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IN PRIMO PIANO

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~-' •. JI QuallWare

by Analysls

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>> Il Direttore

la Qualità del lavoro

per la

Qualità dei risultati

Editoriale

Antoine de Saint-Exupéry teorizzava che «se vuoi costruire una nave, non far raccogliere ai tuoi uomini pezzi di legno, ma tra-smetti loro la nostalgia del mare infinito»; gli faceva eco il compianto Franco D’Egidio: «una grande nave, può essere costruita nelmodo migliore, può incorporare i migliori e più avanzati ritrovati della tecnologia; ma senza le giuste persone non andrà molto lonta-no». Il mondo del lavoro è da sempre interessato dal confronto tra dimensioni “emotive” e dimensioni “materiali”; la realtà quo-tidiana del lavoratore è un continuo oscillare tra le figure dell’homo faber e dell’animal laborans, teorizzate da Hannah Arendt erichiamate di recente dal sociologo Richard Sennet nel bellissimo libro «L’uomo artigiano» [edito da Feltrinelli] che dedica un im-portante capitolo proprio all’”ossessione della qualità”: capitolo che tutti dovremmo leggere attentamente.

Meritano spazio anche le parole di Michel Deleforge [che chiudono il capitolo nell’opera di J. M. Juran, La qualità nella storia,Sperling&Kupfer, 1997; p. 384]: «il lavoro è una forma di cultura. Fin dai tempi più antichi, questa cultura si concretizza nell’armo-nia del braccio con la mente, della perizia manuale con la capacità speculativa. A partire dalla piramide egizie, dai templi greci, daltempio di Gerusalemme e dalla strade romane, passando dai costruttori delle cattedrali medievali e rinascimentali … gli artigiani han-no cercato non solo di tramandare una testimonianza della loro abilità, ma anche di comunicare un messaggio di saggezza e una au-tentica cultura del lavoro: non una ideologia foriera di conflitti, ma un contributo all’umanità …. (perché) l’ideale supremo di tutti gliartigiani è la qualità del lavoro e la qualità dell’uomo. Per sapere come fare, devi sapere come essere. Ognuno di questi due modi diespressione e culmine dell’altro, e una cultura è completa quando ha realizzato l’armonia tra di essi».Con la convinta consapevolezza che la Qualità di un prodotto e di un servizio non può essere mai superiore alla qualità del-l’organizzazione che li realizza, questo numero della Rivista, viene dedicato al lavoratore affinché questi possa tornare ad esse-re l’artifex delle organizzazioni. Gli scritti degli autorevoli colleghi sono stati segmentati tematicamente in tre aree: la qualitàdel lavoro; la qualità dei lavori; la sicurezza sul lavoro.

Il tradizionale elzeviro di apertura è dedicato alla ricerca di una possibile risposta al quesito: «cosa è rimasto della Qualità Tota-le?»; è un autorevole contributo di Giorgio Merli, incontrato circa 30 anni fa alla presentazione di un interessantissimo libro de-dicato ai “Circoli della Qualità”. Argomento questo che inspiegabilmente è sparito dalla cassetta degli attrezzi utili per una ge-stione partecipata, efficace ed innovativa delle organizzazioni. Il numero è completato con rubriche e box informativi e di ag-giornamento. Ringrazio gli autori per aver messo a disposizione di tutti gli importanti contributi; esprimo la mia gratitudine anche ai numero-si colleghi che hanno affidato i propri scritti alla Redazione e che, purtroppo, per motivi di spazio non risulta possibile inserirenella Rivista. Questo può essere considerato un indicatore significativo della crescente attenzione che viene riservata dai lettori, dai Soci del“sistema AICQ, e dalla nutrita schiera di accademici che riconoscono a queste pagine il ruolo di vetrina adeguata per la propriaproduzione scientifica. Per rimuovere questa criticità, la Redazione di Qualità sta lavorando per creare dei supplementi periodi-ci in “formato elettronico” aventi un numero di pagine almeno doppio dell’attuale versione cartacea; in questo modo potrannoessere pubblicati sia gli articoli disponibili sia i contributi scientifici di una dimensione maggiore. La versione elettronica del “supplemento” dovrebbe uscire alternativamente alla versione cartacea, cioè nei mesi pari; possibil-mente a partire dal prossimo mese di agosto.

Grazie a tutti e buona lettura!Sergio BINI

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luglio/agosto 2014www.aicqna.com

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Editoriale La Qualità del lavoro per la Qualità dei risultati 1sergio Bini

tema 1 Qualità del LavoroGuidare con il capo chino 8Corné J. BEKKEr

Le persone negli standard sui Sistemi di Gestione 15Gianpaolo stELLa

Qualità ed Eccellenza nelle Facoltà Teologiche 17salvatore La rOsa

tema 2 Qualità dei Lavori Cultura e scelte gestionali nei ristoranti 21Costantino CipOLLa

La farmacopea ufficiale italiana 24maria antonietta CUtULi

L'esperienza di un’azienda agricola della Tuscia 27Luigi GiOVannELLi

tema 3 salute e sicurezzadel Lavoro

modelli organizzativi e art. 30 D.lgs 81/2008 30Oliviero CasaLE e alberto andrEani

Formare i formatori della sicurezza 40Fabrizio rainaLdi

Sicurezza nei Cantieri temporanei e mobili 45maurizio BELLa

La sicurezza al lavoro 49Ludovica Carla FErrari e nicola zECCHini

Enjoineering c/o Unitus 16paolo dELLO ViCariO

Caro direttore ti scrivo ... 42a cura di sergio Bini

rubrica anFia 51a cura di marco mantOan

Le nuove generazioni della Qualità 52Cecilia siLVEstri

Vita dell’associazione 53a cura della rEdaziOnE

In conformità al D.lgs. 196 del 30 giugno 2003 e fatti salvi idiritti dell’interessato ex art. 7 del suddetto decreto, l’invio diQualità autorizza AICQ stessa al trattamento dei dati persona-li ai fini della spedizione di questa pubblicazione.distribuzione: La rivista è stampata in 8.000 copie a numeroe viene inviata a tutti i Soci AICQ in abbonamento postale, eai responsabili qualità delle aziende.

Spedizione in abbonamento postale - DL 353/2003 (conv. inL. 27/2/2004 n. 46) art. 1 comma 1 - DCB Mi. Prezzi divendi-ta per l’Italia: 1 copia € 5,00, 1 copia arretrata € 5,00, abbo-namento annuo (6 n.) € 55,00. Per l’estero: 1 copia € 10,00.Il pagamento può essere effettuato tramite bonifico sul c/cbancario: IBAN IT33N0569634070000002372X67intestato a Mediavalue srl

n. 4 luglio/agosto 2014Edizione Nazionale AICQAutorizzazione del Trib. di Torino n. 783 del Registro del 28/11/52ISSN 2037-4186direttore responsabile: Sergio BINIredazione: Annalisa ROSSISegreteria di redazioneAICQ - via Cornalia, 19 - 20124 MilanoTel. 02 66712484 - Fax 02 [email protected]

editore: Mediavalue srlVia G. Biancardi, 2 20149 Milanotel. 0289459724 - www.mediavalue.it

redazione e grafica: [email protected]: [email protected]à: [email protected]

Stampa: Italgrafica - NovaraGli articoli vengono pubblicati sotto la responsabilità degli Autori.

I n p r I m o p I a n o

Cos’è rimasto della Qualità Totale? 3

Giorgio merLI

L a p r E s i d E n z a i t a L i a n a U E d E L s E m E s t r E !Il 1° luglio è iniziato il “semestre italiano” di presidenza dell’UnioneEuropea!La Rivista «QUALITÀ» desidera formulare i migliori e più sentiti auguridi buon lavoro al presidente del consiglio dei ministri della Repubbli-ca Italiana ed a tutti i componenti della squadra azzurra (impegnatinell’avventura, a tutti i livelli) affinché possano riuscire a portare a ca-sa risultati utili per poter migliorare la qualità della vita dei cittadini. La Rivista assicura la piena disponibilità a collaborare (tecnicamente,metodologicamente e fattualmente) per poter arricchire di buona“Qualità made in Italy” l’Agenda politica del semestre italiano.

s o m m a r i o

- prof. alessandro rUGGIerI, Magnifico Rettoredell’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo,presidente;

- prof.ssa fiammetta mIGNeLLa CaLvoSa, professo-re ordinario di Sociologia dell’Ambiente e del Terri-torio presso l’Università LUMSA di Roma;

- prof. ing. massimo troNCI, professore ordinario diImpianti Industriali Meccanici presso il Dipartimen-to di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale dell’Uni-versità di Roma la Sapienza;

- prof. Salvatore La roSa, professore ordinario diStatistica Aziendale e Controllo della qualità pressola Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di

Palermo;- prof. enrico maria moSCoNI, direttore Centro perl’Innovazione Tecnologica e lo Sviluppo del Territo-rio presso Dipartimento di Economia e Impresadell’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo;

- prof. ing. antonio SCIPIoNI, direttore del CentroStudi Qualità Ambiente presso il Dipartimento di In-gegneria Industriale dell’Università degli Studi di Pa-dova;

- prof. arch. maria antonietta eSPoSIto, professoreordinario di Tecnologia dell’architettura presso il Di-partimento di Architetture dell’Università degli Studidi Firenze

C o m I t a t o t e C N I C o S C I e N t I f I C o d e L L a r I v I S t a

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Cos’è rimasto della Qualità totale?

L’insegnamento giapponese Nel corso degli anni 80 e fino a tutti gli anni 90 le aziende occi-dentali subirono un potente attacco da parte dell’industria giap-ponese, perdendo dapprima la leadership di business e poi an-che quella tecnologica in molti settori (iniziando dall’Automotivee dall’Elettronica di Consumo). Fu un vero “tsunami”!Buona parte del successo delle aziende giapponesi fu attribuitoai nuovi approcci strategico-organizzativi da esse sviluppati (inparte su insegnamento di esperti occidentali). In particolare sipossono individuare ex-post due approcci che determinarono difatto una vera e propria rivoluzione: •il Total Quality Management (da loro meglio identificato come“Company-wide Quality Control”);•il Just in Time, poi evoluto nel “Lean Manufacturing” (basato sulModello Toyota Production System).Tali successi giapponesi convinsero le aziende occidentali a stu-diare questi nuovi approcci, per poi eventualmente implementar-li anch’esse. La comprensione non fu subito facile, anche per lenotevoli barriere culturali. Ci furono anni di continui viaggi distudio in Giappone organizzati per i nostri manager.Contemporaneamente, su sollecitazione occidentale e con unostrano mix di “divulgazione culturale-business di consulenza”,cominciò anche un flusso contrario di esperti-consulenti giappo-nesi presso le nostre organizzazioni industriali e aziende, desi-derose di recuperare il gap competitivo.Il JUSE (Japanese Union of Scientists and Engineers) per primo(senza scopi di lucro palesi o prevalenti) ed altre organizzazionisuccessivamente (più business oriented) diffusero così il nuovo

“verbo” nel nostro mondo manageriale.Ci furono confronti, discussioni, una pletora di pubblicazioni …;nel mondo manageriale “non si parlava d’altro”! Esisteva una sorta di corsa frenetica “a chi riusciva per primo” acarpire i segreti del modello giapponese per poterlo applicareanche da noi ... oppure a dimostrare il perché “non” lo si potevaapplicare o non conveniva.I temi in discussione erano parecchi: 1)«ma cosa sono esattamente questi approcci?»Non fu facile capirsi, date le notevoli differenze culturali, per-fino a livello di lessico tecnico. Ci furono grandi discussionisul significato di “Qualità” e di “controllo”, nonché sulle valu-tazioni economiche della produzione a flusso (per primo il mi-to del “lotto economico” da sfatare).

2)«ma sono davvero applicabili anche da noi?»Inizialmente si era molto, molto dubbiosi. Io personalmenteebbi parecchi scontri culturali con parte del management dialcune aziende (ex) leader che asseriva la totale impraticabilitàdel modello giapponese in occidente, contrapponendogli ap-procci innovativi più “occidentali”, quali il maggior ricorsoall’automazione e alla riorganizzazione “per processi” (il “Bu-siness Process Re-engineering”). Un tipico atteggiamento eraquello del “..tecnicamente non abbiamo niente da imparare,buona parte delle tecniche usate dai Giapponesi sono di pro-venienza occidentale”. Cosa anche vera, ma la differenza eranella loro reale applicazione pratica e principalmente nella di-mensione gestionale-organizzativa, più che nelle tecniche usa-te. Prima fra tutte il fatto che l’approccio TQM prevedeva unmassiccio coinvolgimento collaborativo da parte delle mae-stranze, normale in Giappone, tutto da verificare in Occiden-te.

3)«comunque …, come la mettiamo con i Sindacati?» (tema di-battuto specialmente in Italia).In effetti un grosso ostacolo era costituito da fatto che i modellipartecipativi giapponesi non erano compatibili con la logica dicontrapposizione azienda-forza lavoro che definiva standardstabili di prestazioni su cui basare i contratti, i premi di produ-zione, e così via. Il fatto che tutto potesse essere migliorato

The results of 90’s “TQM tsunami” are not very evident in our Or-

ganizations today, but some companies have integrated the TQM

methodologies in their management system with great success. In

the emerging Business Scenario they can be a real “new” competi-

tive advantage, especially where the “real time” interactions with

clients make the difference. Some companies have already under-

stood it. A re-orientation of TQM methodologies to the WEB envi-

ronment can represent a real new competitive weapon.

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>> Giorgio mErLI

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continuamente, implicava continui cambiamenti organizzativie prestazionali, non gestibili nel rapporto basato su accordistabili da rivedere solo periodicamente col consenso delleRSU. Il rapporto diretto sulla valutazione delle performance daparte dei capi toglieva, inoltre, potere ai Sindacati.

4)«i Giapponesi copiano e migliorano, noi vinceremo con l’in-novazione».Questa affermazione proveniva da chi sinceramente credevain ciò, ma anche da chi riteneva il modello giapponese inap-plicabile nella nostra realtà (ho bene in mente AmministratoriDelegati che su con questo credo hanno perso la battaglia e/oil posto). In effetti, comunque, il confine tra miglioramento e innovazio-ne non era però così netto e, in ogni caso, i Giapponesi “ta-gliarono la testa al toro”, nel senso che cominciarono poi adinnovare più di noi.

La diffusione in occidenteLe discussioni furono comunque presto superate dai fatti: il mon-do americano, e poi tutto quello occidentale, reagì adottando inmodo generalizzato i modelli giapponesi sia a livello aziendeche a livello Comunità, con l’istituzione di Modelli di BusinessExcellence e relativi premi ispirati da tali nuove logiche, in gene-re partendo dal concetto di priorità della “Customer Satisfac-tion”: il modello americano mBQa [Malcolm Baldrige QualityAward], il modello europeo efQm [European Foundation forQuality Management] e così via.É vero, però, che l’interpretazione e la diffusione sostanziale fudiversa nel mondo. Generalizzando un po’, per semplicità inter-pretativa, si può dire che questi approcci furono ben interiorizza-ti dalle aziende americane e da quelle nord europee (più prag-matico e veloce l’approccio americano, più “organizzato” quellonord europeo). Sicuramente la diffusione nei paesi latini fu più“a macchia di leopardo”. Per quanto riguarda l’Italia, non ci fu un approccio “nazionale”come in altri paesi; sappiamo bene, in effetti, come in Italia nonsi trovi mai chi possa promuovere campagne di importanza stra-tegica per l’economia del Paese, e così fu anche per il TQM. Sipensi peraltro anche alla attuale completa assenza di strategianazionale sul business delle bellezze culturali/turismo, che rap-presenta di fatto l’unico vero asset competitivo, e sicuramentedifferenziante, dell’Italia.L’applicazione degli approcci giapponesi fu dunque diversa daazienda ad azienda, con alcune limitate eccellenze (in generealimentate da case madri straniere) e tante applicazioni moltoparziali da parte della maggioranza delle aziende. Una buonaparte rimase addirittura insensibile, tra cui alcune importantiaziende, peraltro poi quasi tutte in difficoltà.Senza entrare troppo nel merito delle applicazioni italiane deglianni Ottanta-Novanta (in Italia più Novanta che Ottanta), val lapena di portarci velocemente alla situazione di oggi per capirecosa è rimasto di quello “tsunami”, di quella cioè che fu consi-derata una vera rivoluzione negli approcci manageriali, tanto dacambiare drasticamente gli oggetti della bibliografia managerialeper circa un decennio.

Cosa è rimastoFrequentando aziende multinazionali (e non) dei paesi occiden-tali, si può oggi affermare che la “campagna culturale della Qua-lità Totale” è stata metabolizzata, digerita, nel senso che se parlasicuramente molto meno rispetto al passato o quasi per niente.Ciò può essere interpretato sostanzialmente in due modi:a) «è una storia passata, non è più attuale»;b)«è entrata nei geni dell’organizzazione e del managementaziendale e quindi non merita ulteriori approfondimenti e dis-cussioni».

In effetti, almeno a parere di chi scrive, sembrano essere vere en-trambe le cose, nel senso che ci sono aziende nella prima situa-zione culturale ed aziende nella seconda situazione.Sarebbe facile dire che quelle nella prima situazione sono inpeggiore situazione competitiva (o addirittura non esistono più),mentre quelle nella seconda situazione sono meglio posizionate,ma la diagnosi è probabilmente molto più complessa. La cosa certa è che le aziende nella situazione a) sono in generequelle che non l’hanno mai adottata o che l’hanno adottata soloa livello di campagna culturale e/o tecnica, senza impatti signifi-cativi su organizzazione e sistemi di management e, quasi, irri-dono oggi tali approcci, “felici di non averli dovuto adottare”.Potrebbero essere citate grandi aziende italiane, anche nel setto-re Food, in cui esistono addetti alla funzione Qualità che nonhanno mai sperimentato logiche di SPC evoluto (non sanno adesempio la differenza fra cause “comuni” e cause “speciali” eche le affrontano nello stesso modo) e, se si parla con loro diQualità Totale, non hanno al riguardo alcuna consapevole me-moria storica, ricordando al massimo i “Circoli della Qualità”,considerandoli, sbrigativamente, come una esperienza storica,velleitaria e quasi infantile.In effetti, come però per altre discipline e approcci, la realtà tec-nico-manageriale italiana è molto degradata negli ultimi quindicianni. Si tratta di fatto di una “analfabetizzazione di ritorno”, ge-nerata forse dagli approcci più recenti orientati prevalentementealla finanza, alla gestione economica dell’impresa, ai servizi eall’innovazione. La cosa sarebbe comunque da interpretare me-glio, visto che la nuova frontiera dell’innovazione è proprio co-stituita di servizi e dalla “servitizzazione” dei prodotti. Infatti,negli ambiti dei processi di servizio, le metodologie della Quali-tà sarebbero fondamentali, sia per la gestione/miglioramento deiprocessi stessi che per il necessario diretto rapporto con la custo-mer satisfaction (non filtrata da sistemi distributivi fisici). Ma anche nell’area dei servizi si assiste ad un trend a forbice: dauna parte si sviluppano servizi sempre più customer-driven eorientati al cliente e, dall’altra, esiste un degrado strisciante dellaqualità degli stessi nel rapporto col cliente (si pensi alla bassaqualità del servizio di parecchi call center di supporto a businessdei servizi).Tornando al tentativo di segmentare le situazioni attuali nella ti-pologie a) [“è una storia passata”] e b) [“é entrata nei geniaziendali”], è però vero che anche nelle aziende nella situazioneb) i riferimenti a tali approcci non sono più molto frequentie/espliciti (pur esistendo importanti eccezioni). Si tratta però spesso di aziende leader in cui è diventata prassi

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normale:•perseguire continuamenteorganizzazioni più “Lean”; •dare priorità/importanza alla Soddisfazione del Cliente;•implementare in modo generalizzato approcci WCOM (World-Class-Operations-Management);•organizzarsi con tre dimensioni manageriali coesistenti: il mi-glioramento bottom-up, il miglioramento trasversale per proces-si, il miglioramento strategico top-down integrato con il BAU (Bu-siness As Usual);•gestire in logica di priorità/breakthrough (evoluzione degli ap-procci TQM di Management by Policy/Policy Deployment-Hos-hin Kanri);•valutare le performance sulla base di Balanced Score Cards più“imprenditoriali” rispetto al passato (per presidiare e incentivarecontemporaneamente obiettivi di breve-medio e lungo terminenella odierna mutevolezza dello scenario e delle priorità);•dare maggior importanza/focus alla “innovazione continua” (inaggiunta al miglioramento continuo).

nuovo scenario e prospettiveMa nel nuovo scenario competitivo, dove i vantaggi competitivisono difficilmente sostenibili nel tempo e richiedono ri-orienta-menti continui del Modello di Business, è diventata fondamenta-le la capacità di rivedere/riallineare continuamente le competen-ze/capacità aziendali (le “Business Capabilities”) e i processioperativi. Ciò comporta la necessità di dedicare le sempre piùscarse risorse aziendali alla ricerca continua di miglioramenti edi innovazioni su priorità che cambiano velocemente. Anche ilmix miglioramento-innovazione è molto variabile nel tempo a

seconda dellasituazione com-petitiva contingen-te dell’azienda e ri-chiede quindi anch’es-so una gestione più “im-prenditoriale rispetto alpassato”. Ciò significa chenon è più opportuno/sosteni-bile un approccio che vedeprogrammi generalizzati “paral-leli” di miglioramento bottom-updisgiunti da quelli di riallineamentodelle capabilities e delle innovazioni.

Questi stream vanno oggi integrati e prioritizzati in Piani gestitidalla linea di management in modo molto flessibile (diciamo“imprenditoriale”, visti i rischi connessi e la necessità di prende-re decisioni su basi molto meno analitiche).Fondamentale per tutto ciò è, però, la possibilità di coinvolgeretutte le risorse aziendali che possono contribuire, in modo intel-ligente e focalizzato. Ne consegue che risultano inevitabilmenteavvantaggiate quelle aziende che avevano già fatto proprie le lo-giche del coinvolgimento generalizzato integrato con i sistemi dimanagement aziendali (dove il coinvolgimento era diventato undi cui della “circolazione sanguigna” dell’azienda).Ben diversa la situazione delle aziende in cui i programmi di mi-glioramento basati sul coinvolgimento non avevano attecchito,rimanendo in genere a livello di “programma” gestito da struttu-re parallele e non di linea. Un chiaro segnale di tale situazione è costituito dal fatto che intali aziende occorreva “riattivare l’entusiasmo” lanciando via viacampagne successive con “bandiere/slogan” più emotivo-formaliche sostanziali, col risultato che tutto veniva sempre più vissutocome un “deja vu”. In queste situazioni tali “pregressi” hannocostituito, e costituiscono ancora di fatto, addirittura un ostacoloper le gestioni focalizzate e dinamiche che servono oggi, basatesulla possibilità di mobilitare in modo veloce e focalizzato le ri-sorse necessarie.Tali programmi/campagne hanno infatti generato una cultura ditipo burocratico-tayloristica anche nella gestione del migliora-mento, difficile da sradicare quanto quella basata su standard

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stabili che essa aveva cercato di far superare.In tale contesto qual è l’attuale situazione italiana? É inevitabilmente la conseguenza dei trend che ci caratterizza-no:•la presenza prevalente di situazioni organizzativo-culturali del ti-po b), che non hanno consentito di capitalizzare le potenzialitàdel coinvolgimento reale delle risorse aziendali appena descrit-to; •il degrado delle competenze tecnico-manageriali del middle ma-nagement;•l’ostinazione strategica del focus sulla sola produttività industriale(si legga efficienza) da gestire in contrapposizione/contrattual-mente con le RSU;•il tentativo di mantenere produzioni con tecnologie più adatte alterzo mondo, anziché cercare di spostarsi su altre tecnologie;•l’incapacità delle PMI di cogliere i trend strategici, rifugiandosi sem-pre più in nicchie a poca leva sul PIL e sulla futura competitivi-tà (le eccellenze di nicchia non possono da sole portare lontanoil Paese);•la mancanza di “corpi aziendali” coesi, capaci di reagire uniti, dal-l’Amministratore Delegato alla base, ricercando reali innovazio-ni anziché praticare improbabili strategie diversificate da partedegli azionisti (che nel migliore dei casi portano all’estero i loroinvestimenti oppure vendono all’estero quanto capitalizzato a li-vello di tecnologia e/o brand) o praticando altrettanto improba-bili strategie difensive da parte dei dipendenti, spesso condizio-nati da sindacati frequentemente non lungimiranti (come si puòpensare di poter mantenere in Italia produzioni il cui costo ora-rio, a pochi chilometri dai nostri confini, è già un terzo o meno?).A tal riguardo la Qualità Totale si può probabilmente considera-re, effettivamente, una grande occasione perduta dall’Italia.Essa, al di là dei contenuti specifici, si era presentata comeun’opportunità servita su di un “vassoio d’argento” per scardina-re la storica logica di contrapposizione degli interessi in azienda,in quanto avrebbe potuto attivare una reale unità di intentiaziendale, grazie alle sue logiche di elevato coinvolgimento in-tergerarchico. Esse avrebbero potuto costituire anche la premes-sa socio-culturale per un coinvolgimento diretto dei dipendenti,e/o delle loro rappresentanze, nella gestione e nella condivisionedei risultati dell’azienda (come avviene in altri Paesi leader occi-dentali quali Germania e USA).Tale coinvolgimento, una volta attivato, avrebbe consentito alleaziende di evolvere, ri-orientarsi e re-inventarsi in modo moltopiù fluido, senza quelle tensioni che, in momenti di crisi, rendo-no il mondo del lavoro ancora più rigido e resistente al cambia-mento. Una volta accomunati da logiche condivise e assodate di “mi-glioramento continuo” sarebbe stato ben più facile orientare talicapacità alla nuova priorità per vincere: l’«innovazione conti-nua».E qui, volendo continuare a farci un po’ di male, ci starebberobene queste considerazioni:•i Giapponesi sono riusciti a posizionarsi al massimo livello del-la competitività mondiale facendo leva e “industrializzando” laloro maggior capacità di allora: “copiare e migliorare”. Tutti quel-

li che oggi hanno una “certa età” ben ricorderanno che i Giap-ponesi venivano definiti con sufficienza «quelli che sapevano“solo copiare”», per poi scoprire che «sapevano anche “miglio-rare”». Quest’ultimo aspetto era stato comunque da noi inizial-mente quasi snobbato, in quanto, essendo gli Italiani storicamentepiù innovativi e creativi non sentivano il bisogno di “abbassarsi”al miglioramento; bastava inventare nuovi prodotti e tecnologieper vincere!•trascurando la grande ”superficialità” della nostra interpretazio-ne dell’innovazione (ci hanno fatto poi vedere loro cosa volevadire innovare, affiancandosi agli USA e ora raggiunti anche dal-la Corea e dalla Cina), ci sarebbe però rimasto ancora, secondola nostra interpretazione, un vantaggio competitivo: la “creativi-tà”. Ma è proprio sulla creatività che il nostro Paese ha colpe im-perdonabili (salvo ammettere che saremmo stati incapaci a farla). Se è e vero che i Giapponesi hanno avuto successo grazie allaloro decisione di industrializzare la loro capacità di base costi-tuita dal “copiare-migliorare”, perché noi non abbiamo cercatodi fare altrettanto con la nostra capacità di “innovazione-creati-vità”? Devo purtroppo rilevare che al riguardo non ho assistito anessun serio programma, sia nazionale (ma al solito non era ilcaso di aspettarselo) sia (ahimè) del sistema delle aziende. Do-vrei dire di più: a riguardo della creatività-innovazione ho sentitoe sento nei convegni e negli incontri tante vanterie a riguardo;ma mai una vera strategia o un programma serio (sembrano le ti-piche eccezioni che “confermano la regola”).Di fatto la nostra creatività è sempre più venduta ad aziendeestere, sia come know-how di sistemi/distretti e/o di aziende chedi singole persone. Sempre meno contribuisce a sviluppi organi-ci della competitività del nostro Paese (al punto tale che quandoc’è un’eccellenza è sempre molto piccola e viene sbandierata epresentata in ripetute occasioni).Al di là delle occasioni perdute, oggi il Sistema - Italia può solotentare di rimettersi in corsa, non cercando di rincorrere trend emodelli altrui, ma cercando di capire il dopo, dove sta andandoil mondo; cercando di resettarsi opportunamente sullo scenarioventuro.Il problema ritorna però a essere quello del “motore” di tale au-spicabile Rinascimento, che non si riesce a capire dove potrebbeessere attivato a livello di Istituzioni e Organizzazioni (con, adesempio, una Confindustria poco proattiva al riguardo), maneanche a livello aziendale, viste le poche grandi aziende italia-ne rimaste e la continua perdita di valore strategico dei DistrettiIndustriali. Sarebbe auspicabile una ricostruzione della forzacompetitiva del Paese Italia fondata su alcune nuove priorità:•una strategia di sviluppo basata sui fattori distintivi, sui cui avrem-mo poca concorrenza di fatto (e cioè Beni Culturali-Turismo-Ma-de in Italy-Cibo e dintorni);•un recupero di un’unità di intenti-coinvolgimento a tutti i livelli,al di fuori degli schemi tradizionali.Un ottimo punto di partenza “bottom-up” (e forse l’unico prati-cabile seriamente e velocemente in Italia), potrebbe essere costi-tuito dal ri-orientamento verso tali logiche delle nostra aziende,o meglio di parti di esse (per non perdere gli zoccoli di parten-za).

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7in prim

o pianoy Cos’è rimasto della Qualità Totale? y

Le metodologie della Qualità totale come nuovo vantaggio competitivoUn ragionamento strategicamente più corretto, in una logica diBusiness Globale, sarebbe però quello di interpretare come saràcostituito e segmentato il business in un orizzonte di almeno die-ci anni da oggi. Tale scenario sarà in buona parte la conseguenzadei trend in atto per quanto riguarda l’evoluzione sociale e deicomportamenti di acquisto del mercato.Alcuni di tali trend sono particolarmente importanti per gli im-patti sul tema oggetto di questo articolo. Essi sono:•l’evoluzione del mix del PIL dei paesi occidentali, che vede lapercentuale di valore prodotto dal manufacturing in forte calo(ora tra il 15 e il 20% del PIL, contro l’80-85% dei Servizi). Si no-ti a tal riguardo che negli USA la sotto-categoria dei Servizi de-nominata “gestione delle informazioni” rappresenta già da alcu-ni anni più del 50% del PIL nazionale ed è l’unico quadrante increscita (si veda la figura);•la “polarizzazione” dei consumi sui due estremi “prodotti-servi-zi commodity” e “prodotti-servizi ad alto valore percepito”, consignificativa e continua riduzione dei “prodotti-servizi di mediovalore”;•l’aumento deciso di una compenetrazione tra prodotto e servi-zio che vede sempre più i prodotti acquistati attraverso il servi-zio delle loro funzione (pay per use, affitto, e così via), anzichécome prodotti di proprietà (dagli smartphone, alle auto, alle cen-trali elettriche). Si tratta del fenomeno denominato “servitizza-zione”1(*);•l’affermarsi a ritmo accelerato del canale WEB per tutte le trans-azioni ed anche per le attività interne alle Supply Chain.Quanto sopra, in una combinazione sinergica quasi dirompente,sta facendo diventare fondamentale, tra l’altro:•il rapporto diretto, reattivo e proattivo, con i clienti (nella realtàWEB occorre saper rispondere in “tempo reale”),•la rimozione immediata dei problemi-difetti (non più mediata dastrutture intermedie tra produttori e consumatori);•il veloce reperimento dei trend nei comportamenti per proporrenuovi prodotti-servizi (la vita dei prodotti-servizi si è ridotta dra-sticamente). Si pensi ai nuovi modelli di business tipo “Zara”, ma

anche allo sviluppo dei modelli tariffari per gli smartphone; •la fornitura di prodotti in uso (auto, cellulari, computer) attraver-so la gestione diretta del servizio da parte del fornitore (gestioneflotte, e così via);•il presidio e gestione in tempo reale di tutte le problematiche neiservizi di largo consumo (commodity) attraverso l’elevata stan-dardizzazione dei processi di relazione e supporto (Call center);•la gestione di raffinati Customer Care personalizzati per i clientidei prodotti-servizi ad alto valore (per griffe/auto/credit card esclu-sive).Il canale web, in particolare, con il suo “tempo reale”, esaltaogni pregio/difetto/problema in modo “virale” generando velocisuccessi e altrettanto veloci fallimenti.Facile concludere che i reali fattori competitivi e differenziantiper avere successo nello scenario che si va consolidando sono: •l’orientamento alla soddisfazione del cliente, •l’individuazione e la rimozione immediata dei difetti, •il miglioramento continuo dei processi, •la progettazione di prodotti/servizi/processi “buoni subito” •il coinvolgimento del “Front Line” in modo organizzato. Quanto appena affermato non è altro che il riassunto per puntifondamentali dell’approccio “Qualità Totale”, che risultano esse-re dunque fondamentali oggi per il successo (o anche solo percompetere).Sarebbe dunque auspicabile rivisitare e riorientare al mondoweb tutte le metodologie sviluppate a riguardo per avere un piùfacile successo. Ciò con una particolare attenzione alle modalità di sviluppo egestione dei “prodotti servitizzati”, dove fondamentale sarebbel’attivazione di gruppi aziendali di “innovazione-servitizzazio-ne”, che prevedano il coinvolgimento inter-gerarchico di tutte lerisorse aziendali che possono contribuire. Dotandoli; ovviamen-te, di adeguate metodologie per la ricerca dei nuovi “valori” per-cepibili dal mercato/cliente (sfruttando in questo caso in modoorganizzato e pragmatico anche le nostre doti di creatività). Em-blematici a riguardo i successi che stanno ottenendo alcuneaziende (ahimè non italiane), che hanno creato nuove “valuepropositions” vincenti e di grande successo, anche economico,coinvolgendo il front line aziendale nello sviluppo veloce dellenuove proposte. Invece di “re-inventare la ruota”, sarebbe veramente il caso di at-tingere di nuovo a piene mani a tutto quanto il movimento dellaQualità totale ha sviluppato solo pochi anni fa.

n Note1 Esiste già una numerosa bibliografia al riguardo, tra cui il libro Merli, Gelosa, Fre-

gonese, SURPETERE, Edizioni Guerini e Associati.

GIorGIo merLIautore di numerosi libri sul Management (pubblicati anche negli USA),

Key note speaker in importanti eventi internazionali, già Country Leader

di IBM Business Consulting Services, CEO di PWCC, è ora Senior VP

di Solving Efeso International

[email protected]

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> Figura 1 - La crescita del business dei servizi negli USA Fonte: Uday Kamarkar, UCLA

• negli Usa i servizi

rappresentano

già più dell’80%

del piL

• il Business Information

è già circa il 60%

del totale

• i servizi di Information

hanno superato il 50%

del totale ed è l’unico

quadrante in crescita %

Us Gross national product

servicesproducts

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lin

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n11% 30%

9% 50%

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introduzioneIl termine “leadership” spesso richiamaalla mente concetti e/o modelli errati di“leader” o più semplicemente di “capo”;in particolare, allo stesso si associa la pos-sibilità sia di poter occupare posizioni dipotere, sia di poter influenzare e di condi-zionare gli altri. Queste posizioni di verti-ce hanno, quindi, la capacità di attrarre leambizioni e le determinazioni soprattuttodi coloro i quali aspirano a scalare in soli-taria tutti i gradini possibili della propriapotenziale carriera personale1. Autoricontemporanei di studi sulla leadershiphanno approfondito e cercato di descrive-re le varie tipologie di “leader organizza-tivi” rappresentandole mediante una mol-titudine di metafore: idoli, eroi, salvatori,guerrieri, maghi ed anche come onnipo-tenti semi-dio e così via2. Di recente, pe-rò, nel dibattito tra gli studiosi di gestionedelle organizzazioni, hanno iniziato a tro-vare spazio alcune autorevoli voci che sipongono in netta controtendenza rispettoa quelle che teorizzano degli approcci edei modelli di leadership “più aggressivi”che enfatizzano la prevaricazione; questistudiosi hanno, invece, elaborato modelli

di riferimento che iniziano a porre in dis-cussione sia la percezione comune del“leader condottiero”, sia l’accettazione diquesti paradigmi consolidati di leadershipfinalizzata quasi esclusivamente all’acqui-sizione del puro potere personale daesternare e/o manifestare pubblicamentein modo essenzialmente padronale. Po-trebbero essere definiti i “leader umili”,quelle persone che si rifanno a modelliculturali e comportamentali equilibrati,umani, etici e attenti al futuro della pro-pria comunità quando vengono poste inposizioni di responsabilità all’interno diun’organizzazione; è questa tipologia dileader l’oggetto delle ricerche, degli ap-profondimenti e degli studi sviluppati danuovi questi studiosi innovativi3. Sembra, infatti, che il percorso abbia in-vertito la propria rotta a partire dall’iniziodel nuovo secolo, quando si è registrato ilmoltiplicarsi di segnali di cambiamentonello stile della leadership verso un mo-dello più “virtuoso”; si potrebbe afferma-re, con buona approssimazione, che que-sto fenomeno abbia avuto inizio a partiredalla pubblicazione del pioneristico arti-colo scritto da Jim Collins sul “level 5

Leadership”4 sul numero di gennaio 2001della famosa rivista Harvard Business Re-view. Partendo dalla ricerca sviluppata sulcampo per supportare il proprio studio,Collins ha riscontrato che tutti i “leaderpiù fortemente innovativi” intervistati,avevano in comune il possesso di una vir-tù che avrebbe potuto essere sintetizzatacon il concetto più complesso di umiltàpersonale. Nel suo lavoro Collins5 non sisofferma negli aspetti di dettaglio del pro-cesso di formazione di questi managerche si rifanno al modello di “leader umi-le”. Collins - dopo aver analizzato nel detta-glio gli aspetti caratteristici e caratteriz-zanti dei leader intervistati - individua, in-vece, quattro ambiti categoriali nei qualiritiene possibile e significativo inquadrarele diverse tipologie di umiltà nella lea-dership all’interno dei differenti processigestionali di una qualsiasi organizzazio-ne; lo studioso, quindi, si avventura inun’erudita descrizione dei diversi identikitdelle singole famiglie di “leader umile”.Nella tabella che segue, vengono rappre-sentate le caratteristiche delle quattro fa-miglie individuate. Dallo studio di Collinsemerge chiaramente, quindi, che i leader“personalmente umili”:1. sono quelli che dimostrano una mode-

stia convincente.Essi evitano la pubblica adulazione enon si vantano mai;

2. sono quelli che agiscono con calma econ tranquilla determinazione.Non fanno affidamento su un’ispira-zione carismatica per motivare ma,piuttosto, si ispirano a degli standard;

3. sono quelli che evitano l’ambizionepersonale a favore della crescita e del-

8

Lezioni per una “leadership umile” tratte dalla regola Benedettina (°)

y Qualità del Lavoro y

Guidare con il capo chino

>> Corné J. BEKKEr

tem

a

«Leading with the Head bowed down: Lessons in Leadership Humility from the Rule of St.

Benedict». Leadership often draws the wrong kinds of leaders. Positions of power and in-

fluence have the tendency to attract the proud and the upwardly mobile individualists.

But recently more voices within organizational discourse have been raised to question

our perception and acceptance of these power-vested models of leadership.

It’s possible to describe the possibility and power of leadership humility. A sixth-century

Christian monk, St. Benedict of Nursia wrote a rule in which he provided his followers

with a twelve step process description of how humility is formed in followers and leaders

alike. Benedict’s rule on humility has worked well as a guide and “spiritual manual” faci-

litating personal and communal transformation within the Benedictine Order and others

for well over 1500 years.

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lo sviluppo multi - generazionaledell’organizzazione;

4. sono quelli che fanno autocritica etendono a farsi carico delle proprie re-sponsabilità e delle proprie colpe sen-za scaricarle sugli altri.

Dall’esame dello studio di Collins emergespontaneamente il quesito: «ma come siforma e si interiorizza questa cultura del-la “umiltà” nei leader?». Potrebbe non co-stituire una sorpresa scoprire che Jim Col-lins non sia stata la prima persona ad evi-denziare e dimostrare la forza ed il potereposseduti dall’umiltà quando questa per-mea l’azione della leadership. San Bene-detto da Norcia (480-540 d.C.), un mona-

co cristiano del sesto secolo, universal-mente riconosciuto come il padre del mo-nachesimo cenobitico occidentale6, auto-re di una «Regola» attraverso la quale hafornito (inizialmente per i suoi primi se-guaci) la descrizione di un processo ditrasformazione graduale e progressivo, at-traverso un percorso metaforicamente vi-sualizzato mediante i dodici gradini diuna scala da impegnare progressivamen-te, per poter diventare “umili”. Questoprocesso intenso ed impegnativo di cam-biamento progressivo avrebbe dovuto in-teressare (ed interessa ancora oggi) tutti imembri della comunità/organizzazione,cioè sia i monaci (oppure gli aspiranti tali

ed i semplici seguaci), sia i leader dellestesse comunità monastiche (l’Abate ed ilPriore). Oggi, dopo millecinquecento an-ni si può affermare con affascinata certez-za che la Regola di San Benedetto, basatasull’umiltà, ha funzionato ininterrottamen-te molto bene, sia come guida, sia come«manuale spirituale»7, facilitando la tra-sformazione individuale e collettiva all’in-terno dell’Ordine Benedettino, del mona-chesimo occidentale e di molti altri ordinireligiosi e/o comunità che hanno visto laluce durante questi ultimi quindici secolidi storia8.

La regola di san Benedetto da norciaStoricamente non si conosce molto sullavita di San Benedetto, a parte la brevebiografia contenuta nel secondo dei quat-tro volumi di papa Gregorio Magno deno-minati “Dialoghi” (scritti nel 593 d.C.)9. Ilpassaggio più significativo evidenziato daGregorio Magno10 riguarda una caratteri-stica molto importante dello stile di vita diSan Benedetto che “non ha affatto inse-gnato diversamente da quel che è vissu-to”. Benedetto nacque in una famiglia be-nestante della città romana di Norcia - inUmbria -. Come gli adolescenti-benedell’epoca lasciò Norcia per recarsi a Ro-ma, la capitale dell’Impero, per acquisiteun livello superiore di istruzione; ma, do-po poco, ebbe una profonda avversioneper i modi edonistici diffusi tra i cittadinie per la tipologia di approccio alla lea-dership dei romani, prevalentemente “ti-mocratico”11. Benedetto, per reazione,fuggì da Roma e si stabilì in una grotta vi-cino a Subiaco, città in cui ha dedicato ilsuo tempo alla ricerca di Dio in assolutasolitudine. La sua reputazione di saggez-za, umiltà e divinità attirò ben presto folledi seguaci disposti ad ascoltarlo ed a se-guirlo. Rispose a questa chiamata creandocomunità nelle quali i seguaci erano mes-si nelle condizioni di poter “cercare Dio”(e, soprattutto, di essere aiutati a trovarlo)confrontandosi con le tentazioni rappre-sentate dalla cultura pagana del tempo.Alla fine si stabilì in una di queste comu-nità su una collina sopra la città di Cassi-no (oggi, l’Abbazia di Monte Cassino),dove mise a punto una Regola di vita edorganizzativa per queste comunità. La Re-

y Guidare con il capo chino ytem

a9

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gola di San Benedetto è stata utilizzatadalle comunità monastiche cristiane chesi sono succedute nel tempo12 e le relativeistruzioni sulla formazione spirituale e l’u-miltà sono state poste alla base per lo svi-luppo della leadership organizzativa an-che in altri contesti, non solo cristiani13. La Regola di San Benedetto è stata scrittaper coloro che si erano seriamente postialla ricerca di Dio e desideravano essereplasmati alla sua immagine! San Benedet-to introduce alla lettura del testo della suaRegola con un «prologo» mediante ilquale invita il destinatario della stessaall’obbedienza ed impegnarsi in un per-corso finalizzato alla propria trasforma-zione personale, con le seguenti parole:«Ascolta o figlio, gli insegnamenti delmaestro, piega l’orecchio del tuo cuore[Prov. 04:20]; accogli volentieri l’ammo-nimento di un padre amorevole e mettiloin pratica risolutamente, affinché tu ritor-ni con la fatica dell’obbedienza a Coluidal quale ti eri allontanato con l’inerziadella disobbedienza. Le mie parole, dun-que, di rivolgono ora a te, chiunque tu siache rinunziando alla propria volontà perdiventare soldato di Cristo Signore e verore, prendi le armi fortissime e gloriosedell’obbedienza»14.Di tutti i capitoli e le istruzioni, nessunavirtù è destinataria di un’attenzione mag-giore di quella dedicata alla «umiltà», allaquale è dedicato l’intero capitolo settimoche è il più lungo tra tutti i 73 capitoli del-la Regola15. L’umiltà è la strada che portaad essere formati ad immagine di Dio16 equesta costituisce per San Benedetto la ri-sposta definitiva verso un Dio giusto edamorevole. San Benedetto, quindi, con-clude il capitolo 7° della sua Regola dedi-cato interamente all’umiltà con le seguentiparole: «Salito dunque per tutti questi gra-dini dell’umiltà, il monaco arriverà subitoa quell’amore di Dio che, “perfetto com’è,caccia via il timore”, e per esso egli co-mincerà a custodire senza sforzo alcuno,quasi naturalmente e per abitudine, tuttociò che prima osservava non senza paura,non più per il timore dell’inferno, ma peramore di Cristo, per la consuetudine stes-sa al bene e il gusto delle virtù. Questo ilSignore si degnerà di mostrare per operadello Spirito Santo nel suo operaio, puroda vizi e peccati»17.

La leadership e la spiritualità benedettina La spiritualità benedettina è stata riassuntadai discepoli di San Benedetto18 con le se-guenti tre semplici parole dalla Regola(capitolo 57, 7): «cercare veramenteDio»19. La parte della Regola nella qualesi trova principalmente questo “test” èquella relativa ai criteri per la accoglienzadei nuovi seguaci (i novizi) dove si legge:«ad essi sia destinato un anziano che siacapace di guadagnarsi le anime e che ve-gli su di loro con grande attenzione. Siosservi con cura se il novizio cerca vera-mente Dio, se è pronto all’ufficio divino,all’obbedienza, all’umiliazione. Gli sianopreannunziate tutte le difficoltà e leasprezze attraverso le quali si arriva aDio»20. [capitolo LVIII - 6]Riflessioni esegetiche sulla Regola ed ilsopra-menzionato “test” della spiritualitàbenedettina hanno prodotto tre criteri utiliper «verificare l’autenticità di questa im-placabile, radicale, sincera (e senza se-condi fini)21 ricerca di Dio»22:1.una grande passione per l’opera di Dio;2.una radicale obbedienza missionaria;3.una umiltà concreta che si esprime nelservizio.Proprio sui tre criteri sopraelencati, la lea-dership benedettina trova la sua definizio-ne e le sue modalità di espressione. I lea-der benedettini hanno abbandonato leproprie ambizioni personali pur di dedi-carsi completamente alla realizzazionedel bene del Regno di Dio, praticandol’obbedienza radicale alla missione del-l’organizzazione e che esprimono concre-tamente attraverso una umiltà attiva orien-tata al servizio degli altri. É proprio questoultimo criterio fondamentale per la realiz-zazione dell’autentica leadership benedet-tina che contiene la promessa per la con-temporanea comprensione ed applicazio-ne di un esercizio umile della leadershipche si materializza concretamente conuno spirito di servizio tutto particolare.

i dodici gradini verso l’umiltàsecondo san BenedettoLa descrizione del processo illustrato daSan Benedetto per la costruzione della“umiltà” nella sua Regola potrebbe essereutilizzato per rappresentare proprio i do-dici “passaggi” (o gradini)23 del program-

ma24 necessario per aiutare i leader ed iloro seguaci a svolgere il loro servizio conumiltà e deferenza in ogni momento dellagiornata. I dodici gradini di San Benedettoverso l’umiltà possono, quindi, essereschematicamente sintetizzati come segue,con l’aiuto della citazione di brevi estrattidella Regola Benedettina25:1. rispettare dio:

«Il primo gradino dell’umiltà si materia-lizza quando ponendosi in permanenzadavanti agli occhi il timore di Dio, sifugge nel modo più assoluto la smemo-ratezza e ci si ricorda sempre tutto ciòche ha prescritto Dio, sicché riconsidericontinuamente nel proprio animo sulcome bruciano nell’inferno, a causa deiloro peccati, coloro che disprezzanoDio e si ricordi che la vita eterna è pre-parata per coloro che, invece, temonoDio … La Scrittura, infatti, vieta di farela propria volontà, quando sottolineache: “e allontanati dalla tua volontà”(Eccl. 18,30). E ancora nella preghierachiediamo a Dio che in noi sia fatta lasua volontà».

2. Non amare la propria volontà:«il secondo gradino dell’umiltà si con-cretizza quando, non amando la pro-pria volontà, non ci si compiace di sod-disfare i propri desideri, ma viene imita-ta nei fatti la parola del Signore, che di-ce: “non sono venuto per fare la miavolontà, ma di Colui che mi ha man-dato” (Giovanni 6, 38). Al riguardo, laScrittura ricorda che: “la volontà com-porta il castigo mentre la costrizione(cioè il sacrificio) conferisce la coro-na”».

3. Sottomettersi al proprio superiore: «il terzo gradino dell’umiltà consiste nelsottomettersi in tutta obbedienza, peramore di Dio, al superiore, imitando ilSignore, del quale l’apostolo dice: “si èfatto obbediente fino alla morte”».

4. essere obbediente in ogni momento,soprattutto in situazioni difficili:«il quarto gradino dell’umiltà si realizzaquando, chi nell’esercizio della obbe-dienza - sebbene in circostanze difficilie contrarie o anche quando si è oggettodi torti di qualunque tipo - abbraccia si-lenziosamente nella sua coscienza lapazienza e con sopportazione non siperda d’animo né si ritiri, poiché la

y Qualità del Lavoro yte

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Scrittura dice: “chi avrà perseverato si-no alla fine sarà salvo” [Matteo 10,22]. E ancora: “sia saldo il tuo cuore esopporta la prova del Signore” [Salmi43, 22].

5. essere trasparente:«il quinto gradino dell’umiltà consistenel non celare al proprio abate, conumile confessione, tutti i cattivi pensieriche sopravvengono nel proprio cuoreinsieme con le cattive azioni commessedi nascosto, in coerenza con quanto ri-chiesta dalla Scrittura; che, a tal propo-sito, esorta: “rivela al Signore la tua vi-ta e spera in Lui” [Salmi 36,5] e ricor-da: “confessatevi al Signore, poiché èbuono, poiché è eterna la sua miseri-cordia” [Salmi 105,1)]».

6. accontentarsi sempre, anche svolgen-do i lavori più umili e servili:«Il sesto gradino dell’umiltà si materia-lizza quando il monaco si accontentadi tutto ciò che è più vile o spregevole ein tutto quello che gli viene comandatosi considera un operaio inetto e inde-gno, dicendo a se stesso con il profeta:“sono stato ridotto a nulla e non hosaputo; sono diventato una bestia da-vanti a te e sto sempre con te” [Salmi72, 22-23]»

7. avere una stima di sé corretta, maumile:«il settimo gradino dell’umiltà si realiz-za non soltanto nel proclamarsi con lapropria bocca inferiore e più vile di tut-ti, ma nel convincersene anche nell’in-timo del cuore, umiliandosi e dicendocon il profeta: “io sono un verme, nonun uomo, obbrobrio degli uomini e ri-fiuto della plebe [Salmi 21, 7]; sonostato esaltato, umiliato e confuso”[Salmi 87, 16]; ed ancora: “buon perme che tu mi abbia umiliato, affinchéimpari i tuoi comandamenti” [Salmi118, 71] ».

8. rimanere entro i confini della orga-nizzazione e del ruolo:«l’ottavo gradino dell’umiltà si raggiun-ge quando il monaco non fa nulla al-l’infuori di quello a cui lo incoraggianola regola comune del monastero insie-me con l’esempio dei più anziani e deisuperiori».

9. mantenere sotto controllo la proprialingua:

«il nono gradino dell’umiltà si materia-lizza quando il monaco vieta alla sualingua di parlare e, coltivando l’amoredel silenzio, non parla finché non è in-terrogato, poiché la Scrittura indica che“parlando molto non si evita il pecca-to” (Pr. 10, 19) e che “il chiacchieroneprocede sulla terra senza direzione”[Salmi 139, 12]».

10. evitare le frivolezze: «il decimo gradino dell’umiltà consistenel non essere incline e pronto al riso,perché è scritto “lo sciocco alza la suavoce nel ridere” [Eccl. 21, 23]».

11. Parlare chiaramente e semplicemen-te:«l’undicesimo gradino dell’umiltà si haquando il monaco nel parlare, lo fa abassa voce e senza ridere, umilmente econ gravità, pronunziando poche paro-le e ragionevoli, e senza fare chiasso,secondo ciò che è scritto: “il sapientesi riconosce dalle poche parole”26».

12. adottare una postura umile:«ed infine, il dodicesimo gradinodell’umiltà si raggiunge se il monaconon solo coltiva nel cuore l’umiltà,ma la mostra sempre anche con il cor-po a quelli che lo osservano, cioè nel-l’ufficio divino, nell’oratorio, nel mo-nastero, nel giardino, nella strada, neicampi e dovunque sieda o cammini ostia in piedi, stia sempre con il capochino e con lo sguardo fisso al suolo».

É importante evidenziare che i gradinidella “scala progettata da San Benedetto”iniziano con il cuore e terminano con laillustrazione di una postura che risulti ingrado di comunicare anche agli altri l’u-miltà (che sia stata prima progressivamen-te interiorizzata). I «dodici gradini» rap-presentano, quindi, un impegnativo econtinuo processo di conversione perso-nale che prende le prime mosse dalla mo-tivazione interna del monaco per condur-lo sino al raggiungimento di un comporta-mento coerente anche nei confronti delmondo esterno (cioè dalla assiologia allaprassi). Benedetto mette in chiaro che ilpercorso verso la conversione (come ver-so la leadership, per similitudine) iniziacon l’avere il timore di Dio. Cosa fa sem-brare il “percorso” costituito dai dodicigradini della scala verso l’umiltà rappre-sentato da San Benedetto sia ancora at-

tuale, quasi fosse stato scritto oggi? Potrebbero essere adottati i suddetti dodi-ci “gradini” al modello della leadershiporganizzativa anche nel mondo contem-poraneo? Due autorevoli esperti nella ge-stione dei gruppi e delle organizzazioni,Craig e Oliver Galbraith27 - padre e figlio,entrambi professori universitari statuniten-si - nel 2004 hanno scritto un agile librofocalizzato sui vari principi del “manage-ment” riscontrabili all’interno della Rego-la. I due Galbraith hanno provveduto atrasformare i dodici “gradini verso l’umil-tà” - illustrati in dettaglio nel 7° capitolodella Regola Benedettina - nelle seguentitappe concettuali di un percorso di cresci-ta28:1. venerare le regole semplici:

i “leader umili” si sforzano di obbedi-re29 e di seguire le regole basilari dellacortesia e del rispetto per tutti gli altricomponenti dell’organizzazione. Essicostituiscono un modello di riferimen-to comportamentale per tutti coloroche li circondano;

2. rifiutare i propri desideri personali:i “leader umili” frenano i propri desi-deri personali orientati alla fama, alsuccesso ed al potere, in quanto han-no la consapevolezza che questiaspetti possono dare solo spazio al-l’orgoglio ed all’arroganza;

3. rispettare gli altri ed obbedire alprossimo:i “leader umili” seguono ed obbedi-scono con semplicità a tutto ciò cheviene loro richiesto da parte di coloroi quali ne hanno l’autorità;

4. sopportare le afflizioni:i “leader umili” volentieri «porgonol’altra guancia» in ogni situazione diconflitto e di lavoro perché desideranooperare concretamente per la pace el’armonia della comunità;

5. confessare i propri punti deboli:i “leader umili” sono onesti e traspa-renti per quanto riguarda i propri limi-ti e le proprie debolezze. Essi provve-dono a condividerne esplicitamentel’esistenza con tutti quelli che vivonocon loro;

6. praticare la soddisfazione e la con-tentezza: i “leader umili” cercano di essere con-tenti delle posizioni che hanno rag-

y Guidare con il capo chino ytem

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giunto, delle attività lavorative svolteed in generale della propria vita nelsuo complesso;

7. imparare dagli errori e dai rilievimossi loro:i “leader umili” adottano la disciplinadi riflessione interiore, partendo datutte le esperienze quotidiane, soprat-tutto negative, e cercano di non far ri-cadere mai la colpa nei confronti de-gli altri per i risultati negativi ottenutie per gli errori commessi;

8. obbedire a tutte le prescrizioni delleregole comuni:i “leader umili” rispettano tutte le re-gole organizzative che sono state fis-sate dalla Regola, non solo alla lettera(esteriormente) ma anche nello spirito(cioè, con tutta la convinzione interio-re);

9. comprendere che il silenzio è d’oro: i “leader umili” mantengono sottocontrollo i loro discorsi ed adottanopercorsi comunicativi semplici, chiaried accessibili per tutti;

10. meditare sull’umiltà:i “leader umili” cercano di coltivarecon consapevolezza l’umiltà e cerca-no di comprendere che cosa questopossa significare realmente e concre-tamente all’interno del proprio conte-sto organizzativo;

11. parlare semplicemente:i “leader umili” parlano a bassa voce,parlano con dolcezza, con gentilezzae con semplicità verso tutti i membriche operano all’interno dell’organiz-zazione;

12. agire con umiltà, anche esteriore:i “leader umili” agiscono umilmenteanche esteriormente (cioè concreta-mente) oltre che interiormente (cioèintimamente nel proprio cuore).

Il lavoro dei due Galbraith sulla Regola diSan Benedetto è una guida utile e popola-re per consentire di attualizzare e rielabo-rare i valori provenienti dalla testimonian-za del monachesimo Cristiano occidenta-le al fine di poter sperimentare dei tentati-vi per ricondurre su basi virtuose le odier-ne filosofie gestionali delle organizzazio-ni. Questa sta divenendo30 una tendenzacrescente dei ricercatori all’interno degliambiti scientifici dedicati alle discussioniorganizzative. Non sono pochi, infatti, gli

autori31 e gli studiosi32 contemporanei cheoperano per esplorare nei giacimenti co-stituiti dall’antica saggezza spirituale edalla bimillenaria esperienza Cristiana33

per individuare tutte le soluzioni possibilida poter mettere a disposizione dei mi-gliori leader che desiderano dare un sen-so al loro viaggio terreno ed uno scopo alloro mondo lavorativo nelle organizzazio-ni che guidano.

La leadership organizzativa e l’umiltàDue recenti studi34 sulla leadership orga-nizzativa si pongono come evoluzionedel lavoro di Collins35 sull’umiltà, hannorivisitato sia l’ideale di umiltà nella lea-dership, sia le modalità ed i possibili pro-cessi formativi che occorre seguire perpoterla conseguire. Entrambi questi studiconfermano l’originalità dei concetti fissa-ti da San Benedetto per descrivere il pro-cesso di realizzazione di una organizza-zione basata sulla umiltà, anche senza fa-re una menzione diretta della Regola Be-nedettina. Sempre nel 2004 è stato pub-blicato un altro interessante studio elabo-rato da Vera e Rodriquez-Lopez36 nel qua-le si definisce l’umiltà della leadershipcome un “vantaggio competitivo” e sipropongono cinque pratiche strategiche

in grado di promuovere l’umiltà all’inter-no delle organizzazioni: 1. i modelli di umiltà della leadership de-vono essere riconosciuti come compor-tamenti culturalmente esemplari pertutte le persone dell’organizzazione;

2. l’umiltà deve essere esplicitamente in-serita tra i principali elementi della stra-tegia e della cultura dell’organizzazio-ne;

3. le pratiche di assunzione devono privi-legiare l’umiltà degli individui e/o la lo-ro intenzione di migliorarla;

4.devono essere promosse tutte le prati-che che premiano l’umiltà;

5.vengono stigmatizzati e negati pubbli-camente tutti quei comportamenti rite-nuti arroganti o presuntuosi.

Vera e Rodriquez-Lopez propongono chequesto tipo di umiltà organizzativa diven-ti: un “punto di forza fondamentale” percoloro che la possiedono ed una “area didebolezza pericolosa” per coloro che nonla posseggono, i quali dovrebbero averela consapevolezza che simili comporta-menti conducono al collasso l’organizza-zione in tempi brevi. Un altro studio37 del2005, cerca di definire i precedenti storicie le conseguenze dei leader umili. Il lavo-ro di Morris, Brotheridge e Urbanski argo-menta in modo convincente che il narcisi-

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smo, l’approccio Machiavellico alla lea-dership, la bassa autostima e/o l’alta auto-stima difensiva sono elementi che si frap-pongono negativamente all’adozione del-la leadership dell’umiltà. Al contrario, uncaso interessante è fornito da una realtàbasata su riscontri e in presenza di unaconversione religiosa e di mentori umilipotrebbero contribuire alla formazione dileader disposti alla umiltà. Il principalecontributo fornito dalla pubblicazione diMorris, Brotheridge e Urbanski è costitui-to dagli effetti forniti dalla umiltà nellaleadership che vengono descritti in modoerudito e convincente. Secondo questostudio38, l’umiltà nella leadership compor-ta positivamente i seguenti comportamen-ti organizzativi:1.l’umiltà del leader prevede il sostegnoverso gli altri.2.l’umiltà del leader prevede una socializ-zazione del potere motivazionale;3.l’umiltà del leader prevede una leaders-hip partecipativa.Si registra con favore, che da un primoesame finalmente l’umiltà non riceve piùquell’emarginazione che ha subito sinoad ora da parte della stampa tecnica cheaffronta le tematiche relative alla leaders-hip e la gestione delle organizzazioni.Ma, la domanda che ci si deve porre è sucome mai sia potuta intervenire questa in-versione di tendenza nella trasformazionedella tipologia di leadership, che sfuggeancora a quei ricercatori e studiosi chescrivono e riflettono sul tema. Diventa,pertanto, utile conoscere San Benedetto ela sua Regola. Per Benedetto, la vera con-versione verso l’umiltà inizia e finisce conDio39: «Il primo gradino dell’umiltà è seuno, ponendosi sempre davanti agli occhiil timore di Dio, fugge nel modo più asso-luto la smemoratezza e ricorda sempretutto ciò che ha prescritto Dio, sicché ri-consideri continuamente nel proprio ani-mo come l’inferno brucia a causa dei lo-ro peccati coloro che disprezzano Dio ericordi la vita eterna, che è preparata percoloro che temono Dio».

i leader che guidano con “il capo chino”La saggezza nella leadership esercitata se-condo la Regola di Benedetto da Norciasi trova nella sua insistenza rivolta alla

convinzione che tutto lo sviluppo dellevirtù inizia con la fonte della vera virtù,che è Dio. I leader delle organizzazionipossono trasformare il loro stile di lea-dership e le modalità narcisistiche/autore-ferenziali in un modello di leadership par-tecipativa basata sull’umiltà e sulla re-sponsabilizzazione delle persone coinvol-te [che nella Regola Benedettina sono,ovviamente, i monaci], solamente se ilpercorso di ricerca per la loro formazioneinizia con Dio e segue attraverso una pro-gressione naturale che conduce alla au-tentica devozione alla volontà ed alleproposte dell’Altissimo. I leader che han-no integrato il loro valore virtuoso dell’u-miltà con le loro azioni pubbliche, posso-no guidare con il loro “capo chino”40 e,quindi, con una modalità anche esterior-mente pedagogica41 in grado di condurrealla conversione ed alla trasformazionetutti i componenti della loro organizzazio-ne. Benedetto, nel penultimo capitolodella sua Regola (il 72°), dice meglio;questo tipo di leadership porta tutti i com-ponenti della comunità insieme verso unavita che è la migliore in terra ed anche al-la in quella eterna, al termine dell’esisten-za terrena: «Come c’è uno zelo maligno eamaro che allontana da Dio e conduceall’inferno, così c’è uno zelo buono cheallontana dai vizi e conduce a Dio ed al-la vita eterna. Questo zelo, dunque, eser-citano i monaci con ardentissimo amore,cioè “gli uni prevengano gli altri nel ren-dersi onore”, sopportino con grande pa-zienza le proprie infermità fisiche e mora-li (Romani 12:10), facciano a gara nelprestarsi reciproca obbedienza; nessunocerchi ciò che giudica utile per sé, mapiuttosto quello che lo è per gli altri; pra-tichino un casto amore fraterno, temanoDio amandolo, amino il loro abate conun affetto sincero e umile, non antepon-gano assolutamente nulla a Cristo. Ciconduca Egli tutti insieme alla vita eter-na!»42

n Note(°)il testo è la traduzione in italiano curata da Sergio

BINI dello scritto pubblicato dal prof. Corné J. BEK-

KER con il titolo «Leading with the Head bowed

down: lessons in Leadership Humility from the ru-

le of St. Benedict of Nursia». Si ringrazia il prof.

Bekker per averne autorizzato la pubblicazione.

1 Barbara Brown TAYLOR (2005), the evils of Pride

and Self-righteousness. The Living Pulpit, october-

december 2005-5.

2 Andrew J. MORRIS, Céleste M. BROTHERIDGE e

John C. URBANSKI (2005), Bringing humility to

leadership: anntecedents and consequences of lea-

der humility, Human Relations, 58/10: 1323-

1350.

3 John P. DICKSON e Brian S. ROSNER (2004), Hu-

mility as a Social virtue in the Hebrew Bible?, Ve-

tus Testamentum, 4:459 LIV-479;

Robert ELSBERG (2003), Saints’ Guide to Happi-

ness, New York; North Point Press.

4 Jim COLLINS (2001), Level 5 Leadership: the

triumph of Humility and fierce resolve, Harvard

Business Review, January 66-76.

5 Jim COLLINS (2001), Level 5 Leadership: the

triumph of Humility and fierce resolve, Harvard

Business Review, January 66-76.

6 Paschal G. CHELINE (2003), Christian Leadership:

a Benedictine Perspective; American Theological

Library Association of Proceedings 57: 107 - 113.

7 Kees WAAIJMAN (2002), Spirituality: forms,

foundations, methods, Leuven: Peeters.

8 D. Nathan MITCHELL (2008), Liturgy and Life:

Lessons in Benedict, Workship 82/2 : 161-174.

9 Carmen Acevedo BUTCHER (2006), man of Bles-

sing: a Life of St. Benedict, Brewster: Paraclete

Press.

10 Paschal G. CHELINE (2003), Christian Leadership:

a Benedictine Perspective, American Theological

Library Association Summary of Proceedings,

57:107-113.

11 per leadership “timocratica” (dalla parola greca

«timao», che significa «onore») si intende una lea-

dership principalmente interessata all’onore, al po-

tere, ai privilegi ed al prestigio.

12 Timothy FRY (1981), The rule of Saint Benedict,

New York: Vintage Books.

13 Paschal G. CHELINE (2003), Christian Leadership:

a Benedictine Perspective, American Theological

Library Association Summary of Proceedings

57:107-113.

14 Timothy FRY (1981), the rule of Saint Benedict,

New York: Vintage Books (Prologue).

15 Paschal G. CHELINE (2003), Christian Leadership:

a Benedictine Perspective, American Theological

Library Association Summary of Proceedings

57:107-113.

11 é un passaggio che si rifà alla visione paolina di

questa forma di deificazione (nella 2^ lettera ai Co-

rinzi 3:18). [NdT]

11 Timothy FRY (1981), the rule of Saint Benedict,

New York: Vintage Books (Chapter 7).

11 Miriam SCHMITT (2001), Benedictine Spirituality,

y Guidare con il capo chino ytem

a13

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Liturgical Ministry, Fall 2001 - 198-200.

11 Timothy FRY (1981), the rule of Saint Benedict,

New York: Vintage Books (Chapter 58.7).

11 Timothy FRY (1981), the rule of Saint Benedict,

New York: Vintage Books (Chapter 58.7).

21 Per la precisione, al riguardo, il prof. Bekker utilizza

il termine “single-hearted”. [NdT]

22 Miriam SCHMITT (2001), Benedictine Spirituality,

Liturgical Ministry, Fall 2001 - 198-200.

23 oppure “gradi” o “gradini”, che sono i differenti

termini utilizzati nelle diverse edizioni delle tradu-

zioni della Regula che si sono susseguite in questi

millecinquecento anni. [N.d.T.]

24 Paschal G. CHELINE (2003), Christian Leadership:

a Benedictine Perspective, American Theological

Library Association Summary of Proceedings 57 -

107-113.

25 Timothy FRY (1981), the rule of Saint Benedict,

New York: Vintage Books (Chapter 7).

26 La sentenza riportata nel virgolettato si ritrova in

una raccolta di massime di Sesto, filosofo pitagori-

co; Sextus enchidirion, 134 -145. [N.d.T]

27 Craig S. GALBRAITH & Oliver GALBRAITH (2004),

the Benedictine rule of Leadership: Classic mana-

gement secrets you can use today, Avon - Adams

Media.

28 Craig S. GALBRAITH & Oliver GALBRAITH (2004),

the Benedictine rule of Leadership: Classic mana-

gement secrets you can use today, Avon - Adams

Media.

29 “obbedire” deve essere considerato nell’accezione

di “ascoltare gli interlocutori ed entrare in sintonia

con loro”. [N.d.T.]

30 Questo riferimento alla “nuova tendenza degli stu-

diosi e dei ricercatori” viene registrata, ovviamente,

nel mondo dei leader più sensibili che operano ne-

gli Stati Uniti d’America [N.d.T.].

31 Carol BOMOMO (2004), don’t quit your day Job:

a Sixth-Century Saint can teach you a thing or

two about work in the 21st Century, US Catholic,

69, No 9 - 50;

Mark GRACEFFO (2005), Somebody’s knocking at

my door, US Catholic, 70, No 3 - 47;

and Mary Lynn HENDRICKSON (2008), St. Ben’s

excellent adventure, US Catholic, 73, No. 6 - 49.

32 J. Andrew MORRIS, Céleste M. BROTHERIDGE &

John C. URBANSKI (2005), Bringing humility to

leadership: antecedents and consequences of lea-

der humility, Human Relations, 58/10: 1323-

1350;

Stephen R. MUNZER (1999), Beggars of God: the

Christian ideal of mendicancy, Journal of Religious

Ethics 27/2:305-330;

Aaron RAVERTY (2006), are we monks, or are we

men? the monastic masculine Gender model ac-

cording to the rule of Benedict, The Journal of

Men’s Studies, Vol. 14, No. 3: 269-291;

Dusya VERA & Antonio RODRIGUEZ-LOPEZ

(2004), Strategic virtues: Humility as a Source of

Competitive advantage, Organizational Dynamics,

Vol. 33, No. 4: 393-408

33 L’esperienza Cristiana -e quella Cattolica, in partico-

lare- fonda le proprie basi sui Vangeli e sulle restanti

Sacre Scritture, nonché sui documenti teologici

emanati dal Magistero Pontificio della Santa Sede.

[NdT]

34 J. Andrew MORRIS, Céleste M. BROTHERIDGE &

John C. URBANSKI (2005), Bringing humility to

leadership: antecedents and consequences of lea-

der humility, Human Relations, 58/10: 1323-

1350;

Dusya VERA & Antonio RODRIGUEZ-LOPEZ

(2004), Strategic virtues: Humility as a Source of

Competitive advantage, Organizational Dynamics,

Vol. 33, No. 4: 393-408.

35 Jim COLLINS (2001), Level 5 Leadership: the

triumph of Humility and fierce resolve, Harvard

Business Review, January 66-76.

36 Dusya VERA & Antonio RODRIGUEZ-LOPEZ

(2004), Strategic virtues: Humility as a Source of

Competitive advantage, Organizational Dynamics,

Vol. 33, No. 4: 393-408.

37 J. Andrew MORRIS, Céleste M. BROTHERIDGE &

John C. URBANSKI (2005), Bringing humility to

leadership: antecedents and consequences of lea-

der humility, Human Relations, 58/10: 1323-

1350.

38 J. Andrew MORRIS, Céleste M. BROTHERIDGE &

John C. URBANSKI (2005), Bringing humility to

leadership: antecedents and consequences of lea-

der humility, Human Relations, 58/10: 1323-

1350.

39 Timothy FRY (1981), the rule of Saint Benedict,

New York: Vintage Books.

40 Timothy FRY (1981), the rule of Saint Benedict,

New York: Vintage Books (Chapter 7).

41 Carol ZALESKI (2006), the Lowly virtue, Christian

Century, May 16, 2006:33.

42 Salvatore PRICOCO [a cura di] (1995), La regola

di San Benedetto e le regole dei Padri, Fondazione

Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori Editore, Milano.

[NdT]

n BIBLIoGrafIa• BUTCHER Carmen Acevedo (2006), Man of Blessing:

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tury, May 16, 2006:33.

y Guidare con il capo chino yte

ma

14

CorNé J. BeKKerINNER Resources for leaders, School of Global

Leadership & Entrepreneurship

presso la Regent University di Virginia Beach,

nello Stato della Virginia (USA);

professore aggiunto presso la Regent University

di Virginia Beach (Virginia, USA).

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La gestione delle persone è uno degliaspetti più importanti e nello stesso tem-

po più complessi nel governo di un’organiz-zazione. Al di là dei principi più diffusi econdivisi, a volte solo teorici, le modalità digestione del personale realmente utilizzatesono le più diverse. In questo senso, anchele norme sui sistemi di gestione graduano ediversificano i requisiti riferiti al personale infunzione degli ambiti di applicazione e del-le loro specifiche finalità.Il primo riferimento si ritrova nell’introdu-zione della ISO9000:2005 al punto Coin-volgimento delle persone, in cui si specificache le persone, a tutti i livelli, costituiscono

l’essenza dell’organizzazione ed il loro pie-

no coinvolgimento permette di porre le lo-

ro capacità al servizio dell’organizzazione.Ciò rappresenta, però, poco più che unaconsiderazione di tipo generale in quanto iveri requisiti normativi sono quelli indicatidalla ISO 9001:2008. Essa, in una visionemolto tecnica, considera le risorse umane

alla stessa stregua delle altre risorse indu-striali - le infrastrutture e l’ambiente di lavo-ro (cfr punto 6 Gestione delle risorse) - e fariferimento esclusivamente al personale che

svolge attività che influenzano la conformi-

tà ai requisiti del prodotto. Specifica inol-tre, in una nota, che la conformità ai requi-siti del prodotto può essere influenzata di-rettamente o indirettamente da personaleche svolge qualsiasi compito nell’ambitodel sistema di gestione per la qualità.L’aspetto più rilevante di questa impostazio-ne è rappresentato dall’aver perimetrato ilpersonale che, con le proprie attività, puòinfluenzare la conformità ai requisiti delprodotto o del servizio. Per questo persona-le la stessa norma prescrive (cfr punto 6.2.2Competenza, formazione-addestramento econsapevolezza) che:•sia determinata la competenza necessaria;•siano forniti l’addestramento e la formazio-ne necessari, sia valutata l’efficacia di que-ste attività e ne siano mantenute le registra-zioni;•sia reso consapevole del ruolo riguardo ilconseguimento degli obiettivi per la qualità.Appare del tutto evidente che questi requisi-ti - che possiamo definire di base - rappre-sentano la soluzione minima e necessaria agarantire le finalità della norma. Infatti, tra-guardano il governo delle attività più diretta-mente connesse con la conformità del pro-dotto o del servizio ai requisiti.A questo proposito verrebbe naturale chie-dersi quali siano le persone che non influen-zano la conformità del prodotto ai requisiti.Ma questa è un’altra storia.Anche l’ISO14001 e la OHSAS18001 man-tengono - per ovvi motivi - la stessa impo-stazione (cfr punti 4.4.1 e 4.4.2), salvo iden-tificare in modo più puntuale il personale

interessato in:•quello che esegue compiti che possono cau-sare uno o più impatti ambientali significa-tivi;•quello che effettua compiti che possono im-pattare sul sistema di gestione per la salutee sicurezza sul lavoro.Per trovare un modello di gestione delle ri-sorse umane che va oltre i requisiti stretta-mente operativi bisogna considerare l’I-SO9004:2009. Solo questa norma, infatti,considera quegli aspetti più profondi ed an-che immateriali, propri della gestione dellepersone, che possono garantire il vero valo-re aggiunto nelle attività e nei risultati diun’organizzazione.Risultano eloquenti, a questo proposito, leindicazioni comprese nei paragrafi 6.3.1Gestione delle persone e 6.3.3 Coinvolgi-mento e motivazione delle persone.I titoli stessi dei punti 6.3.1 e 6.3.3 lascianotrasparire un’impostazione completamentediversa. Un paragrafo è dedicato, infatti, allagestione delle persone e non alla gestionedelle risorse; al posto di competenza, forma-zione-addestramento e consapevolezza siparla di coinvolgimento e motivazione dellepersone. In questo contesto normativo, in-fatti, le persone:•vengono considerate come strumento fon-damentale per creare valore per le parti in-teressate;•devono sentirsi completamente coinvoltenel conseguimento degli obiettivi dell'orga-nizzazione;•devono trovarsi in un ambiente di lavoro cheincoraggi la crescita personale, l'apprendi-mento, il trasferimento di conoscenze ed illavoro di gruppo;•devono essere gestite attraverso un approc-cio pianificato, trasparente, etico e social-

15y Qualità del Lavoro y

Le persone negli standard sui Sistemi di Gestione

>> Giampaolo STELLa

tema

Managing people is one of the most im-

portant and complex feature of organiza-

tion government; the ISO9000 in "people

involvement" bullet specifies that "people

at all levels are the essence of an organiza-

tion and their full involvement let/allow

their abilities to be used for the organiza-

tion." Managing people is a key aspect and

only an approach that goes beyond the

simple ISO9001 requirements adds value

to competitive organizations.

The methods of personnel management

actually used are among the most diffe-

rent. Also the QMS rules diversify the re-

quirements related to staff in accordance

with the organizations' aims and scopes.

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mente responsabile;•devono essere motivate affinché compren-dano il significato e l'importanza delle lororesponsabilità ed attività, in relazione allacreazione ed all’apporto di valore per i clien-ti e per le altre parti interessate;•devono essere messe in condizione di con-dividere le conoscenze ed utilizzare al me-glio la loro competenza;•devono potere ottenere riconoscimenti e

premi sulla base di quanto realizzato;•devono poter contare su un’effettiva quali-

ficazione delle abilità e una pianificazionedelle carriere, allo scopo di promuoverne losviluppo;•devono essere oggetto di riesame continuodel livello di soddisfazione e delle esigenzeed aspettative.Appare chiaro che solo lo standard ISO9004:2009 considera le vere leve per poterassicurare vantaggi competitivi all’organiz-zazione ed, aggiungerei, il benessere dellepersone.

Infine, dall’analisi della bozza della nuovaISO 9001:2015 (Document ISO/TC 176/SC2/N 1147 del 3 giugno 2013) si rileva che irequisiti riferiti al personale sono riportati intre distinti paragrafi del punto 7.1 Risorse:7.1.5 Conoscenze, 7.2 Competenze, 7.3Consapevolezza.La novità più importante, rispetto all’attua-le versione, appare al punto 7.1.5 Cono-scenze, nel quale si fa riferimento alle co-noscenze necessarie non solo alle attivitàma anche alla gestione dei processi non-chè per assicurare la conformità non solodei prodotti e dei servizi ma anche la cu-stomer satisfaction. Inoltre, si precisa chein caso di cambiamenti bisogna definirecome acquisire le nuove conoscenze.Merita, inoltre, evidenziare quanto riporta-to nell’appendice A - Principi della gestio-ne per la qualità al punto Coinvolgimentodel personale - dove si precisa che averepersone competenti, consapevoli e coin-volte aumenta la capacità dell’organizza-

zione di creare valore e che per incremen-tarne l’efficacia e l’efficienza è importantecoinvolgere tutte le persone a tutti i livelli erispettarle come individui. É quest’ultimaindicazione che rappresenta una novitàimportante in quanto il rispetto delle perso-ne non è solo una necessità sul piano eti-co, ma può essere la strada migliore per ot-tenere le migliori performance dei singoli abeneficio dei risultati complessivi dell’or-ganizzazione.Per concludere, la gestione delle persone èun aspetto talmente importante che soloun approccio che vada oltre i semplici re-quisiti tecnici della ISO9001:2008 può ga-rantire il valore aggiunto necessario alle or-ganizzazioni che hanno effettiva necessitàdi competere sui mercati.

16y Le persone negli standard sui Sistemi di Gestione y

tem

a

GIaNPaoLo SteLLaingegnere, socio AICQ-ci

[email protected]

LE NUOVE GENERAZIONI DELLA QUALITà: IL pROGETTO ENjOINEERING c/O UNITUS

eNJoINeerING presso www.unitus.it: il web marketing universitario: «dagli studenti per gli studenti»

Un gruppo di dieci intr studenti del C.d.L. in Ingegneria Industriale di UNITUS lavora, in auto committenza, per far conoscere all’esterno le speci-

ficità e le potenzialità complessive del proprio corso di laurea; capovolgendo le classiche dinamiche di promozione dell'Istituzione universitaria

del tipo “top-down” e/o del tipo cosiddetto “istituzionale” gli studenti “più anziani” si sono voluti mettere in gioco in prima persona per speri-

mentare tecniche di marketing applicate alle nuove e più veloci tipologie di media. E’ nato, così, nel mese di febbraio 2014 un progetto avviato

autonomamente dagli studenti del C.d.L. in Ingegneria Industriale dell'Università degli Studi della Tuscia denominato: «Enjoineering»; la policy del

progetto è quella di accrescere e migliorare la visibilità del nuovo Corso di Laurea all’interno di un panorama accademico italiano piuttosto con-

solidato. I promotori si sono auto-organizzati in tre team di lavoro: Search Engine Optimization e Web Analysis; Web Design e Copywriting; So-

cial Media Marketing

I soci fondatori si sono prefissi, quindi, l'obiettivo di incrementare il numero delle iscrizioni al C.d.L. per il prossimo anno accademico e di miglio-

rare la brand reputation sul web dello stesso. Coerentemente con le metodiche gestionali della Qualità e dei SGQ, il «prodotto» “reputazione del

brand” viene monitorato e misurato in termini di quantità di contenuti affini ripubblicati in rete su piattaforme indipendenti dal progetto. All’inter-

no di un sistema di «obiettivi» sono stati individuati i seguenti principali macro-target: i possibili iscritti (suddivisi geograficamente, geograficamen-

te e psicograficamente in diversi target specifici); gli influencers del settore del marketing (blogger e opinionisti); i possibili potenziali partner.

Per raggiungere l'obiettivo i protagonisti-gestori del progetto hanno organizzato dei seminari auto gestiti sulle tematiche relative al Web Marketing

(con focus su tecniche di analisi, SEO e Social Media Marketing), per poi lanciare la campagna vera e propria, che oggi si muove principalmente

su alcuni canali paralleli: sito web/blog, social media, motori di ricerca ed eventi off line.

Fino a oggi sono stati organizzati per questo motivo due eventi specifici particolari: uno di presentazione rivolto alla stampa e agli influencers del

settore («Enjoineering si presenta» il 4 aprile); un altro rivolto agli studenti delle Scuole Superiori su tematiche di forte appeal come: ingegneria,

innovazione e futuro. Durante questo evento un nutrito panel di affermati ingegneri specialisti negli ambiti meccanico, energetico e ICT hanno

portato esempi pratici di prospettive occupazionali future per l'ingegnere.

I risultati finali della prima fase del progetto si vedranno a ottobre, con le iscrizioni per il prossimo anno accademico; la speranza è quella di aver

realizzato efficacemente un nuovo modello scalabile di marketing accademico student-driven.

Maggiori informazioni sulla sperimentazione possono essere acquisite navigando nel sito:http://www.enjoineering.com/comunicato-stampa/

Paolo DELLO VICARIO,

team ENJOINEERING del CdL in Ingegneria industriale dell’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo - [email protected]

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olat

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éuna esaltante esperienza quella matu-rata nella qualità di componente del

nucleo di valutazione “esterna” di alcuneIstituzioni accademiche siciliane, dipen-denti dalla Facoltà Teologica di Palermo.Decisamente sorprendente intanto scopri-re l’esistenza di una Agenzia della SantaSede avente come finalità la Valutazione ela Promozione della Qualità delle Univer-sità e Facoltà Ecclesiastiche (avePro). L’Agenzia, istituita il 19 settembre 2007da Sua Santità Benedetto XVI, è una Istitu-zione collegata con la Santa Sede, a nor-ma della costituzione Apostolica PastorBonus e mira a promuovere la qualità del-la ricerca e dell’insegnamento delle istitu-zioni accademiche della Chiesa Cattolica;valuta, inoltre, il raggiungimento di ade-guati standard internazionali, come giàauspicato dal Concilio Vaticano II e sup-porta “il rafforzamento della Qualità me-diante l’implementazione di nuovi stru-menti e nuove procedure”.Il primo obiettivo di avePro, si apprendedai documenti ufficiali, è: «lavorare instretta armonia con le Facoltà ecclesiasti-che e le Università europee nel rispettodel quadro normativo delineato dalla co-stituzione apostolica Sapientia christiana(15 Aprile 1979) e sviluppare un processodi Quality Assurance che soddisfi i criteridel Processo di Bologna e di quelli sancitinelle European Standards and Guidelines(ESG)».L’adesione della Santa Sede al Processo diBologna, avvenuta il 19 settembre 2003durante l’incontro dei Ministri per l’Istru-zione dell’Unione Europea a Berlino, èstata determinata anche dall’intento diperseguire e realizzare alcuni obiettiviprevisti nell’ambito del suddetto Processo

tra i quali:•rispetto per le specificità e le diversità deivari ordinamenti universitari;•impegno per la Qualità come valore in-trinseco per la ricerca e l’innovazione inambito universitario;•creazione di uno Spazio comune dell’i-struzione superiore che favorisca il coin-volgimento delle Istituzioni universitariein una dimensione internazionale.Prima di illustrare brevemente le LineeGuida che hanno accompagnato il per-corso dell’autovalutazione, è utile sottoli-neare che il sistema di Istruzione Superio-re della Santa Sede ha tra i suoi punti diforza, ma al contempo costituisce ele-mento di complessità, il fatto di essere avocazione universale e, come tale, pre-sente in tutti i continenti. Inoltre, è artico-lato in Istituzioni collegate a Facoltà “ma-dri” le quali annoverano, tra i loro compi-ti, quello di garantire, quanto più possibi-le, l’omogeneità nelle modalità di eroga-

zione della didattica, della ricerca e delleprocedure amministrative che concorronoa determinare quegli elementi di garanziache stanno alla base di un titolo di studiorilasciato dalla Santa Sede. É su queste premesse che l’avePro, diconcerto con la Congregazione per l’Edu-cazione Cattolica, CEC, ha ritenuto fonda-mentale la realizzazione di un progettopilota volto alla sperimentazione delleprocedure di Quality Assurance presso gliIstituti collegati alle Pontificie Facoltà Teo-logiche. Da qui il prestigioso incarico affi-dato ad alcune Commissioni di eseguirele visite esterne e, sulla scorta del rappor-to di autovalutazione (RAV), a suo tempopredisposto dalle singole articolazioniteologiche territoriali, procedere alla valu-tazione finale, conseguente agli esiti dellavisita.Oggetto della valutazione nelle Istituzio-ne teologiche sono stati principalmente: •la qualità dell’offerta formativa e delle ri-

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aVEprO (agenzia della santa sedeper la Valutazione e la promozionedella Qualità delle Università e Facoltà Ecclesiastiche)

y Qualità del Lavoro y

Qualità ed Eccellenza nelle Facoltà Teologiche

>> Salvatore La roSa

tema

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sorse formative a disposizione degli stu-denti; •l’attività formativa, esaminata nella sua ef-ficacia ed efficienza; •l’impegno nella ricerca e nello studio, l’a-deguato funzionamento delle strutture, lefonti di finanziamento fondamentali.Nella fase di avvio dell’autovalutazione enella successiva predisposizione del Rap-porto occorreva preliminarmente prende-re coscienza della vision e della missiondella Istituzione teologica, cioè del man-dato con cui l’Istituzione teologica è stataeretta sulla scorta della documentazioneinviata alla Santa Sede attraverso le circo-lari del CEC; delle esigenze richieste dallaCostituzione Apostolica Sapientia Chri-stiana, della Affiliatonis notio, oltre chedegli Statuti propri dell’Istituzione teologi-ca e dei relativi Regolamenti interni. Nell’ambito del processo di autovaluta-zione sono state rea-lizzate le intervistealle autorità ac-c adem i che ,

agli studenti, secondo una specifica gri-glia concettuale che ha condotto a valuta-zioni relative al Consiglio d’Istituto, alCollegio Docenti, alla Segreteria, alla Bi-blioteca, e così via.Fra le principali moti-vazioni per la partecipazione al processoQualità, le Linee Guida, nella premessa,indicano le seguenti:•l’opportunità di mantenere aperto il dialo-go e il confronto critico con i saperi elabo-rati in altre istituzioni accademiche, facili-tando lo scambio delle idee e la spendibi-lità dei titoli erogati e dei crediti concessi;•il beneficio che la qualità del lavoro pro-duce nei fruitori e di rimando nelle realtàecclesiali; •l’innesco, attraverso la ciclicità del pro-cesso, di una mentalità autocritica e crea-tivamente autogena tale da costituire unavera e propria risorsa;•l’occasione di sperimentare la propria au-

tonomia responsabile ap-profondendo il lega-me di interdipen-denza con la Fa-

coltà Teologica, il cui ruolo è di offrire unaccompagnamento critico e discreto, al-l’interno di un rapporto di partneriatoL’invito rivolto alle comunità accademicheè quello di vivere il processo di qualità co-me cammino di formazione in itinere, ov-vero nell’atto stesso della sua realizzazione. Pur non essendo espressamente richiama-to, il percorso adottato riflette quello chesta a fondamento dei Modelli di Eccellen-za EFQM (European Foundation for Qua-lity Management). Così la rilevanza assegnata alla “visionesistemica”, al “miglioramento continuo”,alla customer care, all’“analisi dei proces-si”, ecc. Il processo, nello specifico, assu-me notevole significato perché offre infor-mazioni dettagliate sul divenire dell’Istitu-zione teologica, sulla sua missione, sullesue funzioni ed attività, sulla percezionecondivisa del personale e degli allievi cir-ca il loro ruolo non solo nell’istituzione,ma anche nei confronti del territorio edelle sue potenzialità di sviluppo; il pro-cesso evidenzia inoltre i sistemi e le pro-cedure che promuovono la qualità già inatto e consente una valutazione della loroefficacia; permette un’auto-analisi criticadelle attività, aiutando l’Istituzione teolo-gica ad individuare ed analizzare i propripunti di forza e di debolezza, le opportu-nità e le sfide sul piano delle questioni ge-stionali, procedurali ed organizzative e dialtro genere tra cui l’insegnamento e l’ap-prendimento, la ricerca e l’interazione so-ciale; fornisce un quadro entro il quale l’I-stituzione Teologica può continuare a la-vorare in futuro per il miglioramento con-tinuo della Qualità e dell’Eccellenza. La definizione del piano d’azione (Qua-lity Improvement Plan) per l’attuazionedelle raccomandazioni contenute nel rap-porto finale concordato e promosso dall’I-stituzione teologica esterna d’intesa conla Facoltà è il passo successivo per la rea-lizzazione, attraverso il ciclo “plan, do,check, act”, del processo di miglioramen-to sia delle attività didattiche e di ricercache il servizio a favore della comunità lo-cale.

y Qualità ed Eccellenza nelle Facoltà Teologiche yte

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SaLvatore La roSapresidente AICQ-Sicilia

[email protected]

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1015 Le Giornate Nazionali di Saldatura si ripropongono, per l'ottava volta, come evento culturale di riferimento nel mondo della fabbricazione dei prodotti saldati. I contenuti scientifici e tecnologici di questa ottava edizione sono stati come sempre particolarmente curati. Attenzione particolare è stata posta alla scelta degli argomenti da sviluppare, dei temi da discutere, delle novità da presentare avendo attualità e valenza applicative quali criteri conduttori. Se "la competenza è una conquista" le GNS rappresentano certamente un'opportunità rilevante di crescita.

INFO: Responsabile Manifest Segreteria Organizzativ Sponsorizzazioni ed lnt

~ Gio1nate nazionali di Saldatura

GenovG. 18·19 mGggio 10 I S Po1to Antico di GenovG

Cent10 Cong1e11i

le Murgia - e-mail: miche/[email protected], tel. 010.8341.405 anifi [email protected], tel. 010.8341 .373

re li - e-mail: [email protected], tel. 010.8341 .389

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premesseL’evoluzione della “grande” cucina italianain questi anni di crisi e di rivoluzione digi-tale non è facilmente traducibile in catego-rie interpretative univoche. Nella web so-ciety1, la sempre maggiore disponibilità ditante e difformi materie prime, l’eccesso in-formativo e critico rappresentato dal web,infatti, tendono a portare sempre più il con-sumatore nel piatto proposto dal ristoratore;questo nuovo scenario non può che incide-re sui nostri giovani (ed anche meno giova-ni) maestri di cucina2, i quali, forse quasisenza rendersene conto - come nativi digi-tali e figli di un mondo globalizzato - nonpossono non essere da tutto ciò significati-vamente condizionati. Non ci si riferisce in questo caso all’inva-sione della genetica nei campi del cibo,né all’assalto della chimica alla cucinamolecolare, né tantomeno alla diffusione(anche se attualmente un po’ in crisi) del-le cucine de-strutturate senza masticazio-ne ed identità territoriale3, bensì a ciò cheè accaduto dopo l’avvento travolgentedella “nouvelle cuisine”.Questa, come ben noto, nasce in Francianel 1973 e dieci comandamenti (per essereun po’ originali!) ne segnano l’avvio; le

questioni poste non sono di merito culina-rio, bensì di metodo di lavorazione dellematerie prime impiegate. L’idea, sull’ondadi una società industriale e borghese co-munque in ascesa, si diffonde, si attua con-cretamente, si plasma presso realtà locali etende ad incidere sui tanti tipi di cucine na-zionali e regionali. Nel concreto, la “nouvelle cuisine” portadentro i piatti una maggiore leggerezza efreschezza; li riduce e li rende più eleganti.Accentua componenti estetiche e di preci-sione, contiene le cotture, gli intingoli, lefrollature. Dai grandi e debordanti pranzi si passa cosìa cene più raffinate e contenute. Ora, però,l’ondata di questo modo di far cucina puòritenersi esaurita. Essa ha dato sicuramentetutto quello che poteva dare, dimostrandola sua sicura importanza tecnica, senza pe-rò di fatto scalfire veramente, almeno in Ita-lia, il sedimento storico della nostra grandee variegata tradizionale culinaria nazionalee regionale4.Dato ciò, cosa sta allora accadendo, allesoglie del 2014, nella nostra ristorazione aisuoi più alti livelli? Solo crisi oppure unamescolanza complessa di mainstream tele-visivi e di meticciato generato dai socialnetwork? Una transizione verso la perditadella propria identità nazionale o territoria-le? Una difesa necessitata dal contesto so-cio-economico e di fatto orienta tata versola stabilità? Forse, in ognuna di queste domande retori-che si può rintracciare del vero, ma la tesiche in questa sede si vuole esplicitare risul-ta essere diversa. Innanzitutto, va dato perscontato che la crisi economica è presentealmeno dal 2008 e solo ora darebbe esseresulla via del tramonto. E questo ha compor-

tato con non pochi dubbi un calo dei con-sumi o delle disponibilità di denaro daspendere nell’alta ristorazione.

il ristorante-azienda risponde alla crisiNella piena consapevolezza che il risto-rante debba essere gestito come una“azienda”, è chiamato ad adottare unapolitica aziendale tendenzialmente indi-rizzata verso il contenimento dei costi,verso il blocco dei prezzi, verso l’accen-tuazione o l’allargamento del ruolo dei fa-miliari (in senso lato) nella conduzionedel ristorante e così via. E tutto ciò, si badi, senza ridurre, almenonelle intenzioni e nella volontà, il livellodella qualità della propria proposta culina-ria, intesa in tutte le sue dimensioni che,come già teorizzato da tempo5, vannodall’ambiente esterno a quello interno, dal-la produzione ed elaborazione dei piatti ailoro complementi6 per finire con la relazio-nalità micro - sociale a base empatica in-trinseca al lavoro ed all’attività produttiva edi servizio di riferimento.In una ricognizione effettuata di recentesulle proposte culinarie offerte dai ristorantiaderenti alla Associazione “Le Soste”7

emerge quella che si può reputare come laprincipale tendenza in atto nella nostragrande ristorazione nazionale. In maniera sintetica, si può osservare che lastruttura della proposta culinaria avanzatanella lista delle vivande resta ancorata in-torno all’asse portante “primo” e “secon-do”, che non hanno neppure bisogno di es-sere associati al termine piatto. Di conse-guenza, si avranno nel menù degli antipa-sti, che sono delle entrate che anticipanoperò il pranzo vero e proprio, complementi

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dalla “nouvelle cuisine” allacucina tradizionale e creativa

y Qualità dei Lavori y

Cultura e scelte gestionali nei ristoranti

>> Costantino CIpoLLa

tema

A great restaurant must live under the

sign of the times; as the "nouvelle cuisi-

ne" made tradition more elegant and

beautiful, the web society is changing

the way we sit at the table.

It should not be possible, however, for

the eclectic tendency of modern cuisine

to cancel the weight and significance of

the great and varied Italian culinary tra-

dition.

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vari, tra cui il formaggio spicca per la suaspecificità ed autonomia fino al punto di di-ventare quasi un piatto conclusivo a sé8, edinfine il dessert che rappresenta la chiusura“dolce” del “convivio” a tavola, contem-plando sia piatti di frutta, che di pasta di va-rio tipo, che misti. Dentro questa struttura-zione logica, mai comunque rigida o impo-sta all’ospite, l’eleganza, l’emozionalità, lamisura si evolvono e si radicano nel tempo(la cucina è comunque sedimentazione sto-rica), ma la vena creativa del maestro di cu-cina è e non può che essere nelle sue cordenaturali, quasi e forse ancor prima che inquelle culturali. Il suo mestiere, insieme a quello del mae-stro di sala (ruolo cruciale ed un po’ abban-donato a se stesso, oggi, nel ristorante), vivedi inventiva, di innovazione, di ricerca e disfide che nella web society non possononon spingerlo verso i confini dell’ecletticitàculinaria trasmessa o “portata” nel piattoelaborato9.

La cucina tra tradizione e soluzioni “eclettiche” Per ecletticità, e quindi per cucina di stam-po moderatamente eclettico, si può inten-dere un modo di compiere il proprio lavo-ro, fra tecnica ed arte, che sia versatile, po-liedrico, composito, orientato, partendo dalpassato e su basi spesso consolidate, a ri-fondere un armonico equilibrio di gustisensoriali ed emotivi nel piatto. Un grandemaestro di cucina, infatti, deve sempre ren-dere conto all’altro, l’ospite-cliente, di quel-lo che elabora. Una cucina di tale tipo non può com-prendere tutto (essere, cioè, sincretica)perché essa è basata sulla scelta, né privadi criteri operativi (altrimenti sarebbe unasoluzione anarchica), perché fare il cuocorichiede quasi sempre il rispetto di regolemeticolose. Una cucina a base tradizionale, ma ecletti-ca, è connessa a regole di compatibilità,sconta conciliazioni peculiari, intelligenti epraticabili di materie prime desunte, peripotesi, in ogni luogo e per ogni via. essa ètollerante e pluralistica al punto che, dentrouna medesima tradizione, contempla an-che stili culinari molto diversi tra loro. Unagrande cucina non può mai essere tutto ilgusto della Terra o di una regione; essa rap-presenta sempre e necessariamente una

parte, per quanto rilevante, di un intero.La tendenza alimentare appena indicata,presa ai suoi massimi livelli, si ritiene nonpossa essere comunque estratta dallementi dei nostri “maestri di cucina”, dan-do semplicemente per scontata una loropropensione quasi naturale in tal senso.Al contrario, si ritiene che la web society,che si accresce ogni giorno intorno e den-tro ciascuno di noi, abbia un ruolo impor-tante nel condurci per le strade culinarieappena indicate. Senza ipotizzare che ciò rappresenti unvincolo deterministico o obbligato, né chetutti i piatti ed i menu vadano in questa di-rezione preordinata, si debba partire dallaconsiderazione o dalla constatazione che,sempre tra i grandi ristoratori nostrani, unpaio di anni fa10 era possibile ricondurre al-la dimensione eclettica il 15% degli antipa-sti, percentuale che saliva al 40% fra i primied ancor più fra i dolci, per scomparire, alcontrario, fra i secondi, come se la “classi-cità” si concentrasse quasi esclusivamentefra questi ultimi. In realtà, la cucina eclettica non è a logicadicotomica, quella del prendere o lasciare,

bensì è a sfondo spesso graduale. Detto al-trimenti, il piatto rimane quello definito subase storica, ma vengono in esso introdottimolti cambiamenti di contorno, varie mo-difiche tecniche e/o estetiche che, di fatto,lo rendono a sua volta venato di ecletticità.Scontato, oggi, tutto questo si può registrarecome la rivoluzione digitale contorna, entraed esce dal ristorante, obbligandolo, si po-trebbe dire, a vari adattamenti, a loro modocreativi ed innovativi, che complessivamen-te lo conducono comunque a loro modolungo il percorso accennato,

L’informatica entra nel ristorante e lo porta a casadel potenziale clienteLa tradizione non viene tradita, ma il “tradi-mento”, per così dire, può assumere le vestidella “dematerializzazione del cibo” pervia informatica attraverso la rete delle reti odel web. Di seguito ci si soffermerà su qual-che esempio concreto estrapolato dal con-testo.Partendo dal rapporto esistente tra il risto-rante ed il suo ambiente sociale ci si puòrendere conto come tale rapporto stia cam-

y Qualità nei Lavori yte

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> Guida Le Soste 2014 - Editore Mediavalue Milano

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biando radicalmente e ciò sia per quantoattiene alla dinamica informativa in uscita,sia per quanto concerne quella in entrata. Oggi, un ristorante è con il suo sito di fattonel mondo; si presenta per quello che vuo-le essere sia visualmente che cognitivamen-te. Esso si pubblicizza a tutti gli effetti inquesto modo e può essere prenotato sem-pre più frequentemente, attraverso la mede-sima strada telematica. La sua presenza nel-la società in tal senso è senza confini tem-porali e spaziali; è costante e infinita, finoal punto che, sul piano informativo, il sito sitrasforma quasi nel ristorante stesso. Questoessere nel mondo sociale e non in un ambi-to territoriale ristretto riguarda oramai, però,tutto il settore dei ristoranti di alta qualitàche operano in quella parte di Terra che sipuò permettere questo modo di mettersi atavola e che è dalla parte fruibile del digitaldivide. Siamo nella vecchia Europa, negliStati Uniti, in parte della Cina, in Giapponee poco più.Lungo queste vie eteree e nuove, le comu-nità dei giovani sono attraversate da infor-mazioni di ogni tipo, eccedenti e varie, chestimolano i “maestri di cucina”, o aspirantitali, in tutte le direzioni, anche tra loro incontrasto, per un esito pratico di difficile, senon impossibile, anticipazione. D’altra par-te, l’arte non è mai tale, e l’ecletticità è,nella sua originalità, una delle peculiaritàinsostituibili degli artisti più grandi (si pensi,ad esempio a Raffaello definito appunto“eclettico” dal Vasari). Se l’essere nel mondo sociale (come visto)vuol dire essere disponibile poliedrica-mente per ogni gusto, senza perdere lapropria identità, del pari vivere dentro glieccedenti ed imprevedibili stimoli dellaweb society comporta quasi necessaria-mente una innovazione culinaria disponi-bile verso molteplici opzioni per scelte ri-compositive, nella combinazione dei gu-sti, che ci conducono verso le vaste stradedell’ecletticità del e nel piatto.

il ristorante si dematerializza e va in rete, rimanendo legato al territorioIn tema di dematerializzazione internadel ristorante (internet delle cose) nell’ot-tica tendenziale della domotica (si pensisolo alle famose “comande” gestite onli-ne), al nuovo ruolo che il cliente-ospite

viene ad avere nella interpretazione-valu-tazione dei piatti e del contesto fisico do-ve si rilassa e si concede ai piaceri dellatavola. Oggi, i social network dedicati al-la alimentazione impazzano ed esplicita-no i tanti, infiniti gusti degli abitanti dellanostra Terra; oggi taggare, postare, crearehashtag ad hoc, fare buzzing (brusio) sulcibo e sui ristoranti, è propensione sem-pre più manifesta e diffusa. Oggi, fotografare piatti ed ambienti di un ri-storante è la norma fra i giovani per unapresenza in rete continua, difforme e visua-le. Instagram dimostra, con le sue foto sen-za fine, come tutti i suoi fruitori hanno, al-meno una volta, ripreso ed inviato sul webuna foto di un piatto o di un ristorante. Non si può non soffermarsi poi, su tripad-visor11 che rappresenta ormai con le suecritiche e con i suoi consensi, ma anchecon i suoi numeri, uno dei punti di maggio-re impatto valutativo per i ristoratori, chespesso lo respingono, salvo poi, dentro disé e nella pratica, tenerne non di rado con-to. Insomma, oggi, il ristorante è semprepiù aperto, quasi senza confini rigidi e rea-li, per un ospite sempre più presente e“protagonista” al suo interno. Forse, anchein questo contesto scenario complesso, sistanno affacciando logiche orientate a loromodo verso il «prosumerismo», inteso co-me apporto del cliente allo stesso atto dellaproduzione culinaria, se non altro attraver-so le sue opzioni di gusto. Insomma, anche per queste vie, la tenden-za alla poliedricità, alla diversità, alla in-ventiva si accresce e accompagna, si po-trebbe dire, quasi senza volerlo il maestrodi cucina, insieme a quello di sala, nel re-gno di una ecletticità più o meno spinta,per altro supportata a monte da una robustaidentità quasi sempre ancorata nella pro-pria storia personale e sociale.Un grande ristorante non può che viverenel segno dei suoi tempi, ma come la “nou-velle cuisine” ha reso più elegante e bellala tradizione, senza sconvolgere “MadreNatura”,allo stesso modo la web societysta mutando il nostro modo di stare a tavolaai suoi massimi livelli, ma non dovrebbeessere possibile che la tendenza ecletticadella cucina attuale, pur vivendo piena-mente nel tempo presente, possa cancellareil peso ed il significato della grande e varie-gata tradizione culinaria italiana.

n Note1 Costantino CIPOLLA (2013), Perché non possiamo

non essere eclettici, Franco Angeli, Milano.

2 Costantino CIPOLLA (2008), Le emozioni del gusto.

Alcuni criteri per un ristorante italiano d’eccellenza,

Franco Angeli, Milano.

3 Costantino CIPOLLA (2008), Lo stile culinario Le So-

ste: equilibrio, apertura, tipicità, in “Guida” de Le So-

ste, Milano.

4 Costantino CIPOLLA, Gabriele DI FRANCESCO (a cu-

ra di) (2013), La Ragion gastronomica, Franco Angeli,

Milano.

5 Un ristorante non può essere mai ridotto alla sua cuci-

na, che pure è centrale, come dimostrato in Costanti-

no CIPOLLA, Le emozioni del gusto, op. cit, pag. 48.

6 In Italia, il vino può essere collocato tra questi? Si rin-

via a Costantino CIPOLLA (a cura di) (2013), Il mae-

stro di vino, FrancoAngeli, Milano.

7 Costantino CIPOLLA (2012), Trent’anni di storia dei

grandi ristoranti italiani come storia nazionale, in Le

Soste, Grandi ristoranti e grandi chef, Giunti, Firenze

(pagine 331 e seguenti).

8 Costantino CIPOLLA, Alberto MARCOMINI (a cura

di) (2011), I formaggi, i migliori d’Italia, Gambero

Rosso, Roma.

9 Per una riflessione teorica generale si consiglia: Co-

stantino CIPOLLA (2013), Perché non possiamo non

essere eclettici, FrancoAngeli, Milano.

10Costantino CIPOLLA (2012), Trent’anni di storia dei

grandi ristoranti italiani come storia nazionale, in Le

Soste, Grandi ristoranti e grandi chef, Giunti, Firenze

(pagina 340).

11TripAdvisor costituisce un luogo di “critica” di tipo

bottom-up che crea, a partire dagli Stati Uniti, una co-

munità virtuale di gastronomi liberi, di dire la loro su

ogni ristorante frequentato. Questa rete, più o meno

credibile, riuscirà a mettere in crisi le guide tradiziona-

li? Ricordo che, personalmente, accetto solo i giudizi

sui ristoranti sottoscritti in modo esplicito, corretto e

leale, senza fake e senza nickname.

y Cultura e scelte gestionali nei ristoranti ytem

a23

CoStaNtINo CIPoLLaprofessore ordinario presso il Dipartimento

di Sociologia e Diritto dell’Economia,

Università di Bologna

[[email protected]]

Si ringrazia il prof. Costantino Cipolla e l’Editore Me-

diavalue di Milano per aver autorizzato espressa-

mente la pubblicazione della presente rielabora-

zione della presentazione alla Guida LE SOSTE

2014 intitolata: «dalla “nouvelle cuisine” alla cu-

cina tradizionale ed eclettica».

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La “Farmacopea Ufficiale”La Farmacopea Ufficiale è un codice far-maceutico costituito da un complesso diregole, leggi e prescrizioni tecnico/scien-tifiche ed amministrative, di cui il farmaci-sta si serve, per il controllo della qualitàdei medicamenti, delle sostanze e/o deipreparati finali, attraverso metodi di verifi-ca analitica e tecnologica delle specifichedi qualità, dei metodi di preparazione odella formulazione. Il simbolo della far-macopea è il caduceo.La Farmacopea Ufficiale, inoltre, contem-pla le disposizioni opportune e necessariea regolare l’esercizio della farmacia, ca-ratteristica questa, che ne fa un testo indi-spensabile alla professione del farmacista,la cui detenzione in farmacia, sia ospeda-liera che privata, è obbligatoria. È, inoltre,ostensibile al pubblico: pochi sanno infat-ti che chiunque voglia consultarla può ri-chiederne la visione.La ”Farmacopea Ufficiale” è il testo nor-mativo compilato da organismi statali dicontrollo delle varie nazioni (che si basa-no, a loro volta, sulle ricerche e sui giudi-zi di istituti universitari accreditati) e de-scrive i requisiti di qualità, delle sostanzead uso farmaceutico, le caratteristiche,

che i medicinali preparati debbono avere,suddivisi per categorie, ed elenca compo-sizione qualitativa, ed a volte quantitativa,nonché, laddove previsto, il metodo dipreparazione di ogni farmaco galenicoche le farmacie del singolo Paese sonoautorizzate a preparare, oltre a varie ta-belle.La farmacopea individua la distinzione traun farmaco galenico magistrale e un far-maco galenico officinale: il primo lo de-scrive come un farmaco allestito in farma-cia dietro prescrizione medica e destinatoad un determinato paziente; il secondo loclassifica come un preparato che il farma-cista secondo le sue conoscenze può de-stinare ad un paziente. In entrambi i casile modalità di preparazione sono indicatedalla Farmacopea Ufficiale, la quale persvolgere con efficacia il suo ruolo di rife-rimento deve comprendere tutte le sostan-ze importanti dal punto di vista delle tera-pie.La Farmacopea ha numerosi riferimentinella Bibbia; nel testo sacro troviamo nar-razioni di episodi in cui si descrive l’im-piego di medicamenti, come, ad esempionel testo biblico di Tobia, in cui vi si leg-ge: «l’Angelo disse a Tobia: afferra il pe-sce […], aprilo e togline il fiele, il cuore eil fegato. Il fiele e il cuore possono essereutili medicamenti. […] Poi Raffaele gli disse: prendi in mano ilfiele, spalmalo sugli occhi del padre Tobiaccecato nel sonno dagli escrementi dipasseri. Il farmaco intaccherà e asporteràcome scaglie le macchie bianche dai suoiocchi. Così tuo padre vedrà la luce».

Evoluzione storicaDa sempre la natura è stata fonte di rime-

di farmacologici e l’uomo ha imparato adusarli per la cura delle malattie, ma sol-tanto intorno al XIII secolo si sente l’esi-genza di raccogliere tali rimedi, selezio-narli, classificarli, valutarli e, soprattutto,controllarne l’efficacia. L’esigenza di co-dificare i rimedi farmacologici ha condot-to alle Constitutiones, primo esempio diFarmacopea, voluta da Federico II nel Re-gno delle Sicilie. Sin d’allora si percepiscecome la Farmacopea rappresenti uno stru-mento di salvaguardia della salute pubbli-ca, mediante la messa a punto di standardconnessi con la qualità dei medicinali.Il primo passo è rappresentato dal volermigliorare i rapporti tra due figure profes-sionali, da sempre coinvolte nella curadel malato: lo speziale e il medico. Con le Costitutiones Federico II faceva sìche vi fosse un testo ufficiale a cui gli spe-ziali e i medici potessero fare riferimento,testo interamente compilato sulla basedell’Antidotorium Nicolai, che rappresen-tava il primo esempio di Farmacopea im-posta da una autorità. Nei secoli successivi la diffusione, agevo-lata dall’introduzione della stampa, di for-mulari, di antidotari, di testi universitari,di trattati o compendi, che descrivevano imedicinali e la loro preparazione, rende-va teoricamente possibile, ad ogni medi-co e ad ogni speziale, preparare un medi-cinale. L’interpretazione delle ricette av-veniva però non in maniera uguale; le ri-cette, infatti, non venivano eseguite congli stessi metodi ed ingredienti, alimen-tando confusione, adulterazioni e, talvol-ta, frodi, alquanto pericolose per gli am-malati. Al fine di eliminare errori, disordi-ni e arbitri si avvertì la necessità di dispor-re di un testo unico, obbligatorio per i

24

La qualità e l’arte di produrre farmaci

y Qualità dei Lavori y

La farmacopea ufficiale italiana

>> maria antonietta CUTULI

tem

a

The Pharmacopoeia is one of the most

ancient texts and it is an official code

which sets medicines describing its cha-

racteristics, methods of preparation,

identification and control.

The Official Pharmacopoeia standards

through good preparation of medicines

and the Quality Assurance System is the

guarantor of safety and quality in the

pharmaceutical field.

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medici e gli speziali, in cui raccogliere iricettari e gli antidotari ufficiali, che fosse-ro compilati, non più da una singola per-sona, medico o speziale che fosse, ma dauna commissione nominata dalle autorità,e venissero approvati dalle autorità stesse,che avrebbero così garantito la qualità diun servizio pubblico. Questo fu l’obietti-vo, che nella seconda metà del Quattro-cento, portò i Consoli degli Speziali di Fi-renze - che rappresentavano l’Arte o l’U-niversità degli Speziali - a chiedere alCollegio dei Medici dell’Università di Fi-renze di compilare un nuovo ricettario,che potesse servire all’esercizio della Far-macia e della Medicina.Si rafforzava così la collaborazione tra ledue professioni, suggellata nel 1498 conla pubblicazione del «ricettario fiorenti-no», seguita nel 1550 da una secondaedizione, voluta questa volta dal Duca diFirenze, Cosimo I Medici.Le varie edizioni del Ricettario si susse-guirono fino al 1789.La fama del Ricettario oltrepassarono iconfini non solo del Granducato di Firen-ze, ma anche dell’Italia diffondendosi, trail 1500 e il 1800, in tutto il mondo.Da sempre, quindi, sin dalle Costitutio-nes di federico II si è avvertita l’esigenzadi garantire la qualità dei medicinali attra-verso l’attribuzione alla Farmacopea delcarattere regolamentare non solo per laqualità dei medicinali, ma anche per ga-

rantire la qualità nella professione del far-macista.In tutti i Paesi, che avevano raggiunto l’u-nificazione, si vide la compilazione dellaFarmacopea, mentre in Italia questa cre-scita avveniva solo alla fine XIX secolo, inconnessione con quella politica.La prima edizione della farmacopea Uffi-ciale Italiana vide la luce nel 1892, ap-provata dal Senato del Regno; essa fu di-chiarata testo obbligatorio per i farmacistie fu prevista una revisione periodica confrequenza ogni 5 anni.Bisogna aspettare la terza edizione del

1909 per poter contemplare nella Farma-copea le prime linee-guida sui “Saggi dipurezza e di identificazione delle falsifi-cazioni”.Con la quarta edizione, pubblicata nel1920, si introduce il concetto di “mono-polio delle farmacie”; monopolio che ren-deva obbligatoria la vendita e la detenzio-ne dei medicinali solo all’interno dellefarmacie.Sarà la quinta edizione della Farmacopea,avvenuta nel 1929, a parlare di “qualitàdei medicamenti”, stabilendo quali eranoi requisiti ai quali i medicinali dovevanocorrispondere per poter essere adoperaticome farmaci.La Farmacopea diventa cosi un Codice diQualità dei medicamenti non più solo ri-volto ai farmacisti preparatori, ma anchealle industrie farmaceutiche.Con la stesura della settima edizione, benpiù strutturata e innovativa, si possonoconsultare le “Norme di Buona fabbrica-zione” e il “controllo di qualità” dei me-dicamenti. Introduzione, questa, che ri-fletteva la volontà del Ministero della Sa-nità di imporre ai produttori l’osservanzadi alcune norme, in previsione degliscambi con l’estero.

La “Farmacopea” oggiIl 3 dicembre 2008 il Ministero della Sa-lute approvava il testo della dodicesimaedizione della Farmacopea Ufficiale dellaRepubblica italiana a tutt’oggi in vigore. In Italia, la Farmacopea Ufficiale è stataistituita dal testo unitario delle leggi sanita-rie nel 1934. Essa viene redatta da una ap-posita commissione di esperti, nominatadal Ministero della Sanità. Il testo dell'ulti-ma edizione (la dodicesima, che sostitui-sce a tutti gli effetti il testo base e il primosupplemento dell'undicesima edizione)della “«Farmacopea Ufficiale» della Re-pubblica italiana" è stato approvato conComunicato del Ministero del Lavoro, del-la Salute e delle Politiche Sociali del 3 di-cembre 2008 [1] ed è entrato in vigore il31 marzo 2009. Esso è articolato in otto ta-belle, che raccolgono prescrizioni, con va-lore legale, caratteristiche e metodi di ana-lisi e controllo di farmaci e formule. Sonopresenti elenchi dei pesi atomici, delle so-stanze medicinali obbligatorie (compresequelle velenose da conservare in luogo si-

y La farmacopea ufficiale italiana ytem

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curo), degli apparecchi e strumenti obbli-gatori e dei prodotti da vendere, solo dietroprescrizione medica. È inclusa inoltre unanomenclatura completa dei composti far-maceutici, con relative modalità di conser-vazione e di etichettatura.A livello mondiale ogni Stato ha una pro-pria Farmacopea Ufficiale. Sono conside-rate molto autorevoli la BP (British Phar-macopoeia) inglese, la daB (DeutschesArzneibuch) tedesca e la USP (United Sta-tes Pharmacopoeia) statunitense.Oggi la Farmacopea si presenta molto piùcomplessa ed in essa un intero capitolo, ilnumero sei, è dedicato alla Gestione dellaQualità in Farmacia, attraverso le Normedi buona preparazione in Farmacia, che,già dall’edizione precedente fanno riferi-mento alle Manufacture of Sterile medici-nal products delle GMP dell’Annex 1.In tal modo la qualità non viene garantitasolo dalla professionalità e competenzascientifica del farmacista, e dalla collabo-razione con il medico e il paziente, ma for-nisce delle linee guida per una accurata or-ganizzazione della struttura in cui opera.La Farmacopea gestisce la qualità attraver-so il Sistema di Assicurazione della Quali-tà (SAQ), sistema complesso che dipendedalla tipologia e dal carico di lavoro e chesi basa su tre strumenti essenziali: respon-sabilità, pianificazione e documentazionedelle attività.

responsabilitàIl farmacista è il responsabile della qualitàdelle preparazione, attraverso la definizio-ne degli obiettivi della qualità in farmacia,l’assicurazione delle risorse necessarie perraggiungere e mantenere la qualità, il ri-esame periodico del sistema attraverso ilquale si mantiene e si assicura la qualità e,infine, l’assegnazione delle responsabilitàper le attività più critiche e l’attribuzionedei ruoli, al fine di evitare che le singoleattività si possano ostacolare l’un l’altro.

pianificazioneLa programmazione di un’attività secondoun piano prestabilito garantisce il raggiun-gimento dell’obiettivo prefissato attraversoun percorso, tenendo conto delle risorsedisponibili, delle attività da intraprenderee dei tempi necessari per realizzarle.Nell’ambito della farmacia la pianifica-

zione delle attività in funzione degliobiettivi di qualità è essenziale e viene as-segnato dalla dirigenza della farmacia. L’efficienza con cui la farmacia rispondealle richieste, anche quelle che per loronatura non possono essere programmate,è strettamente correlata alla efficacia dellapianificazione.La pianificazione degli allestimenti in far-macia segue delle regole di comporta-mento ben precise, al fine di garantire laqualità del prodotto finito e, in taluni casicome l’allestimento dei prodotti antibla-stici e la sicurezza del personale sanitario.

documentazione delle attivitàLa Farmacopea Ufficiale dedica dei capi-toli a parte alle attività riguardanti l’allesti-mento all’interno delle Unità Farmaci An-tiblastici e raccomanda l’utilizzo di proce-dure scritte, periodicamente aggiornate,sia in forma cartacea che elettronica.In generale l’attività connessa alla prepa-razione dei medicinali in farmacia deveessere documentata in tutti i loro aspetti,come le mansioni di ognuno, gli acquistie l’immagazzinamento.Inutile dire che deve essere effettuata unaarchiviazione della documentazione e, intal senso, il direttore della farmacia nomi-na un responsabile dell’archivio.La qualità volutamente garantita dalla Far-macopea Ufficiale è un ulteriore testimo-nianza del vivo interesse nutrito nei ri-guardi del paziente, l’attore principe dellafiliera della salute: molto di più di unsemplice “cliente”.

n GLoSSarIo• Caduceo: [ca-du-cè-o] s.m. Nella mitologia classica,

piccola verga con due serpenti avvolti specularmente

e due ali alla sommità, insegna di pacificazione pro-

pria del dio Mercurio e dei messaggeri

•Galenico magistrale: Preparato galenico magistrale

o formula magistrale è il medicinale preparato dal

farmacista in farmacia in base ad una prescrizione

medica magistrale (dal latino magister) destinato a

un determinato paziente.

•Galenico officinale: Preparato galenico officinale o

formula officinale è il medicinale preparato autono-

mamente dal farmacista in farmacia secondo la Far-

macopea di un paese membro dell'Unione Europea

destinato ad essere dispensato direttamente ai pa-

zienti che si servono in tale farmacia.

Per determinare il prezzo di vendita di un preparato

galenico esiste un’apposita tariffa, la Tariffa Nazio-

nale.

• EudraLex - Volume 4 Good manufacturing practice

(GMP) Guidelines: Volume 4 of ”The rules governing

medicinal products in the European Union” contains

guidance for the interpretation of the principles and

guidelines of good manufacturing practices for me-

dicinal products for human and veterinary use laid

down in Commission Directives 91/356/EEC, as

amended by Directive 2003/94/EC, and 91/412/EEC

respectively.

• EudraLex - Volume 4 Buone pratiche di fabbrica-

zione (GMP) Linee guida: Volume 4 di ”La discipli-

na relativa ai medicinali nell’Unione europea” con-

tiene una guida per l’interpretazione dei principi e

delle linee direttrici delle buone prassi di fabbrica-

zione dei medicinali per uso umano e veterinario,

stabilite in direttive della Commissione 91/356/CEE,

come modificata dalla direttiva 2003/94/CE e

91/412/CEE, rispettivamente.

n BIBLIoGrafIa• La Farmacopea Ufficiale della Repubblica Italiana

XII Edizione

• Valentino BRUGNATELLI, La Farmacopea ad uso de-

gli speziali e medici moderni della Repubblica Ita-

liana, 1802;

• Farmacopea Ferrarese, 1828;

• Farmacopea Taurinensis, 1833;

• Farmacopea degli Stati Estensi, 1839;

• Farmacopea Austriaca, 1834;

• Giuseppe MAIOCCHI, L’Arte di produrre i farmaci:

un itinerario affascinante

26y La farmacopea ufficiale italiana y

tem

a

marIa aNtoNIetta CUtULIfarmacista ospedaliera, Catania

[email protected]

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Ho ricevuto, nel 1979, in eredità da miopadre un’azienda agricola ad indirizzo

silvo- pastorale sita in agro di Viterbo e pre-cisamente sulla caldera del Lago di Vico inposizione panoramicissima a 840 m.s.l.m.e dalla quale si vede il lago di Bolsena conl’isola Bisentina, il monte Amiata, il monteArgentario con la laguna di Orbetello, e,nei pomeriggi nuvolosi e se il sole riesce aforare le nuvole, l’isola del Giglio. Un vero tesoro immerso nella natura conprati verdeggianti, boschi ombrosi ed un’a-ria piena di profumi diversi in ogni stagio-ne. [foto n. 1]Anche la storia è stata prodiga di regali conquest’azienda che è attraversata da un ramodella via Francigena che portava i pellegrinida Canterbury a Roma e alcune storie dibriganti sono ambientate proprio in questiboschi fitti ed inestricabili che offrivano lo-ro sicuri nascondigli. Lungo il tracciato delmedesimo sentiero, all’interno dell’Azien-da, c’è un casale che fungeva da cambiodei cavalli della diligenza che collegava Vi-terbo con Roma ed una pozza sorgiva de-nominata la fontana del Boia. Seguendo iltracciato della via francigena si incontrano,dopo circa 100 metri, i ruderi dell’ostellodel Pellegrino in corso di restauro da partedell’Ente Regionale della Riserva del lago di

Vico.Sono visibili ancora i pozzi della neve chepermettevano al bisnonno di commercializ-zare ghiaccio per tutta la provincia sino almare. Le castagne ed i marroni hanno costituito,per questi 35 anni, la ricchezza dell’azien-da. Da una vendita iniziale all’ingrosso ecioè ai commercianti della zona dei montiCimini, con raccolta a mano e l’utilizzo di30 unità di mano d’opera nei mesi di otto-bre e novembre, siamo passati ad un pro-dotto certificato biologico “curato” confe-zionato e venduto, attraverso una selezionedi clientela operata da mia moglie Marilenaanche con contatti commerciali intessutitramite Internet, con il marchio di famiglianei mercati del nord Italia ed esportato inGermania ed in Giappone.Tutto ciò è potuto avvenire con la ristruttu-razione di due casali, originariamente adi-biti a stalla per vacche da latte uno e ad

ovile l’altro, per realizzare un magazzinoper la cernita, la calibratura, la “curatura” obagnatura, l’asciugatura ed il confeziona-mento delle castagne.Ogni operazione è realizzata mediante l’u-tilizzo di macchinari all’uopo progettati ecostruiti in zona [foto n. 2].Per poter bagnare le castagne, operazionenecessaria per renderle stabili dal punto divista del contenuto d’acqua e quindi com-mercializzabili, abbiamo dovuto scavare unpozzo profondo circa 360 metri al fine diattraversare tutto lo spessore dei lapilli vul-canici che costituiscono i bordi della calde-ra del Lago di Vico, e che per loro naturanon trattengono l’acqua, per poter raggiun-gere la falda che alimenta il lago stesso edottenere così un’acqua freschissima e batte-riologicamente pura.Inoltre abbiamo commissionato la progetta-zione e la costruzione di tre macchine perla raccolta meccanizzata delle castagne,

27

La storia di una esperienza di gestione familiare

y Qualità dei Lavori y

L'esperienza di un’azienda agricola della Tuscia

>> Luigi martino GIoVannELLI

tema

A family farm in Viterbo area located on

the ancient "Via Francigena"; between

tradition and modernity it is passed

through a series of generational turns

needed to overcome a lot of breaking

points such as organizational, technolo-

gical and environmental issues. The "post

inn" has become a farm and than farm

holiday, thanks to the creativity and will.

> Foto 1

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due trainate da trattori ed una dotata di unmotore turbo alimentato a gasolio e quattroruote motrici, basate sull’aspirazione delprodotto da terra mediante tubi che, attra-verso la depressione creata da dei grossiventilatori, convogliano le castagne all’in-terno del corpo della macchina dove passa-no attraverso tramogge e crivelli con lo sco-po di separare le foglie, i rametti ed i riccidai frutti. [foto n. 3]Le castagne così raccolte vengono insacca-te in sacchi di juta del peso di circa 30 chi-logrammi e successivamente raccolte e por-tate al magazzino di lavorazione su rimor-chi trainati da trattori gommati.Una volta raggiunto il magazzino vengonotolte dai sacchi e gettate in un grosso conte-nitore a tramoggia in conglomerato cemen-tizio armato posto sotto terra. Da quiestratte attraverso un nastro trasportatoreche le convoglia in un crivello rotante adasse longitudinale che lascia cadere la terrae le castagne vuote e quindi non commer-ciabili, per poi convogliarle in una canaleinclinato verso il basso. Mentre scivolanoverso il basso sono investite da una corren-te d’aria che sale e quindi che le separadalle parti leggere, foglie e ricci, e final-mente, attraverso il foro realizzato in una fi-nestra, entrano, per caduta, nel magazzino.[foto n. 4]Qui ad accoglierle trovano 6 donne, davan-ti ad un tavolo dotato di un piano scorrevo-le, che, a vista e quindi a mano, le separa-no dai sassi che le macchine hanno aspira-to da terra insieme alle castagne, dai ra-metti di castagno, e da quelle marce chevengono raccolte a parte e vendute all’in-dustria che, dopo processi di purificazione,le trasforma in farina ad uso zootecnico.Successivamente attraverso dei nastri tra-sportatori vengono immesse in un grossocilindro a 6 sezioni forate che le calibracioè le separa per grandezze diverse equindi con un valore commerciale diverso:•i primi due calibri, rispettivamente di 26 e28 mm, vengono mandate all’industria perfare farine, creme e marmellate, •gli altri 4 calibri, 29, 30 32 e fuori calibro,vengono vendute nei mercati ortofrutticolidel nord Italia e dell’estero.Prima però devono subire la “curatura” invasche di vetroresina ad uso alimentaredella capienza di circa 60 quintali per circaquattro giorni e poi asciugate in un altro

macchinario che automaticamente le muo-ve e le investe d’aria a temperatura naturaleper mezzo di 4 ventilatori. Una volta asciugate le castagne vengono dinuovo scelte, sempre da 6 operaie davantiad un tappeto scorrevole, per togliere tuttoil marcio che si è creato durante la bagna-tura ed asciugatura, spazzolate, all’internodi un'altra macchina a cilindro dotato diuna spazzola rotante, per renderle lucide egradevoli alla vista.L’ultima operazione è quella del confezio-namento. Questa operazione consiste nel-l’inserire il prodotto in sacchetti di rete aduso alimentare, pesarlo, chiudere il sac-chetto con una chiusura metallica con l’u-so di una vite senza fine, e costruire una

pedana, costituita al massimo da 140 sac-chetti, e che può pesare da uno sino a settequintali in funzione dell’ordine di acquistoricevuto.Un discorso a parte merita il sacchetto cheè dotato di una fascia trasversale cucita tra-sversalmente a due terzi dell’altezza, su cuiè stampato, a colori, il logo e la denomina-zione della nostra azienda, è riportato il lo-go dell’Ente di Certificazione Biologica cheeffettua i controlli sul prodotto e ne certificala rispondenza alle norme europee che re-golano la produzione di prodotti agricolibiologici destinati all’alimentazione. Vieneinoltre riportato il peso del sacchetto all’ori-gine, la dichiarazione che il prodotto e su-scettibile di calo di peso, il lotto di produ-

y Qualità nei Lavori yte

ma

28

> Foto 2

> Foto 3

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zione e la data di confezionamento, i datifiscali e di rintracciabilità della nostraazienda e, per finire, le caratteristiche orga-nolettiche e nutrizionali della castagna. [fo-to n. 5]Durante il pomeriggio arriva un camion fri-go che carica i bancali così confezionati eli smista nei vari mercati ortofrutticoli dovele castagne arrivano durante la notte e lamattina sono pronte per la vendita.Questo è tutto il tragitto e le vicissitudiniche subisce una castagna a partire dal mo-mento in cui cade a terra dall’albero, perapertura del riccio, sino all’arrivo sui mer-cati. Per condividere la nostra esperienza acqui-sita nel settore della produzione, lavorazio-ne e commercializzazione delle castagne,nel 2005 poi abbiamo costituito un’asso-ciazione di produttori che, raccogliendo ilprodotto in castagneti dislocati in tre comu-ni dei monti Cimini e di proprietà di undicisoci ha dato vita ad un’attività lavorativa ecommerciale di tutto rispetto.L’organizzazione è stata riconosciuta dalla

Regione Lazio che, incentivando il rispettodi alcuni protocolli di comportamento, hacondotto i produttori ad adottare un miglio-ramento delle tecniche di produzione, diraccolta e commercializzazione.Si è pertanto intensificata e migliorata lapratica della potatura che ha condotto adun rinnovamento legnoso degli alberi ed adun allungamento della vita produttiva. Si èadottata la pratica della doppia raccolta alfine di accorciare i tempi di permanenza aterra del prodotto per migliorane la qualitàed evitare la formazione di muffe che lorendono deperibile.Intorno al 2001 però è arrivata in Italia unasorta di calamità per i castagni che porta ilnome di “cinipide galligeno” [foto n. 6].É un piccolissimo insetto, avvistato per laprima volta a Cuneo ed importato dalla Ci-na, che immette nelle gemme del castagnole proprie uova impedendo che la gemmastessa, nella primavera successiva, dia vitaad una foglia ad un fiore od ad un ramocon una reazione a catena che in dieci an-ni ha ridotto la produzione di castagne inItalia, a seconda delle zone e del grado disviluppo dell’infezione, anche del novantaper cento.Unico antagonista valido contro il cinipideè risultato essere il “torymus sinensis”, altroinsetto che si nutre solo di cinipide e che,allevato ed immesso in grande quantità neicastagneti, ha riportato dopo dieci anni nelcuneese, ove per primo si è manifestato ilfenomeno, la produzione a circa il settanta

per cento del normale. Nella nostra zona,ad oggi, siamo ancora praticamente senzaproduzione. Speriamo di uscire da questacrisi produttiva entro quattro o cinque anni. Con il coinvolgimento di mia figlia Claudia- laureata in Agronomia e, in considerazio-ne della situazione emergenziale intervenu-ta nella produzione delle castagne, abbia-mo pensato di diversificare le attività apren-do nell’azienda una casa per le vacanze.Abbiamo così ripreso la ristrutturazionedel casale, occupato per una parte dalmagazzino delle castagne, e che una vol-ta conteneva le abitazioni del pastore edei due garzoni addetti alla cura dellevacche da latte, ed abbiamo realizzatodue appartamenti al piano primo ed unoal piano terreno, tutti dotati di cucina ebagno, per un totale di undici posti letto.Con l’intervento diretto di mia moglieMarilena abbiamo restaurato e rimesso anuovo tutti i mobili antichi presenti neimagazzini dell’azienda utilizzandoli perarredare gli appartamenti. Gli ospiti saranno allietati dai raccontidelle gesta dei briganti che hanno abitatoi boschi dei Cimini, di quelli sulla viaFrancigena che attraversa l’Azienda e cheè stata percorsa molti anni dopo da unacolonna di carri armati americani che vo-levano attaccare alle spalle l’accampa-mento di tedeschi che alloggiavano in lo-calità “Casalone” presso San Martino alCimino. Altri racconti saranno dedicati al-le storie, al particolare assetto urbanisticoed alla vita nei secoli di San Martino alCimino [foto n. 7] - che dista appenaquattro chilometri - il cui borgo è statoprogettato da Marcantonio De Rossi sucommissione di Papa Innocenzo X ed as-segnato a sua cognata Donna OlimpiaPamphilj attorno all’imponente architettu-ra della abbazia cistercense.

y L'esperienza di un’azienda agricola della Tuscia ytem

a29

LUIGI martINo GIovaNNeLLIingegnere e imprenditore agricolo; Azienda

agricola “Il Marrone” di San Martino

al Cimino (Viterbo)

[email protected]

> Foto 4

> Foto 6

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premessa L’analisi, assai complessa, relativa ai Mo-delli di Organizzazione e Gestione, nonpuò che iniziare dalla lettura della defini-zione che di tali modelli viene data dalD.Lgs. n. 81/2008, che all’art. 2, comma1, lettera dd), testualmente recita: «Mo-dello di organizzazione e di gestione:modello organizzativo e gestionale per ladefinizione e l’attuazione di una politicaaziendale per la salute e sicurezza, aisensi dell'articolo 6, comma 1, lettera a),del decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231, idoneo a prevenire i reati di cui agliarticoli 589 e 590, 3º comma, del codicepenale, commessi con violazione dellenorme antinfortunistiche e sulla tuteladella salute sul lavoro».Contrariamente a quanto sarebbe statoauspicabile, il legislatore ha quindi sceltodi definire il modello di organizzazione egestione, non tanto nei confronti di tuttele attività, tecniche ed organizzative, damettere complessivamente in atto per lasalvaguardia della salute e sicurezza deilavoratori, quanto piuttosto limitandone laportata all’applicazione del D.Lgs. n.231/2001, che disciplina la responsabilitàamministrativa delle persone giuridiche,delle società e delle associazioni anche

prive di personalità giuridica.Tale scelta ha, inevitabilmente, portato gliinterpreti a chiedersi se, ed in tal casoquale differenza esista tra tale modello or-ganizzativo ed il Sistema di Gestione del-la Salute e Sicurezza sul Lavoro (SGSL),sviluppato nelle Linee Guida UNI-INALdel 28 settembre 2001 e quello definitonel British Standard OHSAS 18001:2007,anche perché a questi due Sistemi di Ge-stione, finalizzati ad individuare le re-sponsabilità, le procedure, i processi e lerisorse per realizzare l’intera politicaaziendale di prevenzione, il comma 5 delmedesimo articolo 30, attribuisce, per leparti corrispondenti, una presunzione diconformità ai requisiti richiesti.Sarebbe stato preferibile un maggior lega-me con il dettato dell’articolo 28 del me-desimo decreto che - innovando rispettoal contenuto del D.Lgs. n. 626/1994 - im-pone ora al datore di lavoro, come obbli-go giuridico e per di più indelegabile,«l’individuazione delle procedure perl’attuazione delle misure da realizzare,nonché dei ruoli dell’organizzazioneaziendale che vi debbono provvedere, acui devono essere assegnati unicamentesoggetti in possesso di adeguate compe-tenze e poteri».

In altri termini sarebbe stato opportunoche il legislatore, piuttosto che preoccu-parsi di predisporre per le imprese, unasorta di “ancora di salvataggio”, nei con-fronti dell’art. 9, L. 3.8.2007, n. 123 - cheaveva inserito nell’elenco dei reati pre-supposto del D.Lgs. n. 231/2001, anchel’omicidio colposo e le lesioni colposegravi o gravissime, commessi con viola-zione delle norme antinfortunistiche esulla tutela dell’igiene e della salute sullavoro - avesse enfatizzato il concetto chela “bontà organizzativa”, con l’entrata invigore del D.Lgs. n. 81/2008, sarebbe di-ventata l’architrave portante della pianifi-cazione della moderna sicurezza sul lavo-ro, ed in quanto tale, lo strumento fonda-mentale ed indispensabile per la defini-zione dei compiti, e conseguentementedelle eventuali responsabilità, di tutte lepersone, fisiche e giuridiche, che avesseromal adempiuto a tali compiti. Ma seguen-do la volontà del legislatore - com’è do-veroso per qualsiasi interprete s- quali so-no le caratteristiche che il modello di or-ganizzazione e di gestione deve possede-re per assicurare una idonea efficacia esi-mente nei confronti della responsabilitàamministrativa delle persone giuridiche?Esse sono dettagliatamente indicate nelcomma 1, dell’articolo 30, e dal momen-to che riprendono, sostanzialmente, iprincipali obblighi posti a carico anchedelle persone fisiche che costituiscono lalinea aziendale, non hanno bisogno diparticolari commenti, ad eccezione didue previsioni che si ritengono di fonda-mentale importanza per le argomentazio-ni trattate:•la prima è quella sancita dalla lettera f),che impone di mettere in atto «attività di

30y Salute e Sicurezza del Lavoro y

Modelli organizzativi e art. 30 D.lgs 81/2008

>> oliviero CaSaLE, alberto anDrEanI

tem

a

From "models of organization and management" (D.L. 81/2008): "organizational and ma-

nagement model for the definition and implementation of a corporate policy for health

and safety (Article 6, c. 1, letter. a) D.L. 231/2001), designed to prevent the misdemea-

nors referred to artt.589 and 590, 3rd c., of the Penal Code, committing violation of sa-

fety regulations and of the protection of health at work."

The legislature has chosen a model based on Leg. 231 (liability of legal persons) while

technicians and operators would have preferred a model based on the activities (techni-

cal and organizational) useful for protecting the health and safety of workers and associa-

ted management systems. Final insights about certification and asseveration

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vigilanza con riferimento al rispetto del-le procedure e delle istruzioni di lavoroin sicurezza da parte dei lavoratori»; •la seconda è invece, quella dettata dalla let-tera h), che prevede la necessità di «pe-riodiche verifiche dell’applicazione e del-l’efficacia delle procedure adottate».Se ad una lettura superficiale le due previ-sioni potrebbero sembrare sovrapponibili,ad una analisi più attenta emerge una dif-ferenza sostanziale: mentre la prima im-pone un controllo operativo finalizzato averificare che le procedure impartite dalladirezione aziendale siano messe in attoda parte dei lavoratori, la seconda prescri-ve un obbligo ulteriore e più complesso,vale a dire quello di verificare che le pro-cedure adottate non solo siano seguite,ma anche, che siano idonee a raggiunge-re gli obiettivi di sicurezza prefissati. Èchiaro che questi due compiti devono es-sere svolti da soggetti diversi: se è preci-puo compito del preposto il primo, nonc’è dubbio che al secondo possano prov-vedere unicamente il datore di lavoro ed isuoi dirigenti.Dalla lettura comparata delle due norme,emerge in maniera incontrovertibile, unodei principali assunti delle c.d. “normevolontarie” e cioè che non è sufficienteadottare procedure di prevenzione corret-te, ma occorre anche verificarne, median-te un’appropriata programmazione, lacorretta applicazione e la validità dellaloro efficacia nel tempo. Questo è il signi-ficato profondo e fondamentale che va at-tribuito all’indicazione del legislatorequando prevede (per attribuirgli un’effica-cia esimente nei confronti della responsa-bilità amministrativa delle persone giuridi-

che, delle società e delle associazioni an-che prive di personalità giuridica), che ilmodello di organizzazione e di gestione,sia non semplicemente «adottato», maanche «efficacemente attuato».Spostando l’attenzione, ora, al secondocomma dell’art. 30, emerge la necessitàche tutte le attività obbligatorie a normadel comma 1, siano idoneamente registra-te. Il comma 2, forse per la brevità dell’ar-ticolato, o forse per la logicità del suocontenuto, rischia di far sottovalutare ilgrande impatto che, al contrario, essoproduce nell’applicazione concreta. Tuttele aziende, anche di piccolissime dimen-sioni, che volessero adottare un modellodi organizzazione e di gestione conformeal dettato dell’art. 30, dovrebbero fare ri-corso ad una documentazione molto piùcorposa ed onerosa - anche qualora si av-valessero delle procedure semplificatepreviste dal decreto del Ministero del La-voro e delle Politiche Sociali del 13 feb-braio 2014, che ha definito le proceduresemplificate per l’adozione e la efficaceattuazione dei modelli di organizzazionee gestione della sicurezza nelle piccole emedie imprese- rispetto a quella loro im-posta dalle norme cogenti. Altro puntofondamentale è quello previsto dal com-ma 3, che impone l’obbligo di «un siste-ma disciplinare idoneo a sanzionare ilmancato rispetto delle misure indicatenel modello». Tale sistema disciplinareche si pone, necessariamente, a valle del-le attività di vigilanza e di verifica, previ-ste dalle lettere f) ed h), di cui si è già par-lato, necessita, per essere efficace, di dueulteriori condizioni:•la prima esplicitamente espressa all’inter-

no della norma, vale a dire che esista«un’articolazione di funzioni che assicu-ri le competenze tecniche e i poteri ne-cessari per la verifica, valutazione, ge-stione e controllo del rischio»;•la seconda, interpretativa, ma conse-quenziale e fondamentale, che le sanzio-ni non siano previste unicamente nei con-fronti dei soggetti interni all’azienda, mariguardino anche tutte quelle parti terzeche hanno un contratto con l’azienda (for-nitori, appaltatori, consulenti, ecc.), e checon i propri comportamenti, potrebberoincidere sull’efficacia del modello orga-nizzativo adottato.È necessario quindi istituire procedureche non solo prevedano sanzioni discipli-nari, coerenti con i relativi contratti di la-voro, a carico dei dipendenti, ma ancheclausole che incidano sui rapporti con-trattuali, arrivando, nei casi più gravi, allaprevisione della loro stessa risoluzione. Ilsistema disciplinare va peraltro esteso an-che alle figure apicali dell’azienda e aglistessi amministratori, per i quali occorre-ranno sanzioni di tipo diverso, per cosìdire più articolate e complesse, ma co-munque coerenti e proporzionate alleviolazioni commesse. Il comma 4 ripren-de ed amplia la portata dell’obbligo disorveglianza, prevedendo nel suo primoperiodo, la necessità di «un idoneo siste-ma di controllo sull’attuazione del mede-simo modello e sul mantenimento neltempo delle condizioni di idoneità dellemisure adottate», ed imponendo, nel se-condo, alla direzione aziendale «il riesa-me e l’eventuale modifica del modello or-ganizzativo»:a. quando siano scoperte violazioni signi-

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ficative delle norme di sicurezza; b. in occasione di modifiche nell’organiz-zazione e nell’attività aziendale;

c. in relazione al progresso scientifico etecnologico.

Va sottolineata, a questo proposito, la mo-difica apportata all’articolo 16, comma 3,secondo periodo D. Lgs. n. 81/2008, daparte del decreto correttivo del 2009 che,cassata la vecchia dicitura, ora testual-mente recita: «l’obbligo di cui al primoperiodo si intende assolto in caso di ado-zione ed efficace attuazione del modellodi verifica e controllo di cui all’articolo30, comma 4». Tralasciando le perplessitàinterpretative, che pure esistono, legateall’utilizzo del termine “modello”, riferitosolo al comma 4, e non piuttosto, comesarebbe stato opportuno, all’intero artico-lo 30, va evidenziato come, con tale mo-difica, il decreto correttivo abbia, di fatto,ampliata la valenza del modello organiz-zativo, conferendogli anche una presun-zione giuridica semplice di corretta ese-cuzione dell’obbligo di vigilanza, posto incapo al datore di lavoro nei confronti deipropri delegati.L’articolo 30, comma 5, D.Lgs. 9.04.08,n. 81, prevede poi che le aziende che ab-biano implementato il proprio modello diorganizzazione in modo conforme alle Li-nee Guida UNI-INAIL del 28 settembre2001 o al British Standards OHSAS18001:2007 godano, «in sede di primaapplicazione», di una presunzione sem-plice di conformità rispetto ai requisitiprevisti nel medesimo articolo 30, ma so-lo «per le parti corrispondenti», riservan-do, infine, alla Commissione consultivapermanente per la salute e sicurezza sullavoro, la possibilità di indicare, per gli«stessi fini», ulteriori modelli. L’analisi diquesto comma, ricco di indicazioni parti-colarmente importanti, non può che ini-ziare dal quesito relativo alla concreta va-lenza che processualmente può assumerela citata presunzione di conformità, attri-buita ai modelli di organizzazione azien-dale definiti conformemente alle LineeGuida UNI-INAIL:2001 e BS OHSAS18001:2007.Se per presunzione si intende la conse-guenza che si trae da un “fatto noto” perrisalire ad un “fatto ignoto”, nel caso dispecie possiamo dire che il giudice, una

volta appurato che l’azienda abbia con-cretamente adottato un proprio modelloorganizzativo, conforme ad uno dei duesistemi indicati dalla legge, deve presu-mere che tale modello sia conforme ai re-quisiti stabiliti nell’art. 30, D.Lgs. n.81/2008 e pertanto, anche in caso di im-putazione nei confronti di una persona fi-sica (in rapporto di correlazione con l’en-te), che abbia commesso uno o più deireati “presupposto”, non dovrà procederenei confronti di quest’ultimo. Ma, come ènoto, esistono due tipologie di presunzio-ni, quelle “semplici” e quelle “legali”: leprime sono lasciate al libero apprezza-mento del giudice, le seconde invece so-no quelle il cui valore probatorio è rico-nosciuto dalla legge, senza che il giudicele possa valutare liberamente. L’articolo30, comma 5, D.Lgs. n. 81/2008 offre, achi abbia adottato ed efficacemente attua-to, un modello di organizzazione azien-dale definito sulla base delle Linee GuidaUNI-INAIL:2001 o delle BS OHSAS18001:2007 unicamente una presunzione“semplice” di conformità ai requisiti pre-visti dal medesimo articolo 30 e, come siè già sottolineato, la offre solo per le «par-ti corrispondenti» che, di conseguenza,diventa fondamentale individuare. In talsenso è estremamente importante il con-tributo fornito dal documento approvatoin data 20 aprile 2011 dalla Commissioneconsultiva permanente per la salute e si-curezza sul lavoro, diramato dal Ministerodel Lavoro e delle Politiche Sociali, in data11.07.2011, con nota n.15/VI/ 0015816/MA001.A001. Obiettivo, dichiarato, deldocumento è quello di fornire alle azien-de, indicazioni per poter accertare la con-formità del proprio modello ai requisitiprevisti dall’art. 30, D.Lgs. n. 81/2008,per le parti corrispondenti e per permette-re eventuali integrazioni necessarie, conparticolare riferimento al sistema di con-trollo e al sistema disciplinare. Dalla ta-bella di correlazione, che fa parte inte-grante del documento prodotto dallaCommissione consultiva permanente,emerge che l’unica parte non corrispon-dente tra i requisiti previsti dall’art. 30,D.Lgs. n. 81/2008, le Linee Guida UNI-INAIL: 2001 e le BS OHSAS 18001:2007,è l’adozione di un sistema disciplinareidoneo a sanzionare il mancato rispetto

delle misure indicate nel modello, nelsenso che tale requisito, richiesto comeessenziale dall’art. 30, D.Lgs. n. 81/2008,non è previsto né nelle Linee Guida UNI-INAIL: 2001, né nelle BS OHSAS18001:2007. Da tali indicazioni conseguequindi (per le aziende che volessero go-dere della presunzione di conformità delproprio modello organizzativo rispetto al-le indicazioni dell’art. 30, comma 1,D.Lgs. n. 81/2008), l’obbligo di corredar-lo, in aggiunta alle previsioni delle LineeGuida UNI-INAIL e/o dello Standard OH-SAS, anche di procedure finalizzate a san-zionarne il mancato rispetto. Va sottolineato, peraltro, che l’analisicompiuta dalla Commissione Consultivapermanente, si è limitata, come è statoespressamente esplicitato nel documentocitato, alla correlazione tra l’art. 30,D.Lgs. n. 81/2008, le Linee Guida UNI-INAIL: 2001 e le BS OHSAS 18001:2007.Tale precisazione, nell’interpretazionedella norma, assume un rilievo fonda-mentale, perché c’è da chiedersi se lacomparazione effettuata dalla Commissio-ne consultiva permanente in merito alleparti corrispondenti, utile, meritoria econdivisibile, sia però anche da ritenersiesaustiva. In altri termini occorre interro-garsi sulla necessità, o meno, di estenderela comparazione (per verificarne tutte leparti corrispondenti), anche nei confrontidei requisiti dettati dal D.Lgs. n. 231/2001. Se così fosse, per poter godere del-la presunzione di bontà organizzativa, oc-correrebbe aggiungere alla previsione disanzioni per gli inadempienti, anche altridue, ulteriori, requisiti: 1. la redazione di un codice etico, che purse in buona parte sovrapponibile e cor-relabile alla politica del sistema di ge-stione, non va assolutamente sottovalu-tato per l’impegno che si assumono -con la sua sottoscrizione - tutte le partiinteressate;

2. l’affidamento - da parte dell’ente - delcompito di vigilare sul funzionamento,sull’osservanza e sull’aggiornamentodel modello, ad un organismo dotato diautonomi poteri di iniziativa e di con-trollo.

Ciò perché, sempre a parere di chi scrive,non è applicabile, nella fattispecie analiz-zata, il ricorso al principio della specialità,

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in quanto la lettura comparata della defi-nizione del modello di organizzazione edi gestione data dall’art. 2, comma 1, lett.dd, D.Lgs. n. 81/2008 (che ne le limita lefinalità, all’applicazione del D.Lgs. n.231/2001) e delle indicazioni contenutenel comma 5, dell’art. 30 del medesimodecreto legislativo (che ne limita la validitàalle sole «parti corrispondenti»), non auto-rizza a considerare la materia trattata inmaniera esaustiva e alternativa rispetto aldettato della norma generale. È importanterilevare infine, sempre nell’ambito della«efficacia esimente», che il legislatore hainteso attribuire la stessa valenza sia ai si-stemi certificati da enti terzi (secondo leregole della certificazione internazionale),che a quelli asseverati dagli Organismi pa-ritetici (a norma dell’articolo 51, comma3-bis), che a quelli auto dichiarati dallastessa azienda e quindi il giudice, nel veri-ficarne l’adozione ed efficace attuazione,dovrà conferire, inizialmente, a ciascunodi essi il medesimo valore.Ovviamente nessun problema interpretati-vo si porrebbe qualora non fosse statoadottato alcun modello organizzativo: lasua carenza sarebbe immediatamente, fa-cilmente e documentalmente rilevabilenegli atti di causa. In caso di adozione,invece, il giudice dovrà accertarne anchel’efficace attuazione e per fare ciò, esclu-dendo verosimilmente che abbia tutte lecompetenze per farlo personalmente, po-trà fondare il suo convincimento sulla ba-se del parere di soggetti capaci di “verifi-care” un sistema di organizzazione e digestione, i quali dovrebbero far capire al

giudice se il modello organizzativo ri-sponda a tutti i requisiti richiesti e sia, ol-tre che adottato, anche efficacemente at-tuato.In caso di adozione di un modello di or-ganizzazione e di gestione, quindi, il giu-dice sarà chiamato ad un lavoro interpre-tativo molto più complesso che dovrà pre-liminarmente rifuggire da un errato teore-ma, ossia che, se l’infortunio è avvenuto ola malattia professionale è stata contratta,evidentemente il sistema di gestione “nonera idoneo”. Se tale conclusione fossecorretta, di nuovo, il problema non si por-rebbe perché basterebbe l’evidenza di uninfortunio o di una malattia correlata allavoro, con conseguenze gravi o mortali,imputabile ad una persona fisica in corre-lazione con l’ente, per negare l’efficaceattuazione di qualsiasi modello organiz-zativo e, di conseguenza, per portare allaautomatica imputazione dell’ente. Maevidentemente tale tesi non può trovareaccoglimento, anche perché se, parados-salmente, ad un sistema efficacemente at-tuato si potesse attribuire tale forza, sareb-be necessario dedurne che, per la sua ca-pacità di azzerare qualunque infortunio,la sua attuazione costituirebbe un obbligogiuridico per qualsiasi datore di lavoro eper qualsiasi azienda, pubblica o privata. Ma il sistema di organizzazione e di ge-stione per la salute e la sicurezza sul lavo-ro, non è una sorta di bacchetta magicacapace di ottenere simili risultati, è, moltopiù semplicemente, uno strumento ope-rativo finalizzato a gestire i rischi diun’impresa, attraverso idonee procedure,

che dopo essere state stabilite, devonoanche essere attuate e mantenute attivemediante controlli adeguati e programma-ti. È proprio questa la grande differenzatra la norma cogente (il cui rispetto ne co-stituisce un imprescindibile pre-requisito)ed un modello di organizzazione e di ge-stione: quest’ultimo non si limita ad indi-care obiettivi da raggiungere, ma imponeanche la costante verifica di se stesso, fi-nalizzata a tenerne sotto controllo l’ido-neità nel corso del tempo.Ecco allora che il giudice, che non avreb-be troppe difficoltà nel ritenere non ido-neo un sistema organizzativo palesemen-te privo di verifiche, si potrebbe trovare,al contrario, necessitato a fare ricorso allacompetenza di altri soggetti per valutarequella “efficace attuazione” che, nelle di-namiche processuali, potrebbe ben esseresostenuta da alcune delle parti e, vicever-sa, negata da altre. Qualora dalle provetestimoniali e documentali ammesse ingiudizio non risultasse con chiarezza algiudice tale imprescindibile requisito, egliben potrebbe fare ricorso, a norma degliartt. 220 e segg. c.p.p., alla competenzadi un perito per svolgere indagini o acqui-sire valutazioni in merito. A tale propositopare opportuna porsi una nuova doman-da, sempre legata al fatto che la norma haattribuito la medesima valenza sia ai siste-mi auto-dichiarati direttamente dalleaziende, che a quelli certificati da enti ter-zi che, infine, a quelli asseverati dagli Or-ganismi paritetici: quali criticità potrannopresentarsi e quali conseguenze potrannoderivare dal fatto che il modello dopoaver passato con successo l’esame del-l’Ente di certificazione o dell’Organismoparitetico asseveratore, venga poi giudica-to inidoneo dal magistrato?Per terminare l’analisi del comma 5,dell’art. 30, D.Lgs. n. 81/2008, ed entran-do nel merito del significato da attribuireall’allocuzione «in sede di prima applica-zione», si ritiene che la sua lettura, com-parata con la previsione di «ulteriori mo-delli» da indicarsi ad opera della Com-missione consultiva permanente, non pos-sa che portare alla conclusione che i mo-delli attualmente indicati rimangano vali-di fino a nuova e diversa indicazione del-la Commissione stessa. Finalità correlata ecoerente con quella precedente, ma certa-

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mente non identica, è quella inserita dalcomma 5-bis, ad opera del decreto corret-tivo del 2009, che invece affida, semprealla Commissione consultiva permanente,l’incarico di elaborare, all’interno dei mo-delli indicati, «procedure semplificate»per le piccole e medie imprese. La previ-sione, assolutamente condivisibile, ha tro-vato attuazione con l’emanazione del de-creto del Ministero del Lavoro e delle Po-litiche Sociali 13 febbraio 2014 che ha re-cepito le indicazioni della Commissioneconsultiva permanente. Condivisibile, purconsiderandone auspicabile l’estensioneanche a quelle più grandi, la previsionedell’ultimo comma dell’articolo 30, cheinserisce l’adozione dei modelli di orga-nizzazione e di gestione della sicurezza«nelle imprese fino a 50 lavoratori», tra leattività promozionali finanziabili ai sensidell’articolo 11, del medesimo decreto.Volutamente alla fine di questa prima sin-tetica analisi dei contenuti dell’artico 30,del D.Lgs. n. 81/2008, si è lasciato il que-sito circa la valenza da attribuire al termi-ne «deve», utilizzato nel primo comma eriferito all’adozione del modello di orga-nizzazione e gestione: in altri termini, oc-corre chiedersi se l’adozione di tale mo-dello costituisca per l’impresa un obbligoo, viceversa, una semplice facoltà. Si ritie-ne che la risposta non possa che essere laseguente: l’implementazione del sistemaorganizzativo non può considerarsi unobbligo giuridico e pertanto l’azienda cheavesse deciso di non dotarsene non sareb-be assolutamente sanzionabile, ma talescelta, inevitabilmente, renderebbe diffici-lissimo, se non addirittura impossibile, di-mostrare quella bontà organizzativa cheviene richiesta come requisito indispensa-bile per andare esente dalla responsabilitàamministrativa delle persone giuridiche.

i sistemi di gestione per la salute e sicurezza sul lavoro Le «aziende», così come definite nell’art.2, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 81/2008, ole «organizzazioni», come definite nellostandard BS OHSAS 18001:2007, nonoperano nel vuoto e devono tener conto,per la propria crescita e a volte per lastessa propria sopravvivenza, di una seriesempre più numerosa di fattori non diret-

tamente collegati con le problematicheinterne e neppure sempre riconducibili aquelle classiche della produzione: autori-tà, fornitori, committenti e appaltatori, so-lo per citare i principali, influenzano sem-pre più spesso ed in modo sempre piùmassivo, le loro performance. Questaconsiderazione ha da sempre indotto leaziende a preoccuparsi del risultato delleproprie attività, sia che queste fossero fi-nalizzate a produrre beni oppure ad ero-gare servizi, soprattutto nell’ottica dellasoddisfazione del cliente. In ultima analisisi può dire che alla “soddisfazione delcliente”, era finalizzata anche la normadel codice Hammurabi che condannava amorte l’architetto che avesse progettatomale la casa che, crollando, avesse uccisoi suoi abitanti. Alla stessa finalità tendeva-no le regole che stavano alla base delleCorporazioni per perpetrare le modalitàdi lavoro del “maestro” e tutte quelle chesi sono poi succedute nel tempo per rag-giungere un buon risultato finale. Ma, co-me si vede, in tutti questi casi l’attenzioneera rivolta al prodotto finito e non al pro-cesso necessario per realizzarlo.La svolta si ebbe alla fine della secondaguerra mondiale, grazie al Giappone che,per riprendersi dalla grave crisi economi-ca nella quale era sprofondato a causadella sconfitta bellica, introdusse nellaproduzione industriale gli insegnamenti diWilliam Edwards Deming, che durante ilconflitto aveva supportato la produzionemilitare nella sua patria: gli Stati Unitid’America. Secondo questi insegnamentinon bastava più il rispetto di chiare speci-fiche tecniche, occorreva dettare anche,altrettanto chiare, specifiche organizzati-ve. Cambia, quindi, l’approccio e si passadalla semplice rimozione dei prodotti nonconformi (i cui costi di produzione eranopari a quelli conformi, ma a cui bisogna-va, quanto meno, aggiungere quelli legatialla loro distruzione, se non a volte addi-rittura quelli legati alla perdita della fidu-cia del cliente), alla progettazione ed ap-plicazione di un sistema capace di ridurrela possibilità di generare errori in ogni fa-se del ciclo produttivo. Questo approccio,noto graficamente come ruota o ciclo dideming, consiste nella sequenza logica ecoerente di tutte le fasi che servono a te-nere sotto controllo i processi necessari

per la progettazione, pianificazione, at-tuazione, verifica e riesame delle attivitàda mettere in atto. Occorre attendere glianni ottanta per vedere applicati, anchenell’industria occidentale, tali principi,per capire che la qualità poteva rappre-sentare un’importante opportunità di busi-ness e per vedere, finalmente, adottatedall’ISO, un insieme coerente di normeche porterà successivamente alla pubbli-cazione della serie ISO 9000, all’internodelle quali la più nota è indubbiamente laISO 9001: l’unica della famiglia ISO 9000per cui una azienda può essere certificata.La norma ISO 9001, dal titolo “Sistemi digestione per la qualità - Requisiti” è stataemessa nel 1987, revisionata una primavolta nel 1994, una seconda nel 2000, edè giunta all’attuale, ultima, revisione, nel2008 (ISO 9001:2008). Recepita nellostesso anno dall’UNI (UNI EN ISO9001:2008), la norma definisce i requisitidi carattere generale di un sistema di ge-stione per la qualità che possono essereimplementati da ogni tipologia di organiz-zazione. Ma nel corso degli anni si è an-data sviluppando, a livello internazionalee non solo da parte delle imprese ma an-che dell’opinione pubblica e delle autori-tà, una sempre maggiore attenzione neiconfronti di due beni sui quali la produ-zione poteva influire: l’ambiente e la salu-te dei lavoratori. Per quanto riguarda la salvaguardia del-l’ambiente, a seguito della ConferenzaMondiale di Rio de Janeiro del 1992, nel-la quale è approvato il documento deno-minato “Agenda XXI”, con il quale si for-niscono indicazioni per lo sviluppo soste-nibile nel ventunesimo secolo, vengonoemanati a livello internazionale, sia euro-peo che mondiale, numerose direttive eregolamenti ambientali che trasformanola vecchia politica ambientale. Le impresenon sono più, necessariamente, solo de-stinatarie di obblighi e soggette a controllicui conseguono eventuali sanzioni, mapossono diventare soggetti attivi, che rico-noscono all’ambiente un valore fonda-mentale, alla cui tutela contribuisconocon proprie procedure volontarie, dando-ne riscontro documentale a tutte le partiinteressate. Fondamentale importanza, intale ambito, assumono il RegolamentoEMAS del 29 giugno 1993, a livello euro-

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peo, e la norma ISO 14001 del 1996 (re-visionata successivamente nel 2004), a li-vello mondiale. Nascono quindi modelliorganizzativi (attraverso i quali le impresepossono contribuire, volontariamente, acontenere il proprio impatto ambientale),ideati per integrarsi perfettamente con leprocedure aziendali finalizzate a raggiun-gere la soddisfazione del cliente. Analogosviluppo si riscontra nell’ambito della sa-lute e sicurezza sul lavoro, e a fronte delproliferare delle nuove direttive europee,cosiddette sociali, finalizzate a rendere“sistemica” l’organizzazione della salva-guardia della salute e sicurezza dei lavo-ratori, nasce l’esigenza, per le aziende, didotarsi di strumenti capaci di raggiungeretale obiettivo.Una prima importante risposta a tale esi-genza viene fornita dal British StandardsInstitute nel 1996, con l’emanazione delleLinee Guida BS 8800, che indubbiamentepossono essere considerate tra le caposti-piti dei documenti in materia di approc-cio gestionale, nell’ambito della salute esicurezza sul lavoro. Purtroppo però taliLinee Guida non seguivano completa-mente lo schema utilizzato dagli standardillustrati in precedenza e relativi alla“soddisfazione del cliente e dell’ambien-te” e pertanto non raggiunsero i risultatidesiderati. Per risolvere il problema, sem-pre il British Standards Institute, ma que-sta volta di concerto con i principali entiinternazionali di normazione, ha pubbli-cato nel 1999 la norma OHSAS (Occupa-tional Health and Safety Assessment Se-ries) 18001, cui sono seguite le LineeGuida OHSAS 18002, che fornisconosuggerimenti per la sua implementazione.La norma, revisionata nel 2008, pur nonessendo stata ancora riconosciuta dall’I-SO come norma ufficiale, è certificabileda Ente terzo ed è strutturata secondo ilciclo del Plan-Do-Check-Act e quindicompletamente compatibile con le altrenorme di qualità. Tralasciando, in questasede, il rinvio a tutta una serie di ulteriorimodelli finalizzati a gestire l’organizza-zione della sicurezza sul lavoro, che puresistono in altri paesi, è necessario invecesoffermarsi sul documento italiano redattoda UNI e INAIL, con il supporto di ungruppo di lavoro di cui hanno fatto parterappresentanti dell’ISPESL e di tutte le

principali sigle sindacali e datoriali, ema-nato nel 2001e titolato “Linee guida perun sistema di gestione della salute e sicu-rezza sul lavoro - (SGSL)”.Tale documento che non vuole e non puòessere considerato una norma o una spe-cifica tecnica utilizzabile a scopo di certi-ficazione di parte terza, enfatizza, nellasua stessa premessa, il principio della“volontarietà” del SGSL, quale strumentoper superare le difficoltà legate alle diffe-renti dimensioni e caratteristiche azienda-li e per ribadire la netta differenza cheesiste tra il controllo interno sul sistema el’attività di vigilanza effettuata, da partedelle Autorità competenti, sulle norme co-genti. Ciò non impedisce, peraltro, di tro-vare affermato anche nella premessa deldocumento UNI-INAIL, ed in assoluta sin-tonia con la definizione data dallo stan-dard BS OHSAS 18001: 2007, che «la ge-stione della salute e della sicurezza sul la-voro costituisce parte integrante della ge-stione generale dell’azienda». Si afferma,in sostanza, che la “bontà organizzativa”non può che essere costituita da una vi-sione d’insieme di tutte le attività azien-dali e che non è concettualmente possibi-le separare queste ultime in base alle lorofinalità, perché inevitabilmente esse si in-trecciano e si influenzano reciprocamen-te. La considerazione, teoricamente bana-le e superflua, trova però la sua originenella visione della realtà, dove troppospesso si riscontra, piuttosto che la volon-tà, da parte delle aziende, di implementa-re un insieme di procedure sostanziali,capaci di incidere positivamente nellapropria organizzazione, la ricerca di unasorta di mero “bollino” da esibire all’e-sterno, nella speranza, peraltro quasi sem-pre vana, che questo sia sufficiente a sod-disfare le richieste delle autorità e dei pro-pri “stakeholder”. Sono quindi assoluta-mente da stigmatizzare quelle scelte chetendono a forzare la realtà, costruendo unsistema, formalmente ineccepibile, ma as-solutamente incapace di influenzare icomportamenti umani, che non dimenti-chiamolo (soffermandoci ora, com’è do-veroso, su «quella parte del sistema com-plessivo» che riguarda la salute e la sicu-rezza sul lavoro), incidono percentual-mente in maniera assolutamente preva-lente, rispetto alle cause impiantistiche e

strutturali, nella genesi degli infortuni.A maggior ragione sembrano criticabili taliscelte, ad un’attenta lettura dei due mo-delli di gestione cui rimanda l’art. 30,comma 5, D.Lgs. n. 81/2008, per attribuireloro quella presunzione di conformità ri-spetto ai requisiti indicati nel comma 1,del medesimo articolo. Infatti entrambi idocumenti, sia lo standard OHSAS18001del British Standards Institute, che leLinee Guida dell’UNI-INAIL, si articolanosecondo uno schema logico ed operativoche non lascia dubbi sulla necessità di co-struire un “sistema reale” e che pertanto,in quanto tale, non può prescindere dallaspecifiche peculiarità di ogni singola orga-nizzazione che lo voglia adottare. La co-struzione di questo sistema, non può chenascere dalla volontà del vertice aziendaleche dovrà definire ed autorizzare, metten-done a disposizione tutte le risorse umaneed economiche necessarie, una politicadocumentata, attuata e mantenuta attivache, dopo essersi impegnata almeno al ri-spetto di tutte le norme cogenti, contengaanche un impegno al miglioramento neltempo, dei livelli di sicurezza. Tale politicadovrà essere conosciuta da tutti i soggettiche compongono l’azienda, dalle altreparti interessate (come ad esempio clienti,fornitori e visitatori), ed essere periodica-mente verificata per assicurarsi che conti-nui a rimanere appropriata.A valle della politica, deve essere effettua-ta la pianificazione delle attività da intra-prendere, a cominciare, ovviamente, dal-la identificazione dei pericoli, dalla con-seguente valutazione dei rischi che nepossano derivare e dalla definizione deisistemi di controllo. Ma dovranno esserepianificati anche concreti obiettivi da rea-lizzare, coerenti con la politica aziendaleemanata che, di conseguenza, dovrannoessere non solo raggiungibili, ma anchemisurabili. Affinché tale pianificazionenon rimanga una mera elencazione di in-tenti, occorre poi procedere alla concretaattuazione del sistema, che prende il viacon l’assegnazione, documentata e comu-nicata a tutte le funzioni interessate, dellerisorse, dei ruoli, delle autorità e delle dis-ponibilità, anche finanziarie, necessarieper il suo corretto funzionamento e conl’individuazione di un membro della «altadirezione», che se ne faccia garante. È as-

y Modelli organizzativi e art. 30 D.lgs 81/2008 ytem

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ve ogni qualvolta emerga una non confor-mità giuridica o di sistema. Questa parte del sistema viene sviluppatasoprattutto nella fase ascendente del ciclodi Deming, che è completamente dedica-ta, appunto, alla sua verifica attraverso lamisura e il monitoraggio delle prestazioni,la valutazione delle conformità, l’analisi,la gestione e l’eliminazione delle even-tuali “non conformità”. A tal fine l’Orga-nizzazione che si sia dotata di un SGSL,dovrà pertanto, nell’arco di un periodotemporale predefinito (normalmente unanno, ma anche meno se necessario),programmare una serie di audit interni fi-nalizzati a tenere sotto controllo tutti i re-quisiti sottoscritti.Finalità degli audit, che devono essere ef-fettuati da soggetti competenti, obiettivied indipendenti dalle singole funzioni au-ditate, è peraltro non solo quella di verifi-care che il “sistema”, con le sue procedu-re, le sue istruzioni operative e la sua do-cumentazione sia conforme alle decisionipianificate e sia correttamente attuato emantenuto, ma anche che esso sia effica-ce per soddisfare gli impegni che l’Orga-nizzazione ha assunto nella sua politicaed esplicitati nei suoi obiettivi. A questoproposito assume un rilievo del tutto par-ticolare l’obbligatoria analisi degli inci-denti che, in forma documentata, deve ri-guardare tutti quegli eventi che (indipen-dentemente dalla gravità) hanno provoca-to o avrebbero potuto provocare una ma-lattia o una lesione.Purtroppo tale analisi, pur se fondamenta-

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solutamente conseguente, quindi, chel’Organizzazione assicuri la formazione,consapevolezza e competenza di qualun-que persona che esegua compiti che pos-sano impattare sulla salute e la sicurezza,identificandone prima le necessità e prov-vedendone, successivamente, alla relativaattuazione, anche mediante la comunica-zione, partecipazione e consultazione trai vari livelli dell’organizzazione ed i suoicontrattori e visitatori ed enfatizzando, inquesto ambito, soprattutto il ruolo dei la-voratori e dei loro rappresentanti.Un ruolo fondamentale, anche se contro-verso, assume, in questa fase, la documen-tazione del sistema, spesso additata, comesi è già sottolineato, per la sua ponderosi-tà, come il requisito peggio conciliabilecon le esigenze delle piccole organizza-zioni. A fronte di un’indubbia sussistenzadel problema, si ritiene che la sua correttasoluzione costituisca, per le imprese, la“cartina al tornasole” con la quale misura-re la propria bontà organizzativa: l’aspettodocumentale, pur importantissimo ed irri-nunciabile, non deve diventare una sortadi corazza che ingessi e limiti le procedu-re di sicurezza, ma al contrario, deve favo-rirne la loro attuazione. «È importante chela documentazione aziendale sia propor-zionale al suo livello di complessità e dirischio e che sia mantenuta al livello mini-mo, per garantirne efficacia ed efficienza»:questa è la traduzione letterale, pur se, co-me si è già sottolineato, non ufficiale, del-la nota scritta in calce al punto 4.4.4 delleBS 18001: 2007. «La documentazione dovrebbe essere te-nuta ed aggiornata al livello necessario ri-chiesto per mantenere il sistema efficienteed efficace, in modo che la documenta-zione sia funzionale al sistema e non locondizioni … la documentazione azien-dale risponde alle esigenze di conoscen-za per sviluppare e mantenere un sistemadi gestione efficiente, in modo semplice esnello»: questa è invece la risposta italia-na data, all’interno del punto e.6-docu-mentazione, dalle Linee Guida UNI-INAL:2001.Ma, come si vede, è lo stesso criterio cheil legislatore ha sentito l’esigenza di im-porre al datore di lavoro, con il decretocorrettivo n. 106 del 2009, anche per laredazione del documento di valutazione

dei rischi. Si potrebbe arrivare a sostene-re, con un paradosso, che la bontà delladocumentazione è inversamente propor-zionale al suo peso, e si deve sicuramenteconcludere affermando che una docu-mentazione incomprensibile a causa dellasua complessità è, se non addirittura con-troproducente, quanto meno inutile. Altri punti focali sono, per l’implementa-zione del sistema di gestione, il controllooperativo, vale a dire quel controllo asso-ciato ai pericoli, per i quali l’effettuazionedi verifiche è condizione indispensabileper gestirne i relativi rischi e la prepara-zione e risposta alle emergenze che, par-tendo dal presupposto, ineludibile, chepur in presenza di una buona organizza-zione proattiva, si possano presentare, intalune situazioni, esigenze di rispostereattive, prevede la necessità di pianifica-re e di testare periodicamente tali rispo-ste. Pare utile sottolineare, a questo pro-posito, quanto sia opportuna la previsionedella necessità di proceduralizzare, nel si-stema di gestione, anche quelle misurereattive che non hanno più il fine di impe-dire l’evento indesiderato, ormai accadu-to, ma di eliminarne o comunque mitigar-ne le conseguenze.Tale previsione, per riprendere brevementequanto già espresso in precedenza, smenti-sce chi sostiene che l’accadimento indesi-derato (ad esempio l’infortunio), di per sédimostri automaticamente l’inefficacia delsistema di gestione adottato ed avvalora, alcontrario, il pensiero di chi ritiene che la«bontà organizzativa» basi la propria vali-dità anche, o addirittura proprio, sull’obbli-go di mettere in atto idonee azioni corretti-

y Salute e Sicurezza del Lavoro yte

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le per la sua funzione rilevatrice di nonconformità da eliminare, è frenata nel suosviluppo dalla paura di fare emergere, in-sieme al dato oggettivo, anche il nomedel suo autore che cerca, troppo spesso,di nascondersi.L’imbarazzo, culturalmente ed umana-mente capibile, dovrà essere superato dal-la consapevolezza che la finalità non è lapunizione del colpevole, ma l’eliminazio-ne di criticità che hanno già dimostrato diessere potenzialmente lesive. Tutte le atti-vità messe in atto nella fase del “Check”confluiscono, infine, nel riesame della di-rezione che rappresenta, nella “ruota diDeming”, l’anello di congiunzione tra lafase finale di un ciclo e la fase iniziale diquello successivo. Si tratta in sostanza diun momento in cui l’alta direzione, rice-vuti i dati derivanti dalla verifica del siste-ma, li analizza e li elabora per valutare leazioni da intraprendere al fine di perse-guire quel miglioramento continuo che,come abbiamo visto, è un requisito obbli-gatorio che ogni organizzazione deve sot-toscrivere nella propria politica. Le deci-sioni, in uscita dal riesame, dovranno es-sere coerenti con i dati in entrata e po-tranno prevedere modifiche a tutti queglielementi del sistema che non si siano di-mostrati idonei a raggiungere gli obiettiviindicati nella politica. La pur breve analisi fino a qui sviluppatarelativamente alla struttura dei Sistemi diGestione per la sicurezza sul lavoro, con-ferma, a parere di chi scrive, quanto già af-fermato nel paragrafo precedente e cioèche pur se è vero che la loro implementa-zione non costituisce un obbligo giuridicoper le imprese, ben difficilmente quelleche ne siano prive, potranno dimostrare lapropria “bontà organizzativa” in altri modi.

Certificazione ed asseverazioneIl decreto correttivo del 2009 ha inseritonell’art. 51, D.Lgs. n. 81/2008, a sorpresae senza l’accordo con le Regioni (cheavevano espresso parere negativo in am-bito di Conferenza Stato/Regioni), tre ulte-riori commi: il 3-bis, il 3-ter e l’8-bis.Tralasciando il contenuto dell’ultimocomma aggiunto, in quanto non rilevantenei riguardi dell’argomento trattato, è in-vece fondamentale focalizzare la nostraattenzione sul contenuto degli altri due,

ed in particolare del primo, dal momentoche, nello specificare le modalità attraver-so le quali gli Organismi paritetici posso-no supportare le imprese, inseriscono, trale altre, anche «l’asseverazione della ado-zione e della efficace attuazione dei mo-delli di organizzazione e gestione dellasicurezza di cui all’articolo 30, della qua-le gli organi di vigilanza possono tenerconto ai fini della programmazione delleproprie attività». Tutto ciò senza, minima-mente, normare l’iter attraverso il qualegiungere a tale asseverazione, se non pre-vedendo che gli Organismi paritetici deb-bano istituire «specifiche commissioni pa-ritetiche, tecnicamente competenti». Èevidente come la mancanza, pressochéassoluta, di indicazioni concrete mediantile quali percorrere l’iter dell’asseverazio-ne, a cominciare dal significato da attri-buire a tale termine, stia creando proble-mi applicativi enormi, che vanno risolti ilprima possibile, a cominciare proprio dalsignificato da attribuire a tale termine, so-prattutto rispetto a quello di certificazio-ne. Quest’ultimo termine è utilizzato perindicare la dichiarazione rilasciata da unente terzo al fine di attestare che il siste-ma utilizzato è conforme al modello pre-so a riferimento e che segue regole inter-nazionali che indirizzano le attività deglienti di certificazione per il suo rilascio eper il suo mantenimento.Non è questa la sede nella quale detta-gliare tutto il complesso iter che deve es-sere percorso da un’organizzazione cheintenda ottenere la certificazione del pro-prio sistema di gestione per la sicurezzasul lavoro, ma pare utile sintetizzarne al-meno le fasi principali, dettate da SIN-CERT nel dicembre 2003 con il Regola-mento Tecnico RT12 e, a tutt’oggi, nonmodificate da ACCREDIA, l’organismonazionale unico di accreditamento. TaleRegolamento costituisce la struttura por-tante dello schema di accreditamento epur non introducendo requisiti aggiuntivisostanziali, rispetto a quelli previsti nellostandard BS OHSAS 18001:2007, ne rap-presenta però un ottimo strumento di veri-fica e favorisce l’uniformità di approccioda parte degli organismi di certificazione.Il documento, predisposto con lo scopo dideterminare i requisiti necessari al proces-so di accreditamento degli Organismi di

certificazione per i sistemi di gestione del-la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro,specifica i requisiti che questi ultimi de-vono applicare per garantire che essi stia-no operando come parte terza, dando co-sì evidenza della propria affidabilità, indi-pendenza ed imparzialità.La certificazione implica, come presuppo-sti, il pieno raggiungimento della confor-mità legislativa applicabile e la dimostra-zione dell’efficacia del sistema adottato,attraverso il programmato controllo e lacontinua riduzione del rischio residuo,per tutto il tempo della sua vigenza. An-che se il documento è stato sviluppato perdisciplinare il processo di accreditamentodegli Organismi di certificazione, moltedelle sue disposizioni sono utilizzabili an-che nelle procedure di valutazione di pri-ma e/o seconda parte. L’iter di certifica-zione inizia con la richiesta di offerta, inbase alla quale l’Organismo di certifica-zione sviluppa l’analisi dei costi e defini-sce l’impegno in termini di professionalitàe di uomini/giorno, necessari per effettua-re le attività di auditing.A tal fine l’Organismo richiede all’orga-nizzazione da certificare, informazioniappropriate, relative, almeno, al numeroed alla ubicazione dei siti produttivi, allatipologia dei processi effettuati e dei rela-tivi rischi e ai turni di lavoro. La verificadell’organismo di certificazione prevededue fasi, la prima, a distanza, finalizzata avalutare, prevalentemente, la rispondenzadella documentazione ai requisiti dellanorma e la seconda, sul campo, per verifi-carne la corretta attuazione, medianteuna appropriata prima verifica ispettiva, ilcui dettagliato piano operativo terrà contodelle dimensioni e della pericolosità deiprocessi produttivi. Al termine della verifi-ca, il responsabile del gruppo di audit, ameno di riscontrate evidenze di non con-formità gravi che incidano sulla correttaattuazione del sistema, (nel qual caso, ov-viamente, esprimerà parere negativo),proporrà la certificazione, che verrà rila-sciata dall’Organismo incaricato, dopoavere sottoposto la proposta ad un comi-tato interno, costituito da esperti nel setto-re di riferimento.I sistemi certificati vengono poi sottoposti averifiche periodiche, la prima normalmen-te entro i primi sei mesi, le successive con

y Modelli organizzativi e art. 30 D.lgs 81/2008 ytem

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cadenza annuale, per valutarne il manteni-mento della conformità nel tempo e conl’onere di sospenderne o revocarne la vali-dità, in caso di riscontrate e non eliminatenon conformità di legge o di sistema.Tornando ad analizzare la volontà del le-gislatore in merito all’istituto della asseve-razione, è chiaro che egli non intendesse,semplicemente, estendere agli Organismiparitetici la possibilità di “certificare”,perché, se così avesse voluto, non avreb-be utilizzato un termine diverso e soprat-tutto avrebbe dovuto imporre, anche agliOrganismi paritetici, le stesse regole im-poste agli enti di certificazione dalla nor-me volontarie nazionali ed internazionali.Ma se «asseverazione» non è sinonimo di«certificazione», occorre allora capireesattamente che cosa significhi tale termi-ne e che regole debbano essere adottateper il suo rilascio, perché altrimenti acca-drà, (in realtà sta già accadendo), che cia-scuno si sentirà autorizzato a dettarne diproprie, con danni incalcolabili alla cre-dibilità dell’intero sistema. Poco o nullaaiuta, per risolvere le problematiche evi-denziate, la previsione della costituzionedi obbligatorie «commissioni paritetichetecnicamente competenti», che dovrannosupportare gli Organismi paritetici -oltreche per le altre attività indicate dall’art.50, D.Lgs. n. 81/2008- anche per quelladi asseverazione: al contrario, si potrebbeconcludere che la stessa composizionedelle Commissioni e le loro finalità, senon chiarite, saranno foriere di ulterioricriticità. D’altra parte non bisogna dimen-ticare un’ulteriore specificità dell’asseve-razione: essa può essere rilasciata sia incaso di adozione di un modello conforme

alle Linee Guida UNI-INAIL:2001 sia diuno standard BS OHSAS 18001:2007,mentre la certificazione, al contrario, puòessere rilasciata unicamente in caso diadozione del secondo modello. Immedia-ta conseguenza di ciò, per la carenza diclausole di reciprocità, è la non validità,all’estero dei modelli organizzativi asse-verati, il che può provocare, ovviamente,problemi per le aziende multinazionali.Per quanto sopra espresso e senza volerentrare nel merito della opportunità o me-no di dotarsi di un ulteriore strumento di“attestazione” dei modelli organizzativi,la cui collocazione non è chiara né rispet-to alla auto-dichiarazione rilasciata daparte della stessa organizzazione, né dellacertificazione rilasciata da ente terzo, èindispensabile che, nel minor tempo pos-sibile, e con uno strumento legislativoidoneo, ad esempio mediante l’emanazio-ne di specifiche «linee guida», venganocolmate tali lacune, prodotte dal legislato-re. Senza, ovviamente, alcuna pretesa diesaustività, si ritiene che tali linee di indi-rizzo dovrebbero chiarire, innanzitutto, lachiara finalità dell’asseverazione e la suadifferenza rispetto alla certificazione, an-che mediante la emanazione di definizio-ni capaci di indirizzare l’interprete nellaindividuazione delle attività correlate al-l’asseverazione e ai soggetti che le devo-no mettere in atto.Tali chiarimenti dovrebbero iniziare pro-prio dalla individuazione dei soggetti chela possono rilasciare ed in tal senso è illu-minante il contenuto della Circolare delMinistero del lavoro e delle politiche so-ciali n. 20 del 29 luglio 2011 che, pur sein ambito diverso, vale a dire quello della

formazione in materia di salute e sicurez-za, affronta ed indirizza le aziende in talsenso. La circolare, emanata a seguito dinumerose segnalazioni di criticità al ri-guardo, fornisce chiarimenti in meritoall’attività di formazione svolta dagli Entibilaterali e dagli Organismi paritetici orealizzata dal datore di lavoro, in collabo-razione con tali enti, con riferimento allasalute e sicurezza sul lavoro.Dopo aver sottolineato che il D.Lgs. n.81/2008 attribuisce un ruolo fondamenta-le alla bilateralità, quale strumento di sup-porto alle imprese e ai lavoratori, per unacorretta gestione delle attività di preven-zione degli infortuni e delle malattie pro-fessionali, la circolare del Ministero delLavoro sottolinea, correttamente, che i ri-levanti compiti e funzioni attribuiti a taliorganismi, siano tuttavia condizionati daprecise caratteristiche, espressamente indi-viduate dalla legge. I criteri identificatividei soggetti abilitati a svolgere i compitiprevisti nell’art. 51, D.Lgs. n. 81/2008vanno rinvenuti innanzitutto nella defini-zione di cui all’art. 2, D.Lgs. 10.9.2003, n.276 e all’art. 2, comma 1, lett. ee, D.Lgs.9.4.2008, n. 81, dove emerge con chia-rezza, che tali organismi debbano esserecostituiti «a iniziativa di una o più asso-ciazioni dei datori di lavoro e dei prestato-ri di lavoro comparativamente più rappre-sentative nell’ambito del sistema contrat-tuale di riferimento». Dunque, prosegue lacircolare ministeriale, «il datore di lavoroè tenuto a chiedere tale collaborazioneunicamente agli organismi, costituiti dauna o più associazioni dei datori di lavoroe dei lavoratori comparativamente piùrappresentative firmatarie del Contratto

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collettivo nazionale di lavoro applicato al-l’azienda, in possesso dei requisiti di leg-ge appena richiamati, sempre che sussi-stano gli ulteriori elementi -che devonoessere entrambi presenti- individuati ex le-ge (articolo 37, comma 12, del d.lgs. n.81/2008), vale a dire che l’organismooperi nel settore di riferimento (es.: edili-zia) e non in diverso settore e che sia pre-sente nel territorio di riferimento e non indiverso contesto geografico». È indubbio che le indicazioni ministerialerappresentino, in attesa delle auspicate li-nee guida in materia, anche nell’ambitodell’asseverazione, un indirizzo impre-scindibile a cui è opportuno che le azien-de si attengano. Ma tali indicazioni, pur sepreziose, certamente non esauriscono iproblemi legati alla concreta applicazionedel nuovo istituto, dal momento che, oc-correrà dettagliare l’intero procedimentodi asseverazione, a partire dall’avvio, pas-sando per il suo rilascio e terminando, in-fine, con le modalità di mantenimento o,eventualmente di sospensione o di revoca.Non va dimenticato, infatti, come sì è giàsottolineato, che il comma 3-bis dell’art.51, D.Lgs. n. 81 del 2008, così comeemendato dal D.Lgs. n. 106/2009, espres-samente prevede che l’asseverazione de-ve riguardare non solo l’adozione, ma an-che l’«efficace attuazione» dei modelli diorganizzazione e gestione della sicurez-za. Gli organismi paritetici non potrannoquindi limitarsi ad asseverare che il mo-dello è stato adottato, ma anche che essoè in grado di rispettare, nel tempo, i detta-ti dell’art. 30, D.Lgs. n. 81/2008, assicu-randone così, un’efficace attuazione. Èovvio che tale attestazione non potrà pre-scindere, come peraltro già accade anchein caso di auto-dichiarazione da partedell’azienda o di certificazione da partedi ente terzo, da un’attività di auditingche l’organismo paritetico dovrà accura-tamente programmare ed effettuare, utiliz-zando soggetti in possesso di adeguatecompetenze. A tale proposito si ritieneche le competenze di auditing relative alprocesso di asseverazione, debbano esse-re le più simili, se non addirittura le me-desime, rispetto a quelle previste dalle Li-nee Guida UNI EN ISO 19011:2003, chedettano, ancora una volta a livello inter-nazionale, i principi dell’attività di audit,

della competenza, della valutazione edell’indipendenza degli auditor.A conclusione di queste breve considera-zioni ci si deve chiedere, infine, perchémai la legge, dopo aver messo sullo stessopiano, addirittura in ambito penale ai finidella presunzione di conformità, i sistemiauto dichiarati, certificati o asseverati, so-lo a questi ultimi attribuisca il potere diindirizzare la programmazione degli orga-ni di vigilanza.La scelta del legislatore, non condivisibilea parere di chi scrive, pur se limitata allasola programmazione delle attività ispetti-ve, ancora una volta dimostra la necessitàdi definire, con estrema urgenza, confini ecaratteristiche distintive dell’asseverazione,perché altrimenti, l’istituto rischia di diven-tare per le aziende, piuttosto che un’oppor-tunità, un elemento di disordine potenzial-mente in grado di sviluppare un mercatoconfuso, pletorico e speculativo.

n Note1 Testo del secondo periodo del comma, cassato dal

D.Lgs. n. 106/2009: [La vigilanza si esplica anche at-

traverso i sistemi di verifica e controllo di cui all’arti-

colo 30, comma 4];

2 Il Codice di Hammurabi è una fra le più antiche rac-

colte di leggi conosciute nella storia dell’umanità e

venne stilato durante il regno del re babilonese Ham-

murabi, (1792 -1750 avanti Cristo).

3 W. e. deming (14 ottobre 1900 - 20 dicembre 1993):

docente, saggista e consulente statunitense, teorizzò

che le aziende, mediante l’adozione di opportuni

principi gestionali, possono aumentare la qualità e

contemporaneamente ridurre i costi, mediante un

continuo miglioramento, impostando la produzione

come un “sistema” piuttosto che suddividerla per fasi

separate tra loro.

4 Nel 1980 una famosa produttrice televisiva americana

(Clare Crawford-Mason), fece conoscere Deming al

grosso pubblico con una trasmissione titolata “If Japan

can….why cant’t we?”.

5 L'ISo (organizzazione internazionale per la norma-

zione), è la più importante organizzazione a livello

mondiale per la definizione di norme tecniche. È stata

fondata il 23 febbraio 1947 e ha il suo quartier gene-

rale a Ginevra. Sono membri dell'ISO gli organismi na-

zionali di standardizzazione di 157 Paesi del mondo.

In Italia le norme ISO vengono recepite, armonizzate

e diffuse dall’UNI, il membro che partecipa in rappre-

sentanza dell'Italia all'attività normativa dell'ISO.

6 Il Regolamento del 1993 è stato, successivamente, ag-

giornato con il nuovo Regolamento CE n. 761 del 19

marzo 2001.

7 Cfr. “I Sistemi di Gestione per la Sicurezza, la Salute e

l’Ambiente” - Volume I, a cura di Fabrizio Benedetti,

Alessandro Foti e Anna Guardavilla. Edizione EdiProf.

Anno 2008.

8 “oH&S management system”: part of an organizatio-

n’s management system used to develop and imple-

ment its OH&S policy and manage its OH&S risks.

Note 1: a management system is a set of interrelated

elements used to establish policy and objectives and

to achieve those objectives.

Note 2: a management system includes organizational

structure, planning activities (including, for example,

risk assessment and the setting of objectives), responsi-

bilities, practices, procedures, processes and resources.

Note 3: adapted from ISO 14001:2004, 3.8.

9 D.Lgs. n. 81/2008, comma 2, lett. a, secondo perio-

do: «La scelta dei criteri di redazione del documento è

rimessa al datore di lavoro, che vi provvede con criteri

di semplicità, brevità e comprensibilità, in moda da

garantirne la completezza e l’idoneità quale strumento

operativo di pianificazione degli interventi aziendali e

di prevenzione».

10Per asseverazione si intende, nella prassi giuridica,

un’attestazione chiara ed esplicita della sussistenza dei

dati di fatto dedotti o dei requisiti previsti per la legitti-

mità dell’atto richiesto. Tale attestazione, di solito re-

datta da un professionista abilitato, deve essere suffra-

gata dalla dimostrazione di elementi di legittimità

dell’atto voluto, mediante puntuale descrizione delle

opere e mediante dimostrazione della loro conformità

a disposizioni legislative e/o regolamenti (norme urba-

nistiche, edilizie, ecc.). In ambito di salute e sicurezza

sul lavoro si ricorre, spesso giurandola, alla assevera-

zione, soprattutto per attestare che una macchina o

un impianto è conforme alle normative di riferimento.

Ne consegue come tale termine sia assolutamente ini-

doneo per definire uno strumento finalizzato ad atte-

stare non solo l’adozione, ma anche l’efficace attua-

zione di un modello di organizzazione e gestione, che

deve essere valutato a campione e monitorato nel

tempo.

y Modelli organizzativi e art. 30 D.lgs 81/2008 ytem

a39

aLBerto aNdreaNIDocente a contratto, presso la Facoltà

di Giurisprudenza dell'Università di Urbino

Coordinatore scientifico per l’area lavoristica

di OLYMPUS

[email protected]

oLIvIero CaSaLeSegretario AICQ ER, Esperto Sistemi

di Gestione OHSAS18001 e Modelli

Organizzativi e Gestione D.Lgs. 231/2001

[email protected]

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luglio/agosto 2014 www.aicqna.com

per poter capire appieno la enorme im-portanza che oggi riveste la formazione

dei formatori, è necessario soffermarci in-nanzitutto, sulla profonda trasformazioneche negli ultimi anni ha coinvolto la forma-zione della “sicurezza” in Italia. La “sicu-rezza” è sempre stata vista come un proble-ma tecnico, in mano a tecnici, i quali eranoanche gli unici esecutori delle attività for-mative. Tale logica ha incrementato neltempo una formazione molto specializzata,ma lontana dalla vera esigenza dall’utentefinale e quindi poco condivisa.Analizzando le statistiche sugli infortuni, cisi accorge che, ancora oggi, oltre l’80% de-gli infortuni non avviene per problemi tec-nici, ma umani e gestionali. Come è allorapossibile, che dopo anni di leggi e normesulla “sicurezza”, possano accadere ancorainfortuni come quello ripetuto nel tempo diMolfetta (03 marzo 2008 quattro morti nel-la pulizia di una cisterna, 08 aprile 2014due morti per la pulizia di una cisterna)?Il vero problema che dobbiamo affrontareoggi, non è se la formazione sia stata o me-no eseguita e di quante ore, ma se sia stataeffettuata in maniera efficace. Nell’ambito dei Sistemi di Gestione, si par-la di efficacia quando un obiettivo pianifi-cato viene raggiunto. Allora è utile porci

un’altra domanda: «quale è il vero obietti-vo della formazione alla “sicurezza”?». Lerisposte possibili sono:• Far conoscere il sistema legislativo euro-peo e italiano in tema di salute e sicurez-za?

• Far conoscere le responsabilità e i diritti?• Far conoscere quali dispositivi di prote-zione individuale utilizzare e come?

• Far conoscere le procedure di lavoro in si-curezza?

Probabilmente la risposta a tutte queste do-mande è sempre affermativa, ma siamo si-curi che far conoscere ad un lavoratore chela legge sulla sicurezza e salute è il D.Lgs.81/2008 e non il D.Lgs. 626/1994 sia real-mente importante?Ed allora, forse, la vera domanda che cidobbiamo porre è:Ma non è che il vero obiettivo di questa for-mazione è dare degli strumenti al discente,per modificare nel tempo i propri compor-tamenti verso una sicurezza attiva, ragiona-ta, partecipata e non imposta?

Un grande tecnico e formatore sui temi del-la sicurezza e salute, Enrico Grassani, scri-ve: «L’obiettivo dell’attività formativa inmateria di prevenzione antinfortunistica èquello di far si che nelle persone si inne-schi un processo di trasformazione nel pro-prio modo di essere, tale per cui lavorare insicurezza divenga desiderabile, prima an-cora che necessario per il rispetto delle leg-gi».Come ottenere questo obiettivo e come in-globare anche gli altri visti sopra senza sna-turare quello principale?La risposta a questa domanda può essere ri-assunta in una unica parola, andragogia,“disciplina che studia l’apprendimento el’educazione degli adulti” [Garzanti].Chris Argyris, uno dei padri del pensieroandragogico diceva che: «la porta dell’ap-prendimento si apre dal di dentro», è quin-di il discente e non il formatore il vero cen-tro di una attività formativa efficace.Ciò implica che, a prescindere dal tema sucui stiamo effettuando la formazione, il co-

40y Salute e Sicurezza del Lavoro y

Formare i formatori per la sicurezza

>> Fabrizio raInaLDI

tem

a

Training is essential to protect the health

and safety of the worker only if it is effec-

tive. This objective can be achieved

through qualified trainers. The criteria for

this qualification have been defined by

law since last year. The training courses

for trainers are a useful tool to qualify the

trainer and they help to improve the ef-

fectiveness of the training provided.

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involgimento del discente, lo stimolo, lasua esperienza ed il suo ragionare, sonofondamentali per il processo di apprendi-mento a cui questa formazione tende, “im-parare è un’esperienza, tutto il resto è infor-mazione” (Albert Einstein). Si parla quindi di metodi di apprendimentoattivi, basati su strumenti formativi quali ilBrainstorming, il gioco, il Role Plaiyng, imetodi esperenziali, tutte attività poco oper nulla diffuse nella formazione della “si-curezza”.Ed eccoci tornati al formatore della “sicu-rezza”.Quanto detto presuppone una naturale tra-sformazione del formatore, da docente a fa-cilitatore fino anche ad arrivare a essere uncoaching per la “sicurezza”. In altre paroleè necessario passare da un ragionamentoup-down, dove il formatore-docente è e sisente superiore al discente, ad un ragiona-mento up-up, dove le due figure di forma-tore e discente sono paritetiche e il mo-mento formativo porta un accrescimentoper entrambe le figure.Il nuovo formatore deve possedere e fareproprie alcune abilità:• Comunicative- Creare emozione- Essere originale e spontaneo- Creare sorpresa ed interesse- Saper rompere le regole

• Di gestione dei conflitti e dello stress• Di Problem Solving• Di creatività• Di gestione delle emozioni

• Di empatiaMa attenzione, il “nuovo Formatore” devecredere nel lavoro che fa e nel modo in cuilo fa, deve essere entusiasta del proprio la-voro e soprattutto deve dimostrare a chi losegue la propria coerenza; “Non si insegnaquello che si vuole; direi addirittura chenon si insegna quello che si sa o quello chesi crede di sapere: si insegna e si può inse-gnare solo quello che si è” [Jean Jaurès].Per raggiungere questo risultato il formatoreha necessità di accrescere le sue competen-ze “umanistiche” in ambito formativo, mi-gliorare nel tempo l’utilizzo di strumenti di-dattici, apprenderne di nuovi, confrontarsicon altri formatori.Tutto ciò può essere possibile solo frequen-tando corsi specifici, fatti per formatori, do-ve questi argomenti vengono trattati, ana-lizzati ma anche provati. Per tale motivonegli ultimi anni è cresciuta, anche per iformatori sulla “sicurezza” l’esigenza dicreare corsi di formazione per formatori.Detti corsi non hanno l’obiettivo di dare alformatore nozioni tecniche di salute e sicu-rezza, per cui esistono corsi e studi specifi-ci, ma gli strumenti per migliorare la comu-nicazione con il discente, al fine di rag-giungere un apprendimento in linea con lateoria andragogica e quindi una trasforma-zione ragionata e condivisa degli atteggia-menti del discente. Questa formazione non può essere effettua-ta one-shot ma necessita di un costante ag-giornamento nel tempo, che consenta alformatore di apprendere nuove tecniche e

risolvere eventuali problematiche riscontra-te nell’applicazione in campo. Inoltre gliaggiornamenti sono sempre un momento diconfronto importante con i colleghi.L’obbligo della formazione dei formatori,oltre che morale e professionale, negli ulti-mi anni è stato oggetto di attenzione ancheda parte del legislatore italiano. Logicamen-te tale attenzione ha riguardato la parte deicorsi che la legge rende obbligatori, vedi icorsi per i lavoratori, preposti e dirigenti,Datore di lavoro, e così via.Dopo alcuni tentativi di definire dei para-metri per la professionalità del formatorenegli accordi stato regioni del 21 dicembre2011, il 6 marzo 2013 viene pubblicato ildecreto interministeriale per la qualifica deiformatori. Detto decreto è attuato e obbli-gatorio dal 18 marzo 2014.Esso suddivide le competenze in tre macroaree:• Area Normativo/giuridico/organizzativa• Area Rischi tecnici/igienico-sanitari• Area relazioni/comunicazionePer ognuna delle aree tematiche un forma-tore è qualificato se risponde ad almenouno dei sei criteri riportati nel decreto stes-so.La definizione di questi criteri è stata moltodifficile ed ha causato un rallentamentonell’uscita del decreto. In sintesi i criterispecificati sono:L’ultimo aspetto che prende in considerazio-ne il decreto è l’aggiornamento professiona-le. Per mantenere la qualifica il formatoredeve in un periodo temporale di tre anni:

y Formare i formatori per la sicurezza ytem

a41

Criterio

1

2

3

4

5

6

titolo di studio

-

Laurea coerente con le materie di docenza

oppure

Corsi post-laurea (Dottorato, Master, specializ-

zazione…) in campo salute e sicurezza sul la-

voro

Corso con verifica apprendimento >64 ore su

Sicurezza e salute sul lavoro

Corso (con verifica apprendimento) >40 ore

su Sicurezza e salute sul lavoro

-

-

didattica

-

Corso formazione formatori >24 ore con veri-

fica finale o Abilitazione all’insegnamento o

Diploma triennale in Scienza comunicazione

o Master in comunicazione oppure

>32 ore docenza in materia Salute e

Sicurezza sul Lavoro oppure

>40 ore docenza in qualsiasi materia oppure

>48 ore di affiancamento a docente qualifica-

to

esperienza

>90 ore di docenza nell’area tematica

-

>12 mesi di esperienza lavorativa o profes-

sionale coerente con l’area tematica

>18 mesi di esperienza lavorativa o profes-

sionale coerente con l’area tematica

>3 anni di esperienza lavorativa in ambito

salute e sicurezza sul lavoro, coerente con

l’area tematica

>6 mesi come RSPP oppure

>12 mesi come ASPP

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• Partecipare come discente a seminari con-vegni o corsi per almeno 24 ore nella te-matica di competenza di cui almeno 8 co-me corsi di aggiornamento oppure

• Effettuare almeno 24 ore di docenza nellatematica di competenza.

Senza voler entrare in merito alla bontà omeno dei criteri definiti, ritengo comun-que molto complesso dover definire deicriteri specifici, che possano andare beneper tutte le tipologie di attività. Detto ciònon sono molto d’accordo con tutti queicriteri, non solo del decreto, ma anchecertificativi, che considerano l’aspettoquantitativo, cioè ore di formazione fatte,un parametro fondamentale per la qualifi-ca dei formatori. Infatti in base a quantoespresso nella prima parte dell’articolo, laformazione dei formatori è un aspetto

fondamentale che non può essere sosti-tuito completamente da ore di docenza. Dalla mia esperienza in campo come do-cente e discente, ci sono ancora troppiformatori che, benché abbiano un nume-ro enorme di ore di docenza fatte, nonpossiedono nessuno dei requisiti andrago-gici di cui abbiamo discusso.

ConclusioniLa formazione dei formatori è un aspettofondamentale per raggiungere una effica-ce azione formativa sui temi della salute esicurezza, che porti ad un effettivo cam-biamento nei comportamenti delle perso-ne oggetto della formazione. Tale forma-zione, benché oggi sia anche definita dal-la legge, non deve essere considerata unmero adempimento cogente, ma deve es-

sere sentita dal formatore come una esi-genza morale e professionale. In questaottica i corsi di formazione per formatoridevono essere organizzati con l’utilizzodi metodologie attive e di discussione digruppo. La speranza è che questa attività, come pur-troppo è successo spesso in altri settori, nonvenga nel tempo troppo standardizzata eregolarizzata, altrimenti il nostro vero edunico obiettivo formativo smetterà di nuovodi essere alla nostra portata.

y Formare i formatori per la sicurezza yte

ma

42

faBrIzIo raINaLdIDirettore Centro di Formazione

presso Gruppo Ambiente Sicurezza;

formatore qualificato AICQ, Roma

[email protected]

Gentile Presidentepoiché l’AICQ è una associazioneapolitica (art. 3 dello statuto), penso chenon sia corretto che il direttore dellarivista ”Qualità”, organo ufficialedell’associazione, esprima opinioni dinatura politica come ha fatto nell’editorialedel n. 3 della citata rivista. Da notare chela rivista è stata distribuita nella settimanaalla fine della quale si votava perl’elezione del consiglio europeo, facendopensare che le opinioni espressedall’editorialista fossero quelle ufficialidella AICQ. Poiché è la prima volta, neipiù di 50 anni di vita dell’associazione,che si verifica un fatto di questo tipo,penso che sia necessario definire conchiarezza i limiti entro i quali devonoessere contenute le espressioni di unorgano ufficiale della AICQ.Chiedo quindi ufficialmente chel’argomento venga discusso dal consigliodi AICQ

E. S.

Gentile socio,la ringrazio per la nota che ha inviato; ha al-meno due aspetti positivi: la Rivista vieneletta dalla prima all’ultima pagina e i lettori

non sono indifferenti (l’indifferenza è peri-colosa, perché è sinonimo di disinteresse).Confesso, però, che mi ha portato alla mente- solo per un istante - il triste slogan: «qui si

lavora, non si parla di politica!» di un’epoca“lontanissima”, sotto tutti i punti di vista. Anche se il pontefice Paolo VI teorizzava chela politica «è la più alta espressione della ca-

rità» [Enciclica Popolorum Progressio], vorreirassicurarla che la stessa non sia mai rientra-ta tra le mie aspirazioni!Vorrei ricordare che alla Federazione AICQaderiscono professionisti che dedicano ilproprio tempo e le proprie energie allo stu-dio ed alla corretta applicazione/diffusionedelle teorie e delle tecniche strumentali aduna gestione sistemica ed efficace delle or-ganizzazioni per poterle aiutare ad essereperformanti, eccellenti e competitive. Condi-viderà con me, quindi, che per operare cor-rettamente non si può pensare che le orga-nizzazioni vivano in ambienti asettici; è indi-spensabile, invece, tenere in debito conto siagli scenari nei quali ci si muove, sia i condi-zionamenti indotti dalle cosiddette “condi-zioni al contorno”. Al riguardo, vedo conpiacere che la nuova versione di ISO 9001:2015 (della quale è stata recentemente pub-

Caro direttore

ti scrivo ...

blicata la versione ISO/DIS 9001:2014) hadedicato il capitolo 4 all’argomento: «Con-text of the organization», che si apre pro-prio con il punto 4.1: «Understanding theorganization and its context».Desidero anche precisare che il Direttoredella Rivista (come in tutti i giornali) esprimenei pezzi firmati e nei pezzi redazionali leproprie opinioni – suffragate sempre da valu-tazioni scientifiche e tecniche - nel rispettodella vigente normativa sulla stampa. Colgo l’occasione per ricordarle che da unanno dedico, con grande passione e impe-gno, tempo, competenze ed energie per fartornare la Rivista QUALITÀ ad essere “ilpunto di riferimento” di studiosi, professio-nisti, accademici e manager che operano neimolteplici ambiti tematici nei quali risultapossibile declinare l’universo della Qualità edei sistemi di gestione. Anche nel caso dell’editoriale in questione,le argomentazioni esposte poggiano sui ri-sultati di studi che porto avanti da tempo e lacui sintesi ha avuto l’onore di essere pubbli-cata nel capitolo 12 del prestigioso “Rappor-to Italia 2014” redatto dall’Istituto Eurispes;il titolo è: «da “spending review” a “riduzio-

ne dei costi”» (pp. 155-181) che invierò informato elettronico a lei ed a tutti i lettoriche ne faranno richiesta. Spero che voglia continuare a leggere sere-namente la Rivista (superando i pregiudizi)ed a scrivermi qualora avesse dei suggeri-menti e contributi da dare. Saluti [sb]

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Agenzia di Comunicazione

UNA SCELTA DI VALORE.

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introduzioneLa produzione legislativa degli ultimi an-ni, derivata dall’applicazione di DirettiveComunitarie ha comportato l’introduzio-ne in Italia, di una serie di atti progettualiper la gestione della sicurezza in generaleed in particolare nel campo dei cantieritemporanei e mobili (che di seguito ver-ranno indicati solo come «cantieri»). Conl’entrata in vigore del D.L.vo 626/1994 esuccessivamente con l’entrata in vigoredel D.L.vo 494/1996 si iniziò a delineareun quadro organizzativo del cantiere ab-bastanza complesso. Si impostava, priori-tariamente sullo sfondo, un quadro gene-rale in cui ogni azienda [«organizzazio-ne»] aveva l’obbligo di redigere un Docu-mento di Valutazione dei Rischi (DVR) aifini della prevenzione degli infortuni edella igiene del lavoro, non più basatosulla pedissequa applicazione delle nor-me degli anni cinquanta, ma sull’analisieffettuata dal datore di lavoro dei rischieffettivamente presenti in ambito azienda-le. Questo notevole passaggio culturaletrovò impreparate le aziende, che coin-volsero consulenti nella redazione di taliDVR, spesso senza partecipare attivamen-te alla redazione degli stessi; situazione

che, purtroppo, si riscontra ancora oggi.Sempre con maggiore frequenza nei can-tieri, cominciò a registrarsi il blocco delleattività, in seguito al sequestro seguenteall’intervento degli Organi di Vigilanza.

Le imprese generali («affidatarie» ai sensidella legislazione della sicurezza) com-presero, prima delle altre, l’opportunità ela necessità di adeguarsi progressivamen-te alla variata situazione normativa. In Italia il sistema delle costruzioni alla fi-ne degli anni novanta era, infatti, sostan-zialmente imperniato su imprese appal-tanti («generali», chiamate a svolgere fun-zioni di controllo e coordinamento) e suimprese subappaltatrici («esecutrici»,chiamate ad eseguire le lavorazioni spe-cialistiche).Non esiste, ormai da tempo, l’impresa ge-nerale in grado di svolgere, con risorseproprie, tutte le lavorazioni previste per ri-spondere all’esigenza di ridurre i costi di

45y Salute e Sicurezza del Lavoro y

Sicurezza nei Cantieri temporanei e mobili

>> maurizio BELLa

tema

The entry into force of Legislative Decree 626/94 and later the entry into force of Legislative

Decree 494/96 outline a quite complex organizational framework for a construction yard.

The general contractors understand the need to adapt to the changes of the legal situation as

much as possible. The rules outlined in the fifties were based on the "objective safety", while

the Legislative Decree 626/94 goes with the "subjective safety" through commitment of con-

tractors, eventually the Legislative Decree 81 in 2008 gets to the" systematic safety". Essential

elements of the 'Safety and Coordination Plan' are: technical plant of the site, Identification

of phases of the works, Time schedule of the works, estimation of expenses for the security.

It is believed that new ways have to be found for a more operational and substantive and less

formal management of construction sites

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gestione; non di rado risulterebbero rima-nere scoperte proprio alcune professiona-lità specifiche riguardanti l’organizzazio-ne della sicurezza del cantiere, la correttaprogettazione delle opere provvisionali ela loro idonea realizzazione. Il nuovo quadro normativo prevede unasignificativa responsabilizzazione delCommittente (cioè, colui per il quale siesegue l’opera) e viene, quindi, introdottol’obbligo:sia di nominare le apposite figure profes-sionali: Coordinatori della Sicurezza in fa-se di Progettazione [CSP] ed in fase diEsecuzione [CSE]; sia di redigere un Piano di Sicurezza eCoordinamento [PSC] specifico per la si-curezza del cantiere.

Evoluzione della legislazione di prevenzione infortuniLa normativa degli anni cinquanta era ba-sata sulla cosiddetta «sicurezza oggetti-va», in attuazione di opportune prescri-zioni tecniche e di efficaci sistemi di pre-venzione e/o mediante l’imposizionedell’impiego di dispositivi di sicurezza,oppure attraverso l’uso di specificate mo-dalità di impiego.Nel campo degli appalti pubblici, la legge55/1990 imponeva nuovi obblighi, relativialla prevenzione antimafia ed alla tuteladella sicurezza sul lavoro, alle impreseesecutrici dei lavori. Nasceva, così, l’ob-bligo di predisporre il piano delle misureper la sicurezza fisica dei lavoratori, daapplicare e da mantenere nei cantieri adisposizione delle autorità competentipreposte alle verifiche ispettive di control-lo degli stessi.Con l’emanazione del successivo DecretoLegislativo n. 626/1994, si è passati alla«sicurezza soggettiva» e quindi vengonoistituiti precisi obblighi a carico delle im-prese, tra i quali si ricordano:• la creazione di un apposito Servizio di

Prevenzione e Protezione [SPP] con a ca-po un Responsabile [RSPP];

• la redazione di un documento di valu-tazione dei rischi [DVR] con procedureaziendali per assicurare che le attività la-vorative si potessero svolgere in sicurez-za (che con il successivo Decreto Legis-

lativo n. 528/1999 diventeranno specifi-ci per il cantiere detti Piani operativi diSicurezza [POS];

• l’informazione, la formazione e l’adde-stramento in materia di sicurezza e salu-te per i lavoratori a qualsiasi livello azien-dale;

• nomina di un rappresentante dei lavora-tori [RLS] per la gestione e consultazio-ne in materia di sicurezza, per assicura-re un coinvolgimento attivo dei lavorato-ri.

Il Decreto Legislativo n. 494/1996 per laprima volta, nel campo della prevenzionedegli infortuni e dell’igiene del lavoro nelsettore delle costruzioni, impone obblighi

organizzativi specifici per i committenti: • di nominare i coordinatori della sicu-

rezza (in fase di progettazione ed esecu-zione dei lavori) e di vigilare sul loro ope-rato;

• di predisporre i Piani di Sicurezza e diCoordinamento [PSC], da elaborare in-sieme alla progettazione dell'opera, pri-ma della scelta delle ditte che poi saran-no chiamate alla sua realizzazione;

• di verificare l’idoneità tecnico-professio-nale delle iimprese esecutrici;

• di notificare alle ASL e alle Direzioni Pro-vinciali del Lavoro, organi di vigilanzacompetenti per territorio, l’inizio dei la-vori.

y Salute e Sicurezza del Lavoro yte

ma

46

> Figura 1

> Figura 2

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Viene così prevista, anche nei cantieritemporanei e mobili, una partecipazioneattiva di tutti i soggetti interessati e lecomponenti lavorative, al fine di poterrendere effettivamente praticabile la sicu-rezza nei luoghi di lavoro, anche in ambi-to di coordinamento di diverse lavorazio-ni per evitare possibili rischi od interferen-ze pericolose. Con il D.P.R. n. 222/2003 (Regolamentosui contenuti minimi dei piani di sicurez-za ...) vengono meglio definiti alcuni ele-menti costituenti i documenti di sicurezzacantieristica.Con l’entrata in vigore del Decreto Legis-lativo n. 81/2008 (il nuovo “unico testodella Sicurezza”) si passa, almeno ideal-mente, alla «sicurezza sistematica» au-mentano gli obblighi previsti dal titolo Iv(all’interno del quale è stato “riportato”puntualmente il precedente Decreto Le-gislativo n. 494/1996) in simbiosi con lenuove legislazioni sugli appalti pubblici(Codice Contratti pubblici del 2006) e

con l’obbligo generale da parte dei com-mittenti di verificare l’idoneità tecnicoprofessionale delle imprese esecutrici. Si-milmente anche l’impresa affidataria vie-ne a trovarsi gravata da ulteriori oneri; sifa avanti l’idea di privilegiare le impresepiù organizzate, dotate di sistemi di ge-stione certificati (come ISO9001, OH-SAS18001, ISO14001) che sappiano co-niugare contemporaneamente qualità, sa-lute e sicurezza sul lavoro ed ambiente. Sivorrebbe, così, introdurre anche nel nuo-vo mondo delle Costruzioni principi co-me il “coinvolgimento del personale” edil “miglioramento continuo” (filosofia kai-zen).

piano di sicurezza e Coordinamento [psC], ambitodei cantieri temporanei e mobili:aspetti salientiRitornando al documento base del cantie-re, si vuole partire da alcune definizioni:CaNtIere: sito nel quale si svolgono leoperazioni necessarie all’attuazione diquelle parti del processo edilizio definitoPROCESSO COSTRUTTIVO (ex UNI7867/A).ProCeSSo edILIzIo: sequenza organiz-zata di fasi operative che partono dal rile-vamento di esigenze al loro soddisfaci-mento in termini di produzione edilizia.Dall’esame di queste due definizioni, ci sipone il problema di come comunicare ilPROCESSO EDILIZIO ed in particolare ilprocedimento costruttivo di alcune lavo-razioni del cantiere, nell’ambito spazialee temporale. Come si possono rappresen-tare, cioè, alle altre figure presenti in can-tiere, le risorse coinvolte (personale, ma-teriali, apprestamenti, attrezzature, …) siain una determinata area di lavoro, sia inuna determinata fase di lavoro?Con l’introduzione di alcune modifiche initinere, nel 1996 nasce l’obbligo di elabo-rare da parte del CSP - formato all’uopo,con esperienza e formalmente nominatodal Committente - il PSC documento pro-gettuale prima dell’inizio del cantiere (og-gi previsto dagli articoli 100 e seguentidel Decreto Legislativo n 81/2008 e s.m.e i.) ed in particolare sono ritenuti fonda-mentali:• la planimetria del cantiere;• l’individuazione delle fasi lavorative;

• il cronoprogramma delle lavorazioni conlo studio delle interferenze;

• la stima degli oneri della sicurezza.

planimetria del cantiere Viene rappresentata schematicamente (la-yout) l’organizzazione del cantiere dalpunto di vista spaziale con:• l’opera da realizzare, • gli apprestamenti quali la disposizionedelle opere provvisionali,

• le attrezzature di cantiere, • le infrastrutture, viabilità e percorsi, i mez-zi e servizi di protezione collettiva

(vedere figura n. 1 con riportata parte diun cantiere)

individuazione delle fasi lavorativeDall’analisi degli elaborati del progettoscomposto in processi di lavorazione si ri-cavano le fasi lavorative con la relativa sti-ma degli uomini-giorno. (figura n. 2).

Cronoprogramma dei lavoriRappresentato con dei diagrammi tempo-rali viene rappresaentata la sequenza del-le operazioni da svolgersi, individuate amonte del progetto (in figura n. 3, parte di un GANT coneventuale individuazione delle relativearee di lavoro a colori)

Computo metrico estimativodegli oneri della sicurezza Nel computo metrico estimativo deglioneri della sicurezza, vengono individuatisia gli apprestamenti della sicurezza chequelli connessi con le singole lavorazioni(oneri speciali, oneri diretti...) come previ-sto dall’art. 4 dell’Allegato n. XV. Tali costinon sono soggetti a ribasso d’asta per de-finizione e sono basati su prezzari o listiniufficiali. Notevoli polemiche ci sono state sul temadell’individuazione di tali costi (innova-zione italiana), fino all’emanazione delDPR n. 222/2003 (oggi Allegato n. XV),valido sia in campo privato che pubblico(in figura n. 4 è riportato un elaboratopredisposto con l’utilizzazione del soft-ware “PONTEGGI” di Michele Sanginisi).

y Sicurezza nei Cantieri temporanei e mobili ytem

a47

> Figura 3

> Figura 4

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luglio/agosto 2014 www.aicqna.com

il Coordinatore della sicuerezza in fase di esecuzione: tra l’incudine ed il martelloViene formalmente nominato dal Com-mittente un Coordinatore della Sicurezzain fase di esecuzione (CSE in parte cononeri similari al Direttore dei Lavori, mamolto rilevanti dal punto di vista penale econtrattuale) figura fondamentale del can-tiere secondo la normativa, cerniera cardi-ne dell’organizazione in sicurezza delcantiere, nel campo della filiera delle co-struzioniTale figura ha una serie di obblighi da ri-spettare riassunti nell’articolo n. 92 delDecreto Legislativo n. 81/2008 del qualesi riportano alcuni aspetti salienti (alcunicritici nel recepimento della legge italia-na): a) verificare, con opportune azioni di co-ordinamento e controllo, l'applicazio-ne, da parte delle imprese esecutrici edei lavoratori autonomi, delle disposi-zioni loro pertinenti contenute nel PSCe della corretta applicazione delle rela-tive procedure di lavoro;

b)verificare l'idoneità dei POS d elle im-prese, piani complementari di dettagliodel PSC che occorre assicurare che siacoerente con quest'ultimo, e che ci sial’adeguamento del PSC, attraverso lavalutazione delle proposte provenientidalle imprese esecutrici dirette a mi-gliorare la sicurezza in cantiere;

c) organizzare tra i datori di lavoro, ivicompresi i lavoratori autonomi, la co-operazione ed il coordinamento delleattività nonché la loro reciproca infor-mazione;

d)verificare l'attuazione di quanto previ-sto negli accordi tra le parti sociali al fi-ne di realizzare il coordinamento tra iRLS delle imprese finalizzato al miglio-ramento della sicurezza in cantiere;

e) segnalare al committente o al responsa-bile dei lavori, previa contestazionescritta alle imprese e ai lavoratori auto-nomi interessati, le inosservanze ad unaserie di disposizioni ed al PSC e propor-re la sospensione dei lavori, l'allontana-mento delle imprese o dei lavoratori au-tonomi dal cantiere, o la risoluzione delcontratto; in caso di inerzia del Com-mittente nel comunicare l’inadempien-za alla ASL e alla DPL competenti per

territorio;f) sospendere, in caso di pericolo grave eimminente, direttamente riscontrato, lesingole lavorazioni fino alla verifica de-gli avvenuti adeguamenti effettuati dalleimprese interessate.

Se si analizza il quadro normativo, duran-te l’esecuzione dei lavori il CSE puòespletare la propria attività tramite (tra pa-rentesi si riportano i riferimenti alla normaUNI 10942:2001):• riunioni di coordinamento (verbali di ri-unione - punto 12.6.2);

• sopralluoghi di controllo in cantiere (ver-bali di sopralluogo - punto 12.6.3.1);

• procedure di controllo programmazioneimprese (verifiche e controlli imprese -p.to 12.6.3.2).

Nei lavori pubblici il CSE è coadiuvatodal direttore di cantiere e, ciascuno nel-l'àmbito delle proprie competenze, vigilasull'osservanza dei piani di sicurezza

Conclusioni e riflessioni In Italia il sistema imprenditoriale dellecostruzioni é basato su piccole imprese(microimprese), molto poche sono le im-prese strutturate, capaci di adempiere concoscienza e consapevolezza a quantoprevisto dal Decreto Legislativo n.81/2008, soprattutto in periodo di crisiprofonda, come l’attuale. Oltretutto in ta-le campo, a causa delle pesanti e durecondizioni di lavoro, sono sempre inmaggior numero gli operatori non italiani,immigrati europei, talora extracomunitari,a cui si richiede di elaborare, scrivere, eleggere documentazione scritta in caratte-re molto piccolo, non sempre facilmentecomprensibile. Si produce una mole immensa di “carta”,soprattutto POS, spesso redatta a soli finiformali, che giace negli armadi di cantie-re, senza alcuna utilità pratica, non letta. La burocratizzazione dei documenti sem-bra seguire essenzialmente lo scopo diprevenire (o salvaguardare) responsabilitàpenali e/o di evitare sanzioni economi-che. La legislazione appesantisce l’aspetto so-stanziale dei controlli di sicurezza in can-tiere.Il legislatore europeo, nel 1996, ipotizza-va un’organizzazione di medie imprese,molto rara nel panorama italiano, e pro-

poneva consulenti del cantiere e delle im-prese al fine di evitare gli incidenti (filoso-fia di tipo “kairio” con individuazione dipoche figure scelte). In Italia il CSE è vistocome un controllore di cantiere, un ispet-tore aggiunto a causa della carenza diispettori pubblici. Talvolta é visto come un “deus ex machi-na”, tuttavia senza un potere effettivo neiconfronti delle imprese, senza il supportodel Committente e dell’Impresa Affidata-ria non può fare molto. Non aiutano in talsenso molte sentenze di condanna a cari-co dei CSE spesso ritenuti corresponsabiliin caso di infortuni. Con il Testo Unico, nel 2008 veniva ipo-tizzata e auspicata l’introduzione e la dif-fusione della metodologia gestionale del«miglioramento continuo»; l’esperienzaquotidiana registra una sostanziale realtàartificiale sospesa a livello cartaceo; spes-so le procedure scritte non vengono ri-spettate effettivamente nei cantieri. Il cambiamento di mentalità e di culturasi può registrare essenzialmente in quellerealtà che riescono a disporre di quellemaggiori risorse economiche che possonoessere destinate ad investimenti nella “si-curezza sostanziale”.Si ritiene che diffondere una effettiva e so-stanziale cultura della sicurezza, tramiteseminari e corsi, rivolta ad operatori eprofessionisti, comporti una riduzione de-gli infortuni, che non necessitino sempredi appesantimenti formali e ci si augurache quanto previsto dall’articolo n. 104bis del T.U. (modelli semplificati per la re-dazione di POS e PSC) possa dar adito aduna nuova visione e soluzione in ambitocantieristico con più aspetti sostanziali emeno formali.Il solo approccio sanzionatorio alla sicu-rezza dei cantieri sta producendo solo ilprogressivo allontanamento delle figurepiù professionali più preparate!!!

y Sicurezza nei Cantieri temporanei e mobili yte

ma

48

maUrIzIo BeLLaingegnere, opera nel settore dell’edilizia;

docente nei corsi per RSPP presso l’Università

di Roma La Sapienza (Dipartimento

Me.Mo.Tef.] e nei corsi per coordinatore

della sicurezza presso l’Ordine degli Ingegneri

di Roma

[email protected]

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progettare luoghi di lavoro sicuri è pre-messa fondamentale alla prevenzione

dei rischi e degli infortuni sul lavoro. Per ilsettore dell’edilizia e della progettazionearchitettonica il presupposto all’introdu-zione di specifiche norme in merito alla si-curezza dei luoghi di lavoro viene ricono-sciuto nell’adozione dell’atto Unico euro-peo del 1987; l’atto europeo ha consentitoai Paesi membri la promulgazione di nor-me sulla sicurezza e prevenzione dei rischida lavoro e sulla sicurezza dei luoghi di la-voro stessi, temi che in Italia sono stati af-frontati rispettivamente con il D. Lgs.626/1994 e con il D. Lgs. 494/1996.Nella progettazione dei luoghi di lavoroviene affermato il principio della “massi-ma sicurezza ragionevolmente praticabi-le” introdotta già con il d.Lgs. 277/1991che disciplina l’esposizione dei lavoratoriad agenti chimici, fisici, biologici fra iquali si ricordano in particolare il rumoree l’esposizione a materiali quali amianto eleghe con piombo.Un differente approccio alla materia è sta-to introdotto dal d. Lgs. 626/1994 che hadisciplinato un ruolo proattivo e responsa-bile tipico della figura del datore di lavoro,sempre tenuto all’applicazione delle misu-re espressamente previste dalla legislazio-

ne vigente ed all’adozione delle ulterioriazioni di protezione e prevenzione speci-fiche del lavoro svolto, in relazione allesoluzioni tecnologiche praticabili ed alleesperienze acquisite nel tempo. Il testo hainoltre introdotto il principio della “pre-venzione”, sia in quanto valutazione pre-ventiva dei rischi, sia come individuazionepreventiva delle idonee contromisure pro-tettive e delle misure di sicurezza. L’attua-zione della sicurezza, oltre che nella pro-gettazione di un luogo di lavoro sicuro enella predisposizione delle misure atte aridurre e prevenire i rischi, si risolve nelfondamentale coinvolgimento attivo deilavoratori, sia mediante la loro informazio-ne e formazione che tramite la loro con-sultazione e partecipazione. Anche se si-mili prescrizioni di norma interessano solomarginalmente l’approccio professionaledel progettista, è fondamentale tenere pre-sente che le misure di prevenzione dei ri-schi oltre ad avere natura tecnica, devonocoinvolgere la gestione stessa del luogo dilavoro. La collaborazione fra lavoratori edatore di lavoro dunque è alla base dellasicurezza e della prevenzione.In tempi più recenti è stato redatto il d. Lgs81/2008 “tutela della Salute e della Sicu-rezza nei Luoghi di Lavoro”, concepito co-me un testo di riordino; come recita l’art.1, il testo ha operato: «il riassetto e la rifor-ma delle norme vigenti in materia di salutee sicurezza» dei lavoratori sui luoghi di la-voro ed afferma l’importanza dei concettidi organizzazione del lavoro e di formazio-ne dei lavoratori che si esprimono nel do-cumento di “valutazione dei rischi”, lostrumento redatto dal datore di lavoro chedeve analiticamente individuare i rischi ele strategie per ridurli o eliminarli, ed intro-

duce anche la figura del responsabile delservizio di prevenzione e protezione(RSPP). Il decreto fissa le disposizioni rela-tive ai requisiti per la salute e la sicurezzanei luoghi di lavoro quali, ad esempio, lecaratteristiche degli ambienti, la presenzadi sostanze nocive, le caratteristiche degliimpianti, le misure contro incendi edesplosioni, le norme di primo soccorso. Lanorma fissa inoltre le modalità di utilizzodelle attrezzature, compresi gli impiantielettrici, e dei dispositivi di sicurezza indi-viduale (DPI), così come le misure di sicu-rezza previste per l’allestimento di cantieritemporanei e mobili, comprese le normedi utilizzo per i ponteggi, per la movimen-tazione manuale di carichi, per le attrezza-ture con videoterminali, per la protezioneda agenti fisici quali rumore, ultrasuoni, in-frasuoni, vibrazioni meccaniche, campielettromagnetici, radiazioni ottiche, micro-clima, atmosfere iperbariche, agenti chimi-ci, cancerogeni e mutageni, agenti biologi-ci ed atmosfere esplosive.I progettisti devono rispettare i principi ge-nerali di prevenzione in materia di salute esicurezza sul lavoro esplicitati nel decreto.La corresponsabilità viene estesa anche adaltre figure coinvolte quali installatori emontatori di impianti, per le fasi di specifi-ca competenza, i quali devono attenersi al-le norme di sicurezza ed alle indicazionifornite dai produttori. Lo stesso decreto legislativo è caratterizzatoda un’articolazione che riguarda espressa-mente i “luoghi di lavoro” al Titolo II, men-tre al Titolo III tratta l’“uso delle attrezzatu-re di lavoro e dei dispositivi di protezioneindividuale”, al Titolo V regola la “movi-mentazione manuale dei carichi”, al TitoloVI tratta le “attrezzature munite di video-

49

progettare luoghi di lavoro sicuri

y Salute e Sicurezza del Lavoro y

La sicurezza al lavoro

>> Ludovica Carla FErrarI e nicola ZECCHInI

tema

Design workplaces safe is prerequisite to

the prevention of risks and accidents at

work. This responsibility is from the be-

ginning of design activities entrusted to

the architect, thanks to their work that

ensures a proper design of workplaces

and good collaboration with other spe-

cialists who will work with him in buil-

ding work.

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terminale” ed al Titolo X l’“esposizione adagenti biologici”. In particolare il Titolo II,riguardante appunto la progettazione archi-tettonica dei luoghi di lavoro, disciplina icaratteri ambientali e la distribuzione deglielementi del progetto: ad esempio vienestabilito quanto obbligatorio in merito a vied’uscita, altezza e dimensione dei locali, il-luminazione ed areazione degli ambientiinterni, descritti anche negli Allegati.Di differente angolatura, ma con grande im-portanza nel settore dell’edilizia, è il già cita-to d. Lgs. 494/1996 riguardante le misure disicurezza e di salute da applicare nei cantieritemporanei e mobili; viene introdotto il co-involgimento del committente, sia esso pub-blico o privato, unitamente all’appaltatore,nella responsabilità della sicurezza, sia in fa-se di progettazione che di esecuzione.Nell’ambito del d.P.r. 207/2010, ”Codicedei contratti pubblici relativi a lavori, ser-vizi e forniture in attuazione delle diretti-ve 2004/17/Ce e 2004/18/Ce” si ricorda,per le importanti ricadute tecnico-applica-tive, l'art. 39, ”Piano di sicurezza e di co-ordinamento e quadro di incidenza dellamanodopera”, che prescrive la redazionedel ”Piano di sicurezza e di coordinamen-to” quale documento complementare alprogetto esecutivo, finalizzato a prevederel’organizzazione delle lavorazioni più ido-nea, per prevenire o ridurre i rischi per lasicurezza e la salute dei lavoratori, attra-verso l’individuazione delle eventuali fasicritiche del processo di costruzione, e ladefinizione delle relative prescrizioni ope-rative. Il piano è specifico per ogni cantie-re temporaneo o mobile ed è redatto se-condo quanto previsto nell’allegato XV alD.Lgs 81/2008. Viene introdotto anche il”Quadro di incidenza della manodopera”che definisce l’incidenza percentuale dellaquantità di manodopera per le diverse ca-tegorie di cui si compone l’opera e vienespecificata l’intenzione del legislatore cheprevede che i costi relativi alla sicurezzasiano di norma esclusi dalla procedura diribasso economico. altre norme in materia che hanno correla-zioni non trascurabili sono il D. Lgs.17/2010, Nuova “Direttiva Macchine”, edil D. IntM. 20/01/2012, “Verifiche periodi-che delle attrezzature di lavoro”, oltre allenorme in merito alla sicurezza ed alla pre-venzione dei danni da incendio quali il

D.M. 16/02/2007 “Classificazione di resi-stenza al fuoco” ed il D.M. 09/03/2007“Resistenza al fuoco delle costruzioni nelleattività soggette al controllo dei Vigili delFuoco”. In merito alla normativa sulla pre-venzione degli incendi è importante ricor-dare che nell’ambito del Decreto Legge 21giugno 2013, n. 69, “Disposizioni urgentiper il rilancio dell’economia”, l’art. 38(Disposizioni in materia di prevenzione in-cendi) semplifica sensibilmente l'istruttoriadelle pratiche relative; sempre nell’ambitodello stesso testo l'art. 32 prevede semplifi-cazione negli adempimenti formali in ma-teria di sicurezza sul lavoro e nei cantieri:in particolare, si dispone l'esclusione dal-l’applicazione delle disposizioni del D.Lgs. 81/2008 dei cosiddetti “piccoli lavori”(con una durata inferiore ai dieci uominigiorno) finalizzati a realizzazione o manu-tenzione delle infrastrutture per servizi. An-che ASL e ARPA sono interlocutori impor-tanti; in particolare ad essi è affidato il con-trollo dell’installazione degli impianti con-tro le scariche atmosferiche, gli impianti dimessa a terra e gli impianti pericolosi ingenere attraverso il D.P.R. 462/2001. La Normativa UNI interviene come fonda-mentale strumento di definizione degli ele-menti del progetto e dell’opera edilizia insé; di particolare interesse i riferimenti:• UNI 7543/1 (01.88) “Colori e segnali disicurezza. Prescrizioni generali”,

• UNI ISO 4196 (09.86) “Segni grafici. Uti-lizzazione delle Frecce”,

• UNI ISO 3461/2 (07.89) “Principi genera-li per l’elaborazione dei segni grafici. Se-gni grafici utilizzati nella documentazio-ne tecnica di prodotto” ed infine

• UNI 10402 (11.94) “Segni grafici destina-ti all’informazione al pubblico”.

Il carattere penale delle inadempienze inmateria di sicurezza sul lavoro, e quindianche dei luoghi di lavoro, genera i pre-supposti per l’arresto ed eventualmente lapena pecuniaria in base a quanto stabilitonel D. Lgs. 19/12/1994, n. 758 che tratta ilProcedimento Sanzionatorio specifico cosìcome stabilito dal Codice Penale.La conoscenza di quanto stabilito negli ul-timi decenni in materia di sicurezza deiluoghi di lavoro e di sicurezza del lavorostesso è certamente fondamentale per ilprogettista, ma la padronanza di norme eprescrizioni non può che essere il substratoper il professionista nella redazione di unprogetto che sarà completato con ulterioriindicazioni e obblighi in relazione allaspecifica tipologia di lavoro cui quegli am-bienti sono destinati, pertanto è alle relati-ve norme di settore che si rimanda.

y La sicurezza al lavoro yte

ma

50

LUdovICa CarLa ferrarI designer e agronomo paesaggista, collabora con

l’Università degli Studi di Firenze

NICoLa zeCCHINIconsulente per la gestione della Sicurezza, colla-

bora con l’Università degli Studi di Firenze

[email protected]

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Nella norma ISO-TS 16949:2009,al punto 6.3.2, compare un re-quisito, a tutela del cliente, pergarantire la continuità delle for-niture: “L’organizzazione devepreparare piani di emergenza persoddisfare i requisiti del clientenel caso di eventi di emergenzacome le interruzioni dei servizi,la mancanza di manodopera, iguasti di apparecchiature chiaveed i ritorni dal campo […]”.Con ogni probabilità, questo re-quisito verrà ulteriormente raf-forzato nella futura versione del-la norma che, anziché parlaresemplicemente di gestione del-l’emergenza, introdurrà il con-cetto e i criteri della BusinessContinuity, con un approccio fo-calizzato sui piani di natura pre-ventiva. La prevenzione di unevento negativo, infatti, passa ne-cessariamente attraverso l’anali-si di tutti i potenziali rischi in cuiun’azienda può incorrere e chepossono avere come conseguen-za finale un’interruzione delle

forniture al cliente.Per Business Continuity si inten-de l’insieme dei processi gestio-nali volti ad analizzare in antici-po scenari incidentali che pos-sono influenzare processi criticiper un’azienda, e ad impostarepiani di azione tali da assicurareche essa possa, nel momento cuilo scenario ipotizzato dovesserealmente verificarsi, reagire inmaniera pianificata e organizza-ta, con conseguente minimizza-zione dei danni derivanti dall’in-terruzione di attività.Le situazioni di emergenza, perun’azienda, possono derivare dadue tipi di fattori: interni ed ester-ni. Quando l’emergenza è deter-minata da un fattore interno - co-me un guasto a un impianto diproduzione - è più facilmente ge-stibile - nell’esempio citato, ba-sta aver predisposto un impiantodi back-up o avere a disposizio-ne i pezzi di ricambio - ed è an-che più facile prevenirla, visto checon analisi di tipo affidabilistico è

possibile ridurre di molto le pro-babilità di guasto.Viceversa, quando l’emergenzaderiva da un fattore esterno - sipensi a calamità naturali cometerremoti, maremoti e alluvionio a fenomeni come gli attacchiterroristici, che possono avere unimpatto decisamente grave sulleattività industriali - è di più diffi-cile prevedibilità e controllo daparte di un’organizzazione. L’a-zienda dovrà, quindi, giocared’anticipo e tener conto di simi-li eventualità, alle quali prepa-rarsi predisponendo un piano diemergenza.Per fare un esempio recente,chiunque ricorderà le conse-guenze dello tsunami giappone-se dell’11 marzo 2011 su alcuneCase automobilistiche estere, co-strette ad un temporaneo fermoproduttivo a causa della riduzio-ne delle scorte di componentifabbricati in Giappone, dove al-cuni produttori subirono pesantidanni agli impianti o dovetterocessare l’attività in quanto risie-devano nella zona evacuata del-la centrale nucleare di Fukushi-ma. Un altro esempio del gene-re, risalendo più indietro nel tem-po, è il caso del terremoto checolpì la Turchia il 17 agosto 1999,causando gravi danni ad uno sta-bilimento Pirelli. Grazie ai pianidi emergenza predisposti dall’a-zienda, già il 19 agosto furonoavviati i lavori per la ricostruzio-ne e il 9 settembre uscì dallo sta-bilimento il primo pneumatico.Oggi, però, la maggior parte del-le aziende sono ancora poco sen-sibili al concetto di risk manage-ment a livello industriale e per lopiù ignorano le logiche, le meto-dologie e gli strumenti di analisidisponibili al riguardo. La ten-denza è, piuttosto, quella di tra-sferire il rischio residuo ad unpartner assicurativo.Proprio in previsione della futu-ra evoluzione dell’ISO-TS 16949,ANFIA ha istituito un Gruppo di

Lavoro dedicato alla stesura diuna Guida sulla Business Conti-nuity che, seguendo l’approcciodel DRI (Disaster Recovery Insti-tute), dia supporto alle aziendefin dalla fase di analisi dei possi-bili fattori di rischio, fornendo,con diversi livelli di approfondi-mento, una serie di tool operati-vi per il risk management. La Gui-da - realizzata da esperti prove-nienti da grandi aziende, le primead aver affrontato questi temi -rappresenta quindi un servizio al-le imprese ancora poco formatesu questi argomenti.

n Note1 ANFIA Service nasce nel 1996

come Società di Servizi di ANFIA

(Associazione Nazionale Filiera In-

dustria Automobilistica); è certifi-

cata ISO 9001:2008. Opera in di-

versi settori di attività, tra cui i prin-

cipali sono la consulenza, la for-

mazione, i convegni e le pubbli-

cazioni tecniche in ambito, Qua-

lità, ambiente, Sicurezza ed eti-

ca.

ANFIA, in qualità di membro IATF

(International Automotive Task For-

ce) in rappresentanza dell’industria

nazionale, ha contribuito allo svi-

luppo della Specifica Tecnica

ISO/TS 16949: 2009 e ne monito-

ra costantemente l’applicazione

dello schema di certificazione in

Italia. È dunque anche alla luce

delle ultime e originali indicazio-

ni fornite da IATF che ANFIA Ser-

vice progetta e aggiorna tempesti-

vamente l’offerta formativa di in

area Qualità.

Tutte le informazioni dettagliate e

gli ultimi aggiornamenti sulle atti-

vità di ANFIA Service sono dispo-

nibili sul portale www.anfia.it

marco mantoanamministratore delegato di anFia service

1

responsabile italiano dell’iatF Oversight Office

>>

BUsinEss COntinUityUn apprOCCiO EstEsO aLLa GEstiOnE dELLa COntinUitàOpEratiVa dELL’aziEnda

y Anfia ya

nfia51

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luglio/agosto 2014 www.aicqna.com

y Le nuove generazioni della qualità y52

UNITUS fORmA NUOVE GENERAZIONI

DI pROfESSIONISTI DELLA QUALITà

Tra gli aspetti innovativi del Convegno del 28 marzo sul tema: «Qualità

strumento gestionale per la ripresa e per la costruzione di un nuovo fu-

turo» tenutosi presso il Rettorato dell’Università degli Studi della Tuscia

meritano di essere segnalati i pregevoli contributi di due neo-laureate del Dipartimento di Economia e Impresa.

Elisa MORBIDELLI: «L’Evoluzione dei Sistemi Qualità verso il Sistema Integrato».

La trasformazione di mentalità ed abitudini dei clienti costituisce la principale evoluzione che interviene nella competitività dei mercati. Il

consumatore è: più competente sui prodotti e selettivo; meno fedele; attento alla qualità del prodotto; fa valere i suoi diritti; sensibile al-

l’ambiente e ai diritti dei lavoratori. La Qualità dà efficaci risposte a molte nuove e crescenti esigenze grazie al supporto all’integrazione tra

i “sistemi di gestione” [SGI]; in particolare:

•Q. ambientale, per tutelare i bisogni della collettività presente e futura nel quadro dello sviluppo sostenibile, grazie all’implementazione

di un SGA secondo uno dei due possibili standard: Regolamento EMAS III e ISO 14001:2004;

•Q. del lavoro, per l’efficace tutela di salute e sicurezza dei lavoratori, con l’implementazione del SGSSL secondo lo standard OHSAS 18001.

Tutti i SG perseguono il «miglioramento continuo» mediante l’applicazione del “ciclo PDCA” di Deming che consente di realizzare una

gestione efficace che accresce anche il grado di soddisfazione dei clienti. Questo modello, all’interno dei diversi standard determina im-

portanti punti di connessione: politica formalizzata; definizione di obiettivi conseguenti; gestione e controllo comune della documentazio-

ne; modello di verifica e predisposizione delle azioni correttive e preventive; struttura organizzativa e relative responsabilità; sistema di for-

mazione/istruzione; modello comune per revisioni e riesami. I “punti di connessione” permettono la visione integrata tra SG, con conse-

guente raggiungimento di molteplici vantaggi: assenza di duplicazioni nella documentazione; conduzione di audit congiunti e integrati;

strutture organizzative agili ed efficaci; impegno ottimizzato di risorse umane e di risorse finanziarie/materiali; miglioramento dell’immagi-

ne esterna. I vantaggi sono confermati dal trend positivo che registrano le certificazioni; nell’ultimo biennio si riscontra un sostanziale au-

mento per queste tipologie. ISO 9001: + 46,35%; ISO 14001: + 10,54%; OHSAS 18001: + 135,48%. In definitiva un SGI permette un

più snello, veloce ed efficace mantenimento dei singoli sistemi, permettendo di coniugare sia le necessità economiche (per competitività e

profitti), che quelle emergenti in tema di ambiente e sicurezza (che non possono più essere trascurati in alcun modo).

Carolina TORRI: «Zara: innovazione, rapidità e cheapfashion».

Il mercato della moda è un mondo che vive di tendenze e gusti che cambiano molto rapidamente, anche nella stagione; le aziende punta-

no a velocizzare l’adattamento dell’offerta per soddisfare tempestivamente i bisogni dei clienti offrendo, nel contempo, prodotti con buon

rapporto qualità/prezzo con una tangibile sensibilità ambientale. Questi sono i pilastri del successo di ZARA (azienda spagnola di abbi-

gliamento), appartenente con altri 7 marchi. al «Gruppo Inditex». Il settore è quello del “fast fashion”, caratterizzato proprio dalla velocità

con cui un capo viene disegnato, prodotto e inviato al punto vendita; ha rivoluzionato la vendita al dettaglio imponendo la moda

“chic&cheap” (elegante ed economica) che amplia il target di clientela anche a persone appassionate di moda ma con budget limitato.

Gli obiettivi di qualità sono: elevata efficienza economica e alti livelli di customer satisfaction. Grazie ad una forte integrazione verticale e

sistemica, l’intera filiera produttiva (fornitori, produzione, distribuzione e vendita) viene tenuta sotto controllo operando con una forte at-

tenzione ai fattori “tempo” e “costi”, cercando di anticipare i competitori! Il cliente costituisce l’elemento fondamentale di riferimento del

modello aziendale e del suo core business; con il contatto diretto e coinvolgente nei punti-vendita si punta a soddisfarne i bisogni e a re-

cepirne i suggerimenti utili da utilizzare per la progettazione e lo sviluppo del prodotto. ZARA, grazie al modello operativo contribuisce al-

lo sviluppo sostenibile di ambiente e società; diversi gli obiettivi e le azioni intraprese nell’ambito ambientale; punti vendita, trasporto, pro-

dotto. Per fabbriche e uffici è stato adottato lo standard ISO14001; per i punti vendita grazie al modello di gestione eco-efficiente si sono

ridotti i consumi del 20% (ad es.: utilizzazione di sensori che accendono le luci nelle aree meno frequentate, solo al passaggio dei clienti).

Per il 2020, l’obiettivo è di convertire gli oltre 5.000 punti vendita in un network retailer sostenibile al 100%. I capi realizzati con cotoni

organici completamente privi di pesticidi, agenti chimici e sbiancanti; l’uso di carburanti biodiesel per i trasporti ai punti vendita di 200

milioni di capi/anno ha ridotto del 23% la CO2 emessa in atmosfera. La corretta implementazione del SGQ ha prodotto molti vantaggi: ri-

duzione dei costi di produzione; risposte tempestive alla domanda del mercato, grazie a rapidità e flessibilità dei processi produttivi; mag-

giore soddisfazione del cliente

Cecilia SILVESTRI

Ricercatrice presso il Dipartimento di Economia e Impresa

Università degli Studi della Tuscia di Viterbo

[email protected]

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ttività formativa

8-9 settembreValutatore Interno Sistemi di Ge-stione UNI EN ISO 19011:2012nei laboratori di prova e mediciaccreditati UNI CEI EN ISO/IEC17025:2005 e/o UNI EN ISO15189:2012 10-12 settembreValutatore Interno SGA12 settembreLa stima dell’incertezza di mi-sura nei metodi chimici15-17 settembreLe ISO 9001:2008. Principi, con-tenuti, ed esercitazioni. (Corsopratico di apprendimento per co-loro che si accostano per la pri-ma volta alle norme UNI EN ISO900015-17, 29-30 settembre e 7-8 ottobreCome portare l’Azienda alla cer-tificazione22 settembreCome integrare i Sistemi di Ge-stione: Qualità, Ambiente, Sicu-rezza e Responsabilità Socialecon i contenuti in sintesi dellaspecifica BS PAS 99/2006 29 settembre- La stima dell’incertezza di mi-sura nei metodi microbiologi-ci.

- La Responsabilità Sociale del-le Aziende SA8000 e correla-zioni con la Linea Guida ISO26000. Interazione con D. Lgs.81-08 Salute e Sicurezza suiluoghi di lavoro

29-30 settembreCriteri e metodi per progettare edocumentare un Sistema di Ge-stione per la Qualità 30 settembreFormazione pratica Auditor diprima e seconda parte SA 8000da settembre1° edizione Master“Esperto in Gestione per la Sa-lute e Sicurezza nei luoghi di la-voro” (Health e Safety SystemManager).Valido per l’accesso ai registriAICQ SICEV e per il riconosci-mento dei crediti formativiRSPP/ASPP.(durata n.80 ore ripartite in 10giorni di formazione) 1-3 ottobreCome sviluppare la documen-tazione del Sistema di GestioneAmbientale secondo ISO14001/EMAS: l’Analisi Ambien-tale Iniziale, i Documenti di Si-stema, la Dichiarazione Am-bientale (aggiornato al nuovo Re-golamento EMAS III-CE 1221/2009)2 ottobre Processi affidati all’esterno (out-

sourcing): come identificarli etenerli sotto controllo6 ottobreLo Standard BS OHSAS 18001/2007 come strumento del t.u.sulla sicurezza d.lgs81-08 (art.30) per organizzare ed imple-mentare un sistema di gestioneper la sicurezza di cui al d.lgs231-2001 integrato col sistemadi gestione per la qualità UNIEN ISO 90016-8 e 16-17 ottobre Corso 40 ore Auditor/Esperti 231di Modelli di Organizzazione edi Gestione D. lgs 231/2001 eMembri Organismi di Vigilanza 13 ottobreCome affrontare la pianificazio-ne, il riesame, la verifica e la va-lidazione della progettazione13-15 ottobreValutatore interno SGQ14 ottobreGli indicatori di prestazioniaziendali = indicatori per com-petere20-21 e 27-29 ottobre Corso 40 ore auditor SGS27 ottobreCome integrare i Sistemi di Ge-stione: Qualità, Ambiente, Sicu-rezza e Responsabilità Socialecon i contenuti in sintesi dellaspecifica BS PAS 99/200630-31 ottobreExecutive Auditor (Novità)

15 settembre - Il processo di sviluppo neglischemi auto motive (APQP)- Introduzione ai sistemi di ge-stione per l’energia secondo laUNI CEI EN 50001:2011

16-17 settembre Auditor interno di sistemi di ge-stione per l’energia secondo laUNI CEI EN 50001:201118-19 settembre - Auditor di terza parte sui siste-mi di gestione per l’energia se-condo la UNI CEI EN 50001:2011- Le tecniche FMEA di I e II ge-nerazione. Analisi e previsio-ne di affidabilità nel progettoe processo- Enterprise risk management(ERM). Il rischio managerialed’impresa

22-24 settembreQualificazione auditor internosistemi qualità norma ISO TS16949:200930 settembre Q.F.D. Quality Function De-ployment02-03 ottobre - La legislazione per la salute esicurezza nei luoghi di lavoro - Corso di aggiornamento alla

Per l’attività formativa, ove non indicata, fare riferimento al sito internet delle federate aICQ

luglio/agosto 2014www.aicqna.com

itaLia CEntrOnOrdmilanohttp://centronord.aicqna.com

piEmOntEsEtorinohttp://piemontese.aicqna.com

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ttiv

ità

form

ativ

aPer l’attività formativa, ove non indicata,

fare riferimento al sito internet delle federate aICQ

ISO 9001:201506-10 ottobreCorso 40 ore auditor SGQ06 ottobreCQI- I processi speciali versio-ne AIAG07-10 ottobreAuditor interno SGA09 ottobre 2014Miglioramento e fornitori. Valu-tazione del processo e della ca-pacità produttiva.13-14 ottobreMarketing turistico: tecniche estrategie di base15-17 ottobreCorso base di qualificazione perMystery auditor15-16 ottobreSocial media marketing: princi-pi e strumenti16 ottobreIntroduzione al sistema di ge-stione salute e sicurezza sul la-voro20-24 ottobreCorso 40 ore auditor SGA20-21 ottobreAccoglienza e standard qualita-tivi23-24 ottobre- Introduzione ai sistemi di ge-stione qualità . contenuti dellaISO 9001:2008- La comunicazione nel turismocome leva strategica nella sod-disfazione del cliente

27-29 ottobreQualificazione auditor internoSGQ27-31 ottobreCorso 40 ore auditor SGS

10 settembre- La stima dell’incertezza di mi-sura nei metodi chimici (in coll.con AICQ Centro Nord)- Introduzione all’Eccellenza conil Modello EFQM - Seminario

11 settembreSeminario - Six Sigma ‘Essentials’

17 settembre Gestire informaticamente la do-cumentazione richiesta in un Si-stema di Gestione per la Quali-tà18 settembreSeminario - Costruire e gestirele competenze25-26 settembre- Auditor di terza parte di Siste-mi di Gestione (Modulo A - 16ore)- Le basi per un sistema di Ge-stione Ambientale ed il rego-lamento EMAS

25 settembre- Seminario - I sistemi di valuta-zione della prestazione e i si-stemi premianti nelle aziende- Il controllo di Gestione29 settembreLa stima dell’incertezza di mi-sura nei metodi microbiologici7-8 ottobreProgettare e Sviluppare un Si-stema di Gestione Qualità8-9 ottobreAPQP, PPAP, ISOTS 16949: laQualità nel mondo Automotive.Un supporto operativo per lacomprensione e l’applicazioneda parte dei Fornitori.9-10 ottobreLa norma UNI CEI EN ISO/IEC17025:2005 per i laboratori diprova13 ottobreLa stima dell’incertezza di mi-sura nei metodi chimici14-16 ottobreAuditor Interno SGQ15-16 ottobreCorso I sistemi di valutazionedella prestazione e i sistemi pre-mianti nelle aziende23-24 ottobreValutatore interno di sistemi digestione UNI EN ISO 19011:2012 nei laboratori di prova emedici accreditati UNI CEI ENISO/IEC 17025:2005 e/o UNI ENISO 15189:201229-30 ottobreCorso Lean Six Sigma- forma-zione per ‘Esperti’ (Green Belt)

31 ottobreSeminario: Il Teambuilding e lesue strategie31 ottobreMigliorare l’efficienza/efficaciadei processi attraverso il con-trollo di gestione - Parte 1

19 settembreleadership e gestione delle ri-sorse umane17-18 settembrecertificazione qualità di una re-te di imprese25-26 settembrequalità negli approvvigionamenti10 ottobreLa norma UNI EN ISO 9001 :novità ed aggiornamento sullaprossima revisionel 2015

15-16 settembre Performance Management & Im-provement: dal SGQ al governodelle prestazioni17-18 settembreLa sicurezza nella produzionealimentare - La norma ISO22000 la prevenzione e l’anali-si del rischio HACCP22-23 settembreCorso di formazione per i Dato-ri di Lavoro che svolgono la fun-zione di RSPP 29-30 settembre- La gestione dei laboratori diprova e taratura secondo la nor-ma ISO/IEC 17025- Sistema di Gestione Ambien-tale: normativa e legislazione.

1 ottobre- La nuova norma UNI EN ISO

19011:2012: cosa cambia equali sono le implicazioni- Introduzione al Software Mea-surement

2 ottobreI prerequisiti: come progettare,aggiornare, gestire uno Stabili-mento Alimentare per garantireuna produzione sicura2-3 ottobreSistemi di Gestione Ambientale:norme serie ISO 14000 e Rego-lamento EMAS3 ottobreCollana norme SOFTWARE diriferimento - Modulo 2 (½ gior-nata): I processi del ciclo di vi-ta del software secondo laISO/IEC 122076-8 ottobre- La norma UNI EN ISO9001:2008 e i Sistemi di Ge-stione per la Qualità- Salute e Sicurezza dei lavora-tori: aggiornamento normativo

9-10 ottobre- Sistema di Gestione per la Si-curezza: la norma BS OHSAS18001:2007 - Redazione e gestione della do-cumentazione del Sistema diGestione per la Qualità

13-14 ottobreStrategic Management: Corpo-rate & Business Strategies13-15 ottobreAuditor interno SGQ15-17 ottobreCapability Maturity Model Inte-gration for DEVELOPMENT(CMMI- DEV) v1.3 16 ottobreCollana norme SOFTWARE diriferimento- Mod. 3 (½ giorna-ta): Gestione della configura-zione del software e norme di ri-ferimento (ISO/IEC 12207 - ISO1007 e ISO/IEC TR 15846 ritira-ta nel 2007)17 ottobreIntegrare la Gestione dei Siste-mi Qualità, Ambiente e Sicu-rezza20 ottobreAnalisi ambientale iniziale

CEntrO insULarE romawww.aicqci.it

EmiLia rOmaGnaBolognahttp://emiliaromagna.aicqna.com

tOsCO LiGUrEFirenzehttp://toscoligure.aicqna.com

luglio/agosto 2014 www.aicqna.com

triVEnEtaVeneziahttp://triveneta.aicqna.com

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ttività formativa

siCiLiapalermohttp://sicilia.aicqna.com

20-24 ottobreCorso 40 ore Auditor SGQ21 ottobreIl Sistema di Gestione Azienda-le e la responsabilità ammini-strativa: le prescrizioni del D.Lgs. N. 231 del 08/06/200122 ottobreLa gestione dei rifiuti23-24 ottobreUNI/CEI EN 50001:2011 i Si-stemi di gestione dell’energia27-28 ottobre- Business Planning: dalla Busi-ness Idea al Business Plan- Auditor interno SGS29-30 ottobreAuditor interno SGA30-31 ottobrePeople Capability Maturity Mo-del (P-CMM) (in collaborazionecon Engineering)

29 settembre -1 ottobreCorso 24 ore ISO/IEC 20000 perInternal Auditor30 settembre - 1 ottobreProject Management 11 settembreCorso di formazione specificaper i Preposti di cui all'ASR del21.12.2011

15-16 settembreCorso di formazione specificaper i Dirigenti di cui all'ASR del21.12.201117-19 settembreCorso base sul Software ProjectManagement. La gestione deiprogetti software 18-19 settembreLa Norma UNI CEI EN ISO/IEC17025:2005 22 settembreCorso per Coordinatori per laProgettazione e l'Esecuzione deilavori nella gestione cantieri dicui al Titolo IV del D.Lgs 81/2008 22 settembreIntroduzione ai Sistemi di Ge-stione della Sicurezza Informa-tica. La norma ISO/IEC 27001 22-23 settembre- Il Controllo Statistico dei Pro-cessi in accordo con la normaISO 9001:2008- Tecniche di Negoziazione: ge-stione del conflitto e ricerca delconsenso- Il Bilancio Sociale per le azien-de e la PA

23-24 settembre La normativa ambientale e gliobblighi per le imprese: VIA,VAS, AIA, emissioni, scarichiidrici, gestione rifiuti, rumore24 settembreIntroduzione alla Business Con-

tinuity. La Norma Iso 22301 peri sistemi di gestione della conti-nuità operativa 01 ottobreIntroduzione ai Sistemi di Ge-stione dei Servizi IT 29/09-02 ottobreCorso base di formazione perRLS 1-2 ottobreTecniche di Testing e di Assicu-razione Qualità del Software 1-3 ottobreAuditor Interno dei Sistemi Qua-lità. La norma ISO 19011 ed icriteri di applicazione nelleAziende Sanitarie 6 ottobreCorso di aggiornamento per gliaudit dei sistemi di gestione: lanuova norma UNI EN ISO19011:2012 6 ottobreLa Norma UNI CEI EN ISO/IEC17021:2011 07 ottobre - Corso di aggiornamento perRLS - Aziende che occupanofino a 50 dipendenti - Corso di aggiornamento perRLS - Aziende che occupanopiù di 50 dipendenti

6-7 ottobre- Corso introduttivo sugli stan-dard volontari nella filiera agro -alimentare

- Workshop sul ManagementAgile dei progetti con l’utilizzodi Scrum

8 ottobreCorso formazione formatori sa-lute e sicurezza sul lavoro 8-10 ottobreCorso formazione formatori sa-lute e sicurezza sul lavoro 13-17 ottobreCorso 40 ore auditor SGS20-21 ottobre- I Sistemi di Gestione Ambien-tale: le norme UNI EN ISO14000 - Capacità di comunicazione inpubblico e gestione delle ri-unioni

20-24 ottobreCorso 40 ore auditor SGA21-24 ottobreCorso avanzato sulla applica-zione e valutazione di Sistemi diGestione Responsabilità Socia-le SA 8000 - Accreditato SAI27 ottobreLa linea guida ISO 26000 sullaresponsabilità sociale delle or-ganizzazioni 27-31 ottobreCorso 40 ore auditor SGSI

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mEridiOnaLEnapolihttp://meridionale.aicqna.com

cOmpETENZE E cONOScENZE La futura edizione ISO9001:2015 definirà come “competenza”: «la capacità in termini di

conoscenze e di abilità professionali necessarie per poter conseguire risultati previsti»; «a

volte la competenza dimostrata viene denominata come qualificazione»[3.10]. Il punto

7.2 [cap.7 - processi di supporto] è dedicato alla competenza: «L'organizzazione deve:

a) determinare le competenze necessarie di ciascuna persona che svolge attività lavorati-

ve (rientranti tra quelle “sotto il controllo”) e che possano influenzare il livello qualitativo

delle prestazioni; b) assicurare che le persone siano competenti sulla base di una adeguata azione di istruzione e di formazione, oppure me-

diante acquisizione di esperienze sul campo; c) intraprendere, se necessario, puntuali azioni per far acquisire le competenze necessarie, prov-

vedendo alla successiva valutazione della loro efficacia; d) mantenere un’adeguata documentazione come prova del patrimonio competenzia-

le delle persone. Nota: le azioni applicabili possono includere, ad es.: svolgimento di addestramento (o tirocinio) o di tutoraggio; provvedere

ad un differente affidamento delle attività ai lavoratori dipendenti; assumere o prendere a contratto temporaneo persone dotate delle necessarie

competenze»1.1la traduzione dall’inglese di alcuni stralci dello standard ISO/DIS 9001:2014 è sostanzialmente orientativa (e non è né ufficiale, né impegnativa) in quanto è stata liberamente

proposta dal Direttore della Rivista a soli fini divulgativi.

spigolature

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FEdEraziOnE naziOnaLE

Presidente: Maurizio CONTIvicepresidenti: Ernesto SCURATI, Sergio BINIassemblea: Federica GALLEANO, Giovanni MATTANA,Antonio SCIPIONI, Andrea MINARINI, Ettore LA VOLPE, SergioBINI, Alessandro MANZONI, Salvatore LA ROSAGiunta esecutiva: Maurizio CONTI, Ernesto SCURATI, AlbertoBOBBO, Sergio BINI, Vittorio CECCONI, Claudio ROSSO,Santino PATERNÒ, Domenico GAISegretario Generale: Giacomo CASARINOSegreteria Nazionale: Annalisa ROSSI

assOCiaziOni tErritOriaLi dELLa FEdEraziOnE

AICQ - associazione Italia Centronord20124 Milano - via M. Macchi, 42 - tel. 02 67382158fax 02 67382177 - [email protected]: Giovanni MATTANAAICQ - associazione Piemontese10128 Torino - via Genovesi, 19 - tel. 011 5183220fax 011 537964 - [email protected]: Federica GALLEANOAICQ - associazione triveneta30038 Spinea (VE) - Via E. De Filippo, 80/1tel. 351 0800386 - [email protected]: Antonio SCIPIONIAICQ - associazione emilia romagna40129 Bologna - via Bassanelli, 9/11tel. 3355745309 - fax 051 0544854 - [email protected]: Andrea MINARINIAICQ - associazione tosco Ligurec/o CIPAT Via dei Pilastri n°1/3 50121 FirenzeTel. e fax 055 481524 - [email protected]: Ettore LA VOLPEAICQ - associazione Centro Insulare00185 Roma - via di San Vito, 17 - tel. 06 4464132fax 06 4464145 - [email protected]: Sergio BINIAICQ - associazione meridionale80125 Napoli - via Giulio Cesare, 101 - tel. 081 2396503fax 081 6174615 - [email protected]: Alessandro MANZONIAICQ - associazione Sicilia90139 Palermo - via F. Crispi 108-120,c/o Ordine degli Ingegneri della Provincia di Palermocell. 320 4376481 - fax [email protected]: Salvatore LA ROSA

COmitati tECniCi

Comitato ambiente e energiaPresidente: Antonio SCIPIONIComitato Salute e SicurezzaCoordinatore: Diego CERRAComitato metodi StatisticiPresidente: Egidio CASCINIComitato metodologie di assicurazione della QualitàPresidente: Francesco CARROZZINIComitato Normativa e Certificazionedei Sistemi Gestione QualitàPresidente: Cecilia DE PALMAComitato Qualità del Software e dei servizi ItPresidente: Mario CISLAGHIComitato risorse Umane e Qualità del LavoroPresidente: Piero DETTINComitato Laboratori di Prova e taraturaPresidente: Massimo PRADELLAComitato responsabilità SocialePresidente: Sergio FORNAI

sEttOri tECnOLOGiCi

Settore alimentarePresidente: Claudio MARIANISettore autoveicoliPresidente: Federico RIVOLOSettore Costruzioni CiviliPresidente: Antonino SANTONOCITOSettore elettronico ed elettrotecnicoPresidente: Giovanni MATTANASettore Servizi per i trasportiCoordinatore: Luigi ZANNISettore turismoPresidente: Daniella MANCINSettore trasporto su rotaiaPresidente: Gianfranco SACCIONESettore educationPresidente: Paolo SENNI GUIDOTTI MAGNANISettore SanitàPresidente: Mauro TONIOLO

FEdErata di sCOpO dELLa FEdEraziOnE

AICQ - SICev20124 Milano - via Cornalia 19tel. 02 [email protected]

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aSSoCIaZIonE ITaLIana CULTUra QUaLITà

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Sistemi di Gestione Qualità, Ambiente, Sicurezza, Energia

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Servizi di Ispezione e Audit dei Fornitori nei settori: Alimentare, Retail, Industria, Automotive e Aerospace

Piattaforma i2i: Gestione della Documentazione Tecnica e delle Norme

Formazione Certificazione Prodotto

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CONTATTI: 011 51 65 721 Torino [email protected] www.saiglobal. it www. i2isol utions. net

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