Confessano anche i giornalisti che questo non è ar-gomento di molta forza. Egli è vero che anche gli argo-menti che dall'Arisi si adducono, non sono di gran valo-re. Ma un altro ne abbiamo, a cui non veggo qual rispo-sta si possa fare dagli avversarj. Io non parlo di un passodi Guido Bonatti (Astronom. par. 2, c. 6) famoso astro-logo del XIII. secolo, in cui egli fa menzion di Gherar-do; perciocchè esso non appartiene a quello di cui oraparliamo, ma ad un altro Gherardo da Sabbioneta, che

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Codici e autori che danno Cre-mona per patria a Gherardo.

VIII. E in primo luogo è certo, come con-fessano anche gli avversarj, che in molti co-dici e in molte edizioni Gherardo dicesi cre-monese. Io non ne farò qui l'enumerazioneche può vedersi presso l'Arisi. Solo due al-tre edizioni ne aggiugnerò additatemi

dall'eruditissimo dott. Giov. Calvi prof. primario di me-dicina nell'università di Pisa, una del 1490. fatta in Ve-nezia, l'altra in Pavia nel 1510, nelle quali Gherardo èchiamato cremonese. Ma, come dicono i giornalisti, inaltre edizioni e in altri codici leggesi chermonese, o car-monese. Questo potrebbe render dubbiosa l'autorità de-gli altri codici, se non vedessimo che presso gli scrittoride' bassi secoli chermonese scrivesi talvolta in vece dicremonese, come presso Giovanni Villani (Croniche l.6, c. 73). Ma concedasi ancora che que' che dicono Ghe-rardo chermonese, intendesser Carmona città di Spagna.Chi sono essi finalmente? Non v'ha alcuno che sia piùantico del sec. XVI. E l'autorità di tali scrittori debb'ellaessere di sì gran peso trattandosi di un autore del sec.XII? Confessano anche i giornalisti che questo non è ar-gomento di molta forza. Egli è vero che anche gli argo-menti che dall'Arisi si adducono, non sono di gran valo-re. Ma un altro ne abbiamo, a cui non veggo qual rispo-sta si possa fare dagli avversarj. Io non parlo di un passodi Guido Bonatti (Astronom. par. 2, c. 6) famoso astro-logo del XIII. secolo, in cui egli fa menzion di Gherar-do; perciocchè esso non appartiene a quello di cui oraparliamo, ma ad un altro Gherardo da Sabbioneta, che

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Codici e autori che danno Cre-mona per patria a Gherardo.

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fu contemporaneo di Guido, come a suo luogo vedremo.Un altro scrittore vissuto poco oltre ad un secolo dopo ilprimo Gherardo ci assicura ch'ei fu cremonese, e quasiei prevedesse che si sarebbe forse sospettato di equivo-co, vi aggiugne ancora lombardo. Egli è questi France-sco Pipino domenicano, il quale, come provasi dal Mu-ratori (Script. rer. ital. vol. 7, p. 662), fiorì al principiodel XV secolo. Or egli nella sua Cronaca pubblicata dalmedesimo Muratori (ib. vol. 9, p. 587) parla e fa grandielogi del nostro Gherardo, ne esprime la patria e l'età, neaccenna gli studj e i libri scritti, e ne fissa la morte. Re-chiam per disteso un tal passo, giacchè questi è il solotra gli antichi scrittori che ci abbia data di lui esatta noti-zia. "Gerardus lombardus (l. 1, c. 16), natione cremo-nensis, magnus linguae translator arabicae imperanteFriderico, anno scilicet Domini MCLXXXVII qui fuitimperii ejusdem Friderici XXXIV, vita defungitur, sep-tuaginta tres annos natus habens. Hic tam in dialecticaquam geometria, et tam in philosophia quam in physica,et nonnullis aliis scientiis multa transtulit. Qui licet fa-mae gloriam spreverit, favorabiles laudes et novas sae-culi pompas fugerit, nomenque suum nubes et inaniacaptando noluerit dilatari, fructus tamen operum ejusper secula redolens probitatem ipsius enunciat atque de-clarat. Is etiam, quum bonis floreret temporalibus, bono-rum tamen affluentia vel absentia ejus animum nec ex-tulit, nec depressit; sed viriliter duplicem occursum for-tunae patiens, semper in eodem statu constantiae perma-nebat. Carnis desideriis inimicando solis spiritualibus

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fu contemporaneo di Guido, come a suo luogo vedremo.Un altro scrittore vissuto poco oltre ad un secolo dopo ilprimo Gherardo ci assicura ch'ei fu cremonese, e quasiei prevedesse che si sarebbe forse sospettato di equivo-co, vi aggiugne ancora lombardo. Egli è questi France-sco Pipino domenicano, il quale, come provasi dal Mu-ratori (Script. rer. ital. vol. 7, p. 662), fiorì al principiodel XV secolo. Or egli nella sua Cronaca pubblicata dalmedesimo Muratori (ib. vol. 9, p. 587) parla e fa grandielogi del nostro Gherardo, ne esprime la patria e l'età, neaccenna gli studj e i libri scritti, e ne fissa la morte. Re-chiam per disteso un tal passo, giacchè questi è il solotra gli antichi scrittori che ci abbia data di lui esatta noti-zia. "Gerardus lombardus (l. 1, c. 16), natione cremo-nensis, magnus linguae translator arabicae imperanteFriderico, anno scilicet Domini MCLXXXVII qui fuitimperii ejusdem Friderici XXXIV, vita defungitur, sep-tuaginta tres annos natus habens. Hic tam in dialecticaquam geometria, et tam in philosophia quam in physica,et nonnullis aliis scientiis multa transtulit. Qui licet fa-mae gloriam spreverit, favorabiles laudes et novas sae-culi pompas fugerit, nomenque suum nubes et inaniacaptando noluerit dilatari, fructus tamen operum ejusper secula redolens probitatem ipsius enunciat atque de-clarat. Is etiam, quum bonis floreret temporalibus, bono-rum tamen affluentia vel absentia ejus animum nec ex-tulit, nec depressit; sed viriliter duplicem occursum for-tunae patiens, semper in eodem statu constantiae perma-nebat. Carnis desideriis inimicando solis spiritualibus

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adhaerebat. Cunctis etiam praesentibus atque futurisprodesse laborabat, non immemor ipsius Ptolemaei:cum fini appropinquas, bonum cum augmento operare.Et quum ab ipsis infantiae cunabulis in gremiis philoso-phiae educatus esset, et ad cujuslibet artis notitiam se-cundum Latinorum studium pervenisset, amore tamenAlmagesti, quem apud Latinos minime reperiit, Toletamperrexit, ubi libros cujuslibet facultatis in arabico cer-nens, et Latinorum penuriae de ipsis, quam noverat, mi-serans, amore transferendi, linguam edidicit arabicam;et sic de utraque, de scientia videlicet et idiomate, confi-sus, de quamplurium facultatum libris quoscumque vo-luit elegantiores latinitati, tamquam dilectae haeredi,planius atque intelligibilius, quo ei pollere fuit, usque adfinem vitae transmittere non cessavit. Inter cetera, quaetranstulit, habentur in arte tam physicae quam aliarumfacultatum libri septuaginta sex, inter quos Avicennae etAlmagesti Ptolomaei translatio solemnis habetur. Sepul-tus est Cremonae in monasterio sanctae Luciae, ubi suo-rum librorum bibliothecam reliquit, ejus praeclari inge-nii specimen sempiternum". Questo passo è sembrato sìconvincente e sì autorevole al Muratori, che ha credutonon potersi più muovere dubbio alcuno sulla patria diGherardo (Antiq. Ital. vol. 3, p. 937). Noi abbiamo dun-que un autore antico che, senza lasciar luogo alcuno asospettare di equivoco, dice cremonese Gherardo. Pos-sono gli avversarj per avventura produrre autorità somi-glianti?

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adhaerebat. Cunctis etiam praesentibus atque futurisprodesse laborabat, non immemor ipsius Ptolemaei:cum fini appropinquas, bonum cum augmento operare.Et quum ab ipsis infantiae cunabulis in gremiis philoso-phiae educatus esset, et ad cujuslibet artis notitiam se-cundum Latinorum studium pervenisset, amore tamenAlmagesti, quem apud Latinos minime reperiit, Toletamperrexit, ubi libros cujuslibet facultatis in arabico cer-nens, et Latinorum penuriae de ipsis, quam noverat, mi-serans, amore transferendi, linguam edidicit arabicam;et sic de utraque, de scientia videlicet et idiomate, confi-sus, de quamplurium facultatum libris quoscumque vo-luit elegantiores latinitati, tamquam dilectae haeredi,planius atque intelligibilius, quo ei pollere fuit, usque adfinem vitae transmittere non cessavit. Inter cetera, quaetranstulit, habentur in arte tam physicae quam aliarumfacultatum libri septuaginta sex, inter quos Avicennae etAlmagesti Ptolomaei translatio solemnis habetur. Sepul-tus est Cremonae in monasterio sanctae Luciae, ubi suo-rum librorum bibliothecam reliquit, ejus praeclari inge-nii specimen sempiternum". Questo passo è sembrato sìconvincente e sì autorevole al Muratori, che ha credutonon potersi più muovere dubbio alcuno sulla patria diGherardo (Antiq. Ital. vol. 3, p. 937). Noi abbiamo dun-que un autore antico che, senza lasciar luogo alcuno asospettare di equivoco, dice cremonese Gherardo. Pos-sono gli avversarj per avventura produrre autorità somi-glianti?

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IX. Essi credono di poterlo; e i giornalistiproducono, come argomento invincibile adifesa della loro opinione, la seguente iscri-zione in lode di Gherardo tratta da un codi-ce della libreria vaticana, che, com'essi di-

cono "dalla qualità del carattere si giudica scritto sicura-mente innanzi al 1400."

Gerardus nostri fons, lux, et regula Cleri. Actor consilii, spes et solamen egeni, Voto carnali fuit hostis spirituali, Applaudens hominis splendor fuit interioris. Facta viri vitam studio florente perhennant. Viventem famam libri, quos transtulit, ornant, Hunc sine consilio genuisse Cremona superbit, Tolecti vixit, Tolectum reddidit astris,

Ma io chieggo in primo luogo a' dottissimi giornalisti, achi si debba più fede, a un'iscrizione di cui non si sal'autore, e di cui forse anche l'età non è così antica,com'essi pensano, o a uno scrittore vissuto al principiodel XIV secolo? In qualunque quistione in cui essi nonavesser già preso partito, io son certo che anteporrebbo-no di gran lunga l'autorità di un antico scrittore a quelladella più recente iscrizione. Ma noi non abbisogniamodi tanto. Qual è il senso di quelle parole: hunc sine con-silio genuisse Cremona superbit? Essi così le traducono:senza alcuna ragione Cremona si arroga la gloria diaverlo dato alla luce. Nè a tal traduzione io mi oppon-go; ma due sensi possono avere queste parole; cioè inprimo luogo che Cremona senza ragione si arroga tal

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Risposta agli argo-menti in fa-vor di Car-mona.

IX. Essi credono di poterlo; e i giornalistiproducono, come argomento invincibile adifesa della loro opinione, la seguente iscri-zione in lode di Gherardo tratta da un codi-ce della libreria vaticana, che, com'essi di-

cono "dalla qualità del carattere si giudica scritto sicura-mente innanzi al 1400."

Gerardus nostri fons, lux, et regula Cleri. Actor consilii, spes et solamen egeni, Voto carnali fuit hostis spirituali, Applaudens hominis splendor fuit interioris. Facta viri vitam studio florente perhennant. Viventem famam libri, quos transtulit, ornant, Hunc sine consilio genuisse Cremona superbit, Tolecti vixit, Tolectum reddidit astris,

Ma io chieggo in primo luogo a' dottissimi giornalisti, achi si debba più fede, a un'iscrizione di cui non si sal'autore, e di cui forse anche l'età non è così antica,com'essi pensano, o a uno scrittore vissuto al principiodel XIV secolo? In qualunque quistione in cui essi nonavesser già preso partito, io son certo che anteporrebbo-no di gran lunga l'autorità di un antico scrittore a quelladella più recente iscrizione. Ma noi non abbisogniamodi tanto. Qual è il senso di quelle parole: hunc sine con-silio genuisse Cremona superbit? Essi così le traducono:senza alcuna ragione Cremona si arroga la gloria diaverlo dato alla luce. Nè a tal traduzione io mi oppon-go; ma due sensi possono avere queste parole; cioè inprimo luogo che Cremona senza ragione si arroga tal

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Risposta agli argo-menti in fa-vor di Car-mona.

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gloria, perchè non in Cremona ei nacque, ma sì in Ispa-gna; in secondo luogo che Cremona senza ragione si ar-roga tal gloria, perchè quantunque Gherardo ivi nasces-se, del suo saper nondimeno, e quindi della sua gloria, eifu debitore non a Cremona, ma a Toledo, ove visse sìlungamente. Or come provano i giornalisti, che nel pri-mo e non nel secondo senso si debbano intendere tai pa-role? Io anzi affermo che non si debbono nè si possonointendere che nel secondo. In fatti riflettasi. Che è ciòche si soggiugne nell'iscrizione per mostrar che Cremo-na non ha ragione a vantarsi di sì grand'uomo? Tolectivixit. Ei visse in Toledo. Or io domando. Se Gherardofosse nato in Carmona, per qual ragione l'autoredell'iscrizione non dircelo chiaramente? Perchè noniscrivere: Carmonae est genitus? Perchè alla sua nascitain Cremona contrapporre non già la nascita in Carmona,ma la vita menata in Toledo? Non è egli evidente chel'autore stesso della iscrizione era persuaso che Gherar-do era veramente cremonese di patria, e che negli alle-gati versi egli volle sol dire che Cremona non avea adinsuperbirsi per averlo dato alla luce; perciocchè, ben-chè veramente fosse così, maggior ragione però di insu-perbirsi avea Toledo, ove egli era sempre vissuto?Nell'iscrizione si aggiugne che ivi ancora era morto; nelche l'autor di essa si oppone a Francesco Pipino che ildice tornato a Cremona, ed ivi morto; e in questo ancoraa me pare che l'autorità di questo scrittore debba anti-porsi a quella dell'iscrizione. Ma ancorchè pur forsevero che Gherardo morisse in Toledo, ciò non giovereb-

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gloria, perchè non in Cremona ei nacque, ma sì in Ispa-gna; in secondo luogo che Cremona senza ragione si ar-roga tal gloria, perchè quantunque Gherardo ivi nasces-se, del suo saper nondimeno, e quindi della sua gloria, eifu debitore non a Cremona, ma a Toledo, ove visse sìlungamente. Or come provano i giornalisti, che nel pri-mo e non nel secondo senso si debbano intendere tai pa-role? Io anzi affermo che non si debbono nè si possonointendere che nel secondo. In fatti riflettasi. Che è ciòche si soggiugne nell'iscrizione per mostrar che Cremo-na non ha ragione a vantarsi di sì grand'uomo? Tolectivixit. Ei visse in Toledo. Or io domando. Se Gherardofosse nato in Carmona, per qual ragione l'autoredell'iscrizione non dircelo chiaramente? Perchè noniscrivere: Carmonae est genitus? Perchè alla sua nascitain Cremona contrapporre non già la nascita in Carmona,ma la vita menata in Toledo? Non è egli evidente chel'autore stesso della iscrizione era persuaso che Gherar-do era veramente cremonese di patria, e che negli alle-gati versi egli volle sol dire che Cremona non avea adinsuperbirsi per averlo dato alla luce; perciocchè, ben-chè veramente fosse così, maggior ragione però di insu-perbirsi avea Toledo, ove egli era sempre vissuto?Nell'iscrizione si aggiugne che ivi ancora era morto; nelche l'autor di essa si oppone a Francesco Pipino che ildice tornato a Cremona, ed ivi morto; e in questo ancoraa me pare che l'autorità di questo scrittore debba anti-porsi a quella dell'iscrizione. Ma ancorchè pur forsevero che Gherardo morisse in Toledo, ciò non giovereb-

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be a combattere l'opinione intorno alla sua patria. Ab-biam dunque un antico scrittore che il dice cremonese elombardo, abbiamo più antichi codici ne' quali ancoraegli appellasi cremonese: non vi ha al contrario scrittoreantico che dicalo carmonese; ne' codici ne' quali gli sidà tal patria, intendesi facilmente come possa essere ciòavvenuto; l'allegata iscrizion non pruova punto a favoredi tal opinione. Dunque egli è a parer mio evidente checremonese e non carmonese fu il nostro Gherardo; eperciò Cremona si può arrogare la gloria, se non deglistudj, e del saper di Gherardo, ch'ei dovette verisimil-mente in gran parte a Toledo, almen della sua nascita, ilche pure non è picciolo pregio (33).

X. I primi studj nondimeno furon daGherardo fatti in Italia, come abbiamudito affermarsi da Francesco Pipino; ma

33 Ad avvalorar le ragioni colle quali io ho provato che Gherardo fu cremo-nese, e non carmonese, come ha preteso di provare il sig. ab. Lampillas(Sag. della Letter spagn. t. 2, p. 147) si aggiungono i codici delle versionida esso fatte, che si conservano nella Laurenziana in Firenze, e che sonostati di fresco prodotti nel suo diligente ed esatto Catalogo dal ch. sig. can.Bandini (Cat. Codd. mss. lat. vol. 3, p. 47, ec.) ove egli sempre è detto cre-monese; ma più ancora che i codici, giova a provarlo una nota al fine d'unodi essi aggiunta, che è la seguente: "Explicit Liber Divisionum translatus aMagistro G. Cremonesi de Arabico in Latinum in Civitate Toletana, posteaablatus Cremonam a Magistro P. jam dicti Magistri G. nepote in EcclesiaS. Luciae de Cremona, patet multis eum petentibus (ib. p. 43)". Questo do-cumento a me par che tronchi del tutto questa contesa, e faccia conoscereche l'ab. Lampillas potea risparmiarsi la pena d'impiegar quidici pagine perprovare con inutle sottigliezza che Gherardo fu spagnuolo.

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Sue traduzioni dall'arabo in la-tino.

be a combattere l'opinione intorno alla sua patria. Ab-biam dunque un antico scrittore che il dice cremonese elombardo, abbiamo più antichi codici ne' quali ancoraegli appellasi cremonese: non vi ha al contrario scrittoreantico che dicalo carmonese; ne' codici ne' quali gli sidà tal patria, intendesi facilmente come possa essere ciòavvenuto; l'allegata iscrizion non pruova punto a favoredi tal opinione. Dunque egli è a parer mio evidente checremonese e non carmonese fu il nostro Gherardo; eperciò Cremona si può arrogare la gloria, se non deglistudj, e del saper di Gherardo, ch'ei dovette verisimil-mente in gran parte a Toledo, almen della sua nascita, ilche pure non è picciolo pregio (33).

X. I primi studj nondimeno furon daGherardo fatti in Italia, come abbiamudito affermarsi da Francesco Pipino; ma

33 Ad avvalorar le ragioni colle quali io ho provato che Gherardo fu cremo-nese, e non carmonese, come ha preteso di provare il sig. ab. Lampillas(Sag. della Letter spagn. t. 2, p. 147) si aggiungono i codici delle versionida esso fatte, che si conservano nella Laurenziana in Firenze, e che sonostati di fresco prodotti nel suo diligente ed esatto Catalogo dal ch. sig. can.Bandini (Cat. Codd. mss. lat. vol. 3, p. 47, ec.) ove egli sempre è detto cre-monese; ma più ancora che i codici, giova a provarlo una nota al fine d'unodi essi aggiunta, che è la seguente: "Explicit Liber Divisionum translatus aMagistro G. Cremonesi de Arabico in Latinum in Civitate Toletana, posteaablatus Cremonam a Magistro P. jam dicti Magistri G. nepote in EcclesiaS. Luciae de Cremona, patet multis eum petentibus (ib. p. 43)". Questo do-cumento a me par che tronchi del tutto questa contesa, e faccia conoscereche l'ab. Lampillas potea risparmiarsi la pena d'impiegar quidici pagine perprovare con inutle sottigliezza che Gherardo fu spagnuolo.

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Sue traduzioni dall'arabo in la-tino.

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avendo egli osservato che assai rari erano in queste pro-vincie i libri degli antichi filosofi e matematici, e sapen-do che presso gli Arabi delle Spagne ve n'avea gran co-pia, recossi a Toledo, e appresa la lingua arabica si ac-cinse al faticoso esercizio di recare da quella lingua nel-la latina quanti potè di tai libri appartenenti o alla filoso-fia, o alla medicina. Lo stesso storico dice che 76 furonoi libri di queste materie da Gherardo tradotti in latino, efa singolarmente menzione delle opere di Avicenna edell'Almagesto di Tolomeo, il quale dal greco dovea es-sere stato recato in arabo. Molte di cotai traduzioni, al-cune delle quali sono state date alla luce, si annoveranodall'Antonio e dalla Arisi da noi poc'anzi citati, e dal Fa-bricio (Bibl. lat. med. et inf. aet. t. 3, p. 39), ma più dili-gentemente di tutti dal Marchand (Dit. hist. art. Gerard.de Sabionetta), il quale, benchè col voler recare i senti-menti di tutti i moderni intorno a Gherardo abbia piutto-sto confuse che rischiarate le cose, in ciò nondimenoche appartiene alle opere, ne ha parlato con molta esat-tezza. Molte pure se ne veggon citate ne' manoscrittidella biblioteca del re di Francia (Cat. MSS. latin. Bibl.reg. vol. 4). Abbiamo innoltre alcune opere astronomi-che e alcune mediche sotto il nome di Gherardo cremo-nese; ma le astronomiche più probabilmente debbonsiattribuire al secondo Gherardo, di cui favelleremo neltomo seguente; perciocchè in fatti veggiamo chenell'elogio poc'anzi riferito del primo, si parla bensì del-le versioni da lui fatte dei libri arabici, ma di opere dalui composte non si fa cenno, e sembra che non si sareb-

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avendo egli osservato che assai rari erano in queste pro-vincie i libri degli antichi filosofi e matematici, e sapen-do che presso gli Arabi delle Spagne ve n'avea gran co-pia, recossi a Toledo, e appresa la lingua arabica si ac-cinse al faticoso esercizio di recare da quella lingua nel-la latina quanti potè di tai libri appartenenti o alla filoso-fia, o alla medicina. Lo stesso storico dice che 76 furonoi libri di queste materie da Gherardo tradotti in latino, efa singolarmente menzione delle opere di Avicenna edell'Almagesto di Tolomeo, il quale dal greco dovea es-sere stato recato in arabo. Molte di cotai traduzioni, al-cune delle quali sono state date alla luce, si annoveranodall'Antonio e dalla Arisi da noi poc'anzi citati, e dal Fa-bricio (Bibl. lat. med. et inf. aet. t. 3, p. 39), ma più dili-gentemente di tutti dal Marchand (Dit. hist. art. Gerard.de Sabionetta), il quale, benchè col voler recare i senti-menti di tutti i moderni intorno a Gherardo abbia piutto-sto confuse che rischiarate le cose, in ciò nondimenoche appartiene alle opere, ne ha parlato con molta esat-tezza. Molte pure se ne veggon citate ne' manoscrittidella biblioteca del re di Francia (Cat. MSS. latin. Bibl.reg. vol. 4). Abbiamo innoltre alcune opere astronomi-che e alcune mediche sotto il nome di Gherardo cremo-nese; ma le astronomiche più probabilmente debbonsiattribuire al secondo Gherardo, di cui favelleremo neltomo seguente; perciocchè in fatti veggiamo chenell'elogio poc'anzi riferito del primo, si parla bensì del-le versioni da lui fatte dei libri arabici, ma di opere dalui composte non si fa cenno, e sembra che non si sareb-

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be tacciuta almen la Teorica dei Pianeti, che fu per mol-to tempo sì celebre. Le sole versioni però, a cui egli siaccinse, ci mostrano che Gherardo fu uno de' più dotti ede' più laboriosi uomini del suo tempo. Alcuni pongononell'XI secolo un altro astronomo, cioè Campano nova-rese; ma noi ci riserberemo a parlarne nel sec. XIII, alqual tempo solo egli fiorì, come allora dimostreremo.

XI. In tal maniera gl'Italiani quasi ad ogniparte del mondo davano in questi tempi lu-minose pruove del lor sapere, e giovavano adissipare le tenebre che l'aveano già da tantisecoli ingombrato. Dobbiam però confessa-

re che i loro studj in questa parte furon più giovevolialle straniere nazioni che alla comune lor patria; di chevoglionsi incolpare i tumulti e gli sconvolgimenti a cuil'Italia era allora soggetta, come nel primo capo di que-sto libro abbiam osservato; i quali agli uomini amantidelle lettere e dell'arti suggerivano il pensiero di andar-sene a ricercare altrove più tranquillo e più opportunosoggiorno. Nondimeno in Italia ancora non fu la filoso-fia e la matematica interamente dimenticata. Certo inBologna, prima ancora che lo studio delle leggi vis'introducesse, era già introdotto quello della filosofia edella matematica, come mostrerem chiaramente, ovetrattando della giurisprudenza svolgeremo ciò che ap-partiene all'origine di quella famosa università. In Parmaancora doveano cotali studj essere in qualche pregio;

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Altri indicj di studj fi-losofici, e astronomiciin Italia.

be tacciuta almen la Teorica dei Pianeti, che fu per mol-to tempo sì celebre. Le sole versioni però, a cui egli siaccinse, ci mostrano che Gherardo fu uno de' più dotti ede' più laboriosi uomini del suo tempo. Alcuni pongononell'XI secolo un altro astronomo, cioè Campano nova-rese; ma noi ci riserberemo a parlarne nel sec. XIII, alqual tempo solo egli fiorì, come allora dimostreremo.

XI. In tal maniera gl'Italiani quasi ad ogniparte del mondo davano in questi tempi lu-minose pruove del lor sapere, e giovavano adissipare le tenebre che l'aveano già da tantisecoli ingombrato. Dobbiam però confessa-

re che i loro studj in questa parte furon più giovevolialle straniere nazioni che alla comune lor patria; di chevoglionsi incolpare i tumulti e gli sconvolgimenti a cuil'Italia era allora soggetta, come nel primo capo di que-sto libro abbiam osservato; i quali agli uomini amantidelle lettere e dell'arti suggerivano il pensiero di andar-sene a ricercare altrove più tranquillo e più opportunosoggiorno. Nondimeno in Italia ancora non fu la filoso-fia e la matematica interamente dimenticata. Certo inBologna, prima ancora che lo studio delle leggi vis'introducesse, era già introdotto quello della filosofia edella matematica, come mostrerem chiaramente, ovetrattando della giurisprudenza svolgeremo ciò che ap-partiene all'origine di quella famosa università. In Parmaancora doveano cotali studj essere in qualche pregio;

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Altri indicj di studj fi-losofici, e astronomiciin Italia.

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perciocchè s. Pier Damiano racconta che un certo Ugo-ne cherico, di quella chiesa congiungendo l'ambizioneallo studio erasi provveduto di un astrolabio di fino ar-gento (l. 6, ep. 17), dal che veggiamo che l'astronomiaancora coltivavasi allora, almeno da alcuni. Ma sopratutti in tali studj si rendettero illustri alcuni monaci casi-nesi. Quell'Alfano arcivescovo di Salerno primo di que-sto nome, e già monaco di quel monastero, di cui abbia-mo altrove parlato, tra le molte opere da lui composte, erammentate da Pietro diacono (De Viris ill. Casin. c. 19)e dal can. Mari, alcune ancora aveane scritte epparte-nenti a filosofia, e un libro singolarmente intorno allaunione dell'anima col corpo. Il celebre Costantino afri-cano, di cui più a lungo parleremo nel capo seguente, ol-tre i molti libri di medicina, alcuni filosofici ancoraaveane composti, de' quali parla lo stesso Pietro diacono(ib. c. 23). Molte opere ancora egli accenna (ib. c. 16) diPandolfo di Capova, le quali versano singolarmentesull'astronomia adattata agli usi ecclesiastici per la cele-brazion della Pasqua, per la divisione delle stagioni, eper la cronologia della vita e della morte del Divin Re-dentore. Alcune di esse, come attesta il can. Mari (innot. ad h. l.), conservavansi ancora nello scorso secolomanoscritte nella biblioteca di Monte Casino. "Un altrocoltivatore dell'astronomia al principio dell'XI secolosembra che debba qui annoverarsi, cioè Strozzo Strozzi.Lorenzo di Filippo Strozzi nelle Vite degli Uomini illu-stri della sua famiglia riportate dal ch. sig. ab. Ximenes(Introduz. al Gnomone fiorent. p. 17, ec.) racconta che

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perciocchè s. Pier Damiano racconta che un certo Ugo-ne cherico, di quella chiesa congiungendo l'ambizioneallo studio erasi provveduto di un astrolabio di fino ar-gento (l. 6, ep. 17), dal che veggiamo che l'astronomiaancora coltivavasi allora, almeno da alcuni. Ma sopratutti in tali studj si rendettero illustri alcuni monaci casi-nesi. Quell'Alfano arcivescovo di Salerno primo di que-sto nome, e già monaco di quel monastero, di cui abbia-mo altrove parlato, tra le molte opere da lui composte, erammentate da Pietro diacono (De Viris ill. Casin. c. 19)e dal can. Mari, alcune ancora aveane scritte epparte-nenti a filosofia, e un libro singolarmente intorno allaunione dell'anima col corpo. Il celebre Costantino afri-cano, di cui più a lungo parleremo nel capo seguente, ol-tre i molti libri di medicina, alcuni filosofici ancoraaveane composti, de' quali parla lo stesso Pietro diacono(ib. c. 23). Molte opere ancora egli accenna (ib. c. 16) diPandolfo di Capova, le quali versano singolarmentesull'astronomia adattata agli usi ecclesiastici per la cele-brazion della Pasqua, per la divisione delle stagioni, eper la cronologia della vita e della morte del Divin Re-dentore. Alcune di esse, come attesta il can. Mari (innot. ad h. l.), conservavansi ancora nello scorso secolomanoscritte nella biblioteca di Monte Casino. "Un altrocoltivatore dell'astronomia al principio dell'XI secolosembra che debba qui annoverarsi, cioè Strozzo Strozzi.Lorenzo di Filippo Strozzi nelle Vite degli Uomini illu-stri della sua famiglia riportate dal ch. sig. ab. Ximenes(Introduz. al Gnomone fiorent. p. 17, ec.) racconta che

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disfacendosi il pavimento di s. Giovanni in Firenze l'an.1351 fu trovato dalla banda di levante un sepolcro diStrozzo Strozzi grande astrologo e condottiere dell'eser-cito fiorentino, morto l'an. 1012. Or osserva il suddettoab. Ximenes che il luogo indicato di questo sepolcrocorrisponde appunto al luogo ove tuttora vedesi il segnosolstiziale estivo di s. Giovanni vicino alla porta orienta-le che guarda la facciata della metropolitana, il qual se-gno è descritto da Giovanni Villani che ne parla per an-tiche ricordanze (Croniche t. 1, c. 9). Quindi riflettendoall'antichità di esso, che poteva ben essere anteriore alVillani di tre secoli, all'esser lodato lo Strozzi come va-lente astrologo, e all'essere stato sepolto presso il segnomedesimo, ei ne raccoglie con congettura a mio pareremolto probabile, che fosse lo Strozzi l'autore dell'indica-to segno, la cui descrizione si può vedere presso il me-desimo scrittore". E ciò basti aver detto di cotali autori,de' quali non avendo noi tra le mani opera alcuna, nonpossiamo accertare qual fosse il lor valore ne' filosoficie ne' matematici studj.

XII. Più diligente e più esatta ricerca da noirichiede il celebre Guido d'Arezzo pe' van-taggi ch'egli recò, e per la perfezione cheaggiunse a una delle parti della matematica,cioè alla musica. Di lui dopo più altri scrit-tori hanno con singolar diligenza trattato idottissimi scrittori degli Annali camaldolesi,

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Guido di Arezzo ri-storator della musi-ca: si pruo-va ch'ei fu monaco della Pom-posa.

disfacendosi il pavimento di s. Giovanni in Firenze l'an.1351 fu trovato dalla banda di levante un sepolcro diStrozzo Strozzi grande astrologo e condottiere dell'eser-cito fiorentino, morto l'an. 1012. Or osserva il suddettoab. Ximenes che il luogo indicato di questo sepolcrocorrisponde appunto al luogo ove tuttora vedesi il segnosolstiziale estivo di s. Giovanni vicino alla porta orienta-le che guarda la facciata della metropolitana, il qual se-gno è descritto da Giovanni Villani che ne parla per an-tiche ricordanze (Croniche t. 1, c. 9). Quindi riflettendoall'antichità di esso, che poteva ben essere anteriore alVillani di tre secoli, all'esser lodato lo Strozzi come va-lente astrologo, e all'essere stato sepolto presso il segnomedesimo, ei ne raccoglie con congettura a mio pareremolto probabile, che fosse lo Strozzi l'autore dell'indica-to segno, la cui descrizione si può vedere presso il me-desimo scrittore". E ciò basti aver detto di cotali autori,de' quali non avendo noi tra le mani opera alcuna, nonpossiamo accertare qual fosse il lor valore ne' filosoficie ne' matematici studj.

XII. Più diligente e più esatta ricerca da noirichiede il celebre Guido d'Arezzo pe' van-taggi ch'egli recò, e per la perfezione cheaggiunse a una delle parti della matematica,cioè alla musica. Di lui dopo più altri scrit-tori hanno con singolar diligenza trattato idottissimi scrittori degli Annali camaldolesi,

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Guido di Arezzo ri-storator della musi-ca: si pruo-va ch'ei fu monaco della Pom-posa.

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cioè i pp. Mittarelli e Costadoni (Ann. camald. t. 2, p.42, ec.), i quali però saggiamente riflettono essere assaioscure ed incerte le notizie di ciò che a lui appartiene;perciocchè, se se ne traggan due lettere da lui scritte,una a Michele monaco nel monastero della Pomposa,l'altra a Teodaldo vescovo d'Arezzo, le quali prima dalBaronio (Ann. eccl. ad an. 1022), poscia dal Mabillon(Ann. bened. t. 4, ad an. 1026), e finalmente da' suddettiannalisti (App. ad t. 2, p. 4, ec.) sono state date alla luce,e nelle quali ei ragiona di se medesimo e delle sue vi-cende, appena troviamo di lui presso gli antichi scrittorinotizia alcuna (34). Ch'ei fosse natio di Arezzo, è cosacerta pel testimonio di Sigeberto (in Chron. ad an.1028), e di quanti han fatta di lui menzione. Ch'ei fossemonaco, è parimente cosa certissima, e da lui stesso in-dicata nelle mentovate sue lettere. Ma non è certo ugual-mente in qual monastero ei vivesse. La comune opinio-ne il fa monaco della Pomposa; ma agli annalisti camal-dolesi è sembrato che ciò non provisi abbastanza; edessi credono che per qualche tempo ei vivesse nel lormonastero di s. Croce di Fonte Avellana, e forse ancoranel loro eremo presso Arezzo. Le ragioni che a pruovadel lor sentimento da essi si adducono, sono singolar-

34 Di Guido d'Arezzo e del nuovo metodo d'insegnare la musica da lui intro-dotto, ha poscia lungamente ed esattamente parlato il p. lettor d. PlacidoFederici monaco casinese nel tomo 1 della sua Storia del monastero dellaPomposa, la quale ci spiace di vedere interrotta per l'immatura morte deldotto autore. Ed egli ancora ha stesamente confutate le ragioni dagli anna-listi camaldolesi recate a provare che Guido fosse monaco nel monasterodell'Avellana (Rer. Pompos. Hist. t. 1, p. 296, 317).

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cioè i pp. Mittarelli e Costadoni (Ann. camald. t. 2, p.42, ec.), i quali però saggiamente riflettono essere assaioscure ed incerte le notizie di ciò che a lui appartiene;perciocchè, se se ne traggan due lettere da lui scritte,una a Michele monaco nel monastero della Pomposa,l'altra a Teodaldo vescovo d'Arezzo, le quali prima dalBaronio (Ann. eccl. ad an. 1022), poscia dal Mabillon(Ann. bened. t. 4, ad an. 1026), e finalmente da' suddettiannalisti (App. ad t. 2, p. 4, ec.) sono state date alla luce,e nelle quali ei ragiona di se medesimo e delle sue vi-cende, appena troviamo di lui presso gli antichi scrittorinotizia alcuna (34). Ch'ei fosse natio di Arezzo, è cosacerta pel testimonio di Sigeberto (in Chron. ad an.1028), e di quanti han fatta di lui menzione. Ch'ei fossemonaco, è parimente cosa certissima, e da lui stesso in-dicata nelle mentovate sue lettere. Ma non è certo ugual-mente in qual monastero ei vivesse. La comune opinio-ne il fa monaco della Pomposa; ma agli annalisti camal-dolesi è sembrato che ciò non provisi abbastanza; edessi credono che per qualche tempo ei vivesse nel lormonastero di s. Croce di Fonte Avellana, e forse ancoranel loro eremo presso Arezzo. Le ragioni che a pruovadel lor sentimento da essi si adducono, sono singolar-

34 Di Guido d'Arezzo e del nuovo metodo d'insegnare la musica da lui intro-dotto, ha poscia lungamente ed esattamente parlato il p. lettor d. PlacidoFederici monaco casinese nel tomo 1 della sua Storia del monastero dellaPomposa, la quale ci spiace di vedere interrotta per l'immatura morte deldotto autore. Ed egli ancora ha stesamente confutate le ragioni dagli anna-listi camaldolesi recate a provare che Guido fosse monaco nel monasterodell'Avellana (Rer. Pompos. Hist. t. 1, p. 296, 317).

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mente il nome che Guido nella lettera al monaco Miche-le dà a se stesso, chiamandosi uomo alpestre, il che, di-cono essi, ben si conviene al monastero di Fonte Avella-na posto sull'Alpi, non a quello della Pomposa; l'imma-gine del medesimo Guido, che vedeasi fin dal principiodello scorso secolo, e vedesi anche al presente nel refet-torio del monastero di Fonte Avellana; e finalmente iltrovarsi in una carta nominato un Guido eremita camal-dolese presso Arezzo l'an. 1033. Ma, a dir vero, a mepare che troppo più convincenti sian le ragioni che pruo-vano pel monastero della Pomposa, che non le arrecatedagli eruditissimi annalisti in difesa della lor opinione.Esaminiamole brevemente, e supponiam prima ciò chegli annalisti stessi confessano, che il monaco Michele, acui è scritta una delle lettere di Guido, era monaco dellaPomposa. Ciò presupposto, a me sembra evidente cheanche Guido appartenesse al monastero medesimo. Eglicosì comincia la lettera: Beatissimo atque dulcissimofrati M. G. (Michaeli Guido) per anfractus multos de-jectus et anctus. Il titolo di fratello non è spregievolecongettura a pensare che amendue fossero stati nellostesso monastero allevati. Ma ciò non basta. Dalla lette-ra medesima raccogliesi chiaramente, s'io non m'ingan-no, che Michele erasi adoperato insiem con Guidonell'istruire i giovani nella musica, che la novità del me-todo da essi introdotto avea contro amendue eccitatimolti invidiosi e nemici, e che per opera loro Guido erastato costretto a partirsi dal monastero, e Michele vi erabensì tuttora, ma travagliato ed afflitto. "Aut dura sunt

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mente il nome che Guido nella lettera al monaco Miche-le dà a se stesso, chiamandosi uomo alpestre, il che, di-cono essi, ben si conviene al monastero di Fonte Avella-na posto sull'Alpi, non a quello della Pomposa; l'imma-gine del medesimo Guido, che vedeasi fin dal principiodello scorso secolo, e vedesi anche al presente nel refet-torio del monastero di Fonte Avellana; e finalmente iltrovarsi in una carta nominato un Guido eremita camal-dolese presso Arezzo l'an. 1033. Ma, a dir vero, a mepare che troppo più convincenti sian le ragioni che pruo-vano pel monastero della Pomposa, che non le arrecatedagli eruditissimi annalisti in difesa della lor opinione.Esaminiamole brevemente, e supponiam prima ciò chegli annalisti stessi confessano, che il monaco Michele, acui è scritta una delle lettere di Guido, era monaco dellaPomposa. Ciò presupposto, a me sembra evidente cheanche Guido appartenesse al monastero medesimo. Eglicosì comincia la lettera: Beatissimo atque dulcissimofrati M. G. (Michaeli Guido) per anfractus multos de-jectus et anctus. Il titolo di fratello non è spregievolecongettura a pensare che amendue fossero stati nellostesso monastero allevati. Ma ciò non basta. Dalla lette-ra medesima raccogliesi chiaramente, s'io non m'ingan-no, che Michele erasi adoperato insiem con Guidonell'istruire i giovani nella musica, che la novità del me-todo da essi introdotto avea contro amendue eccitatimolti invidiosi e nemici, e che per opera loro Guido erastato costretto a partirsi dal monastero, e Michele vi erabensì tuttora, ma travagliato ed afflitto. "Aut dura sunt

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tempora, continua Guido, aut divinae dispositionis ob-scura discrimina, dum et veritatem fallacia et charitatempersaepe conculcet invidia, quae nostri Ordinis vix deserit sanctitatem, ec." Quelle parole "nostri Ordinis" nonsembran esse indicar chiaramente che professavanoamendue un comune istituto? "Inde est, siegue a dire,quod me vides prolixis finibus exulatum, ac te ipsum nevel respirare quidem possis, invidorum laqueis suffoca-tum". Ecco per qual maniera erano amendue oggettod'invidia e di persecuzione. Ma per qual ragione eranoessi perseguitati? Perchè egli a Michele, e poscia amen-due insieme ad altri, un nuovo e assai più facile metodoaveano insegnato per apprendere il canto: "Unde ego,inspirante Domino charitatem, non solum tibi, sed etaliis quibuscumque potui summa cum devotione ac sol-licitudine a Deo mihi indignissimo datam contuli gra-tiam; ut quia ego et omnes ante me summa cum difficul-tate ecclesiasticos cantus didicimus, ipsos posteri sum-ma cum facilitate discentes, MIHI ET TIBI et reliquisadjutoribus meis aeternam apportent salutem, ec." Sipuò egli ancor dubitare che Michele non fosse il primodiscepolo nell'apprendere, e poscia il primo compagnodi Guido nell'insegnare il nuovo metodo del canto, e cheperciò Guido ancor non vivesse nel monastero medesi-mo in cui vivea Michele, cioè in quello della Pomposa?Quindi lo esorta a sperare che cessi presto la fiera burra-sca contro di essi eccitata, e gli racconta che il pontef.Giovanni che allor sedeva sulla cattedra di s. Pietro,cioè Giovanni XIX detto da altri XX, che fu papa

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tempora, continua Guido, aut divinae dispositionis ob-scura discrimina, dum et veritatem fallacia et charitatempersaepe conculcet invidia, quae nostri Ordinis vix deserit sanctitatem, ec." Quelle parole "nostri Ordinis" nonsembran esse indicar chiaramente che professavanoamendue un comune istituto? "Inde est, siegue a dire,quod me vides prolixis finibus exulatum, ac te ipsum nevel respirare quidem possis, invidorum laqueis suffoca-tum". Ecco per qual maniera erano amendue oggettod'invidia e di persecuzione. Ma per qual ragione eranoessi perseguitati? Perchè egli a Michele, e poscia amen-due insieme ad altri, un nuovo e assai più facile metodoaveano insegnato per apprendere il canto: "Unde ego,inspirante Domino charitatem, non solum tibi, sed etaliis quibuscumque potui summa cum devotione ac sol-licitudine a Deo mihi indignissimo datam contuli gra-tiam; ut quia ego et omnes ante me summa cum difficul-tate ecclesiasticos cantus didicimus, ipsos posteri sum-ma cum facilitate discentes, MIHI ET TIBI et reliquisadjutoribus meis aeternam apportent salutem, ec." Sipuò egli ancor dubitare che Michele non fosse il primodiscepolo nell'apprendere, e poscia il primo compagnodi Guido nell'insegnare il nuovo metodo del canto, e cheperciò Guido ancor non vivesse nel monastero medesi-mo in cui vivea Michele, cioè in quello della Pomposa?Quindi lo esorta a sperare che cessi presto la fiera burra-sca contro di essi eccitata, e gli racconta che il pontef.Giovanni che allor sedeva sulla cattedra di s. Pietro,cioè Giovanni XIX detto da altri XX, che fu papa

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dall'an. 1024 fino al 1033 (perciocchè di Giovanni ra-giona Guido in questa lettera e non di Benedetto VIII,come ha mostrato il Mabillon confutando l'opinione delcard. Baronio), avendo udito del maraviglioso profitto edella singolare facilità con cui i fanciulli usando del me-todo di Guido apprendevano il canto, tre messi aveagliinviati, perchè l'invitassero ad andarsene a Roma;ch'egli perciò recatosi innanzi al pontefice, questi aveavoluto farne in se stesso la pruova, e con sua gran mara-viglia avea subitamente appreso a cantare un versetto;che essendo egli frattanto caduto infermo, perchè il cal-do estivo di Roma a lui uomo alpestre era troppo noci-vo, avea ottenuto dal papa di potersene andare, ma apatto di farvi ritorno al venire del verno affin d'istruirequel clero nel canto. Questo è in breve ciò ch'egli lunga-mente racconta. Ma ciò che segue, dee qui essere riferi-to distesamente. "Post paucos dehinc dies PATREM VE-STRUM ATQUE MEUM domnum Guidonem PP.(Pomposianum) abatem..... ut patrem animae videre cu-piens visitavi, qui et ipse vir perspicacis ingenii nostrumantiphonarium ut vidit, extemplo probavit, nostrisqueaemulis se quondam consensisse, poenituit et ut Pompo-siam venit, veniam postulavit, suadens mihi monacoesse monasteria episcopatibus praeferenda, maximePomposiae, ec." Or qui noi veggiamo che Guido d'Arez-zo chiama Guido abate della Pomposa padre di Micheleugualmente che suo; che gli dà il titolo di padre dellasua anima; che l'abate Guido confessò di essersi lasciatoprevenire da' nimici di Guido d'Arezzo; e che invitollo

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dall'an. 1024 fino al 1033 (perciocchè di Giovanni ra-giona Guido in questa lettera e non di Benedetto VIII,come ha mostrato il Mabillon confutando l'opinione delcard. Baronio), avendo udito del maraviglioso profitto edella singolare facilità con cui i fanciulli usando del me-todo di Guido apprendevano il canto, tre messi aveagliinviati, perchè l'invitassero ad andarsene a Roma;ch'egli perciò recatosi innanzi al pontefice, questi aveavoluto farne in se stesso la pruova, e con sua gran mara-viglia avea subitamente appreso a cantare un versetto;che essendo egli frattanto caduto infermo, perchè il cal-do estivo di Roma a lui uomo alpestre era troppo noci-vo, avea ottenuto dal papa di potersene andare, ma apatto di farvi ritorno al venire del verno affin d'istruirequel clero nel canto. Questo è in breve ciò ch'egli lunga-mente racconta. Ma ciò che segue, dee qui essere riferi-to distesamente. "Post paucos dehinc dies PATREM VE-STRUM ATQUE MEUM domnum Guidonem PP.(Pomposianum) abatem..... ut patrem animae videre cu-piens visitavi, qui et ipse vir perspicacis ingenii nostrumantiphonarium ut vidit, extemplo probavit, nostrisqueaemulis se quondam consensisse, poenituit et ut Pompo-siam venit, veniam postulavit, suadens mihi monacoesse monasteria episcopatibus praeferenda, maximePomposiae, ec." Or qui noi veggiamo che Guido d'Arez-zo chiama Guido abate della Pomposa padre di Micheleugualmente che suo; che gli dà il titolo di padre dellasua anima; che l'abate Guido confessò di essersi lasciatoprevenire da' nimici di Guido d'Arezzo; e che invitollo

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perciò a venirsene al monastero medesimo. E tutte que-ste espressioni non ci sono esse un evidente argomento aconchiuderne che in quel monastero avea prima vissutoGuido, e che poscia per le persecuzioni contro lui ecci-tate e per la sinistra prevenzione del medesimo abate,erane uscito? Ma, dicono i dotti annalisti camaldolesi, seGuido fosse stato monaco della Pomposa, l'abate nonl'avrebbe già invitato e pregato a recarvisi, ma usandodel suo diritto lo avrebbe con autorità richiamato. Es'egli nol fosse stato, ripiglio io, come avrebbe potutoGuido d'Arezzo istruire innanzi a tutti Michele e gli altrimonaci della Pomposa nel canto? come avrebbe potutochiamar Michele suo fratello, suo l'Ordine in cui viveaMichele, e suo padre l'abate Guido? e come avrebbe po-tuto questi lasciarsi sedurre da' nimici di lui, e con essiunirsi a travagliarlo? Per altra parte, benchè l'abate Gui-do potesse usare del suo diritto, trattandosi però di unuomo che da più vescovi e dal papa medesimo era invi-tato a starsi con loro, egli avrà amato meglio di dolce-mente allettarlo a far ritorno all'antico suo monastero.Egli in fatti determinossi a ciò fare, come siegue a scri-vere al monaco Michele, a cui soggiugne: "Tanti itaquepatris orationibus flexus, et praeceptis obediens, priusauxiliante Domino volo hoc opere tantum et tale mona-sterium illustrare, meque monachum monachis praesta-re; cum praesertim simoniaca haeresi modo prope cunc-tis damnatis episcopis timeam in aliquo communicari.Sed quia ad praesens venire non possum, interim tibi deinveniendo cantu optimum dirigo argumentum, nuper

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perciò a venirsene al monastero medesimo. E tutte que-ste espressioni non ci sono esse un evidente argomento aconchiuderne che in quel monastero avea prima vissutoGuido, e che poscia per le persecuzioni contro lui ecci-tate e per la sinistra prevenzione del medesimo abate,erane uscito? Ma, dicono i dotti annalisti camaldolesi, seGuido fosse stato monaco della Pomposa, l'abate nonl'avrebbe già invitato e pregato a recarvisi, ma usandodel suo diritto lo avrebbe con autorità richiamato. Es'egli nol fosse stato, ripiglio io, come avrebbe potutoGuido d'Arezzo istruire innanzi a tutti Michele e gli altrimonaci della Pomposa nel canto? come avrebbe potutochiamar Michele suo fratello, suo l'Ordine in cui viveaMichele, e suo padre l'abate Guido? e come avrebbe po-tuto questi lasciarsi sedurre da' nimici di lui, e con essiunirsi a travagliarlo? Per altra parte, benchè l'abate Gui-do potesse usare del suo diritto, trattandosi però di unuomo che da più vescovi e dal papa medesimo era invi-tato a starsi con loro, egli avrà amato meglio di dolce-mente allettarlo a far ritorno all'antico suo monastero.Egli in fatti determinossi a ciò fare, come siegue a scri-vere al monaco Michele, a cui soggiugne: "Tanti itaquepatris orationibus flexus, et praeceptis obediens, priusauxiliante Domino volo hoc opere tantum et tale mona-sterium illustrare, meque monachum monachis praesta-re; cum praesertim simoniaca haeresi modo prope cunc-tis damnatis episcopis timeam in aliquo communicari.Sed quia ad praesens venire non possum, interim tibi deinveniendo cantu optimum dirigo argumentum, nuper

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nobis a Domino datum, et utilissimum comprobatum".Ed è verisimile che poscia vi si recasse. Ei finalmenteconchiude la lettera pregando Michele a salutare in suonome "Martinum priorem sacrae congregationis, no-strumque maximum adjutorem.... fratrem quoque Pe-trum.... quia nostro lacte nutritus, ec." le quali parole an-cora sono, come ognun vede, un altro forte argomento aconchiudere che Guido era già stato monaco nella Pom-posa.

XIII. Da tutto ciò a me par che raccolgasicon qualche evidenza, che Guido era statoin addietro monaco nel monastero dallaPomposa; che il nuovo metodo da lui ivitrovato, e cominciato ad usare nell'inse-

gnare il canto avea destata contro di lui l'invidia di mol-ti; che lo stesso suo abate Guido lasciatosi trascinar daltorrente avea preso a dargli molestia; ch'egli perciò usci-to dal monastero avea preso ad insegnare il canto al cle-ro di alcune chiese, e che singolarmente era stato perciòchiamato da Teodaldo vescovo d'Arezzo, il quale tennequella sede dall'an. 1023 fino al 1037, e a cui è indiriz-zata la seconda lettera di Guido, colla quale gli offre ilsuo Micrologo, di cui orora ragioneremo; che fu posciachiamato a Roma dal pontef. Giovanni XIX, e che iviabbattutosi nell'antico suo abate fu da lui invitato a tor-narsene al suo monastero, il che egli avea risoluto difare, e come in fatti è probabile che facesse. Tutta questa

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Risposta alle contrarie ra-gioni degli annalisti ca-maldolesi.

nobis a Domino datum, et utilissimum comprobatum".Ed è verisimile che poscia vi si recasse. Ei finalmenteconchiude la lettera pregando Michele a salutare in suonome "Martinum priorem sacrae congregationis, no-strumque maximum adjutorem.... fratrem quoque Pe-trum.... quia nostro lacte nutritus, ec." le quali parole an-cora sono, come ognun vede, un altro forte argomento aconchiudere che Guido era già stato monaco nella Pom-posa.

XIII. Da tutto ciò a me par che raccolgasicon qualche evidenza, che Guido era statoin addietro monaco nel monastero dallaPomposa; che il nuovo metodo da lui ivitrovato, e cominciato ad usare nell'inse-

gnare il canto avea destata contro di lui l'invidia di mol-ti; che lo stesso suo abate Guido lasciatosi trascinar daltorrente avea preso a dargli molestia; ch'egli perciò usci-to dal monastero avea preso ad insegnare il canto al cle-ro di alcune chiese, e che singolarmente era stato perciòchiamato da Teodaldo vescovo d'Arezzo, il quale tennequella sede dall'an. 1023 fino al 1037, e a cui è indiriz-zata la seconda lettera di Guido, colla quale gli offre ilsuo Micrologo, di cui orora ragioneremo; che fu posciachiamato a Roma dal pontef. Giovanni XIX, e che iviabbattutosi nell'antico suo abate fu da lui invitato a tor-narsene al suo monastero, il che egli avea risoluto difare, e come in fatti è probabile che facesse. Tutta questa

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Risposta alle contrarie ra-gioni degli annalisti ca-maldolesi.

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serie di fatti si offre, per quanto a me pare, da se mede-sima a chiunque attentamente considera la lettera so-praccennata. Le ragioni poi, che dagli eruditissimi anna-listi si recano a pruova del lor sentimento, a me nonsembra che abbiamo quella forza ch'essi vi riconoscono.Guido si chiama uomo alpestre; ma ciò non pruova ch'eivivesse in un monastero posto fra l'Alpi. Egli era nato inArezzo che n'è alle falde; e ciò potea bastare perchè ei sichiamasse alpestre, e perchè essendo nato in tal climaprovasse dannosi gli estivi ardori romani. L'immagineche di lui vedesi nel refettorio di Fonte Avellana, con-verrebbe che fosse non poco antica, perchè se ne potessetrarre argomento a provarlo vissuto in quel monastero;ma ciò nè si pruova, nè si asserisce dagli annalisti ca-maldolesi. Finalmente il trovarsi un Guido nell'eremocamaldolese presso Arezzo a questi tempi medesimi,non dee sembrare agli annalisti medesimi argomento digran valore, poichè essi stessi riflettono che molti mona-ci a questi tempi vivevano di tal nome. L'autorità nondi-meno di così dotti scrittori è presso me troppo grande,perchè io mi ardisca di tacciare apertamente di falsal'opinion loro. Io propongo i dubbj che intorno a ciò misi offrono, e le ragioni per cui l'opposto parer mi pareassai più probabile; ma sarò sempre pronto a cambiarsentimento quando mi si faccia conoscere di avere erra-to.

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serie di fatti si offre, per quanto a me pare, da se mede-sima a chiunque attentamente considera la lettera so-praccennata. Le ragioni poi, che dagli eruditissimi anna-listi si recano a pruova del lor sentimento, a me nonsembra che abbiamo quella forza ch'essi vi riconoscono.Guido si chiama uomo alpestre; ma ciò non pruova ch'eivivesse in un monastero posto fra l'Alpi. Egli era nato inArezzo che n'è alle falde; e ciò potea bastare perchè ei sichiamasse alpestre, e perchè essendo nato in tal climaprovasse dannosi gli estivi ardori romani. L'immagineche di lui vedesi nel refettorio di Fonte Avellana, con-verrebbe che fosse non poco antica, perchè se ne potessetrarre argomento a provarlo vissuto in quel monastero;ma ciò nè si pruova, nè si asserisce dagli annalisti ca-maldolesi. Finalmente il trovarsi un Guido nell'eremocamaldolese presso Arezzo a questi tempi medesimi,non dee sembrare agli annalisti medesimi argomento digran valore, poichè essi stessi riflettono che molti mona-ci a questi tempi vivevano di tal nome. L'autorità nondi-meno di così dotti scrittori è presso me troppo grande,perchè io mi ardisca di tacciare apertamente di falsal'opinion loro. Io propongo i dubbj che intorno a ciò misi offrono, e le ragioni per cui l'opposto parer mi pareassai più probabile; ma sarò sempre pronto a cambiarsentimento quando mi si faccia conoscere di avere erra-to.

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XIV. Dopo aver così rischiarato, quanto èstato possile, ciò che appartiene alla vitadel nostro Guido, rimane a vedere ciòch'egli a pro della musica abbia operato, equai libri abbia scritto su tale argomento.

Questi non sono mai stati dati alla luce, come tra pocodiremo, e perciò a conoscere ciò ch'egli ha aggiunto diperfezione a quest'arte, convien osservare ciò che nedice egli stesso nelle lettere sopraccennate; e ciò che nedicono gli scrittori a lui più vicini, e ciò che ne racconta-no quelli che hanno potuto leggere l'opera stessa di Gui-do. Egli non ci spiega abbastanza quali fosser le regoleda lui trovate per apprender la musica. Solo ei dice nellalettera a Michele monaco della Pomposa, che mentre inaddietro appena bastava lo studio di dieci anni per impa-rare imperfettamente il canto, egli in un anno solo, o indue al più insegnavalo: "Nam sì illi pro suis apud Domi-num devotissime intercedunt magistris, qui hactenus abeis vix decennio cantandi imperfectam scientiam conse-qui potuerunt, quid putas nobis pro nostris adjutoribusfiet, qui annali spatio, aut, si multum, biennio perfectumcantorem, efficimus"? Rammenta ivi ancora un antifo-nario ch'egli avea scritto, e a cui avea aggiunte le regoleper ben cantare; e finalmente accenna una nuova manie-ra più recentemente da sè scoperta per trovare un cantonon conosciuto: "interim tibi de inveniendo ignoto cantuoptimum dirigo argumentum, nuper nobis a Domino da-tum et utilissimum comprobatum". Somiglianti generaliespressioni egli usa nell'altra lettera a Teodaldo vescovo

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Che cosa egliadoperasse a perfezionare la musica.

XIV. Dopo aver così rischiarato, quanto èstato possile, ciò che appartiene alla vitadel nostro Guido, rimane a vedere ciòch'egli a pro della musica abbia operato, equai libri abbia scritto su tale argomento.

Questi non sono mai stati dati alla luce, come tra pocodiremo, e perciò a conoscere ciò ch'egli ha aggiunto diperfezione a quest'arte, convien osservare ciò che nedice egli stesso nelle lettere sopraccennate; e ciò che nedicono gli scrittori a lui più vicini, e ciò che ne racconta-no quelli che hanno potuto leggere l'opera stessa di Gui-do. Egli non ci spiega abbastanza quali fosser le regoleda lui trovate per apprender la musica. Solo ei dice nellalettera a Michele monaco della Pomposa, che mentre inaddietro appena bastava lo studio di dieci anni per impa-rare imperfettamente il canto, egli in un anno solo, o indue al più insegnavalo: "Nam sì illi pro suis apud Domi-num devotissime intercedunt magistris, qui hactenus abeis vix decennio cantandi imperfectam scientiam conse-qui potuerunt, quid putas nobis pro nostris adjutoribusfiet, qui annali spatio, aut, si multum, biennio perfectumcantorem, efficimus"? Rammenta ivi ancora un antifo-nario ch'egli avea scritto, e a cui avea aggiunte le regoleper ben cantare; e finalmente accenna una nuova manie-ra più recentemente da sè scoperta per trovare un cantonon conosciuto: "interim tibi de inveniendo ignoto cantuoptimum dirigo argumentum, nuper nobis a Domino da-tum et utilissimum comprobatum". Somiglianti generaliespressioni egli usa nell'altra lettera a Teodaldo vescovo

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Che cosa egliadoperasse a perfezionare la musica.

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d'Arezzo, a cui indirizza il suo Micrologo, in cui eglidice che avea seguita una via diversa da quella che i fi-losofi avean finallora tenuta: "Itaque... offero sollertissi-mae paternitati tuae musicae artis regulas quanto luci-dius et brevius potui explicatas philosophorum nequeeadem via ad plenum, neque eorum insistendo vesti-giis". Così egli ci lascia incerti qual fosse veramente ilmetodo da lui trovato per apprendere con assai maggio-re facilità il canto. Più chiaramente favellane Sigeberto,scrittore vissuto nel medesimo secolo di Guido, il qualedice (in Chron. ad an. 1028; et de Script. eccl. c. 144)che per mezzo delle regole da lui trovate più facilmentes'apprende la musica, che colla voce di alcun maestro, ocoll'uso di qualche sia stromento: "dummodo sex litterisvel syllabis modulatim appositis ad sex voces, quas so-las regulariter musica recipit; hisque vocibus per flexu-ras digitorum laevae manus distinctis, per integrum dia-pason se se oculis et auribus ingerunt intentae et remis-sae elevationes vel depositiones earundum vocum". Lequali parole furon poscia copiate e ripetute da Vincenzobellovacese (Speculum historiale l. 25, c. 14). Di Guidofa menzione ancor Donizone scrittore di questo medesi-mo tempo, ove parlando del vescovo Teodaldo così dice(Vit. Mathild. c. 5):

Musica seu cantus istum laudare TedaldumNon cessant semper; renovantur eo faciente:Micrologum sibi dictat Guido peritus,Musicus et monachus, nec non heremita beandus.

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d'Arezzo, a cui indirizza il suo Micrologo, in cui eglidice che avea seguita una via diversa da quella che i fi-losofi avean finallora tenuta: "Itaque... offero sollertissi-mae paternitati tuae musicae artis regulas quanto luci-dius et brevius potui explicatas philosophorum nequeeadem via ad plenum, neque eorum insistendo vesti-giis". Così egli ci lascia incerti qual fosse veramente ilmetodo da lui trovato per apprendere con assai maggio-re facilità il canto. Più chiaramente favellane Sigeberto,scrittore vissuto nel medesimo secolo di Guido, il qualedice (in Chron. ad an. 1028; et de Script. eccl. c. 144)che per mezzo delle regole da lui trovate più facilmentes'apprende la musica, che colla voce di alcun maestro, ocoll'uso di qualche sia stromento: "dummodo sex litterisvel syllabis modulatim appositis ad sex voces, quas so-las regulariter musica recipit; hisque vocibus per flexu-ras digitorum laevae manus distinctis, per integrum dia-pason se se oculis et auribus ingerunt intentae et remis-sae elevationes vel depositiones earundum vocum". Lequali parole furon poscia copiate e ripetute da Vincenzobellovacese (Speculum historiale l. 25, c. 14). Di Guidofa menzione ancor Donizone scrittore di questo medesi-mo tempo, ove parlando del vescovo Teodaldo così dice(Vit. Mathild. c. 5):

Musica seu cantus istum laudare TedaldumNon cessant semper; renovantur eo faciente:Micrologum sibi dictat Guido peritus,Musicus et monachus, nec non heremita beandus.

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Ma tutte queste parole non bastano a darci una chiaraidea di ciò che Guido facesse a perfezionare la musica.Convien dunque ricorrere all'opera stessa di Guido, cheegli intitolò Micrologo, e che divise in due libri, uno de'quali egli scrisse in prosa, l'altro in assai liberi versijambi. Essa, come già ho detto, non è mai stata data allaluce, e solo se ne conservano pochi codici mss. in alcu-ne biblioteche (V. Oudin de Script. eccl. t. 2, p. 600;Mazzuch. Script. ital. t. 1, par. 2, p. 1007). Niuno diquesti ho io veduto, nè posso perciò favellarne che coglialtrui sentimenti; e questi ancora, se io volessi qui ripor-tarli distesamente, occuperebbono non piccola parte diquesto libro. "Chi volesse, dice l'ab. Quadrio (Stor. dellaPoes. t. 2, p. 704), gli accidenti tutti narrare, che furononella musica da Guido e dagli altri poi osservati, avreb-be da comporre perciò unicamente un intero volume".Nè io credo che i miei lettori vedrebbono qui con piace-re una lunga dissertazione piena per ogni parte di quelleparolette gentili, diapason, disdiapason, disdiapason-diatasseron, e somiglianti. A me dunque basti il riflette-re che Guido non solo fu l'inventore delle note musicaliche anche al presente sono in uso, delle quali egli presel'appellazione, come è noto, dal principio dell'inno Utqueant laxis, ec.; ma un nuovo sistema di musica formòancora, e nuove divisioni introdusse, e l'uso delle lineeparallele distinte e contrassegnate da punti; i quai nuoviritrovamenti furono con sommo plauso allor ricevuti, e

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Ma tutte queste parole non bastano a darci una chiaraidea di ciò che Guido facesse a perfezionare la musica.Convien dunque ricorrere all'opera stessa di Guido, cheegli intitolò Micrologo, e che divise in due libri, uno de'quali egli scrisse in prosa, l'altro in assai liberi versijambi. Essa, come già ho detto, non è mai stata data allaluce, e solo se ne conservano pochi codici mss. in alcu-ne biblioteche (V. Oudin de Script. eccl. t. 2, p. 600;Mazzuch. Script. ital. t. 1, par. 2, p. 1007). Niuno diquesti ho io veduto, nè posso perciò favellarne che coglialtrui sentimenti; e questi ancora, se io volessi qui ripor-tarli distesamente, occuperebbono non piccola parte diquesto libro. "Chi volesse, dice l'ab. Quadrio (Stor. dellaPoes. t. 2, p. 704), gli accidenti tutti narrare, che furononella musica da Guido e dagli altri poi osservati, avreb-be da comporre perciò unicamente un intero volume".Nè io credo che i miei lettori vedrebbono qui con piace-re una lunga dissertazione piena per ogni parte di quelleparolette gentili, diapason, disdiapason, disdiapason-diatasseron, e somiglianti. A me dunque basti il riflette-re che Guido non solo fu l'inventore delle note musicaliche anche al presente sono in uso, delle quali egli presel'appellazione, come è noto, dal principio dell'inno Utqueant laxis, ec.; ma un nuovo sistema di musica formòancora, e nuove divisioni introdusse, e l'uso delle lineeparallele distinte e contrassegnate da punti; i quai nuoviritrovamenti furono con sommo plauso allor ricevuti, e

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seguiti per lungo tempo (35). Di questo sistema di Guidoparlano più ampiamente il Quadrio sopraccitato (p. 703,ec.), Sebastiano de Brossard (Dict. de Mus. p. 159, ec.),il co. Mazzucchelli (l. c.), e più altri autori da lui allega-ti. Ma noi abbiamo a sperare che più esattamente di tuttiillustrerà ciò che appartiene al sistema di Guido, il ch. p.maestro Martini minor conventuale, quando eglinell'eruditissima sua Storia della Musica, di cui già ab-biam avuti tre tomi, sia giunto a' tempi di cui parliamo,e il poco che già egli ne ha detto incidentemente nel pri-mo tomo (p. 7, 177, 178, 179, 184, 235, 326), ci fa desi-derare con impazienza di vedere da sì valoroso scrittoreesposto tutto questo sistema (36). Un'opera dello stesso

35 Il sig. ab. Arteaga scema alquanto di quelle lodi che da molti scrittori sidanno a Guido (Rivoluz. del Teat. music. ital. t. 1, p. 106, ec. ed ven.). Egliafferma che "i suoi meriti principali sono d'aver migliorata l'arte del canta-re, ampliata la stromentale, gittati i fondamenti del contrappunto, e agevo-lata la via a imparar presto la musica troppo per l'addietro spinosa e diffici-le. Ma nega ch'ei fosse il primo a inventar le righe, e a collocarvi sopra ipunti, affinchè con la diversa posizione di questi s'indicassero gli alzamen-ti e gli abbassamenti della voce; che aggiugnendo al diagramma, ovveroscala musicale degli antichi, che costava di quindici corde, la senaria mag-giore, abbia accresciuta di cinque corde di più la scala musicale, ch'ei fosseil primo a ritrovare la gamma, ovvero quella tavola, o scala, sulla quales'impara a dare il lor nome, e a intuonar con giustezza i gradi dell'ottavaper le sei note di musica; e ch'ei precedesse a tutti nell'uso degli strumentimusicali chiamati polipettri, quali sono il clavicembalo, la spinetta, il cla-vicordio e più altri di questo genere". A me sembra che le ragioni da luiaddotte per negar queste glorie a Guido abbiano molta forza; ma sembramiancora che quelle ch'ei gli concede, possan bastare a farci rimirar Guidocome uomo sommamente benemerito della musica.

36 La morte di questo valoroso scrittore accaduta nel 1784, ci ha tolta la spe-ranza di vedere da lui illustrato questo passo di storia musicale. Ma pos-siam lusingarci che il dotto p. Stanislao Mattei di lui successore e conti-

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seguiti per lungo tempo (35). Di questo sistema di Guidoparlano più ampiamente il Quadrio sopraccitato (p. 703,ec.), Sebastiano de Brossard (Dict. de Mus. p. 159, ec.),il co. Mazzucchelli (l. c.), e più altri autori da lui allega-ti. Ma noi abbiamo a sperare che più esattamente di tuttiillustrerà ciò che appartiene al sistema di Guido, il ch. p.maestro Martini minor conventuale, quando eglinell'eruditissima sua Storia della Musica, di cui già ab-biam avuti tre tomi, sia giunto a' tempi di cui parliamo,e il poco che già egli ne ha detto incidentemente nel pri-mo tomo (p. 7, 177, 178, 179, 184, 235, 326), ci fa desi-derare con impazienza di vedere da sì valoroso scrittoreesposto tutto questo sistema (36). Un'opera dello stesso

35 Il sig. ab. Arteaga scema alquanto di quelle lodi che da molti scrittori sidanno a Guido (Rivoluz. del Teat. music. ital. t. 1, p. 106, ec. ed ven.). Egliafferma che "i suoi meriti principali sono d'aver migliorata l'arte del canta-re, ampliata la stromentale, gittati i fondamenti del contrappunto, e agevo-lata la via a imparar presto la musica troppo per l'addietro spinosa e diffici-le. Ma nega ch'ei fosse il primo a inventar le righe, e a collocarvi sopra ipunti, affinchè con la diversa posizione di questi s'indicassero gli alzamen-ti e gli abbassamenti della voce; che aggiugnendo al diagramma, ovveroscala musicale degli antichi, che costava di quindici corde, la senaria mag-giore, abbia accresciuta di cinque corde di più la scala musicale, ch'ei fosseil primo a ritrovare la gamma, ovvero quella tavola, o scala, sulla quales'impara a dare il lor nome, e a intuonar con giustezza i gradi dell'ottavaper le sei note di musica; e ch'ei precedesse a tutti nell'uso degli strumentimusicali chiamati polipettri, quali sono il clavicembalo, la spinetta, il cla-vicordio e più altri di questo genere". A me sembra che le ragioni da luiaddotte per negar queste glorie a Guido abbiano molta forza; ma sembramiancora che quelle ch'ei gli concede, possan bastare a farci rimirar Guidocome uomo sommamente benemerito della musica.

36 La morte di questo valoroso scrittore accaduta nel 1784, ci ha tolta la spe-ranza di vedere da lui illustrato questo passo di storia musicale. Ma pos-siam lusingarci che il dotto p. Stanislao Mattei di lui successore e conti-

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Guido intitolata de Mensura Monochordi accennasi dalp. Bernardo Pez (Anecd. t. 3, pars. 3, p. 618); e forseella è cosa diversa dal suo Micrologo; ma forse ancoranon è che una parte svelta dal rimanente. Di altre opereper errore attribuite a Guido veggasi il soprallodato co.Mazzucchelli. Il Quadrio afferma inoltre che Guido ful'inventore del gravicembalo, del chiavicordo, e dellaspinetta (l. c. p. 739), ma egli, secondo il suo ordinariocostume, non cita scrittore alcuno da cui ciò si affermi,nè io so che tra gli antichi vi abbia, chi dia a Guido tallode (37).

nuatore soddisferà al comun desiderio.37 Il sig. ab. Arteaga, dopo avere osservato che "la musica ebbe la sua origine

ed accrescimento in Italia, afferma che non così avvenne della profana(Rivoluz. del Teat. music. ital. t. 1, p. 143 ed. ven.)" perciocchè le guerre,dalle quali per tanto tempo devastate furono queste provincie, furon cagio-ne che "occupati gl'Italiani nel provvedere agli sconcerti cagionati dallaguerra, dalla politica e dalla natura, non pensavano a coltivare le arti piùgentili e molto meno la musica". A me pare che in questo passo l'ab. Ar-teaga non sia stato nè troppo felice ragionatore, nè storico troppo esatto.La musica sacra e la profana sono appoggiate agli stessi principj, e hannole medesime leggi fondamentali. Dunque, se la musica sacra debba la suaorigine ed accrescimento all'Italia, ad essa ne è debitrice ancor la profana.Ma gl'Italiani, dice l'ab. Arteaga, non la poterono coltivare per l'infelicecondizione de' tempi. E come ciò? A questi tempi noi abbiamo scopertipittori, scultori, architetti italiani in gran numero: abbiamo osservato che lepiù magnifiche torri d'Italia, che tuttora sussistono, furono opere del XIIsecolo, e che in più tranquilli tempi non potevano aspettarsi le più grandio-se. Se dunque tutte le belle arti si coltivarono allora in Italia, perchè la solamusica profana rimase abbandonata e negletta? Crede però il sig. ab. Ar-teaga di aver trovato un autentico documento a comprovare la sua asser-zione, che i Provenzali furono i primi ad applicare alla poesia profana lamusica, e che in ciò precedettero agl'Italiani. "Nell'Ambrosiana di Milano,dic'egli (p. 150), si conserva un antichissimo codice, del quale ho avutaalle mani e riletta una esattissima copia. Esso ha per titolo: Trattato del

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Guido intitolata de Mensura Monochordi accennasi dalp. Bernardo Pez (Anecd. t. 3, pars. 3, p. 618); e forseella è cosa diversa dal suo Micrologo; ma forse ancoranon è che una parte svelta dal rimanente. Di altre opereper errore attribuite a Guido veggasi il soprallodato co.Mazzucchelli. Il Quadrio afferma inoltre che Guido ful'inventore del gravicembalo, del chiavicordo, e dellaspinetta (l. c. p. 739), ma egli, secondo il suo ordinariocostume, non cita scrittore alcuno da cui ciò si affermi,nè io so che tra gli antichi vi abbia, chi dia a Guido tallode (37).

nuatore soddisferà al comun desiderio.37 Il sig. ab. Arteaga, dopo avere osservato che "la musica ebbe la sua origine

ed accrescimento in Italia, afferma che non così avvenne della profana(Rivoluz. del Teat. music. ital. t. 1, p. 143 ed. ven.)" perciocchè le guerre,dalle quali per tanto tempo devastate furono queste provincie, furon cagio-ne che "occupati gl'Italiani nel provvedere agli sconcerti cagionati dallaguerra, dalla politica e dalla natura, non pensavano a coltivare le arti piùgentili e molto meno la musica". A me pare che in questo passo l'ab. Ar-teaga non sia stato nè troppo felice ragionatore, nè storico troppo esatto.La musica sacra e la profana sono appoggiate agli stessi principj, e hannole medesime leggi fondamentali. Dunque, se la musica sacra debba la suaorigine ed accrescimento all'Italia, ad essa ne è debitrice ancor la profana.Ma gl'Italiani, dice l'ab. Arteaga, non la poterono coltivare per l'infelicecondizione de' tempi. E come ciò? A questi tempi noi abbiamo scopertipittori, scultori, architetti italiani in gran numero: abbiamo osservato che lepiù magnifiche torri d'Italia, che tuttora sussistono, furono opere del XIIsecolo, e che in più tranquilli tempi non potevano aspettarsi le più grandio-se. Se dunque tutte le belle arti si coltivarono allora in Italia, perchè la solamusica profana rimase abbandonata e negletta? Crede però il sig. ab. Ar-teaga di aver trovato un autentico documento a comprovare la sua asser-zione, che i Provenzali furono i primi ad applicare alla poesia profana lamusica, e che in ciò precedettero agl'Italiani. "Nell'Ambrosiana di Milano,dic'egli (p. 150), si conserva un antichissimo codice, del quale ho avutaalle mani e riletta una esattissima copia. Esso ha per titolo: Trattato del

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canto misurato. L'autore è un certo Francone monaco benedettino norman-no di nazione, o secondo alcuni parigino. Egli fu abate del monastero diAfflighem nella contea di Brabante. Fiorì sul fine dell'XI secolo e sul prin-cipio del XII. Di lui fanno menzione fra gli altri il Tritemio, Arrigo ganda-vense, e il Moreri... Nel mentovato codice vien riferito, anzi proposto peresempio il primo versetto d'una canzone provenzale posta sotto le note se-condo la musica di quei tempi". Qui l'ab. Arteaga ci dà la figura delle notemusicali, con cui è segnato il seguente verso: "Doure secors aii ancore re-troveis. Supponendo adunque, conchiude egli, che Francone scrivesse ilsuo trattato verso il 1100, o anche verso il 1106, e trovandosi di già citatepoesie musicali, hassi ogni ragione di credere che siffatta usanza conosciu-ta fosse dai Provenzali anche prima del 1100, sino alla qual epoca non tro-vandosi alcun monumento che risalga nelle altre nazioni europeo, ad essipure incontrastabil rimane la gloria di averla i primi adoperata". Mi spiacedi esser costretto a rilevare non pochi errori che questo valoroso scrittoreha in questo passo commessi. In primo luogo il codice dell'Ambrosiananon si può in alcun modo dire antichissimo; anzi le miniature fregiated'oro, la pergamena bianca e sottile anzi che no, in cui è scritto, le abbre-viature, il carattere, tutte in somma le circostanze cel mostrano un codicedel sec. XV, o al più della fine del sec. XIV, come mi ha assicurato il dot-tissimo ed esattissimo sig. ab. d. Gaetano Bugatti dottore del collegio am-brosiano da me consultato. Certo esso non può essere più antico del sec.XIV, perciocchè con lo stesso carattere con cui è scritta l'opera di Franco-ne, sono ivi scritte alcune altre opere di musica, e tra le altre due di Mar-chetto da Padova, cioè "Lucidarium in Arte Musicae planae, e Pomeriumin Arte Musicae mensuratae" la qual seconda opera è da lui dedicata a Ro-berto re di Napoli, che tenne quel regno dal 1309 al 1343. In secondo luo-go non è stato abbastanza esatto l'ab. Arteaga nel riportare il titolo di que-sto libro, il quale essendo il principal fondamento della sua opinione, do-vea perciò da lui descriversi colla più scrupolosa esattezza. Eccolo, qualeesso è veramente: "Incipit ars cantus mensurabilis edita a magistro Franco-

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canto misurato. L'autore è un certo Francone monaco benedettino norman-no di nazione, o secondo alcuni parigino. Egli fu abate del monastero diAfflighem nella contea di Brabante. Fiorì sul fine dell'XI secolo e sul prin-cipio del XII. Di lui fanno menzione fra gli altri il Tritemio, Arrigo ganda-vense, e il Moreri... Nel mentovato codice vien riferito, anzi proposto peresempio il primo versetto d'una canzone provenzale posta sotto le note se-condo la musica di quei tempi". Qui l'ab. Arteaga ci dà la figura delle notemusicali, con cui è segnato il seguente verso: "Doure secors aii ancore re-troveis. Supponendo adunque, conchiude egli, che Francone scrivesse ilsuo trattato verso il 1100, o anche verso il 1106, e trovandosi di già citatepoesie musicali, hassi ogni ragione di credere che siffatta usanza conosciu-ta fosse dai Provenzali anche prima del 1100, sino alla qual epoca non tro-vandosi alcun monumento che risalga nelle altre nazioni europeo, ad essipure incontrastabil rimane la gloria di averla i primi adoperata". Mi spiacedi esser costretto a rilevare non pochi errori che questo valoroso scrittoreha in questo passo commessi. In primo luogo il codice dell'Ambrosiananon si può in alcun modo dire antichissimo; anzi le miniature fregiated'oro, la pergamena bianca e sottile anzi che no, in cui è scritto, le abbre-viature, il carattere, tutte in somma le circostanze cel mostrano un codicedel sec. XV, o al più della fine del sec. XIV, come mi ha assicurato il dot-tissimo ed esattissimo sig. ab. d. Gaetano Bugatti dottore del collegio am-brosiano da me consultato. Certo esso non può essere più antico del sec.XIV, perciocchè con lo stesso carattere con cui è scritta l'opera di Franco-ne, sono ivi scritte alcune altre opere di musica, e tra le altre due di Mar-chetto da Padova, cioè "Lucidarium in Arte Musicae planae, e Pomeriumin Arte Musicae mensuratae" la qual seconda opera è da lui dedicata a Ro-berto re di Napoli, che tenne quel regno dal 1309 al 1343. In secondo luo-go non è stato abbastanza esatto l'ab. Arteaga nel riportare il titolo di que-sto libro, il quale essendo il principal fondamento della sua opinione, do-vea perciò da lui descriversi colla più scrupolosa esattezza. Eccolo, qualeesso è veramente: "Incipit ars cantus mensurabilis edita a magistro Franco-

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CAPO VI.Medicina.

ne parisiensi". Il sig. ab. Arteaga avrà certamente veduto questo titolo nel-la copia, ossia nel transunto di questo trattato che da Milano fu mandato aBologna al p. Martini. Forse egli ha temuto che la patria di Francone iviindicata potesse rendere almen dubbiosa la sua opinione. Perciò lasciandodi riportare il titolo, ha voluta però prevenire la difficoltà che potevane na-scere, ed ha affermato che l'autore ne è Francone, abate d'Afflighem "nor-manno di nazione, o secondo alcuni parigino". Ma di grazia chi son gli au-tori che dicono o normanno, o parigino Francone, abate d'Afflighem? Noncerto Arrigo gandavense, non il Tritemio, non il Moreri, (almeno nell'edi-zion Veneta del 1745 da me veduta) da lui citati, i quali della patria di que-sto Francone non fan parola. Chi son dunque gli alcuni che fan pariginoFrancone abate d'Afflighem? In terzo luogo, come sa l'ab. Arteaga che ilFrancone autore del Trattato di Musica sia l'abate d'Afflighem? Egli non sicompiace di addurcene pruova alcuna. Ei poteva nondimeno sapere che idotti Maurini autori della Storia letteraria di Francia attribuiscon quell'ope-ra non all'abate d'Afflighem, ma a un altro Francone scolastico di Liegi,cui provano doversi distinguere da quel d'Afflighem, e lo mostran vissutoalmeno fino al 1083 (Hist. littér. de la France t. 8, d. 121, ec.). Con qualfondamento adunque ha egli abbandonato il lor sentimento? Il sig. ab. Ar-teaga risponderà per avventura, che se l'autore del Trattato di Musica èFrancone da Liegi, vissuto nel sec. XI, una maggiore antichità ne risultaper la poesia provenzale, e che perciò la sua opinione viene anzi a confer-marsi. Ma io son persuaso che quell'opera non sia neppure di esso. Sige-berto gemblacense contemporaneo di Francone da Liegi, e morto alcunianni dopo di lui, ne rammenta alcune opere (De Script. eccl. c. 164), e diquella sulla Musica non fa parola. Parla di questo Francone da Liegi ancheil Tritemio e non ne rammenta quest'opera. Anzi da lui io traggo un altroargomento per la mia opinione; perciocchè Francone da Liegi, secondoquesto scrittore, fu di nazione tedesco, e l'autore del Trattato di Musica fuparigino. Non può dunque Francone da Liegi essere l'autore dell'opera sul-la Musica. Non può esserlo l'altro Francone per le stesse ragioni, e anche

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CAPO VI.Medicina.

ne parisiensi". Il sig. ab. Arteaga avrà certamente veduto questo titolo nel-la copia, ossia nel transunto di questo trattato che da Milano fu mandato aBologna al p. Martini. Forse egli ha temuto che la patria di Francone iviindicata potesse rendere almen dubbiosa la sua opinione. Perciò lasciandodi riportare il titolo, ha voluta però prevenire la difficoltà che potevane na-scere, ed ha affermato che l'autore ne è Francone, abate d'Afflighem "nor-manno di nazione, o secondo alcuni parigino". Ma di grazia chi son gli au-tori che dicono o normanno, o parigino Francone, abate d'Afflighem? Noncerto Arrigo gandavense, non il Tritemio, non il Moreri, (almeno nell'edi-zion Veneta del 1745 da me veduta) da lui citati, i quali della patria di que-sto Francone non fan parola. Chi son dunque gli alcuni che fan pariginoFrancone abate d'Afflighem? In terzo luogo, come sa l'ab. Arteaga che ilFrancone autore del Trattato di Musica sia l'abate d'Afflighem? Egli non sicompiace di addurcene pruova alcuna. Ei poteva nondimeno sapere che idotti Maurini autori della Storia letteraria di Francia attribuiscon quell'ope-ra non all'abate d'Afflighem, ma a un altro Francone scolastico di Liegi,cui provano doversi distinguere da quel d'Afflighem, e lo mostran vissutoalmeno fino al 1083 (Hist. littér. de la France t. 8, d. 121, ec.). Con qualfondamento adunque ha egli abbandonato il lor sentimento? Il sig. ab. Ar-teaga risponderà per avventura, che se l'autore del Trattato di Musica èFrancone da Liegi, vissuto nel sec. XI, una maggiore antichità ne risultaper la poesia provenzale, e che perciò la sua opinione viene anzi a confer-marsi. Ma io son persuaso che quell'opera non sia neppure di esso. Sige-berto gemblacense contemporaneo di Francone da Liegi, e morto alcunianni dopo di lui, ne rammenta alcune opere (De Script. eccl. c. 164), e diquella sulla Musica non fa parola. Parla di questo Francone da Liegi ancheil Tritemio e non ne rammenta quest'opera. Anzi da lui io traggo un altroargomento per la mia opinione; perciocchè Francone da Liegi, secondoquesto scrittore, fu di nazione tedesco, e l'autore del Trattato di Musica fuparigino. Non può dunque Francone da Liegi essere l'autore dell'opera sul-la Musica. Non può esserlo l'altro Francone per le stesse ragioni, e anche

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I. Come la filosofia e la matematica, dopoessere state parecchi secoli quasi interamen-te neglette, cominciarono a questi tempi arisorgere in Italia, e da essa si sparsero po-scia nelle vicine non meno che nelle lontaneprovincie, così pure la medicina, intorno

alla quale in tutto lo spazio di tempo in questo tomocompreso appena ci si è offerta cosa degna d'essere ram-mentata, nell'epoca di cui ora scriviamo, venne per ope-ra degl'Italiani singolarmente a nuova luce, e cominciòad esser di nuovo l'oggetto della premura e della prote-zion de' sovrani. Parlo della celebre scuola salernitana, il

perchè in tutti i codici l'autore prende il titolo di magister, di cui non usa-vano gli abati nè i monaci, almeno in quel tempo. Dunque debb'essere unaltro qualch'egli siasi Francone parigino. Quando egli vivesse precisamen-te, non possiamo affermarlo. Il p. Gerbert che ne ha pubblicata l'opera nelTomo II della sua Raccolta degli Scrittori musicali de' bassi tempi, credeche a lui alluda Giovanni di Sarisbery scrittore del XII secolo, ove nel suoPolicretico riprende la musica che allor si usava. Ma questo argomentonon è certo bastante a provarlo. Anche il p. Martini lo crede vissuto nelsec. XI (t. 1, p. 169), ma non ne reca pruova di sorta alcuna; e potrebbe an-che Francone esser vissuto o alla fine del XII, o anche nel XIII secolo. Eperciò dalla età a cui egli visse, non può l'ab. Arteaga ricavare alcun argo-mento a provare l'antichità dell'esempio musicale da lui prodotto. Final-mente senza alcun fondamento asserisce l'ab. Arteaga, che le parole da luiriportate siano il primo versetto d'una canzone provenzale. Francone ripor-ta semplicemente quelle parole senza accennare che siano nè il primo nèl'ultimo verso di una canzone. Nè l'ab. Arteaga le ha riportate esattamente,perciocchè esse così si leggono: Poure secors ay encore retrovey. E final-mente accordando anche all'ab. Arteaga ogni altra cosa, ei non proverà fa-cilmente che queste parole sian della lingua provenzale, e non piuttostodell'antica francese; perciocchè i Provenzali sogliono scrivere encare e nonencore, e trobat o trobet non retrovey. Ed ecco gittato a terra il sol fonda-mento su cui lusingavasi l'ab. Arteaga di aver assicurata a' Provenzali lagloria di essere stati i primi ad adattare la musica alla profana poesia.

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Anche la medicina comincia diquesto tem-po a rifiori-re in Italia.

I. Come la filosofia e la matematica, dopoessere state parecchi secoli quasi interamen-te neglette, cominciarono a questi tempi arisorgere in Italia, e da essa si sparsero po-scia nelle vicine non meno che nelle lontaneprovincie, così pure la medicina, intorno

alla quale in tutto lo spazio di tempo in questo tomocompreso appena ci si è offerta cosa degna d'essere ram-mentata, nell'epoca di cui ora scriviamo, venne per ope-ra degl'Italiani singolarmente a nuova luce, e cominciòad esser di nuovo l'oggetto della premura e della prote-zion de' sovrani. Parlo della celebre scuola salernitana, il

perchè in tutti i codici l'autore prende il titolo di magister, di cui non usa-vano gli abati nè i monaci, almeno in quel tempo. Dunque debb'essere unaltro qualch'egli siasi Francone parigino. Quando egli vivesse precisamen-te, non possiamo affermarlo. Il p. Gerbert che ne ha pubblicata l'opera nelTomo II della sua Raccolta degli Scrittori musicali de' bassi tempi, credeche a lui alluda Giovanni di Sarisbery scrittore del XII secolo, ove nel suoPolicretico riprende la musica che allor si usava. Ma questo argomentonon è certo bastante a provarlo. Anche il p. Martini lo crede vissuto nelsec. XI (t. 1, p. 169), ma non ne reca pruova di sorta alcuna; e potrebbe an-che Francone esser vissuto o alla fine del XII, o anche nel XIII secolo. Eperciò dalla età a cui egli visse, non può l'ab. Arteaga ricavare alcun argo-mento a provare l'antichità dell'esempio musicale da lui prodotto. Final-mente senza alcun fondamento asserisce l'ab. Arteaga, che le parole da luiriportate siano il primo versetto d'una canzone provenzale. Francone ripor-ta semplicemente quelle parole senza accennare che siano nè il primo nèl'ultimo verso di una canzone. Nè l'ab. Arteaga le ha riportate esattamente,perciocchè esse così si leggono: Poure secors ay encore retrovey. E final-mente accordando anche all'ab. Arteaga ogni altra cosa, ei non proverà fa-cilmente che queste parole sian della lingua provenzale, e non piuttostodell'antica francese; perciocchè i Provenzali sogliono scrivere encare e nonencore, e trobat o trobet non retrovey. Ed ecco gittato a terra il sol fonda-mento su cui lusingavasi l'ab. Arteaga di aver assicurata a' Provenzali lagloria di essere stati i primi ad adattare la musica alla profana poesia.

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Anche la medicina comincia diquesto tem-po a rifiori-re in Italia.

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cui nome dopo un lungo volger di secoli è ancora illu-stre per la memoria dell'onore a cui ella salì, e de' pre-cetti che ce ne sono rimasti. Di essa dunque dobbiamqui attentamente investigare l'origine e le vicende, edesaminare ciò che appartiene all'opera che sotto il nomedi essa abbiamo alle stampe.

II. La città di Salerno fin verso la fine del Xsecolo era anche presso le straniere nazioniin gran nome pel valor de' suoi medici; per-ciocchè Ugone di Flavigny racconta(Chron. ad an. 984) che l'anno 984 Adalbe-rone vescovo di Verdun colà trasportossi per

cercare rimedj ad alcune sue infermità. Così pure leg-giamo che Desiderio abate di Monte Casino, e posciapapa col nome di Vittorio III, travagliato essendo di ma-lattia, recossi per guarirne a Salerno (Leo ostien. Chron.Casin. l. 3, c. 7). Questo però non basta a provare chefin d'allora vi avesse scuola, o collegio di medici, e unsol di questi che ivi fosse per saper rinomato, poteva es-sere sufficiente a consigliare ad Adalberone e a Deside-rio un tal viaggio. Egli è nondimeno probabile che lascuola di medicina già ivi fosse e istituita e famosa findal X secolo, poichè Orderico Vitale, scrittore del XIIsecolo, parlando di un monaco detto Rodolfo che viveanell'XI, dopo averne lodato l'erudizione negli studj digramatica, di dialettica, di astronomia, e di musica sog-giugne: che nella "medicina ancora egli era così versato,che in Salerno, ove fin dagli antichi tempi sono famose

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Fin dal X secolo Sa-lerno era celebre pe' suoi medi-ci.

cui nome dopo un lungo volger di secoli è ancora illu-stre per la memoria dell'onore a cui ella salì, e de' pre-cetti che ce ne sono rimasti. Di essa dunque dobbiamqui attentamente investigare l'origine e le vicende, edesaminare ciò che appartiene all'opera che sotto il nomedi essa abbiamo alle stampe.

II. La città di Salerno fin verso la fine del Xsecolo era anche presso le straniere nazioniin gran nome pel valor de' suoi medici; per-ciocchè Ugone di Flavigny racconta(Chron. ad an. 984) che l'anno 984 Adalbe-rone vescovo di Verdun colà trasportossi per

cercare rimedj ad alcune sue infermità. Così pure leg-giamo che Desiderio abate di Monte Casino, e posciapapa col nome di Vittorio III, travagliato essendo di ma-lattia, recossi per guarirne a Salerno (Leo ostien. Chron.Casin. l. 3, c. 7). Questo però non basta a provare chefin d'allora vi avesse scuola, o collegio di medici, e unsol di questi che ivi fosse per saper rinomato, poteva es-sere sufficiente a consigliare ad Adalberone e a Deside-rio un tal viaggio. Egli è nondimeno probabile che lascuola di medicina già ivi fosse e istituita e famosa findal X secolo, poichè Orderico Vitale, scrittore del XIIsecolo, parlando di un monaco detto Rodolfo che viveanell'XI, dopo averne lodato l'erudizione negli studj digramatica, di dialettica, di astronomia, e di musica sog-giugne: che nella "medicina ancora egli era così versato,che in Salerno, ove fin dagli antichi tempi sono famose

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Fin dal X secolo Sa-lerno era celebre pe' suoi medi-ci.

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scuole di medici, non si trovò chi lo uguagliasse fuor diuna dotta matrona (Chron. ad an. 1059). Or se alla metàdel XII secolo, in cui scrivea Orderico, diceansi le scuo-le de' medici salernitani fondate fin da' tempi antichi,egli è verisimile certamente che fin dal sec. X esse aves-sero avuta l'origin loro. Ma non abbiamo nè più sicurepruove per accertarlo, nè più distinte notizie de' primilor fondatori. Alcuni, e fra gli altri m. le Gendre (Traitéde l'opinion t. 1, p. 648 ed. de Paris 1758), hanno volutoattribuire la fondazione di questa scuola a Carlo Magno.Ma essi potevano pur facilmente osservare che non potèquesto principe aprire pubblica scuola in una città di cuimai non ebbe il dominio. Egli è ben vero che abbiamoalcuni codici ne' quali l'opera della scuola salernitana, dicui oror parleremo, vedesi indirizzata da essa a CarloMagno, e di uno di essi così si dice nel Catalogo de' Co-dici MSS. dell'Inghilterra e dell'Irlanda (Cat. MSS.Angl. et Hibern. pars. 2, t. 2, p. 98, n. 3806): "ScholaeSalernitanae versus medicinales inscripti Carolo MagnoFrancorum Regi, quorum in fine haec verba": ExplicitFlorarium Versuum Medicinalium scriptum Chistianissi-mo Regi Francorum Carolo Magno a tota UniversitateDoctorum Medicinarum praeclarissimi studii Salernita-ni, tempore quo idem Saracenos devicit in Runcivalle,quod latuit usque tarde, et Deo volente nuper prodit inlucem. In initio haec: Incipiunt versus Medicinales editia Magistris et Doctoribus Salernitanis in Apullia, scriptiCarolo Magno Francorum Regi gloriosissimo, quorumOpusculum in quinque partes dividitur."

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scuole di medici, non si trovò chi lo uguagliasse fuor diuna dotta matrona (Chron. ad an. 1059). Or se alla metàdel XII secolo, in cui scrivea Orderico, diceansi le scuo-le de' medici salernitani fondate fin da' tempi antichi,egli è verisimile certamente che fin dal sec. X esse aves-sero avuta l'origin loro. Ma non abbiamo nè più sicurepruove per accertarlo, nè più distinte notizie de' primilor fondatori. Alcuni, e fra gli altri m. le Gendre (Traitéde l'opinion t. 1, p. 648 ed. de Paris 1758), hanno volutoattribuire la fondazione di questa scuola a Carlo Magno.Ma essi potevano pur facilmente osservare che non potèquesto principe aprire pubblica scuola in una città di cuimai non ebbe il dominio. Egli è ben vero che abbiamoalcuni codici ne' quali l'opera della scuola salernitana, dicui oror parleremo, vedesi indirizzata da essa a CarloMagno, e di uno di essi così si dice nel Catalogo de' Co-dici MSS. dell'Inghilterra e dell'Irlanda (Cat. MSS.Angl. et Hibern. pars. 2, t. 2, p. 98, n. 3806): "ScholaeSalernitanae versus medicinales inscripti Carolo MagnoFrancorum Regi, quorum in fine haec verba": ExplicitFlorarium Versuum Medicinalium scriptum Chistianissi-mo Regi Francorum Carolo Magno a tota UniversitateDoctorum Medicinarum praeclarissimi studii Salernita-ni, tempore quo idem Saracenos devicit in Runcivalle,quod latuit usque tarde, et Deo volente nuper prodit inlucem. In initio haec: Incipiunt versus Medicinales editia Magistris et Doctoribus Salernitanis in Apullia, scriptiCarolo Magno Francorum Regi gloriosissimo, quorumOpusculum in quinque partes dividitur."

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Francorum Regi scribit schola tota Salerni.

Ma ancorchè si concedesse che quest'opera fosse vera-mente indirizzata a Carlo Magno, ciò non proverebbeche la scuola salernitana dovesse conoscerlo a suo fon-datore. E innoltre le stesse arrecate parole ci mostranochiaramente che questo codice, da cui gli altri venneroprobabilmente, fu scritto gran tempo dopo Carlo Ma-gno; e che fu per avventura qualche copiator capriccio-so, il quale finse indirizzati a un re di Francia que' versiche in tutti gli altri codici si veggono indirizzati a un red'Inghilterra. Nel che ancora ei si mostrò ignorante, af-fermando che Carlo vinse i Saracini a Roncivalle, ovetutti gli storici narrano ch'ei fu disfatto. L'opinion piùprobabile, seguita comunemente da' più diligenti storicidel regno di Napoli, e fra gli altri dal celebre avv. Gian-none (Stor. civ. di. Nap. l. 10, c. 11, parag. 3), si è che iSaracini ossia gli Arabi, da' quali furono quelle provin-cie in gran parte occupate, seco vi recassero i loro libritra' quali molti ve ne aveano a medicina appartenenti.Questi divolgati ivi, e ricevuti con plauso, dovetteroprobabilmente risvegliare in que' popoli lo studio dellamedicina, il quale poi dovette vie maggiormente avvi-varsi all'occasione che or siam per esporre (38).

38 Il sig. Pietro Napoli Signorelli combatte con assai buone ragioni ciò ch'io,seguendo Giannone, avea creduto probabile, che la scuola salernitana do-vesse la sua origine e il suo nome principalmente a' Saracini ossia agliArabi; e fra le altre che ei reca (Vicende della coltura nelle due Sicilie t. 2,p. 148, ec.) parmi assai concludente questa che fin dal X secolo, come iopure ho osservato, eran celebri i medici di Salerno. Or benchè nel IX seco-lo cominciassero le scorrerie de' Saracini nel regno di Napoli, è certo però,

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Francorum Regi scribit schola tota Salerni.

Ma ancorchè si concedesse che quest'opera fosse vera-mente indirizzata a Carlo Magno, ciò non proverebbeche la scuola salernitana dovesse conoscerlo a suo fon-datore. E innoltre le stesse arrecate parole ci mostranochiaramente che questo codice, da cui gli altri venneroprobabilmente, fu scritto gran tempo dopo Carlo Ma-gno; e che fu per avventura qualche copiator capriccio-so, il quale finse indirizzati a un re di Francia que' versiche in tutti gli altri codici si veggono indirizzati a un red'Inghilterra. Nel che ancora ei si mostrò ignorante, af-fermando che Carlo vinse i Saracini a Roncivalle, ovetutti gli storici narrano ch'ei fu disfatto. L'opinion piùprobabile, seguita comunemente da' più diligenti storicidel regno di Napoli, e fra gli altri dal celebre avv. Gian-none (Stor. civ. di. Nap. l. 10, c. 11, parag. 3), si è che iSaracini ossia gli Arabi, da' quali furono quelle provin-cie in gran parte occupate, seco vi recassero i loro libritra' quali molti ve ne aveano a medicina appartenenti.Questi divolgati ivi, e ricevuti con plauso, dovetteroprobabilmente risvegliare in que' popoli lo studio dellamedicina, il quale poi dovette vie maggiormente avvi-varsi all'occasione che or siam per esporre (38).

38 Il sig. Pietro Napoli Signorelli combatte con assai buone ragioni ciò ch'io,seguendo Giannone, avea creduto probabile, che la scuola salernitana do-vesse la sua origine e il suo nome principalmente a' Saracini ossia agliArabi; e fra le altre che ei reca (Vicende della coltura nelle due Sicilie t. 2,p. 148, ec.) parmi assai concludente questa che fin dal X secolo, come iopure ho osservato, eran celebri i medici di Salerno. Or benchè nel IX seco-lo cominciassero le scorrerie de' Saracini nel regno di Napoli, è certo però,

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III. Un tal Costantino nato in Cartaginespinto da ardente brama d'istruirsi in tutte lescienze andossene in Babilonia, ed ivi conlungo studio apprese diligentemente la gra-matica, la dialettica, la fisica, la geometria,l'aritmetica, la matematica, l'astronomia, lanegromanzia, e la musica de' Caldei, degli

Arabi, de' Persiani, e de' Saracini. Quindi passòall'India, e nelle scienze ancor di quei popoli volle esse-re ammaestrato. Di là recossi in Egitto, e nelle arti cheivi fiorivano, esercitossi con non minor diligenza. Final-mente dopo 39 anni di viaggi e di studj fece ritorno aCartagine. Ma ivi poco mancò che il suo sapere non glifosse fatale. I suoi concittadini veggendol sì dotto teme-rono per avventura ch'ei fosse un mago, e si determina-rono a dargli morte. Egli il riseppe, e fuggito segreta-mente sen venne a Salerno, e stettesi ivi per alcun temponascosto in abito di mendico, finchè venuto colà il fra-tello del re di Babilonia, questi il riconobbe, e il fè co-noscere al famoso Roberto Guiscardo, da cui perciò fuavuto in gran conto. In fatti in un codice della Lauren-ziana gli vien dato il titolo di primo segretario (Band.

che assai più tardi ebbero essi stabil sede in Salerno, e che prima che inquesta città, si stabilirono in altre, e singolarmente in Napoli e in Bari. Per-chè dunque in Salerno piuttosto che in queste altre città si sparsero le lordottrine nell'arte medica? Aggiungasi che i primi invasori non dovean es-sere che corsari, uomini perciò a tutt'altro opportuni, che a recar seco deilibri e a promuover gli studj. È dunque più verisimile che lo studio dellamedicina, che abbiamo veduto fiorire principalmente presso i Monaci diMonte Casino, si andasse propagando in altre città, e che in Salerno soprale altre felicemente fiorisse.

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È probabileche la scuo-la salernita-na dovesse molto alle opere di Costantino africano.

III. Un tal Costantino nato in Cartaginespinto da ardente brama d'istruirsi in tutte lescienze andossene in Babilonia, ed ivi conlungo studio apprese diligentemente la gra-matica, la dialettica, la fisica, la geometria,l'aritmetica, la matematica, l'astronomia, lanegromanzia, e la musica de' Caldei, degli

Arabi, de' Persiani, e de' Saracini. Quindi passòall'India, e nelle scienze ancor di quei popoli volle esse-re ammaestrato. Di là recossi in Egitto, e nelle arti cheivi fiorivano, esercitossi con non minor diligenza. Final-mente dopo 39 anni di viaggi e di studj fece ritorno aCartagine. Ma ivi poco mancò che il suo sapere non glifosse fatale. I suoi concittadini veggendol sì dotto teme-rono per avventura ch'ei fosse un mago, e si determina-rono a dargli morte. Egli il riseppe, e fuggito segreta-mente sen venne a Salerno, e stettesi ivi per alcun temponascosto in abito di mendico, finchè venuto colà il fra-tello del re di Babilonia, questi il riconobbe, e il fè co-noscere al famoso Roberto Guiscardo, da cui perciò fuavuto in gran conto. In fatti in un codice della Lauren-ziana gli vien dato il titolo di primo segretario (Band.

che assai più tardi ebbero essi stabil sede in Salerno, e che prima che inquesta città, si stabilirono in altre, e singolarmente in Napoli e in Bari. Per-chè dunque in Salerno piuttosto che in queste altre città si sparsero le lordottrine nell'arte medica? Aggiungasi che i primi invasori non dovean es-sere che corsari, uomini perciò a tutt'altro opportuni, che a recar seco deilibri e a promuover gli studj. È dunque più verisimile che lo studio dellamedicina, che abbiamo veduto fiorire principalmente presso i Monaci diMonte Casino, si andasse propagando in altre città, e che in Salerno soprale altre felicemente fiorisse.

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È probabileche la scuo-la salernita-na dovesse molto alle opere di Costantino africano.

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Cat. Codd. MSS. graec. Bibl. laur. vol. 3, p. 142). Egliperò non curando cotali onori, abbandonata la corte, riti-rossi a Monte Casino presso l'abate Desiderio che fu poipapa col nome di Vittorio III, da cui ricevette l'abito mo-nastico. Ivi egli passò il rimanente de' giorni suoi, occu-pandosi in tradurre dalla lingua arabica e dalla grecanella latina molte opere a medicina appartenenti, e incomporre altri libri sullo stesso argomento, pe' qualivenne in sì gran fama, che fu detto Maestro dell'Orientee dell'Occidente, e nuovo Ippocrate. Così di lui narraPietro diacono (Chron. Mon. Casin. l. 3, c. 35; et de Vir.ill. c. 23). Noi abbiam già osservato che a' racconti diquesto scrittore non conviene troppo facilmente affidar-si, ove singolarmente ci narra cose maravigliose. E forsenella narrazion sopraddetta vi son più cose da lui inven-tate a capriccio. Ma che Costantino africano recasse inlatino molti de' libi arabici e greci di medicina, e che piùopere scrivesse sulla stessa materia, ce ne fan fede e letraduzioni medesime, delle quali alcune ancor ci riman-gono, e le stesse sue opere pubblicate in Basilea l'an.1536 (V. Fabr. Bibl. gr. t. 13 p. 123, ec.), oltre più altreopere che abbiam manoscritte; e che diligentemente siannoverano dall'Oudin (De Script. eccl. t. 2, p. 694, ec.).Egli è ben vero che le traduzioni fatte da Costantino nonfurono anche ne' più remoti e più oscuri tempi in granpregio. Taddeo celebre medico fiorentino del sec. XIIIparla della traduzion da lui fatta degli Aforismi d'Ippo-crate con espressioni di molto disprezzo, e le antipone digran lunga quella fatta da Burgondio pisano, benchè ag-

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Cat. Codd. MSS. graec. Bibl. laur. vol. 3, p. 142). Egliperò non curando cotali onori, abbandonata la corte, riti-rossi a Monte Casino presso l'abate Desiderio che fu poipapa col nome di Vittorio III, da cui ricevette l'abito mo-nastico. Ivi egli passò il rimanente de' giorni suoi, occu-pandosi in tradurre dalla lingua arabica e dalla grecanella latina molte opere a medicina appartenenti, e incomporre altri libri sullo stesso argomento, pe' qualivenne in sì gran fama, che fu detto Maestro dell'Orientee dell'Occidente, e nuovo Ippocrate. Così di lui narraPietro diacono (Chron. Mon. Casin. l. 3, c. 35; et de Vir.ill. c. 23). Noi abbiam già osservato che a' racconti diquesto scrittore non conviene troppo facilmente affidar-si, ove singolarmente ci narra cose maravigliose. E forsenella narrazion sopraddetta vi son più cose da lui inven-tate a capriccio. Ma che Costantino africano recasse inlatino molti de' libi arabici e greci di medicina, e che piùopere scrivesse sulla stessa materia, ce ne fan fede e letraduzioni medesime, delle quali alcune ancor ci riman-gono, e le stesse sue opere pubblicate in Basilea l'an.1536 (V. Fabr. Bibl. gr. t. 13 p. 123, ec.), oltre più altreopere che abbiam manoscritte; e che diligentemente siannoverano dall'Oudin (De Script. eccl. t. 2, p. 694, ec.).Egli è ben vero che le traduzioni fatte da Costantino nonfurono anche ne' più remoti e più oscuri tempi in granpregio. Taddeo celebre medico fiorentino del sec. XIIIparla della traduzion da lui fatta degli Aforismi d'Ippo-crate con espressioni di molto disprezzo, e le antipone digran lunga quella fatta da Burgondio pisano, benchè ag-

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giunga ch'essendo quella di Costantino più comune epiù usata, egli era stato costretto a servirsi di essa: "Ettranslationem Constantini persequar, non quia melior sit,quia communior; nam ipsa pessima est, et superflua, etdefectiva. Nam ille insanus monachus in transferendopeccavit quantitate et qualitate: tamen translatio Bur-gundionis pisani melior est... et hoc invitus faciam; sedpropter communitatem translationis Constantini, ec."(prœm. Exposit. in Aphoris. Hippocr.). E similmente Si-mone da Genova, medico dello stesso secolo, chiamasospette le versioni di Costantino: "Et si aliqua ex librislsaac, seu ex aliis a Costantino translatis collegi, et perpauca sunt; nam ejus translatio satis est mihi suspecta"(prœm. in Clavem Sanationis). Nondimeno queste tradu-zioni, qualunque fosse il lor pregio, non giovarono pocoa ravvivare lo studio della medicina. Pietro d'Abano, chefiorì al principio del XIV secolo, oltre il parlarne eglipure con poca stima, il dice ancora in un luogo: Con-stantinus apostata (Conciliat. diss. 4); col che se vogliaindicarci ch'egli abbandonasse la professione monastica,o se altra cosa egli intenda, non possiamo per difetto dimonumenti congetturarlo. A questi tempi adunque e aquesta occasione, cioè verso l'an. 1060, dovette la scuo-la salernitana per gli studj e per le opere di Costantinofarsi più celebre; e la medicina prese ad esservi coltivatacon tanto maggior fervore, quanto più copiosi erano imezzi che a ciò fare venivan lor dati da questo celebreuomo. Mi sia qui lecito di rilevare un troppo notabile er-rore commesso da m. Portal nel parlare di Costantino,

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giunga ch'essendo quella di Costantino più comune epiù usata, egli era stato costretto a servirsi di essa: "Ettranslationem Constantini persequar, non quia melior sit,quia communior; nam ipsa pessima est, et superflua, etdefectiva. Nam ille insanus monachus in transferendopeccavit quantitate et qualitate: tamen translatio Bur-gundionis pisani melior est... et hoc invitus faciam; sedpropter communitatem translationis Constantini, ec."(prœm. Exposit. in Aphoris. Hippocr.). E similmente Si-mone da Genova, medico dello stesso secolo, chiamasospette le versioni di Costantino: "Et si aliqua ex librislsaac, seu ex aliis a Costantino translatis collegi, et perpauca sunt; nam ejus translatio satis est mihi suspecta"(prœm. in Clavem Sanationis). Nondimeno queste tradu-zioni, qualunque fosse il lor pregio, non giovarono pocoa ravvivare lo studio della medicina. Pietro d'Abano, chefiorì al principio del XIV secolo, oltre il parlarne eglipure con poca stima, il dice ancora in un luogo: Con-stantinus apostata (Conciliat. diss. 4); col che se vogliaindicarci ch'egli abbandonasse la professione monastica,o se altra cosa egli intenda, non possiamo per difetto dimonumenti congetturarlo. A questi tempi adunque e aquesta occasione, cioè verso l'an. 1060, dovette la scuo-la salernitana per gli studj e per le opere di Costantinofarsi più celebre; e la medicina prese ad esservi coltivatacon tanto maggior fervore, quanto più copiosi erano imezzi che a ciò fare venivan lor dati da questo celebreuomo. Mi sia qui lecito di rilevare un troppo notabile er-rore commesso da m. Portal nel parlare di Costantino,

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perciocchè egli dopo avere parlato non molto esatta-mente della vita di questo monaco così conchiude (Hist.de l'Anatom. t. 1, p. 170): "Alcuni autori dicono che nefu tratto (dal monastero) per esser fatto papa sotto ilnome di Vittore III." Come mai al giorno di oggi si pos-sono scriver tai cose? Di un papa dell'XI secolo può eglirimaner dubbio chi fosse? E vi è forse direi quasi, fan-ciullo alcuno che non sappia che il papa Vittore III ful'abate Desiderio di Monte Casino?

IV. Assai maggior fama però ottenne lascuola medesima, quando essa ebbe l'onordi offrire al re d'Inghilterra una raccolta diprecetti per conservare la sanità. Noi abbia-mo ancora questa raccolta distesa in versi

esametri, ma con alcuni pentametri a quando a quandoinseriti. I versi per la più parte sono o leonini, o rimati, escritti in quel barbaro stile che allora era il più usato. Di-versi titoli ha in diversi codici e in diverse edizioni, edor si appella Medicina salernitana, ora de Conservandabona valetudine, ora Regimen sanitatis Salerni, ora Flosmedicinae. I versi sono in numero di 373, ma, se credia-mo a Giovanni Schenkio, essi erano prima 1639. Qualfondamento arrechi egli di questa sua opinione, non sa-prei dirlo; poichè io non ho veduta la Biblioteca medicadi questo autore, ov'ei l'afferma, ma solo il passo che ilVossio ne arreca (De natura Artium l. 5), in cui ancoraegli asserisce che in alcuni codici i versi arrivano al nu-

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Precetti della scuolasalernitana quanto ce-lebri.

perciocchè egli dopo avere parlato non molto esatta-mente della vita di questo monaco così conchiude (Hist.de l'Anatom. t. 1, p. 170): "Alcuni autori dicono che nefu tratto (dal monastero) per esser fatto papa sotto ilnome di Vittore III." Come mai al giorno di oggi si pos-sono scriver tai cose? Di un papa dell'XI secolo può eglirimaner dubbio chi fosse? E vi è forse direi quasi, fan-ciullo alcuno che non sappia che il papa Vittore III ful'abate Desiderio di Monte Casino?

IV. Assai maggior fama però ottenne lascuola medesima, quando essa ebbe l'onordi offrire al re d'Inghilterra una raccolta diprecetti per conservare la sanità. Noi abbia-mo ancora questa raccolta distesa in versi

esametri, ma con alcuni pentametri a quando a quandoinseriti. I versi per la più parte sono o leonini, o rimati, escritti in quel barbaro stile che allora era il più usato. Di-versi titoli ha in diversi codici e in diverse edizioni, edor si appella Medicina salernitana, ora de Conservandabona valetudine, ora Regimen sanitatis Salerni, ora Flosmedicinae. I versi sono in numero di 373, ma, se credia-mo a Giovanni Schenkio, essi erano prima 1639. Qualfondamento arrechi egli di questa sua opinione, non sa-prei dirlo; poichè io non ho veduta la Biblioteca medicadi questo autore, ov'ei l'afferma, ma solo il passo che ilVossio ne arreca (De natura Artium l. 5), in cui ancoraegli asserisce che in alcuni codici i versi arrivano al nu-

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Precetti della scuolasalernitana quanto ce-lebri.

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mero di 664, e in alcuni fino a 1096. Di questi precettiper conservare la sanità alcuni moderni medici han fa-vellato con gran disprezzo; ma nondimeno le tante edi-zioni che di essi abbiamo e le tante versioni in diverselingue, e i tanti comenti con cui sono stati illustrati, deiquali puossi vedere il catalogo nelle Biblioteche medi-che del Mangeri e del Lipenio, sono una non ispregevo-le pruova della fama a cui quest'opera è salita. Ma ionon debbo entrare all'esame di questa operetta; e quandopure io volessi decidere se ella debba aversi in gran pre-gio, credo che i dotti medici non farebbon gran contodella mia opinione, e che per essi non cambierebbon pa-rere. Più opportune allo scopo di questa mia Storia sarandue altre quistioni, cioè a qual occasione fosse compo-sto questo trattato, e chi ne fosse l'autore.

V. Esso fu certamente dalla scuola saler-nitana indirizzato a un re d'Inghilterra,come il primo verso dimostraci chiara-mente: Anglorum regi scribit schola tota Salerni.

E l'autorità di pochi codici ne' quali, comesopra si è detto, esso vedesi indirizzato a

Carlo Magno, non basta a rivocare in dubbio l'universa-le opinione appoggiata a numero tanto maggiore di ma-noscritti. Ma chi fu egli questo re d'Inghilterra? L'erudi-tiss. Muratori (Antiq. Ital. t. 3, p. 935) pensa che quelle

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Essi furono probabilmente diretti a Rober-to duca di Nor-mandia preten-dente al regno d'Inghilterra.

mero di 664, e in alcuni fino a 1096. Di questi precettiper conservare la sanità alcuni moderni medici han fa-vellato con gran disprezzo; ma nondimeno le tante edi-zioni che di essi abbiamo e le tante versioni in diverselingue, e i tanti comenti con cui sono stati illustrati, deiquali puossi vedere il catalogo nelle Biblioteche medi-che del Mangeri e del Lipenio, sono una non ispregevo-le pruova della fama a cui quest'opera è salita. Ma ionon debbo entrare all'esame di questa operetta; e quandopure io volessi decidere se ella debba aversi in gran pre-gio, credo che i dotti medici non farebbon gran contodella mia opinione, e che per essi non cambierebbon pa-rere. Più opportune allo scopo di questa mia Storia sarandue altre quistioni, cioè a qual occasione fosse compo-sto questo trattato, e chi ne fosse l'autore.

V. Esso fu certamente dalla scuola saler-nitana indirizzato a un re d'Inghilterra,come il primo verso dimostraci chiara-mente: Anglorum regi scribit schola tota Salerni.

E l'autorità di pochi codici ne' quali, comesopra si è detto, esso vedesi indirizzato a

Carlo Magno, non basta a rivocare in dubbio l'universa-le opinione appoggiata a numero tanto maggiore di ma-noscritti. Ma chi fu egli questo re d'Inghilterra? L'erudi-tiss. Muratori (Antiq. Ital. t. 3, p. 935) pensa che quelle

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Essi furono probabilmente diretti a Rober-to duca di Nor-mandia preten-dente al regno d'Inghilterra.

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parole Anglorum regi debbono intendersi letteralmentedi un vero re d'Inghilterra; ed egli crede perciò probabileche il re Edoardo prima dell'anno 1066 scrivesse allascuola salernitana per averne opportune istruzioni a benconservare la sanità, e che ne avesse in risposta l'operadi cui trattiamo. Ma io non veggo ragione per cui aEdoardo piuttosto si debba ciò attribuire, che a qualun-que altro de' re d'Inghilterra, che gli furono o predeces-sori, o successori. E comunque fosse grandissimo ilnome della scuola salernitana, non sembra verisimileche ad essa fino dall'Inghilterra si ricorresse per avereammaestramenti e consigli. Sembra dunque più probabi-le assai che questa scuola indirizzasse i suoi precetti aun principe a cui in qualche modo si convenisse il nomedi re d'Inghilterra, e che si trovasse allora in Salerno. Orquesti potè esser Roberto duca di Normandia figliuolodi Guglielmo I, re d'Inghilterra, morto l'an. 1086, e fra-tello di Guglielmo II, ucciso sventuratamente alla caccial'an. 1100. Era Roberto alla guerra sacra della primaCrociata, e trovossi alla espugnazione di Gerusalemmel'an. 1099. L'anno seguente, come racconta Orderico Vi-tale, scrittore contemporaneo (Hist. eccl. ad an. 1100),egli sen venne in Puglia, e amichevolmente accolto daRuggieri che n'era signore, prese in moglie Sibilla fi-gliuola di Goffredo conte di Conversano. Egli è assaiprobabile che, mentre trattenevasi in Puglia, udisse lamorte di suo fratello Guglielmo che come abbiam detto,avvenne in quell'anno medesimo; e perchè Arrigo, l'ulti-mo de' suoi fratelli, erasi tosto impadronito del trono,

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parole Anglorum regi debbono intendersi letteralmentedi un vero re d'Inghilterra; ed egli crede perciò probabileche il re Edoardo prima dell'anno 1066 scrivesse allascuola salernitana per averne opportune istruzioni a benconservare la sanità, e che ne avesse in risposta l'operadi cui trattiamo. Ma io non veggo ragione per cui aEdoardo piuttosto si debba ciò attribuire, che a qualun-que altro de' re d'Inghilterra, che gli furono o predeces-sori, o successori. E comunque fosse grandissimo ilnome della scuola salernitana, non sembra verisimileche ad essa fino dall'Inghilterra si ricorresse per avereammaestramenti e consigli. Sembra dunque più probabi-le assai che questa scuola indirizzasse i suoi precetti aun principe a cui in qualche modo si convenisse il nomedi re d'Inghilterra, e che si trovasse allora in Salerno. Orquesti potè esser Roberto duca di Normandia figliuolodi Guglielmo I, re d'Inghilterra, morto l'an. 1086, e fra-tello di Guglielmo II, ucciso sventuratamente alla caccial'an. 1100. Era Roberto alla guerra sacra della primaCrociata, e trovossi alla espugnazione di Gerusalemmel'an. 1099. L'anno seguente, come racconta Orderico Vi-tale, scrittore contemporaneo (Hist. eccl. ad an. 1100),egli sen venne in Puglia, e amichevolmente accolto daRuggieri che n'era signore, prese in moglie Sibilla fi-gliuola di Goffredo conte di Conversano. Egli è assaiprobabile che, mentre trattenevasi in Puglia, udisse lamorte di suo fratello Guglielmo che come abbiam detto,avvenne in quell'anno medesimo; e perchè Arrigo, l'ulti-mo de' suoi fratelli, erasi tosto impadronito del trono,

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Roberto che risoluto avea di muovergli guerra, preten-dendo che a sè fosse dovuto, dovette verisimilmenteprendere fin d'allora il titolo e le insegne reali. In fatti,come lo stesso autore seguito da tutti gli Storici d'Inghil-terra racconta, l'anno seguente Roberto scese con fortearmata in quell'isola per contrastar la corona ad Arrigo;ma fu costretto a cedergli, e ad appagarsi del suo ducatodi Normandia, e di una somma di denaro da Arrigo pa-gatagli. Ecco dunque in Salerno un principe che preten-deva di aver diritto alla corona d'Inghilterra, che proba-bilmente facevasi già onorar qual sovrano, e a cui perciòla scuola salernitana che nulla avea a temere d'Arrigo,potea facilmente accordare il nome di re degl'Inglesi; edecco perciò probabilmente il re a cui la scuola medesi-ma indirizza i suoi consigli. Io certamente non veggo, achi altri possa con miglior fondamento credersi offertaquest'opera, la qual di fatto in un Codice MSS. vedesi alRe Roberto indiritta: Salernitanae Scholae versus adRegem Robertum (Cat. Codd. MSS. Bibl. reg. Paris. t. 4,p. 295, n. 6941).

VI. Il desiderio di acquistarsi nome presso ilnuovo re d'Inghilterra, fu forse il solo moti-vo che indusse la scuola salernitana ad offe-rirgli quest'opera. Forse ancora essa ne fu ri-chiesta dal re medesimo. Ma quasi tutti gli

autori, e i più accreditati ancor tra' moderni, come ilGiannone (l. c.), e il Freind (Hist. Medic. p. 147 edit.

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A qual oc-casione gli scrivessero essi.

Roberto che risoluto avea di muovergli guerra, preten-dendo che a sè fosse dovuto, dovette verisimilmenteprendere fin d'allora il titolo e le insegne reali. In fatti,come lo stesso autore seguito da tutti gli Storici d'Inghil-terra racconta, l'anno seguente Roberto scese con fortearmata in quell'isola per contrastar la corona ad Arrigo;ma fu costretto a cedergli, e ad appagarsi del suo ducatodi Normandia, e di una somma di denaro da Arrigo pa-gatagli. Ecco dunque in Salerno un principe che preten-deva di aver diritto alla corona d'Inghilterra, che proba-bilmente facevasi già onorar qual sovrano, e a cui perciòla scuola salernitana che nulla avea a temere d'Arrigo,potea facilmente accordare il nome di re degl'Inglesi; edecco perciò probabilmente il re a cui la scuola medesi-ma indirizza i suoi consigli. Io certamente non veggo, achi altri possa con miglior fondamento credersi offertaquest'opera, la qual di fatto in un Codice MSS. vedesi alRe Roberto indiritta: Salernitanae Scholae versus adRegem Robertum (Cat. Codd. MSS. Bibl. reg. Paris. t. 4,p. 295, n. 6941).

VI. Il desiderio di acquistarsi nome presso ilnuovo re d'Inghilterra, fu forse il solo moti-vo che indusse la scuola salernitana ad offe-rirgli quest'opera. Forse ancora essa ne fu ri-chiesta dal re medesimo. Ma quasi tutti gli

autori, e i più accreditati ancor tra' moderni, come ilGiannone (l. c.), e il Freind (Hist. Medic. p. 147 edit.

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A qual oc-casione gli scrivessero essi.

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ven.), un'altra ragione ne arrecano. Raccontan essi cheRoberto avea dall'assedio di Gerusalemme una ferita, laquale era poscia degenerata in fistola pericolosa; che ve-nuto a Salerno consultò que' medici valorosi, che far do-vesse a guarirne; che da essi ebbe in risposta niun altrorimedio avervi fuorchè il farne succhiare il veleno chevi stava nascosto; che non volendo permetter Roberto,che alcun si esponesse con ciò a pericolo di perder lavita, la pietosa e coraggiosa sua moglie Sibilla, colto iltempo opportuno, mentr'ei dormiva, succhiò segreta-mente il veleno per modo, ch'ei ne fu sano; che alloraRoberto prima di partire per l'Inghilterra chiese a que'medici che gli suggerissero il metodo con cui conserva-re la sanità; e che essi nel soddisfecero, e perciò inseri-rono ancora ne' loro versi il metodo con cui curare la fi-stola. Così essi; nè io so di alcuno che abbia su questofatto mossa difficoltà, o dubbio. Ma, a dir vero, io temoche esso non meriti fede punto maggiore di quella cheora si dà a tante altre cose maravigliose che troppo buo-namente credute furono da' nostri maggiori. A me non èriuscito di trovare antico e accreditato scrittore che narrital cosa; e Orderico Vitale che pur fa grandi elogi dellamoglie di Roberto, di questo insigne atto di conjugaleamore non fa pur motto. Questo solo silenzio potrebbe amio parere bastare perchè si dubitasse della verità delracconto. Ma più ancora. I medici salernitani, dicono isopraccitati scrittori, decisero che a curare la fistola nonv'era altro rimedio che il succhiare il veleno; e perciònell'opera loro trattarono ancora della maniera onde

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ven.), un'altra ragione ne arrecano. Raccontan essi cheRoberto avea dall'assedio di Gerusalemme una ferita, laquale era poscia degenerata in fistola pericolosa; che ve-nuto a Salerno consultò que' medici valorosi, che far do-vesse a guarirne; che da essi ebbe in risposta niun altrorimedio avervi fuorchè il farne succhiare il veleno chevi stava nascosto; che non volendo permetter Roberto,che alcun si esponesse con ciò a pericolo di perder lavita, la pietosa e coraggiosa sua moglie Sibilla, colto iltempo opportuno, mentr'ei dormiva, succhiò segreta-mente il veleno per modo, ch'ei ne fu sano; che alloraRoberto prima di partire per l'Inghilterra chiese a que'medici che gli suggerissero il metodo con cui conserva-re la sanità; e che essi nel soddisfecero, e perciò inseri-rono ancora ne' loro versi il metodo con cui curare la fi-stola. Così essi; nè io so di alcuno che abbia su questofatto mossa difficoltà, o dubbio. Ma, a dir vero, io temoche esso non meriti fede punto maggiore di quella cheora si dà a tante altre cose maravigliose che troppo buo-namente credute furono da' nostri maggiori. A me non èriuscito di trovare antico e accreditato scrittore che narrital cosa; e Orderico Vitale che pur fa grandi elogi dellamoglie di Roberto, di questo insigne atto di conjugaleamore non fa pur motto. Questo solo silenzio potrebbe amio parere bastare perchè si dubitasse della verità delracconto. Ma più ancora. I medici salernitani, dicono isopraccitati scrittori, decisero che a curare la fistola nonv'era altro rimedio che il succhiare il veleno; e perciònell'opera loro trattarono ancora della maniera onde

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guarir da tal male. Udiam dunque che ne dicano essi:Auri pigmentum, sulphur miscere memento; His decet apponi calcem: conjunge saponi: Quatuor haec misce; commixtis quatuor istis Fistula curatur, quater ex his si repleatur (c. 83).

Ecco il rimedio che da' medici salernitani prescrivesialla curazion della fistola. Di succhiamento qui non sidice parola. Or se essi avean questo sì efficace rimedio,perche non usaron di esso con Roberto? perchè disseroche non altrimenti ei poteva esser sano, che facedonesucchiare il veleno? E se essi veramente credevano cheil succhiar del veleno fosse il solo rimedio opportuno,perchè non parlaron di esso nel loro libro? perchè neprescrissero un altro, che secondo essi, se crediamo aglistorici, non potea recar giovamento? La dottrina dunquede' medici salernitani è troppo contraria al fatto che diessi si narra, e questo perciò deesi a mio parere avere inconto di favoloso.

VII. Rimane a parlar dell'autore di que-sti precetti. Essi furono scritti a nomedella scuola salernitana; e ad essa perciòsi attribuiscono. Ma non è a credere che

tutti i medici di quella scuola si occupassero nel com-porre quest'opera, ed è troppo verisimile che ad un diloro ne fosse dato l'incarico, e che il libro da lui scrittofosse poi riveduto e approvato dagli altri tutti. Così infatto si legge al fin di un codice di quest'opera, che da

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Se ne crede au-tore Giovanni daMilano.

guarir da tal male. Udiam dunque che ne dicano essi:Auri pigmentum, sulphur miscere memento; His decet apponi calcem: conjunge saponi: Quatuor haec misce; commixtis quatuor istis Fistula curatur, quater ex his si repleatur (c. 83).

Ecco il rimedio che da' medici salernitani prescrivesialla curazion della fistola. Di succhiamento qui non sidice parola. Or se essi avean questo sì efficace rimedio,perche non usaron di esso con Roberto? perchè disseroche non altrimenti ei poteva esser sano, che facedonesucchiare il veleno? E se essi veramente credevano cheil succhiar del veleno fosse il solo rimedio opportuno,perchè non parlaron di esso nel loro libro? perchè neprescrissero un altro, che secondo essi, se crediamo aglistorici, non potea recar giovamento? La dottrina dunquede' medici salernitani è troppo contraria al fatto che diessi si narra, e questo perciò deesi a mio parere avere inconto di favoloso.

VII. Rimane a parlar dell'autore di que-sti precetti. Essi furono scritti a nomedella scuola salernitana; e ad essa perciòsi attribuiscono. Ma non è a credere che

tutti i medici di quella scuola si occupassero nel com-porre quest'opera, ed è troppo verisimile che ad un diloro ne fosse dato l'incarico, e che il libro da lui scrittofosse poi riveduto e approvato dagli altri tutti. Così infatto si legge al fin di un codice di quest'opera, che da

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Se ne crede au-tore Giovanni daMilano.

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Zaccaria Silvio si chiama il codice tulloviano (praef. adSchol. Salern. c. 3), ove così sta scritto: "Explicat (l. Ex-plicit) Tractatus qui dicitur Flores Medicinae compilatusin Studio Salerni a Mag. Joan. de Mediolano instructiMedicinalis Doctore egregio, compilationi cujus concor-darunt omnes Magistri illius Studii". Io non voglio muo-ver contrasto all'autorità di un tal codice, e mi persuadoche il Silvio non abbia scritto se non ciò che ha vedutoco' suoi propj occhi. Nondimeno a confermar semprepiù un tal onore alla città di Milano, sarebbe a bramareche altri codici si trovassero in cui i precetti della scuolasalernitana si attribuissero a Giovanni. Io confesso diaver perciò ricercati quanti ho potuto aver tra le maniCatalogi de' manoscritti di molte biblioteche, e, benchèmolti codici di quest'opera abbia trovati, in niuno peròmi è riuscito di rinvenir menzione di questo scrittore, acui nondimeno parmi, che si debba conceder la lode diaverla composta, finchè non si mostri insussistentel'autorità del codice dal Silvio allegato.

VIII. L'applauso con cui fu ricevutal'opera della scuola salernitana, giovòa conciliarle fama sempre maggiore.

Quindi Romoaldo II, arcivescovo di Salerno, che fiorìdopo la metà del sec. XII, chiama quella città medicinaeutique artis diu famosam atque praecipuam (Chron. adan. 1075, vol. 7, Script. rer. ital. p. 172). Ed era eglistesso in questa scienza versato assai, come e confessa

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Fama di cui godevala scuola salernitana.

Zaccaria Silvio si chiama il codice tulloviano (praef. adSchol. Salern. c. 3), ove così sta scritto: "Explicat (l. Ex-plicit) Tractatus qui dicitur Flores Medicinae compilatusin Studio Salerni a Mag. Joan. de Mediolano instructiMedicinalis Doctore egregio, compilationi cujus concor-darunt omnes Magistri illius Studii". Io non voglio muo-ver contrasto all'autorità di un tal codice, e mi persuadoche il Silvio non abbia scritto se non ciò che ha vedutoco' suoi propj occhi. Nondimeno a confermar semprepiù un tal onore alla città di Milano, sarebbe a bramareche altri codici si trovassero in cui i precetti della scuolasalernitana si attribuissero a Giovanni. Io confesso diaver perciò ricercati quanti ho potuto aver tra le maniCatalogi de' manoscritti di molte biblioteche, e, benchèmolti codici di quest'opera abbia trovati, in niuno peròmi è riuscito di rinvenir menzione di questo scrittore, acui nondimeno parmi, che si debba conceder la lode diaverla composta, finchè non si mostri insussistentel'autorità del codice dal Silvio allegato.

VIII. L'applauso con cui fu ricevutal'opera della scuola salernitana, giovòa conciliarle fama sempre maggiore.

Quindi Romoaldo II, arcivescovo di Salerno, che fiorìdopo la metà del sec. XII, chiama quella città medicinaeutique artis diu famosam atque praecipuam (Chron. adan. 1075, vol. 7, Script. rer. ital. p. 172). Ed era eglistesso in questa scienza versato assai, come e confessa

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Fama di cui godevala scuola salernitana.

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egli stesso di se medesimo (ib. ad an. 1166, p. 206,) e cinarra ancora Ugo Falcando, (Hist. sic ib. p. 319), il qua-le dice che da Guglielmo re di Sicilia ei fu chiamatocome espertissimo in medicina, perchè cercasse di risa-narlo. E verso il tempo medesimo essendo venuto a Sa-lerno il celebre ebreo viaggiatore Beniamino, di cui ab-biamo ancora alle stampe l'Itinerario, ei diede a quellacittà il nome di scuola de' medici idumei (Beniamin. Iti-ner. ed. Elzeo. p. 16), col qual nome egli intende i Cri-stiani d'Occidente, e inoltre aggiugne che ivi erano circa600 Ebrei, e fra essi ne nomina alcuni per saper rinomi-nati. La fama della scuola salernitana giunse ancora inFrancia, e i Maurini, sì spesso da noi citati, confessano(Hist. litter. de la France t. 7, p. 135) che molto assaigiovò ad avvivare e a perfezionare in quel regno lo stu-dio della medicina. I principi a' quali questa parte di Ita-lia era allora soggetta, onorarono questa scuola della lorprotezione, e con opportune leggi studiaronsi a mante-nerne il decoro. Ruggiero I, re di Sicilia, fu il primo nelsec. XII a darne agli altri l'esempio col far legge cheniuno ardisse di esercitare la medicina, se da' magistrati,e da' giudici non fosse prima approvato; altrimenti fossespogliato di ogni suo avere (Constitut. regni Sicil. l. 1De probabili experientia medicorum). Molti fra moderniscrittori aggiungono che Federigo I più leggi pubblicò inquesto regno sullo stesso argomento, e che fra le altrecose prescrisse che niuno prendesse il nome di medico,se dal collegio de' medici o di Salerno, o di Napoli nonne avesse avuto il consenso. Ma essi dovean pure riflet-

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egli stesso di se medesimo (ib. ad an. 1166, p. 206,) e cinarra ancora Ugo Falcando, (Hist. sic ib. p. 319), il qua-le dice che da Guglielmo re di Sicilia ei fu chiamatocome espertissimo in medicina, perchè cercasse di risa-narlo. E verso il tempo medesimo essendo venuto a Sa-lerno il celebre ebreo viaggiatore Beniamino, di cui ab-biamo ancora alle stampe l'Itinerario, ei diede a quellacittà il nome di scuola de' medici idumei (Beniamin. Iti-ner. ed. Elzeo. p. 16), col qual nome egli intende i Cri-stiani d'Occidente, e inoltre aggiugne che ivi erano circa600 Ebrei, e fra essi ne nomina alcuni per saper rinomi-nati. La fama della scuola salernitana giunse ancora inFrancia, e i Maurini, sì spesso da noi citati, confessano(Hist. litter. de la France t. 7, p. 135) che molto assaigiovò ad avvivare e a perfezionare in quel regno lo stu-dio della medicina. I principi a' quali questa parte di Ita-lia era allora soggetta, onorarono questa scuola della lorprotezione, e con opportune leggi studiaronsi a mante-nerne il decoro. Ruggiero I, re di Sicilia, fu il primo nelsec. XII a darne agli altri l'esempio col far legge cheniuno ardisse di esercitare la medicina, se da' magistrati,e da' giudici non fosse prima approvato; altrimenti fossespogliato di ogni suo avere (Constitut. regni Sicil. l. 1De probabili experientia medicorum). Molti fra moderniscrittori aggiungono che Federigo I più leggi pubblicò inquesto regno sullo stesso argomento, e che fra le altrecose prescrisse che niuno prendesse il nome di medico,se dal collegio de' medici o di Salerno, o di Napoli nonne avesse avuto il consenso. Ma essi dovean pure riflet-

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tere che Federigo I non fu mai signore di queste provin-cie, e quindi non potè promulgarvi leggi di sorta alcuna.Questa ed altre somiglianti leggi furon prescritte da Fe-derigo II, come vedremo allor quando sarem giunti a'tempi di questo imperadore.

IX. Non è perciò a stupire se e in Salernoe nelle vicine città molti fossero a questitempi coloro che scrissero di medicina.Fra essi vuole annoverarsi Matteo Platea-rio medico di Salerno, le cui Chiose

sull'Antidotario di un cotal Niccolò (il qual pure dal Fa-bricio (Bibl. gr. vol. 13, p. 348) e da altri dicesi salerni-tano) rammentate vengono da Egidio di Corbeil, chescrisse verso la fine del XII secolo (V. Leyserus Hist.Poetar. medii aevi p. 505), e di cui Vincenzo bellovace-se nomina più volte un libro Della semplice Medicina(V. Fab. Bibl. lat. et inf. aetat. t. 5, p. 52). Gli scrittoridelle biblioteche mediche gli danno il nome di Giovan-ni, e ne fissano assai più tardi l'età; ma maggior fede sidee a un contemporaneo scrittore, qual fu Egidio, sepure non vogliam dire che due Plantearj siano stati in di-versi tempi e con nome diverso. Di un cotal Saladino diAscoli medico del principe di Taranto verso l'an. 1163rammenta il Fabricio (ib. t. 6 p. 142) un compendio Del-le cose aromatiche; e ne accenna due edizioni in Vene-zia nel sec. XVI. Alcuni tra gli antichi medici di Salernoripongono anche Erote, di cui abbiamo un trattato su'Mali delle donne, e un cotal Garione Ponto, o Gariopon-

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Nomi di alcu-ni medici a quei tempi fa-mosi.

tere che Federigo I non fu mai signore di queste provin-cie, e quindi non potè promulgarvi leggi di sorta alcuna.Questa ed altre somiglianti leggi furon prescritte da Fe-derigo II, come vedremo allor quando sarem giunti a'tempi di questo imperadore.

IX. Non è perciò a stupire se e in Salernoe nelle vicine città molti fossero a questitempi coloro che scrissero di medicina.Fra essi vuole annoverarsi Matteo Platea-rio medico di Salerno, le cui Chiose

sull'Antidotario di un cotal Niccolò (il qual pure dal Fa-bricio (Bibl. gr. vol. 13, p. 348) e da altri dicesi salerni-tano) rammentate vengono da Egidio di Corbeil, chescrisse verso la fine del XII secolo (V. Leyserus Hist.Poetar. medii aevi p. 505), e di cui Vincenzo bellovace-se nomina più volte un libro Della semplice Medicina(V. Fab. Bibl. lat. et inf. aetat. t. 5, p. 52). Gli scrittoridelle biblioteche mediche gli danno il nome di Giovan-ni, e ne fissano assai più tardi l'età; ma maggior fede sidee a un contemporaneo scrittore, qual fu Egidio, sepure non vogliam dire che due Plantearj siano stati in di-versi tempi e con nome diverso. Di un cotal Saladino diAscoli medico del principe di Taranto verso l'an. 1163rammenta il Fabricio (ib. t. 6 p. 142) un compendio Del-le cose aromatiche; e ne accenna due edizioni in Vene-zia nel sec. XVI. Alcuni tra gli antichi medici di Salernoripongono anche Erote, di cui abbiamo un trattato su'Mali delle donne, e un cotal Garione Ponto, o Gariopon-

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Nomi di alcu-ni medici a quei tempi fa-mosi.

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to, come altri leggono, di cui ancor ci rimangono otto li-bri sulle Malattie. Ma assai dubbiose ed oscure son lenotizie intorno a tutti questi scrittori di medicina; e imoderni non s'accordano insieme nel fissarne la patria el'età. Io penso però, che non sia pregio dell'opera il di-sputarne più lungamente, poichè e troppo malgevol sa-rebbe in tanta oscurità rinvenire il vero, e, ancor quandodopo lungo studio ci venisse fatto di discoprirlo, non sa-rebbe cred'io, il frutto proporzionato alla fatica.

X. Anche tra' monaci fu lo studio della me-dicina in questi tempi assai coltivato. Giàabbiam veduto ne' secoli addietro, che alcu-ni tra' Casinesi aveano e raccolti codici escritti libri su tale argomento. Ma dappoichè

visse tra lor Costantino, di cui abbiam parlato poc'anzi,questo studio dovette probabilmente aver tra loro assaimaggior numero di seguaci. Due soli però rammentansida Pietro diacono, che illustraron quest'arte co' loroscritti, Attone discepolo di Costantino e cappellanodell'imperadrice Agnese, che in lingua romanza tradussele opere da Costantino recate in lingua latina (De Virisill. Casin. c. 24), e Giovanni discepolo egli pure di Co-stantino, che dopo la morte del suo maestro scrisse unlibro di Aforismi (ib. c. 35). Così ancor di Domenicoabate del monastero di Pescara, ossia di Casauria, versola metà dell'XI secolo leggiamo (Chron. Casaur. t. 2,pars 2, Script. rer. ital. p. 854) ch'era assai erudito

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Molti tra imonaci col-tivaronoquesto stu-dio.

to, come altri leggono, di cui ancor ci rimangono otto li-bri sulle Malattie. Ma assai dubbiose ed oscure son lenotizie intorno a tutti questi scrittori di medicina; e imoderni non s'accordano insieme nel fissarne la patria el'età. Io penso però, che non sia pregio dell'opera il di-sputarne più lungamente, poichè e troppo malgevol sa-rebbe in tanta oscurità rinvenire il vero, e, ancor quandodopo lungo studio ci venisse fatto di discoprirlo, non sa-rebbe cred'io, il frutto proporzionato alla fatica.

X. Anche tra' monaci fu lo studio della me-dicina in questi tempi assai coltivato. Giàabbiam veduto ne' secoli addietro, che alcu-ni tra' Casinesi aveano e raccolti codici escritti libri su tale argomento. Ma dappoichè

visse tra lor Costantino, di cui abbiam parlato poc'anzi,questo studio dovette probabilmente aver tra loro assaimaggior numero di seguaci. Due soli però rammentansida Pietro diacono, che illustraron quest'arte co' loroscritti, Attone discepolo di Costantino e cappellanodell'imperadrice Agnese, che in lingua romanza tradussele opere da Costantino recate in lingua latina (De Virisill. Casin. c. 24), e Giovanni discepolo egli pure di Co-stantino, che dopo la morte del suo maestro scrisse unlibro di Aforismi (ib. c. 35). Così ancor di Domenicoabate del monastero di Pescara, ossia di Casauria, versola metà dell'XI secolo leggiamo (Chron. Casaur. t. 2,pars 2, Script. rer. ital. p. 854) ch'era assai erudito

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Molti tra imonaci col-tivaronoquesto stu-dio.

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nell'arte di medicina, per cui molto piacque ad ArrigoIII, allora re di Germania; e di un cotal Bernardo mona-co in Ravenna verso l'an. 1028 si legge fatto il medesi-mo encomio (Mabillon Ann. bened. t. 4, l. 56, n. 49).Inoltre Giovanni ossia Giovannellino nato in Ravenna,poscia monaco in Dijon, e quindi abate di Fescam, edello stesso monastero di Dijon, vien celebrato da unoscrittore suo contemporaneo qual uomo, come in altrescienze, così ancor nella medicina ben istruito (Chron.Monast. Divion. edit. a Mabill.). Di lui parlano più am-piamente gli autori della Storia letteraria di Francia (t. 8,p. 48), i quali confessano che Giovanni fu uno di queigrand'uomini, che i paesi stranieri han dato alla Francia,e dopo essi il ch. p. abate Ginanni (Scritt. ravenn. t. 1, p.358). Finalmente al principio del XII secolo troviam no-tizia di Faricio monaco nato in Arezzo e passato posciain Inghilterra, ove fu abate del monastero di Aberdon, edi cui pure si dice che piacque a' sovrani col suo saperenella medicina (Willelm. Malmesbur. de Gestis Pontif.Angl. l. 2). Io potrei seguire ancora più oltre tessendo unampio catalogo di molti monaci che coltivaronquest'arte, e in essa ottenner gran nome; ma basti il dettofin qui ad averne un saggio; e a conoscere quanto uni-versale fosse tra' monaci questo studio, e come dall'Ita-lia si andasse propagando nelle straniere e lontane pro-vincie.

XI. Questo fervore de' monaci nel colti-

278

Leggi dei Con-cilj per toglier gli abusi che ne nascevano.

nell'arte di medicina, per cui molto piacque ad ArrigoIII, allora re di Germania; e di un cotal Bernardo mona-co in Ravenna verso l'an. 1028 si legge fatto il medesi-mo encomio (Mabillon Ann. bened. t. 4, l. 56, n. 49).Inoltre Giovanni ossia Giovannellino nato in Ravenna,poscia monaco in Dijon, e quindi abate di Fescam, edello stesso monastero di Dijon, vien celebrato da unoscrittore suo contemporaneo qual uomo, come in altrescienze, così ancor nella medicina ben istruito (Chron.Monast. Divion. edit. a Mabill.). Di lui parlano più am-piamente gli autori della Storia letteraria di Francia (t. 8,p. 48), i quali confessano che Giovanni fu uno di queigrand'uomini, che i paesi stranieri han dato alla Francia,e dopo essi il ch. p. abate Ginanni (Scritt. ravenn. t. 1, p.358). Finalmente al principio del XII secolo troviam no-tizia di Faricio monaco nato in Arezzo e passato posciain Inghilterra, ove fu abate del monastero di Aberdon, edi cui pure si dice che piacque a' sovrani col suo saperenella medicina (Willelm. Malmesbur. de Gestis Pontif.Angl. l. 2). Io potrei seguire ancora più oltre tessendo unampio catalogo di molti monaci che coltivaronquest'arte, e in essa ottenner gran nome; ma basti il dettofin qui ad averne un saggio; e a conoscere quanto uni-versale fosse tra' monaci questo studio, e come dall'Ita-lia si andasse propagando nelle straniere e lontane pro-vincie.

XI. Questo fervore de' monaci nel colti-

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Leggi dei Con-cilj per toglier gli abusi che ne nascevano.

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vare la medicina che poteva esser lodevole, finchè si te-nesse ristretto entro i dovuti confini, venne coll'andardel tempo degenerando in abuso; e molti di loro diquest'arte giovavansi per tenersi lungi dal chiostro, e perandare liberamente aggirandosi fra le città e fra le corti;il che pure avveniva di quelli che rivolgevansi allo stu-dio delle leggi. Convenne dunque porre a un tal male ef-ficace rimedio, e perciò nel secondo Concilio lateranese,tenuto da Innocenzo II l'anno 1139, si pubblicò un cano-ne in cui dopo aver detto che molti monaci e canoniciregolari, dopo aver preso l'abito e fatta la professionemonastica, disprezzando la regola de' lor fondatori, peringordigia di un temporale guadagno si applicavano allostudio delle leggi e della medicina, si vieta sotto gravipene il farlo, e gravi pene ancor si minacciano a' vesco-vi, agli abati e a' priori, i quali permettono un tale abuso(can. 9). Somigliante ordine fu rinnovato nel Conciliotenuto in Tours l'an. 1163 da Alessandro III, in cui purefu a' Regolari vietato il tenere scuola di medicina, o dileggi (can. 8); i quali divieti furon poscia in altri Conciljancora saggiamente riconfermati. Non ostante però ilgran numero di coloro che di questi tempi si volsero allamedicina, essa non fece grandi progressi, nè troviamoalcuna nuova scoperta fatta in quest'epoca. Gli studiosidi quest'arte non si occupavano comunemente che in tra-durre, o in compendiare i libri de' medici antichi. Ma lo-devoli nondimeno furono i loro sforzi, perchè in talmodo e ci conservarono le cognizioni ch'eransi primaacquistate, e animarono i lor successori a tentar cose

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vare la medicina che poteva esser lodevole, finchè si te-nesse ristretto entro i dovuti confini, venne coll'andardel tempo degenerando in abuso; e molti di loro diquest'arte giovavansi per tenersi lungi dal chiostro, e perandare liberamente aggirandosi fra le città e fra le corti;il che pure avveniva di quelli che rivolgevansi allo stu-dio delle leggi. Convenne dunque porre a un tal male ef-ficace rimedio, e perciò nel secondo Concilio lateranese,tenuto da Innocenzo II l'anno 1139, si pubblicò un cano-ne in cui dopo aver detto che molti monaci e canoniciregolari, dopo aver preso l'abito e fatta la professionemonastica, disprezzando la regola de' lor fondatori, peringordigia di un temporale guadagno si applicavano allostudio delle leggi e della medicina, si vieta sotto gravipene il farlo, e gravi pene ancor si minacciano a' vesco-vi, agli abati e a' priori, i quali permettono un tale abuso(can. 9). Somigliante ordine fu rinnovato nel Conciliotenuto in Tours l'an. 1163 da Alessandro III, in cui purefu a' Regolari vietato il tenere scuola di medicina, o dileggi (can. 8); i quali divieti furon poscia in altri Conciljancora saggiamente riconfermati. Non ostante però ilgran numero di coloro che di questi tempi si volsero allamedicina, essa non fece grandi progressi, nè troviamoalcuna nuova scoperta fatta in quest'epoca. Gli studiosidi quest'arte non si occupavano comunemente che in tra-durre, o in compendiare i libri de' medici antichi. Ma lo-devoli nondimeno furono i loro sforzi, perchè in talmodo e ci conservarono le cognizioni ch'eransi primaacquistate, e animarono i lor successori a tentar cose

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nuove, e a condurre la medicina a perfezione maggiore.

XII. I dotti autori della Storia de' Professoridell'Università di Bologna, de' quali parlere-mo nel capo seguente, han ricavato da alcu-ne carte nel sec. XII (De clar. Prof. Archig.Bonon. t. 1, pars 1, p. 439) i nomi di parec-chi medici che a quel tempo furono in Bolo-gna. Ma, come niuno di essi ci ha lasciata

opera di sorte alcuna, non giova ch'io qui mi trattenga aparlare di loro, o di altri somiglianti medici di pocafama, che vissero a questa medesima età. Essi nondime-no confessano che non vi è indicio a provare che allorafosse in Bologna scuola pubblica di medicina, e lo stes-so vuol dirsi di Pisa, benchè ivi pure molti medici fosse-ro alla metà del XII secolo, come prova il cav. Flaminiodal Borgo (Diss. sull'Orig. dell'Univ. di Pisa p. 78). Nèio penso che fuor di Salerno altra ve ne avesse in Italiabenchè pur fossero certamente medici in ogni luogo. Adessi sarà bastato probabilmente il leggere quei pochi li-bri di medicina, che riuscisse loro di rinvenire, e il pren-der consiglio ed ammaestramento da quelli cui la lungaesperienza avesse in quest'arte acquistata fama di medicivalorosi (39).

39 Il sig. Vincenzo Malacarne ha diligentemente raccolti i nomi di molti me-dici che nel sec. XII vissero in diverse città che or sono sotto il dominiodella real casa di Savoja (Delle Opere de' Medici e de' Cerusici, ec. t. 1, p.

280

Non pare che fuor di Salerno fossero al-tre scuole pubbliche di medici-na.

nuove, e a condurre la medicina a perfezione maggiore.

XII. I dotti autori della Storia de' Professoridell'Università di Bologna, de' quali parlere-mo nel capo seguente, han ricavato da alcu-ne carte nel sec. XII (De clar. Prof. Archig.Bonon. t. 1, pars 1, p. 439) i nomi di parec-chi medici che a quel tempo furono in Bolo-gna. Ma, come niuno di essi ci ha lasciata

opera di sorte alcuna, non giova ch'io qui mi trattenga aparlare di loro, o di altri somiglianti medici di pocafama, che vissero a questa medesima età. Essi nondime-no confessano che non vi è indicio a provare che allorafosse in Bologna scuola pubblica di medicina, e lo stes-so vuol dirsi di Pisa, benchè ivi pure molti medici fosse-ro alla metà del XII secolo, come prova il cav. Flaminiodal Borgo (Diss. sull'Orig. dell'Univ. di Pisa p. 78). Nèio penso che fuor di Salerno altra ve ne avesse in Italiabenchè pur fossero certamente medici in ogni luogo. Adessi sarà bastato probabilmente il leggere quei pochi li-bri di medicina, che riuscisse loro di rinvenire, e il pren-der consiglio ed ammaestramento da quelli cui la lungaesperienza avesse in quest'arte acquistata fama di medicivalorosi (39).

39 Il sig. Vincenzo Malacarne ha diligentemente raccolti i nomi di molti me-dici che nel sec. XII vissero in diverse città che or sono sotto il dominiodella real casa di Savoja (Delle Opere de' Medici e de' Cerusici, ec. t. 1, p.

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Non pare che fuor di Salerno fossero al-tre scuole pubbliche di medici-na.

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CAPO VII. Giurisprudenza civile e canonica, e principj della uni-

versità di Bologna.

I. Nel tempo medesimo in cui l'Italiamandava alle straniere nazioni un Lan-franco, un Anselmo, un Pietro lombar-do, e più altri a ravvivare tra esse gli stu-dj sacri; nel tempo medesimo in cui la

filosofia e la matematica e per le opere da alcuni Italianicomposte, e per quelle dei Greci e degli Arabi autori daaltri tradotte in lingua latina, cominciava a risorgere dal-lo squallore in cui per tanti secoli era giaciuta; nel tem-po medesimo finalmente in cui la medicina riceveva tranoi dalla celebre scuola salernitana nuovo ornamento;nel tempo medesimo, io dico, videsi la nostra Italia ri-volgere a sè gli sguardi e l'ammirazione di tutta Europapel nuovo ardore con cui ella si volse a coltivare la civi-le non meno che la canonica giurisprudenza; e vidersigli stranieri accorrere da ogni parte ad udirvi i celebriprofessori che ne tenevano scuola. Questo è l'ampio eluminoso argomento di cui dobbiamo in questo capo ve-nir ragionando. Grandi quistioni ci si offrono a trattare,illustrate già dalla penna di valorosi scrittori, sulle cuitracce verrem noi pure svolgendole, giovandoci delleerudite loro fatiche a ristringere in breve ciò ch'essi han-

3, ec.). Ma niun di essi è noto per opere date alla luce.

281

A quest'epoca comincia l'Italia ad esser celebre per lo studio del-le leggi.

CAPO VII. Giurisprudenza civile e canonica, e principj della uni-

versità di Bologna.

I. Nel tempo medesimo in cui l'Italiamandava alle straniere nazioni un Lan-franco, un Anselmo, un Pietro lombar-do, e più altri a ravvivare tra esse gli stu-dj sacri; nel tempo medesimo in cui la

filosofia e la matematica e per le opere da alcuni Italianicomposte, e per quelle dei Greci e degli Arabi autori daaltri tradotte in lingua latina, cominciava a risorgere dal-lo squallore in cui per tanti secoli era giaciuta; nel tem-po medesimo finalmente in cui la medicina riceveva tranoi dalla celebre scuola salernitana nuovo ornamento;nel tempo medesimo, io dico, videsi la nostra Italia ri-volgere a sè gli sguardi e l'ammirazione di tutta Europapel nuovo ardore con cui ella si volse a coltivare la civi-le non meno che la canonica giurisprudenza; e vidersigli stranieri accorrere da ogni parte ad udirvi i celebriprofessori che ne tenevano scuola. Questo è l'ampio eluminoso argomento di cui dobbiamo in questo capo ve-nir ragionando. Grandi quistioni ci si offrono a trattare,illustrate già dalla penna di valorosi scrittori, sulle cuitracce verrem noi pure svolgendole, giovandoci delleerudite loro fatiche a ristringere in breve ciò ch'essi han-

3, ec.). Ma niun di essi è noto per opere date alla luce.

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A quest'epoca comincia l'Italia ad esser celebre per lo studio del-le leggi.

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no ampiamente provato, ma insiem proponendo, ovefaccia d'uopo, que' dubbj e quelle ragioni che non ci la-sciano arrendere al lor parere. E niuna cosa al nostro in-tento più opportuna poteva avvenire, quanto la pubblica-zione fattasi appunto in questi giorni del primo tomodella tanto aspettata Storia de' Professori della celebreUniversità di Bologna, cominciata già dal p. abate Mau-ro Sarti, e dal p. abate Mauro Fattorini, amendue camal-dolesi, continuata; opera che per la copia e la sceltezzade' documenti ond'è corredata, per la vastissima erudi-zione di cui è sparsa, e per la saggia e modesta criticacon cui è distesa, non solo a quella sì famosa università,ma a tutta l'Italia accresce gran lustro e onore. Così pos-siam presto vederla condotta a fine! Allora potrem van-tarci di avere una tale storia di questa università, che dilunga mano si lasci addietro quelle che hanno avuto fi-nora in questo genere le straniere nazioni (40).

II. A proceder con ordine e con chiarez-za in una materia che per la sua ampiez-za, non meno che per la sua oscurità,merita di essere esaminata con particolardiligenza, tre cose prenderem qui a ricer-

care partitamente. 1. Quando cominciasse a rifiorir in

40 Diverse vicende, delle quali non giova il parlare più apertamente, ci tolgo-no almen per ora la speranza di veder continuata quest'opera sì ben comin-ciata. Possa l'amor della patria, da cui sempre sono stati animati i Bologne-si, determinar qualche altro valoroso scrittore a non lasciare imperfetto sìbel lavoro!

282

Qual fosse in addietro lo statodella giurispru-denza.

no ampiamente provato, ma insiem proponendo, ovefaccia d'uopo, que' dubbj e quelle ragioni che non ci la-sciano arrendere al lor parere. E niuna cosa al nostro in-tento più opportuna poteva avvenire, quanto la pubblica-zione fattasi appunto in questi giorni del primo tomodella tanto aspettata Storia de' Professori della celebreUniversità di Bologna, cominciata già dal p. abate Mau-ro Sarti, e dal p. abate Mauro Fattorini, amendue camal-dolesi, continuata; opera che per la copia e la sceltezzade' documenti ond'è corredata, per la vastissima erudi-zione di cui è sparsa, e per la saggia e modesta criticacon cui è distesa, non solo a quella sì famosa università,ma a tutta l'Italia accresce gran lustro e onore. Così pos-siam presto vederla condotta a fine! Allora potrem van-tarci di avere una tale storia di questa università, che dilunga mano si lasci addietro quelle che hanno avuto fi-nora in questo genere le straniere nazioni (40).

II. A proceder con ordine e con chiarez-za in una materia che per la sua ampiez-za, non meno che per la sua oscurità,merita di essere esaminata con particolardiligenza, tre cose prenderem qui a ricer-

care partitamente. 1. Quando cominciasse a rifiorir in

40 Diverse vicende, delle quali non giova il parlare più apertamente, ci tolgo-no almen per ora la speranza di veder continuata quest'opera sì ben comin-ciata. Possa l'amor della patria, da cui sempre sono stati animati i Bologne-si, determinar qualche altro valoroso scrittore a non lasciare imperfetto sìbel lavoro!

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Qual fosse in addietro lo statodella giurispru-denza.

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Italia lo studio delle leggi. 2. Quai leggi fossero quellesulle quali faceasi studio. 3. Dove e per cui opera singo-larmente questo studio si rinnovasse. E per cominciardalla prima, comunque fosser rozzi gli uomini, e barba-ri, i costumi di questi tempi, non deesi creder però, chele leggi fosser mai per tal modo dimenticate, che non vifosse alcuno che le coltivasse. Ogni secolo e ogni gover-no ebbe le sue leggi ed ebbe i suoi magistrati che veglia-vano perchè fossero osservate. In ogni secolo furon liti econtese, in ogni secolo si commiser delitti, e fu sempred'uopo per ciò d'uomini esperti nel giudicare, che deci-dessero chi avesse, o non avesse diritto ad una cosa, chifosse reo e chi innocente, e qual fosse la pena a un cotaldelitto proporzionata. Quando dunque leggiamo in alcu-ni storici, che la giurisprudenza si giacque interamentenegletta, non dobbiam prendere in troppo rigoroso sensole loro espressioni; ma dobbiam solo intendere che po-chi a paragon del bisogno n'erano i coltivatori, scarso ilnumero de' Codici delle Leggi, leggiero e superficiale lostudio che faceasene comunemente. Tale in fatti fu lostato della giurisprudenza in tutto quello spazio di tem-po di cui in questo tomo abbiam ragionato finora. Inesso non ci è avvenuto di trovar menzione nè di alcunuomo che dicasi profondamente versato in tale studio,nè di alcuna città in cui si dica che questo studio fiorissefelicemente.

III. Al cominciare dell'XI secolo comin-

283

Questo studiocomincia a ri-fiorire nell'XIsecolo.

Italia lo studio delle leggi. 2. Quai leggi fossero quellesulle quali faceasi studio. 3. Dove e per cui opera singo-larmente questo studio si rinnovasse. E per cominciardalla prima, comunque fosser rozzi gli uomini, e barba-ri, i costumi di questi tempi, non deesi creder però, chele leggi fosser mai per tal modo dimenticate, che non vifosse alcuno che le coltivasse. Ogni secolo e ogni gover-no ebbe le sue leggi ed ebbe i suoi magistrati che veglia-vano perchè fossero osservate. In ogni secolo furon liti econtese, in ogni secolo si commiser delitti, e fu sempred'uopo per ciò d'uomini esperti nel giudicare, che deci-dessero chi avesse, o non avesse diritto ad una cosa, chifosse reo e chi innocente, e qual fosse la pena a un cotaldelitto proporzionata. Quando dunque leggiamo in alcu-ni storici, che la giurisprudenza si giacque interamentenegletta, non dobbiam prendere in troppo rigoroso sensole loro espressioni; ma dobbiam solo intendere che po-chi a paragon del bisogno n'erano i coltivatori, scarso ilnumero de' Codici delle Leggi, leggiero e superficiale lostudio che faceasene comunemente. Tale in fatti fu lostato della giurisprudenza in tutto quello spazio di tem-po di cui in questo tomo abbiam ragionato finora. Inesso non ci è avvenuto di trovar menzione nè di alcunuomo che dicasi profondamente versato in tale studio,nè di alcuna città in cui si dica che questo studio fiorissefelicemente.

III. Al cominciare dell'XI secolo comin-

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Questo studiocomincia a ri-fiorire nell'XIsecolo.

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ciamo a scoprirne qualche vestigio. Il celebre Lanfrancovescovo di Cantorberì, di cui abbiam lungamente parla-to nel secondo capo di questo libro, prima di abbando-nare l'Italia attese agli studj, e nominatamente a queldelle leggi, come narra Milone Crispino che ne scrissela Vita; e degne sono di osservazion le parole con cuiquesto antico scrittore si esprime di ciò parlando, cioèch'egli fu istruito "in liberalium artium et legum saecu-larium scholis ad patriae suae morem" volendo con ciòmostrarci ch'era ordinario costume degli Italiani l'eserci-tarsi in tale studio. Il che confermasi ancor più chiara-mente da Wippone, il quale intorno alla metà di questosecolo stesso scrivendo un poetico panegirico in lode diArrigo II, imperadore allor regnante, così gli dice (ap.Canis. Lect. antiquae vol. 4, p. 116):

Tunc fac edictum per terram Teutonicorum, Quilibet ut dives sibi natos instruat omnes Literulis, legemque suam persuadeat illis.…...............................................................Hoc servant Itali post prima crepundia cuncti.

Queste due testimonianze di scrittori dell'XI secoloamendue stranieri, che affermano comune e universaletra noi lo studio delle leggi civili, son certamente assaigloriose alla Italia; e ci fanno conoscere che già comin-ciavasi a spargere ancor da lungi la fama di tali studj chetra noi coltivavansi. Egli è dunque fuor d'ogni dubbioche fino da questo tempo fioriva la giurisprudenza inItalia, e che ve ne avea non pochi celebri professori. Noi

284

ciamo a scoprirne qualche vestigio. Il celebre Lanfrancovescovo di Cantorberì, di cui abbiam lungamente parla-to nel secondo capo di questo libro, prima di abbando-nare l'Italia attese agli studj, e nominatamente a queldelle leggi, come narra Milone Crispino che ne scrissela Vita; e degne sono di osservazion le parole con cuiquesto antico scrittore si esprime di ciò parlando, cioèch'egli fu istruito "in liberalium artium et legum saecu-larium scholis ad patriae suae morem" volendo con ciòmostrarci ch'era ordinario costume degli Italiani l'eserci-tarsi in tale studio. Il che confermasi ancor più chiara-mente da Wippone, il quale intorno alla metà di questosecolo stesso scrivendo un poetico panegirico in lode diArrigo II, imperadore allor regnante, così gli dice (ap.Canis. Lect. antiquae vol. 4, p. 116):

Tunc fac edictum per terram Teutonicorum, Quilibet ut dives sibi natos instruat omnes Literulis, legemque suam persuadeat illis.…...............................................................Hoc servant Itali post prima crepundia cuncti.

Queste due testimonianze di scrittori dell'XI secoloamendue stranieri, che affermano comune e universaletra noi lo studio delle leggi civili, son certamente assaigloriose alla Italia; e ci fanno conoscere che già comin-ciavasi a spargere ancor da lungi la fama di tali studj chetra noi coltivavansi. Egli è dunque fuor d'ogni dubbioche fino da questo tempo fioriva la giurisprudenza inItalia, e che ve ne avea non pochi celebri professori. Noi

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troviamo di fatto nelle Lettere di s. Pier Damiano il qualvivea in questo secolo stesso, menzione di Attone dottordi leggi e causidico (l. 8, ep. 7), di Bonuomo perito nel-la legge e prudentissimo giudice (ib. ep. 8), di Bonifaciocausidico (ib. ep. 9), di Morico dottor delle leggi e pru-dentissimo giudice (ib. ep. 10). Anzi da esse veggiamoche s. Pier Damiano ancora era in esse versato; percioc-chè in più opere, e singolarmente in quella de' Gradi diParentela, più volte le cita, e scrivendo al suddetto Ato-ne, così gli dice: "Ut igitur legis perito viro in primis deforensi jure respondeam, romanis legibus cautum est, utquod semel a dante conceditur, nullo modo revocetur".Così pure in una carta bolognese dell'anno 1067 pubbli-cata dal p. Sarti (De cl. Archig. Bonon. Prof. t. 1. pars 1,p. 7), si nomina Albertus legis doctor. E finalmente, pertacere di alcuni giudici de' quali si vede fatta menzionein alcune carte pisane del sec. XI, in una di esse dell'an.1067 citata dal cav. Flaminio del Borgo (Diss. sull'Orig.dell'Univ. di Pisa p. 84) troviamo un Sismondo causidi-co. Da tutti i quai documenti ricavasi ad evidenza chenell'XI sec. era assai frequente in Italia lo studio dellagiurisprudenza.

IV. Assai maggiore e assai più universale fuil fervore con cui gl'Italiani presero a colti-varla nel secolo seguente. Ma a questo luo-go io mi sono unicamente prefisso di ricer-care a qual tempo cominciasse essa a risor-

285

La muta-zione del governo in Italia ne fu il principal motivo.

troviamo di fatto nelle Lettere di s. Pier Damiano il qualvivea in questo secolo stesso, menzione di Attone dottordi leggi e causidico (l. 8, ep. 7), di Bonuomo perito nel-la legge e prudentissimo giudice (ib. ep. 8), di Bonifaciocausidico (ib. ep. 9), di Morico dottor delle leggi e pru-dentissimo giudice (ib. ep. 10). Anzi da esse veggiamoche s. Pier Damiano ancora era in esse versato; percioc-chè in più opere, e singolarmente in quella de' Gradi diParentela, più volte le cita, e scrivendo al suddetto Ato-ne, così gli dice: "Ut igitur legis perito viro in primis deforensi jure respondeam, romanis legibus cautum est, utquod semel a dante conceditur, nullo modo revocetur".Così pure in una carta bolognese dell'anno 1067 pubbli-cata dal p. Sarti (De cl. Archig. Bonon. Prof. t. 1. pars 1,p. 7), si nomina Albertus legis doctor. E finalmente, pertacere di alcuni giudici de' quali si vede fatta menzionein alcune carte pisane del sec. XI, in una di esse dell'an.1067 citata dal cav. Flaminio del Borgo (Diss. sull'Orig.dell'Univ. di Pisa p. 84) troviamo un Sismondo causidi-co. Da tutti i quai documenti ricavasi ad evidenza chenell'XI sec. era assai frequente in Italia lo studio dellagiurisprudenza.

IV. Assai maggiore e assai più universale fuil fervore con cui gl'Italiani presero a colti-varla nel secolo seguente. Ma a questo luo-go io mi sono unicamente prefisso di ricer-care a qual tempo cominciasse essa a risor-

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La muta-zione del governo in Italia ne fu il principal motivo.

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gere, e parmi di aver chiaramente mostrato che ciò av-venne fin dal principio dell'XI secolo. E di vero esami-nando la storia di questi tempi, possiamo ravvisar facil-mente donde movesse questo nuovo fervore nel coltivartale studio. Fin dagli ultimi anni del X secolo, e moltopiù su' principj dell'XI cominciarono le città italiane ascuotere il giogo imperale, e a reggersi ciascheduna amodo di repubblica, usurpandosi passo passo quella in-dipendenza che nella pace di Costanza fu poi loro accor-data solennemente; come con incontrastabili pruove si èdimostrato dal ch. Muratori (Antiq. Ital. t. 4, diss. 45).Da ciò ne venne il non più riconoscere, come in addietroesse faceano, i ministri imperiali, ma l'eleggersi consoli,giudici, e magistrati che rendesser loro giustizia secondoil bisogno, e di ciò pure abbiam chiarissimi esempj ne'primi anni dello stesso secolo XI (ib. diss. 46). Or que-sta nuova forma di pubblica amministrazione determinò,s'io non erro, e in certo modo costrinse gl'Italiani a ri-volgersi allo studio della giurisprudenza. Era comune-mente l'autorità divisa in più cittadini, e ognuno perciòpotea più agevolmente sperare di giungere a conseguir-la. Essi doveano esaminare e decidere le contese, sce-gliere le quistioni, punire i rei, pubblicare ancora secon-do il bisogno nuove leggi. A tutto ciò richiedeasi neces-sariamente, come ognun vede, lo studio della giurispru-denza. Ed ecco perciò la giurisprudenza divenuta l'ordi-nario studio degl'Italiani, secondo l'usato costume e lanaturale inclinazione degli uomini di correr colà onde sispera onore e vantaggio. Quanto più profonde radici git-

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gere, e parmi di aver chiaramente mostrato che ciò av-venne fin dal principio dell'XI secolo. E di vero esami-nando la storia di questi tempi, possiamo ravvisar facil-mente donde movesse questo nuovo fervore nel coltivartale studio. Fin dagli ultimi anni del X secolo, e moltopiù su' principj dell'XI cominciarono le città italiane ascuotere il giogo imperale, e a reggersi ciascheduna amodo di repubblica, usurpandosi passo passo quella in-dipendenza che nella pace di Costanza fu poi loro accor-data solennemente; come con incontrastabili pruove si èdimostrato dal ch. Muratori (Antiq. Ital. t. 4, diss. 45).Da ciò ne venne il non più riconoscere, come in addietroesse faceano, i ministri imperiali, ma l'eleggersi consoli,giudici, e magistrati che rendesser loro giustizia secondoil bisogno, e di ciò pure abbiam chiarissimi esempj ne'primi anni dello stesso secolo XI (ib. diss. 46). Or que-sta nuova forma di pubblica amministrazione determinò,s'io non erro, e in certo modo costrinse gl'Italiani a ri-volgersi allo studio della giurisprudenza. Era comune-mente l'autorità divisa in più cittadini, e ognuno perciòpotea più agevolmente sperare di giungere a conseguir-la. Essi doveano esaminare e decidere le contese, sce-gliere le quistioni, punire i rei, pubblicare ancora secon-do il bisogno nuove leggi. A tutto ciò richiedeasi neces-sariamente, come ognun vede, lo studio della giurispru-denza. Ed ecco perciò la giurisprudenza divenuta l'ordi-nario studio degl'Italiani, secondo l'usato costume e lanaturale inclinazione degli uomini di correr colà onde sispera onore e vantaggio. Quanto più profonde radici git-

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tò la libertà italiana, tanto più vivo si fece l'impegno nelcoltivar questo studio, e in pregio tanto maggiore furonoavuti i giureconsulti, come poscia vedremo. Questa a mesembra la più probabile origine del risorger che tra noifece la giurisprudenza in questi tempi, senza che facciad'uopo di ricorrere ad altre cagioni che da altri si allega-no, le quali e sono di gran lunga posteriori all'effetto cheloro si attribuisce, e non hanno pure fondamento baste-vole nella storia, come fra poco dovrem mostrare.

V. Fissata per tal maniera l'epoca del risorgi-mento della giurisprudenza, convien ora ve-dere ciò che in secondo luogo abbiamo pro-posto, quali fosser le leggi intorno a cui sioccupavano gl'Italiani, e che servivano diargomento ai loro studj, e di norma a lorogiudizj. Ne' libri precedenti già abbiam di-

mostrato che i re longobardi prima, e poscia ancoral'imperadori avean permesso agl'Italiani il seguire quallegge loro piacesse; che perciò vedeasi in Italia unamoltiplice diversità così di nazioni come di leggi; cheognuno nelle carte legali dovea spiegare a qual nazioneappartenesse, e qual legge seguisse; e che finalmente es-sendo troppo malagevole che uno potesse saper tante esì diverse leggi, ed essendo anche assai rare le copie in-tere singolarmente delle leggi romane, eransi formaticerti compendj in cui vedeansi raccolte le più utili e lepiù importanti tra esse, che più frequentemente doveano

287

Quai leggi fossero in vigore: questione intorno al celebre co-dice delle Pandette.

tò la libertà italiana, tanto più vivo si fece l'impegno nelcoltivar questo studio, e in pregio tanto maggiore furonoavuti i giureconsulti, come poscia vedremo. Questa a mesembra la più probabile origine del risorger che tra noifece la giurisprudenza in questi tempi, senza che facciad'uopo di ricorrere ad altre cagioni che da altri si allega-no, le quali e sono di gran lunga posteriori all'effetto cheloro si attribuisce, e non hanno pure fondamento baste-vole nella storia, come fra poco dovrem mostrare.

V. Fissata per tal maniera l'epoca del risorgi-mento della giurisprudenza, convien ora ve-dere ciò che in secondo luogo abbiamo pro-posto, quali fosser le leggi intorno a cui sioccupavano gl'Italiani, e che servivano diargomento ai loro studj, e di norma a lorogiudizj. Ne' libri precedenti già abbiam di-

mostrato che i re longobardi prima, e poscia ancoral'imperadori avean permesso agl'Italiani il seguire quallegge loro piacesse; che perciò vedeasi in Italia unamoltiplice diversità così di nazioni come di leggi; cheognuno nelle carte legali dovea spiegare a qual nazioneappartenesse, e qual legge seguisse; e che finalmente es-sendo troppo malagevole che uno potesse saper tante esì diverse leggi, ed essendo anche assai rare le copie in-tere singolarmente delle leggi romane, eransi formaticerti compendj in cui vedeansi raccolte le più utili e lepiù importanti tra esse, che più frequentemente doveano

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Quai leggi fossero in vigore: questione intorno al celebre co-dice delle Pandette.

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servir di regola nel giudicare. In tutte adunque questeleggi conveniva necessariamente che fosse a sufficienzaversato un giureconsulto; ma più specialmente nelle lon-gobardiche e nelle romane, che erano le più usate. Intale stato durarono per comune consentimento le cosefino all'an. 1135. Ma a questo tempo, se crediamo i mol-ti e assai eruditi scrittori, gran cambiamento sofferse lagiurisprudenza in Italia. Narrano essi che avendo i Pisa-ni nel detto anno presa e saccheggiata la città di Amalfi,tra 'l ricco bottino che ne portarono seco, vi ebbe l'anti-chissimo codice delle Pandette, il quale trasportato congran festa a Pisa, vi fu per circa tre secoli conservato,finchè al principio del XV sec. da' Fiorentini che si fecersignori di Pisa, fu trasportato a Firenze, ove ancor siconserva. Aggiungono che questo fu il primo esemplaredelle Pandette, che dopo lungo spazio di tempo si vedes-se in Italia, ove ogni memoria se n'era quasi perduta; eche questo felice ritrovamento diè occasione all'imp.Lottario II che allor regnava, di comandare che in avve-nire, abbandonate tutte le altre leggi che da lui furonoabolite, la sola romana avesse forza. Tal fu l'origine delcambiamento della giurisprudenza in Italia, secondo ilSigonio (De Regno ital. l. 1 ad an. 1137), seguito posciada infiniti altri scrittori. E quanto all'avere i Pisani perlungo spazio di tempo avuto presso di loro il pregevolis-simo codice delle Pandette, di cui noi pure abbiam fa-vellato nel libro primo di questo tomo, e all'esser poiquesto stato trasportato a Firenze, ove ancora si vede,ella è cosa che non soffre alcun dubbio. Ma intorno al

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servir di regola nel giudicare. In tutte adunque questeleggi conveniva necessariamente che fosse a sufficienzaversato un giureconsulto; ma più specialmente nelle lon-gobardiche e nelle romane, che erano le più usate. Intale stato durarono per comune consentimento le cosefino all'an. 1135. Ma a questo tempo, se crediamo i mol-ti e assai eruditi scrittori, gran cambiamento sofferse lagiurisprudenza in Italia. Narrano essi che avendo i Pisa-ni nel detto anno presa e saccheggiata la città di Amalfi,tra 'l ricco bottino che ne portarono seco, vi ebbe l'anti-chissimo codice delle Pandette, il quale trasportato congran festa a Pisa, vi fu per circa tre secoli conservato,finchè al principio del XV sec. da' Fiorentini che si fecersignori di Pisa, fu trasportato a Firenze, ove ancor siconserva. Aggiungono che questo fu il primo esemplaredelle Pandette, che dopo lungo spazio di tempo si vedes-se in Italia, ove ogni memoria se n'era quasi perduta; eche questo felice ritrovamento diè occasione all'imp.Lottario II che allor regnava, di comandare che in avve-nire, abbandonate tutte le altre leggi che da lui furonoabolite, la sola romana avesse forza. Tal fu l'origine delcambiamento della giurisprudenza in Italia, secondo ilSigonio (De Regno ital. l. 1 ad an. 1137), seguito posciada infiniti altri scrittori. E quanto all'avere i Pisani perlungo spazio di tempo avuto presso di loro il pregevolis-simo codice delle Pandette, di cui noi pure abbiam fa-vellato nel libro primo di questo tomo, e all'esser poiquesto stato trasportato a Firenze, ove ancora si vede,ella è cosa che non soffre alcun dubbio. Ma intorno al

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ritrovamento del codice stesso in Amalfi, e più ancoraintorno alla mentovata legge di Lottario II, si muovonda alcuni non leggieri difficoltà cui perciò fa d'uopo esa-minare attentamente.

VI. Ma prima di ricercare se i Pisani portas-ser seco da Amalfi il gran codice delle Pan-dette, convien osservare se questa parte del-le leggi romane fosse dapprima interamenreperduta, sicchè non ve ne avesse alcunesemplare, e quel di Amalfi fosse perciò untesoro solo ed unico al mondo, o almeno in

Italia, perciocchè in Francia eravene certamente copiaverso il principio del XII secolo, nel qual tempo fiorìIvone vescovo di Chartres, che più volte ne fa menzione(ep. 46, 69). Ma se in Francia, ove, come da molti esem-pj si è più volte mostrato, la scarsezza de' libri era assaimaggiore, che non in Italia, eranvi nondimeno qualcheesemplare delle Pandette, a quanto maggior ragionedobbiam noi credere che ve ne avesse ancora in Italia?Qualche copia ve n'avea certamente fra noi nell'VIII se-colo, come da due carte dell'an. 752 e del 767 dimostrail Muratori (Antiq. Ital. t. 3, p. 689, ec.). Or se nelle in-vasioni de' Barbari de' secoli precedenti, che furono allelettere e a' libri così funeste, rimase nondimeno qualcheesemplare delle Pandette, perchè crederem noi che essesi perdessero interamente nei tempi seguenti che non fu-rono ugualmente fatali all'Italia? Ma non trovasi, dicono

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Si pruova che il detto codice non potè essere allora il solo in Ita-lia.

ritrovamento del codice stesso in Amalfi, e più ancoraintorno alla mentovata legge di Lottario II, si muovonda alcuni non leggieri difficoltà cui perciò fa d'uopo esa-minare attentamente.

VI. Ma prima di ricercare se i Pisani portas-ser seco da Amalfi il gran codice delle Pan-dette, convien osservare se questa parte del-le leggi romane fosse dapprima interamenreperduta, sicchè non ve ne avesse alcunesemplare, e quel di Amalfi fosse perciò untesoro solo ed unico al mondo, o almeno in

Italia, perciocchè in Francia eravene certamente copiaverso il principio del XII secolo, nel qual tempo fiorìIvone vescovo di Chartres, che più volte ne fa menzione(ep. 46, 69). Ma se in Francia, ove, come da molti esem-pj si è più volte mostrato, la scarsezza de' libri era assaimaggiore, che non in Italia, eranvi nondimeno qualcheesemplare delle Pandette, a quanto maggior ragionedobbiam noi credere che ve ne avesse ancora in Italia?Qualche copia ve n'avea certamente fra noi nell'VIII se-colo, come da due carte dell'an. 752 e del 767 dimostrail Muratori (Antiq. Ital. t. 3, p. 689, ec.). Or se nelle in-vasioni de' Barbari de' secoli precedenti, che furono allelettere e a' libri così funeste, rimase nondimeno qualcheesemplare delle Pandette, perchè crederem noi che essesi perdessero interamente nei tempi seguenti che non fu-rono ugualmente fatali all'Italia? Ma non trovasi, dicono

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Si pruova che il detto codice non potè essere allora il solo in Ita-lia.

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i sostenitori della contraria opinione, menzione alcunadelle Pandette negli scrittori che vissero dal sec. IX finoalla metà del XII. Sia pur vero. Ma quali opere abbiamnoi di que' tempi, in cui dovesse verisimilmente farsenequalche menzione? Qual maraviglia dunque che non siparlasse delle Pandette, se non offerivasi occasion diparlarne? Delle Istituzioni ancora di Giustiniano e delleNovelle non troviamo, ch'io sappia, altra memoria inquesti tempi, che nel Catalogo de' libri fatti copiaredall'abate Desiderio (Chron. Monast. Casin. l. 3, c. 63).E nondimeno crederem noi che altra copia non ve neavesse? Se l'abate Desiderio ne fece far copia, conviendir certamente che almeno un altro esemplare ve ne fos-se, di cui ei si servisse. Finalmente noi vedremo tra pocoche il celebre Irnerio prima dell'an 1135 scrisse la suaChiosa sulle Pandette, e recheremo con ciò una pruovaconvincentissima ch'esse erano conosciute innanzi aquell'epoca. Da tutte le quali cose è manifesto, s'io nonm'inganno, che se i Pisani scopersero in Amalfi, e porta-ron seco il famoso codice delle Pandette, essi poteronbensì vantarsi di aver acquistato un codice per la sua an-tichità pregevolissimo, e di cui ancora scarsi erano allo-ra probabilmente gli esemplari, ma non tale che altronon ne avesse a que' tempi tutta l'Italia.

VII. Or ciò presupposto, dobbiam noicredere vero ciò che del sacco dato da'Pisani ad Amalfi, e di questo codice da

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Ragioni per du-bitare del fatto che di esso rac-contasi.

i sostenitori della contraria opinione, menzione alcunadelle Pandette negli scrittori che vissero dal sec. IX finoalla metà del XII. Sia pur vero. Ma quali opere abbiamnoi di que' tempi, in cui dovesse verisimilmente farsenequalche menzione? Qual maraviglia dunque che non siparlasse delle Pandette, se non offerivasi occasion diparlarne? Delle Istituzioni ancora di Giustiniano e delleNovelle non troviamo, ch'io sappia, altra memoria inquesti tempi, che nel Catalogo de' libri fatti copiaredall'abate Desiderio (Chron. Monast. Casin. l. 3, c. 63).E nondimeno crederem noi che altra copia non ve neavesse? Se l'abate Desiderio ne fece far copia, conviendir certamente che almeno un altro esemplare ve ne fos-se, di cui ei si servisse. Finalmente noi vedremo tra pocoche il celebre Irnerio prima dell'an 1135 scrisse la suaChiosa sulle Pandette, e recheremo con ciò una pruovaconvincentissima ch'esse erano conosciute innanzi aquell'epoca. Da tutte le quali cose è manifesto, s'io nonm'inganno, che se i Pisani scopersero in Amalfi, e porta-ron seco il famoso codice delle Pandette, essi poteronbensì vantarsi di aver acquistato un codice per la sua an-tichità pregevolissimo, e di cui ancora scarsi erano allo-ra probabilmente gli esemplari, ma non tale che altronon ne avesse a que' tempi tutta l'Italia.

VII. Or ciò presupposto, dobbiam noicredere vero ciò che del sacco dato da'Pisani ad Amalfi, e di questo codice da

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Ragioni per du-bitare del fatto che di esso rac-contasi.

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essi trasferitone a Pisa, ci narran molti? Eran già corsiquattro secoli dacchè i Pisani godevano di questo vanto;e niuno avea ancora ardito di lor contrastarlo; anzi l'an.1722 un erudito Oltramontano, cioè Arrigo Brencmannopubblicò in Utrecht un'ampia e diffusa Storia dello sco-primento e delle diverse vicende di quel codice sì rino-mato. Ma l'anno medesimo l'avv. Donato Antoniod'Asti, nel secondo suo libro "Dell'uso e autorità dellaragion civile nelle Provincie dell'Impero occidentale"pubblicato in Napoli, ardì prima d'ogni altro di contra-stare a' Pisani un vanto di cui erano da sì lungo tempopacifici posseditori. Non molto dopo essi videro ancorasorgere entro le stesse lor mura nuovi nimici; e due dot-tissimi professori della loro Università venir perciò aletteraria contesa, cioè l'ab. d. Guido Grandi, e il march.d. Bernardo Tanucci, e usare dell'ingegno e della erudi-zione loro, il primo in combattere, il secondo in sostene-re la tradizion de' Pisani. I libri da essi e da altri ancorain diversi anni su ciò pubblicati si annoverano dal cav.Flaminio dal Borgo (Diss. sopra l'Istor. pis. t. 1, par. 1,p. 28, ec.), e dall'ab. Borgo dal Borgo di lui figliuolo(Diss. sopra le Pandette pis. p. 4, ec.). D'allora in poi loscoprimento delle Pandette in Amalfi è rimasto assaidubbioso, e i più recenti scrittori ne parlano comune-mente come di cosa o falsa, o non abbastanza sicura. IlMuratori non ha voluto decidere su tal contesa (Ann.d'Ital. ad an. 1135), e lo stesso ab. dal Borgo, benchè pi-sano, ci ha lasciati dubbiosi a qual parere egli inclinasse.Io non mi aggiugnerò a' nemici della antica opinione.

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essi trasferitone a Pisa, ci narran molti? Eran già corsiquattro secoli dacchè i Pisani godevano di questo vanto;e niuno avea ancora ardito di lor contrastarlo; anzi l'an.1722 un erudito Oltramontano, cioè Arrigo Brencmannopubblicò in Utrecht un'ampia e diffusa Storia dello sco-primento e delle diverse vicende di quel codice sì rino-mato. Ma l'anno medesimo l'avv. Donato Antoniod'Asti, nel secondo suo libro "Dell'uso e autorità dellaragion civile nelle Provincie dell'Impero occidentale"pubblicato in Napoli, ardì prima d'ogni altro di contra-stare a' Pisani un vanto di cui erano da sì lungo tempopacifici posseditori. Non molto dopo essi videro ancorasorgere entro le stesse lor mura nuovi nimici; e due dot-tissimi professori della loro Università venir perciò aletteraria contesa, cioè l'ab. d. Guido Grandi, e il march.d. Bernardo Tanucci, e usare dell'ingegno e della erudi-zione loro, il primo in combattere, il secondo in sostene-re la tradizion de' Pisani. I libri da essi e da altri ancorain diversi anni su ciò pubblicati si annoverano dal cav.Flaminio dal Borgo (Diss. sopra l'Istor. pis. t. 1, par. 1,p. 28, ec.), e dall'ab. Borgo dal Borgo di lui figliuolo(Diss. sopra le Pandette pis. p. 4, ec.). D'allora in poi loscoprimento delle Pandette in Amalfi è rimasto assaidubbioso, e i più recenti scrittori ne parlano comune-mente come di cosa o falsa, o non abbastanza sicura. IlMuratori non ha voluto decidere su tal contesa (Ann.d'Ital. ad an. 1135), e lo stesso ab. dal Borgo, benchè pi-sano, ci ha lasciati dubbiosi a qual parere egli inclinasse.Io non mi aggiugnerò a' nemici della antica opinione.

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Ma, a dir il vero, sarebbe a bramare che ella avesse fon-damenti più certi di quelli che finora si sono addotti.Perciocchè quai sono finalmente i più antichi scrittori acui tal tradizione si appoggia? Il primo è quel fra Ranie-ro de' Granci autor di un poema, sulle Guerre della To-scana, detto a ragione dal Muratori caliginoso. Egli ac-cenna tal fatto con questi elegantissimi versi: Malfia Parthenopes datur, et quando omne per aequor,

Unde fuit liber Pisanis gestus ab illis Juris, et est Pisis Pandecta Caesaris alti (Script. rer. ital. vol.

11, p. 314).

Or questo scrittore, come dimostra il Muratori nella pre-fazione ad esso premessa, non fiorì che verso la metàdel XIV secolo, ed è perciò di due secoli posteriore alcontroverso ritrovamento delle Pandette. L'altro è unanonimo scrittore di una Cronaca mentovata dal march.Tanucci (in ep. de Pand. l. 2, c. 8), nella quale ove siparla del sacco dato da' Pisani ad Amalfi, così si dice:"in la quale città trovorno le Pandette composte da la ce-sarea maestà de Justiniano imperadore". A qual tempoprecisamente vivesse lo scrittore di questa Cronaca, nonsi può diffinire. Ma essendo essa scritta in lingua italia-na, non può credersi che l'autor vivesse se non al piùpresto verso la fine del XIII secolo, nel qual tempo sol-tanto, come osserva il Muratori (praef. ad Hist. Mat-thaei de Spinello vol. 7 Script. rer. ital.), si cominciò adusar nelle storie la lingua italiana e forse ancora egli èassai più recente. Or il vedere che per circa due secoli

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Ma, a dir il vero, sarebbe a bramare che ella avesse fon-damenti più certi di quelli che finora si sono addotti.Perciocchè quai sono finalmente i più antichi scrittori acui tal tradizione si appoggia? Il primo è quel fra Ranie-ro de' Granci autor di un poema, sulle Guerre della To-scana, detto a ragione dal Muratori caliginoso. Egli ac-cenna tal fatto con questi elegantissimi versi: Malfia Parthenopes datur, et quando omne per aequor,

Unde fuit liber Pisanis gestus ab illis Juris, et est Pisis Pandecta Caesaris alti (Script. rer. ital. vol.

11, p. 314).

Or questo scrittore, come dimostra il Muratori nella pre-fazione ad esso premessa, non fiorì che verso la metàdel XIV secolo, ed è perciò di due secoli posteriore alcontroverso ritrovamento delle Pandette. L'altro è unanonimo scrittore di una Cronaca mentovata dal march.Tanucci (in ep. de Pand. l. 2, c. 8), nella quale ove siparla del sacco dato da' Pisani ad Amalfi, così si dice:"in la quale città trovorno le Pandette composte da la ce-sarea maestà de Justiniano imperadore". A qual tempoprecisamente vivesse lo scrittore di questa Cronaca, nonsi può diffinire. Ma essendo essa scritta in lingua italia-na, non può credersi che l'autor vivesse se non al piùpresto verso la fine del XIII secolo, nel qual tempo sol-tanto, come osserva il Muratori (praef. ad Hist. Mat-thaei de Spinello vol. 7 Script. rer. ital.), si cominciò adusar nelle storie la lingua italiana e forse ancora egli èassai più recente. Or il vedere che per circa due secoli

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non troviamo menzione di sì memorabile scoprimento,non ci dee egli rendere dubbiosi alquanto su questo fat-to? E molto più che abbiamo non pochi storici più anti-chi, i quali ci narrano le presa e il sacco d'Amalfi peropera de' Pisani, e del codice delle Pandette non diconmotto. Nelle varie Cronache di Pisa pubblicate primadall'Ughelli (Ital. Sacr. vol. 10), e poscia dal Muratori(Script. rer. ital. vol. 6 p. 97), due volte si fa menzionedi Amalfi, e delle Pandette ivi trovate non si fa parolaalcuna (ib. p. 110, 170); e par nondimeno che questi sto-rici non avrebbon dovuto tacere questo non picciol van-to della lor patria. Falcone beneventano, e Alessandroabate di Telese, scrittori amendue di quel tempo, raccon-tano essi pure l'avvenimento medesimo (ib. vol. 5, p.120, 638); e ne parla ancor Romoaldo arcivercovo diSalerno, che allor vivea (ib. vol. 7, p. 186). Tutti tre que-sti scrittori non eran molto lontani dalla stessa città diAmalfi, e ciò non ostante del famoso codice ivi da' Pisa-ni trovato non si vede vestigia ne' lor racconti. Tutti que-sti argomenti non sono, a dir vero, che negativi; ma par-mi che in questa occasione essi abbiano qualche forzamaggiore che aver non sogliono comunemente. Ma io, ecome già ho detto, non ardisco decidere su tal contesa. Ea ma pare che anche i Pisani non debban essere molto diciò solleciti. La gloria di aver per più secoli posseduto ilpiù antico codice che si sappia essere al mondo, dellePandette, e di averlo gelosamente custodito, finchè loroè stato possibile, non si può lor contrastare per alcunmodo. Per qual maniera l'abbian essi acquistato, poco

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non troviamo menzione di sì memorabile scoprimento,non ci dee egli rendere dubbiosi alquanto su questo fat-to? E molto più che abbiamo non pochi storici più anti-chi, i quali ci narrano le presa e il sacco d'Amalfi peropera de' Pisani, e del codice delle Pandette non diconmotto. Nelle varie Cronache di Pisa pubblicate primadall'Ughelli (Ital. Sacr. vol. 10), e poscia dal Muratori(Script. rer. ital. vol. 6 p. 97), due volte si fa menzionedi Amalfi, e delle Pandette ivi trovate non si fa parolaalcuna (ib. p. 110, 170); e par nondimeno che questi sto-rici non avrebbon dovuto tacere questo non picciol van-to della lor patria. Falcone beneventano, e Alessandroabate di Telese, scrittori amendue di quel tempo, raccon-tano essi pure l'avvenimento medesimo (ib. vol. 5, p.120, 638); e ne parla ancor Romoaldo arcivercovo diSalerno, che allor vivea (ib. vol. 7, p. 186). Tutti tre que-sti scrittori non eran molto lontani dalla stessa città diAmalfi, e ciò non ostante del famoso codice ivi da' Pisa-ni trovato non si vede vestigia ne' lor racconti. Tutti que-sti argomenti non sono, a dir vero, che negativi; ma par-mi che in questa occasione essi abbiano qualche forzamaggiore che aver non sogliono comunemente. Ma io, ecome già ho detto, non ardisco decidere su tal contesa. Ea ma pare che anche i Pisani non debban essere molto diciò solleciti. La gloria di aver per più secoli posseduto ilpiù antico codice che si sappia essere al mondo, dellePandette, e di averlo gelosamente custodito, finchè loroè stato possibile, non si può lor contrastare per alcunmodo. Per qual maniera l'abbian essi acquistato, poco

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monta il saperlo; e se esso non fu parte delle spoglie ri-portate da Amalfi, convien però confessare che essi do-vetter farne l'acquisto ne' secoli più rimoti, poichè ve-diamo che non ce n'è rimasta memoria, o documento si-curo.

VIII. Assai più sicuramente si può ragiona-re dell'altra parte del fatto che qui abbiampreso a esaminare, cioè dell'editto che dicesipubblicato da Lottario II, con cui vietasse ilseguire in avvenire altre leggi fuorchè le ro-mane. Non si è aspettato a questi ultimitempi a porre in dubbio, anzi a negare aper-

tamente un tal fatto. Federigo Lindenbrogio fu, s'io nonerro, il primo che prendesse a combattere la comuneopinione (praef ad Cod. Legum antiquar.), seguito po-scia da altri, benchè ancora non sian mancati alcuni chehanno voluto difenderla e sostenerla. Degli uni e deglialtri ha tessuto il catalogo Salomone Brunquello (Hist.Juris Rom. Germ. p. 338). Il Muratori ancora, benchèsul ritrovamento delle Pandette pisane non abbia volutodeterminar cosa alcuna, rigetta però francamente l'edittoattribuito a Lottario (praef. ad Leg. Longob. pars 2Script. rer. ital. p. 4). E veramente chi mai l'ha veduto,chi l'ha pubblicato? Ognuno racconta il fatto ma non nearreca alcun monumento. È egli possibile che in niun ar-chivio ne sia rimasta copia? che niuno degl'imperadoriseguenti ce ne abbia lasciata memoria? che niun de' più

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Si pruova che Lotta-rio non an-nullò mai lealtre leggi fuor delle romane.

monta il saperlo; e se esso non fu parte delle spoglie ri-portate da Amalfi, convien però confessare che essi do-vetter farne l'acquisto ne' secoli più rimoti, poichè ve-diamo che non ce n'è rimasta memoria, o documento si-curo.

VIII. Assai più sicuramente si può ragiona-re dell'altra parte del fatto che qui abbiampreso a esaminare, cioè dell'editto che dicesipubblicato da Lottario II, con cui vietasse ilseguire in avvenire altre leggi fuorchè le ro-mane. Non si è aspettato a questi ultimitempi a porre in dubbio, anzi a negare aper-

tamente un tal fatto. Federigo Lindenbrogio fu, s'io nonerro, il primo che prendesse a combattere la comuneopinione (praef ad Cod. Legum antiquar.), seguito po-scia da altri, benchè ancora non sian mancati alcuni chehanno voluto difenderla e sostenerla. Degli uni e deglialtri ha tessuto il catalogo Salomone Brunquello (Hist.Juris Rom. Germ. p. 338). Il Muratori ancora, benchèsul ritrovamento delle Pandette pisane non abbia volutodeterminar cosa alcuna, rigetta però francamente l'edittoattribuito a Lottario (praef. ad Leg. Longob. pars 2Script. rer. ital. p. 4). E veramente chi mai l'ha veduto,chi l'ha pubblicato? Ognuno racconta il fatto ma non nearreca alcun monumento. È egli possibile che in niun ar-chivio ne sia rimasta copia? che niuno degl'imperadoriseguenti ce ne abbia lasciata memoria? che niun de' più

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Si pruova che Lotta-rio non an-nullò mai lealtre leggi fuor delle romane.

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antichi giureconsulti ne abbia dato alcun cenno? E cosìè nondimeno. Si leggan quanti Diplomi e quante Storiee quanti Trattati legali furono scritti o in quel secolo, oancor nel seguente, e non troverassi alcun vestigio ditale editto che pur a tutti dovea essere noto, da tutti, eda' giureconsulti singolarmente, dovea citarsi. Ma ciòche invincibilmente dimostra la falsità di tal fatto, si è ilriflettere che anche dopo l'an 1135 continuarono gl'Ita-liani a valersi, come meglio lor pareva, delle leggi ro-mane, o delle longobarde. Oltre alcuni esempj particola-ri che il Muratori ne arreca (ib.), egli afferma che innu-merabili sono le carte di contratti, o di testamenti,ch'egli ha vedute fino alla fine del XII secolo, in cui sitrova secondo l'usato costume espressa la professiondella legge de' contraenti colle consuete parole: "Ego N.N. qui professus sum ex natione mea lege vivere Longo-bardorum, ec." Anzi egli altrove n'arreca un esempio an-che dell'an. 1212 (Antiq. Ital. t. 2, p. 279). A questi unaltro ne aggiugnerò io dell'anno 1156, tratto da una cartainserita da Benvenuto di s. Giorgio nella sua Storia delMonferrato (Script. rer. ital. t. 23, p. 341), in cui il mar-ch. Guglielmo e Giulitta di lui moglie figliuola di Leo-poldo marchese d'Austria dichiarano di seguire, queglila Legge salica, questa l'alemanna. "Nos itaque praedictijugales, qui professi sumus ex natione nostra lege vivereSalica, sed ego Julita ex natione mea lege vivere Ale-mannorum, ec." Anzi fino all'an. 1216 ha trovato l'erudi-to co. Giulini qualche menzione delle leggi de' Longo-bardi in Milano (Mem. di Mil. t. 7, p. 321). Egli è adun-

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antichi giureconsulti ne abbia dato alcun cenno? E cosìè nondimeno. Si leggan quanti Diplomi e quante Storiee quanti Trattati legali furono scritti o in quel secolo, oancor nel seguente, e non troverassi alcun vestigio ditale editto che pur a tutti dovea essere noto, da tutti, eda' giureconsulti singolarmente, dovea citarsi. Ma ciòche invincibilmente dimostra la falsità di tal fatto, si è ilriflettere che anche dopo l'an 1135 continuarono gl'Ita-liani a valersi, come meglio lor pareva, delle leggi ro-mane, o delle longobarde. Oltre alcuni esempj particola-ri che il Muratori ne arreca (ib.), egli afferma che innu-merabili sono le carte di contratti, o di testamenti,ch'egli ha vedute fino alla fine del XII secolo, in cui sitrova secondo l'usato costume espressa la professiondella legge de' contraenti colle consuete parole: "Ego N.N. qui professus sum ex natione mea lege vivere Longo-bardorum, ec." Anzi egli altrove n'arreca un esempio an-che dell'an. 1212 (Antiq. Ital. t. 2, p. 279). A questi unaltro ne aggiugnerò io dell'anno 1156, tratto da una cartainserita da Benvenuto di s. Giorgio nella sua Storia delMonferrato (Script. rer. ital. t. 23, p. 341), in cui il mar-ch. Guglielmo e Giulitta di lui moglie figliuola di Leo-poldo marchese d'Austria dichiarano di seguire, queglila Legge salica, questa l'alemanna. "Nos itaque praedictijugales, qui professi sumus ex natione nostra lege vivereSalica, sed ego Julita ex natione mea lege vivere Ale-mannorum, ec." Anzi fino all'an. 1216 ha trovato l'erudi-to co. Giulini qualche menzione delle leggi de' Longo-bardi in Milano (Mem. di Mil. t. 7, p. 321). Egli è adun-

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que certissimo che fino al principio del XIII secolo go-derono di tal libertà gl'Italiani; e ch'essa non fu tolta lorogiammai per alcun editto imperiale; ma a poco a poco leleggi romane cominciarono a prevalere, singolarmenteda che sorsero i famosi interpreti di esse de' quali frapoco ragioneremo, e quindi le longobardiche e moltopiù le altre vennero alla fine interamente dimenticate.Intorno a tutto ciò veggasi il Muratori nelle due operesopraccitate.

IX. Poichè dunque queste diverse leggiaveano ancor vigore in Italia, e lecito eraagl'Italiani il seguire quella che più lor fossein grado, era necessario che i giureconsultiavesser di tutte una sufficiente notizia.

Come però le leggi romane, singolarmente cominciandodal XII secolo, aveano assai maggior numero di seguaci,così maggiore ancora era il numero di coloro che allostudio di esse si rivolgevano. E ciò dovette molto piùaccadere, quando si cominciò a tenere pubblica scuoladi giurisprudenza; perciocchè le leggi romane furonoquelle intorno alle quali comunemente esercitaronsi que'famosi giureconsulti che aprirono agli altri la via. Que-sto è ciò di che ora dobbiam ragionare, esaminandodove e per cui opera singolarmente rifiorisse in Italia lostudio delle leggi.

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Le leggi ro-mane però più di tutte erano in uso.

que certissimo che fino al principio del XIII secolo go-derono di tal libertà gl'Italiani; e ch'essa non fu tolta lorogiammai per alcun editto imperiale; ma a poco a poco leleggi romane cominciarono a prevalere, singolarmenteda che sorsero i famosi interpreti di esse de' quali frapoco ragioneremo, e quindi le longobardiche e moltopiù le altre vennero alla fine interamente dimenticate.Intorno a tutto ciò veggasi il Muratori nelle due operesopraccitate.

IX. Poichè dunque queste diverse leggiaveano ancor vigore in Italia, e lecito eraagl'Italiani il seguire quella che più lor fossein grado, era necessario che i giureconsultiavesser di tutte una sufficiente notizia.

Come però le leggi romane, singolarmente cominciandodal XII secolo, aveano assai maggior numero di seguaci,così maggiore ancora era il numero di coloro che allostudio di esse si rivolgevano. E ciò dovette molto piùaccadere, quando si cominciò a tenere pubblica scuoladi giurisprudenza; perciocchè le leggi romane furonoquelle intorno alle quali comunemente esercitaronsi que'famosi giureconsulti che aprirono agli altri la via. Que-sto è ciò di che ora dobbiam ragionare, esaminandodove e per cui opera singolarmente rifiorisse in Italia lostudio delle leggi.

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Le leggi ro-mane però più di tutte erano in uso.

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X. Quando le città italiane cominciarono,come sopra si è dimostrato a scuotere il gio-go dell'autorità imperiale, e a scegliere perlor medesimi i lor giudici, e i lor magistrati,si riaccese allora in esse, secondo che si è

già detto, lo studio della giurisprudenza. Ma non è per-ciò a credere che si aprisser di essa pubbliche scuole.Come in addietro eranvi sempre stati alcuni che l'aveanocon privato studio coltivata, così quando questo studiosi fece più vivo, benchè maggior fosse il numero di co-loro che si applicavano alla giurisprudenza, essi perònon altro faceano comunemente, che leggere e studiareper se medesimi que' libri che potean rinvenire a ciò piùopportuni. Se qualche scuola vi ebbe in Ravenna, di cheor ora ragioneremo, essa non fu molto celebre, e non fuconosciuta fuor dell'Italia. Bologna prima d'ogni altracittà ebbe il vanto di aprire pubbliche e famose scuole digiurisprudenza, e di vedere non solo da tutta l'Italia, maanche da' più lontani paesi accorrer numerose schiere digiovani ad istruirsi; e di essere perciò appellata, comevedesi in un'antica medaglia, Mater Studiorum (De cl.Prof. Bonon. t. 1, pars. 1, p. 8). Questo primato appenavi ha tra' moderni più esatti scrittori chi nol conceda aquesta illustre città. Ma a qual tempo precisamente siaprissero ivi pubbliche Scuole, non è facile a determina-re.

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Bologna fu la sede del-la prima ce-lebre scuoladi legge.

X. Quando le città italiane cominciarono,come sopra si è dimostrato a scuotere il gio-go dell'autorità imperiale, e a scegliere perlor medesimi i lor giudici, e i lor magistrati,si riaccese allora in esse, secondo che si è

già detto, lo studio della giurisprudenza. Ma non è per-ciò a credere che si aprisser di essa pubbliche scuole.Come in addietro eranvi sempre stati alcuni che l'aveanocon privato studio coltivata, così quando questo studiosi fece più vivo, benchè maggior fosse il numero di co-loro che si applicavano alla giurisprudenza, essi perònon altro faceano comunemente, che leggere e studiareper se medesimi que' libri che potean rinvenire a ciò piùopportuni. Se qualche scuola vi ebbe in Ravenna, di cheor ora ragioneremo, essa non fu molto celebre, e non fuconosciuta fuor dell'Italia. Bologna prima d'ogni altracittà ebbe il vanto di aprire pubbliche e famose scuole digiurisprudenza, e di vedere non solo da tutta l'Italia, maanche da' più lontani paesi accorrer numerose schiere digiovani ad istruirsi; e di essere perciò appellata, comevedesi in un'antica medaglia, Mater Studiorum (De cl.Prof. Bonon. t. 1, pars. 1, p. 8). Questo primato appenavi ha tra' moderni più esatti scrittori chi nol conceda aquesta illustre città. Ma a qual tempo precisamente siaprissero ivi pubbliche Scuole, non è facile a determina-re.

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Bologna fu la sede del-la prima ce-lebre scuoladi legge.

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XI. Io non parlerò qui del famoso Diplomadi Teodosio il giovane, dagli antichi scrittorbolognesi celebrato cotanto, con cui essicredeano di provare che la loro universitàavesse avuto questo principe per fondatore.Poteansi cotali cose affermare e scrivere im-

punemente quando bastava che una carta avesse qualcheapparenza di antichità, perchè fosse creduta autentica.Ma ora non vi ha tra gli eruditi, di cui tanto abbondaBologna, chi non conosca e la supposizione di quel Di-ploma, e la falsità di tale opinione. In fatti il dottissimop. Sarti, mentovato poc'anzi, appena ne ha fatto un cen-no, e in maniera che ben si vede ch'ei non ne fa alcunconto, e ha dato principio alla sua Storia dal sec. XI.Egli pensa (ib. p. 4, ec.) che il primo a tenere scuola dileggi in Bologna fosse Lanfranco arcivescovo di Can-torberì, di cui abbiam favellato nel capo II di questo li-bro, e ne reca in pruova le parole di Roberto del Monteda noi pure ivi recate, ove afferma che Lanfranco insiemcon Guarnerio, trovate avendo le leggi romane pressoBologna, cominciarono a interpretarle pubblicamente.Egli confessa che questo Guarnerio non è altri che il fa-moso Varnerio ossia Irnerio, che questi visse certamentemolti anni dopo Lanfranco; e che perciò ha errato Ro-berto nell'unirli insieme. Ma ciò non ostante affermache, essendo Roberto vissuto nel monastero stesso diBec, di cui era stato priore Lanfranco, e avendo potutoconoscer parecchi che con lui avean vissuto, deesi cre-dere che fosso ben istruito in ciò che apparteneva alla

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Non è pro-vato abba-stanza che Lanfranco ne fosse ivi professore.

XI. Io non parlerò qui del famoso Diplomadi Teodosio il giovane, dagli antichi scrittorbolognesi celebrato cotanto, con cui essicredeano di provare che la loro universitàavesse avuto questo principe per fondatore.Poteansi cotali cose affermare e scrivere im-

punemente quando bastava che una carta avesse qualcheapparenza di antichità, perchè fosse creduta autentica.Ma ora non vi ha tra gli eruditi, di cui tanto abbondaBologna, chi non conosca e la supposizione di quel Di-ploma, e la falsità di tale opinione. In fatti il dottissimop. Sarti, mentovato poc'anzi, appena ne ha fatto un cen-no, e in maniera che ben si vede ch'ei non ne fa alcunconto, e ha dato principio alla sua Storia dal sec. XI.Egli pensa (ib. p. 4, ec.) che il primo a tenere scuola dileggi in Bologna fosse Lanfranco arcivescovo di Can-torberì, di cui abbiam favellato nel capo II di questo li-bro, e ne reca in pruova le parole di Roberto del Monteda noi pure ivi recate, ove afferma che Lanfranco insiemcon Guarnerio, trovate avendo le leggi romane pressoBologna, cominciarono a interpretarle pubblicamente.Egli confessa che questo Guarnerio non è altri che il fa-moso Varnerio ossia Irnerio, che questi visse certamentemolti anni dopo Lanfranco; e che perciò ha errato Ro-berto nell'unirli insieme. Ma ciò non ostante affermache, essendo Roberto vissuto nel monastero stesso diBec, di cui era stato priore Lanfranco, e avendo potutoconoscer parecchi che con lui avean vissuto, deesi cre-dere che fosso ben istruito in ciò che apparteneva alla

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Non è pro-vato abba-stanza che Lanfranco ne fosse ivi professore.

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vita di questo illustre prelato; e che perciò, benchè egliabbia commesso errore nel far Lanfranco coetaneod'Irnerio, deesi credere però, che non abbia erratonell'affermar che Lanfranco tenne scuola di leggi in Bo-logna. Io rispetto il parere di sì dotto scrittore; ma con-fesso che non so indurmi sì facilmente a seguirlo. Milo-ne Crispino nella vita di Lanfranco non fa motto di talescuola da lui tenuta, benchè pure rammenti, come abbia-mo veduto, lo studio della giurisprudenza da lui coltiva-to, e il plauso con cui ne diè saggio nel trattare le causein Pavia sua patria. Or Milone visse egli pure nello stes-so monastero di Bec, e fu alquanto più vicino di tempo aLanfranco; e avendo preso a scriverne minutamente laVita, egli è a credere che più esatte e più sicure notizieraccogliesse intorno a Lanfranco, che non Roberto, ilquale avendo preso a scrivere una Cronaca generale de'suoi tempi, non dovette essere ugualmente sollecito diricercare ciò che apparteneva a questo arcivescovo. Per-ciò il vedere taciuta da Milone Crispino una cosa ch'einon avrebbe potuto ignorare, e che certamente nonavrebbe dissimulata, parmi che ci dia motivo di sospet-tare errore in Roberto; molto più ch'ei ci si mostra scrit-tore non bene informato nell'unire ch'ei fa insieme duepersonaggi di tempo troppo diverso. Per altra parte eCorrado Urspergese (in Chron. ad an. 1126) e Odofredo(in Dig. tit. de Justitia et jure, cap. Jus civile, n. 1) giu-reconsulto del XIII secolo, seguito poi da innumerabilialtri antichi e moderni scrittori, affermano che Irnerio fuil primo che tenesse pubblica scuola di giurisprudenza

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vita di questo illustre prelato; e che perciò, benchè egliabbia commesso errore nel far Lanfranco coetaneod'Irnerio, deesi credere però, che non abbia erratonell'affermar che Lanfranco tenne scuola di leggi in Bo-logna. Io rispetto il parere di sì dotto scrittore; ma con-fesso che non so indurmi sì facilmente a seguirlo. Milo-ne Crispino nella vita di Lanfranco non fa motto di talescuola da lui tenuta, benchè pure rammenti, come abbia-mo veduto, lo studio della giurisprudenza da lui coltiva-to, e il plauso con cui ne diè saggio nel trattare le causein Pavia sua patria. Or Milone visse egli pure nello stes-so monastero di Bec, e fu alquanto più vicino di tempo aLanfranco; e avendo preso a scriverne minutamente laVita, egli è a credere che più esatte e più sicure notizieraccogliesse intorno a Lanfranco, che non Roberto, ilquale avendo preso a scrivere una Cronaca generale de'suoi tempi, non dovette essere ugualmente sollecito diricercare ciò che apparteneva a questo arcivescovo. Per-ciò il vedere taciuta da Milone Crispino una cosa ch'einon avrebbe potuto ignorare, e che certamente nonavrebbe dissimulata, parmi che ci dia motivo di sospet-tare errore in Roberto; molto più ch'ei ci si mostra scrit-tore non bene informato nell'unire ch'ei fa insieme duepersonaggi di tempo troppo diverso. Per altra parte eCorrado Urspergese (in Chron. ad an. 1126) e Odofredo(in Dig. tit. de Justitia et jure, cap. Jus civile, n. 1) giu-reconsulto del XIII secolo, seguito poi da innumerabilialtri antichi e moderni scrittori, affermano che Irnerio fuil primo che tenesse pubblica scuola di giurisprudenza

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in Bologna. A me dunque non sembra che sia abbastan-za provato che si possa attribuire a Lanfranco ciò checon più probabil fondamento si attribuisce ad Irnerio.

XII. Nè io voglio perciò negare che si colti-vasse la giurisprudenza in Bologna a' tempiancor di Lanfranco. Anzi ne ho io stesso re-cate poc'anzi le pruove tratte dalla Storiamedesima di questa Università; ma ciò dee-

si intendere di quello studio, direi quasi, privato, ch'eracomune ancora ad altre città, come poc'anzi si è detto. Ese trovasi alcun nominato nelle carte bolognesi col titolodi dottor delle leggi, penso che altro non significhi que-sto titolo, fuorchè giureconsulto, e l'abbiam veduto infatti usato ancora da s. Pier Damiano nello scrivere apersonaggi i quali non par certamente che fossero in Bo-logna. Lo stesso p. Sarti ha evidentemente mostrato con-tro l'opinione del Muratori (Antiq. Ital. t. 3, diss. 44),che altri studj ancora ivi si coltivavano; ed eranvi altrescuole, prima che quelle della giurisprudenza s'introdu-cessero. Lamberto vescovo di Bologna assegnò l'an.1065 alcuni terreni a' canonici della sua cattedrale, per-chè più agevolmente potessero attendere agli studj (Decl. Prof. Bonon. t. 1, pars 1, p. 3). Irnerio, come fra pocovedremo, prima d'aprire scuola di giurisprudenza, aveainsegnate le arti, cioè la filosofia e le altre scienze chead essa appartengono. Anzi fin dal principio dell'XI se-colo s. Guido, che fu poi vescovo d'Acqui, venne a Bo-

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Eran però ivi altre scuole a que' tempi.

in Bologna. A me dunque non sembra che sia abbastan-za provato che si possa attribuire a Lanfranco ciò checon più probabil fondamento si attribuisce ad Irnerio.

XII. Nè io voglio perciò negare che si colti-vasse la giurisprudenza in Bologna a' tempiancor di Lanfranco. Anzi ne ho io stesso re-cate poc'anzi le pruove tratte dalla Storiamedesima di questa Università; ma ciò dee-

si intendere di quello studio, direi quasi, privato, ch'eracomune ancora ad altre città, come poc'anzi si è detto. Ese trovasi alcun nominato nelle carte bolognesi col titolodi dottor delle leggi, penso che altro non significhi que-sto titolo, fuorchè giureconsulto, e l'abbiam veduto infatti usato ancora da s. Pier Damiano nello scrivere apersonaggi i quali non par certamente che fossero in Bo-logna. Lo stesso p. Sarti ha evidentemente mostrato con-tro l'opinione del Muratori (Antiq. Ital. t. 3, diss. 44),che altri studj ancora ivi si coltivavano; ed eranvi altrescuole, prima che quelle della giurisprudenza s'introdu-cessero. Lamberto vescovo di Bologna assegnò l'an.1065 alcuni terreni a' canonici della sua cattedrale, per-chè più agevolmente potessero attendere agli studj (Decl. Prof. Bonon. t. 1, pars 1, p. 3). Irnerio, come fra pocovedremo, prima d'aprire scuola di giurisprudenza, aveainsegnate le arti, cioè la filosofia e le altre scienze chead essa appartengono. Anzi fin dal principio dell'XI se-colo s. Guido, che fu poi vescovo d'Acqui, venne a Bo-

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Eran però ivi altre scuole a que' tempi.

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logna per apprendervi le scienze (Acta SS. jun. t. 1, p.229) e s. Brunone vescovo di Segni dopo la metà delmedesimo secolo avea ivi apprese le arti, come si è di-mostrato. Che se questi più nobili studj coltivavansi finodall'XI secolo in Bologna, egli è evidente che scuole do-veanvi essere nulla meno di lettere umane, quanto per-metteva la condizion de' tempi come ha giustamente os-servato il sopraccennato p. Sarti (l. c. p. 503), confutan-do l'opinione del Muratori che avea affermato non primadel sec. XIII essersi cotali studj introdotti il quella città.

XIII. Tali furono fin dal sec. XI i tenuiprincipj dell'università di Bologna. Maverso la fine del secolo stesso e al comin-ciar del seguente assai maggior fama ellaottenne per lo studio delle leggi, che ivi

cominciò a risorgere. Roberto del Monte e CorradoUspergese, come abbiam detto, attribuiscon la lode delrinnovamento di questo studio a Irnerio, benchè Robertoper errore, da noi confutato poc'anzi, gli dia a compagnoLanfranco. Lo stesso afferma Odofredo giureconsultodel XIII secolo, da noi poc'anzi citato. Ma qui convienriferire il passo ov'egli di ciò ragiona, per esaminar po-scia se in ogni cosa gli si debba dar fede. Nè sarà, iocredo, spiacevole a chi legge, ch'io rechi le stesse paroledi questo scrittore che per certa sua schietta semplicitàleggesi con piacere: "Dominus Yrnerius, dic'egli (l. c.),qui fuit apud nos lucerna juris, idest primus qui docuit

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Qual origine avesse lo stu-dio della giuri-sprudenza in Bologna.

logna per apprendervi le scienze (Acta SS. jun. t. 1, p.229) e s. Brunone vescovo di Segni dopo la metà delmedesimo secolo avea ivi apprese le arti, come si è di-mostrato. Che se questi più nobili studj coltivavansi finodall'XI secolo in Bologna, egli è evidente che scuole do-veanvi essere nulla meno di lettere umane, quanto per-metteva la condizion de' tempi come ha giustamente os-servato il sopraccennato p. Sarti (l. c. p. 503), confutan-do l'opinione del Muratori che avea affermato non primadel sec. XIII essersi cotali studj introdotti il quella città.

XIII. Tali furono fin dal sec. XI i tenuiprincipj dell'università di Bologna. Maverso la fine del secolo stesso e al comin-ciar del seguente assai maggior fama ellaottenne per lo studio delle leggi, che ivi

cominciò a risorgere. Roberto del Monte e CorradoUspergese, come abbiam detto, attribuiscon la lode delrinnovamento di questo studio a Irnerio, benchè Robertoper errore, da noi confutato poc'anzi, gli dia a compagnoLanfranco. Lo stesso afferma Odofredo giureconsultodel XIII secolo, da noi poc'anzi citato. Ma qui convienriferire il passo ov'egli di ciò ragiona, per esaminar po-scia se in ogni cosa gli si debba dar fede. Nè sarà, iocredo, spiacevole a chi legge, ch'io rechi le stesse paroledi questo scrittore che per certa sua schietta semplicitàleggesi con piacere: "Dominus Yrnerius, dic'egli (l. c.),qui fuit apud nos lucerna juris, idest primus qui docuit

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Qual origine avesse lo stu-dio della giuri-sprudenza in Bologna.

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in civitate ista. Nam primo coepit studium esse in civita-te ista in artibus; et cum studium esset destructum Ro-mae, libri Legales fuerunt deportati ad civitatem Raven-nae; et de Ravenna ad civitatem istam. Quidam Domi-nus Pepo coepit auctoritate sua legere in Legibus; tamenquidquid fuerit de scientia sua, nullius nominis fuit. SedDominus Yrnerius, dum doceret in artibus in civitateista, cum fuerunt deportati libri legales, coepit per sestudere in libris nostris, et studendo coepit docere in Le-gibus, et ipse fuit maximi nominis; et quia primus fuit,qui fecit glosas in libris nostris, vocamus eum lucernamjuris". Lo stesso ripete egli altrove (ad l. Falcid.), oveanche spiega quai libri precisamente fosser recati a Bo-logna: "Cum libri fuerunt portati, fuerunt portati hi libri:Codex, Digestum vetus et novum, et Institutiones: po-stea fuit inventum Infortiatum sine tribus partibus: po-stea fuerunt portati tres libri: ultimo liber Authentico-rum inventus est". Questo solenne trasporto de' libri le-gali da Roma a Ravenna e da Ravenna a Bologna è sem-brato favoloso al p. Sarti (l. c. p. 6). E certo se Odofredoavesse voluto dirci che non vi fosse che un solo esem-plare delle Leggi romane, e che questo si andasse per talmaniera, direi quasi, processionalmente portando da unaall'altra città, mi arrenderei al suo parere. Ma io pensoche il buon dottore Odofredo abbia qui voluto usare ilsenso allegorico, non il letterale; e che sotto l'idea deltrasporto de' libri, altro non intenda egli veramente cheil trasporto dello studio; ed altro in somma non vogliadirci, se non che dopo la caduta dell'Impero occidentale,

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in civitate ista. Nam primo coepit studium esse in civita-te ista in artibus; et cum studium esset destructum Ro-mae, libri Legales fuerunt deportati ad civitatem Raven-nae; et de Ravenna ad civitatem istam. Quidam Domi-nus Pepo coepit auctoritate sua legere in Legibus; tamenquidquid fuerit de scientia sua, nullius nominis fuit. SedDominus Yrnerius, dum doceret in artibus in civitateista, cum fuerunt deportati libri legales, coepit per sestudere in libris nostris, et studendo coepit docere in Le-gibus, et ipse fuit maximi nominis; et quia primus fuit,qui fecit glosas in libris nostris, vocamus eum lucernamjuris". Lo stesso ripete egli altrove (ad l. Falcid.), oveanche spiega quai libri precisamente fosser recati a Bo-logna: "Cum libri fuerunt portati, fuerunt portati hi libri:Codex, Digestum vetus et novum, et Institutiones: po-stea fuit inventum Infortiatum sine tribus partibus: po-stea fuerunt portati tres libri: ultimo liber Authentico-rum inventus est". Questo solenne trasporto de' libri le-gali da Roma a Ravenna e da Ravenna a Bologna è sem-brato favoloso al p. Sarti (l. c. p. 6). E certo se Odofredoavesse voluto dirci che non vi fosse che un solo esem-plare delle Leggi romane, e che questo si andasse per talmaniera, direi quasi, processionalmente portando da unaall'altra città, mi arrenderei al suo parere. Ma io pensoche il buon dottore Odofredo abbia qui voluto usare ilsenso allegorico, non il letterale; e che sotto l'idea deltrasporto de' libri, altro non intenda egli veramente cheil trasporto dello studio; ed altro in somma non vogliadirci, se non che dopo la caduta dell'Impero occidentale,

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essendo divenuta Ravenna la residenza ordinaria de' regoti prima, e poscia degli esarchi, ivi a' tempi loro e an-cor ne' seguenti mantennesi lungamente vivo lo studiodelle leggi, quanto era possibile negli infelici tempi cheallor correvano; e che da Ravenna lo studio passò a Bo-logna, perchè avendo Irnerio, e que' che gli succedero-no, preso a interpretare le leggi, e ottenuta con ciò granfama, quella città divenne il teatro, per così dire, di talestudio, il quale perciò in Ravenna cessò e si estinse. Ame pare in fatti di aver trovato nelle Opere di s. Pier Da-miano qualche vestigio del fervore con cui verso la metàdell'XI sec. coltivavasi la giurisprudenza in Ravenna.Nella prefazione al suo trattato de' Gradi di parentela(S. Petri Dam. Op. t. 2, p. 81 ed. rom. 1608) ci narra diesser di fresco andato a Ravenna e di avervi trovata ac-cesa una controversia su' gradi di parentela vietati nelmatrimonio, e reca la decisione che su ciò aveano datosapientes Civitatis in unum convenientes, la qual deci-sione erasi da essi mandata a' Fiorentini che di ciò gliavean richiesti. Or qui per sapienti non altri egli certa-mente intende che i giureconsulti; e in fatti soggiugnech'essi in pruova della lor decisione adducevano un pas-so tratto dalle Istituzioni di Giustiniano; e più chiara-mente ancora ei li chiama più sotto legis peritos (c. 4,5). Quindi ad essi volgendosi, così loro ragiona: "vosautem... ad rectae intelligentiae tramitem quantocius re-pedate, ut qui inter clientium turbas tenetis in gymmasioferulam, non vereamini subire in Ecclesia disciplinam"(c. 8). Qui veggiam dunque in Ravenna numerose schie-

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essendo divenuta Ravenna la residenza ordinaria de' regoti prima, e poscia degli esarchi, ivi a' tempi loro e an-cor ne' seguenti mantennesi lungamente vivo lo studiodelle leggi, quanto era possibile negli infelici tempi cheallor correvano; e che da Ravenna lo studio passò a Bo-logna, perchè avendo Irnerio, e que' che gli succedero-no, preso a interpretare le leggi, e ottenuta con ciò granfama, quella città divenne il teatro, per così dire, di talestudio, il quale perciò in Ravenna cessò e si estinse. Ame pare in fatti di aver trovato nelle Opere di s. Pier Da-miano qualche vestigio del fervore con cui verso la metàdell'XI sec. coltivavasi la giurisprudenza in Ravenna.Nella prefazione al suo trattato de' Gradi di parentela(S. Petri Dam. Op. t. 2, p. 81 ed. rom. 1608) ci narra diesser di fresco andato a Ravenna e di avervi trovata ac-cesa una controversia su' gradi di parentela vietati nelmatrimonio, e reca la decisione che su ciò aveano datosapientes Civitatis in unum convenientes, la qual deci-sione erasi da essi mandata a' Fiorentini che di ciò gliavean richiesti. Or qui per sapienti non altri egli certa-mente intende che i giureconsulti; e in fatti soggiugnech'essi in pruova della lor decisione adducevano un pas-so tratto dalle Istituzioni di Giustiniano; e più chiara-mente ancora ei li chiama più sotto legis peritos (c. 4,5). Quindi ad essi volgendosi, così loro ragiona: "vosautem... ad rectae intelligentiae tramitem quantocius re-pedate, ut qui inter clientium turbas tenetis in gymmasioferulam, non vereamini subire in Ecclesia disciplinam"(c. 8). Qui veggiam dunque in Ravenna numerose schie-

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re di giureconsulti che tenevano scuola, e che godevanodi qualche nome, poichè da' Fiorentini era richiesto illoro parere, e perciò sembra probabile che qualche scuo-la di giurisprudenza si fosse fin a quel tempo mantenutain Ravenna. Intorno a che veggasi il ch. p. abate Ginan-ni (Diss. della Letter. ravenn.), e l'eruditis. Foscarini(Letterat. venez. p. 40, n. 99) che altri autori ancora ar-reca a conferma di tale opinione.

XIV. Nelle altre parti il racconto di Odofre-do non incontra difficoltà, nè trova contrad-dizione. Da esso dunque noi ricaviamo,come abbiam già accennato, che teneasi

scuola dell'arti in Bologna, prima che quella della giuri-sprudenza avesse cominciamento; che lo stesso Irnerion'era maestro prima che si volgesse alle leggi; e che pri-ma Irnerio un cotal Pepone avea preso a spiegarle; manon avea in ciò acquistato gran nome. Di fatti, trattonel'allegato passo di Odofredo, non abbiamo dell'infelicePepone notizia alcuna. Vi ha chi rammenta una meda-glia coniata in onore di questo primo maestro di legge;ma il padre Sarti dimostra (p. 7) ch'ella è stata finta a ca-priccio. Irnerio è dunque quegli che deesi considerarecome il primo pubblico professore di giurisprudenza inBologna, e il primo fondatore di quella università sì illu-stre; ed egli è degno perciò, che dietro alla scorta delmentovato storico, si esamini con diligenza ciò che a luiappartiene.

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Irnerio ne fu il primo fondatore.

re di giureconsulti che tenevano scuola, e che godevanodi qualche nome, poichè da' Fiorentini era richiesto illoro parere, e perciò sembra probabile che qualche scuo-la di giurisprudenza si fosse fin a quel tempo mantenutain Ravenna. Intorno a che veggasi il ch. p. abate Ginan-ni (Diss. della Letter. ravenn.), e l'eruditis. Foscarini(Letterat. venez. p. 40, n. 99) che altri autori ancora ar-reca a conferma di tale opinione.

XIV. Nelle altre parti il racconto di Odofre-do non incontra difficoltà, nè trova contrad-dizione. Da esso dunque noi ricaviamo,come abbiam già accennato, che teneasi

scuola dell'arti in Bologna, prima che quella della giuri-sprudenza avesse cominciamento; che lo stesso Irnerion'era maestro prima che si volgesse alle leggi; e che pri-ma Irnerio un cotal Pepone avea preso a spiegarle; manon avea in ciò acquistato gran nome. Di fatti, trattonel'allegato passo di Odofredo, non abbiamo dell'infelicePepone notizia alcuna. Vi ha chi rammenta una meda-glia coniata in onore di questo primo maestro di legge;ma il padre Sarti dimostra (p. 7) ch'ella è stata finta a ca-priccio. Irnerio è dunque quegli che deesi considerarecome il primo pubblico professore di giurisprudenza inBologna, e il primo fondatore di quella università sì illu-stre; ed egli è degno perciò, che dietro alla scorta delmentovato storico, si esamini con diligenza ciò che a luiappartiene.

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Irnerio ne fu il primo fondatore.

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XV. Guarniero o Warnerio o Irnerio (che intutte queste maniere si suole scrivere ilnome di questo giureconsulto), detto da al-cuni milanese, da altri tedesco, fu certamen-te bolognese di patria, come col testimoniodi più antiche carte e di Landolfo il vecchio

prova il suddetto autore (ib. p. 12), il quale ancora di-mostra ch'egli nè viaggio mai a Costantinopoli, nè ap-prese la giurisprudenza in Ravenna, come da alcuni fuscritto. Della scuola di filosofia da lui tenuta in Bolo-gna, abbiam parlato poc'anzi, e ne abbiam recato il testi-monio di Odofredo, il quale altrove più chiaramentespiega ch'ei fu professore di logica. "Dominus Yrneriusqui logicus fuit in civitate ista in artibus, antequam do-ceret in legibus" (in leg. ult. c. de integr. restit.). Ma perqual motivo abbandonati i filosofici studj ei passasse a'legali, non è sì agevole a diffinire. Appena meritad'esser confutata l'opinion di coloro i quali affermanoche per comando di Lottario II prendesse Irnerio a inter-pretare le leggi; poichè, come vedremo parlando deltempo a cui questi vivea, egli, assai prima che Lottarioregnasse, aprì la sua scuola. L'Urspergese, seguito po-scia da altri, racconta (in Chron. ad an. 1026) ch'egli ilfece ad istanza della celebre contessa Matilde. Ma,come egregiamente riflette il p. Sarti (p. 26), questa cittànon era ad essa soggetta; e inoltre, come Irnerio non fuil primo interprete delle leggi, ma innanzi a lui era statol'oscuro Pepone, così non facea bisogno della autoritàsovrana ad Irnerio, che lo esortasse a ciò fare. Una altra

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Per qual ra-gione si ri-volgesse egli allo studio delleleggi.

XV. Guarniero o Warnerio o Irnerio (che intutte queste maniere si suole scrivere ilnome di questo giureconsulto), detto da al-cuni milanese, da altri tedesco, fu certamen-te bolognese di patria, come col testimoniodi più antiche carte e di Landolfo il vecchio

prova il suddetto autore (ib. p. 12), il quale ancora di-mostra ch'egli nè viaggio mai a Costantinopoli, nè ap-prese la giurisprudenza in Ravenna, come da alcuni fuscritto. Della scuola di filosofia da lui tenuta in Bolo-gna, abbiam parlato poc'anzi, e ne abbiam recato il testi-monio di Odofredo, il quale altrove più chiaramentespiega ch'ei fu professore di logica. "Dominus Yrneriusqui logicus fuit in civitate ista in artibus, antequam do-ceret in legibus" (in leg. ult. c. de integr. restit.). Ma perqual motivo abbandonati i filosofici studj ei passasse a'legali, non è sì agevole a diffinire. Appena meritad'esser confutata l'opinion di coloro i quali affermanoche per comando di Lottario II prendesse Irnerio a inter-pretare le leggi; poichè, come vedremo parlando deltempo a cui questi vivea, egli, assai prima che Lottarioregnasse, aprì la sua scuola. L'Urspergese, seguito po-scia da altri, racconta (in Chron. ad an. 1026) ch'egli ilfece ad istanza della celebre contessa Matilde. Ma,come egregiamente riflette il p. Sarti (p. 26), questa cittànon era ad essa soggetta; e inoltre, come Irnerio non fuil primo interprete delle leggi, ma innanzi a lui era statol'oscuro Pepone, così non facea bisogno della autoritàsovrana ad Irnerio, che lo esortasse a ciò fare. Una altra

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Per qual ra-gione si ri-volgesse egli allo studio delleleggi.

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origine di questa scuola si reca dal card. Arrigo di Susa,detto volgarmente il card. d'Ostia, celebre canonista delXIII secolo. Egli parlando della voce latina as, dicech'essa diede occasione a introdursi in Bologna lo studiocivile, cioè delle leggi: "propter quod verbum venit Bo-noniam studium civile, ut audivi a domino meo"(Comm. in Decret. Gregor. ad rubr. de Testam.), cioè dalsuo maestro ch'era stato Jacopo Baldovino scolare diAzzo. Sembra dunque che fosse questa tradizione de'bolognesi giureconsulti che per qualche letteraria conte-sa nata sul valore dell'asse romano si consultassero leantiche leggi, e che Irnerio prendesse da ciò motivo distudiarle dapprima, e poscia d'interpretarle pubblica-mente. Al p. Sarti non sembra improbabile una tale ori-gine (p. 8). A me par veramente ch'ella abbia alquanto diquella credula semplicità che allora ne' fatti storici erauniversale. Ma poco monta il saperne più oltre.

XVI. Irnerio non si arrestò alla semplicespiegazione delle leggi romane. "Egli sco-prì ed espose" dice lo stesso p. Sarti (ib.) "i

tesori della giurisprudenza nascosti ne' gran volumi del-le Pandette; molto affaticossi, per quanto si può conget-turare, nel rendere alla sua integrità il codice ch'eramancante ed imperfetto; scelse dalla nojosa farraginedelle Novelle gli articoli più importanti, e gl'inserì ne'luogi opportuni del codice". Ciò ch'egli afferma qui inbreve, il conferma altrove più stesamente (p. 13, ec.)

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Sue opere le-gali.

origine di questa scuola si reca dal card. Arrigo di Susa,detto volgarmente il card. d'Ostia, celebre canonista delXIII secolo. Egli parlando della voce latina as, dicech'essa diede occasione a introdursi in Bologna lo studiocivile, cioè delle leggi: "propter quod verbum venit Bo-noniam studium civile, ut audivi a domino meo"(Comm. in Decret. Gregor. ad rubr. de Testam.), cioè dalsuo maestro ch'era stato Jacopo Baldovino scolare diAzzo. Sembra dunque che fosse questa tradizione de'bolognesi giureconsulti che per qualche letteraria conte-sa nata sul valore dell'asse romano si consultassero leantiche leggi, e che Irnerio prendesse da ciò motivo distudiarle dapprima, e poscia d'interpretarle pubblica-mente. Al p. Sarti non sembra improbabile una tale ori-gine (p. 8). A me par veramente ch'ella abbia alquanto diquella credula semplicità che allora ne' fatti storici erauniversale. Ma poco monta il saperne più oltre.

XVI. Irnerio non si arrestò alla semplicespiegazione delle leggi romane. "Egli sco-prì ed espose" dice lo stesso p. Sarti (ib.) "i

tesori della giurisprudenza nascosti ne' gran volumi del-le Pandette; molto affaticossi, per quanto si può conget-turare, nel rendere alla sua integrità il codice ch'eramancante ed imperfetto; scelse dalla nojosa farraginedelle Novelle gli articoli più importanti, e gl'inserì ne'luogi opportuni del codice". Ciò ch'egli afferma qui inbreve, il conferma altrove più stesamente (p. 13, ec.)

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Sue opere le-gali.

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con pruove tratte da' codici antichi e dagli antichi giure-consulti, e a me basti l'averlo qui accennato per non git-tare inutilmente e tempo e fatica in ripetere le belle ederudite osservazioni di questo dotto scrittore. Ma ciòche maggior fama acquistò ad Irnerio, furon le Chiosech'egli prima di ogni altro aggiunse alle Leggi, facendo-ne così una breve e semplice dichiarazione, il che eglinon fece solo per riguardo al Codice e alle Istituzioni,ma per riguardo ancora al Digesto, come pruova chiara-mente il medesimo autore (p. 22). Catelliano Cotta ri-prende sdegnosamente Irnerio, perchè abbia recato collesue Chiose tenebre e non già luce alla giurisprudenza(Recens. Juris Interpr. p. 520 ed. Lips. 1721); ma il p.Sarti, recandone alcuni frammenti, dimostra (p. 13, ec.)che le Chiose d'Irnerio son brevi, chiare e precise; e chese tutti i seguenti giureconsulti ne avesser seguitol'esempio, non avrebbono, per così dire, imboschita lagiurisprudenza con una selva d'inutili e prolisse e oscureannotazioni.

XVII. Queste fatiche d'Irnerio nell'illustrarele Leggi romane gli conciliaron gran nome.In un placito, tenuto dalla contessa Matildel'an. 1113, veggiamo Warnerio causidicobolognese nominato innanzi a tutti gli altri

causidici che v'intervennero, chiamati da essa per udireil loro consiglio (ib. p. 23); il che pure si vede in altriplaciti di Arrigo IV imperadore negli anni 1116, 1117,

307

Fama di cuigodeva: epoche del-la sua vita.

con pruove tratte da' codici antichi e dagli antichi giure-consulti, e a me basti l'averlo qui accennato per non git-tare inutilmente e tempo e fatica in ripetere le belle ederudite osservazioni di questo dotto scrittore. Ma ciòche maggior fama acquistò ad Irnerio, furon le Chiosech'egli prima di ogni altro aggiunse alle Leggi, facendo-ne così una breve e semplice dichiarazione, il che eglinon fece solo per riguardo al Codice e alle Istituzioni,ma per riguardo ancora al Digesto, come pruova chiara-mente il medesimo autore (p. 22). Catelliano Cotta ri-prende sdegnosamente Irnerio, perchè abbia recato collesue Chiose tenebre e non già luce alla giurisprudenza(Recens. Juris Interpr. p. 520 ed. Lips. 1721); ma il p.Sarti, recandone alcuni frammenti, dimostra (p. 13, ec.)che le Chiose d'Irnerio son brevi, chiare e precise; e chese tutti i seguenti giureconsulti ne avesser seguitol'esempio, non avrebbono, per così dire, imboschita lagiurisprudenza con una selva d'inutili e prolisse e oscureannotazioni.

XVII. Queste fatiche d'Irnerio nell'illustrarele Leggi romane gli conciliaron gran nome.In un placito, tenuto dalla contessa Matildel'an. 1113, veggiamo Warnerio causidicobolognese nominato innanzi a tutti gli altri

causidici che v'intervennero, chiamati da essa per udireil loro consiglio (ib. p. 23); il che pure si vede in altriplaciti di Arrigo IV imperadore negli anni 1116, 1117,

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Fama di cuigodeva: epoche del-la sua vita.

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1118, il che ci mostra che, benchè non sembri probabilech'egli abbandonasse interamente la sua scuola per se-guire questo sovrano, era però di quando in quando dalui invitato a recarsi ove era la corte, affin di valersi diun uom sì famoso. Anzi l'anno 1118 egli il condusseseco a Roma, e di lui si valse ad esortare i Romani adeleggere l'antipapa Burdino contro il vero pontefice Ge-lasio II, come narra Landolfo il giovane (Script. rer. ital.vol. 5, p. 502). Il Muratori narrando un tal fatto, diceironicamente che da esso raccogliesi qual fosse il saperee la coscienza d'Irnerio (Ann. d'Ital. ad an. 1118), e cer-to non possiamo da ciò formare un troppo vantaggiosocarattere della probità di questo giureconsulto. Ma quan-to al sapere il vederlo sostenitore di una rea causa, nonbasti a provarci ch'ei non fosse uomo dottissimo; altri-menti molti sarebbon coloro a cui converrebbe apporrela taccia d'ignoranti, che pur furono uomini d'ingegno edi studio non ordinario. Da' monumenti sopraccennatiraccogliesi ancora il tempo a cui Irnerio fiorì, cioè alprincipio del secolo XII, ed è perciò verisimile che findagli ultimi anni del secolo precedente ei cominciasse atenere in Bologna la scuola di giurisprudenza. Di lui nontrovasi memoria alcuna dopo l'an. 1118. Nondimeno ilp. Sarti crede (p. 26) ch'egli vivesse ancora a' tempi diLottario II, poichè l'Uspergese ne fa menzione all'an.1126. Di altre cose che ad Irnerio appartengono, e di al-tre opinioni che intorno a lui sono state mal adottate daalcuni moderni scrittori, veggasi il medesimo storico, ilquale avendone ragionato con esattezza e con erudizio-

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1118, il che ci mostra che, benchè non sembri probabilech'egli abbandonasse interamente la sua scuola per se-guire questo sovrano, era però di quando in quando dalui invitato a recarsi ove era la corte, affin di valersi diun uom sì famoso. Anzi l'anno 1118 egli il condusseseco a Roma, e di lui si valse ad esortare i Romani adeleggere l'antipapa Burdino contro il vero pontefice Ge-lasio II, come narra Landolfo il giovane (Script. rer. ital.vol. 5, p. 502). Il Muratori narrando un tal fatto, diceironicamente che da esso raccogliesi qual fosse il saperee la coscienza d'Irnerio (Ann. d'Ital. ad an. 1118), e cer-to non possiamo da ciò formare un troppo vantaggiosocarattere della probità di questo giureconsulto. Ma quan-to al sapere il vederlo sostenitore di una rea causa, nonbasti a provarci ch'ei non fosse uomo dottissimo; altri-menti molti sarebbon coloro a cui converrebbe apporrela taccia d'ignoranti, che pur furono uomini d'ingegno edi studio non ordinario. Da' monumenti sopraccennatiraccogliesi ancora il tempo a cui Irnerio fiorì, cioè alprincipio del secolo XII, ed è perciò verisimile che findagli ultimi anni del secolo precedente ei cominciasse atenere in Bologna la scuola di giurisprudenza. Di lui nontrovasi memoria alcuna dopo l'an. 1118. Nondimeno ilp. Sarti crede (p. 26) ch'egli vivesse ancora a' tempi diLottario II, poichè l'Uspergese ne fa menzione all'an.1126. Di altre cose che ad Irnerio appartengono, e di al-tre opinioni che intorno a lui sono state mal adottate daalcuni moderni scrittori, veggasi il medesimo storico, ilquale avendone ragionato con esattezza e con erudizio-

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ne non ordinaria, ha a me risparmiata la non leggera fa-tica di rischiarare più oltre la vita di questo celebre giu-reconsulto (41).

XVIII. Che a lui più che ad ogni altro deb-ba l'università di Bologna la sua fama, sirende chiaro così dal riflettere ch'egli fu ilprimo per cui ella nella scienza delle leggidivenisse illustre, come dal vedere le lodi e

gli elogi di cui essa perciò fu onorata fin da que' tempi.Pare, a dir vero, che fin dall'XI secolo fosser le scuolebolognesi famose anche ne' paesi stranieri, perciocchèabbiam veduto che s. Brunone vescovo di Segni, mentreivi attendeva agli studj dopo la metà di quel secolo, a ri-chiesta d'alcuni Oltramontani stese una sposizion delSalterio. Or sembra probabile che questi Oltramontanifossero per motivo de' loro studj in Bologna, e ivi cono-scesser Brunone. Ma assai più celebri esse divenneropoichè gli studj legali vi furono introdotti. L'anonimoautor del poema sulla Guerra tra i Milanesi e i Comaschidall'an. 1118 fino al 1127, il quale vivea a' que' tempimedesimi, come dimostra il Muratori che lo ha dato allaluce (Script. rer. ital. vol. 5), parlando delle città chevennero in ajuto dei Milanesi contro i Comaschi, anno-vera fra le altre Bologna con queste parole: 41 Intorno ad Irnerio, e alle Chiose da lui aggiunte a' libri della Giurispruden-

za, merita ancor di esser letto l'articolo che ne ha inserito il sig. abate Fran-cesco Alessio Fiori nell'opere degli Scrittori bolognesi del co. Gio. Fantuz-zi (t. 4, p. 358, ec.).

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Celebrità da lui otte-nuta alle scuole bo-lognesi.

ne non ordinaria, ha a me risparmiata la non leggera fa-tica di rischiarare più oltre la vita di questo celebre giu-reconsulto (41).

XVIII. Che a lui più che ad ogni altro deb-ba l'università di Bologna la sua fama, sirende chiaro così dal riflettere ch'egli fu ilprimo per cui ella nella scienza delle leggidivenisse illustre, come dal vedere le lodi e

gli elogi di cui essa perciò fu onorata fin da que' tempi.Pare, a dir vero, che fin dall'XI secolo fosser le scuolebolognesi famose anche ne' paesi stranieri, perciocchèabbiam veduto che s. Brunone vescovo di Segni, mentreivi attendeva agli studj dopo la metà di quel secolo, a ri-chiesta d'alcuni Oltramontani stese una sposizion delSalterio. Or sembra probabile che questi Oltramontanifossero per motivo de' loro studj in Bologna, e ivi cono-scesser Brunone. Ma assai più celebri esse divenneropoichè gli studj legali vi furono introdotti. L'anonimoautor del poema sulla Guerra tra i Milanesi e i Comaschidall'an. 1118 fino al 1127, il quale vivea a' que' tempimedesimi, come dimostra il Muratori che lo ha dato allaluce (Script. rer. ital. vol. 5), parlando delle città chevennero in ajuto dei Milanesi contro i Comaschi, anno-vera fra le altre Bologna con queste parole: 41 Intorno ad Irnerio, e alle Chiose da lui aggiunte a' libri della Giurispruden-

za, merita ancor di esser letto l'articolo che ne ha inserito il sig. abate Fran-cesco Alessio Fiori nell'opere degli Scrittori bolognesi del co. Gio. Fantuz-zi (t. 4, p. 358, ec.).

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Celebrità da lui otte-nuta alle scuole bo-lognesi.

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Docta suas secum duxit Bononia leges (v. 211)

E più sotto; Docta Bononia venit et huc cum legibus una (v. 1848).

Fin da que' tempi adunque avea Bologna il glorioso so-prannome di dotta, e fin d'allora era celebre per le leggiche ivi s'insegnavano. Anzi possiamo aggiugnere che find'allora era numeroso il concorso che da ogni provinciad'Europa ad essa faceasi per tal fine. A ciò sembra chealluda il pontef. Eugenio III in un Breve scritto l'an.1151 al rettore e al popolo di Bologna, e pubblicato nel-la più volte mentovata Storia di quella Università(praef. z. 2), in cui così dice: "Praedecessorum vestro-rum antiquam et legalem constantiam multi diversarumgentium, qui apud vos morari consueverunt, manifestisrerum experimentis plenius agnuverunt". E a dir veroquesto ordinario soggiorno in Bologna di stranierid'ogni nazione non sembra potersi intendere nato altron-de che dalla fama di quegli studj, e de' legali singolar-mente. Assai maggiore però divenne la fama della bolo-gnese giurisprudenza dacchè Federigo I di grandi onorifu liberale a quei professori, e di gran privilegi a' lorodiscepoli. Gli antichi storici ce ne hanno lasciata memo-ria, e noi perciò dobbiam qui riferire ciò ch'essi ne nar-rano, perchè al medesimo tempo ne trarremo le opportu-ne notizie di altri celebri professori di legge, che succe-derono ad Irnerio.

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Docta suas secum duxit Bononia leges (v. 211)

E più sotto; Docta Bononia venit et huc cum legibus una (v. 1848).

Fin da que' tempi adunque avea Bologna il glorioso so-prannome di dotta, e fin d'allora era celebre per le leggiche ivi s'insegnavano. Anzi possiamo aggiugnere che find'allora era numeroso il concorso che da ogni provinciad'Europa ad essa faceasi per tal fine. A ciò sembra chealluda il pontef. Eugenio III in un Breve scritto l'an.1151 al rettore e al popolo di Bologna, e pubblicato nel-la più volte mentovata Storia di quella Università(praef. z. 2), in cui così dice: "Praedecessorum vestro-rum antiquam et legalem constantiam multi diversarumgentium, qui apud vos morari consueverunt, manifestisrerum experimentis plenius agnuverunt". E a dir veroquesto ordinario soggiorno in Bologna di stranierid'ogni nazione non sembra potersi intendere nato altron-de che dalla fama di quegli studj, e de' legali singolar-mente. Assai maggiore però divenne la fama della bolo-gnese giurisprudenza dacchè Federigo I di grandi onorifu liberale a quei professori, e di gran privilegi a' lorodiscepoli. Gli antichi storici ce ne hanno lasciata memo-ria, e noi perciò dobbiam qui riferire ciò ch'essi ne nar-rano, perchè al medesimo tempo ne trarremo le opportu-ne notizie di altri celebri professori di legge, che succe-derono ad Irnerio.

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XIX. Quando Federigo I venne la secondavolta in Italia l'an. 1158, una gran moltitu-dine d'uomini prudenti e dottissimi nellaLegge, come dice Radevico di Frisinga(De rebus gest. Frid. I l. 1, c. 27), intorno alui radunossi. E ben mostrò Federigo in

qual conto gli avesse, perciocchè, come narra il medesi-mo storico, avendo egli già determinato di muover guer-ra a' Milanesi, e avendogli i giureconsulti rappresentatoche a procedere dirittamente conveniva premettere le ci-tazioni legali, egli segui il loro consiglio; e non proferìsentenza contro di quelli, sinchè non gli ebbe convinti diribellione. Quindi dappoichè quell'anno medesimo ebbecostretti i Milanesi ad implorare la pace, Federigo radu-nò in Roncaglia una generale numerosissima assembleadi tutti i vescovi, i principi, e i consoli italiani per rego-lare i pubblici affari; e allora fu ch'egli distinse con som-mi onori quattro celebri giureconsulti che allora erano inBologna: "Avendo a' suoi fianchi, dice il medesimo Ra-devico (l. 2, c. 5), quattro giudici, cioè Bulgaro, Marti-no, Jacopo, e Ugo, uomini eloquenti, religiosi, e dottis-simi nelle leggi, e professori di esse in Bologna, e mae-stri di molti discepoli, con essi e con altri giureconsultiche eran venuti da più altre città, udiva, esaminava econchiudeva gli affari". Ove vuolsi riflettere che, ben-chè i bolognesi giureconsulti fossero sopra tutti onoratida Federigo, molti altri nondimeno colà intervennero damolte altre città d'Italia; il che ci mostra che in ogni luo-go era già sparso lo studio della giurisprudenza. Anzi ne

311

Federigo I rende grandi onori a quat-tro giurecon-sulti bolo-gnesi.

XIX. Quando Federigo I venne la secondavolta in Italia l'an. 1158, una gran moltitu-dine d'uomini prudenti e dottissimi nellaLegge, come dice Radevico di Frisinga(De rebus gest. Frid. I l. 1, c. 27), intorno alui radunossi. E ben mostrò Federigo in

qual conto gli avesse, perciocchè, come narra il medesi-mo storico, avendo egli già determinato di muover guer-ra a' Milanesi, e avendogli i giureconsulti rappresentatoche a procedere dirittamente conveniva premettere le ci-tazioni legali, egli segui il loro consiglio; e non proferìsentenza contro di quelli, sinchè non gli ebbe convinti diribellione. Quindi dappoichè quell'anno medesimo ebbecostretti i Milanesi ad implorare la pace, Federigo radu-nò in Roncaglia una generale numerosissima assembleadi tutti i vescovi, i principi, e i consoli italiani per rego-lare i pubblici affari; e allora fu ch'egli distinse con som-mi onori quattro celebri giureconsulti che allora erano inBologna: "Avendo a' suoi fianchi, dice il medesimo Ra-devico (l. 2, c. 5), quattro giudici, cioè Bulgaro, Marti-no, Jacopo, e Ugo, uomini eloquenti, religiosi, e dottis-simi nelle leggi, e professori di esse in Bologna, e mae-stri di molti discepoli, con essi e con altri giureconsultiche eran venuti da più altre città, udiva, esaminava econchiudeva gli affari". Ove vuolsi riflettere che, ben-chè i bolognesi giureconsulti fossero sopra tutti onoratida Federigo, molti altri nondimeno colà intervennero damolte altre città d'Italia; il che ci mostra che in ogni luo-go era già sparso lo studio della giurisprudenza. Anzi ne

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Federigo I rende grandi onori a quat-tro giurecon-sulti bolo-gnesi.

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abbiamo in questo racconto medesimo di Radevico unpiù certo argomento; perciocchè ei segue dicendo cheavendo Federigo osservato che moltissimi tra gl'Italianiportavano fra le mani una croce, il che era indicio di liteche aveano con alcuno, egli esclamò che "era cosa bendegna di maraviglia che gloriandosi singolarmentegl'Italiani della scienza legale, pur tanti vi fossero tra-sgressor delle leggi". Or Federigo in mezzo a tanti giu-reconsulti volendo stabilir fermamente i diritti imperiali,chiese a' quattro Bolognesi in particolare che gli prescri-vessero quali essi fossero precisamente. Ma essi che alsapere congiungevano l'accorgimento, ricusarono di de-cider soli sì difficil quistione; e perciò Federigo scelsedue giudici di ciascheduna città, acciocchè insieme co'dottori la esaminassero. La risposta fu qual bramavalaFederigo; cioè che tutte le regalie ossia i ducati, i mar-chesati, le contee, e i consolati, il diritto della moneta, idazj, le gabelle, i pedagj, i porti, la pescagione, ed altresomiglianti cose eran tutte di diritto imperiale (Radev.ib. Otto Morena Hist. Land. p. 1017, Script. rer ital. vol.6). Della qual sentenza, come pronunciata per vile adu-lazione, furon poscia incolpati e ripresi singolarmente ibolognesi giureconsulti (Placent. Summa in l. 10, c. deannonis).

XX. Ma se questi in ciò secondarono l'auto-rità e il potere di Federigo, seppero ancoraprevalersi opportunamente di quella grazia

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E accorda privilegi a' professori eagli scolari.

abbiamo in questo racconto medesimo di Radevico unpiù certo argomento; perciocchè ei segue dicendo cheavendo Federigo osservato che moltissimi tra gl'Italianiportavano fra le mani una croce, il che era indicio di liteche aveano con alcuno, egli esclamò che "era cosa bendegna di maraviglia che gloriandosi singolarmentegl'Italiani della scienza legale, pur tanti vi fossero tra-sgressor delle leggi". Or Federigo in mezzo a tanti giu-reconsulti volendo stabilir fermamente i diritti imperiali,chiese a' quattro Bolognesi in particolare che gli prescri-vessero quali essi fossero precisamente. Ma essi che alsapere congiungevano l'accorgimento, ricusarono di de-cider soli sì difficil quistione; e perciò Federigo scelsedue giudici di ciascheduna città, acciocchè insieme co'dottori la esaminassero. La risposta fu qual bramavalaFederigo; cioè che tutte le regalie ossia i ducati, i mar-chesati, le contee, e i consolati, il diritto della moneta, idazj, le gabelle, i pedagj, i porti, la pescagione, ed altresomiglianti cose eran tutte di diritto imperiale (Radev.ib. Otto Morena Hist. Land. p. 1017, Script. rer ital. vol.6). Della qual sentenza, come pronunciata per vile adu-lazione, furon poscia incolpati e ripresi singolarmente ibolognesi giureconsulti (Placent. Summa in l. 10, c. deannonis).

XX. Ma se questi in ciò secondarono l'auto-rità e il potere di Federigo, seppero ancoraprevalersi opportunamente di quella grazia

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E accorda privilegi a' professori eagli scolari.

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in cui perciò erano presso lui saliti. Perciocchè ottenne-ro in favore de' professori e degli scolari la celebre leggeinserita poscia nel Codice (ad tit. Ne Filius pro patre),con cui Federigo comanda che tutti coloro che viaggia-no per motivo di studio, e singolarmente i professoridelle sacre leggi, possano andarsene essi non meno che iloro messi sicuramente e senza molestia alcuna; in oltreche niuno possa con essi e con ciò che ad essi appartie-ne usar del diritto di rappresaglia; e finalmente che sialecito ad essi lo scegliere in occasion di litigi, se voles-sero avere a giudice o il vescovo, o i lor professori; iquai privilegi benchè conceduti fossero generalmente atutti i maestri e agli scolari tutti, ovunque essi fossero,come però il maggior numero e la fama maggiore era de'Bolognesi, tornarono singolarmente a vantaggio e adonore di quella celebre scuola che d'indi in poi divenneancora più illustre. Odofredo comentando la riferita leg-ge di Federigo, avverte che per essa potevano gli scolarinelle civili ugualmente che nelle criminali cause sottrar-si al foro; ma che a' tempi di Azzo, di cui a suo luogoragioneremo, rinunziarono a tal privilegio quanto allecause criminali; perciocchè essendo sorta una fiera di-scordia tra gli scolari lombardi e i toscani, nè riuscendoa' dottori di tenerli in freno, pregarono il podestà a pren-dersi di ciò pensiero. Poscia tornarono a usare del lorprivilegio: "tamen, conchiude Odofredo, Deus velit,quod non faciant sibi male ad invicem; nam per domi-nos doctores male puniuntur illa maleficia". Ma de'quattro celebri giureconsulti nominati poc'anzi convien

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in cui perciò erano presso lui saliti. Perciocchè ottenne-ro in favore de' professori e degli scolari la celebre leggeinserita poscia nel Codice (ad tit. Ne Filius pro patre),con cui Federigo comanda che tutti coloro che viaggia-no per motivo di studio, e singolarmente i professoridelle sacre leggi, possano andarsene essi non meno che iloro messi sicuramente e senza molestia alcuna; in oltreche niuno possa con essi e con ciò che ad essi appartie-ne usar del diritto di rappresaglia; e finalmente che sialecito ad essi lo scegliere in occasion di litigi, se voles-sero avere a giudice o il vescovo, o i lor professori; iquai privilegi benchè conceduti fossero generalmente atutti i maestri e agli scolari tutti, ovunque essi fossero,come però il maggior numero e la fama maggiore era de'Bolognesi, tornarono singolarmente a vantaggio e adonore di quella celebre scuola che d'indi in poi divenneancora più illustre. Odofredo comentando la riferita leg-ge di Federigo, avverte che per essa potevano gli scolarinelle civili ugualmente che nelle criminali cause sottrar-si al foro; ma che a' tempi di Azzo, di cui a suo luogoragioneremo, rinunziarono a tal privilegio quanto allecause criminali; perciocchè essendo sorta una fiera di-scordia tra gli scolari lombardi e i toscani, nè riuscendoa' dottori di tenerli in freno, pregarono il podestà a pren-dersi di ciò pensiero. Poscia tornarono a usare del lorprivilegio: "tamen, conchiude Odofredo, Deus velit,quod non faciant sibi male ad invicem; nam per domi-nos doctores male puniuntur illa maleficia". Ma de'quattro celebri giureconsulti nominati poc'anzi convien

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dire qualche cosa più in particolare.

XXI. Che Bulgaro fosse bolognese dipatria, pruovasi stesamente nella Storiadell'Università di Bologna (p. 32). Maa' Pisani non mancano buone ragioniper dirlo loro concittadino (Disc.

dell'Ist. letter. pis. p. 45, ec.). Era egli stato, come puregli altri tre nominati giureconsulti, scolaro di Irnerio, enella Storia di Ottone Morena, qual fu pubblicata da Fe-lice Osio, si narra (Script. rer. ital. vol. 6, p. 1018) cheessendo Irnerio vicino a morte, raccoltiglisi intorno isuoi discepoli il pregassero a nominare ei medesimo ilsuccessore, ed ei rispondesse con questo elegantissimodistico: Bulgarus os aureum: Martinus copia Legum:

Hugo fons legum: Jacobus id quod ego.

Ma il codice di cui l'Osio si valse a pubblicare la Storiadel Morena, credesi comunemente che fosse guasto, ointerpolato da man più recente; e questo passo in fattinon trovasi nella più corretta edizione fattane su due co-dici della biblioteca ambrosiana (ib.); e perciò non pos-siam ad esso affidarci con sicurezza. Checchessia di ciò,veggiam che Bulgaro è nominato il primo tra' quattrogiureconsulti da Federigo onorati; e da ciò sembra po-tersi raccogliere con certezza, ch'ei fosse tra tutti il piùreputato pel suo sapere. Il glorioso soprannome di Boc-

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Notizie de' quattrogiureconsulti sud-detti e prima diBulgaro.

dire qualche cosa più in particolare.

XXI. Che Bulgaro fosse bolognese dipatria, pruovasi stesamente nella Storiadell'Università di Bologna (p. 32). Maa' Pisani non mancano buone ragioniper dirlo loro concittadino (Disc.

dell'Ist. letter. pis. p. 45, ec.). Era egli stato, come puregli altri tre nominati giureconsulti, scolaro di Irnerio, enella Storia di Ottone Morena, qual fu pubblicata da Fe-lice Osio, si narra (Script. rer. ital. vol. 6, p. 1018) cheessendo Irnerio vicino a morte, raccoltiglisi intorno isuoi discepoli il pregassero a nominare ei medesimo ilsuccessore, ed ei rispondesse con questo elegantissimodistico: Bulgarus os aureum: Martinus copia Legum:

Hugo fons legum: Jacobus id quod ego.

Ma il codice di cui l'Osio si valse a pubblicare la Storiadel Morena, credesi comunemente che fosse guasto, ointerpolato da man più recente; e questo passo in fattinon trovasi nella più corretta edizione fattane su due co-dici della biblioteca ambrosiana (ib.); e perciò non pos-siam ad esso affidarci con sicurezza. Checchessia di ciò,veggiam che Bulgaro è nominato il primo tra' quattrogiureconsulti da Federigo onorati; e da ciò sembra po-tersi raccogliere con certezza, ch'ei fosse tra tutti il piùreputato pel suo sapere. Il glorioso soprannome di Boc-

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Notizie de' quattrogiureconsulti sud-detti e prima diBulgaro.

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cadoro, di cui non solo il veggiamo fregiato ne' versi so-prallegati, ma anche nelle opere degli antichi giurecon-sulti (V. Cl. Prof. Bonon. p. 33, nota a), ci mostra sem-pre più in quale stima egli fosse. Grandi contese egliebbe a sostener con Martino, del quale or ora ragionere-mo, e singolarmente intorno a' diritti imperiali che daquesto voleansi stendere e ampliare fuor di misura, mada Bulgaro si ristringevano entro certi confini. Quindivennero più volte a contesa innanzi al medesimo Federi-go; e questi, vedendo sostenuta la sua autorità da Marti-no; a lui più che a Bulgaro mostravasi favorevole (ib. p.32, ec.). Anzi Ottone Morena, secondo l'edizionedell'Osio (l. c.), racconta che una volta n'ebbe perciò indono il destriero medesimo cui egli solea montare. Maquesto fatto, adottato troppo facilmente dal Muratori(Ann. d'Ital. ad an. 1158) ancora, sembra aggiunto po-steriormente, e non trovasi ne' migliori codicidell'Ambrosiana, e vedremo in fatti nel tomo seguente,che Odofredo l'attribuisce all'imp. Arrigo V, e a Lottarioe ad Azzo giureconsulti ancora famosi. La predilezioneperò, che Federigo avea per Martino, non tolse ch'eglinon onorasse Bulgaro della dignità di vicario imperialein Bologna (Prof. Bonon. p. 33). Tal fu la fama che tra'Bolognesi di lui rimase, che per qualche tempo dopo lasua morte il pretore solea rendere la ragione nella casada lui già abitata; ed in quel luogo medesimo fu posciafabbricata l'università di Bologna, acciocchè ella, oveavea ottenuta sì grande celebrità del suo nome, ivi anco-ra avesse la sua stabile sede (ib. p. 34). Egli morì l'an.

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cadoro, di cui non solo il veggiamo fregiato ne' versi so-prallegati, ma anche nelle opere degli antichi giurecon-sulti (V. Cl. Prof. Bonon. p. 33, nota a), ci mostra sem-pre più in quale stima egli fosse. Grandi contese egliebbe a sostener con Martino, del quale or ora ragionere-mo, e singolarmente intorno a' diritti imperiali che daquesto voleansi stendere e ampliare fuor di misura, mada Bulgaro si ristringevano entro certi confini. Quindivennero più volte a contesa innanzi al medesimo Federi-go; e questi, vedendo sostenuta la sua autorità da Marti-no; a lui più che a Bulgaro mostravasi favorevole (ib. p.32, ec.). Anzi Ottone Morena, secondo l'edizionedell'Osio (l. c.), racconta che una volta n'ebbe perciò indono il destriero medesimo cui egli solea montare. Maquesto fatto, adottato troppo facilmente dal Muratori(Ann. d'Ital. ad an. 1158) ancora, sembra aggiunto po-steriormente, e non trovasi ne' migliori codicidell'Ambrosiana, e vedremo in fatti nel tomo seguente,che Odofredo l'attribuisce all'imp. Arrigo V, e a Lottarioe ad Azzo giureconsulti ancora famosi. La predilezioneperò, che Federigo avea per Martino, non tolse ch'eglinon onorasse Bulgaro della dignità di vicario imperialein Bologna (Prof. Bonon. p. 33). Tal fu la fama che tra'Bolognesi di lui rimase, che per qualche tempo dopo lasua morte il pretore solea rendere la ragione nella casada lui già abitata; ed in quel luogo medesimo fu posciafabbricata l'università di Bologna, acciocchè ella, oveavea ottenuta sì grande celebrità del suo nome, ivi anco-ra avesse la sua stabile sede (ib. p. 34). Egli morì l'an.

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1166. come narrano Matteo Griffoni e f. Bartolommeodella Pugliola (Script. rer. ital. vol. 18, p. 107, 243),scrittori antichi, e degni perciò di fede più che altri mo-derni storici che scrivono diversamente. Di lui ci sonorimaste alcune Chiose che furon poi da Accorso confuseinsieme con quelle di altri antichi interpreti.

XXII. Martino, il secondo de' quattro ce-lebri giureconsulti onorati da Federigo, fudella nobil famiglia Gosia, come espres-

samente afferma Ottone Morena (l. c.) autore contempo-raneo, il che basta a confutar l'opinione di quelli che ildissero della famiglia Bosia, e perciò cremonese (Aris.Crem. liter. t. 1). Ch'ei nondimeno nascesse in Cremona,essendosi colà ritirati i suoi genitori cacciati da Bolognaper le fazioni de' Guelfi e de' Ghibellini, si narra daCino giureconsulto che fiorì al principio del XIV secolo,e la cui autorità perciò non è da spregiarsi. Ma il p. Sartipensa (p. 38) che non debba farsene conto alcuno, sìperchè que' nomi di Guelfi e di Ghibellini non udivansiancora a que' tempi; sì perchè, dic'egli, dalle antiche car-te comprovasi che la famiglia Gosia e a' tempi di Marti-no e poscia ancora era in Bologna. E quanto al primoegli è vero che più tardi s'introdusser quei nomi; ma sipuò credere facilmente che Cino volesse dir solo che perle interne fazioni furono i genitori di Martino costretti auscir di Bologna, e che per errore ei desse a quelle fa-zioni il nome di Guelfi e Ghibellini. Le carte poi, che si

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Di Martino Gosia.

1166. come narrano Matteo Griffoni e f. Bartolommeodella Pugliola (Script. rer. ital. vol. 18, p. 107, 243),scrittori antichi, e degni perciò di fede più che altri mo-derni storici che scrivono diversamente. Di lui ci sonorimaste alcune Chiose che furon poi da Accorso confuseinsieme con quelle di altri antichi interpreti.

XXII. Martino, il secondo de' quattro ce-lebri giureconsulti onorati da Federigo, fudella nobil famiglia Gosia, come espres-

samente afferma Ottone Morena (l. c.) autore contempo-raneo, il che basta a confutar l'opinione di quelli che ildissero della famiglia Bosia, e perciò cremonese (Aris.Crem. liter. t. 1). Ch'ei nondimeno nascesse in Cremona,essendosi colà ritirati i suoi genitori cacciati da Bolognaper le fazioni de' Guelfi e de' Ghibellini, si narra daCino giureconsulto che fiorì al principio del XIV secolo,e la cui autorità perciò non è da spregiarsi. Ma il p. Sartipensa (p. 38) che non debba farsene conto alcuno, sìperchè que' nomi di Guelfi e di Ghibellini non udivansiancora a que' tempi; sì perchè, dic'egli, dalle antiche car-te comprovasi che la famiglia Gosia e a' tempi di Marti-no e poscia ancora era in Bologna. E quanto al primoegli è vero che più tardi s'introdusser quei nomi; ma sipuò credere facilmente che Cino volesse dir solo che perle interne fazioni furono i genitori di Martino costretti auscir di Bologna, e che per errore ei desse a quelle fa-zioni il nome di Guelfi e Ghibellini. Le carte poi, che si

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Di Martino Gosia.

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adducono dal detto storico a provare che la famiglia Go-sia era in Bologna, non sono che degli anni 1192, 1194,1204; e quindi provan bensì che i discendenti di Martinoviveano in Bologna, non provano che vi vivessero i ge-nitori ancora. Comunque sia, ei si rendette illustre inBologna pel suo sapere nelle leggi, e per l'eloquenza el'ingegno con cui spiegavale. Ma egli era uom capriccio-so alquanto e bisbetico, e troppo fermo nel suo parere.Quindi ne vennero i dispareri e le contese frequenti, sin-golarmente con Bulgaro, ed egli vide spesso le sue opi-nioni rigettate da tutti gli altri giureconsulti, il che fece-ro ancora que' che vennero appresso; benchè alcune po-scia siano state adottate specialmente da' professori deldiritto canonico (de Prof. Bonon. p. 39, 40). Da questosuo discordar sì frequente dagli altri legisti ha avuto ori-gine per avventura la favoletta che da alcuni raccontasi,cioè ch'essendo egli venuto a disputa con Azzo, e sem-brandogli averlo vinto, e perciò insultandolo amaramen-te, Azzo sdegnatone, afferrate le chiavi della sua scuola,gliele avventasse al capo, e lo uccidesse. Ma basti il ri-flettere che Azzo dovea essere ancor fanciullo, quandoMartino morì, per conoscere la falsità di tale racconto.In una carta dell'archivio di s. Giustina di Padovadell'anno 1164, citata dal Facciolati (De Gymnas. patav.syntag. 1, p. 9), trovasi nominato Gherardo Pomadelloche fu fatto vescovo di quella città, cum regeret in legi-bus in domo Martini de Gosso; e sospetta perciò il p.Sarti (p. 40), che e per l'odiosità da Martino contrattanell'ampliare i diritti di Federigo, e per le contraddizioni

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adducono dal detto storico a provare che la famiglia Go-sia era in Bologna, non sono che degli anni 1192, 1194,1204; e quindi provan bensì che i discendenti di Martinoviveano in Bologna, non provano che vi vivessero i ge-nitori ancora. Comunque sia, ei si rendette illustre inBologna pel suo sapere nelle leggi, e per l'eloquenza el'ingegno con cui spiegavale. Ma egli era uom capriccio-so alquanto e bisbetico, e troppo fermo nel suo parere.Quindi ne vennero i dispareri e le contese frequenti, sin-golarmente con Bulgaro, ed egli vide spesso le sue opi-nioni rigettate da tutti gli altri giureconsulti, il che fece-ro ancora que' che vennero appresso; benchè alcune po-scia siano state adottate specialmente da' professori deldiritto canonico (de Prof. Bonon. p. 39, 40). Da questosuo discordar sì frequente dagli altri legisti ha avuto ori-gine per avventura la favoletta che da alcuni raccontasi,cioè ch'essendo egli venuto a disputa con Azzo, e sem-brandogli averlo vinto, e perciò insultandolo amaramen-te, Azzo sdegnatone, afferrate le chiavi della sua scuola,gliele avventasse al capo, e lo uccidesse. Ma basti il ri-flettere che Azzo dovea essere ancor fanciullo, quandoMartino morì, per conoscere la falsità di tale racconto.In una carta dell'archivio di s. Giustina di Padovadell'anno 1164, citata dal Facciolati (De Gymnas. patav.syntag. 1, p. 9), trovasi nominato Gherardo Pomadelloche fu fatto vescovo di quella città, cum regeret in legi-bus in domo Martini de Gosso; e sospetta perciò il p.Sarti (p. 40), che e per l'odiosità da Martino contrattanell'ampliare i diritti di Federigo, e per le contraddizioni

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che dagli altri soffriva, si ritirasse per alcun tempo a Pa-dova. Ma l'identità del nome e la somiglianza del cogno-me non parmi argomento bastante a render probabilequesta opinione. Sembra certo ch'ei morisse in Bologna,e credesi che ciò avvenisse l'an. 1167, benchè nonv'abbia antico scrittore che ce ne assicuri (ib. p. 41).Scrisse egli ancora alcune chiare e brevi Chiose sopra leLeggi.

XXIII. Più scarse notizie abbiamo degli al-tri due giureconsulti, cioè di Ugo sopranno-mato di Porta Ravegnana, perchè vicin diessa abitava, e di Jacopo a cui vedesi dato ilmedesimo soprannome. Ugo era figlio di

Alberigo lombardo (ib. p. 44, nota f.), Jacopo d'Ilde-brando (ib. p. 45). Di essi trovasi menzione frequente enelle carte antiche e presso gli antichi giureconsulti. Madi ciò che alla lor vita appartiene, non ci è rimasta alcu-na distinta notizia. Ugo morì l'an. 1168, se vogliam cre-dere all'iscrizion sepolcrale a lui posta nel chiostro de'canonici di s. Vittore in Bologna, ove ancora si vede, ech'è riferita dal p. Sarti (ib.) il quale però a ragione so-spetta ch'essa sia di tempo assai posteriore. Jacopo cre-desi da alcuni che fosse il successor immediato nellascuola d'Irnerio; il qual pretendesi che a tutti lo preferis-se con quelle parole già da noi addotte: Jacobus id quodego. In alcune carte egli ha il glorioso titolo di legislato-re (ib. p. 47, nota a). Ei finì di vivere l'an. 1178. Io la-

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Di Ugo e diJacopo da Porta Rave-gnana.

che dagli altri soffriva, si ritirasse per alcun tempo a Pa-dova. Ma l'identità del nome e la somiglianza del cogno-me non parmi argomento bastante a render probabilequesta opinione. Sembra certo ch'ei morisse in Bologna,e credesi che ciò avvenisse l'an. 1167, benchè nonv'abbia antico scrittore che ce ne assicuri (ib. p. 41).Scrisse egli ancora alcune chiare e brevi Chiose sopra leLeggi.

XXIII. Più scarse notizie abbiamo degli al-tri due giureconsulti, cioè di Ugo sopranno-mato di Porta Ravegnana, perchè vicin diessa abitava, e di Jacopo a cui vedesi dato ilmedesimo soprannome. Ugo era figlio di

Alberigo lombardo (ib. p. 44, nota f.), Jacopo d'Ilde-brando (ib. p. 45). Di essi trovasi menzione frequente enelle carte antiche e presso gli antichi giureconsulti. Madi ciò che alla lor vita appartiene, non ci è rimasta alcu-na distinta notizia. Ugo morì l'an. 1168, se vogliam cre-dere all'iscrizion sepolcrale a lui posta nel chiostro de'canonici di s. Vittore in Bologna, ove ancora si vede, ech'è riferita dal p. Sarti (ib.) il quale però a ragione so-spetta ch'essa sia di tempo assai posteriore. Jacopo cre-desi da alcuni che fosse il successor immediato nellascuola d'Irnerio; il qual pretendesi che a tutti lo preferis-se con quelle parole già da noi addotte: Jacobus id quodego. In alcune carte egli ha il glorioso titolo di legislato-re (ib. p. 47, nota a). Ei finì di vivere l'an. 1178. Io la-

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Di Ugo e diJacopo da Porta Rave-gnana.

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scio parecchie altre più minute notizie intorno a questiquattro famosi giureconsulti, che si posson veder raccol-te dal diligentiss. p. Sarti, il quale ancora ha rilevati econfutati con singolare esattezza gli errori commessi dalPanciroli, dall'Alidosi, dall'Orlandi, e da molti altri scrit-tori che han trattato del medesimo argomento. Così lealtre parti della letteratura italiana avessero avuti scritto-ri per somigliante maniera eruditi ed esatti! Questa miaStoria allora riuscirebbe più breve assai, perciocchè,come altre volte ho detto, parmi cosa del tutto inutile iltrattenersi unicamente in ripetere ciò che altri han detto.

XXIV. Mentre la fama de' professori, e glionori ad essi accordati, e i privilegi conce-duti agli scolari da Federigo, accrescevanoogni giorno più il nome dello studio bolo-gnese, i romani pontefici ancora si unirono

a onorarlo della lor protezione. E il primo fra essi fuAlessandro III, detto per l'innanzi Rolando Bandinelli.Era egli stato dapprima professore di sacra Scrittura inBologna, come il p. Sarti ha chiaramente mostrato (DeProf. Bonon. t. 1, pars 1, p. 46, et pars 2, p. 5) colle pa-role di Uguccione vescovo di Ferrara, che fiorì alla finedi questo secolo stesso, tratte da un antico codice vatica-no, ov'ei dice che il Decreto di Graziano fu pubblicato"Jacobo bononiensi jam docente in scientia legali etAlexandro tertio Bononiae residente in cathedra magi-strali in divina pagina ante apostolatum ejus". Il qual

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L'universitàdi Bolognaonorata daAlessandroIII.

scio parecchie altre più minute notizie intorno a questiquattro famosi giureconsulti, che si posson veder raccol-te dal diligentiss. p. Sarti, il quale ancora ha rilevati econfutati con singolare esattezza gli errori commessi dalPanciroli, dall'Alidosi, dall'Orlandi, e da molti altri scrit-tori che han trattato del medesimo argomento. Così lealtre parti della letteratura italiana avessero avuti scritto-ri per somigliante maniera eruditi ed esatti! Questa miaStoria allora riuscirebbe più breve assai, perciocchè,come altre volte ho detto, parmi cosa del tutto inutile iltrattenersi unicamente in ripetere ciò che altri han detto.

XXIV. Mentre la fama de' professori, e glionori ad essi accordati, e i privilegi conce-duti agli scolari da Federigo, accrescevanoogni giorno più il nome dello studio bolo-gnese, i romani pontefici ancora si unirono

a onorarlo della lor protezione. E il primo fra essi fuAlessandro III, detto per l'innanzi Rolando Bandinelli.Era egli stato dapprima professore di sacra Scrittura inBologna, come il p. Sarti ha chiaramente mostrato (DeProf. Bonon. t. 1, pars 1, p. 46, et pars 2, p. 5) colle pa-role di Uguccione vescovo di Ferrara, che fiorì alla finedi questo secolo stesso, tratte da un antico codice vatica-no, ov'ei dice che il Decreto di Graziano fu pubblicato"Jacobo bononiensi jam docente in scientia legali etAlexandro tertio Bononiae residente in cathedra magi-strali in divina pagina ante apostolatum ejus". Il qual

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L'universitàdi Bolognaonorata daAlessandroIII.

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passo ad evidenza ci scuopre che oltre le leggi e, oltre lafilosofia, come abbiam già dimostrato, anche le scienzesacre aveano in Bologna i lor professori. Or Alessandro,poichè fu sollevato alla sede apostolica, e poichè videformarsi il funesto scisma che sconvolse allora la Chie-sa, scrisse una lettera enciclica a' vescovi delle principa-li chiese, ragguagliandoli della sua elezione, e aggiunseposcia alcuni giorni dopo alla lettera stessa la relazionedella maniera con cui il card. Ottaviano erasi intrusonella cattedra di s. Pietro. Fra le molte copie che di tallettera egli inviò in ogni parte, una fu indirizzata "Vene-rabili fratri Gerardo episcopo et dilectis filiis canonicisbononiensis ecclesiae, et legis doctoribus, ceterisquemagistris Bononiae commorantibus". Il du Boulay con-gettura (Hist. Univ. Paris vol. 2) che anche alla universi-tà di Parigi scrivesse per somigliante maniera Alessan-dro; ma tal congettura è combattuta dal fatto; perciocchèin un codice della Vaticana trovasi la copia della letterainviata al vescovo di Parigi; e in essa trovasi bensì men-zione de' canonici e del clero, ma di dottori e di maestrinon si fa motto (praef. ad vol. 1 de Prof. Bonon. p. 13).Quindi si può a ragione affermare che l'università di Bo-logna fra tutte è stata la prima che con sue lettere fosseonorata da un romano pontefice; il quale diede a vederein tal modo in qual pregio l'avesse. Questa lettera è statapubblicata già in parte da Radevico (De gestis Frid. I, l.2, c. 51) e da altri, poscia da Girolamo Rossi accresciutadi ciò che Alessandro dopo alcuni giorni vi aggiunse(Hist. Ravenn.), e finalmente assai più corretta su due

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passo ad evidenza ci scuopre che oltre le leggi e, oltre lafilosofia, come abbiam già dimostrato, anche le scienzesacre aveano in Bologna i lor professori. Or Alessandro,poichè fu sollevato alla sede apostolica, e poichè videformarsi il funesto scisma che sconvolse allora la Chie-sa, scrisse una lettera enciclica a' vescovi delle principa-li chiese, ragguagliandoli della sua elezione, e aggiunseposcia alcuni giorni dopo alla lettera stessa la relazionedella maniera con cui il card. Ottaviano erasi intrusonella cattedra di s. Pietro. Fra le molte copie che di tallettera egli inviò in ogni parte, una fu indirizzata "Vene-rabili fratri Gerardo episcopo et dilectis filiis canonicisbononiensis ecclesiae, et legis doctoribus, ceterisquemagistris Bononiae commorantibus". Il du Boulay con-gettura (Hist. Univ. Paris vol. 2) che anche alla universi-tà di Parigi scrivesse per somigliante maniera Alessan-dro; ma tal congettura è combattuta dal fatto; perciocchèin un codice della Vaticana trovasi la copia della letterainviata al vescovo di Parigi; e in essa trovasi bensì men-zione de' canonici e del clero, ma di dottori e di maestrinon si fa motto (praef. ad vol. 1 de Prof. Bonon. p. 13).Quindi si può a ragione affermare che l'università di Bo-logna fra tutte è stata la prima che con sue lettere fosseonorata da un romano pontefice; il quale diede a vederein tal modo in qual pregio l'avesse. Questa lettera è statapubblicata già in parte da Radevico (De gestis Frid. I, l.2, c. 51) e da altri, poscia da Girolamo Rossi accresciutadi ciò che Alessandro dopo alcuni giorni vi aggiunse(Hist. Ravenn.), e finalmente assai più corretta su due

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codici della Vaticana nella prefazione alla Storiadell'Università di Bologna (p. 14). Con essa ottenneAlessandro che i Bolognesi gli rimanesser fedeli, e resi-stessero, finchè il poterono, a Federigo. Ma questi final-mente gli costrinse ad arrendersegli; e il Sigonio (Hist.Bonon. l. 3, ad an. 1162) ci narra che i quattro celebrigiureconsulti, de' quali abbiam poc'anzi parlato, furonoda' Bolognesi inviati all'imperadore per placarne lo sde-gno. Di ciò non vi ha cenno nelle antiche storie. Manondimeno il ripetere che fa a questo luogo Ottone Mo-rena i loro nomi (Script. rer. ital. vol. 6, p. 1113), ne dàqualche indicio, come se volesse egli dirci con ciò, cheper loro riguardo fu Bologna trattata da Federigo menorigorosamente di più altre città d'Italia.

XXV. In tal maniera l'Università di Bologna(che ben possiamo con tal nome appellarla,poichè di quasi tutte le scienze eranvi pro-fessori, come abbiam dimostrato) giunsepresto a sì grande celebrità di nome, chevide fino da questi tempi molti stranieri, e

alcuni tra essi per nascita e per dignità ragguardevoli,muovere da' più lontani paesi per frequentarne le scuole,e non sol le legali, ma altre ancora. Tra questi deesi an-noverare prima di ogni altro il celebre s. Tommaso arci-vescovo di Cantorberì, cui il p. Sarti, con testimonianzechiare di antichi e contemporanei autori, prova (t. 1,pars. 1, p. 54, ec.) avere per qualche tempo coltivata la

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Gran con-corso ad essa di fo-restieri di ogni nazio-ne.

codici della Vaticana nella prefazione alla Storiadell'Università di Bologna (p. 14). Con essa ottenneAlessandro che i Bolognesi gli rimanesser fedeli, e resi-stessero, finchè il poterono, a Federigo. Ma questi final-mente gli costrinse ad arrendersegli; e il Sigonio (Hist.Bonon. l. 3, ad an. 1162) ci narra che i quattro celebrigiureconsulti, de' quali abbiam poc'anzi parlato, furonoda' Bolognesi inviati all'imperadore per placarne lo sde-gno. Di ciò non vi ha cenno nelle antiche storie. Manondimeno il ripetere che fa a questo luogo Ottone Mo-rena i loro nomi (Script. rer. ital. vol. 6, p. 1113), ne dàqualche indicio, come se volesse egli dirci con ciò, cheper loro riguardo fu Bologna trattata da Federigo menorigorosamente di più altre città d'Italia.

XXV. In tal maniera l'Università di Bologna(che ben possiamo con tal nome appellarla,poichè di quasi tutte le scienze eranvi pro-fessori, come abbiam dimostrato) giunsepresto a sì grande celebrità di nome, chevide fino da questi tempi molti stranieri, e

alcuni tra essi per nascita e per dignità ragguardevoli,muovere da' più lontani paesi per frequentarne le scuole,e non sol le legali, ma altre ancora. Tra questi deesi an-noverare prima di ogni altro il celebre s. Tommaso arci-vescovo di Cantorberì, cui il p. Sarti, con testimonianzechiare di antichi e contemporanei autori, prova (t. 1,pars. 1, p. 54, ec.) avere per qualche tempo coltivata la

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Gran con-corso ad essa di fo-restieri di ogni nazio-ne.

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giurisprudenza in Bologna. Prima di lui era venuto inItalia per lo stesso motivo Arnolfo che fu poscia vesco-vo di Lisieux. Egli stesso l'afferma nella prefazione alsuo Trattato dello Scisma, da cui fu travagliata la Chiesadopo la morte di Onorio II, pubblicato, dopo il p.d'Achery, dal Muratori (Script. rer. ilal. t. 3, pars 1, p.423), ov'ei così dice: me in Italiam desiderata diu roma-narum legum studia deduxerunt. E benchè egli nominiqui generalmente l'Italia, è assai probabile però, che fratutte le città italiane egli scegliesse quella ch'era per talistudj più celebre, cioè Bologna. Un tal Ruggiero di Nor-mandia, che fu maestro nelle arti in Parigi e poscia de-cano della chiesa di Rouen al fine del secolo XII, aveaegli pure frequentate le scuole de' bolognesi giurecon-sulti, e tale stima aveane concepita, che ritornato inFrancia, soleva dire pubblicamente, non esservi in tuttoil mondo paese alcuno che per lo studio legale potesseparagonarsi a Bologna, come narra Silvestro Geraldoche avea con lui convissuto (Prof. Bon. t. 1 p. 55). Final-mente il celebre Pietro blesense in questo secol medesi-mo era venuto pel fine stesso a Bologna, dove ei narra(ep. 8) che a richiesta de' suoi condiscepoli solea talvol-ta tener loro divoti ragionamenti. Del qual soggiorno inBologna conservava egli già ritornato in Francia una sìdolce memoria, che pentivasi di averla troppo per tempoabbandonata (ep. 26). Quando in questo capo medesimodovrem parlare de' Canoni, vedremo che per essi ancorafaceasi a questa città gran concorso di forestieri. Qui ba-sti l'aggiugnere che anche per lo studio della filosofia

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giurisprudenza in Bologna. Prima di lui era venuto inItalia per lo stesso motivo Arnolfo che fu poscia vesco-vo di Lisieux. Egli stesso l'afferma nella prefazione alsuo Trattato dello Scisma, da cui fu travagliata la Chiesadopo la morte di Onorio II, pubblicato, dopo il p.d'Achery, dal Muratori (Script. rer. ilal. t. 3, pars 1, p.423), ov'ei così dice: me in Italiam desiderata diu roma-narum legum studia deduxerunt. E benchè egli nominiqui generalmente l'Italia, è assai probabile però, che fratutte le città italiane egli scegliesse quella ch'era per talistudj più celebre, cioè Bologna. Un tal Ruggiero di Nor-mandia, che fu maestro nelle arti in Parigi e poscia de-cano della chiesa di Rouen al fine del secolo XII, aveaegli pure frequentate le scuole de' bolognesi giurecon-sulti, e tale stima aveane concepita, che ritornato inFrancia, soleva dire pubblicamente, non esservi in tuttoil mondo paese alcuno che per lo studio legale potesseparagonarsi a Bologna, come narra Silvestro Geraldoche avea con lui convissuto (Prof. Bon. t. 1 p. 55). Final-mente il celebre Pietro blesense in questo secol medesi-mo era venuto pel fine stesso a Bologna, dove ei narra(ep. 8) che a richiesta de' suoi condiscepoli solea talvol-ta tener loro divoti ragionamenti. Del qual soggiorno inBologna conservava egli già ritornato in Francia una sìdolce memoria, che pentivasi di averla troppo per tempoabbandonata (ep. 26). Quando in questo capo medesimodovrem parlare de' Canoni, vedremo che per essi ancorafaceasi a questa città gran concorso di forestieri. Qui ba-sti l'aggiugnere che anche per lo studio della filosofia

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venivano di questi tempi alcuni Oltramontani a Bolo-gna. Perciocchè Giovanni di Sarisberì racconta (Metalo-gic. l. 2, c. 10) che essendo egli andato a Parigi (il cheaccadde verso l'an. 1137) vi ebbe a maestro di dialetticaun cotale Alberico il quale poscia passato a Bolognacambiò in ogni cosa parere, e tornato in Francia tennediverse opinioni: "profectus Bononiam dedidicit, quoddocuerat, si quidem et reversus dedocuit. An melius, ju-dicent qui ante et postea audierunt". Colle quali paroleGiovanni mostra di dubitare se più probabili fossero leopinioni da Alberico insegnate prima in Parigi, o quellech'ei riportò da Bologna. Ma Alberico medesimo dove-va essere persuaso che assai migliori delle prime eranole seconde; poichè non vergognossi di ritrattare ciò cheavea prima insegnato. Questi pochi esempj ci bastino amostrare la stima a cui eran saliti gli studj di Bologna, el'affollato concorso che ad essi faceasi. Questo era sì nu-meroso, che fin dall'an. 1176 avvenivano alcuni disordi-ni nella locazione degli alloggi, e convenne perciò, cheGuglielmo vescovo di Porto e legato del papa li toglies-se con opportuni provvedimenti, i quali furon poi con-fermati verso l'anno 1180 da Pietro cardinale e vescovodi Frascati, legato esso pure del Papa, e per ultimo daClemente III verso l'an. 1190.

XXVI. Dopo aver così descritto il floridostato in cui era di questi tempi l'universitàdi Bologna, ci convien ora tornare ai cele-

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Notizie di al-tri celebri giureconsulti in Bologna.

venivano di questi tempi alcuni Oltramontani a Bolo-gna. Perciocchè Giovanni di Sarisberì racconta (Metalo-gic. l. 2, c. 10) che essendo egli andato a Parigi (il cheaccadde verso l'an. 1137) vi ebbe a maestro di dialetticaun cotale Alberico il quale poscia passato a Bolognacambiò in ogni cosa parere, e tornato in Francia tennediverse opinioni: "profectus Bononiam dedidicit, quoddocuerat, si quidem et reversus dedocuit. An melius, ju-dicent qui ante et postea audierunt". Colle quali paroleGiovanni mostra di dubitare se più probabili fossero leopinioni da Alberico insegnate prima in Parigi, o quellech'ei riportò da Bologna. Ma Alberico medesimo dove-va essere persuaso che assai migliori delle prime eranole seconde; poichè non vergognossi di ritrattare ciò cheavea prima insegnato. Questi pochi esempj ci bastino amostrare la stima a cui eran saliti gli studj di Bologna, el'affollato concorso che ad essi faceasi. Questo era sì nu-meroso, che fin dall'an. 1176 avvenivano alcuni disordi-ni nella locazione degli alloggi, e convenne perciò, cheGuglielmo vescovo di Porto e legato del papa li toglies-se con opportuni provvedimenti, i quali furon poi con-fermati verso l'anno 1180 da Pietro cardinale e vescovodi Frascati, legato esso pure del Papa, e per ultimo daClemente III verso l'an. 1190.

XXVI. Dopo aver così descritto il floridostato in cui era di questi tempi l'universitàdi Bologna, ci convien ora tornare ai cele-

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Notizie di al-tri celebri giureconsulti in Bologna.

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bri giureconsulti che ne furono in quest'epoca il princi-pale ornamento. Nè io mi tratterrò a ragionare di tutti; ilche nè si conviene a questa mia Storia, e già si è fattocon singolar diligenza dell'eruditiss. p. Sarti. A me ba-sterà il ragionar brevemente di quelli che acquistaronomaggior lode. Rogerio o Ruggieri vuolsi annoverare tra'primi, poichè egli, come narra Alessandro da s. Egidioantico giureconsulto citato dal p. Sarti (t. 1, pars 1, p.57), alla presenza di Federico I difese alcuni accusati difellonia, e li difese contro di Bulgaro stato già suo mae-stro, che n'era l'accusatore. Ch'ei fosse beneventano dipatria, e non già modenese, come alcuni hanno pensato;che un sol Ruggieri giureconsulto si debba riconosceredi questi tempi; e che un altro di lui più antico da moltitratto in iscena non sia mai stato al mondo; ch'ei fossepersonaggio in tutto diverso da quel Vacario che fu ilprimo interprete delle leggi romane nell'Inghilterra, concui da molti è stato confuso, come vedremo frappoco;tutto ciò si è chiaramente mostrato dal medesimo autoreche ogni cosa compruova con autentici documenti. Rug-gieri oltre le chiose fatte, secondo il costume degli altrigiureconsulti, alle leggi, e singolarmente a quella partede' Digesti, che chiamasi Inforziato, scrisse ancora pri-ma di ogni altro una somma ossia compendio del Codi-ce, e alcune altre operette, delle quali veggasi lo stessostorico sopraccitato. Scolaro parimenti di Bulgaro fu Al-berico di Porta Ravegnana, il quale per testimonianza diOdofredo nella scuola di giurisprudenza avea sì grandeapplauso, che gli convenne tenerla nel palazzo della co-

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bri giureconsulti che ne furono in quest'epoca il princi-pale ornamento. Nè io mi tratterrò a ragionare di tutti; ilche nè si conviene a questa mia Storia, e già si è fattocon singolar diligenza dell'eruditiss. p. Sarti. A me ba-sterà il ragionar brevemente di quelli che acquistaronomaggior lode. Rogerio o Ruggieri vuolsi annoverare tra'primi, poichè egli, come narra Alessandro da s. Egidioantico giureconsulto citato dal p. Sarti (t. 1, pars 1, p.57), alla presenza di Federico I difese alcuni accusati difellonia, e li difese contro di Bulgaro stato già suo mae-stro, che n'era l'accusatore. Ch'ei fosse beneventano dipatria, e non già modenese, come alcuni hanno pensato;che un sol Ruggieri giureconsulto si debba riconosceredi questi tempi; e che un altro di lui più antico da moltitratto in iscena non sia mai stato al mondo; ch'ei fossepersonaggio in tutto diverso da quel Vacario che fu ilprimo interprete delle leggi romane nell'Inghilterra, concui da molti è stato confuso, come vedremo frappoco;tutto ciò si è chiaramente mostrato dal medesimo autoreche ogni cosa compruova con autentici documenti. Rug-gieri oltre le chiose fatte, secondo il costume degli altrigiureconsulti, alle leggi, e singolarmente a quella partede' Digesti, che chiamasi Inforziato, scrisse ancora pri-ma di ogni altro una somma ossia compendio del Codi-ce, e alcune altre operette, delle quali veggasi lo stessostorico sopraccitato. Scolaro parimenti di Bulgaro fu Al-berico di Porta Ravegnana, il quale per testimonianza diOdofredo nella scuola di giurisprudenza avea sì grandeapplauso, che gli convenne tenerla nel palazzo della co-

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munità (ib. p. 61). Aggiungasi quel Cipriano fiorentino,malamente tramutato dal Dempstero in un Kisiano scoz-zese (Hist. Eccl. Gentis Scotor. l. 10), che da FilippoVillani dicesi professor di leggi in Ravenna, ma che piùprobabilmente dal p. Sarti si crede vissuto in Bologna(ib. p. 60). Ei fu maestro di Roffredo da Benevento, edovette perciò fiorire verso questo tempo medesimo. Nèvuol tacersi per ultimo di Arrigo della Baila bolognese,e del Piacentino che così fu nominato probabilmente daPiacenza sua patria, celebri amendue e pel lor sapere le-gale, e per una loro non troppa legale contesa, di cuiparleremo frappoco, ove del Piacentino dovrem nuova-mente parlare. De' quali e di più altri celebri giurecon-sulti che vissero a questi tempi in Bologna, veggasi ilsoprallodato p. Sarti, presso cui non vi è punto alcunoad essi appartenente, che non veggasi con esattezza illu-strato.

XXVII. Mentre in tal maniera fiorivano inBologna nel secolo XII gli studj legali, altrecittà d'Italia ancora non erano in tutto privedi una tal lode, benchè niuna di esse potessea quella uguagliarsi. E siami lecito il comin-

ciare da quella, le cui glorie e pel sovrano a cui ubbidi-sce, e pei molti pregi ond'è adorna, e pel favor singolaredi cui mi onora, mi debbon essere al sommo care, dicoda Modena. Io ho detto poc'anzi che Ruggieri non fumodenese, ma beneventano. Sembra però che non possa

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Scuole le-gali in altrecittà d'Ita-lia, e primain Modena.

munità (ib. p. 61). Aggiungasi quel Cipriano fiorentino,malamente tramutato dal Dempstero in un Kisiano scoz-zese (Hist. Eccl. Gentis Scotor. l. 10), che da FilippoVillani dicesi professor di leggi in Ravenna, ma che piùprobabilmente dal p. Sarti si crede vissuto in Bologna(ib. p. 60). Ei fu maestro di Roffredo da Benevento, edovette perciò fiorire verso questo tempo medesimo. Nèvuol tacersi per ultimo di Arrigo della Baila bolognese,e del Piacentino che così fu nominato probabilmente daPiacenza sua patria, celebri amendue e pel lor sapere le-gale, e per una loro non troppa legale contesa, di cuiparleremo frappoco, ove del Piacentino dovrem nuova-mente parlare. De' quali e di più altri celebri giurecon-sulti che vissero a questi tempi in Bologna, veggasi ilsoprallodato p. Sarti, presso cui non vi è punto alcunoad essi appartenente, che non veggasi con esattezza illu-strato.

XXVII. Mentre in tal maniera fiorivano inBologna nel secolo XII gli studj legali, altrecittà d'Italia ancora non erano in tutto privedi una tal lode, benchè niuna di esse potessea quella uguagliarsi. E siami lecito il comin-

ciare da quella, le cui glorie e pel sovrano a cui ubbidi-sce, e pei molti pregi ond'è adorna, e pel favor singolaredi cui mi onora, mi debbon essere al sommo care, dicoda Modena. Io ho detto poc'anzi che Ruggieri non fumodenese, ma beneventano. Sembra però che non possa

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Scuole le-gali in altrecittà d'Ita-lia, e primain Modena.

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negarsi ch'ei fosse per alcun tempo in Modena professo-re di leggi. Il passo medesimo di Durante soprannomatolo Speculatore, su cui alcuni si son fondati a dir mode-nese Ruggieri, è quello che ce ne persuade. Esso, comeè citato dal p. Sarti (ib. p. 57), ha così: "Si eat dejectusad judicem dicens: Domine talis me violenter de posses-sione dejecit,.. unde eum peto puniri.... Clientulus re-spondebit: Domine immo pro me sententia est ferenda,aeque enim probaveram me possidere..... Sic fecit fieriRogerius Mutin. prout recitat Ubertus de Bobio et Ro-fredus". Or quella voce Mutin. è stata da molti interprea-ta Mutinensis. Ma poichè il p. Sarti ha chiaramente pro-vato ch'ei fu beneventano rimane a dir che debba legger-si Mutinae, e che perciò Ruggieri, dopo aver tenuta lasua scuola per alcun tempo in Bologna, passasse poi atenerla a Modena. E veramente la vicinanza tra l'una el'altra città dovea naturalmente risvegliare in questa unalodevole emulazione. Noi vedremo in fatti nel tomo se-guente Bologna divenire in certo modo gelosa dellescuole di Modena allor quando il famoso giureconsultoPillio, abbandonata quella città, venne a fissare in questala sua dimora, il che, come allor proveremo, accaddeverso l'anno 1189, e non appartiene perciò all'epoca dicui ora trattiamo. Ma non deesi qui ommettere un passodel medesimo Pillio, da cui raccogliesi che molto tempoprima ch'ei vi si trasferisse, fiorivano già in Modena glistudj legali. Egli parlando della maniera con cui deter-minossi ad abbandonare Bologna, finge con un'immagi-ne propria di un poeta più che di un giureconsulto, che

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negarsi ch'ei fosse per alcun tempo in Modena professo-re di leggi. Il passo medesimo di Durante soprannomatolo Speculatore, su cui alcuni si son fondati a dir mode-nese Ruggieri, è quello che ce ne persuade. Esso, comeè citato dal p. Sarti (ib. p. 57), ha così: "Si eat dejectusad judicem dicens: Domine talis me violenter de posses-sione dejecit,.. unde eum peto puniri.... Clientulus re-spondebit: Domine immo pro me sententia est ferenda,aeque enim probaveram me possidere..... Sic fecit fieriRogerius Mutin. prout recitat Ubertus de Bobio et Ro-fredus". Or quella voce Mutin. è stata da molti interprea-ta Mutinensis. Ma poichè il p. Sarti ha chiaramente pro-vato ch'ei fu beneventano rimane a dir che debba legger-si Mutinae, e che perciò Ruggieri, dopo aver tenuta lasua scuola per alcun tempo in Bologna, passasse poi atenerla a Modena. E veramente la vicinanza tra l'una el'altra città dovea naturalmente risvegliare in questa unalodevole emulazione. Noi vedremo in fatti nel tomo se-guente Bologna divenire in certo modo gelosa dellescuole di Modena allor quando il famoso giureconsultoPillio, abbandonata quella città, venne a fissare in questala sua dimora, il che, come allor proveremo, accaddeverso l'anno 1189, e non appartiene perciò all'epoca dicui ora trattiamo. Ma non deesi qui ommettere un passodel medesimo Pillio, da cui raccogliesi che molto tempoprima ch'ei vi si trasferisse, fiorivano già in Modena glistudj legali. Egli parlando della maniera con cui deter-minossi ad abbandonare Bologna, finge con un'immagi-ne propria di un poeta più che di un giureconsulto, che

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Modena a lui ne venisse per invitarlo: occurrit, dic'egli(in Summa Placentini ad Rubr. de Municip. et orig.)mihi Mutina quae juris alumnos semper diligere con-suevit; e introducendola poscia a ragionar seco, così lefa dire: "Accede igitur, ad me, quae tibi similes consuevidulciter affectuoseque complecti". Le quali parole cisono un chiaro argomento a conoscere che già da moltotempo soleva questa città sollecitamente cercare e man-tenere liberalmente celebri professori di legge.

XXVIII. Sembra ancora che in Mantovafosse scuola di leggi, e che vi fosse profes-sore per qualche tempo il celebre Piacenti-no, di cui presto ragioneremo; perciocchè

Tommaso Diplovataccio negli Elogi degli antichi giure-consulti pubblicati in parte nella Storia dell'Università diBologna, di lui parlando, dice: "Hic floruit Mantuae, ubilegit publice, ut dicit in principio Summae suae" (t. 1,pars 2, p. 266). La qual Somma allegasi ancor da Odo-fredo (in l. de Dolo c. de dolo malo) che ne reca le pri-me parole, in cui appunto egli afferma di essere stato inMantova: "Dominus Placentinus in sua Summa quae in-cipit: cum essem Mantuae". Padova parimenti aveaqualche scuola di legge, come è manifesto da ciò cheabbiam detto in questo capo medesimo parlando di Mar-tino Gosia. Lo stesso ancora si dee dir di Piacenza, oveveggiamo professore di legge Ruggiero beneventano dicui abbiam poc'anzi parlato, come attesta Roffredo che

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In Mantova,in Padova ein Piacenza.

Modena a lui ne venisse per invitarlo: occurrit, dic'egli(in Summa Placentini ad Rubr. de Municip. et orig.)mihi Mutina quae juris alumnos semper diligere con-suevit; e introducendola poscia a ragionar seco, così lefa dire: "Accede igitur, ad me, quae tibi similes consuevidulciter affectuoseque complecti". Le quali parole cisono un chiaro argomento a conoscere che già da moltotempo soleva questa città sollecitamente cercare e man-tenere liberalmente celebri professori di legge.

XXVIII. Sembra ancora che in Mantovafosse scuola di leggi, e che vi fosse profes-sore per qualche tempo il celebre Piacenti-no, di cui presto ragioneremo; perciocchè

Tommaso Diplovataccio negli Elogi degli antichi giure-consulti pubblicati in parte nella Storia dell'Università diBologna, di lui parlando, dice: "Hic floruit Mantuae, ubilegit publice, ut dicit in principio Summae suae" (t. 1,pars 2, p. 266). La qual Somma allegasi ancor da Odo-fredo (in l. de Dolo c. de dolo malo) che ne reca le pri-me parole, in cui appunto egli afferma di essere stato inMantova: "Dominus Placentinus in sua Summa quae in-cipit: cum essem Mantuae". Padova parimenti aveaqualche scuola di legge, come è manifesto da ciò cheabbiam detto in questo capo medesimo parlando di Mar-tino Gosia. Lo stesso ancora si dee dir di Piacenza, oveveggiamo professore di legge Ruggiero beneventano dicui abbiam poc'anzi parlato, come attesta Roffredo che

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In Mantova,in Padova ein Piacenza.

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gli era stato scolaro. "Dominus meus Rogerius beneven-tanus, dum Placentiae legeret" (in libello de Interdictoutrobique p. 109). E in altra città ancora è probabile cheun somigliante fervor si destasse per questo studio, eche egregi professori vi si chiamassero per tenere scuoladi leggi, benchè non ce ne sia rimasta più sicura memo-ria.

XXIX. Che direm noi di Pisa? Una letteradi un monaco di s. Vittor di Marsiglia pub-blicata da pp. Martene e Durand (Collect.ampliss. t. 1, p. 469) ha indotto alcuni a

pensare che fin dal sec. XI, cioè verso il 1070, vi fioris-se lo studio legale. In essa il monaco scrive al suo abate,che essendosi egli posto in viaggio per Roma, poichè fugiunto a Pavia, il cavallo, di cui si valea, caduto infermoivi era morto, che perciò erasi egli trattenuto per qualchetempo agli studj in quella città. Ma che avendo osserva-to quasi tutta l'Italia ripiena di scolari singolarmenteprovenzali, e tra essi alcuni ancor del suo Ordine, cheattendevano alle leggi, egli ancora bramava di volgersi atale studio, anche per valersene a vantaggio del suo mo-nastero, e che perciò il pregava a raccomandarlo con sualettera al prior di Pisa, perchè gli desse qualche soccor-so; avuto il quale, ei sarebbe andato allo studio in quellacittà. Questa lettera ci è testimonio certissimo di studiolegale in Pisa. Ma quando fu ella scritta? Il buon mona-co si dimenticò di aggiugnervi la data. Ma almeno come

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Se fosseranche inPisa.

gli era stato scolaro. "Dominus meus Rogerius beneven-tanus, dum Placentiae legeret" (in libello de Interdictoutrobique p. 109). E in altra città ancora è probabile cheun somigliante fervor si destasse per questo studio, eche egregi professori vi si chiamassero per tenere scuoladi leggi, benchè non ce ne sia rimasta più sicura memo-ria.

XXIX. Che direm noi di Pisa? Una letteradi un monaco di s. Vittor di Marsiglia pub-blicata da pp. Martene e Durand (Collect.ampliss. t. 1, p. 469) ha indotto alcuni a

pensare che fin dal sec. XI, cioè verso il 1070, vi fioris-se lo studio legale. In essa il monaco scrive al suo abate,che essendosi egli posto in viaggio per Roma, poichè fugiunto a Pavia, il cavallo, di cui si valea, caduto infermoivi era morto, che perciò erasi egli trattenuto per qualchetempo agli studj in quella città. Ma che avendo osserva-to quasi tutta l'Italia ripiena di scolari singolarmenteprovenzali, e tra essi alcuni ancor del suo Ordine, cheattendevano alle leggi, egli ancora bramava di volgersi atale studio, anche per valersene a vantaggio del suo mo-nastero, e che perciò il pregava a raccomandarlo con sualettera al prior di Pisa, perchè gli desse qualche soccor-so; avuto il quale, ei sarebbe andato allo studio in quellacittà. Questa lettera ci è testimonio certissimo di studiolegale in Pisa. Ma quando fu ella scritta? Il buon mona-co si dimenticò di aggiugnervi la data. Ma almeno come

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Se fosseranche inPisa.

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nominavasi chi la scrisse? e chi era l'abate di Marsiglia,a cui fu scritta? Ecco un nuovo enimma. Il monaco eraR, e l'abate era B, poichè queste sole sono le lettere col-le quali s'esprimono i loro nomi. De' monaci il cui nomecominciasse con R, ve ne saranno stati a migliaja. Mendifficile sarà forse il raccogliere qualche cosa dalla lette-ra iniziale del nome dell'abate. Noi troviamo in fatti unBernardo (ib.) che fu abate dall'an. 1065 fino al 1079.Un altro Bernardo ritrovasi abate l'an. 1127 (ib. p. 609).Finalmente troviamo dall'an. 1213 all'an. 1232 un abatedetto Buonfiglio (Gallia christ. t. 1, p. 689), e in questospazio di tempo altro non ne veggiamo tra gli abati di s.Vittor di Marsiglia, il cui nome cominci per B. Dunquea uno di questi tre deesi credere indirizzata la lettera. Ilp. Grandi pensa (ep. de Pandect. p. 16) che si debba in-tender dell'ultimo. Al contrario il cav. Flaminio dal Bor-go assai lungamente si stende a provare (Diss. sull'Orig.dell'Univ. di Pisa p. 18, ec.) che non si può intendereche del primo. S'io debbo dire ciò che ne penso, a mesembra che le ragioni da lui addotte non bastino a per-suadercelo. Egli dice che verso l'an. 1213 Pisa era scon-volta dalle guerre civili, e perciò non era sede opportunaagli studj; e ci rimette a ciò ch'egli ne narra nelle sueDissertazioni sull'Istoria pisana. Ma io trovo ch'egli iviracconta, parlando di questi tempi, che "benchè la Re-pubblica pisana fosse anch'ella stata soggetta a soffrirealcune molestie..., tuttavia si godeva nell'interno di essauna tranquillissima pace fra i cittadini" (t. 1, par. 1, p.176). Egli aggiugne che un monaco non avrebbe cercato

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nominavasi chi la scrisse? e chi era l'abate di Marsiglia,a cui fu scritta? Ecco un nuovo enimma. Il monaco eraR, e l'abate era B, poichè queste sole sono le lettere col-le quali s'esprimono i loro nomi. De' monaci il cui nomecominciasse con R, ve ne saranno stati a migliaja. Mendifficile sarà forse il raccogliere qualche cosa dalla lette-ra iniziale del nome dell'abate. Noi troviamo in fatti unBernardo (ib.) che fu abate dall'an. 1065 fino al 1079.Un altro Bernardo ritrovasi abate l'an. 1127 (ib. p. 609).Finalmente troviamo dall'an. 1213 all'an. 1232 un abatedetto Buonfiglio (Gallia christ. t. 1, p. 689), e in questospazio di tempo altro non ne veggiamo tra gli abati di s.Vittor di Marsiglia, il cui nome cominci per B. Dunquea uno di questi tre deesi credere indirizzata la lettera. Ilp. Grandi pensa (ep. de Pandect. p. 16) che si debba in-tender dell'ultimo. Al contrario il cav. Flaminio dal Bor-go assai lungamente si stende a provare (Diss. sull'Orig.dell'Univ. di Pisa p. 18, ec.) che non si può intendereche del primo. S'io debbo dire ciò che ne penso, a mesembra che le ragioni da lui addotte non bastino a per-suadercelo. Egli dice che verso l'an. 1213 Pisa era scon-volta dalle guerre civili, e perciò non era sede opportunaagli studj; e ci rimette a ciò ch'egli ne narra nelle sueDissertazioni sull'Istoria pisana. Ma io trovo ch'egli iviracconta, parlando di questi tempi, che "benchè la Re-pubblica pisana fosse anch'ella stata soggetta a soffrirealcune molestie..., tuttavia si godeva nell'interno di essauna tranquillissima pace fra i cittadini" (t. 1, par. 1, p.176). Egli aggiugne che un monaco non avrebbe cercato

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di attendere agli studj legali dopo il divieto fattone daAlessandro III l'an. 1163, e che perciò la lettera deesicredere scritta innanzi a quel tempo. Ma egli stesso pocodopo ci reca i posteriori divieti di Onorio III e d'Inno-cenzo IV, da' quali raccogliesi che un tal abuso, nonostante la legge di Alessandro III, durava ancora. Io nonho tempo a esaminare tutte le altre ragioni che da lui siarrecano a pruova del suo parere. Una riflessione solabasterà, s'io non erro, a mostrare che la lettera contro-versa non deesi credere scritta nel sec. XI: ivi si dice chequasi per tutta l'Italia era gran numero di scolari venutida lontani paesi allo studio legale. "Per totam fere Ita-liam scholares et maxime provinciales..... legibus cater-vatim studium, adhibentes conspicio". Or egli è certissi-mo da tutto il detto fin qui, che verso il fine del sec. XI,benchè alcuni giureconsulti fossero in molte città d'Ita-lia, nè scuola però alcuna di giurisprudenza, se non alpiù in Ravenna, e qualche principio di essa in Bologna,nè v'era questo affollato concorso di forestieri a cotaliscuole. Quindi io non seguirò il parere del p. Grandi chedifferisce la detta lettera al sec. XIII, ma mi atterròall'opinione, per così dire, di mezzo, che essa fosse scrit-ta verso il 1130. A que' tempi in fatti dovea esser fre-quente il concorso de' forestieri e de' monaci agli studjlegali non meno che a' medici, poichè il concorso diquesti diede occasione al Decreto del Concilio latera-nense dell'anno 1139, già da noi mentovato nel trattaredella medicina. "Prava autem consuetudo" dicesi in esso(can. 9) "prout accepimus, et detestabilis inolevit, quo-

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di attendere agli studj legali dopo il divieto fattone daAlessandro III l'an. 1163, e che perciò la lettera deesicredere scritta innanzi a quel tempo. Ma egli stesso pocodopo ci reca i posteriori divieti di Onorio III e d'Inno-cenzo IV, da' quali raccogliesi che un tal abuso, nonostante la legge di Alessandro III, durava ancora. Io nonho tempo a esaminare tutte le altre ragioni che da lui siarrecano a pruova del suo parere. Una riflessione solabasterà, s'io non erro, a mostrare che la lettera contro-versa non deesi credere scritta nel sec. XI: ivi si dice chequasi per tutta l'Italia era gran numero di scolari venutida lontani paesi allo studio legale. "Per totam fere Ita-liam scholares et maxime provinciales..... legibus cater-vatim studium, adhibentes conspicio". Or egli è certissi-mo da tutto il detto fin qui, che verso il fine del sec. XI,benchè alcuni giureconsulti fossero in molte città d'Ita-lia, nè scuola però alcuna di giurisprudenza, se non alpiù in Ravenna, e qualche principio di essa in Bologna,nè v'era questo affollato concorso di forestieri a cotaliscuole. Quindi io non seguirò il parere del p. Grandi chedifferisce la detta lettera al sec. XIII, ma mi atterròall'opinione, per così dire, di mezzo, che essa fosse scrit-ta verso il 1130. A que' tempi in fatti dovea esser fre-quente il concorso de' forestieri e de' monaci agli studjlegali non meno che a' medici, poichè il concorso diquesti diede occasione al Decreto del Concilio latera-nense dell'anno 1139, già da noi mentovato nel trattaredella medicina. "Prava autem consuetudo" dicesi in esso(can. 9) "prout accepimus, et detestabilis inolevit, quo-

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niam monachi et regulares canonici post susceptum ha-bitum et professionem factam, spreta beatorum magi-strorum Benedicti et Augustini regula, leges temporaleset medicinam gratia lucri temporalis addiscunt. Avari-tiae namque flammis accensi se patronos causarum fa-ciunt, et cum psalmodiae et hymnis vacare debeant, glo-riosae vocis confisi munimine, allegationum suarum va-rietate justum et injustum, fas nefasque confundunt".Ecco qual era a questi tempi il fervore de' monaci e de'canonici regolari, non a coltivar solamente, ma ad eser-citare ancora la giurisprudenza; ed ecco perciò probabil-mente il tempo in cui la mentovata lettera fu scritta dalmonaco marsigliese. Egli è vero che non troviamo chein Pisa fosse fin da que' tempi scuola di leggi. Ma almonaco potea bastare che vi fosse un suo monastero incui vivere, e che vi fossero, come vi erano certamentedotti giureconsulti, coll'indirizzo de' quali potesse colti-vare questo studio.

XXX. Se in Milano fossero a questi tempipubbliche scuole di diritto civile non parmiche si possa ben accertare. L'eruditissimo ediligentissimo co. Giulini avendo osservatoche in una carta milanese dell'an. 1095 si

nomina Otto Notarius Sacri Palatii ac Legis Lector(Mem. di Mil. t. 4, p. 330), ne ha inferito che questi fos-se veramente professor di leggi in quella città. E può es-sere che così fosse; poichè io non ho sicuri argomenti a

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E in Mila-no: notizie di Oberto dall'Orto.

niam monachi et regulares canonici post susceptum ha-bitum et professionem factam, spreta beatorum magi-strorum Benedicti et Augustini regula, leges temporaleset medicinam gratia lucri temporalis addiscunt. Avari-tiae namque flammis accensi se patronos causarum fa-ciunt, et cum psalmodiae et hymnis vacare debeant, glo-riosae vocis confisi munimine, allegationum suarum va-rietate justum et injustum, fas nefasque confundunt".Ecco qual era a questi tempi il fervore de' monaci e de'canonici regolari, non a coltivar solamente, ma ad eser-citare ancora la giurisprudenza; ed ecco perciò probabil-mente il tempo in cui la mentovata lettera fu scritta dalmonaco marsigliese. Egli è vero che non troviamo chein Pisa fosse fin da que' tempi scuola di leggi. Ma almonaco potea bastare che vi fosse un suo monastero incui vivere, e che vi fossero, come vi erano certamentedotti giureconsulti, coll'indirizzo de' quali potesse colti-vare questo studio.

XXX. Se in Milano fossero a questi tempipubbliche scuole di diritto civile non parmiche si possa ben accertare. L'eruditissimo ediligentissimo co. Giulini avendo osservatoche in una carta milanese dell'an. 1095 si

nomina Otto Notarius Sacri Palatii ac Legis Lector(Mem. di Mil. t. 4, p. 330), ne ha inferito che questi fos-se veramente professor di leggi in quella città. E può es-sere che così fosse; poichè io non ho sicuri argomenti a

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E in Mila-no: notizie di Oberto dall'Orto.

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negarlo. Ma come veggiamo da una parte, che la vocelector viene anche adoperata talvolta a significar can-celliere e notajo (Du Cange Gloss. ad voc. Lector), edall'altra in questi tempi e per tutto il sec. XII, anzi nelseguente ancora non troviam alcun altro professore digiurisprudenza in Milano, non mi sembra che una talopinione sia abbastanza fondata. Certo è nondimeno chemolti celebri giureconsulti vi erano in questo secolo, dicui parliamo, e di molti potrei qui far menzione, se nontemessi di allungarmi oltre il dovere. I loro nomi si pos-son vedere nel Catalogo cronologico degli Scrittori mi-lanesi premesso dall'Argelati alla Biblioteca di essi, enelle Memorie del sopraccitato co. Giulini. Io parleròbrevemente di un solo, cioè di Oberto dall'Orto. Non viha quasi carta di questi tempi in cui si trovin nominatigiureconsulti, e in cui non veggasi il nome di Oberto.Anzi insorta essendo una contesa fra l'abate di s. Zenodi Verona e il comun di Ferrara, Oberto ne fu scelto adarbitro, come raccogliesi da una carta pubblicatadall'Ughelli (Ital. Sacra vol. 5, in Episc. Ver.). Egli eraconsole in Milano fino dall'an. 1142, e in più altre voltegli venne conferita tal carica. Fu testimonio dell'infeliceeccidio della sua patria l'an. 1162, e fu uno de' principaliautori del ristoramento della medesima, di che fa fedel'iscrizione allora scolpita, e che ancor vedesi sulla portadetta Romana. Ma ciò onde è più celebre il nome diOberto, si è che fu egli o il primo, o uno de' primi a rac-cogliere le consuetudini de' feudi, che accresciute po-scia, e in miglior ordin disposte, sono state inserite nel

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negarlo. Ma come veggiamo da una parte, che la vocelector viene anche adoperata talvolta a significar can-celliere e notajo (Du Cange Gloss. ad voc. Lector), edall'altra in questi tempi e per tutto il sec. XII, anzi nelseguente ancora non troviam alcun altro professore digiurisprudenza in Milano, non mi sembra che una talopinione sia abbastanza fondata. Certo è nondimeno chemolti celebri giureconsulti vi erano in questo secolo, dicui parliamo, e di molti potrei qui far menzione, se nontemessi di allungarmi oltre il dovere. I loro nomi si pos-son vedere nel Catalogo cronologico degli Scrittori mi-lanesi premesso dall'Argelati alla Biblioteca di essi, enelle Memorie del sopraccitato co. Giulini. Io parleròbrevemente di un solo, cioè di Oberto dall'Orto. Non viha quasi carta di questi tempi in cui si trovin nominatigiureconsulti, e in cui non veggasi il nome di Oberto.Anzi insorta essendo una contesa fra l'abate di s. Zenodi Verona e il comun di Ferrara, Oberto ne fu scelto adarbitro, come raccogliesi da una carta pubblicatadall'Ughelli (Ital. Sacra vol. 5, in Episc. Ver.). Egli eraconsole in Milano fino dall'an. 1142, e in più altre voltegli venne conferita tal carica. Fu testimonio dell'infeliceeccidio della sua patria l'an. 1162, e fu uno de' principaliautori del ristoramento della medesima, di che fa fedel'iscrizione allora scolpita, e che ancor vedesi sulla portadetta Romana. Ma ciò onde è più celebre il nome diOberto, si è che fu egli o il primo, o uno de' primi a rac-cogliere le consuetudini de' feudi, che accresciute po-scia, e in miglior ordin disposte, sono state inserite nel

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corpo del Diritto Civile (V. Hein. Hist. jur. rom. l. 1, pa-rag. 421; Fabr. Bibl. med. et inf. latin. t. 5, p. 149). Morìl'an. 1175 (Giulini t. 9, p. 76), e lasciò un figlio dettoAnselmo, a cui avea indirizzato il secondo libro de' Feu-di (De Prof. Bonon. t. 1, pars 1, p. 66), e il quale purescrisse un opuscolo appartenente a giurisprudenza, checonservasi manoscritto nel Collegio degli Spagnuoli inBologna (ib.).

XXXI. Abbiamo fin quì rappresentata la no-stra Italia rivolta con gran fervore agli studjlegali, e divenuta in essi maestra agli stra-nieri, che da ogni parte accorrevano per col-tivarli. Ma ciò ancor non bastava alla gloria

di essa. Come gl'Italiani passati in più altre provincied'Europa avean i primi risvegliato tra esse l'amor dellescienze, e avean segnato nuovi sentieri per giungerne alconseguimento, così avvenne ancora della giurispruden-za. Due famosi giureconsulti italiani si videro di questitempi passare l'uno in Inghilterra, l'altro in Francia, eaprirvi scuola, e rivolgere a sè lo sguardo e la meravi-glia di quelle nazioni. Un cotal Vacario che nell'anticaCronaca di Normandia (Du Chesne Script. Hist. Nor-mann. p. 983) dicesi generalmente di patria lombardo,dopo l'an. 1140 fu da Teobaldo arcivescovo di Canto-sberi chiamato in Inghilterra, perchè v'introducesse lostudio delle leggi romane, come narrano Giovanni diSarisberì (Policrat. l. 8, c. 22), ed altri autori contempo-

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Vacario fa rifiorire in Inghilterra lo studio delle leggi.

corpo del Diritto Civile (V. Hein. Hist. jur. rom. l. 1, pa-rag. 421; Fabr. Bibl. med. et inf. latin. t. 5, p. 149). Morìl'an. 1175 (Giulini t. 9, p. 76), e lasciò un figlio dettoAnselmo, a cui avea indirizzato il secondo libro de' Feu-di (De Prof. Bonon. t. 1, pars 1, p. 66), e il quale purescrisse un opuscolo appartenente a giurisprudenza, checonservasi manoscritto nel Collegio degli Spagnuoli inBologna (ib.).

XXXI. Abbiamo fin quì rappresentata la no-stra Italia rivolta con gran fervore agli studjlegali, e divenuta in essi maestra agli stra-nieri, che da ogni parte accorrevano per col-tivarli. Ma ciò ancor non bastava alla gloria

di essa. Come gl'Italiani passati in più altre provincied'Europa avean i primi risvegliato tra esse l'amor dellescienze, e avean segnato nuovi sentieri per giungerne alconseguimento, così avvenne ancora della giurispruden-za. Due famosi giureconsulti italiani si videro di questitempi passare l'uno in Inghilterra, l'altro in Francia, eaprirvi scuola, e rivolgere a sè lo sguardo e la meravi-glia di quelle nazioni. Un cotal Vacario che nell'anticaCronaca di Normandia (Du Chesne Script. Hist. Nor-mann. p. 983) dicesi generalmente di patria lombardo,dopo l'an. 1140 fu da Teobaldo arcivescovo di Canto-sberi chiamato in Inghilterra, perchè v'introducesse lostudio delle leggi romane, come narrano Giovanni diSarisberì (Policrat. l. 8, c. 22), ed altri autori contempo-

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Vacario fa rifiorire in Inghilterra lo studio delle leggi.

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ranei citati dal p. Sarti (De Prof. Bon. t. 1, pars 1, p. 50.ec.). Questo dotto scrittore ha lungamente esaminato ciòche appartiene a Vacario ed ha confutato gli errori di al-tri scrittori, e del Seldeno singolarmente che appoggiatoa un passo guasto della sopraccennata Cronaca ha con-fuso tre diversi personaggi in un solo, cioè il nostro Va-cario, Ruggero monaco del monastero di Bec, e Rugge-ro beneventano. Nella stessa Cronaca di lui si narra cheper agevolare a' poveri lo studio delle leggi, del Codicee de' Digesti fece un Compendio diviso in nove libri, iquali potean bastare a qualunque uso della scuola e delforo. Grande era il concorso che alla scuola di Vacariofaceasi in Oxford, ov'egli insegnava (Gervas. Dorobern.edito a Selden. p. 1348), e grande il plauso con cui veni-va ascoltato. Ma ciò non ostante il re Stefano, qualun-que ragion se ne avesse, fece un severo divieto di talestudio, impose silenzio a Vacario, e ordinò che niunopotesse presso di sè ritenere i libri delle Leggi romane(Jo. Sarisb. l. c.). Ciò dovette accadere innanzi all'otto-bre dell'an. 1154, nel qual tempo Stefano finì di vivere.Che avvenisse poi di Vacario, non ne troviamo memoriapresso gli antichi autori. Il p. Sarti crede probabile, ben-chè non ve n'abbia sicura pruova, che ei fosse alunnodelle scuole bolognesi, e perciò ha di lui ancor ragionatocolla consueta sua esattezza (l. c.), e ciò ch'ei ne diceampiamente, potrà supplire a ciò ch'io per amore di bre-vità ho in pochi tratti accennato.

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ranei citati dal p. Sarti (De Prof. Bon. t. 1, pars 1, p. 50.ec.). Questo dotto scrittore ha lungamente esaminato ciòche appartiene a Vacario ed ha confutato gli errori di al-tri scrittori, e del Seldeno singolarmente che appoggiatoa un passo guasto della sopraccennata Cronaca ha con-fuso tre diversi personaggi in un solo, cioè il nostro Va-cario, Ruggero monaco del monastero di Bec, e Rugge-ro beneventano. Nella stessa Cronaca di lui si narra cheper agevolare a' poveri lo studio delle leggi, del Codicee de' Digesti fece un Compendio diviso in nove libri, iquali potean bastare a qualunque uso della scuola e delforo. Grande era il concorso che alla scuola di Vacariofaceasi in Oxford, ov'egli insegnava (Gervas. Dorobern.edito a Selden. p. 1348), e grande il plauso con cui veni-va ascoltato. Ma ciò non ostante il re Stefano, qualun-que ragion se ne avesse, fece un severo divieto di talestudio, impose silenzio a Vacario, e ordinò che niunopotesse presso di sè ritenere i libri delle Leggi romane(Jo. Sarisb. l. c.). Ciò dovette accadere innanzi all'otto-bre dell'an. 1154, nel qual tempo Stefano finì di vivere.Che avvenisse poi di Vacario, non ne troviamo memoriapresso gli antichi autori. Il p. Sarti crede probabile, ben-chè non ve n'abbia sicura pruova, che ei fosse alunnodelle scuole bolognesi, e perciò ha di lui ancor ragionatocolla consueta sua esattezza (l. c.), e ciò ch'ei ne diceampiamente, potrà supplire a ciò ch'io per amore di bre-vità ho in pochi tratti accennato.

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XXXII. La Francia ancora accolse congrandi onori un Italiano che colà recatosiaprì in Montpellier una pubblica scuola digiurisprudenza. Questi è Piacentino già da

noi accennato poc'anzi, del quale, benchè morisse solonell'an. 1192, mi è sembrato opportuno il ragionare aquesta epoca, perchè a questa probabilmente seguì il suoprimo passaggio in Francia. Sembra ch'ei traesse ilnome dalla sua patria; certo non vi è alcuna ragione dicrederlo oltramontano, come dimostra il p. Sarti (t. 1,pars. 1, p. 67, ec.). Non ci fa d'uopo di ricercare altron-de che dalle stesse sue opere le notizie della sua vita.Egli ci parla, e non troppo modestamente, di se medesi-mo: perciocchè racconta (proem. Summae in tres poster.l. Cod.) ch'egli per acquistarsi una perpetua fama aveacreduto opportuno il far dimenticare i Compendj delleLeggi fatti già da Ruggeri, e che perciò erasi accinto afarne un nuovo, cominciando dal Codice; che poscia es-sendo in Montpellier avea scritta l'Introduzione allo stu-dio delle Leggi e la Somma delle Istituzioni di Giusti-niano; che dopo avere più anni insegnato in quella città,erasene tornato in patria; ma che non ancor passati duemesi dal suo ritorno, chiamato instantemente a Bologna,vi avea per due anni tenuta scuola con sì glorioso suc-cesso, che avea destata invidia negli altri professori, evotate le loro scuole: "aliosque praeceptores, dic'egli, adlumen invidiae provocavi, scholas eorum discipulis va-cuavi, juris arcana pandidi, legum contraria compescui,occulta potentissime reseravi". Quindi prosiegue a nar-

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E il Piacentinoin Montpellier.

XXXII. La Francia ancora accolse congrandi onori un Italiano che colà recatosiaprì in Montpellier una pubblica scuola digiurisprudenza. Questi è Piacentino già da

noi accennato poc'anzi, del quale, benchè morisse solonell'an. 1192, mi è sembrato opportuno il ragionare aquesta epoca, perchè a questa probabilmente seguì il suoprimo passaggio in Francia. Sembra ch'ei traesse ilnome dalla sua patria; certo non vi è alcuna ragione dicrederlo oltramontano, come dimostra il p. Sarti (t. 1,pars. 1, p. 67, ec.). Non ci fa d'uopo di ricercare altron-de che dalle stesse sue opere le notizie della sua vita.Egli ci parla, e non troppo modestamente, di se medesi-mo: perciocchè racconta (proem. Summae in tres poster.l. Cod.) ch'egli per acquistarsi una perpetua fama aveacreduto opportuno il far dimenticare i Compendj delleLeggi fatti già da Ruggeri, e che perciò erasi accinto afarne un nuovo, cominciando dal Codice; che poscia es-sendo in Montpellier avea scritta l'Introduzione allo stu-dio delle Leggi e la Somma delle Istituzioni di Giusti-niano; che dopo avere più anni insegnato in quella città,erasene tornato in patria; ma che non ancor passati duemesi dal suo ritorno, chiamato instantemente a Bologna,vi avea per due anni tenuta scuola con sì glorioso suc-cesso, che avea destata invidia negli altri professori, evotate le loro scuole: "aliosque praeceptores, dic'egli, adlumen invidiae provocavi, scholas eorum discipulis va-cuavi, juris arcana pandidi, legum contraria compescui,occulta potentissime reseravi". Quindi prosiegue a nar-

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E il Piacentinoin Montpellier.

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rare di se medesimo che tornossone in patria per goderedi un tranquillo riposo, ma che di nuovo, sforzato dallepremurose istanze de' suoi scolari ad andare a Bologna,vi avea tenuta scuola per altri quattro anni, dopo i qualiavea fatto ritorno a Montpellier. Così egli ci fa di sestesso un elogio che meglio sarebbe udir da altri. Ma in-sieme egli sfugge di raccontarci qualche sinistro chegl'intervenne, e di cui da altri giureconsulti di quella etàci è stata lasciata memoria. Egli era certamente uomdotto; ma troppo vantavasi del suo sapere medesimo,come raccogliesi dal passo or ora recato. Quindi glienevenne l'invidia de' suoi colleghi; e a ciò forse dee attri-buirsi il sì frequente cambiare d'abitazione e di scuolaora in Mantova, come abbiam poc'anzi osservato, ora inBologna, ora in Montpellier. Nè la cosa ristette semprein una semplice invidia. Egli ebbe un giorno ardire,come narra Roffredo da Benevento (in Libello ad S. C.Vellej.), di mettere in derisione presso de' suoi scolaricon un motto pungente Arrigo della Baila celebre giure-consulto esso pure; il quale una notte coltone il destro segli fece incontro armato ben d'altro che di codici e di di-gesti per trarne vendetta. Il povero Piacentino ne campòla vita a gran pena; e questo fu il motivo del suo ritornoa Montpellier. Ivi egli condusse il rimanente de' suoigiorni, e vi morì l'an. 1192. Il p. Sarti riferisce l'iscrizio-ne che ne fu posta al sepolcro; e presso lui si potrannovedere, da chi le desideri, più copiose notizie intorno lavita e l'opere di questo celebre giureconsulto. A me paredi essermi trattenuto su questo argomento forse più an-

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rare di se medesimo che tornossone in patria per goderedi un tranquillo riposo, ma che di nuovo, sforzato dallepremurose istanze de' suoi scolari ad andare a Bologna,vi avea tenuta scuola per altri quattro anni, dopo i qualiavea fatto ritorno a Montpellier. Così egli ci fa di sestesso un elogio che meglio sarebbe udir da altri. Ma in-sieme egli sfugge di raccontarci qualche sinistro chegl'intervenne, e di cui da altri giureconsulti di quella etàci è stata lasciata memoria. Egli era certamente uomdotto; ma troppo vantavasi del suo sapere medesimo,come raccogliesi dal passo or ora recato. Quindi glienevenne l'invidia de' suoi colleghi; e a ciò forse dee attri-buirsi il sì frequente cambiare d'abitazione e di scuolaora in Mantova, come abbiam poc'anzi osservato, ora inBologna, ora in Montpellier. Nè la cosa ristette semprein una semplice invidia. Egli ebbe un giorno ardire,come narra Roffredo da Benevento (in Libello ad S. C.Vellej.), di mettere in derisione presso de' suoi scolaricon un motto pungente Arrigo della Baila celebre giure-consulto esso pure; il quale una notte coltone il destro segli fece incontro armato ben d'altro che di codici e di di-gesti per trarne vendetta. Il povero Piacentino ne campòla vita a gran pena; e questo fu il motivo del suo ritornoa Montpellier. Ivi egli condusse il rimanente de' suoigiorni, e vi morì l'an. 1192. Il p. Sarti riferisce l'iscrizio-ne che ne fu posta al sepolcro; e presso lui si potrannovedere, da chi le desideri, più copiose notizie intorno lavita e l'opere di questo celebre giureconsulto. A me paredi essermi trattenuto su questo argomento forse più an-

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cora che non convenisse; e tempo è omai di passareall'altro genere di giurisprudenza, che in questo tempomedesimo risorse in Bologna, cioè allo studio de' sacriCanoni.

XXXIII. In questo argomento ancoral'ampiezza della materia ci consigliaad essere brevi. Il diritto canonico haavuti, singolarmente in questi ultimitempi, innumerabili illustratori tra'

Cattolici non meno che tra' Protestanti; e quasi tutti alleloro opere su questa parte di giurisprudenza ne hannopremessa una più, o meno diffusa storia. Chi prenderassila briga di esaminarli, e di confrontarli tra loro, vedràquanto e in quante cose siano l'un dall'altro discordi. Eper ciò solo che appartiene a Graziano, non si può abba-stanza spiegare qual diversità di pareri in essi s'incontri.Appena vi ha cosa che intorno a lui sia certa, perchè gliantichi scrittori appena ci han detta alcuna cosa di lui. Enondimeno i moderni mille cose ce ne raccontano conammirabile sicurezza, come se essi ne fossero stati testi-monj di veduta. Dovrò io dunque entrare in un lungo enoioso esame di ciascuna quistione? Io penso che chilegge questa mia Storia, non me ne sarebbe molto tenu-to. E molto più che altri hanno già scritto quanto su que-sto punto si può bramare, e più recentemente di tutti il p.Sarti da me più volte mentovato con lode (De cl. Prof.Bonon. t. 1, pars 1, p. 247) ha esaminato tutto ciò che

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Storia della giuri-sprudenza canonica:incertezza intorno a Graziano.

cora che non convenisse; e tempo è omai di passareall'altro genere di giurisprudenza, che in questo tempomedesimo risorse in Bologna, cioè allo studio de' sacriCanoni.

XXXIII. In questo argomento ancoral'ampiezza della materia ci consigliaad essere brevi. Il diritto canonico haavuti, singolarmente in questi ultimitempi, innumerabili illustratori tra'

Cattolici non meno che tra' Protestanti; e quasi tutti alleloro opere su questa parte di giurisprudenza ne hannopremessa una più, o meno diffusa storia. Chi prenderassila briga di esaminarli, e di confrontarli tra loro, vedràquanto e in quante cose siano l'un dall'altro discordi. Eper ciò solo che appartiene a Graziano, non si può abba-stanza spiegare qual diversità di pareri in essi s'incontri.Appena vi ha cosa che intorno a lui sia certa, perchè gliantichi scrittori appena ci han detta alcuna cosa di lui. Enondimeno i moderni mille cose ce ne raccontano conammirabile sicurezza, come se essi ne fossero stati testi-monj di veduta. Dovrò io dunque entrare in un lungo enoioso esame di ciascuna quistione? Io penso che chilegge questa mia Storia, non me ne sarebbe molto tenu-to. E molto più che altri hanno già scritto quanto su que-sto punto si può bramare, e più recentemente di tutti il p.Sarti da me più volte mentovato con lode (De cl. Prof.Bonon. t. 1, pars 1, p. 247) ha esaminato tutto ciò che

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Storia della giuri-sprudenza canonica:incertezza intorno a Graziano.

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appartiene a Graziano coll'usata sua esattezza. Io perciòsarò pago di accennar brevemente ciò ch'è più degno dirisapersi, e ciò che più accresce le glorie della nostraItalia, e singolarmente della dotta Bologna, ove questascienza ancora ed ebbe il primo principio, e salì a famae ad onore grandissimo.

XXXIV. Prima assai del XII sec. erasi co-minciato a far raccolta di leggi ecclesiasti-che. Già abbiamo parlato delle Raccolte de'Canoni e delle Decretali fatte da Dionigi il

piccolo. Altre ne venner dopo, e celebre sopra tutta èquella delle false Decretali antiche de' Papi predecessoridi Siricio, spacciata già sotto nome di s. Isidoro di Sivi-glia poi attribuita comunemente a un cotal Isidoro Mer-catore, o Peccatore, come altri leggono; ma che dal ch.ab. Zaccaria credesi opera di Benedetto Levita dellachiesa di Magonza dopo la metà del IX secolo (AntiFebbronio. par. 1, diss. 3, c. 3). Più altre simili collezio-ni si pubblicarono poscia, e in Italia più che altrove; per-ciocchè oltre s. Anselmo vescovo di Lucca, e Bonizonevescovo di Sutri e poi di Piacenza, dei quali abbiam giàfavellato, un Compendio di Canoni avea fatto nel sec.XI il card. Deusdedit, che conservasi manoscritto nellaVaticana (Oudin de Script. eccl. t. 2 p. 765, ec.). Ma ce-lebri sono fra tutte quelle che ancora abbiamo, le Colle-zioni di Reginone, di Burcardo di Worms, e d'Ivone diChartres, delle quali e di altre somiglianti antiche Rac-

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Antichecollezionidi Canoni.

appartiene a Graziano coll'usata sua esattezza. Io perciòsarò pago di accennar brevemente ciò ch'è più degno dirisapersi, e ciò che più accresce le glorie della nostraItalia, e singolarmente della dotta Bologna, ove questascienza ancora ed ebbe il primo principio, e salì a famae ad onore grandissimo.

XXXIV. Prima assai del XII sec. erasi co-minciato a far raccolta di leggi ecclesiasti-che. Già abbiamo parlato delle Raccolte de'Canoni e delle Decretali fatte da Dionigi il

piccolo. Altre ne venner dopo, e celebre sopra tutta èquella delle false Decretali antiche de' Papi predecessoridi Siricio, spacciata già sotto nome di s. Isidoro di Sivi-glia poi attribuita comunemente a un cotal Isidoro Mer-catore, o Peccatore, come altri leggono; ma che dal ch.ab. Zaccaria credesi opera di Benedetto Levita dellachiesa di Magonza dopo la metà del IX secolo (AntiFebbronio. par. 1, diss. 3, c. 3). Più altre simili collezio-ni si pubblicarono poscia, e in Italia più che altrove; per-ciocchè oltre s. Anselmo vescovo di Lucca, e Bonizonevescovo di Sutri e poi di Piacenza, dei quali abbiam giàfavellato, un Compendio di Canoni avea fatto nel sec.XI il card. Deusdedit, che conservasi manoscritto nellaVaticana (Oudin de Script. eccl. t. 2 p. 765, ec.). Ma ce-lebri sono fra tutte quelle che ancora abbiamo, le Colle-zioni di Reginone, di Burcardo di Worms, e d'Ivone diChartres, delle quali e di altre somiglianti antiche Rac-

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Antichecollezionidi Canoni.

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colte veggasi singolarmente una dissertazione degli eru-ditissimi fratelli Ballerini che di ciascheduna ragionanocon somma esattezza, e di alcune ancor recano qualchesaggio (t. 3, Op. s. Leonis). Ma esse non erano che unasemplice Collezione di Canoni e di Decretali; nè i rac-coglitori aggiunta vi aveano cosa alcuna o per rischiara-re ciò che fosse dubbioso, o per conciliare insieme ciòche sembrasse contraddittorio. Solo Ivone di Chartresalla sua Raccolta avea premesso un prologo in cui tratta-va del modo con cui doveansi intendere e spiegare econciliare insieme. Ma non pareva che fosse ancor prov-veduto abbastanza allo studio della sacra giurispruden-za, e si aspettava ancora chi la ponesse in ordine miglio-re, e l'adattasse all'uso del foro. Questa fu l'ardua impre-sa a cui si accinse Graziano, e di cui perciò dobbiam oraparlar brevemente.

XXXV. Già abbiamo altrove accennato econfutato il favoloso racconto di alcuni chedi Pier lombardo, di Pietro detto il mangia-tore, e di Graziano fanno tre fratelli illegitti-mi. Graziano, secondo il comun parere degli

antichi e de' moderni scrittori, fu natio di Chiusi in To-scana; e l'autorità di un codice ms. citato da monsig.Fontanini (praef. ad Decret. Grat. Turrecrem. parag. 4),ove egli si dice nato in un luogo presso Orvieto, non parbastante a combattere il comun sentimento degli altriautori. Ch'ei fosse monaco, e che vivesse nel monastero

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Notiziemeno dub-biose dellavita di Gra-ziano.

colte veggasi singolarmente una dissertazione degli eru-ditissimi fratelli Ballerini che di ciascheduna ragionanocon somma esattezza, e di alcune ancor recano qualchesaggio (t. 3, Op. s. Leonis). Ma esse non erano che unasemplice Collezione di Canoni e di Decretali; nè i rac-coglitori aggiunta vi aveano cosa alcuna o per rischiara-re ciò che fosse dubbioso, o per conciliare insieme ciòche sembrasse contraddittorio. Solo Ivone di Chartresalla sua Raccolta avea premesso un prologo in cui tratta-va del modo con cui doveansi intendere e spiegare econciliare insieme. Ma non pareva che fosse ancor prov-veduto abbastanza allo studio della sacra giurispruden-za, e si aspettava ancora chi la ponesse in ordine miglio-re, e l'adattasse all'uso del foro. Questa fu l'ardua impre-sa a cui si accinse Graziano, e di cui perciò dobbiam oraparlar brevemente.

XXXV. Già abbiamo altrove accennato econfutato il favoloso racconto di alcuni chedi Pier lombardo, di Pietro detto il mangia-tore, e di Graziano fanno tre fratelli illegitti-mi. Graziano, secondo il comun parere degli

antichi e de' moderni scrittori, fu natio di Chiusi in To-scana; e l'autorità di un codice ms. citato da monsig.Fontanini (praef. ad Decret. Grat. Turrecrem. parag. 4),ove egli si dice nato in un luogo presso Orvieto, non parbastante a combattere il comun sentimento degli altriautori. Ch'ei fosse monaco, e che vivesse nel monastero

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Notiziemeno dub-biose dellavita di Gra-ziano.

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di s. Felice di Bologna, ed ivi tenesse scuola, è cosaugualmente certissima, e comprovata con autentici mo-numenti (V. Sart. de cl. Prof. Bonon. t. 1, pars 1, p. 260,ec.). Da molti ancor si asserisce ch'ei prendesse l'abitomonastico, e vivesse per qualche tempo nel monasterodi Classe presso Ravenna, e quindi il p. Sarti, osservan-do che quel monastero l'an. 1138 fu dato a' Camaldolesi,e che tra' monasteri di quest'ordine nominati da Pasqua-le II in una Bolla dell'an. 1113 si nomina quello di s. Fe-lice nel vescovado di Bologna, argomenta che questoistituto medesimo professasse Graziano (42). Io non en-trerò all'esame di tal sentimento. I monaci dell'ordine dis. Benedetto, se pensano che senza giusta ragione lor sicontrasti l'onore di cui hanno goduto finora, di annove-rare tra' loro alunni Graziano, e che le ragioni dal p. Sar-ti allegate non bastino a distruggere la comune opinione,potranno essi medesimi difendere la loro causa, e ribat-tere le opposte difficoltà. Vivea dunque Graziano nelmonastero di s. Felice allora fuori, or chiuso entro il re-cinto della città, ed ivi cominciò a volgersi allo studiode' sacri Canoni, e a compilare il Decreto, di cui or oraragioneremo. Variano gli scrittori nel determinare il42 Il sig. co. Senator Savioli non solo ha combattuto l'opinione del p. Sarti,

che Graziano fosse camaldolese, ma ha mosso ancor qualche dubbio sullaprofessione monastica del medesimo (Ann. bologn. t. 1, p. 261). Ma se èveramente del XII secolo un codice che si conserva nella pubblica biblio-teca di Ginevra, e che m. Senebier crede appunto essere o della fin del XIIsecolo, o de' principj del seguente (Catal. des MSS. de la Bibl. de Genevep. 191), esso ha non poca forza in favore della comune opinione, percioc-chè vi si legge: anno Domini MCL. a Gratiano s. Feliciani (l. s. Felicis)Bononiensi Monaco editum.

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di s. Felice di Bologna, ed ivi tenesse scuola, è cosaugualmente certissima, e comprovata con autentici mo-numenti (V. Sart. de cl. Prof. Bonon. t. 1, pars 1, p. 260,ec.). Da molti ancor si asserisce ch'ei prendesse l'abitomonastico, e vivesse per qualche tempo nel monasterodi Classe presso Ravenna, e quindi il p. Sarti, osservan-do che quel monastero l'an. 1138 fu dato a' Camaldolesi,e che tra' monasteri di quest'ordine nominati da Pasqua-le II in una Bolla dell'an. 1113 si nomina quello di s. Fe-lice nel vescovado di Bologna, argomenta che questoistituto medesimo professasse Graziano (42). Io non en-trerò all'esame di tal sentimento. I monaci dell'ordine dis. Benedetto, se pensano che senza giusta ragione lor sicontrasti l'onore di cui hanno goduto finora, di annove-rare tra' loro alunni Graziano, e che le ragioni dal p. Sar-ti allegate non bastino a distruggere la comune opinione,potranno essi medesimi difendere la loro causa, e ribat-tere le opposte difficoltà. Vivea dunque Graziano nelmonastero di s. Felice allora fuori, or chiuso entro il re-cinto della città, ed ivi cominciò a volgersi allo studiode' sacri Canoni, e a compilare il Decreto, di cui or oraragioneremo. Variano gli scrittori nel determinare il42 Il sig. co. Senator Savioli non solo ha combattuto l'opinione del p. Sarti,

che Graziano fosse camaldolese, ma ha mosso ancor qualche dubbio sullaprofessione monastica del medesimo (Ann. bologn. t. 1, p. 261). Ma se èveramente del XII secolo un codice che si conserva nella pubblica biblio-teca di Ginevra, e che m. Senebier crede appunto essere o della fin del XIIsecolo, o de' principj del seguente (Catal. des MSS. de la Bibl. de Genevep. 191), esso ha non poca forza in favore della comune opinione, percioc-chè vi si legge: anno Domini MCL. a Gratiano s. Feliciani (l. s. Felicis)Bononiensi Monaco editum.

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tempo in cui esso fu pubblicato, ma il p. Sarti mostra aparer mio chiaramente (ib. p. 264, ec.) che ciò avvennecirca il 1140. Molti ancor tra gli antichi asserisconoch'ei fosse vescovo di Chiusi, e altri ancora l'onoranodel titolo di cardinale; ma nè è abbastanza provata laprima asserzione, e la seconda è certamente falsissima(ib. p. 266, ec.). Falso è pure, come pruova il mentovatop. Sarti (ib. p. 267), ciò che pur da molti si afferma, cioèche i gradi scolastici di dottore e di altre simili appella-zioni, e la maniera di conferirli, fosse ritrovamento diquesto monaco; perciocchè, come egli osserva, dottoridi legge trovansi molto tempo innanzi a Graziano; ma idottor de' decreti non veggonsi rammentati prima di In-nocenzo III, e il Bohemero perciò potea risparmiarsi lapena di comporre un'orazione su questa invenzione diGraziano (Jur. canon. t. 1, p. 14). Fin a qual tempo ei vi-vesse, nol possiamo congetturare, non che accertare, permancanza di monumenti, anzi non vi ha memoria alcunain Bologna del luogo ov'egli sia sepolto.

XXXVI. Ma se è in gran parte incertociò che appartiene alla vita di Graziano,egli è abbastanza celebre per la suaCompilazione del Diritto canonico. Le

Raccolte de' Canoni, che finallora si erano pubblicate,erano, come abbiam detto, pure raccolte; e i compilatorio nulla, o assai poco vi avean aggiunto di lor lavoro (43).43 Una delle più antiche e delle più insigni Collezioni di Canoni è quella che

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Sua Raccolta di Canoni: pregi e difetti di essa.

tempo in cui esso fu pubblicato, ma il p. Sarti mostra aparer mio chiaramente (ib. p. 264, ec.) che ciò avvennecirca il 1140. Molti ancor tra gli antichi asserisconoch'ei fosse vescovo di Chiusi, e altri ancora l'onoranodel titolo di cardinale; ma nè è abbastanza provata laprima asserzione, e la seconda è certamente falsissima(ib. p. 266, ec.). Falso è pure, come pruova il mentovatop. Sarti (ib. p. 267), ciò che pur da molti si afferma, cioèche i gradi scolastici di dottore e di altre simili appella-zioni, e la maniera di conferirli, fosse ritrovamento diquesto monaco; perciocchè, come egli osserva, dottoridi legge trovansi molto tempo innanzi a Graziano; ma idottor de' decreti non veggonsi rammentati prima di In-nocenzo III, e il Bohemero perciò potea risparmiarsi lapena di comporre un'orazione su questa invenzione diGraziano (Jur. canon. t. 1, p. 14). Fin a qual tempo ei vi-vesse, nol possiamo congetturare, non che accertare, permancanza di monumenti, anzi non vi ha memoria alcunain Bologna del luogo ov'egli sia sepolto.

XXXVI. Ma se è in gran parte incertociò che appartiene alla vita di Graziano,egli è abbastanza celebre per la suaCompilazione del Diritto canonico. Le

Raccolte de' Canoni, che finallora si erano pubblicate,erano, come abbiam detto, pure raccolte; e i compilatorio nulla, o assai poco vi avean aggiunto di lor lavoro (43).43 Una delle più antiche e delle più insigni Collezioni di Canoni è quella che

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Sua Raccolta di Canoni: pregi e difetti di essa.

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Graziano vide che un'opera assai migliore sembrava ri-chiedere la sacra giurisprudenza; ed ei l'intraprese.Quindi non pago di ordinare e dividere in certi capi ilDiritto canonico, e di formarne un corpo metodico e re-golare, egli si fece innoltre a spiegare i canoni oscuri, ea conciliare insieme que' che sembravano contraddirsi; e

si conserva in un pregevolissimo codice di questo archivio capitolare diModena scritto nel X secolo. Ne hanno parlato a lungo i dottissimi Balleri-ni nella loro dissertazione delle Antiche Raccolte di Canoni aggiuntaall'edizione delle Opere di s. Leone; ma più esattamente ancora ne ha ra-gionato l'eruditiss. sig. ab. Zaccaria (Bibl. di stor. Letter. t. 2, p. 410, ec.)che l'ha avuta tra le mani. Essa è divisa in dodici parti, e i Ballerini ne hanpubblicato l'indice insiem colla dedica all'arcivescovo Anselmo, cioè al se-condo di questo nome arcivescovo di Milano, che secondo la Cronologiadel dott. Sassi tenne quella sede dall'an. 882 fino all'an. 896; ma vi sono al-cune giunte fatte posteriormente. L'ab. Zaccaria inclina a credere chel'autorità di questa Raccolta fosse quel Regemperto che poi nel principiodel X secolo fu vescovo di Vercelli, e ne reca a provarlo per congetturauna lettera formata di questo vescovo scritta l'an. 904. la quale ei crede chedallo stesso Regemperto vi fosse poi aggiunta. Ciò nondimeno sembra chepossa solo provarlo autor delle Giunte, e può essere che la Raccolta fossestata da altri in addietro compilata. Certo è che in Vercelli conservasi, ben-chè l'ab. Zaccaria sembri dubitare, un antichissimo codice che contiene lamedesima Collezione. Ne ragiona monsig. Bascapè vescovo di Novaranella prefazione a' suoi Commentarj canonici stampati in Novara nel 1615,ove dopo aver ragionato di altre somiglianti Raccolte soggiugne: "Sed nosalterum addimus volumen, et collectionem ejusmodi sane magnam, quamprelique ignorasse videntur. Ea ex Bibliotheca Ecclesiae Vercellensis ac-cepta est, et in sua habuisse videtur Achilles Stacius. Nam ejus praefatio-nem apposuit opusculis s. Ferrandi diaconi ad ipsius Ferrandi testimonium.Componi autem jussit Anselmus archiepiscopus mediolanensis. Liber nonhabet inscriptionem neque nomen compositorum, neque quo Anselmo ar-chiepiscopo facta sit, cum plures fuerint. Sed versus quidam scriptoris ip-sius codicis vercellensis librum Athoni episcopo vercellensi donatum indi-care videntur, qui Atho fuit circiter annum D. 950. Ita compositus est liberante alios memoratos Burchardi, et ceterorum, nam et compositores illiusin ea praefatione solos Decretorum collectores ante se memorant

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Graziano vide che un'opera assai migliore sembrava ri-chiedere la sacra giurisprudenza; ed ei l'intraprese.Quindi non pago di ordinare e dividere in certi capi ilDiritto canonico, e di formarne un corpo metodico e re-golare, egli si fece innoltre a spiegare i canoni oscuri, ea conciliare insieme que' che sembravano contraddirsi; e

si conserva in un pregevolissimo codice di questo archivio capitolare diModena scritto nel X secolo. Ne hanno parlato a lungo i dottissimi Balleri-ni nella loro dissertazione delle Antiche Raccolte di Canoni aggiuntaall'edizione delle Opere di s. Leone; ma più esattamente ancora ne ha ra-gionato l'eruditiss. sig. ab. Zaccaria (Bibl. di stor. Letter. t. 2, p. 410, ec.)che l'ha avuta tra le mani. Essa è divisa in dodici parti, e i Ballerini ne hanpubblicato l'indice insiem colla dedica all'arcivescovo Anselmo, cioè al se-condo di questo nome arcivescovo di Milano, che secondo la Cronologiadel dott. Sassi tenne quella sede dall'an. 882 fino all'an. 896; ma vi sono al-cune giunte fatte posteriormente. L'ab. Zaccaria inclina a credere chel'autorità di questa Raccolta fosse quel Regemperto che poi nel principiodel X secolo fu vescovo di Vercelli, e ne reca a provarlo per congetturauna lettera formata di questo vescovo scritta l'an. 904. la quale ei crede chedallo stesso Regemperto vi fosse poi aggiunta. Ciò nondimeno sembra chepossa solo provarlo autor delle Giunte, e può essere che la Raccolta fossestata da altri in addietro compilata. Certo è che in Vercelli conservasi, ben-chè l'ab. Zaccaria sembri dubitare, un antichissimo codice che contiene lamedesima Collezione. Ne ragiona monsig. Bascapè vescovo di Novaranella prefazione a' suoi Commentarj canonici stampati in Novara nel 1615,ove dopo aver ragionato di altre somiglianti Raccolte soggiugne: "Sed nosalterum addimus volumen, et collectionem ejusmodi sane magnam, quamprelique ignorasse videntur. Ea ex Bibliotheca Ecclesiae Vercellensis ac-cepta est, et in sua habuisse videtur Achilles Stacius. Nam ejus praefatio-nem apposuit opusculis s. Ferrandi diaconi ad ipsius Ferrandi testimonium.Componi autem jussit Anselmus archiepiscopus mediolanensis. Liber nonhabet inscriptionem neque nomen compositorum, neque quo Anselmo ar-chiepiscopo facta sit, cum plures fuerint. Sed versus quidam scriptoris ip-sius codicis vercellensis librum Athoni episcopo vercellensi donatum indi-care videntur, qui Atho fuit circiter annum D. 950. Ita compositus est liberante alios memoratos Burchardi, et ceterorum, nam et compositores illiusin ea praefatione solos Decretorum collectores ante se memorant

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innoltre, adattando le leggi a' casi particolari, proposevarie cause, e mostrò in qual modo potean trattarsi, alle-gando i canoni o favorevoli, o contrarj ad esse. L'ideanon potea esser migliore; l'enumerazione de' fonti (perusar le parole di un'opera a cui non si darà, io credo, lataccia di troppo pregiudicata a favor delle cose ecclesia-stiche) di cui si vale Graziano, mostra ch'egli era un de'più dotti uomini del suo tempo (Encyclop. t. 4 art. De-cret.). Egli è certo ciò non ostante che nell'opera di Gra-ziano trovansi errori e inesattezze in gran numero. Lefalse Decretali vi si veggon recate come autentici monu-menti: vi si veggon canoni supposti, o attribuiti ad autoridi cui non sono; vi si citano Opere di ss. Padri, che sihanno comunemente in conto di supposte. In somma labuona critica non ha troppo di parte in questa compila-zione. Ma qual maraviglia? In un tempo in cui sì scarsierano e sì guasti gli esemplari de' libri, e in cui niun du-bitava della autenticità delle antiche Decretali, e delleOpere de' ss. Padri, che or si han per supposte, come po-teva Graziano schivar tali errori? L'autor francese del

Ferrandum et Cresconium". Il codice conservasi ancora, e ne ragiona l'edi-tore della Opera di Attone, ed ora degnissimo vescovo di Acqui, monsig.Carlo del Signore de' conti di Buronzo da me altre volte lodato, nella pre-fazione alle Opere stesse. È certo dunque che dopo i tempi di Regempertopassò questo codice nell'archivio della chiesa vercellese, e potè il copistaaggiugnervi la lettera di quel vescovo, senza ch'egli avesse parte in quellaCollezione. Crede innoltre il sig. ab. Zaccaria che forse un'altra copia diquesta Collezione esista nella biblioteca ambrosiana in Milano. Ma il ch.dott. Gaetano Bugati uno de' dotti del collegio ambrosiano, a cui debbo lanotizia del passo sopra recato del monsig. Bascapè, mi ha assicuratoch'essa non vi si trova.

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innoltre, adattando le leggi a' casi particolari, proposevarie cause, e mostrò in qual modo potean trattarsi, alle-gando i canoni o favorevoli, o contrarj ad esse. L'ideanon potea esser migliore; l'enumerazione de' fonti (perusar le parole di un'opera a cui non si darà, io credo, lataccia di troppo pregiudicata a favor delle cose ecclesia-stiche) di cui si vale Graziano, mostra ch'egli era un de'più dotti uomini del suo tempo (Encyclop. t. 4 art. De-cret.). Egli è certo ciò non ostante che nell'opera di Gra-ziano trovansi errori e inesattezze in gran numero. Lefalse Decretali vi si veggon recate come autentici monu-menti: vi si veggon canoni supposti, o attribuiti ad autoridi cui non sono; vi si citano Opere di ss. Padri, che sihanno comunemente in conto di supposte. In somma labuona critica non ha troppo di parte in questa compila-zione. Ma qual maraviglia? In un tempo in cui sì scarsierano e sì guasti gli esemplari de' libri, e in cui niun du-bitava della autenticità delle antiche Decretali, e delleOpere de' ss. Padri, che or si han per supposte, come po-teva Graziano schivar tali errori? L'autor francese del

Ferrandum et Cresconium". Il codice conservasi ancora, e ne ragiona l'edi-tore della Opera di Attone, ed ora degnissimo vescovo di Acqui, monsig.Carlo del Signore de' conti di Buronzo da me altre volte lodato, nella pre-fazione alle Opere stesse. È certo dunque che dopo i tempi di Regempertopassò questo codice nell'archivio della chiesa vercellese, e potè il copistaaggiugnervi la lettera di quel vescovo, senza ch'egli avesse parte in quellaCollezione. Crede innoltre il sig. ab. Zaccaria che forse un'altra copia diquesta Collezione esista nella biblioteca ambrosiana in Milano. Ma il ch.dott. Gaetano Bugati uno de' dotti del collegio ambrosiano, a cui debbo lanotizia del passo sopra recato del monsig. Bascapè, mi ha assicuratoch'essa non vi si trova.

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Dizionario degli Autori ecclesiastici, misero copiatoredi Dupin e di Racine, e che dà a Graziano il gentil nomedi moine ignorant, ci avrebbe egli data a quel secolo unamiglior collezione? E nondimeno Graziano non fu sem-plice compilatore, nè copiator servile. Egli corresse al-cuni errori in cui eran caduti i raccoglitori che l'aveanopreceduto, come mostrano, oltre più altri, il p. Sarti (p.269), e l'autore del sopraccennato articolo dell'Enciclo-pedia. Questi autori medesimi pruovano che la raccoltadi Graziano da lui intitolata Decreto, o secondo altriConcordia de' Canoni discordanti, non ebbe mail'approvazione espressa de' papi, la quale sol fu data alleposteriori Raccolte delle Decretali, di cui a suo luogo ra-gioneremo; e che a intraprender quest'opera ei non fu in-dotto da alcun comando o de' romani pontefici, o d'altriautorevoli personaggi. Ma benchè il Decreto di Grazia-no non ottenesse pubblica approvazione, fu nondimenoin ogni parte d'Europa accolto con sì gran plauso, chedivenne, per così dire, il Codice della ecclesiastica giuri-sprudenza; e da ogni parte sorsero interpreti e chiosato-ri, di alcuni dei quali parleremo noi pure. Per alcuni se-coli niuno ebbe ardire di rivocare in dubbio alcuni de'monumenti che da Graziano erano stati allegati. Madappoichè risorse tra noi lo studio della critica, si co-nobbe presto che molto vi era a correggere e ad emenda-re. Molti perciò intrapresero tal fatica nel XVI secolo, ecelebre è fra le altre la correzione fattane per ordine diGregorio XIII da teologi e da canonisti dottissimi inRoma. Ma perchè d'allora in poi nuove scoperte moltis-

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Dizionario degli Autori ecclesiastici, misero copiatoredi Dupin e di Racine, e che dà a Graziano il gentil nomedi moine ignorant, ci avrebbe egli data a quel secolo unamiglior collezione? E nondimeno Graziano non fu sem-plice compilatore, nè copiator servile. Egli corresse al-cuni errori in cui eran caduti i raccoglitori che l'aveanopreceduto, come mostrano, oltre più altri, il p. Sarti (p.269), e l'autore del sopraccennato articolo dell'Enciclo-pedia. Questi autori medesimi pruovano che la raccoltadi Graziano da lui intitolata Decreto, o secondo altriConcordia de' Canoni discordanti, non ebbe mail'approvazione espressa de' papi, la quale sol fu data alleposteriori Raccolte delle Decretali, di cui a suo luogo ra-gioneremo; e che a intraprender quest'opera ei non fu in-dotto da alcun comando o de' romani pontefici, o d'altriautorevoli personaggi. Ma benchè il Decreto di Grazia-no non ottenesse pubblica approvazione, fu nondimenoin ogni parte d'Europa accolto con sì gran plauso, chedivenne, per così dire, il Codice della ecclesiastica giuri-sprudenza; e da ogni parte sorsero interpreti e chiosato-ri, di alcuni dei quali parleremo noi pure. Per alcuni se-coli niuno ebbe ardire di rivocare in dubbio alcuni de'monumenti che da Graziano erano stati allegati. Madappoichè risorse tra noi lo studio della critica, si co-nobbe presto che molto vi era a correggere e ad emenda-re. Molti perciò intrapresero tal fatica nel XVI secolo, ecelebre è fra le altre la correzione fattane per ordine diGregorio XIII da teologi e da canonisti dottissimi inRoma. Ma perchè d'allora in poi nuove scoperte moltis-

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sime si sono fatte, e si van facendo ognora, nuovi erroriancora si sono scoperti nel Decreto di Graziano; ed altrecorrezioni perciò si son pubblicate, tra le quali io accen-nerò solo quella assai pregevole fatta e pubblicata in To-rino l'an. 1752 dal dottiss. avv. Carlo Sebastiano Berar-di. Le quali fatiche di tanti eruditi uomini intorno a Gra-ziano sono una chiarissima pruova del merito dell'operada lui ideata. Io lascio di trattare di più altre quistioniche alcuni han mosse intorno a quest'opera, cioè se essafosse prima abbozzata da altri, come ha scritto Albericomonaco (Ap. Leibnit. Access. hist. t. 2. p. 328); se essasia stata guasta o interpolata, sicchè più non abbiamo ilvero testo di essa, qual da Graziano fu scritto, come haaffermato un cotal Diomede Brava (seppur non è questoun nome da altri finto per occultarsi) in una dissertazio-ne pubblicata l'an. 1694, e seguito poi da più altri autori,e somiglianti altre ricerche che mi condurrebbontropp'oltre, e nelle quali io non potrei aggiugnere cosaalcuna a ciò che ne ha scritto il diligentiss. p. Sarti, ilquale ancora ha confutate con evidenza e con forza leaccuse che da molti si danno a Graziano, benchè eglipure non neghi ciò che niun uomo di senno, potrà nega-re giammai, che in molti errori non sia egli caduto nelcompilar la sua opera.

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sime si sono fatte, e si van facendo ognora, nuovi erroriancora si sono scoperti nel Decreto di Graziano; ed altrecorrezioni perciò si son pubblicate, tra le quali io accen-nerò solo quella assai pregevole fatta e pubblicata in To-rino l'an. 1752 dal dottiss. avv. Carlo Sebastiano Berar-di. Le quali fatiche di tanti eruditi uomini intorno a Gra-ziano sono una chiarissima pruova del merito dell'operada lui ideata. Io lascio di trattare di più altre quistioniche alcuni han mosse intorno a quest'opera, cioè se essafosse prima abbozzata da altri, come ha scritto Albericomonaco (Ap. Leibnit. Access. hist. t. 2. p. 328); se essasia stata guasta o interpolata, sicchè più non abbiamo ilvero testo di essa, qual da Graziano fu scritto, come haaffermato un cotal Diomede Brava (seppur non è questoun nome da altri finto per occultarsi) in una dissertazio-ne pubblicata l'an. 1694, e seguito poi da più altri autori,e somiglianti altre ricerche che mi condurrebbontropp'oltre, e nelle quali io non potrei aggiugnere cosaalcuna a ciò che ne ha scritto il diligentiss. p. Sarti, ilquale ancora ha confutate con evidenza e con forza leaccuse che da molti si danno a Graziano, benchè eglipure non neghi ciò che niun uomo di senno, potrà nega-re giammai, che in molti errori non sia egli caduto nelcompilar la sua opera.

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XXXVII. Era appena uscito alla luce il De-creto di Graziano, e tosto vidersi molti ac-cingersi a chiosarlo e ad interpretarlo. Inomi de' più antichi confessa il p. Sarti (l. c.p. 280) che son periti, e solo osserva (p.

286) che nelle carte della chiesa di Bologna a questitempi si veggon molti canonici onorati col titolo di mae-stri, e che perciò è probabile ch'essi ivi tenessero scuolao di teologia, o di canoni. Il più antico tra i discepoli egl'interpreti di Graziano è un cotal Pocapaglia, nomeche crederebbesi finto a capriccio, se non si vedesseespresso in un antico codice della biblioteca casanaten-se, e nel Compendio dell'opera di Graziano fatto da Si-cardo vescovo di Cremona, che forse gli era stato disce-polo, di cui conservasi un antico codice nella Vaticana(Sartius l. c. p. 281). In amendue si nomina questo inter-prete col nome latino Paucapalea: e nel primo codice sidice innoltre, che que' canoni che veggonsi qua e là ag-giunti a Graziano, e intitolati Paleae, della qual denomi-nazione sì diverse cose hanno scritto diversi autori, era-no così detti dal nome di quegli che aveali aggiunti, cioèdi Pocapaglia. Queste Paglie però non veggonsi, comeosserva il medesimo p. Sarti, in alcuni più antichi codicidi Graziano, il che ci mostra ch'esse non ottennero maiquella stima e quella considerazione medesima cheaveasi per l'opera di Graziano. Ma di questo, chiunqueegli si fosse, interprete e accrescritor di Graziano nonabbiamo altra notizia.

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Antichi in-terpreti diGraziano:Pocapaglia.

XXXVII. Era appena uscito alla luce il De-creto di Graziano, e tosto vidersi molti ac-cingersi a chiosarlo e ad interpretarlo. Inomi de' più antichi confessa il p. Sarti (l. c.p. 280) che son periti, e solo osserva (p.

286) che nelle carte della chiesa di Bologna a questitempi si veggon molti canonici onorati col titolo di mae-stri, e che perciò è probabile ch'essi ivi tenessero scuolao di teologia, o di canoni. Il più antico tra i discepoli egl'interpreti di Graziano è un cotal Pocapaglia, nomeche crederebbesi finto a capriccio, se non si vedesseespresso in un antico codice della biblioteca casanaten-se, e nel Compendio dell'opera di Graziano fatto da Si-cardo vescovo di Cremona, che forse gli era stato disce-polo, di cui conservasi un antico codice nella Vaticana(Sartius l. c. p. 281). In amendue si nomina questo inter-prete col nome latino Paucapalea: e nel primo codice sidice innoltre, che que' canoni che veggonsi qua e là ag-giunti a Graziano, e intitolati Paleae, della qual denomi-nazione sì diverse cose hanno scritto diversi autori, era-no così detti dal nome di quegli che aveali aggiunti, cioèdi Pocapaglia. Queste Paglie però non veggonsi, comeosserva il medesimo p. Sarti, in alcuni più antichi codicidi Graziano, il che ci mostra ch'esse non ottennero maiquella stima e quella considerazione medesima cheaveasi per l'opera di Graziano. Ma di questo, chiunqueegli si fosse, interprete e accrescritor di Graziano nonabbiamo altra notizia.

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Antichi in-terpreti diGraziano:Pocapaglia.

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XXXVIII. Poche memorie ancora ci son ri-maste di Ognibene, detto latinamente Omni-bonus, ch'è quel desso di cui il sopraccitatomonaco Alberico lasciò scritto, che prima diGraziano avea fatta un'ampia Raccolta diCanoni, di cui questi poscia erasi opportu-namente giovato. Il p. Sarti ha confutata

egregiamente questa opinione (p. 268, 282), mostrandoche Alberico ha confuso il monaco Graziano con Gra-ziano cardinale verso il principio del XIII secolo. Di fat-to Roberto dal Monte scrittore assai più degno di fede,dice, (Access. ad Sigebert. ad an. 1136) che Ognibenefece un Compendio dell'opera di Graziano, di cui erastato discepolo. Quindi congetturasi dal p. Sarti che que-sti fosse il primo successor di Graziano nella cattedradel diritto canonico, e che a lui poscia succedesse Uguc-cione vescovo di Ferrara, di cui parleremo nel tomo se-guente. Ciò ch'è certo, si è che Ognibene fu poi elettovescovo di Verona, e tenne quella sede, secondol'Ughelli, dal 1157 fino al 1185. Io lascio di parlare dialcuni altri interpreti di Graziano rammentati dal p. Sar-ti, che vissero a quest'epoca, perchè non vi ha alcuno traessi, di cui sia molto celebre il nome. Solo a gloriadell'università di Bologna dobbiamo aggiugnere che perquesti studj si vede accrescere ad essa il concorso deglistranieri d'ogni nazione. Io accennerò i nomi di alcunitra loro, de' quali il p. Sarti ragiona più ampiamente, ba-standomi darne alla sfuggita una qualunque idea perporre fine una volta a questo capo, in cui ci siam forse

347

Ognibene ed altri: concorso distranieri a Bologna per tale stu-dio.

XXXVIII. Poche memorie ancora ci son ri-maste di Ognibene, detto latinamente Omni-bonus, ch'è quel desso di cui il sopraccitatomonaco Alberico lasciò scritto, che prima diGraziano avea fatta un'ampia Raccolta diCanoni, di cui questi poscia erasi opportu-namente giovato. Il p. Sarti ha confutata

egregiamente questa opinione (p. 268, 282), mostrandoche Alberico ha confuso il monaco Graziano con Gra-ziano cardinale verso il principio del XIII secolo. Di fat-to Roberto dal Monte scrittore assai più degno di fede,dice, (Access. ad Sigebert. ad an. 1136) che Ognibenefece un Compendio dell'opera di Graziano, di cui erastato discepolo. Quindi congetturasi dal p. Sarti che que-sti fosse il primo successor di Graziano nella cattedradel diritto canonico, e che a lui poscia succedesse Uguc-cione vescovo di Ferrara, di cui parleremo nel tomo se-guente. Ciò ch'è certo, si è che Ognibene fu poi elettovescovo di Verona, e tenne quella sede, secondol'Ughelli, dal 1157 fino al 1185. Io lascio di parlare dialcuni altri interpreti di Graziano rammentati dal p. Sar-ti, che vissero a quest'epoca, perchè non vi ha alcuno traessi, di cui sia molto celebre il nome. Solo a gloriadell'università di Bologna dobbiamo aggiugnere che perquesti studj si vede accrescere ad essa il concorso deglistranieri d'ogni nazione. Io accennerò i nomi di alcunitra loro, de' quali il p. Sarti ragiona più ampiamente, ba-standomi darne alla sfuggita una qualunque idea perporre fine una volta a questo capo, in cui ci siam forse

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Ognibene ed altri: concorso distranieri a Bologna per tale stu-dio.

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trattenuti oltre al dovere. Tali furono dunque un canoni-co di Londra (p. 285, ec.), in favore di cui abbiamo piùlettere di Alessandro III al re d'Inghilterra, nelle qualiperò non se n'esprime il nome che colla lettera inizialeD, Giovanni e Pietro amendue spagnuoli, che ivi furononon sol discepoli, ma professori e interpreti delle Leggicanoniche, Stefano vescovo di Tournay, e Eraclio arci-vescovo prima di Cesarea, e poscia patriarca di Gerusa-lemme, oltre più altri che da diverse città d'Italia colà sierano recati per tali studj.

XXXIX. Mentre l'opera di Graziano conplauso sì universale si spargeva per ogniparte, un'altra Raccolta di Canoni fu compi-lata, il cui originale conservasi manoscrittonella biblioteca de' canoni della basilica va-ticana. Dal codice stesso raccogliesi che ne

fu autore il card. Laborante natìo di Pontormo in Tosca-na, ch'egli era già stato per motivo di studio in Francia,che 20 anni impiegò in tale fatica, a cui diè fine l'an.1182, e che indirizzolla a Pietro vescovo di Pamplona.Intorno al qual codice veggansi il p. Negri (Scritt. fio-rent. p. 342) e il p. Sarti (l. c. p. 248). Il primo di questiannovera ancora più altre opere di questo cardinale, chesi citano ancor dal Fabricio (Bibl. lat. med. et inf. aet. t.4, p. 226). Alcuni pensano ch'ei fosse detto Laborantedalle continue fatiche che ei solea far negli studj. Maparmi strano che, se questo non era che un soprannome,

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Raccolte di Canoni del card. Labo-rante e del card. Albi-no.

trattenuti oltre al dovere. Tali furono dunque un canoni-co di Londra (p. 285, ec.), in favore di cui abbiamo piùlettere di Alessandro III al re d'Inghilterra, nelle qualiperò non se n'esprime il nome che colla lettera inizialeD, Giovanni e Pietro amendue spagnuoli, che ivi furononon sol discepoli, ma professori e interpreti delle Leggicanoniche, Stefano vescovo di Tournay, e Eraclio arci-vescovo prima di Cesarea, e poscia patriarca di Gerusa-lemme, oltre più altri che da diverse città d'Italia colà sierano recati per tali studj.

XXXIX. Mentre l'opera di Graziano conplauso sì universale si spargeva per ogniparte, un'altra Raccolta di Canoni fu compi-lata, il cui originale conservasi manoscrittonella biblioteca de' canoni della basilica va-ticana. Dal codice stesso raccogliesi che ne

fu autore il card. Laborante natìo di Pontormo in Tosca-na, ch'egli era già stato per motivo di studio in Francia,che 20 anni impiegò in tale fatica, a cui diè fine l'an.1182, e che indirizzolla a Pietro vescovo di Pamplona.Intorno al qual codice veggansi il p. Negri (Scritt. fio-rent. p. 342) e il p. Sarti (l. c. p. 248). Il primo di questiannovera ancora più altre opere di questo cardinale, chesi citano ancor dal Fabricio (Bibl. lat. med. et inf. aet. t.4, p. 226). Alcuni pensano ch'ei fosse detto Laborantedalle continue fatiche che ei solea far negli studj. Maparmi strano che, se questo non era che un soprannome,

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Raccolte di Canoni del card. Labo-rante e del card. Albi-no.

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egli con questo appunto, e con questo solo, s'intitolasseda se medesimo nel mentovato codice. Un'altra Colle-zione di Canoni conservasi nella biblioteca vaticana,come afferma l'Oudin (De Script. eccl. vol. 2, p. 1581),fatta circa l'an. 1180 da Albino canonico regolare e mi-lanese di patria, e l'an. 1182 onorato della dignità di car-dinale. Ma niuna di queste Raccolte ottenne gran nomee quella di Graziano oscurò quelle non meno che l'avea-no preceduta, che quelle che venner dopo.

XL. Alle Collezioni de' Canoni si aggiun-ser poi quelle delle Decretali che si anda-vano successivamente promulgando da' ro-mani pontefici. Ma perchè la prima e lapiù antica tra esse non fu pubblicata che

verso l'an. 1190, noi ci riserberemo a parlarne nel tomoquarto di questa Storia. Qui prima di conchiudere ciòche appartiene alla letteratura italiana di questi due se-coli, e del XII singolarmente, io non debbo passare sottosilenzio il detto di uno de' più eruditi tra gli scrittorifrancesi; ma che in questa occasione si è lasciato cieca-mente condurre o della brama di esaltare le glorie dellasua nazione, o da una troppo sfavorevole prevenzionecontro la nostra Italia. Parlo di monsig. Huet il quale, ra-gionando di questi tempi medesimi, dice (De l'Orig. desRomans p. 153, ec. éd. Amst. 1693) che l'Italia si giace-va nella più profonda ignoranza, che benchè animatadall'esempio de' suoi vicini non ebbe che scarso numero

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Epilogo: con-futazione di un detto di monsig. Huet.

egli con questo appunto, e con questo solo, s'intitolasseda se medesimo nel mentovato codice. Un'altra Colle-zione di Canoni conservasi nella biblioteca vaticana,come afferma l'Oudin (De Script. eccl. vol. 2, p. 1581),fatta circa l'an. 1180 da Albino canonico regolare e mi-lanese di patria, e l'an. 1182 onorato della dignità di car-dinale. Ma niuna di queste Raccolte ottenne gran nomee quella di Graziano oscurò quelle non meno che l'avea-no preceduta, che quelle che venner dopo.

XL. Alle Collezioni de' Canoni si aggiun-ser poi quelle delle Decretali che si anda-vano successivamente promulgando da' ro-mani pontefici. Ma perchè la prima e lapiù antica tra esse non fu pubblicata che

verso l'an. 1190, noi ci riserberemo a parlarne nel tomoquarto di questa Storia. Qui prima di conchiudere ciòche appartiene alla letteratura italiana di questi due se-coli, e del XII singolarmente, io non debbo passare sottosilenzio il detto di uno de' più eruditi tra gli scrittorifrancesi; ma che in questa occasione si è lasciato cieca-mente condurre o della brama di esaltare le glorie dellasua nazione, o da una troppo sfavorevole prevenzionecontro la nostra Italia. Parlo di monsig. Huet il quale, ra-gionando di questi tempi medesimi, dice (De l'Orig. desRomans p. 153, ec. éd. Amst. 1693) che l'Italia si giace-va nella più profonda ignoranza, che benchè animatadall'esempio de' suoi vicini non ebbe che scarso numero

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Epilogo: con-futazione di un detto di monsig. Huet.

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di scrittori, e che coloro tra gl'italiani che volean pureavere qualche tintura di lettere andavano all'università diParigi. Io non entrerò a fare confronti; maniera di confu-tare inutile, perchè mai non convince il prevenuto av-versario, e pericolosa, perchè sempre l'offende. Ma soloio prego chiunque può giudicare senza passione a riflet-tere attentamente a ciò che finora in questo libro mede-simo abbiamo esposto. Abbiam veduti parecchi Italianipassare in Francia e richiamarvi, per così dire, a vita lescienze sacre, e abbiam recato le testimonianze de' me-desimi scrittori francesi antichi e moderni, che si uni-scono in conceder loro tal vanto. Lo stesso abbiam ve-duto da loro concedersi per riguardo alla filosofia, sin-golarmente alla dialettica e alla metafisica che secondoessi dee il suo risorgimento più che ad ogn'altro a Lan-franco e a s. Anselmo. Abbiam veduti più Italiani colti-var felicemente la lingua greca, e darne non dispregevo-li saggi; taluno ancora rivolgersi allo studio della linguaarabica, e da essa recare in latino non pochi libri. Ab-biam veduti gli studj tutti d'ogni maniera coltivati in Ita-lia con successo meno infelice di quello che in tempi co-tanto calamitosi potesse aspettarsi, e alcuni dei nostririempier della fama del loro nome la corte medesima diCostantinopoli. Una celebre scuola di medicina abbiamveduto sorger tra noi, e col suo esempio eccitare le altrenazioni a non più trascurare un'arte sì vantaggiosa. Ab-biam veduto per ultimo lo studio delle civili non menoche delle canoniche leggi rifiorire in Italia fra gli ap-plausi del mondo tutto; stranieri d'ogni provincia affol-

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di scrittori, e che coloro tra gl'italiani che volean pureavere qualche tintura di lettere andavano all'università diParigi. Io non entrerò a fare confronti; maniera di confu-tare inutile, perchè mai non convince il prevenuto av-versario, e pericolosa, perchè sempre l'offende. Ma soloio prego chiunque può giudicare senza passione a riflet-tere attentamente a ciò che finora in questo libro mede-simo abbiamo esposto. Abbiam veduti parecchi Italianipassare in Francia e richiamarvi, per così dire, a vita lescienze sacre, e abbiam recato le testimonianze de' me-desimi scrittori francesi antichi e moderni, che si uni-scono in conceder loro tal vanto. Lo stesso abbiam ve-duto da loro concedersi per riguardo alla filosofia, sin-golarmente alla dialettica e alla metafisica che secondoessi dee il suo risorgimento più che ad ogn'altro a Lan-franco e a s. Anselmo. Abbiam veduti più Italiani colti-var felicemente la lingua greca, e darne non dispregevo-li saggi; taluno ancora rivolgersi allo studio della linguaarabica, e da essa recare in latino non pochi libri. Ab-biam veduti gli studj tutti d'ogni maniera coltivati in Ita-lia con successo meno infelice di quello che in tempi co-tanto calamitosi potesse aspettarsi, e alcuni dei nostririempier della fama del loro nome la corte medesima diCostantinopoli. Una celebre scuola di medicina abbiamveduto sorger tra noi, e col suo esempio eccitare le altrenazioni a non più trascurare un'arte sì vantaggiosa. Ab-biam veduto per ultimo lo studio delle civili non menoche delle canoniche leggi rifiorire in Italia fra gli ap-plausi del mondo tutto; stranieri d'ogni provincia affol-

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larsi a Bologna per esservi in esse istruiti; di là chiamatiin Francia e in Inghilterra famosi giureconsulti, o a in-trodurvi, o a riformarvi la giurisprudenza. Dopo tuttociò, io lascio che ognun giudichi per se medesimo, qualfede si debba a chi ci parla della letteratura italiana diquesti secoli in sì ingiuriosa e sì sprezzante maniera.

CAPO VIII.Arti liberali.

I. Le memorie ne' precedenti libri da noiraccolte ci hanno ad evidenza mostrato chefalsamente si è creduto e scritto da moltiche le arti liberali, e la pittura singolarmen-te, fossero ne' bassi tempi in Italia trascurateper modo, che non vi fosse alcuno che eser-

citar le sapesse. Or ci conviene continuarne le pruove, eribattere insieme il più forte, o anzi l'unico argomento acui questa opinione era appoggiata. Anche in questi duesecoli troviam pitture fatte in Italia, e le cronache de'monasteri ce ne fanno certissima testimonianza. In quel-la del monastero di Cava pubblicata dal Pratillo (Hist.Princ. Langob. vol. 4, p. 449) si narra che la chiesa diesso l'an. 1082 per opera dell'abate fu rinnovata, e dimusaici vagamente adornata. Di Grimoaldo abate delmonastero di Casauria al principio del XII secolo leg-giam nella Cronaca del medesimo monastero data allaluce dal Muratori (Script. rer. ital. t. 2, pars 2, p. 887),

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Pittura esercitata indiversi mo-nasteri in questi due secoli.

larsi a Bologna per esservi in esse istruiti; di là chiamatiin Francia e in Inghilterra famosi giureconsulti, o a in-trodurvi, o a riformarvi la giurisprudenza. Dopo tuttociò, io lascio che ognun giudichi per se medesimo, qualfede si debba a chi ci parla della letteratura italiana diquesti secoli in sì ingiuriosa e sì sprezzante maniera.

CAPO VIII.Arti liberali.

I. Le memorie ne' precedenti libri da noiraccolte ci hanno ad evidenza mostrato chefalsamente si è creduto e scritto da moltiche le arti liberali, e la pittura singolarmen-te, fossero ne' bassi tempi in Italia trascurateper modo, che non vi fosse alcuno che eser-

citar le sapesse. Or ci conviene continuarne le pruove, eribattere insieme il più forte, o anzi l'unico argomento acui questa opinione era appoggiata. Anche in questi duesecoli troviam pitture fatte in Italia, e le cronache de'monasteri ce ne fanno certissima testimonianza. In quel-la del monastero di Cava pubblicata dal Pratillo (Hist.Princ. Langob. vol. 4, p. 449) si narra che la chiesa diesso l'an. 1082 per opera dell'abate fu rinnovata, e dimusaici vagamente adornata. Di Grimoaldo abate delmonastero di Casauria al principio del XII secolo leg-giam nella Cronaca del medesimo monastero data allaluce dal Muratori (Script. rer. ital. t. 2, pars 2, p. 887),

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Pittura esercitata indiversi mo-nasteri in questi due secoli.

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che ornò di molte pitture le stanze ov'egli abitava. Versoil medesimo tempo Giovanni abate del monastero di Su-biaco fece dipingere una chiesa in onor della VergineMadre di Dio per comando di lui fabbricata (ib. vol. 24,p. 937). Ma più che altrove frequente menzion di pitturetroviamo nella Cronaca di Monte Casino scritta da Leonostiense detto ancor marsicano, e continuata da Pietrodiacono, perciocchè ivi nominatamente si esprimonoquelle di cui adornarono quel monastero e le pertinenzedi esso nel sec. XI il monaco Liuzio (l. 2, c. 30), e gliabati Atenolfo (ib. c. 32), Teobaldo (ib. c. 51, 52), Desi-derio (ib. l. 3, c. 11, 20), e Oderisio (ib. l. 4, c. 4). E se laCronaca del monastero medesimo fosse stata continuataancora per tutto il sec. XII e ne' seguenti, noi troverem-mo certo altre pruove a convincerci che la pittura fucontinuamente esercitata.

II. Ma ella è appunto la Cronaca di questomonastero, che ha indotto molti a pensareche gl'Italiani avessero per più secoli trascu-rate interamente le arti liberali. Il passo su

cui quest'opinione è fondata, appartiene a quest'epoca, ea questo luogo perciò dobbiam ragionarne. Leon marsi-cano adunque, dopo avere descritto il vasto e magnificotempio che l'abate Desiderio che fu poi papa col nomedi Vittore III, avea fatto innalzare in Monte Casino, cosìprosiegue: "Legatos interea Constantinopolim ad locan-dos artifices destinat, peritos utique in arte musiaria et

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Esame del celebre pas-so di Leoneostiense.

che ornò di molte pitture le stanze ov'egli abitava. Versoil medesimo tempo Giovanni abate del monastero di Su-biaco fece dipingere una chiesa in onor della VergineMadre di Dio per comando di lui fabbricata (ib. vol. 24,p. 937). Ma più che altrove frequente menzion di pitturetroviamo nella Cronaca di Monte Casino scritta da Leonostiense detto ancor marsicano, e continuata da Pietrodiacono, perciocchè ivi nominatamente si esprimonoquelle di cui adornarono quel monastero e le pertinenzedi esso nel sec. XI il monaco Liuzio (l. 2, c. 30), e gliabati Atenolfo (ib. c. 32), Teobaldo (ib. c. 51, 52), Desi-derio (ib. l. 3, c. 11, 20), e Oderisio (ib. l. 4, c. 4). E se laCronaca del monastero medesimo fosse stata continuataancora per tutto il sec. XII e ne' seguenti, noi troverem-mo certo altre pruove a convincerci che la pittura fucontinuamente esercitata.

II. Ma ella è appunto la Cronaca di questomonastero, che ha indotto molti a pensareche gl'Italiani avessero per più secoli trascu-rate interamente le arti liberali. Il passo su

cui quest'opinione è fondata, appartiene a quest'epoca, ea questo luogo perciò dobbiam ragionarne. Leon marsi-cano adunque, dopo avere descritto il vasto e magnificotempio che l'abate Desiderio che fu poi papa col nomedi Vittore III, avea fatto innalzare in Monte Casino, cosìprosiegue: "Legatos interea Constantinopolim ad locan-dos artifices destinat, peritos utique in arte musiaria et

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Esame del celebre pas-so di Leoneostiense.

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quadrataria, ex quibus videlicet alii absidam et arcumatque vestibulum majoris Basilicae musivo comerent,alii vero totius Ecclesiae pavimentum diversorum lapi-dum varietate consternerent. (ib. l. 3, c. 29)". Quindidopo avere narrato con qual finezza e maestria di lavoroeseguissero i greci artefici l'incarico loro addossato,conchiude: "Et quoniam artium istarum ingenium aquingentis et ultra jam annis magistra latinitas intermi-serat, et studio hujus, inspirante et cooperante Deo no-stro, hoc tempore recuperare promeruit, ne sane id ultraItalia deperiret, studuit vir totius prudentiae prelosquede monasterii pueris eiusdem artibus erudiri". Or ch'èciò finalmente che qui ci narra Leone? Che Desiderio daCostantinopoli fece venire periti artefici: ma in qual arteperiti? in arte musiaria et quadrataria; cioè, comeognuno intende, nel lavorare i musaici e i pavimenti in-tarsiati a marmi di varj colori. Qui di pittura non si famotto. Anzi al fine del capo medesimo Leone rammentaancor le pitture di cui Desiderio ornò quel tempio, e nondice ch'esse parimente fosser lavoro de Greci. Quindiancorchè le parole di questo storico si sogliano intende-re nel senso più rigoroso, al più dovremo concedere chepe' musaici e pavimenti intarsiati fossero da Costantino-poli chiamati i Greci; che quest'arte fosse interamente dacinquecento e più anni dimenticata in Italia; e che essavi risorgesse per opera di Desiderio il quale volle chemolti de' suoi monaci ne fossero istruiti, ma non prove-rassi mai colle parole allegate, che di pitture non si

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quadrataria, ex quibus videlicet alii absidam et arcumatque vestibulum majoris Basilicae musivo comerent,alii vero totius Ecclesiae pavimentum diversorum lapi-dum varietate consternerent. (ib. l. 3, c. 29)". Quindidopo avere narrato con qual finezza e maestria di lavoroeseguissero i greci artefici l'incarico loro addossato,conchiude: "Et quoniam artium istarum ingenium aquingentis et ultra jam annis magistra latinitas intermi-serat, et studio hujus, inspirante et cooperante Deo no-stro, hoc tempore recuperare promeruit, ne sane id ultraItalia deperiret, studuit vir totius prudentiae prelosquede monasterii pueris eiusdem artibus erudiri". Or ch'èciò finalmente che qui ci narra Leone? Che Desiderio daCostantinopoli fece venire periti artefici: ma in qual arteperiti? in arte musiaria et quadrataria; cioè, comeognuno intende, nel lavorare i musaici e i pavimenti in-tarsiati a marmi di varj colori. Qui di pittura non si famotto. Anzi al fine del capo medesimo Leone rammentaancor le pitture di cui Desiderio ornò quel tempio, e nondice ch'esse parimente fosser lavoro de Greci. Quindiancorchè le parole di questo storico si sogliano intende-re nel senso più rigoroso, al più dovremo concedere chepe' musaici e pavimenti intarsiati fossero da Costantino-poli chiamati i Greci; che quest'arte fosse interamente dacinquecento e più anni dimenticata in Italia; e che essavi risorgesse per opera di Desiderio il quale volle chemolti de' suoi monaci ne fossero istruiti, ma non prove-rassi mai colle parole allegate, che di pitture non si

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avesse più idea alcuna in Italia(44).

II. Benchè anche per riguardo a' musaici,tanti ne abbiam veduti ne' secoli scorsi, iquali non v'ha indicio a provare che fosseropera di greci artefici, che io sospetto diqualche esagerazione nel passo arrecato; e

che Leone non abbia steso anche ad essi senza giusta ra-gione ciò che forse de' soli pavimenti intarsiati dovea af-fermare. Questi in fatti io penso che fosser comunemen-te lavoro de' Greci, e il congetturo dal passo medesimo,che ho poc'anzi accennato, della Cronaca del monasterodi Cava, ove dopo aver detto che quell'abate fece ador-

44 In un tratto inedito della Conoscenza delle pitture di Giulio Mancini sane-se, che si conserva nella libreria Nani in Venezia, e di cui ci ha dato un di-ligente estratto il ch. sig. c. Jacopo Morelli, mio amico, e a cui molto deequesta mia Storia, si fa menzione di una pittura di Guido e di Pietrolinopittori fatta tra 'l 1110, e 'l 1120, che vedesi nella Tribuna de' ss. quattroCoronati di Roma, nuovo argomento a provare la non mai interrotta conti-nuazione della pittura in Italia (Codici MSS. della Libr. Nani p. 26, ec.).Alle congetture poi da me recate a provare che non tutti i musaici de' bassitempi furon lavoro de' Greci, deesi aggiugnere l'iscrizion del mosaico fattol'an. 1141 nella cattedral di Trevigi da un certo Uberto, nome certamentenon greco. Essa è stata pubblicata dal card. Furietti nella sua bell'opera deiMusaici; e poscia più correttamente del ch. sig. con. Rambaldo degli Az-zoni Avogaro canonico della stessa chiesa (Mem. per servire all'Istor.Letter. t. 3, par. 5, p. 65, ec.). "A' musaici dei bassi secoli debbonsi ancheaggiugner quelli della cappella di s. Pietro nel real palazzo di Palermo, del-la chiesa della Martorana, e della cattedrale di Monreale in Sicilia, de' qua-li come di opere d'insigne e maraviglioso lavoro e tuttor sussistenti parlal'eruditiss. sig. d. Francesco Daniele regio storiografo, il qual però inclinaa credere che Greci ne fusser gli artefici (I Regali Sepolcri del duomo diPalermo p. 64)".

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Anche i musaici parche fossero lavoro degliItaliani.

avesse più idea alcuna in Italia(44).

II. Benchè anche per riguardo a' musaici,tanti ne abbiam veduti ne' secoli scorsi, iquali non v'ha indicio a provare che fosseropera di greci artefici, che io sospetto diqualche esagerazione nel passo arrecato; e

che Leone non abbia steso anche ad essi senza giusta ra-gione ciò che forse de' soli pavimenti intarsiati dovea af-fermare. Questi in fatti io penso che fosser comunemen-te lavoro de' Greci, e il congetturo dal passo medesimo,che ho poc'anzi accennato, della Cronaca del monasterodi Cava, ove dopo aver detto che quell'abate fece ador-

44 In un tratto inedito della Conoscenza delle pitture di Giulio Mancini sane-se, che si conserva nella libreria Nani in Venezia, e di cui ci ha dato un di-ligente estratto il ch. sig. c. Jacopo Morelli, mio amico, e a cui molto deequesta mia Storia, si fa menzione di una pittura di Guido e di Pietrolinopittori fatta tra 'l 1110, e 'l 1120, che vedesi nella Tribuna de' ss. quattroCoronati di Roma, nuovo argomento a provare la non mai interrotta conti-nuazione della pittura in Italia (Codici MSS. della Libr. Nani p. 26, ec.).Alle congetture poi da me recate a provare che non tutti i musaici de' bassitempi furon lavoro de' Greci, deesi aggiugnere l'iscrizion del mosaico fattol'an. 1141 nella cattedral di Trevigi da un certo Uberto, nome certamentenon greco. Essa è stata pubblicata dal card. Furietti nella sua bell'opera deiMusaici; e poscia più correttamente del ch. sig. con. Rambaldo degli Az-zoni Avogaro canonico della stessa chiesa (Mem. per servire all'Istor.Letter. t. 3, par. 5, p. 65, ec.). "A' musaici dei bassi secoli debbonsi ancheaggiugner quelli della cappella di s. Pietro nel real palazzo di Palermo, del-la chiesa della Martorana, e della cattedrale di Monreale in Sicilia, de' qua-li come di opere d'insigne e maraviglioso lavoro e tuttor sussistenti parlal'eruditiss. sig. d. Francesco Daniele regio storiografo, il qual però inclinaa credere che Greci ne fusser gli artefici (I Regali Sepolcri del duomo diPalermo p. 64)".

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Anche i musaici parche fossero lavoro degliItaliani.

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nar la chiesa di musaici e di pitture, si aggiugne: et no-vum fecit pavimentum opere graecanico, colla qualespressione ognun vede volersi qui indicare il pavimen-to intarsiato a marmi di diversi colori; e il dirsi questolavoro greco, sembra accennare che i Greci fossero ogl'inventori, o gli artefici ordinarj di tali ornamenti. E invero assai più frequente è nelle storie d'Italia de' Bassisecoli la menzion di musaici e di pitture, che non quelladi cotai pavimenti; il che ancora ci rende probabile chestranieri fosser comunemente coloro che in tali operes'impiegavano. Ma ancorchè ad ogni modo si volessecredere interamente a Leon marsicano, non mai potrassicoll'autorità della sua Cronaca dimostrate che la pitturafosse del tutto dimenticata in Italia.

IV. Se le Vite de' romani pontefici di questitempi fosser descritte con quella minutezzamedesima che veggiamo in quelle de' piùantichi, in esse ancora noi troveremmo non

poche pruove della pittura esercitata in Italia anche diquesti tempi. Ma gli scrittori di esse, rivolti per lo piùalle sole più importanti vicende del loro pontificato, nonfuron molto solleciti di tramandarci la memoria di talicose, che troppo picciole saranno loro sembrate per es-servi inserite. Non ce ne manca ciò non ostante qualcheesempio. Alcune pitture fatte per comando di Callisto II,si accennano da Pandolfo pisano (Script. rer. ital. t. 3,pars 1, p. 419). E dello stesso pontefice si racconta (Ba-

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Pitture fatteper coman-do de' papi.

nar la chiesa di musaici e di pitture, si aggiugne: et no-vum fecit pavimentum opere graecanico, colla qualespressione ognun vede volersi qui indicare il pavimen-to intarsiato a marmi di diversi colori; e il dirsi questolavoro greco, sembra accennare che i Greci fossero ogl'inventori, o gli artefici ordinarj di tali ornamenti. E invero assai più frequente è nelle storie d'Italia de' Bassisecoli la menzion di musaici e di pitture, che non quelladi cotai pavimenti; il che ancora ci rende probabile chestranieri fosser comunemente coloro che in tali operes'impiegavano. Ma ancorchè ad ogni modo si volessecredere interamente a Leon marsicano, non mai potrassicoll'autorità della sua Cronaca dimostrate che la pitturafosse del tutto dimenticata in Italia.

IV. Se le Vite de' romani pontefici di questitempi fosser descritte con quella minutezzamedesima che veggiamo in quelle de' piùantichi, in esse ancora noi troveremmo non

poche pruove della pittura esercitata in Italia anche diquesti tempi. Ma gli scrittori di esse, rivolti per lo piùalle sole più importanti vicende del loro pontificato, nonfuron molto solleciti di tramandarci la memoria di talicose, che troppo picciole saranno loro sembrate per es-servi inserite. Non ce ne manca ciò non ostante qualcheesempio. Alcune pitture fatte per comando di Callisto II,si accennano da Pandolfo pisano (Script. rer. ital. t. 3,pars 1, p. 419). E dello stesso pontefice si racconta (Ba-

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Pitture fatteper coman-do de' papi.

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luz. Miscell. t. 1, p. 417, ed. luc.) che avendo l'an. 1121avuto nelle mani l'antipapa Bordino, volle che un taleavvenimento fosse dipinto in una delle camere del Vati-cano. A' tempi ancora di Federigo Barbarossa e diAdriano IV vedeasi dipinto nel palazzo lateranense Lot-tario imperadore (che era probabilmente il secondo diquesto nome), e sotto esso due versi ch'esprimevano luiessersi soggettato al pontefice; di che Federigo fecegrandi doglianze collo stesso Adriano (Radevic. Fri-sing. l. 1, c. 10). Per ultimo di Clemente III leggiamoche avendo rifabbricato lo stesso palazzo lateranense, ilfece ornar di pitture (Ricubald. Ferrariens. in Hist. Pon-tif. Rom.). Il che, benchè non appartenga propriamente aquest'epoca, essendo stato Clemente III sollevato alla s.sede l'an. 1187, l'ho io nondimeno voluto qui accennare,per unire insieme ciò che appartiene alle arti di questidue secoli. A questi pontefici aggiugniamo Guglielmo redi Sicilia, che verso la metà del XII secolo, come narraRomualdo arcivescovo di Salerno (Script. rer. ital. vol.6, p. 207), adornò di maravigliosi musaici la cappella dis. Pietro, che aveva nel suo palazzo; nè si legge ch'egli atal fine si valesse di artefici greci.

V. Abbiam finora veduta esercitata di conti-nuo la pittura nella estrema parte d'Italia.Nell'altre provincie ancora ella non fu tra-scurata. Il march. Maffei fa menzione di unapittura fatta l'an. 1123 nel chiostro di s. Ze-

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Altre pittu-re: Luca pittor fio-rentino.

luz. Miscell. t. 1, p. 417, ed. luc.) che avendo l'an. 1121avuto nelle mani l'antipapa Bordino, volle che un taleavvenimento fosse dipinto in una delle camere del Vati-cano. A' tempi ancora di Federigo Barbarossa e diAdriano IV vedeasi dipinto nel palazzo lateranense Lot-tario imperadore (che era probabilmente il secondo diquesto nome), e sotto esso due versi ch'esprimevano luiessersi soggettato al pontefice; di che Federigo fecegrandi doglianze collo stesso Adriano (Radevic. Fri-sing. l. 1, c. 10). Per ultimo di Clemente III leggiamoche avendo rifabbricato lo stesso palazzo lateranense, ilfece ornar di pitture (Ricubald. Ferrariens. in Hist. Pon-tif. Rom.). Il che, benchè non appartenga propriamente aquest'epoca, essendo stato Clemente III sollevato alla s.sede l'an. 1187, l'ho io nondimeno voluto qui accennare,per unire insieme ciò che appartiene alle arti di questidue secoli. A questi pontefici aggiugniamo Guglielmo redi Sicilia, che verso la metà del XII secolo, come narraRomualdo arcivescovo di Salerno (Script. rer. ital. vol.6, p. 207), adornò di maravigliosi musaici la cappella dis. Pietro, che aveva nel suo palazzo; nè si legge ch'egli atal fine si valesse di artefici greci.

V. Abbiam finora veduta esercitata di conti-nuo la pittura nella estrema parte d'Italia.Nell'altre provincie ancora ella non fu tra-scurata. Il march. Maffei fa menzione di unapittura fatta l'an. 1123 nel chiostro di s. Ze-

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Altre pittu-re: Luca pittor fio-rentino.

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none in Verona (Ver. illustr. par. 3, c. 6), e di un'altra delSalvatore nella chiesa del Crocifisso, ch'ei crede dellostesso sec. XII, e di altre ancora che sembran fatte aquesta medesima età. Un Luca per la sua pietà sopran-nomato il Santo dipinse nell'XI secolo un'immagine del-la B. Vergine, che conservasi nella chiesa di s. Mariadell'Impruneta nella diocesi di Firenze, come raccogliesida un'antica Relazione pubblicata dal celebre dott.Lami, e illustrata con due dissertazioni dal ch. sig. Do-menico Maria Manni (Del vero pittore Luca Santo. Fir.1764., Dell'errore che persiste nell'attribuirsi le pittureal s. Evangelista, ivi 1766). Questi due scrittori hannocongetturato che da ciò provenuta sia l'opinione chel'evangelista s. Luca facesse qualche ritratto in tela diMaria Vergine; ed essi perciò affermano che le immagi-ni che credonsi opera di s. Luca, debbonsi creder lavorodi Luca pittor fiorentino nell'XI secolo. Io non debboqui entrare nella sì dibattuta quistione, se il santo Evan-gelista fosse pittore, e se conservinsi immagini dellaVergine da lui dipinte. Solo io rifletto che l'opinion fa-vorevole a tali immagini è assai più antica dal sec. XI,perciocchè, a lasciarne più altre pruove che si potrebbonrecare, delle pitture di s. Luca fa espressa menzione Mi-chele monaco greco nella Vita di s. Teodoro Studita, dicui era stato discepolo (V. Sirmond. Op. vol. 5, p. 34,ed. ven.), e negli scritti pubblicati all'occasione dell'ere-sia degl'Iconoclasti veggonsi mentovate più volte. Nè iovoglio qui diffinire se ciò basti a provar vera tale opinio-ne; ma basta ciò certamente a mostrare ch'essa non ha

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none in Verona (Ver. illustr. par. 3, c. 6), e di un'altra delSalvatore nella chiesa del Crocifisso, ch'ei crede dellostesso sec. XII, e di altre ancora che sembran fatte aquesta medesima età. Un Luca per la sua pietà sopran-nomato il Santo dipinse nell'XI secolo un'immagine del-la B. Vergine, che conservasi nella chiesa di s. Mariadell'Impruneta nella diocesi di Firenze, come raccogliesida un'antica Relazione pubblicata dal celebre dott.Lami, e illustrata con due dissertazioni dal ch. sig. Do-menico Maria Manni (Del vero pittore Luca Santo. Fir.1764., Dell'errore che persiste nell'attribuirsi le pittureal s. Evangelista, ivi 1766). Questi due scrittori hannocongetturato che da ciò provenuta sia l'opinione chel'evangelista s. Luca facesse qualche ritratto in tela diMaria Vergine; ed essi perciò affermano che le immagi-ni che credonsi opera di s. Luca, debbonsi creder lavorodi Luca pittor fiorentino nell'XI secolo. Io non debboqui entrare nella sì dibattuta quistione, se il santo Evan-gelista fosse pittore, e se conservinsi immagini dellaVergine da lui dipinte. Solo io rifletto che l'opinion fa-vorevole a tali immagini è assai più antica dal sec. XI,perciocchè, a lasciarne più altre pruove che si potrebbonrecare, delle pitture di s. Luca fa espressa menzione Mi-chele monaco greco nella Vita di s. Teodoro Studita, dicui era stato discepolo (V. Sirmond. Op. vol. 5, p. 34,ed. ven.), e negli scritti pubblicati all'occasione dell'ere-sia degl'Iconoclasti veggonsi mentovate più volte. Nè iovoglio qui diffinire se ciò basti a provar vera tale opinio-ne; ma basta ciò certamente a mostrare ch'essa non ha

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avuto origine da un Luca pittor fiorentino che visse solonell'XI secolo, e di cui non poterono aver cognizione gliscrittori dell'VIII, o del IX.

VI. Un'antica pittura di questi tempi mede-simi, scoperta non ha molt'anni nella chiesaabaziale di s. Michele in Borgo di Pisa, de-scrivesi dal cav. Flaminio del Borgo (Diss.sull'Orig. dell'Univ. di Pisa p. 74) (45). In Bo-

logna ancora si conservavan non ha molto pitture delXII secolo, e ad alcune vedevasi aggiunto il nome delpittore, di cui furon lavoro, ch'è quel Guido di cui dire-mo nel tomo seguente (Malvasia Felsina pittrice p. 7).Nelle Storie venete, e in quella singolarmente di MarinoSanudo pubblicata dal Muratori, si fa menzion de' mu-saici, di cui il doge Domenico Silvio, eletto l'an. 1071,ornò il tempio di s. Marco (Script. Rer. ital. vol. 22, p.477). "Questo doge, dice lo storico, fece compiere ladetta chiesa, e fu il primo che cominciasse a farla lavo-rar di mosaico alla greca, come è al presente". Ma nondic'egli già che adoperasse a tal fine artefici greci. Ildottiss. p. Abate Trombelli rammenta (Arte di conoscerel'età de' Codici p. 72) alcuni codici latini dell'XI e delXII secolo, a cui si veggon aggiunte immagini e figure,rozze al certo, ma che pure ci sono indicio di pittura, per

45 Il sig. Alessandro da Morrona, di cui diremo tra poco, crede (Pisa illlustr.t. 1, p. 419) che assai più antica sia questa pittura. Ma si riserba a parlarnenel tomo II della sua opera non ancor pubblicato.

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Pitture in Pisa, in Bo-logna, e al-trove.

avuto origine da un Luca pittor fiorentino che visse solonell'XI secolo, e di cui non poterono aver cognizione gliscrittori dell'VIII, o del IX.

VI. Un'antica pittura di questi tempi mede-simi, scoperta non ha molt'anni nella chiesaabaziale di s. Michele in Borgo di Pisa, de-scrivesi dal cav. Flaminio del Borgo (Diss.sull'Orig. dell'Univ. di Pisa p. 74) (45). In Bo-

logna ancora si conservavan non ha molto pitture delXII secolo, e ad alcune vedevasi aggiunto il nome delpittore, di cui furon lavoro, ch'è quel Guido di cui dire-mo nel tomo seguente (Malvasia Felsina pittrice p. 7).Nelle Storie venete, e in quella singolarmente di MarinoSanudo pubblicata dal Muratori, si fa menzion de' mu-saici, di cui il doge Domenico Silvio, eletto l'an. 1071,ornò il tempio di s. Marco (Script. Rer. ital. vol. 22, p.477). "Questo doge, dice lo storico, fece compiere ladetta chiesa, e fu il primo che cominciasse a farla lavo-rar di mosaico alla greca, come è al presente". Ma nondic'egli già che adoperasse a tal fine artefici greci. Ildottiss. p. Abate Trombelli rammenta (Arte di conoscerel'età de' Codici p. 72) alcuni codici latini dell'XI e delXII secolo, a cui si veggon aggiunte immagini e figure,rozze al certo, ma che pure ci sono indicio di pittura, per

45 Il sig. Alessandro da Morrona, di cui diremo tra poco, crede (Pisa illlustr.t. 1, p. 419) che assai più antica sia questa pittura. Ma si riserba a parlarnenel tomo II della sua opera non ancor pubblicato.

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Pitture in Pisa, in Bo-logna, e al-trove.

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così dire, vivente. Ed io son certo che uno studio ancorapiù diligente delle cronache antiche mi avrebbe condot-to allo scoprimento di molte altre pitture fatte di questitempi in Italia (46). Il saggio però, che ne ho dato, basta,s'io non m'inganno, a distruggere finalmente la volgareopinione che per più secoli si rimanesse l'Italia senzapitture, e a mostrare che in ogni età ebbe essa pittori. Nèio credo che alcun vorrà ostinarsi nell'affermare che tuttii pittori, de' quali in questi secoli si trova menzione, fu-rono greci, perciocchè in primo luogo alcuni di essi fu-rono certamente italiani, come Luca fiorentino e Guidobolognese. In secondo luogo noi veggiamo pitture e pit-tori in ogni parte d'Italia. Or è egli possibile, che, quan-do ancora si volesse concedere che la maggior parte fos-sero greci, è egli possibile, dico, che gl'Italiani si stesse-ro inutili spettatori, e che non si curassero di apprenderquest'arte? Qual ragione poteva mai distoglierli dal col-tivarla? Furon pure tra essi, come fra poco vedremo, ar-chitetti e scultori: perchè non vi furono anche pittori?Dobbiam noi credere che veggendo ornate in ogni partele case e i tempj di pitture, niun di essi pensasse a gua-dagnare il vitto con quest'arte medesima? A me sembrache il solo buon senso e il lume solo della ragione possa

46 Alcune antiche pitture sanesi che a lui sembrano anteriori al XI secolo, sidescrivono minutamente dal ch. p. Guglielmo dalla Valle, una delle quali ènell'antica chiesa di s. Pietro in Banchi, l'altra presso le monache di s. Pe-tronilla, un'altra ancor più antica in s. Ansano, ec., ed egli ancora dimostrach'esse non son lavori di artisti greci (Lettere sanesi t. 1, p. 210, ec. t. 2, p.14, ec.). Ei ragiona poscia di altre pitture ivi pur conservate, le quali pari-menti ei crede, che debbano riferirsi al secolo XII (t. 1, p. 221).

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così dire, vivente. Ed io son certo che uno studio ancorapiù diligente delle cronache antiche mi avrebbe condot-to allo scoprimento di molte altre pitture fatte di questitempi in Italia (46). Il saggio però, che ne ho dato, basta,s'io non m'inganno, a distruggere finalmente la volgareopinione che per più secoli si rimanesse l'Italia senzapitture, e a mostrare che in ogni età ebbe essa pittori. Nèio credo che alcun vorrà ostinarsi nell'affermare che tuttii pittori, de' quali in questi secoli si trova menzione, fu-rono greci, perciocchè in primo luogo alcuni di essi fu-rono certamente italiani, come Luca fiorentino e Guidobolognese. In secondo luogo noi veggiamo pitture e pit-tori in ogni parte d'Italia. Or è egli possibile, che, quan-do ancora si volesse concedere che la maggior parte fos-sero greci, è egli possibile, dico, che gl'Italiani si stesse-ro inutili spettatori, e che non si curassero di apprenderquest'arte? Qual ragione poteva mai distoglierli dal col-tivarla? Furon pure tra essi, come fra poco vedremo, ar-chitetti e scultori: perchè non vi furono anche pittori?Dobbiam noi credere che veggendo ornate in ogni partele case e i tempj di pitture, niun di essi pensasse a gua-dagnare il vitto con quest'arte medesima? A me sembrache il solo buon senso e il lume solo della ragione possa

46 Alcune antiche pitture sanesi che a lui sembrano anteriori al XI secolo, sidescrivono minutamente dal ch. p. Guglielmo dalla Valle, una delle quali ènell'antica chiesa di s. Pietro in Banchi, l'altra presso le monache di s. Pe-tronilla, un'altra ancor più antica in s. Ansano, ec., ed egli ancora dimostrach'esse non son lavori di artisti greci (Lettere sanesi t. 1, p. 210, ec. t. 2, p.14, ec.). Ei ragiona poscia di altre pitture ivi pur conservate, le quali pari-menti ei crede, che debbano riferirsi al secolo XII (t. 1, p. 221).

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farci comprendere che ciò non potè in alcun modo avve-nire.

VII. Stabilito per tal maniera ciò che pareapiù difficile a dimostrarsi, passiamoall'architettura e alla scultura, nelle quali in-contrasi minore difficoltà. E per ciò che ap-partiene all'architettura, questi appunto furo-

no i tempi in cui si vide la magnificenza ne' pubbliciedificj condotta a tal segno, che, benchè non sempre visi vegga una certa finezza di gusto e proporzione di par-ti, è nondimeno ancora al presente oggetto di maravi-glia. Molti de' più magnifici e vasti tempj che ancor cirimangono, furon lavoro di questa età. Quel di s. Marcodi Venezia fu compito, come sopra si è accennato, versoil fine dell'XI secolo. Il duomo di Pisa fu pure opera diquesto secolo stesso e fu cominciato l'an. 1063, e com-pito negli ultimi anni del secolo stesso (47). L'architetto fu

47 Intorno al duomo di Pisa merita di esser letta l'opera recentemente pubbli-cata dal sig. Alessandro da Morrona patrizio pisano, e intitolata: Pisa Illu-strata nell'Arte del Disegno. Egli esamina con somma esattezza tutto ciòche a quel gran tempio appartiene; e osservandone la magnificenza, il dise-gno, gli ornamenti, mostra ch'esso è il primo edificio italiano in cui si veg-ga risorgere e ravvivarsi il buon gusto da tanti secoli dimenticato. Egli ciha date fedelmente copiate tutte le iscrizioni che adornan quel tempio, e hacorretti molti errori da altri commessi nel pubblicarle. Non osa decidere seBuschetto fosse greco, o italiano; ma le ragioni per la seconda opinionesono assai più forti che per la prima; e ad esse si può aggiugnere il nomestesso di Buschetto, che non sa punto di greco. È degna d'osservazione unadelle iscrizioni da lui pubblicate, la qual ci mostra che Buschetto non solfu architetto valente, ma ancor macchinista ingegnoso; perciocchè in essa

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Magnificitempj in-nalzati indiverse par-ti d'Italia.

farci comprendere che ciò non potè in alcun modo avve-nire.

VII. Stabilito per tal maniera ciò che pareapiù difficile a dimostrarsi, passiamoall'architettura e alla scultura, nelle quali in-contrasi minore difficoltà. E per ciò che ap-partiene all'architettura, questi appunto furo-

no i tempi in cui si vide la magnificenza ne' pubbliciedificj condotta a tal segno, che, benchè non sempre visi vegga una certa finezza di gusto e proporzione di par-ti, è nondimeno ancora al presente oggetto di maravi-glia. Molti de' più magnifici e vasti tempj che ancor cirimangono, furon lavoro di questa età. Quel di s. Marcodi Venezia fu compito, come sopra si è accennato, versoil fine dell'XI secolo. Il duomo di Pisa fu pure opera diquesto secolo stesso e fu cominciato l'an. 1063, e com-pito negli ultimi anni del secolo stesso (47). L'architetto fu

47 Intorno al duomo di Pisa merita di esser letta l'opera recentemente pubbli-cata dal sig. Alessandro da Morrona patrizio pisano, e intitolata: Pisa Illu-strata nell'Arte del Disegno. Egli esamina con somma esattezza tutto ciòche a quel gran tempio appartiene; e osservandone la magnificenza, il dise-gno, gli ornamenti, mostra ch'esso è il primo edificio italiano in cui si veg-ga risorgere e ravvivarsi il buon gusto da tanti secoli dimenticato. Egli ciha date fedelmente copiate tutte le iscrizioni che adornan quel tempio, e hacorretti molti errori da altri commessi nel pubblicarle. Non osa decidere seBuschetto fosse greco, o italiano; ma le ragioni per la seconda opinionesono assai più forti che per la prima; e ad esse si può aggiugnere il nomestesso di Buschetto, che non sa punto di greco. È degna d'osservazione unadelle iscrizioni da lui pubblicate, la qual ci mostra che Buschetto non solfu architetto valente, ma ancor macchinista ingegnoso; perciocchè in essa

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Magnificitempj in-nalzati indiverse par-ti d'Italia.

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un cotal Buschetto, come raccogliesi da un'iscrizione ri-ferita dal cav. dal Borgo (Diss. sull'Orig. dell'Univ. diPisa, p. 55) il quale giustamente confuta l'opinione delcan. Martini (Theatr. Basilic. pisan. c. 3), che il credetteun Greco. Nella stessa città fu nel seguente secolo erettoil magnifico tempio di s. Giovanni del Battesimo, che fucominciato l'an. 1152; e l'architetto ne fu Diotisalvi, pro-babilmente pisano, ma certamente italiano, come mostralo stesso nome; e pisani ancor furono Cinetto Cinetti edArrigo Cancellieri, che ne diressero il gran lavoro, comedalle antiche cronache prova il sopraccitato cav. dalBorgo (l. c. p. 57). Abbiam rammentato poc'anzi il tem-pio di Monte Casino fabbricato per ordine dell'abate De-siderio, uno de' più grandiosi edifizj, di cui si legga ladescrizion nelle storie; ed è da avvertire ciò che narraLeon marsicano (Chron. Casin. l. 3, c. 28), cioè che De-siderio per avere i più eccellenti operai li fe' venir daAmalfi e dalla Lombardia: "conductis protinus peritissi-mis artificibus tam amalphitanis quam lombardis". Lametropolitana di s. Pietro in Bologna, che fu consuntadalle fiamme l'an. 1141, fu rifabbricata prima dell'an.1184, nel qual ella fu consecrata da Lucio III (De Grif-

si narra che gli smisurati sassi a quella gran fabbrica necessarj, solo da die-ci fanciulle erano con ammirabile facilità al luogo lor trasportati. Quindiesaminando ancora la magnifica fabbrica del battistero, e la gran torre,amendue innalzate nel secol seguente, e le sculture di buon gusto del sec.XII e del XIII, e le pitture anteriori al Cimabue, delle quali Pisa è adorna,ne raccoglie giustamente la conseguenza a quella città gloriosissima,ch'essa deesi considerare come l'Atene d'Italia, in cui le belle arti primache altrove tornarono ad incamminarsi felicemente alla lor perfezione.

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un cotal Buschetto, come raccogliesi da un'iscrizione ri-ferita dal cav. dal Borgo (Diss. sull'Orig. dell'Univ. diPisa, p. 55) il quale giustamente confuta l'opinione delcan. Martini (Theatr. Basilic. pisan. c. 3), che il credetteun Greco. Nella stessa città fu nel seguente secolo erettoil magnifico tempio di s. Giovanni del Battesimo, che fucominciato l'an. 1152; e l'architetto ne fu Diotisalvi, pro-babilmente pisano, ma certamente italiano, come mostralo stesso nome; e pisani ancor furono Cinetto Cinetti edArrigo Cancellieri, che ne diressero il gran lavoro, comedalle antiche cronache prova il sopraccitato cav. dalBorgo (l. c. p. 57). Abbiam rammentato poc'anzi il tem-pio di Monte Casino fabbricato per ordine dell'abate De-siderio, uno de' più grandiosi edifizj, di cui si legga ladescrizion nelle storie; ed è da avvertire ciò che narraLeon marsicano (Chron. Casin. l. 3, c. 28), cioè che De-siderio per avere i più eccellenti operai li fe' venir daAmalfi e dalla Lombardia: "conductis protinus peritissi-mis artificibus tam amalphitanis quam lombardis". Lametropolitana di s. Pietro in Bologna, che fu consuntadalle fiamme l'an. 1141, fu rifabbricata prima dell'an.1184, nel qual ella fu consecrata da Lucio III (De Grif-

si narra che gli smisurati sassi a quella gran fabbrica necessarj, solo da die-ci fanciulle erano con ammirabile facilità al luogo lor trasportati. Quindiesaminando ancora la magnifica fabbrica del battistero, e la gran torre,amendue innalzate nel secol seguente, e le sculture di buon gusto del sec.XII e del XIII, e le pitture anteriori al Cimabue, delle quali Pisa è adorna,ne raccoglie giustamente la conseguenza a quella città gloriosissima,ch'essa deesi considerare come l'Atene d'Italia, in cui le belle arti primache altrove tornarono ad incamminarsi felicemente alla lor perfezione.

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fon. Mem. Bonon. Script. rer. ital. vol. 18, p. 106, 107),benchè poscia ella sia stata recentemente a miglior for-ma ridotta. Il nostro duomo di Modena ancora fu operadi questi tempi, come pruova il Vedriani dalle Iscrizioni,che intorno ad esso ancor si conservano (Pittori, Sculto-ri, ec. di Modena p. 14), e come pure si narra negli attiantichi della traslazione del corpo di s. Geminiano pub-blicati dal Muratori (Script. rer. ital. vol. 6, p. 89), ove sidice ch'esso fu cominciato l'an. 1099, che l'architetto nefu un certo Lanfranco, e che nel 1106 era già in tale sta-to, che si potè celebrare solennemente la traslazionesuddetta. Ma udiamo le parole dell'antico storico stesso,perchè si vegga quanto sembrasse questa a que' tempiopera grande e magnifica: "Erigitur itaque diversi operismachina: effodiuntur marmora insignia: sculpuntur artemirifica; sublevantur et construuntur magno cum laboreet artificum industria". Parlando dell'origine della poesiaitaliana abbiam veduto che il duomo di Ferrara fu innal-zato l'an. 1135. Aggiungansi le molte chiese per ordinede' pontefici fabbricate in Roma a questi tempi medesi-mi, delle quali si fa menzione nelle antiche lor Vite; eche io non rammento per amore di brevità, parendomiche ciò che se n'è detto finora, possa bastevolmente mo-strarci quanto in questi secoli si amasse la magnificenzae il lusso ne' pubblici sagri edificj. Aggiugnerò solamen-te, perchè non manchi a questa lode d'Italia anche la te-stimonianza degli stranieri un passo di Radolfo Glabroscrittor tedesco dell'XI secolo, il quale narra che sulprincipio del secol medesimo si accese nel mondo tutto,

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fon. Mem. Bonon. Script. rer. ital. vol. 18, p. 106, 107),benchè poscia ella sia stata recentemente a miglior for-ma ridotta. Il nostro duomo di Modena ancora fu operadi questi tempi, come pruova il Vedriani dalle Iscrizioni,che intorno ad esso ancor si conservano (Pittori, Sculto-ri, ec. di Modena p. 14), e come pure si narra negli attiantichi della traslazione del corpo di s. Geminiano pub-blicati dal Muratori (Script. rer. ital. vol. 6, p. 89), ove sidice ch'esso fu cominciato l'an. 1099, che l'architetto nefu un certo Lanfranco, e che nel 1106 era già in tale sta-to, che si potè celebrare solennemente la traslazionesuddetta. Ma udiamo le parole dell'antico storico stesso,perchè si vegga quanto sembrasse questa a que' tempiopera grande e magnifica: "Erigitur itaque diversi operismachina: effodiuntur marmora insignia: sculpuntur artemirifica; sublevantur et construuntur magno cum laboreet artificum industria". Parlando dell'origine della poesiaitaliana abbiam veduto che il duomo di Ferrara fu innal-zato l'an. 1135. Aggiungansi le molte chiese per ordinede' pontefici fabbricate in Roma a questi tempi medesi-mi, delle quali si fa menzione nelle antiche lor Vite; eche io non rammento per amore di brevità, parendomiche ciò che se n'è detto finora, possa bastevolmente mo-strarci quanto in questi secoli si amasse la magnificenzae il lusso ne' pubblici sagri edificj. Aggiugnerò solamen-te, perchè non manchi a questa lode d'Italia anche la te-stimonianza degli stranieri un passo di Radolfo Glabroscrittor tedesco dell'XI secolo, il quale narra che sulprincipio del secol medesimo si accese nel mondo tutto,

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e singolarmente in Italia e nelle Gallie, una nobile emu-lazione nell'innalzare maestose basiliche: "Infra millesi-mum tertio jam fere imminente anno contigit in univer-so pene terrarum orbe, praecipue tamen in Italia et inGalliis, innovari ecclesiarum basilicas, licet pleraequedecenter locatae minime indiguissent. Æmulabatur ta-men quaeque gens Christicolarum adversus alteram de-centiore frui. Erat enim instar ac si mundus ipse excu-tiendo semet, rejecta vetustate, passim candidam eccle-siarum vestem indueret" (Ap. Murat. Antiq. Ital. vol. 4,p. 828).

VIII. La condizione in cui trovossi a questimedesimi tempi l'Italia, giovò essa pure a'progressi dell'architettura. Le città italianevolendo vivere libere e indipendenti, do-

vean pensare a difendersi e contro gl'imperadori che vo-lesser ridurle all'antica ubbidienza, e contro le vicine cit-tà, se nascesse fra loro discordia, o guerra, come spessoavveniva. Quindi veggiamo molte città nell'XI e nel XIIsecolo cingersi di forti mura, e porsi in istato di sostene-re qualunque assedio. La città di Milano distrutta l'an.1162 da Federigo I, cinque anni dopo fu da' Milanesiriedificata e cinta all'intorno di alte mura e di fosse e dialtissime torri e di molte porte di marmo, di che veggasila descrizione fatta dal Fiamma (Manipul. Flor. c. 201,vol. 9, Script. rer. ital.), e poscia assai più esattamentedal ch. co. Giulini (Mem. di Mil. t. 6, ad hu. an.). Lo

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Molte città si cingon dimura.

e singolarmente in Italia e nelle Gallie, una nobile emu-lazione nell'innalzare maestose basiliche: "Infra millesi-mum tertio jam fere imminente anno contigit in univer-so pene terrarum orbe, praecipue tamen in Italia et inGalliis, innovari ecclesiarum basilicas, licet pleraequedecenter locatae minime indiguissent. Æmulabatur ta-men quaeque gens Christicolarum adversus alteram de-centiore frui. Erat enim instar ac si mundus ipse excu-tiendo semet, rejecta vetustate, passim candidam eccle-siarum vestem indueret" (Ap. Murat. Antiq. Ital. vol. 4,p. 828).

VIII. La condizione in cui trovossi a questimedesimi tempi l'Italia, giovò essa pure a'progressi dell'architettura. Le città italianevolendo vivere libere e indipendenti, do-

vean pensare a difendersi e contro gl'imperadori che vo-lesser ridurle all'antica ubbidienza, e contro le vicine cit-tà, se nascesse fra loro discordia, o guerra, come spessoavveniva. Quindi veggiamo molte città nell'XI e nel XIIsecolo cingersi di forti mura, e porsi in istato di sostene-re qualunque assedio. La città di Milano distrutta l'an.1162 da Federigo I, cinque anni dopo fu da' Milanesiriedificata e cinta all'intorno di alte mura e di fosse e dialtissime torri e di molte porte di marmo, di che veggasila descrizione fatta dal Fiamma (Manipul. Flor. c. 201,vol. 9, Script. rer. ital.), e poscia assai più esattamentedal ch. co. Giulini (Mem. di Mil. t. 6, ad hu. an.). Lo

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Molte città si cingon dimura.

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stesso fece ancora Cremona l'an. 1169. (Sicardi Chron.vol. 7 Script. rer. ital. p. 601). L'an. 1087 intrapresero iFiorentini ad alzare intorno intorno le mura della lorocittà con assai più ampio giro di quel che fosse in addie-tro, secondo la descrizione che ce ne ha lasciata Giovan-ni Villani (Stor. l. 4, c. 7). Similmente i Pisani l'an. 1155dierono cominciamento alle mura della loro città, il cuilavoro continuarono poscia per più anni seguenti (Cron.di Pisa vol. 15 Script. rer. ital. p. 976). Ferrara ancoral'an. 1140 fu posta in istato di non avere a temere im-provvisi assalti (Chron Ferr. vol. 8, Script. rer. ital. p.481). Nelle antiche Storie genovesi del Caffaro abbiamola descrizione delle ampie mura di cui fu circondataquella città l'an. 1159 (Script. rer. ital. vol. 6, p. 272), eciò ch'è più ammirabile, questo contemporaneo storicoci assicura che in meno di due mesi esse furon compiu-te. E l'esempio di queste città è assai probabile che dapiù altre fosse seguito, perchè comune era a tutte il mo-tivo di premunirsi contro i nimici che allora erano e fre-quenti e vicini troppo, per non tenersi di continuo sulledifese (48).

48 A queste magnifiche fabbriche in diverse parti d'Italia innalzate nell'epocadi cui scriviamo, si debbono aggiugnere molte altre non meno pregevoli emeravigliose, che si videro sorgere ne' regni di Napoli e di Sicilia, e chevengono accennate e descritte dal ch. sig. d. Pietro Napoli Signorelli (Vi-cende della coltura nelle due Sicilie t. 2, p. 220, ec.).

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stesso fece ancora Cremona l'an. 1169. (Sicardi Chron.vol. 7 Script. rer. ital. p. 601). L'an. 1087 intrapresero iFiorentini ad alzare intorno intorno le mura della lorocittà con assai più ampio giro di quel che fosse in addie-tro, secondo la descrizione che ce ne ha lasciata Giovan-ni Villani (Stor. l. 4, c. 7). Similmente i Pisani l'an. 1155dierono cominciamento alle mura della loro città, il cuilavoro continuarono poscia per più anni seguenti (Cron.di Pisa vol. 15 Script. rer. ital. p. 976). Ferrara ancoral'an. 1140 fu posta in istato di non avere a temere im-provvisi assalti (Chron Ferr. vol. 8, Script. rer. ital. p.481). Nelle antiche Storie genovesi del Caffaro abbiamola descrizione delle ampie mura di cui fu circondataquella città l'an. 1159 (Script. rer. ital. vol. 6, p. 272), eciò ch'è più ammirabile, questo contemporaneo storicoci assicura che in meno di due mesi esse furon compiu-te. E l'esempio di queste città è assai probabile che dapiù altre fosse seguito, perchè comune era a tutte il mo-tivo di premunirsi contro i nimici che allora erano e fre-quenti e vicini troppo, per non tenersi di continuo sulledifese (48).

48 A queste magnifiche fabbriche in diverse parti d'Italia innalzate nell'epocadi cui scriviamo, si debbono aggiugnere molte altre non meno pregevoli emeravigliose, che si videro sorgere ne' regni di Napoli e di Sicilia, e chevengono accennate e descritte dal ch. sig. d. Pietro Napoli Signorelli (Vi-cende della coltura nelle due Sicilie t. 2, p. 220, ec.).

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IX. In questi due secoli finalmente si vidersorgere da ogni parte altissime torri, altre adifesa, altre ad ornamento delle città. Seisono quelle che hanno maggior nome in Ita-lia, e che si veggon tuttora, cioè quelle di s.

Marco in Venezia, degli Asinelli in Bologna, delle catte-drali di Pisa, di Cremona, di Modena, e di s. Maria delFiore in Firenze. Or di queste le prime tre furon certa-mente opera di questi tempi. Quella di s. Marco fu in-nalzata a' tempi del doge Domenico Morosini eletto l'an.1148 (Danduli Chron. Script. rer. ital. vol. 22, p. 238) ein una carta del 1151 si trova menzione di alcuni dellafamiglia Basilio, che aveano del loro denaro contribuitoal lavoro di essa (Script. rer. ital. vol. 22, p. 495).L'architetto ne fu Buono, di cui s'ignora la patria, mache fu celebre nel sec. XII per le molte fabbriche da luidesignate in Napoli, in Pistoja, in Firenze e in Arezzo(Vasari Vite de' Pittori, ec. t. 1, p. 245 ed. di Livorno).Quella degli Asinelli in Bologna fu terminata l'an. 1109,secondo la Cronaca di Matteo Griffoni (Script. rer. ital.vol. 18, p. 105), o, secondo quella di f. Bartolommeodella Pugliola, l'an. 1119 (ib. p. 241), il qual autore nereca le misure, dicendo che "ella è alta 316 piedi allamisura di Bologna, ovvero passa 94 braccia alla stessamisura". Egli aggiugne ancora che "l'an. 1120 fu compi-ta in Bologna la torre de' Ramponi, ch'è nel mercato dimezzo, e in quel tempo furon similmente compite alcu-ne altre torri nella città di Bologna". Quella del duomodi Pisa fu cominciata l'an. 1174. Gli architetti ne furono

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Le più belletorri d'Italiainnalzate inquesti tem-pi.

IX. In questi due secoli finalmente si vidersorgere da ogni parte altissime torri, altre adifesa, altre ad ornamento delle città. Seisono quelle che hanno maggior nome in Ita-lia, e che si veggon tuttora, cioè quelle di s.

Marco in Venezia, degli Asinelli in Bologna, delle catte-drali di Pisa, di Cremona, di Modena, e di s. Maria delFiore in Firenze. Or di queste le prime tre furon certa-mente opera di questi tempi. Quella di s. Marco fu in-nalzata a' tempi del doge Domenico Morosini eletto l'an.1148 (Danduli Chron. Script. rer. ital. vol. 22, p. 238) ein una carta del 1151 si trova menzione di alcuni dellafamiglia Basilio, che aveano del loro denaro contribuitoal lavoro di essa (Script. rer. ital. vol. 22, p. 495).L'architetto ne fu Buono, di cui s'ignora la patria, mache fu celebre nel sec. XII per le molte fabbriche da luidesignate in Napoli, in Pistoja, in Firenze e in Arezzo(Vasari Vite de' Pittori, ec. t. 1, p. 245 ed. di Livorno).Quella degli Asinelli in Bologna fu terminata l'an. 1109,secondo la Cronaca di Matteo Griffoni (Script. rer. ital.vol. 18, p. 105), o, secondo quella di f. Bartolommeodella Pugliola, l'an. 1119 (ib. p. 241), il qual autore nereca le misure, dicendo che "ella è alta 316 piedi allamisura di Bologna, ovvero passa 94 braccia alla stessamisura". Egli aggiugne ancora che "l'an. 1120 fu compi-ta in Bologna la torre de' Ramponi, ch'è nel mercato dimezzo, e in quel tempo furon similmente compite alcu-ne altre torri nella città di Bologna". Quella del duomodi Pisa fu cominciata l'an. 1174. Gli architetti ne furono

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Le più belletorri d'Italiainnalzate inquesti tem-pi.

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Buonanno pisano e Guglielmo tedesco (Dal BorgoOrig. dell'Univ. di Pisa p. 57). Ella è famosa non soloper le 207 colonne di cui è ornata, ma più ancora pelpendere ch'ella fa sei braccia e mezzo, secondo il Vasari(l. c. p. 247), la quale inclinazione, come narra il mede-simo autore seguì prima che gli architetti fossero almezzo di quella fabbrica (49). Nella Cronaca antica diquesta città, pubblicata dal Muratori (Script. rer. ital.vol. 15, p. 976), non solo si fa menzione di questa torre,ma di più altre antiche ancora da' Pisani innalzate versoquesto medesimo tempo. "Nel 1157 fu fatta la torre del-la Melora. Nel 1158 furon fondate le torri di Porto Pisa-no. Nel 1165 fu fatta la seconda torre di Porto Pisano".La torre della cattedral di Cremona vuolsi che fosse in-cominciata molti anni più tardi, cioè l'an. 1284; anzi ne-gli antichi Annali di Cesena, pubblicati dal Muratori(Script. rer. ital. vol. 14, p. 1112), essa dicesi fabbricatal'an. 1295. Ma, come confessa il Campi (Stor. di Crem.p. 81), non ve ne ha monumento sicuro; ed ei congetturache l'an. 1284 ella fosse solo compita, e che la partequadrata della medesima già da molto tempo innanzifosse stata innalzata, e non è perciò improbabile che ciòavvenisse ai tempi appunto di cui parliamo. Se vogliamcredere al Vedriani (l. c.), quella di Modena fu innalzatafin da' tempi di Desiderio re de' Longobardi; ed egli ne49 Fra gli architetti che in Italia fiorirono nel sec. XII, deesi annoverare ancor

quel Macilo ch'è mentovato come direttore della fabbrica del duomo di Pa-dova nella seguente iscrizione, riferita dal p. Salomoni (Inscript. Patav. p.1). Anno Domini MCXXIV. Ind II. Arte Magistrali Macili me struxit abimo Clerus: terra primo motus subvertit ab imo.

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Buonanno pisano e Guglielmo tedesco (Dal BorgoOrig. dell'Univ. di Pisa p. 57). Ella è famosa non soloper le 207 colonne di cui è ornata, ma più ancora pelpendere ch'ella fa sei braccia e mezzo, secondo il Vasari(l. c. p. 247), la quale inclinazione, come narra il mede-simo autore seguì prima che gli architetti fossero almezzo di quella fabbrica (49). Nella Cronaca antica diquesta città, pubblicata dal Muratori (Script. rer. ital.vol. 15, p. 976), non solo si fa menzione di questa torre,ma di più altre antiche ancora da' Pisani innalzate versoquesto medesimo tempo. "Nel 1157 fu fatta la torre del-la Melora. Nel 1158 furon fondate le torri di Porto Pisa-no. Nel 1165 fu fatta la seconda torre di Porto Pisano".La torre della cattedral di Cremona vuolsi che fosse in-cominciata molti anni più tardi, cioè l'an. 1284; anzi ne-gli antichi Annali di Cesena, pubblicati dal Muratori(Script. rer. ital. vol. 14, p. 1112), essa dicesi fabbricatal'an. 1295. Ma, come confessa il Campi (Stor. di Crem.p. 81), non ve ne ha monumento sicuro; ed ei congetturache l'an. 1284 ella fosse solo compita, e che la partequadrata della medesima già da molto tempo innanzifosse stata innalzata, e non è perciò improbabile che ciòavvenisse ai tempi appunto di cui parliamo. Se vogliamcredere al Vedriani (l. c.), quella di Modena fu innalzatafin da' tempi di Desiderio re de' Longobardi; ed egli ne49 Fra gli architetti che in Italia fiorirono nel sec. XII, deesi annoverare ancor

quel Macilo ch'è mentovato come direttore della fabbrica del duomo di Pa-dova nella seguente iscrizione, riferita dal p. Salomoni (Inscript. Patav. p.1). Anno Domini MCXXIV. Ind II. Arte Magistrali Macili me struxit abimo Clerus: terra primo motus subvertit ab imo.

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arreca in pruova un'iscrizione da cui pretende che ciò siaffermi. Ma i Modenesi al dì d'oggi sono troppo coltiper dargli fede: ed essi ben sanno che non v'ha monu-mento alcuno, onde sì grande antichità si possa provare;anzi si dolgono che non ci sia rimasta memoria del tem-po, in cui fu intrapreso il lavoro di questa vasta e magni-fica mole. Negli Annali antichi de' Modenesi (Script.rer. ital. vol. 11, p. 58) e nella Cronaca di Giovanni diBazzano (ib. vol. 15, p. 559) si narra che l'an. 1224 fuoccupata da un de' partiti, in cui era divisa la città diModena, la torre di s. Geminiano, e che perciò tumulti ediscordie grandi si accesero tra' cittadini. Era dunque al-lor fabbricata questa gran torre almeno nella sua parteinferiore e quadrata; ed è verisimile che i Modenesi peruna lodevole gara colle altre città verso questo tempomedesimo si accingessero a un tal lavoro. La più recentedi tutte è quella di s. Maria del Fiore in Firenze, che solol'an 1334 col disegno del celebre Giotto cominciò ad in-nalzarsi (G. Villani Cron. l. 11, c. 12; Vasari Vite de' Pit-tori t. 1, p. 323).

X. Io potrei a ciò aggiugnere ancora e pa-recchi canali d'acque scavati in questi secolida' Pisani, da' Milanesi e da altri, e alcune

città o fabbricate di nuovo, come Alessandria e Lodi, oristorate dalle loro rovine, ed altri simili monumenti diuna certa magnificenza, a cui sembra che tendessero agara le repubbliche italiane. Ma non voglio stendermi

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Stato della scultura.

arreca in pruova un'iscrizione da cui pretende che ciò siaffermi. Ma i Modenesi al dì d'oggi sono troppo coltiper dargli fede: ed essi ben sanno che non v'ha monu-mento alcuno, onde sì grande antichità si possa provare;anzi si dolgono che non ci sia rimasta memoria del tem-po, in cui fu intrapreso il lavoro di questa vasta e magni-fica mole. Negli Annali antichi de' Modenesi (Script.rer. ital. vol. 11, p. 58) e nella Cronaca di Giovanni diBazzano (ib. vol. 15, p. 559) si narra che l'an. 1224 fuoccupata da un de' partiti, in cui era divisa la città diModena, la torre di s. Geminiano, e che perciò tumulti ediscordie grandi si accesero tra' cittadini. Era dunque al-lor fabbricata questa gran torre almeno nella sua parteinferiore e quadrata; ed è verisimile che i Modenesi peruna lodevole gara colle altre città verso questo tempomedesimo si accingessero a un tal lavoro. La più recentedi tutte è quella di s. Maria del Fiore in Firenze, che solol'an 1334 col disegno del celebre Giotto cominciò ad in-nalzarsi (G. Villani Cron. l. 11, c. 12; Vasari Vite de' Pit-tori t. 1, p. 323).

X. Io potrei a ciò aggiugnere ancora e pa-recchi canali d'acque scavati in questi secolida' Pisani, da' Milanesi e da altri, e alcune

città o fabbricate di nuovo, come Alessandria e Lodi, oristorate dalle loro rovine, ed altri simili monumenti diuna certa magnificenza, a cui sembra che tendessero agara le repubbliche italiane. Ma non voglio stendermi

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Stato della scultura.

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troppo su un argomento che mi son prefisso di trattaresol leggermente. Conchiudiam dunque e il capo e il li-bro presente con qualche osservazione intorno alla scul-tura. Molte se ne conservano ancora fatte in questi duesecoli. I tempj e le torri mentovate di sopra ne sono quaipiù quai meno adorne. Il ch. co. Giulini ci ha data la de-scrizione di quelle che veggonsi al sepolcro del b. Al-berto da Pontida fatto l'an. 1095 (Mem. di Mil. t. 4, p.332), e di quelle, onde i Milanesi abbellirono la PortaRomana, quando rifabbricarono la lor città l'an. 1167(ib. c. 6, p. 395). L'artefice di queste ha voluto lasciarcimemoria del suo nome con questo verso che ancor ve-desi in essa scolpito:

Hoc opus Anselmus formavit Dedalus ale:

nella qual ultima parola deesi probabilmente leggere al-ter, avendo voluto il bravo scultore paragonarsi nel suolavoro a Dedalo, che secondo le favole era in tutte l'ope-re di mano sommamente ingegnoso. E forse a' tempi diAnselmo potevan queste sembrare sculture eccellenti;ma a' nostri occhj elle appajon sì rozze, che appena pos-siam tenere le risa al mirarle. In alcune però delle altresculture di questi tempi vedesi qualche principio di mi-glior gusto; e il Vasari (t. 1, p. 248) loda singolarmentequelle di cui Lucio III, e Urbano III al fine del XII seco-lo ornarono la basilica di s. Giovan Laterano. Nè solo inmarmo, ma anche in bronzo si fecer lavori di questitempi. Due soli io ne accenno; cioè la porta maggiore dibronzo del duomo di Pisa fatta da Buonanno pisano l'an.

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troppo su un argomento che mi son prefisso di trattaresol leggermente. Conchiudiam dunque e il capo e il li-bro presente con qualche osservazione intorno alla scul-tura. Molte se ne conservano ancora fatte in questi duesecoli. I tempj e le torri mentovate di sopra ne sono quaipiù quai meno adorne. Il ch. co. Giulini ci ha data la de-scrizione di quelle che veggonsi al sepolcro del b. Al-berto da Pontida fatto l'an. 1095 (Mem. di Mil. t. 4, p.332), e di quelle, onde i Milanesi abbellirono la PortaRomana, quando rifabbricarono la lor città l'an. 1167(ib. c. 6, p. 395). L'artefice di queste ha voluto lasciarcimemoria del suo nome con questo verso che ancor ve-desi in essa scolpito:

Hoc opus Anselmus formavit Dedalus ale:

nella qual ultima parola deesi probabilmente leggere al-ter, avendo voluto il bravo scultore paragonarsi nel suolavoro a Dedalo, che secondo le favole era in tutte l'ope-re di mano sommamente ingegnoso. E forse a' tempi diAnselmo potevan queste sembrare sculture eccellenti;ma a' nostri occhj elle appajon sì rozze, che appena pos-siam tenere le risa al mirarle. In alcune però delle altresculture di questi tempi vedesi qualche principio di mi-glior gusto; e il Vasari (t. 1, p. 248) loda singolarmentequelle di cui Lucio III, e Urbano III al fine del XII seco-lo ornarono la basilica di s. Giovan Laterano. Nè solo inmarmo, ma anche in bronzo si fecer lavori di questitempi. Due soli io ne accenno; cioè la porta maggiore dibronzo del duomo di Pisa fatta da Buonanno pisano l'an.

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1180, che fu poi consunta dalle fiamme l'an. 1596, (DalBorgo Orig. dell'Univ. di Pisa p. 57) secondo lo stile pi-sano, e il cavallo di bronzo che Clemente III fè porre perornamento del Palazzo lateranese (Ricobal. Ferrar. Hist.Pontif. Roman. Franc. Pipin. in Chron. c. 14) (50). Cosìle arti, se non fiorivano felicemente per finezza di gustoe per grazia di lavoro, non erano almeno dimenticate; ela magnificenza de' principi e delle città d'Italia mante-nendole in esercizio, le disponeva a risorgere un giornoall'antico splendore.

Fine del Tomo III. Par. II.

50 Il sig. ab. Fea mi accusa perchè ho preso letteralmente le parole di Ricco-baldo: equum quoque aereum fieri fecit; e afferma che Clemente III nonfece già fare un cavallo di bronzo, ma trasportò al Laterano il cavallo dettodi Costantino (Winck. Stor. delle Arti t. 3, p. 412, ec. ed. Rom.). Io non vo-glio cercare se sia veramente quello il cavallo che accennasi di Riccobal-do. Ma come poteva io pur sospettare che equum fieri fecit volesse dire:fece trasportare un cavallo? Se questa è la spiegazione di quel passo, con-verra compilare un nuovo vocabolario; che certo i pubblicati finora non ciinsegnano che tale sia il senso di quelle parole. Quanto poi alla inverosimi-glianza e quasi impossibilità di fare una statua equestre di bronzo in queltempo di barbarie, ch'egli allega, io non so intendere come se nel 1180 fufatta la porta di bronzo del duomo di Pisa, non si potesse circa il tempomedesimo fare anche un cavallo di bronzo.

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1180, che fu poi consunta dalle fiamme l'an. 1596, (DalBorgo Orig. dell'Univ. di Pisa p. 57) secondo lo stile pi-sano, e il cavallo di bronzo che Clemente III fè porre perornamento del Palazzo lateranese (Ricobal. Ferrar. Hist.Pontif. Roman. Franc. Pipin. in Chron. c. 14) (50). Cosìle arti, se non fiorivano felicemente per finezza di gustoe per grazia di lavoro, non erano almeno dimenticate; ela magnificenza de' principi e delle città d'Italia mante-nendole in esercizio, le disponeva a risorgere un giornoall'antico splendore.

Fine del Tomo III. Par. II.

50 Il sig. ab. Fea mi accusa perchè ho preso letteralmente le parole di Ricco-baldo: equum quoque aereum fieri fecit; e afferma che Clemente III nonfece già fare un cavallo di bronzo, ma trasportò al Laterano il cavallo dettodi Costantino (Winck. Stor. delle Arti t. 3, p. 412, ec. ed. Rom.). Io non vo-glio cercare se sia veramente quello il cavallo che accennasi di Riccobal-do. Ma come poteva io pur sospettare che equum fieri fecit volesse dire:fece trasportare un cavallo? Se questa è la spiegazione di quel passo, con-verra compilare un nuovo vocabolario; che certo i pubblicati finora non ciinsegnano che tale sia il senso di quelle parole. Quanto poi alla inverosimi-glianza e quasi impossibilità di fare una statua equestre di bronzo in queltempo di barbarie, ch'egli allega, io non so intendere come se nel 1180 fufatta la porta di bronzo del duomo di Pisa, non si potesse circa il tempomedesimo fare anche un cavallo di bronzo.

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Catalogo

Di alcune delle edizioni degli autori mentovati inquesto tomo.

AVVISONon son molti gli autori, de' quali in questo Tomo si èragionato, e tra essi ancora son pochi quelli le cui ope-re siansi credute degne di belle edizioni. Breve dunque eristretto sarà il Catalogo che qui soggiugniamo secon-do il nostro costume; anzi fra quelli di cui nel decorsodell'opera si è fatta menzione, si sceglieranno que' solia' quali giustamente si dee qualche maggior riguardo, eque' soli le cui opere sono state unite, e pubblicate in-sieme. Nel parlar che abbiam fatto di quelli i cui librisono qua e là sparsi in diverse Raccolte, abbiamo ac-cennato ove si possan essi trovare; e non fa bisognoperciò il moltiplicare a questo luogo le citazioni. Solouniremo qui insieme i titoli di alcune di cotali Raccolteche spesso sono state da noi mentovate, poichè essecomprendono quai più quai meno autori italiani de'bassi secoli, de' quali in questo tomo abbiam dovutotrattare. Per ultimo degli antichi canonisti e leggisti, de'quali si è detto nel quarto libro, qui non faremo Catalo-go, sì perchè le opere loro non sono comunemente ingran pregio, sì perchè di questi più antichi ci è rimasto

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Catalogo

Di alcune delle edizioni degli autori mentovati inquesto tomo.

AVVISONon son molti gli autori, de' quali in questo Tomo si èragionato, e tra essi ancora son pochi quelli le cui ope-re siansi credute degne di belle edizioni. Breve dunque eristretto sarà il Catalogo che qui soggiugniamo secon-do il nostro costume; anzi fra quelli di cui nel decorsodell'opera si è fatta menzione, si sceglieranno que' solia' quali giustamente si dee qualche maggior riguardo, eque' soli le cui opere sono state unite, e pubblicate in-sieme. Nel parlar che abbiam fatto di quelli i cui librisono qua e là sparsi in diverse Raccolte, abbiamo ac-cennato ove si possan essi trovare; e non fa bisognoperciò il moltiplicare a questo luogo le citazioni. Solouniremo qui insieme i titoli di alcune di cotali Raccolteche spesso sono state da noi mentovate, poichè essecomprendono quai più quai meno autori italiani de'bassi secoli, de' quali in questo tomo abbiam dovutotrattare. Per ultimo degli antichi canonisti e leggisti, de'quali si è detto nel quarto libro, qui non faremo Catalo-go, sì perchè le opere loro non sono comunemente ingran pregio, sì perchè di questi più antichi ci è rimasto

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assai poco. Accennerem solo qualche edizione del De-creto di Graziano.

Raccolte.

Bibliotheca maxima veterum Patrum et aliorum Scripto-rum Ecclesiasticorum. Lugduni, 1677, etc. fol. 27 vol.

Vetera Analecta, sive Collectio veterum aliquot Ope-rum, etc. edita a Jo. Mabillon. Parisiis, 1723, fol.

Spicilegium Veterum aliquot Scriptorum editum a LucaDaclierio, etc. Parisiis, 1723, fol. 3 vol.

Veterum Scriptorum et Monumentorum amplissimaCollectio edita ab Edmundo Martene et Ursino Du-rand. Parisiis, 1624 fol. 9 vol.

Thesaurus Anecdotorum novus, iisdem editoribus. Pari-siis, 1717, fol. 5 vol.

Thesaurus Anecdotorum novissimus, editus a BernardoPezio. Augustae, 1721, fol. 7 vol.

Stephani Baluzii Miscellanea. Parisiis, 1678, etc., 8, 7vol.

Eadem auctiora, opera Jo. Dominici Mansii. Lucae,1761, fol. 4, vol.

Leyseri Policarpi Historia Poetarum et Poematum mediiaevi. Halae Magdeburgi, 1721, 8.

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assai poco. Accennerem solo qualche edizione del De-creto di Graziano.

Raccolte.

Bibliotheca maxima veterum Patrum et aliorum Scripto-rum Ecclesiasticorum. Lugduni, 1677, etc. fol. 27 vol.

Vetera Analecta, sive Collectio veterum aliquot Ope-rum, etc. edita a Jo. Mabillon. Parisiis, 1723, fol.

Spicilegium Veterum aliquot Scriptorum editum a LucaDaclierio, etc. Parisiis, 1723, fol. 3 vol.

Veterum Scriptorum et Monumentorum amplissimaCollectio edita ab Edmundo Martene et Ursino Du-rand. Parisiis, 1624 fol. 9 vol.

Thesaurus Anecdotorum novus, iisdem editoribus. Pari-siis, 1717, fol. 5 vol.

Thesaurus Anecdotorum novissimus, editus a BernardoPezio. Augustae, 1721, fol. 7 vol.

Stephani Baluzii Miscellanea. Parisiis, 1678, etc., 8, 7vol.

Eadem auctiora, opera Jo. Dominici Mansii. Lucae,1761, fol. 4, vol.

Leyseri Policarpi Historia Poetarum et Poematum mediiaevi. Halae Magdeburgi, 1721, 8.

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Rerum italicarum Script, ab an. aerae Christiane D adMCCCCC a Ludovico Ant. Muratorio et Sociis Pala-tinis editi. Mediolani, 1725 fol. 28 vol.

Historia Principum Longobardorum, a Camillo Peregri-no edita, cum notis, dissertationibus, etc. FrancisciMariae Pratilli. Neapoli, 1749, 4, vol. 4

Edizioni di autori particolari.

Agnelli, qui et Andreas, Liber Pontificalis, seu VitaePontifìcum Ravennatum, cum praefationibus et obser-vationibus Benedicti Bacchinii Ord. s. Bened. Muti-nae, 1707, 4.

Anastasii bibliothecarii Liber Pontificalis, seu Vitae Ro-manorum Pontifìcum. Moguntiae, 1602, 4.

Eadem, cum ejusdem Historia ecclesiastica, Pari-siis, 1649, fol.

Eadem cum Dissertationibus et notis FrancisciBianchini. Romae, 1718, etc., fol. 4 vol.

Eaedem cum notis et observationibus Joannis Vi-gnolii. Romae 1714, 4, 3 vol.

Anonymi ravennatis Geographia, seu Chorographia,cum notis Placidi Porcheron Congr. s. Mauri, Parisiis,1688, 8.

Eadem cum notis Jo. Gronovii. Lugduni Batav.,

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Rerum italicarum Script, ab an. aerae Christiane D adMCCCCC a Ludovico Ant. Muratorio et Sociis Pala-tinis editi. Mediolani, 1725 fol. 28 vol.

Historia Principum Longobardorum, a Camillo Peregri-no edita, cum notis, dissertationibus, etc. FrancisciMariae Pratilli. Neapoli, 1749, 4, vol. 4

Edizioni di autori particolari.

Agnelli, qui et Andreas, Liber Pontificalis, seu VitaePontifìcum Ravennatum, cum praefationibus et obser-vationibus Benedicti Bacchinii Ord. s. Bened. Muti-nae, 1707, 4.

Anastasii bibliothecarii Liber Pontificalis, seu Vitae Ro-manorum Pontifìcum. Moguntiae, 1602, 4.

Eadem, cum ejusdem Historia ecclesiastica, Pari-siis, 1649, fol.

Eadem cum Dissertationibus et notis FrancisciBianchini. Romae, 1718, etc., fol. 4 vol.

Eaedem cum notis et observationibus Joannis Vi-gnolii. Romae 1714, 4, 3 vol.

Anonymi ravennatis Geographia, seu Chorographia,cum notis Placidi Porcheron Congr. s. Mauri, Parisiis,1688, 8.

Eadem cum notis Jo. Gronovii. Lugduni Batav.,

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1698, 8.Eadem. Ibid. 1722, 4

S. Anselmi cantuariensis archiepiscopi Opera, editoreGabriele Gerberon. Congr. s. Mauri. Parisiis, 1675,fol.

Eadem cum Supplemento. Ibid., 1721, fol.Aratoris subdiaconi Actus Apostolorum Petri et Pauli,

libri duo. Mediolani, 1469, 8 (51).Iidem cum comment. Arrii Barbosae. Salmanticae,

1516.Iidem. Basileae, 1557.

Attonis vercellensis episcopi Opera omnia a Carolo delSignore ex comite Burontii edita. Vercellis, 1768, fol.2 vol.

Boëtii Anicii Manlii Torquati Severini Opera omnia.Basileae, Henricpetri, 1570, fol.

Ejusdem de Consolatone Philosophiae libri V cumexpositione b. Thomae, et versione germanica.Nurembergae, 1473.

Iidem, cum ejusdem expositione. Ib., 1476, fol.Iidem, cum notis variorum. Lugduni Batav., 1671

8.

51 L'edizione di Aratore fatta in Milano nel 1469 è stata segnata sull'autoritàdel Catalogo della Biblioteca barberina; ma si è poi conosciuto che è corsoerrore di stampa nel detto Catalogo, e ch'essa è del 1569.

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1698, 8.Eadem. Ibid. 1722, 4

S. Anselmi cantuariensis archiepiscopi Opera, editoreGabriele Gerberon. Congr. s. Mauri. Parisiis, 1675,fol.

Eadem cum Supplemento. Ibid., 1721, fol.Aratoris subdiaconi Actus Apostolorum Petri et Pauli,

libri duo. Mediolani, 1469, 8 (51).Iidem cum comment. Arrii Barbosae. Salmanticae,

1516.Iidem. Basileae, 1557.

Attonis vercellensis episcopi Opera omnia a Carolo delSignore ex comite Burontii edita. Vercellis, 1768, fol.2 vol.

Boëtii Anicii Manlii Torquati Severini Opera omnia.Basileae, Henricpetri, 1570, fol.

Ejusdem de Consolatone Philosophiae libri V cumexpositione b. Thomae, et versione germanica.Nurembergae, 1473.

Iidem, cum ejusdem expositione. Ib., 1476, fol.Iidem, cum notis variorum. Lugduni Batav., 1671

8.

51 L'edizione di Aratore fatta in Milano nel 1469 è stata segnata sull'autoritàdel Catalogo della Biblioteca barberina; ma si è poi conosciuto che è corsoerrore di stampa nel detto Catalogo, e ch'essa è del 1569.

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Iidem cum interpretatione et notis Petri Callyi adusum delphini. Parisiis, 1680, 4.

(Reliquas vide ap. Mazzucchelli Scritt. ital.)S. Brunonis astensis, siniensis episcopi, Opera omnia a

Mauro Marchesio Mon. Casinensi edita. Venetiis,1651, fol. 2 vol.

Cassiodori Magni Aurelii Senatoris Opera omnia, exeditione Jo. Garetii Congr. s. Mauri. Rotomagi, 1679,fol. 2 vol.

Complexiones in Epist. Apostolorum, in Acta et Apoca-lypsim. Florentiae, 1721, 8.

Ennodii Magni Felicis Opera, ex editione AndreaeSchotti S. J. Toraci, 1610, 8.

Eadem auctiora et emendatiora ex editione JacobiSirmondi S.J. Parisiis, 1611, 8.

Eadem (vol. I Op. Sirmondi. Parisiis, 1696).Fulberti carnotensis episcopi Opera a Carolo de Villiers

edita. Parisiis, 1608, 8.Gerberti (qui postea Silyester II P. M.) Epistolae a J. B

Massono editae. Parisiis, 1611, 4.Eaedem auctiores (Vol. II Script. Histor. Francorum

Andreae du Chesne). Gratiani Decretum, seu Concordantia Discordantium

Canonum, Argentinae, 1471, fol.

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Iidem cum interpretatione et notis Petri Callyi adusum delphini. Parisiis, 1680, 4.

(Reliquas vide ap. Mazzucchelli Scritt. ital.)S. Brunonis astensis, siniensis episcopi, Opera omnia a

Mauro Marchesio Mon. Casinensi edita. Venetiis,1651, fol. 2 vol.

Cassiodori Magni Aurelii Senatoris Opera omnia, exeditione Jo. Garetii Congr. s. Mauri. Rotomagi, 1679,fol. 2 vol.

Complexiones in Epist. Apostolorum, in Acta et Apoca-lypsim. Florentiae, 1721, 8.

Ennodii Magni Felicis Opera, ex editione AndreaeSchotti S. J. Toraci, 1610, 8.

Eadem auctiora et emendatiora ex editione JacobiSirmondi S.J. Parisiis, 1611, 8.

Eadem (vol. I Op. Sirmondi. Parisiis, 1696).Fulberti carnotensis episcopi Opera a Carolo de Villiers

edita. Parisiis, 1608, 8.Gerberti (qui postea Silyester II P. M.) Epistolae a J. B

Massono editae. Parisiis, 1611, 4.Eaedem auctiores (Vol. II Script. Histor. Francorum

Andreae du Chesne). Gratiani Decretum, seu Concordantia Discordantium

Canonum, Argentinae, 1471, fol.

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Idem. Moguntiae, 1472, fol.Idem Gregorii XIII jussu emendatum. Romae,

1584, 8.Gratiani Canones genuini ab apocryphis discreti, auct.

Carolo Berardi. Taurini, 1752. 4, 4 vol.S. Gregorii Magni rom. pont. Opera. Parisiis, 1518, fol.

Eadem. Basileae, Frobenius, 1561, fol.Eadem a Petro Tussianensi editae. Romae, 1588,

ec. fol. 6 vol.Eadem ex editione Monachorum Congr. s. Mauri.

Parisiis, 1705, fol. 4 vol.I Morali sopra Giob, tradotti da Zanobi da Strata. Firen-

ze, 1481, fol. 2 vol.Gli stessi tradotti dal medesimo. Roma. 1714, etc. 4. 4

vol.Lanfranchi archiepiscopi cantuariensis Opera edita a

Luca Dacherio. Parisiis, 1646, fol.Leonis marsicani ostiensis episcopi, Chronicon casinen-

se, a Petro diacono continuatum. Venetiis, 1513, 4.Idem cum notis Matthaei Laureti. Neapoli, 1616, 4.Idem cum notis et dissertationibus Angeli de Nuce

ab. casinensis. Parisiis, 1668. fol.Papiae Elementarium, seu Lexicon. Mediolani, 1475.

Idem. Venetiis. 1496, fol.

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Idem. Moguntiae, 1472, fol.Idem Gregorii XIII jussu emendatum. Romae,

1584, 8.Gratiani Canones genuini ab apocryphis discreti, auct.

Carolo Berardi. Taurini, 1752. 4, 4 vol.S. Gregorii Magni rom. pont. Opera. Parisiis, 1518, fol.

Eadem. Basileae, Frobenius, 1561, fol.Eadem a Petro Tussianensi editae. Romae, 1588,

ec. fol. 6 vol.Eadem ex editione Monachorum Congr. s. Mauri.

Parisiis, 1705, fol. 4 vol.I Morali sopra Giob, tradotti da Zanobi da Strata. Firen-

ze, 1481, fol. 2 vol.Gli stessi tradotti dal medesimo. Roma. 1714, etc. 4. 4

vol.Lanfranchi archiepiscopi cantuariensis Opera edita a

Luca Dacherio. Parisiis, 1646, fol.Leonis marsicani ostiensis episcopi, Chronicon casinen-

se, a Petro diacono continuatum. Venetiis, 1513, 4.Idem cum notis Matthaei Laureti. Neapoli, 1616, 4.Idem cum notis et dissertationibus Angeli de Nuce

ab. casinensis. Parisiis, 1668. fol.Papiae Elementarium, seu Lexicon. Mediolani, 1475.

Idem. Venetiis. 1496, fol.

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S. Paulini aquilejensis patriarchae Opera a Jo. FranciscoMadrisio Congr. Oratorii Rom. edita. Venetiis, 1737,fol.

S. Petri Damiani Opera a Costantino Cajetano casinensiedita, Romae, 1604, etc. fol. 4 vol.

Eadem. Parisiis, 1663, fol. 4 vol.Petri diaconi casinensis Liber de Viris illustribus Casi-

nensibus cum notis Joannis Bapt. Mari. Romae, 1655.Idem cum ejusdem notis. Parisiis, 1666, 8.

Petri lombardi libri IV Sententiarum. Norimbergae.1474, fol.

Idem. Venetiis, 1477, fol.(Alias innumeras vide ap. Fabric. Bibliot. lat. med.

et inf. catal. vol. V, p. 263, et ap. Lipenium Bi-blioth. theolog.).

Ratherii veronensis episcopi Opera (vol. I Spicileg. Da-cherii).

Eadem auctiora cum dissertationibus, etc. edenti-bus Petro et Hieronymo Balleriniis. Veronae,1765, fol. 2 vol..

Salernitana Schola, seu de valetudine tuenda. Antuer-piae, 1562, 8.

Eadem cum notis Renati Moreau. Parisiis, 1625, 8.Eadem ex recensione Zachariae Silvii. Roterodami,

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S. Paulini aquilejensis patriarchae Opera a Jo. FranciscoMadrisio Congr. Oratorii Rom. edita. Venetiis, 1737,fol.

S. Petri Damiani Opera a Costantino Cajetano casinensiedita, Romae, 1604, etc. fol. 4 vol.

Eadem. Parisiis, 1663, fol. 4 vol.Petri diaconi casinensis Liber de Viris illustribus Casi-

nensibus cum notis Joannis Bapt. Mari. Romae, 1655.Idem cum ejusdem notis. Parisiis, 1666, 8.

Petri lombardi libri IV Sententiarum. Norimbergae.1474, fol.

Idem. Venetiis, 1477, fol.(Alias innumeras vide ap. Fabric. Bibliot. lat. med.

et inf. catal. vol. V, p. 263, et ap. Lipenium Bi-blioth. theolog.).

Ratherii veronensis episcopi Opera (vol. I Spicileg. Da-cherii).

Eadem auctiora cum dissertationibus, etc. edenti-bus Petro et Hieronymo Balleriniis. Veronae,1765, fol. 2 vol..

Salernitana Schola, seu de valetudine tuenda. Antuer-piae, 1562, 8.

Eadem cum notis Renati Moreau. Parisiis, 1625, 8.Eadem ex recensione Zachariae Silvii. Roterodami,

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1649, 12.(Alias innumeras vide ap. Manget. Biblioth. Script.

Medic. t. II. pars II, p. 292; et Argel. Biblioth.Script Mediolan. vol. I, pars II, p. 740).

Theodulphi aurelianensis episcopi Opera a Jacobo Sir-mondo S. J, edita. Parisiis, 1646, 8.

Eadem (vol. II Op. Sirmond.).Venantii Fortunati Carmina et Opuscula, cum notis Cri-

stophori Brozweri S. J. Moguntiae, 1603, 4

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1649, 12.(Alias innumeras vide ap. Manget. Biblioth. Script.

Medic. t. II. pars II, p. 292; et Argel. Biblioth.Script Mediolan. vol. I, pars II, p. 740).

Theodulphi aurelianensis episcopi Opera a Jacobo Sir-mondo S. J, edita. Parisiis, 1646, 8.

Eadem (vol. II Op. Sirmond.).Venantii Fortunati Carmina et Opuscula, cum notis Cri-

stophori Brozweri S. J. Moguntiae, 1603, 4

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