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Progetto cofinanziato da Fondo europeo per l’integrazione di cittadini di paesi terzi L’AQUILA e il DRAGONE Ricerca su percorsi di integrazione della comunità cinese a Barge, Cuorgnè, Torino A cura del Centro Studi - Gruppo Abele di Torino Aut. Trib. Di Torino n. 3137 del 27/2/1982 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale 2/2013– D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. C/RM/10/2013

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Progetto cofinanziato da

Fondo europeo per l’integrazione di cittadini di paesi terzi

L’AQUILA

e il DRAGONERicerca su percorsi di integrazione della comunità cinese

a Barge, Cuorgnè, Torino

A cura del Centro Studi - Gruppo Abele di Torino

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pagine.Il sociale da fare e pensare

n. 2/2013

Stampa: Litografia Cirone S.a.s. - Torino

A cura di:Centro studi – Gruppo Abele di Torino

Testi di Lucia Bianco e Elisabetta Bosio

Realizzazione grafica:Pierino Rolandone

Si ringraziano per la collaborazione:Gu Ailian e Marina Panarese dell’Associazione Zhi Song; Barbara Leonesi e Veronica Regis dell’Istituto Confucio di Torino

Direttore responsabile: Luigi CiottiCoordinamento redazionale: Manuela BattistaSegreteria ed editing: Anna Maria MorinoAmministrazione e promozione: Ass.ne Gruppo Abele OnlusCorso Trapani 95 – 10141 TorinoTel. 011 3841017Rivista edita da Associazione Gruppo Abele OnlusEdizioni Gruppo Abele

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Indice

Premessa .............................................................................................3La migrazione cinese: dati e caratteristiche ...........................5

Una migrazione di imprenditori ...........................................................8La comunità cinese in Piemonte ...........................................................9 La comunità cinese a Torino ................................................................11I cinesi a Cuorgnè ................................................................................14I cinesi a Barge ......................................................................................14

Il progetto "L’aquila e il dragone" ............................................16

La ricerca ...............................................................................................17Il Metodo ...............................................................................................18Gli intervistati .......................................................................................20

Quando le incomprensioni creano pregiudizi e isolamento: analisi delle interviste ......................................22

La questione linguistica .......................................................................22 Servizi e istituzioni: dove le difficoltà comunicativesono all’ordine del giorno ....................................................................24Sfruttamento lavorativo o diritto ad una vita migliore? ....................33Fare comunità al di fuori del proprio Paese ......................................37Luoghi comuni, stereotipi, discriminazioni .......................................46

Laboratori di Italiano: il punto di vista dei partecipanti cinesi sul progetto e sull’apprendimento della lingua italiana .......................................................................49

Riflessioni conclusive ....................................................................54

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Premessa

Come spesso avviene i progetti nascono da incontri o da mancati incontri. “L’aquila e il dragone” nasce da un percorso iniziato nel 2005 dal Gruppo Abele con il progetto “Genitori e figli”. Un percorso di co-struzione di spazi di incontro con le famiglie – genitori e figli insieme appunto – attraverso la creazione di momenti di riflessione sulla geni-torialità, sulle sfide dell’adolescenza e di confronto sulle proprie paure, conoscendo anche, più da vicino, i fenomeni sociali che oggi riguardano le giovani generazioni. Complessivamente l’iniziativa vo-leva creare uno “spazio leggero” e accogliente per le famiglie. Uno spazio che sdrammatizzasse i problemi, le solitudini, le incompren-sioni e i conflitti tra genitori e figli, e che permettesse di parlarne in-sieme, di confrontare le esperienze e sentirsi meno soli nella propria difficile quotidianità. Uno spazio accessibile a tutte le famiglie, in cui l’elemento fondamentale è stato il “non giudizio”; uno spazio volto a stimolare le famiglie ad uscire di casa e incontrarsi condividendo pro-blemi, ricercando un senso, ma anche immaginando soluzioni, co-struendo speranze. Uno spazio per sperimentare un noi che dia più forza e fiducia nel futuro, per essere meno soli.

Fin da subito questo spazio è stato molto frequentato da famiglie con figli piccoli e grandi e la nostra ipotesi è stata quella di pensare che invitando associazioni e comunità straniere, vi potesse essere anche la partecipazione di famiglie di diversa nazionalità. Così non è stato, se non in casi molto sporadici. Abbiamo iniziato a renderci con-tro che l’incontro tra famiglie italiane e straniere per parlare insieme dell’educazione dei figli, non poteva essere un punto di partenza, un dato acquisito, ma che rappresentava il punto di arrivo di un percorso complesso e articolato che doveva essere realizzato attraverso la pro-gressiva costruzione di relazioni individuali e di gruppo, attraverso l’acquisizione di fiducia reciproca nella possibilità di condividere spazi e momenti di incontro. Così nel 2007 abbiamo iniziato ad invi-tare alcune associazioni appartenenti a comunità straniere presenti a Torino per condividere con loro una serata e raccontarci le abitudini, la vita e le tradizioni familiari del proprio Paese, con alcuni piatti “spe-ciali” consumati durante la cena. Abbiamo continuato nel 2009 con il progetto Famiglie in/migrazione: un percorso di ricerca-azione per contattare famiglie appartenenti alle comunità straniere più numero-

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se presenti nella Circoscrizione 3 (Rumena, Marocchina, Peruviana, Albanese, e della Repubblica Popolare Cinese) con l’obiettivo di co-struire dei momenti di dialogo e di incontro, per capirne i vissuti, i di-versi modelli e stili educativi e come questi si incontravano con le op-portunità offerte dalle istituzioni e dai servizi presenti sul territorio; insieme alle risorse ed alle opportunità che queste famiglie potevano offrire alla comunità locale. Per facilitare questi percorsi di contatto e relazione con le famiglie straniere è stato costituito un gruppo di lavo-ro di cui hanno fatto parte associazioni appartenenti alle diverse co-munità nazionali. Il progetto aveva come obiettivo la costruzione di relazioni come elemento centrale per attivare dialogo e scambio tra le famiglie migranti e le famiglie italiane. Relazioni (sia strutturate che occasionali) tra associazioni, persone, famiglie che permettessero di realizzare sul territorio una rete capace di co-progettare iniziative ri-spondenti ai bisogni via via emersi. Questo lavoro ha evidenziato in modo forte la necessità di parlare di “migrazioni”, non di migrazione; di considerare che i percorsi di integrazione, o meglio di inter-azione con le comunità migranti, debbano partire dalla conoscenza delle ca-ratteristiche dei diversi processi di migrazione che le comunità nazio-nali hanno realizzato e stanno realizzando, delle loro peculiarità stori-che e culturali, delle difficoltà che incontrano nel quotidiano.

All’interno di questi percorsi avviene nel 2009 l’incontro con l’asso-ciazione socio culturale italo-cinese Zhi Song e soprattutto con le per-sone che ne fanno parte. Inizia un percorso di confronto, di condivisio-ne della necessità di lavorare insieme per costruire relazioni, ponti, co-municazione con la comunità cinese presente a Torino. Da questo in-contro nasce il progetto l’Aquila e il Dragone finanziato con Fondi FEI 2011 azione 1. Un progetto in cui l’incontro e la relazione tra cinesi e italiani, resi oggi difficili dalle incomprensioni linguistiche e culturali, diventano obiettivo primario dell’iniziativa. Un progetto che vuole con-trastare quel modello di “convivenza nella separazione” (1) che caratte-rizza la comunità cinese. Modello che apparentemente non comporta particolari problematiche e preoccupazioni, evita i conflitti, ma che implica percorsi inevitabilmente carenti, incompiuti e che, a lungo andare, rischiano di degenerare in una vera e propria marginalizza-zione sociale.

(1) Caritas e Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione 2012. 22° Rapporto, Idos, Roma, 2012.

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La migrazione cinese: dati e caratteristiche

Secondo i dati del Rapporto Ismu (2), all’inizio del 2012 la popola-zione straniera presente in Italia è complessivamente di 5,4 milioni con una crescita di 27.000 unità rispetto all’anno precedente. Data la crisi economica, si sono ridotti gli ingressi per motivo di lavoro, men-tre rimangono sostenuti quelli per ricongiungimento familiare e au-mentano quelli per richiedenti asilo e aiuto umanitario, vista la conti-nua crescita nel mondo di aree di crisi e di guerra.

La popolazione cinese al gennaio 2012 conta in Italia 278.000 unità, ed è la terza nazionalità non comunitaria presente in Italia dopo Marocco e Albania. In Europa l’Italia è al primo posto per la pre-senza di migranti cinesi, seguita da Spagna, Germania e Francia (3).

La maggior parte degli immigrati cinesi che vive in Italia e in Europa proviene dalla Cina sud-orientale, in particolare dalla provin-cia di Zhejiang, una piccola provincia cinese, considerata una delle più attive e laboriose.

L’immigrazione cinese presenta due caratteristiche peculiari ri-spetto a quella di altri gruppi nazionali:

il carattere familiare delle catene migratorie. Alcuni partono e poi invitano i parenti a raggiungerli, nella prospettiva di realizzare una piccola impresa familiare. La persona da cui è iniziato il ciclo migra-torio diventa il laboan, il capo, l’imprenditore e, quindi, il centro del nucleo familiare o della famiglia allargata intorno alla quale si orga-nizza l’impresa. Nei casi di crisi lavorative è il nucleo familiare ad as-solvere funzioni di welfare state, offrendo vitto e alloggio ai connazio-nali disoccupati;

l’arrivo di migranti “con capitale”, fenomeno che si è andato sem-pre più sviluppando negli ultimi anni e che coinvolge soprattutto gio-vani cinesi che hanno anche livelli di istruzione elevati. È un’emigra-zione alla ricerca del successo economico alla quale contribuisce tutta la famiglia allargata con i propri risparmi e che promuove una molte-

(2) Fondazione Ismu; a cura di V. Cesareo, Diciottesimo Rapporto sulle migra-zioni 2012, Franco Angeli, Milano, 2013.(3) D. Cologna, intervento al seminario La nuova società armoniosa – Diritto e giustizia in Cina 12 giugno 2013 presso Gruppo Abele di Torino

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plicità di nuove imprese che si diffondono sul territorio italiano anche in un momento di crisi economica e occupazionale generalizzata.

La comunità degli immigrati cinesi conserva un particolare lega-me con la madre patria, attraverso il mantenimento di costumi e riti tradizionali, con i quali si sente parte di un unico universo culturale. La Cina è un Paese enorme, con moltissime differenze al proprio in-terno tra città e campagna, e un vastissimo fenomeno migratorio in-terno, osteggiato dall’organizzazione statale. Una migrazione inter-na, quindi, in gran parte senza diritti e senza tutele per i lavoratori e per le loro famiglie, la cui motivazione principale è economica. Un concetto di migrazione che i cinesi hanno introiettato e che vede come centrale il produrre ricchezza per le proprie famiglie, sia qui che in patria. Produrre ricchezza ad ogni costo, sottostando spesso a ritmi di lavoro durissimi, a condizioni abitative molto povere, ad una dimensione del tempo che non lascia spazio a momenti di con-vivialità, di festa, di scambio con l’esterno. Un modo di intendere la migrazione che lascia il tema dei diritti sociali e civili in secondo piano, visto che ciò che è riconosciuto in modo prevalente è il dirit-to/dovere a migliorare lo stile di vita, anzi ad arricchire la propria fa-miglia. La famiglia come elemento centrale nella cultura cinese, alla quale i singoli devono dedicarsi tralasciando le proprie aspirazioni personali.

Molte ricerche sull’immigrazione cinese indicano nel cultural lag il fattore che rende difficile la convivenza tra la comunità immigrata e quella ospitante. Con questo concetto viene messa in risalto la ca-pacità dei cinesi di inserirsi facilmente ed in tempi brevi nella strut-tura economica e organizzativa esistente, ma allo stesso tempo la difficoltà e la fatica nell’interazione con i modelli sociali, culturali e l’organizzazione dei servizi del Paese ospitante, che non sono perce-piti come essenziali.

Un elemento chiave che rende complessa l’interazione della co-munità cinese con il contesto ospitante è quello della lingua. La lin-gua usata comunemente dai cinesi di prima generazione immigrati in Italia è il dialetto della propria provincia o città di provenienza. Solo nel caso sia necessaria la comunicazione con altri connazionali che non sono della stessa area territoriale, viene utilizzato come idioma la lingua ufficiale, il cosiddetto Mandarino (Pu Tong Hua). La lingua na-zionale è parlata correntemente da coloro di più recente immigrazio-ne, mentre gli appartenenti ai nuclei di più antico insediamento e le

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persone anziane parlano il dialetto e solo come “seconda lingua” la lingua nazionale. I ragazzi cresciuti in Italia per la maggior parte par-lano l’italiano e il dialetto, mentre (a meno che non siano andati in Cina per studio) non conoscono quasi la lingua nazionale e questo rappresenta una delle inquietudini maggiori dei genitori, che si pre-occupano della perdita di contatto dei figli con la cultura della madre-patria. I cinesi nati in patria definiscono le seconde e terze generazio-ni, nate in Italia, col nome di bambini (o ragazzi) “banana”: anche se all’esterno sono gialli, dentro sono bianchi. Il cinese è una lingua molto differente dalla nostra per il fatto di essere una lingua di segni e non alfabetica, per la struttura della frase, per le parole invariabili, e così via. Gli esperti la definiscono una lingua iso-lante, al contrario della nostra che è una lingua flessiva. Ogni parola, invariabile, ha una funzione autonoma, e le relazioni grammaticali e sintattiche sono date dalla disposizione delle parole nella frase, o dalla presenza di particelle che indicano la tipologia della frase, i tempi dell’azione del verbo, le quantità, ecc… Per queste ragioni gli studi compiuti in ambito scientifico hanno dimostrato che vi è una reale difficoltà e una maggiore lentezza nell’apprendere la lingua ita-liana da parte dei cinesi. A questo poi si aggiungono le difficoltà legate a tempi e ritmi lavorativi che nel nostro progetto abbiamo cercato di affrontare.

L’altro elemento chiave riguarda la cultura cinese. Una cultura per lo più sconosciuta agli italiani, ma che ha una storia ed una grandezza millenaria. Gli antichi nomi della Cina ce lo ricordano: Chung Kuò che significa il regno di mezzo, cioè che sta nel mezzo dei barbari; o Chung Huà, il fiore di mezzo, cioè che sta in mezzo alle erbacce. Un impero che per secoli è stato chiuso agli stranieri, che ancora agli inizi dell’800 erano definiti “barabari” per i loro usi ed i loro costumi. D’altra parte il punto di vista europeo, di Paesi che hanno colonizza-to il mondo esportando la propria cultura ed il proprio modello di sviluppo come l’unico possibile (4) non ha facilitato l’incontro e lo scambio. Nel nostro Paese, per motivi prevalentemente economici, oggi avviene l’incontro tra queste due culture che non si conoscono e che partono ciascuna dal punto di vista dell’essere unica deposita-ria della verità e che per poter comunicare avranno bisogno di molto

(4) S. Latouche, L’occidentalizzazione del mondo, Bollati Boringhieri Torino, 1996, Torino

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tempo e di un grande sforzo nel promuovere incontro e dialogo tra le persone.

Una migrazione di imprenditoriRecenti studi condotti in tema di imprenditoria cinese in Italia (5),

hanno messo in evidenza l’importanza che la scelta di un percorso la-vorativo autonomo e in particolare imprenditoriale, riveste nel per-corso migratorio della comunità cinese per la quale l’attività impren-ditoriale rappresenta anche un importante mezzo di riconoscimento personale e di ascesa sociale. Queste caratteristiche migratorie vengo-no confermate dai dati della Camera di Commercio di Torino, secon-do i quali nel 2011 in Italia si calcolava la presenza di 36.800 imprese individuali cinesi, localizzate principalmente in Toscana (22%), Lombardia e Veneto. Il Piemonte si collocava all’ottavo posto con 1.086 imprese individuali, il 6,4% delle imprese straniere, in terza po-sizione dopo quelle rumene e marocchine.

Secondo il Rapporto CNEL 2010, la comunità cinese in Italia si ca-ratterizzava per tassi di occupazione superiori al 60% già nei primi tre anni di arrivo nel nostro Paese. In parte ciò sembra motivato dalla stretta connessione con il tipo di catene migratorie attivate: l’arrivo di nuove persone in Italia si attiva internamente alla comunità cinese principalmente se è già prevista un’occupazione. La decisione di par-tire è frutto di una concertazione familiare che sceglie il membro più idoneo per compiere l’impresa migratoria. La migrazione cinese ap-pare, quindi, un processo che si autoalimenta, e auto sostiene. Questo può avere dei vantaggi per i membri della comunità, ma anche per la società di arrivo in quanto in questo modo si garantisce un rapido as-sorbimento dei nuovi immigrati nel mercato del lavoro. Allo stesso tempo, però, se ne evidenziano le criticità: questo tipo di migrazione non favorisce l’apertura della comunità cinese sul territorio di arrivo, ne impedisce la mobilità lavorativa e sociale con il rischio di generare fenomeni di segregazione e di autoesclusione.

Secondo il Dossier statistico Caritas Migrantes del 2009, la popola-zione cinese residente in Italia è particolarmente giovane, con una

(5) Cfr. Camera di Commercio Industria e Artigianato, Fieri, Diventare Laoban. Lavoro autonomo, percorsi imprenditoriali e progetti migratori dei cinesi in Italia e a Torino, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino, 2011.

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media di 29 anni per le donne e di 31 per gli uomini, con una concen-trazione maggiore nella fascia di età tra i 25 e i 40 anni. Sono molto presenti anche bambini nel primo anno di età, mentre diminuiscono dopo il secondo per la tendenza a far tornare i figli nel Paese di origi-ne a causa della difficoltà a conciliare i ritmi lavorativi con l’impegno e la cura richiesti dai piccoli. I ricongiungimenti avvengono soprattut-to nell’età della scuola elementare quanto i bambini/e hanno rag-giunto una maggiore autonomia, e non è esente da difficoltà sia di in-serimento scolastico che sociale, come più avanti metteremo in evi-denza nella presentazione delle interviste raccolte.

La comunità cinese in Piemonte Secondo il Dossier Statistico Immigrazione del 2012 di Caritas e

Migrantes, la presenza straniera in Piemonte registra una crescita, seppur a ritmo più ridotto rispetto agli anni precedenti: 422.000 sono i cittadini stranieri regolari nella Regione nel 2011, il 9,5% della popo-lazione residente. A fine 2011 i soggiornanti stranieri non comunitari (inclusi i minori iscritti sul permesso dei genitori) sono 261.176, e si concentrano principalmente nelle aree del capoluogo (45% dei sog-giornanti) e nel cuneese (16%). La comunità cinese in Piemonte conta 17.747 residenti ed è la terza comunità extra europea dopo Marocco e Albania con il 6,8% del totale dei residenti stranieri nella Regione. La presenza cinese in Piemonte si concentra principalmente nella Provincia di Torino, con 7.553 residenti il 3,64% della popolazione straniera in Provincia (6) e in Provincia di Cuneo con 2.216 persone, il 4,2% sul totale degli stranieri residenti (52.761).

Prendendo in esame anche nella nostra regione la presenza dell’imprenditoria cinese si evidenzia come, nonostante la crisi, que-sta continui a crescere. La Regione Piemonte conta 26.089 stranieri ti-tolari di impresa, 947 in più rispetto al 2010. Di questi 1.866 sono ci-nesi, il 7,2 % degli stranieri titolari d’impresa in Piemonte. Sul territo-rio regionale la comunità cinese è quella che presenta la percentuale più alta di titolari d’impresa rispetto alle altre comunità straniere più numerose residenti sul territorio: il 10,5% del totale dei residenti cine-si è titolare d’impresa, seguiti dai marocchini con il 9,3%, dagli alba-

(6) Osservatorio Interistituzionale sugli Stranieri in Provincia di Torino, Rapporto 2010, Città di Torino, 2011

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nesi con il 6,9%, e dai rumeni con il 5,3% (7). Una caratteristica speci-fica dell’imprenditoria cinese riguarda l’alta percentuale di donne ti-tolari di azienda, come si evidenza nella tabella n. 1, presenti soprat-tutto nei settori dell’abbigliamento, della ristorazione e dei servizi alla persona (parrucchieri, centri estetici, ecc…).

Tabella n. 1: Presenza imprenditoriale cinese nelle Province di Cuneo e Torino per classe di età e genere. (Anno 2012).

Fonte: InfoCamere - Camera di commercio di Torino

La presenza preponderante dell’imprenditoria cinese nelle pro-vince di Torino e di Cuneo (aree in cui si è realizzata l’attività del pro-getto L’Aquila e il Dragone) è nei settori del commercio all’ingrosso e al dettaglio e della ristorazione.

Come mette in evidenza una ricercatrice della Camera di Commercio di Torino intervistata: “[…] siamo in presenza di una co-munità che ha tra i processi di inserimento professionali più rapidi, rispetto alle altre comunità (8). La famiglia è centrale soprattutto sotto

(7) Caritas e Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione 2012, Idos, Roma, 2012(8) L’intervistata si riferisce alla ricerca “Diventare Laoban. Lavoro autonomo, percorsi imprenditoriali e progetti migratori dei cinesi in Italia e a Torino, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino, 2011.

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l’aspetto del finanziamento che proviene dalla rete familiare. I cinesi presenti in Piemonte provengono prevalentemente dallo Zhejian, una provincia a grande vocazione imprenditoriale, soprattutto di piccole imprese. Un territorio dove c’è stato un boom economico rapido basato soprattutto sulle imprese familiari. Quindi lo spirito imprenditoriale è particolarmente presente tra i cinesi immigrati, che mantengono forti relazioni con la madrepatria e presentano un forte attaccamento alla cultura e alle tradizioni”. (Ricercatrice Camera di Commercio)

La comunità cinese a TorinoA Torino la comunità cinese conta 6.786 residenti, il 4,7% del tota-

le dei residenti stranieri in città (142.191)(9), la terza comunità extra-europea dopo Marocco e Perù. Una comunità in costante aumento (tabella n.2), che in quattro anni è cresciuta di 1.805 unità. Più dell’80% delle persone cinesi presenti a Torino proviene dal distretto di Yuhu, nella Zhejiang, in cui il cognome più diffuso è Hu.

Tabella n. 2 Cinesi residenti a Torino negli ultimi 4 anni

2009 2010 2011 2012

4.981 5.518 6.059 6.786

Fonte: Comune di Torino - Ufficio Statistico

Le origini della comunità cinese di Torino risalgono al periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale, dopo che i francesi reclutaro-no nel 1917 parecchie migliaia di uomini da diverse regioni della Cina, soprattutto dallo Zhejiang, per essere impiegati nell’industria bellica, e per scavare le trincee sulla frontiera nord, tra la Francia e le Fiandre. Al termine del primo conflitto mondiale molti tornarono in patria, ma alcuni rimasero in Europa. A Torino erano non più di poche decine. Questa diaspora iniziale innescò una reazione a catena di chiamate per ricongiungimenti familiari e reti di amicizie tra compaesani. All’inizio erano per lo più uomini soli, giovani che si dedicavano alla vendita ambulante. In seguito si aprirono i primi laboratori di pellette-

(9) http://www.comune.torino.it/statistica/dati/pdf/stranterr/2012_nazionali-ta_stranieri_x_circ.pdf

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ria e nacquero i primi ristoranti (10). Il fenomeno dell’immigrazione ci-nese a Torino è diventato più visibile e significativo a partire dal periodo di approvazione delle prime leggi sull’immigrazione e delle successive procedure di regolarizzazione (la L. 943/1986 e la L. 39/1990)(11). La co-munità cinese è stata fino a poco tempo fa considerata un mondo omogeneo e compatto al proprio interno, apparentemente meno dif-ferenziato e frammentato di altre comunità di stranieri. Ora, essendo diventati la terza comunità nazionale extra europea presente a Torino, rappresentano sempre più una componente economica significativa, ben visibile con i suoi ristoranti, laboratori, negozi e mercati, anche se ancora poco integrata nel tessuto sociale della città.

Come evidenzia la tabella n. 3 le circoscrizioni con maggiore pre-senza di cinesi residenti sono la 6 e la 7, mentre le attività commercia-li gestite da cinesi sono sparse in tutta la città.

Tabella n. 3 Presenza della comunità cinese nelle 10 circoscrizioni di Torino 2012

Circ. 1 Circ. 2 Circ. 3 Circ. 4 Circ. 5 Circ. 6 Circ. 7 Circ. 8 Circ. 9 Circ. 10 Tot.

430 149 459 526 695 1.681 2.210 221 314 101 6.786

Fonte: Comune di Torino - Ufficio Statistico

Per quanto riguarda la struttura della popolazione cinese per fasce d’età nel 2011(12) i bambini e le bambine tra 0 e 14 anni sono stati 1.456 (24%), le persone tra 15 e 24 anni 881 (14,5%), quelle tra 25 e 54 anni 3.434 (56,7%), quelle tra 55 e 64 anni 202 (3,3%) e 65 e over sono stati 86 (1,4%). Il raffronto con le percentuali italiane sulle stesse fasce d’età (13): 0-14 anni:13.8%; 15-24 anni:9.9%; 25-54 anni:43.2%; 55-64 anni:12.3%; 65 e over:20.8%, rende evidente quanto la comunità cine-se a Torino sia giovane.

L’immigrazione cinese a Torino risulta, come abbiamo già visto,

(10) www.provincia.torino.it/xatlante/mediaecomunita, alla scheda sulla co-munità cinese presente a Torino del progetto “Media e Comunità”. (11) L. Berzano, C. Genova, M. Introvigne, R. Ricucci, P. Zoccatelli, Cinesi a Torino. La nascita di un arcipelago, il Mulino, Bologna 2010.(12) Osservatorio Interistituzionale sugli Stranieri in Provincia di Torino, Rapporto 2010, Città di Torino, 2011(13) https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/it.html

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essenzialmente un fenomeno familiare (14). L’età media è tra i 30 e i 40 anni, numerosi risultano anche i bambini dagli 0 ai 4 anni e i giovani tra i 20 e i 24 anni. I giovani italo-cinesi con un’istruzione sempre più elevata cercano lavoro nell’ambito dei loro studi, per cui spesso non vogliono rilevare l’impresa familiare. L’opposizione dei figli ai genitori provoca scontri generazionali legati alla difficoltà di comprensione tra vecchie e nuove generazioni. Le prime quasi totalmente inserite nella cultura europea che attribuisce importanza predominate all’indivi-duo, ai suoi diritti e alle sue capacità e volontà, le seconde legate an-cora ad una cultura confuciana in cui predominante è l’importanza della famiglia e delle sue esigenze rispetto a quelle dei singoli. La se-conda generazione oggi costituisce più del 30% dell’intera popolazio-ne cinese a Torino, è eterogenea per nascita ed età di arrivo, e anche per tipologia familiare.

Secondo i dati della Camera di Commercio a Torino nel 2012 gli imprenditori cinesi erano 1.472, mostrando una crescita significativa negli ultimi dieci anni. Inoltre si è assistito a una crescita dell’impren-ditoria femminile, come abbiamo già accennato; nel 2010 quasi la metà degli imprenditori cinesi erano donne. L’età media degli im-prenditori è di 38 anni. Il settore in cui è più forte l’imprenditoria ci-nese è quello del commercio ambulante dei prodotti di abbigliamen-to, (24,1% sul totale), a seguire il commercio al dettaglio di altri pro-dotti (20,9%) e dei prodotti di abbigliamento (10,2%). Il 17,5% delle attività imprenditoriali è legata, invece, alla ristorazione (15). Un ultimo elemento interessante per comprendere la realtà dei cinesi a Torino riguarda il tema dell’occupazione. Secondo i dati della Questura (16) i cittadini cinesi con permesso in corso di validità sono attualmente 9.500, la seconda comunità non europea dopo il Marocco. Di questi soltanto 100 permessi sono stati rilasciati in attesa di occupazione, una percentuale bassissima che conferma come tra gli immigrati cinesi non esista, nemmeno in un periodo di crisi eco-nomica come quello odierno, il problema dell’occupazione.

(14) Ibidem, p. 106(15) Cfr. Camera di Commercio Industria e Artigianato, Fieri, op. cit, p.131(16) Intervento: I cinesi e la legge. L’esperienza della Questura di Torino della dott.ssa Rosanna Lavezzaro, dirigente ufficio immigrazione della Questura di Torino al seminario La nuova società armoniosa Diritto e giustizia in Cina 12 giugno 2013 Torino

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L'Aquila e il Dragone

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I cinesi a Cuorgnè Come abbiamo già visto, secondo i dati dell’Osservatorio

Interistituzionale sugli stranieri (17) i cinesi presenti nella provincia di Torino (N.B. Torino inclusa) nel 2011 erano 7.553 (3.757 donne e 3.796 uomini), pari al 3,64 della popolazione straniera residente. Si confer-mano in aumento rispetto al 2010 che contava 6.832 cinesi. 900 sono gli studenti cinesi (di cui 651 a Torino) inseriti nelle scuole Statali e paritarie nell’a.s 2011/2012. Gli stranieri residenti a Cuorgnè (18) al 1° gennaio 2011 erano 1.029 e rappresentavano il 10,1% della popolazio-ne residente. Nel comune la comunità straniera più numerosa è quel-la proveniente dalla Romania con il 37,1% di tutti gli stranieri presenti sul territorio, seguita dalla Repubblica Popolare Cinese (20,9%) e dal Marocco (19,9%). I cinesi sono 215 di cui 108 maschi e 107 femmine. La presenza della comunità cinese a Cuorgnè inizia alla fine degli anni 90 ed oggi è al primo posto tra le comunità di immigrati non comuni-tari presenti nel comune. I cinesi lavorano prevalentemente come operai nell’industria dello stampaggio del ferro, lavoro molto duro in cui sono richieste notevoli capacità manuali, disponibilità e flessibili-tà. Secondo i dati della Camera di Commercio soltanto 9 sono gli im-prenditori registrati a Cuorgnè nel 2012.

I cinesi a BargeGli stranieri residenti nella Provincia di Cuneo secondo i dati

dell’Osservatorio Istat al 01/01/2011 erano 56.166, pari al 14,1 della po-polazione residente (19). La comunità straniera più numerosa era quella proveniente dalla Romania con il 24,9% di tutti gli stranieri presenti sul territorio, seguita dall’Albania (21,2%) e dal Marocco (18,4%). I cittadini cinesi erano 2.518. di cui 1.368 uomini e 1.150 donne e rappresentava-no il 4,48% della popolazione straniera residente.

A Barge, terzo e ultimo territorio in cui è stato realizzato il progetto le caratteristiche dei percorsi di migrazione della comunità cinese sono

(17) Osservatorio Interistituzionale sugli Stranieri in Provincia di Torino, Rapporto 2010, Città di Torino, 2011(18) http://www.tuttitalia.it/piemonte/46-cuorgne/statistiche/cittadini-stra-nieri-2011/ (19) http://www.tuttitalia.it/piemonte/provincia-di-cuneo/statistiche/cittadi-ni-stranieri-2011/

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diverse rispetto a Torino e Cuorgnè e hanno come motore l’”oro grigio” della valle, la pietra di Luserna, tesoro economico del territorio (20). Trent’anni fa nessuno voleva più dedicarsi a questo mestiere e i giovani preferivano cercare un impiego a Torino. Gli immigrati, di ogni nazio-nalità, reggevano un mese o poco più un lavoro così duro. La storia, che sconfina nella leggenda, racconta come uno scalpellino cinese abbia innescato un formidabile passaparola che, dal 1994 a oggi, ha attratto una rete sempre più ampia di connazionali, parenti e amici richiamati sin dalle foreste dello Fujan, in Valle Infernotto (nei comu-ni di Bagnolo e Barge) e in Val Pellice (a Luserna San Giovanni), a ca-vallo delle province di Cuneo e Torino. Provengono quasi tutti da Yuhu, un minuscolo villaggio di cavatori dello Zhejiang. Alcuni nel tempo hanno costituito delle imprese, ma la maggior parte lavorano, anche 12 ore al giorno, come scalpellini, dipendenti, per produrre sampietrini e rivestimenti “a mosaico” e per spaccare e smussare le pregiate lose destinate ai tetti delle villette rustiche della zona o esportate in Val d’Aosta e Francia.

Gli stranieri residenti a Barge al 1° gennaio 2011 erano 1.222 e rap-presentavano il 15,5% della popolazione residente (7.872 abitanti) (21). La comunità straniera più numerosa è quella proveniente dalla Repubblica Popolare Cinese con il 64,6% di tutti gli stranieri presenti sul territorio: 789 residenti, di cui 431 maschi e 358 femmine. A Bagnolo Piemonte (comune limitrofo) gli stranieri residenti erano 717 e rappresentavano l’11,8% della popolazione residente (6.068 abitan-ti). Anche in questo caso la comunità straniera più numerosa è quella proveniente dalla Repubblica Popolare Cinese (403 di cui 208 uomini e 195 donne) con il 56,2% di tutti gli stranieri presenti sul territorio, seguita dalla Romania (22,6%) e dal Marocco (9,2%). I due paesi di Barge e Bagnolo Piemonte ospitano una della comunità cinesi più nu-merose d’Europa rispetto alla popolazione del luogo.

(20) http://magazine.terre.it/notizie/rubrica/1/articolo/1327/Le-valli-del-dragone#sthash.P6LJVKiS.dpuf(21) http://www.tuttitalia.it/piemonte/16-barge/statistiche/cittadini-stranie-ri-2011/

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L'Aquila e il Dragone

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Il progetto “L’aquila e il dragone”

Come è stato sottolineato nelle pagine precedenti, l’interesse per un incontro reciproco tra comunità cinese e tessuto sociale italiano sem-bra essere messo in secondo piano rispetto agli obiettivi economici del progetto migratorio e innesca processi che vanno a scapito di una reale integrazione e interazione tra le due comunità, di cui soffrono soprat-tutto le persone più fragili (donne e minori ricongiunti o nati in Italia), che devono lottare per potersi costruire una vita autonoma e dignitosa. La lingua è uno degli elementi che, come abbiamo già ampiamente messo in luce, contribuiscono in modo rilevante a rendere complessa l’interazione della comunità cinese con il contesto ospitante. Le note-voli differenze tra le due lingue rendono i processi di apprendimento difficili e lunghi, i ritmi di lavoro stressanti, spesso all’interno di aziende i cui proprietari sono della stessa comunità, il fatto che le persone cine-si siano particolarmente timide, schive e riservate, sono altri elementi che contribuiscono a questa difficoltà. Se da un lato le prime genera-zioni, emigrate dalla repubblica popolare cinese, hanno difficoltà ad apprendere l’italiano, dall’altro i giovani nati e cresciuti in Italia non hanno la possibilità di apprendere in modo adeguato la lingua e la cul-tura cinese come vorrebbero le loro famiglie per continuare a mantene-re uno stretto contatto con la madrepatria.

A partire da questi dati e da queste considerazioni è nata l’idea di costruire un progetto che permettesse incontro e scambio tra comunità cinese e italiana attraverso i due elementi principali che permettono di costruire relazioni reciproche: la lingua e la cultura. La possibilità di ap-prendere la lingua e la cultura italiana, da parte della comunità cinese, e la promozione della lingua e della cultura cinese tra gli italiani e tra i bambini cinesi e italiani nella fascia 6- 10 anni, sono le modalità con cui, in un clima di “interazione” e non integrazione o - ancora peggio- di assimilazione o convivenza nella separazione, si è scelto di lavorare sulle difficoltà di inclusione sociale dei cittadini cinesi.

Il primo elemento fondante del progetto è stato la costruzione della rete dei partner. Insieme al Gruppo Abele, promotore del proget-to, si sono costituiti come partner l’Associazione italo-cinese Zhi Song e l’Assessorato al Coordinamento Politiche per la multiculturalità e per l’integrazione dei nuovi cittadini del Comune di Torino. Due asso-ciazioni, una italiana e l’altra cinese, che lavorano sulle tematiche so-

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ciali insieme all’istituzione garante della continuità degli interventi. Al progetto hanno aderito anche l’Università di Torino attraverso l’Istituto Confucio, con una competenza specifica sul tema della cul-tura e della lingua cinese, alcuni CTP locali, le amministrazioni di Cuorgnè e Barge e l’Associazione cinese e italo-cinese Hui Song di Cuorgnè. Ma l’aspetto più significativo di questa rete, che ha reso pos-sibile una vera interazione con i cittadini cinesi, è stata la presenza dell’associazione Zhi Song come mediatore ed “attivatore” delle co-munità cinesi presenti sui diversi territori, in particolare attraverso la collaborazione con le altre associazioni cinesi e la rete di relazioni con persone e famiglie creata grazie alle numerose attività socio-culturali realizzate in questi anni.

La ricercaL’attenzione alla questione linguistica quale strumento di integrazio-ne della comunità cinese, centrale nel nostro progetto, ci ha spinto a cercare di approfondire attraverso un percorso di ricerca/azione la conoscenza delle situazioni in cui la comunicazione tra cinesi e italia-ni è più difficoltosa, perché i diversi punti di vista non riescono ad es-sere espressi e compresi. Questo avviene non solo a causa delle diffi-coltà linguistiche tout court, ma anche per la non comprensione del retroterra culturale che dà significato alle parole che vengono utiliz-zate e ai comportamenti che vengono adottati. Abbiamo scelto di ascoltare i due punti di vista della relazione: da un lato quello degli immigrati cinesi, dall’altro quello degli italiani che lavorano in servizi e istituzioni che sono a più stretto contatto con i cinesi. Due punti di vista che a volte si incontrano, ma senza comprendersi e che rischia-no di creare muri di incomunicabilità. Il percorso di ricerca si è orientato all’approccio della ricerca-azione, un metodo di lavoro che prevede di individuare, analizzare e affronta-re i problemi del contesto locale attraverso la relazione con i soggetti coinvolti. In questo tipo di ricerca, il contenuto è raccolto attraverso la relazione, ma la relazione diviene anch’essa contenuto. Ed è pro-prio sulle modalità e sulle difficoltà della relazione che abbiamo con-centrato la nostra attenzione nelle interviste realizzate. In questo senso ci sembra importante esplicitare che cosa significa per noi il termine relazione. La relazione sociale va intesa quale realtà di un rapporto tra noi e le cose, tra noi e gli altri e non come rapporto logico o meramente psichico. Così intesa la relazione sociale è:

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• re-fero, cioè referenza simbolica, in quanto attribuisce significato ai singoli individui ed al contesto;

• re-ligo, cioè connessione e vincolo strutturale, legame che esiste tra persone, gruppi, comunità di diverse nazionalità;

• relazione, cioè fenomeno emergente di un agire reciproco: i legami si evidenziano in azioni.

Nella relazione, le persone, i gruppi, le comunità territoriali o etni-che si scambiano tra di loro significati. Nelle relazioni si dà significato alla propria esistenza e all’esistenza degli altri. La relazione rappre-senta un vincolo, un legame che esiste sia a livello formale che infor-male. Essa è fatta anche di azioni che significano e che rendono con-creti i legami, i contenuti che si scambiano al loro interno e la cultura. È importante tener presente, però, che i legami, le relazioni sociali in sé, non garantiscono la produzione di un sostegno per i singoli, o di solidarietà all’interno di un contesto sociale. Esistono legami positivi e negativi, relazioni che supportano o che invece etichettano, esclu-dono, marginalizzano. Il nostro lavoro di ricerca, quindi, ha voluto in-dagare la natura di queste relazioni, di questi legami, i significati, che, anche al di là delle parole, si veicolano per aprire interrogativi e spazi inediti di confronto e incontro.

La ricerca stessa è stata occasione per costruire relazioni con le as-sociazioni di migranti cinesi presenti sul territorio e con gli operatori, per ascoltarne le difficoltà, ma anche per ragionare su di esse, per de-finirle meglio e per individuare come affrontarle. La relazione costrui-ta attraverso l’ascolto è diventata, quindi, fonte di conoscenza, ma anche di coinvolgimento dei diversi attori, nel prendere maggiore consapevolezza dei significati attribuiti ai comportamenti dell’uno nei confronti dell’altro e della natura dei problemi di comunicazione. La restituzione dei risultati, nelle pagine che seguono, vuole essere un ulteriore passo avanti nel tentativo di individuare modalità per attiva-re processi di reale comunicazione tra comunità cinese, servizi e isti-tuzioni del territorio e per affrontare alcune delle principali fonti di incomprensione non solo linguistica, ma culturale che contribuisco-no a creare stereotipi e separazione tra persone, gruppi, comunità.

Il metodoLa ricerca ha previsto una prima fase di individuazione e contatto,

attraverso le reti territoriali attivate nella fase di avvio del progetto, di opinion leaders della comunità cinese nei territori di Torino, Barge e

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Cuorgnè, che sono stati individuati nei rappresentanti delle associa-zioni cinesi presenti sui territori di riferimento, e di operatori e fun-zionari dei servizi maggiormente utilizzati dalla popolazione cinese.

Le persone contattate sono state coinvolte in un’intervista semi-strutturata. La traccia dell’intervista ha preso spunto dalla tecnica degli incidenti critici, una metodologia che permette di raccogliere i giudizi e le opinioni dei fruitori dei servizi attraverso il racconto di eventi emble-matici. Come messo in evidenza da alcuni studiosi “dal punto di vista interculturale, essi [gli incidenti critici, ndr] possono essere definiti come brevi descrizioni di situazioni in cui si verifica un malinteso co-municativo derivante dall’incontro di due diversi sistemi culturali. Ogni descrizione dell’“incidente” contiene informazioni sufficienti per iden-tificare la situazione, descrivere che cosa è successo e, auspicabilmente, far riflettere sui sentimenti e le reazioni delle parti coinvolte. Le diffe-renze culturali (intese come diverse premesse implicite) delle parti in causa non vengono descritte in modo analitico, ma vengono messe in luce e si riflette su di esse attraverso l’evento stesso (Wight, 1995; Fowler,Blohm, 2004). Il punto nodale sta nel fatto che essi si concentra-no su situazioni di potenziale incomprensione che vanno “al di là” dello specifico linguistico (Weeks et al., 1979; Kohls, Knight, 1994; Fowler, Mumford, 1995; Cushner, Landis, 1996).” (22)

Agli intervistati, quindi, è stato chiesto di partire dal racconto di situazioni sperimentate nel loro rapporto con la scuola, con i servizi sanitari, con le istituzioni locali, per poter accedere più facilmente ai loro vissuti, alle loro opinioni e relazioni con i servizi italiani. Durante la conduzione delle interviste tuttavia, non sempre è stato possibile seguire la traccia ipotizzata: a volte risultava difficoltoso da parte degli intervistati, soprattutto gli opinion leaders cinesi, ricordare un parti-colare evento e narrarlo di fronte all’intervistatore. Per agevolare la conversazione e mettere a proprio agio l’interlocutore, quindi, le prime domande formulate hanno riguardato le esperienze dirette degli intervistati in qualità di rappresentanti delle associazioni che operano sui territori, tema a loro più vicino e sul quale gli intervistati si sentivano maggiormente esperti e preparati nel rispondere. Tale ri-definizione della traccia, a volte del disegno stesso di ricerca, è usuale nella ricerca non-standard, che consente di “adottare una domanda

(22) M. Damini, A. Surian, L’uso degli incidenti critici nella valutazione dello sviluppo delle competenze interculturali, in Giornale Italiano della Ricerca Educativa - anno V - numero speciale - ottobre 2012, p. 293.

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di ricerca complessa e mutevole nel tempo e consente agli intervistati di esprimere il loro punto di vista senza dover necessariamente far proprie le categorie cognitive immaginate a priori dal ricercatore”(23). Nell’ambito della nostra ricerca/azione la progressiva acquisizione, at-traverso l’ascolto degli intervistati, di questioni e punti di vista non presi in considerazione all’inizio del lavoro, ci ha permesso di aggiusta-re e di rendere le interviste, via via condotte, più mirate e specifiche ri-spetto ai problemi di relazione e comunicazione tra italiani e cinesi. Le tracce delle interviste sono state scritte in italiano e soltanto nel caso di due opinon leaders cinesi, che avevano maggior difficoltà linguistica, ci si è avvalsi della traduzione consecutiva della mediatrice.

Originariamente il lavoro di ricerca prevedeva anche la realizza-zione di focus group tra membri della comunità cinese. Tuttavia, nel corso del progetto, la relazione con i rappresentanti delle associazioni cinesi, le difficoltà linguistiche rilevate, le relazioni costruite con i membri della comunità cinese nei laboratori di italiano hanno reso evidente la difficoltà nel condurre dei focus group con persone cinesi. Si è quindi scelto di utilizzare lo strumento del questionario a doman-de chiuse per interpellare le persone cinesi partecipanti ai laboratori e aiutarle a mettere a fuoco le difficoltà di comunicazione maggior-mente sentite nei confronti di servizi, istituzioni e persone italiane. I questionari hanno voluto indagare alcune dimensioni riguardanti le difficoltà degli intervistati nell’apprendimento della lingua italiana, la loro opinione rispetto alla partecipazione al corso di italiano e alcuni aspetti relativi al loro rapporto con i territori di riferimento, quali Torino, Barge, Cuorgnè. Attraverso la somministrazione e l’analisi dei questionari raccolti si è voluto restituire uno sguardo, parziale e non rappresentativo dell’intera comunità cinese presente, dei frequentan-ti ai corsi, delle loro opinioni, nell’ottica anche di un loro diretto coin-volgimento rispetto ai temi e agli obiettivi che hanno riguardato l’in-tero progetto “L’Aquila e il Dragone”.

Gli intervistatiGli opinion leaders della comunità cinese individuati e intervistati

sono stati otto: 2 mediatrici culturali che operano nell’ambito dei ser-

(23) M. C. Pitrone, Fabrizio Martire, Gabriella Fazzi, Come ci vedono e ci rac-contano. Rappresentazioni sociali degli immigrati cinesi a Roma, FrancoAngeli, Milano, 2012, p. 77.

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vizi socio-sanitari e 8 rappresentanti delle seguenti associazioni cinesi presenti sui territori di Torino, Barge e Cuorgnè: • Associazione Zhi Song;• Associazione Hui Song di Cuorgnè;• Associazione cinese e italo-cinese di Torino;• AICUP: Associazione Immigrati Cinesi Uniti in Piemonte;• ANGI: Associazione Nuova Generazione Italo- Cinese.• Associazione Amicizia Italia-Cina di Barge.

Sono stati, inoltre, intervistati 14 operatori italiani che lavorano presso servizi e istituzioni dei tre territori coinvolti dal progetto: • 2 Insegnanti delle scuole elementari e 1 dirigente scolastico;• 3 Operatori dei servizi dei comuni (biblioteca, polizia municipale, servizio anagrafe);• 1 ricercatrice della Camera di Commercio di Torino;• 2 Rappresentanti di associazioni culturali;• 5 Operatori dei servizi socio-sanitari;

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L'Aquila e il Dragone

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Quando le incomprensioni creano pregiudizi e isolamento:

analisi delle interviste

Nelle pagine che seguono presentiamo un’analisi dei materiali raccolti attraverso le interviste, facendo emergere le questioni per noi rilevanti, o meglio, quelle che abbiamo percepito come rilevanti per gli intervistati. Preferiamo avvicinarci alle persone, alle loro narrazio-ni, idee, parole con un approccio fenomenologico che vuole com-prendere, “attraverso una visione intuitiva di qualche cosa, dal di den-tro” e non spiegare (24), utilizzando “nessi causali obiettivi che sono sempre visti dal di fuori”. Comprendere significa non ridurre la com-plessità del reale, ma accoglierlo senza giudicarlo preventivamente, attraverso categorie precostituite. Per questo restituiamo, a chi legge-rà questo lavoro, le questioni che pensiamo di aver compreso, senza trarre conclusioni, ma lasciando aperto lo spazio a un ulteriore ap-profondimento e incontro, proprio perché la ricerca/azione continui e perché si possa uscire da facili pregiudizi e stigmatizzazioni che, an-cora oggi, la comunità cinese sperimenta quotidianamente.

La questione linguistica Come si è già accennato, diversi studi hanno individuato il cultural

lag (ovvero il ritardo tra l’integrazione materiale ed economica e l’inte-grazione culturale (25)) quale elemento che caratterizza i percorsi di inse-rimento della popolazione cinese nella società ospitante. La distanza culturale e la difficoltà linguistica risultano i principali elementi che osta-colano i percorsi di inserimento nel tessuto sociale italiano. L’apprendimento dell’italiano da parte della popolazione cinese appare particolarmente difficoltoso e lento, innanzitutto per la distanza esisten-te tra la lingua di origine e la lingua del paese ospitante: “la lingua cinese, oltre ad avere suoni lontani dai nostri, non è una lingua alfabetica, ogni parola si scrive con un carattere/disegno diverso e solo un’operazione

(24) U. Galimberti, Psichiatria e fenomenologia, Feltrinelli, Milano 1979, pp. 176 -186(25) L. Berzano, C. Genova, M. Introvigne, R. Ricucci, P. Zoccatelli, Cinesi a Torino. La nascita di un arcipelago, il Mulino, Bologna 2010, p.15

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mnemonica può legare tra di loro il significato, il simbolo scritto e la pro-nuncia”. Oltre alla natura diversa della lingua risulta difficile la trascrizio-ne fonetica in alfabeto latino, i cui metodi sono poco conosciuti anche dai cinesi più istruiti. Alcuni studiosi riconducono la difficoltà di comu-nicazione dei cinesi al fatto che la loro lingua si possa definire “ad alto contesto, nel senso che la maggior parte dell’informazione risiede nel contesto fisico o è implicita nella persona [e si privilegiano modalità co-municative non verbali, ndr]. La maggior parte delle culture con cui i mi-granti cinesi vengono in contatto invece trasmettono prevalentemente le informazioni attraverso il codice esplicito della lingua” (26) .

Alcuni opinion leaders intervistati hanno messo in evidenza come l’apprendimento dell’italiano possa essere ulteriormente ostacolato da un basso livello di istruzione che sembra caratterizzare una quota di migranti che si incontra sul territorio di Torino e dintorni, come ci racconta questa intervistata:

Purtroppo la maggior parte di loro ha bassa scolarizzazione. Già non hanno imparato bene la cultura e la lingua cinese quindi per imparare una lingua straniera totalmente diversa fanno molta, molta fatica e spes-so si dimenticano. Sulla pronuncia, sulla scrittura, su tutto devono partire da zero. Inoltre i cinesi sono molto timidi quindi faticano a parlare e non praticano la lingua italiana. Questo è un ulteriore problema. Perdono la fiducia nello studio. Dopo tre mesi hanno capito come devono dire una parola, ma non se la ricordano. Non riescono a comunicare in italiano, quindi perdono la fiducia di sé e perdono motivazione nell’investire tempo per lo studio (rappresentante di associazione cinese, Torino)

Oltre a facilitare le incomprensioni, la mancanza di padronanza linguistica può contribuire a restituire al migrante un’immagine sva-lutante di se stesso, aumentando la difficoltà ad entrare in relazione con persone che non sono della sua comunità e a interagire con il contesto circostante

[i genitori cinesi] hanno paura dei figli degli altri. Una volta mio figlio è uscito a giocare con gli altri bambini, ha preso un bastone e ha iniziato a picchiarli, per scherzo, come capita tra bambini quando si gioca; ma se non sai bene la lingua non sai spiegarti anche se sei nel giusto. Se non sai spiegarti hai sempre torto: Mio figlio mi ha detto “io non ho mai pic-chiato”, ma come faccio a spiegarlo. Allora noi genitori cinesi facciamo fatica a lasciare fuori i bambini a giocare con gli altri […]

(26) Cfr. E.T. Hall, Beyond Culture,Garden City, New York, in M.C. Pitrone, F. Martire, G. Fazzi, op. cit, p. 37.

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Anche le donne hanno paura ad uscire. Una donna è timida. Magari uno passa e dice ‘ciao donna bella’ e lei non capisce e si spaventa. Può anche essere un complimento, ma la donna ha paura. Quando esce fuori è sempre arrabbiata, perchè non sa la lingua!” (rappresentante di associazione cinese, Cuorgnè)

Come ben evidenziano queste testimonianze la non conoscenza della lingua rende il contesto in cui si vive ostile, ansiogeno, con una conseguente chiusura in se stessi e nella propria comunità.

Io so che tanti cinesi vogliono lavorare in attività italiane. Però continua-no a lavorare e vivere nella comunità cinese perché non parlano la lingua italiana. Senza sapere l’italiano non si riesce a trovare un’azienda con un capo italiano. (rappresentante di associazione cinese, Cuorgnè)

La barriera linguistica risulta un fattore che può contribuire all’isolamento, a quella “convivenza nella separazione” che purtrop-po contraddistingue ancora il modo di stare nelle nostre città di molte comunità nazionali di migranti e che, se ripensiamo al nostro passato, ha contraddistinto anche la migrazione italiana sia in Europa che nelle Americhe, creando le tante China Town o Little Italy che al di là degli aspetti folcloristici hanno incarnato una mo-dalità di convivenza in cui l’interazione era ridotta all’osso. Chi deve fare il primo passo? Questo è un problema legato sia a questioni isti-tuzionali o culturali, che individuali. Certamente, perché ci sia l’av-vicinamento, è necessario che il movimento avvenga da entrambe le parti coinvolte nella relazione.

Servizi e istituzioni: dove le difficoltà comunicative sono all’ordine del giorno

Dalle interviste emerge come, in molti casi, le difficoltà linguisti-che da un lato, e la non conoscenza dei reciproci sistemi culturali di riferimento dall’altro ostacolino la relazione con i servizi e le istituzio-ni italiane.

Abbiamo scelto alcuni degli ambiti maggiormente significativi in cui ciò avviene.

Il rapporto con i servizi sanitariDalle interviste realizzate agli operatori dell’ambito sanitario e alle

mediatrici culturali, la popolazione cinese risulta avere una buona conoscenza dei servizi sanitari e una loro corretta fruizione:

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Devo dire che le signore cinesi nonostante non parlino italiano, nè loro nè i loro mariti, si sanno muovere bene. Non so come facciano sincera-mente. Ma mentre le donne marocchine e le donne nigeriane che incon-triamo dimostrano maggiori difficoltà, le donne cinesi sono sempre in regola. E’ difficile trovarne senza permesso di soggiorno. Quando arriva-no in Italia sono perfettamente regolari, iscritte quasi tutte al SSN. È raro avere delle donne cinesi con delle tessere sanitarie a scadenza. (gi-necologa, Torino);

Secondo me se la cavano con i servizi sanitari. Quando una donna cine-se ha avuto esperienza dopo una gravidanza conosce già più o meno la procedura (rappresentante di associazione cinese, Torino)

Sarà poi proprio vero o c’è un sommerso che ci sfugge? Come ri-corda Cologna (27), uno dei maggiori studiosi della comunità cinese in Italia, la fruizione dei servizi da parte della popolazione cinese, dipen-de dai percorsi di integrazione al suo interno: utilizzano i servizi sani-tari italiani i cinesi che dispongono di un buon livello di competenza linguistica e un elevato grado di autonomia economica. Resta, però, ancora una quota consistente di popolazione migrante, che lavoran-do nelle imprese gestiti dai cinesi, difficilmente interagisce con la co-munità locale senza la presenza di intermediari. Tale aspetto viene confermato dalla ricerca condotta a Torino nel 2010 che registrava come oltre la metà degli intervistati ricorresse a modalità e figure di cura della medicina tradizionale cinese, mentre soltanto il 33% si ri-volgesse ai servizi sanitari italiani, tra questi principalmente al pronto soccorso (28).

Dal punto di vista degli operatori italiani, la comunità cinese si di-stingue rispetto alle altre nazionalità, inclusi gli italiani stessi, per la modalità di accesso e per il tipo rapporto con i servizi: tendono ad es-sere poco richiedenti, utilizzano il servizio solo se strettamente neces-sario. Elementi certamente radicati nella cultura del loro Paese in cui è presente uno stato rigidamente burocratico e autoritario nei con-fronti del quale l’atteggiamento comune della popolazione è quello della remissività e del rispetto.

(27) Cologna D. Servizi sociosanitari territoriali e utenza cinese, 2009 http://www.codiciricerche.it/eng/wp-content/uploads/2009/09/int005a-cologna-servizi-sociosanitari-territoriali-e-utenza-cinese-dc-art.pdf(28) L. Berzano, C. Genova, M. Introvigne, R. Ricucci, P. Zoccatelli, Cinesi a Torino. La nascita di un arcipelago, il Mulino, Bologna 2010

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L’altra cosa che appare abbastanza come diversità rispetto agli altri gruppi etnici è che le donne cinesi sono più collaborative. Certo ci sono anche quelle che non fanno mai quello che dici perché non capiscono, perché non hanno voglia, perché lavorano. Però in generale le donne ci-nesi sono meno lamentose, più collaborative. Ci sono molte donne di altri gruppi nazionali che pur conoscendo i propri diritti e sapendo bene quando possono essere esentate dal pagamento del ticket, sono sempre molto lamentose. Non dico che non abbiano le loro ragioni. Invece le donne cinesi che pur fanno una vita spesso abbastanza diffici-le, non hanno un atteggiamento di pretesa. Sono molto collaborative, fanno quello che dici di fare e ti chiedono anche perché, non lo fanno passivamente (ginecologa, Torino);

Risulta poco diffusa presso la popolazione cinese la cultura della prevenzione: i rappresentanti cinesi intervistati osservano un’assenza di controlli periodici, sia per mancanza di tempo, sia per l’incom-prensione dell’informativa che viene inviata a casa:

Il concetto di prevenzione non è molto diffuso. Questo è sbagliato e ne abbiamo tantissimi esempi negativi. La gente lavora, lavora, lavora, poi a un certo punto si scopre che è troppo tardi e ce ne sono tantissimi di questi casi. […] Facciamo l’ esempio del pap-test. So che tante donne ci-nesi hanno ricevuto la lettera per fare il pap-test ma non sanno cosa c’è scritto, non sanno leggere l’italiano e la buttano via. Sono qui in Italia da più di 10 anni, il medico chiede loro “avete fatto il pap-test?” quasi tutte dicono “no, non l’ho mai fatto” Gli stranieri devono sapere queste cose, è molto importante. (mediatrice, Torino)

Continuando nell’approfondire il tema della difficoltà di comunica-zione tra cittadini cinesi e servizi socio sanitari, riportiamo un “inci-dente critico” raccontato da un’operatrice dei servizi sociali per i minori che esemplifica come un’errata interpretazione dei comportamenti adottati da una famiglia cinese abbia messo in moto dei meccanismi di segnalazione alla giustizia minorile e un’incomprensione sulle proble-matiche sanitarie e sociali che avrebbe potuto provocare seri problemi se qualcuno, anche al di là del mandato istituzionale, non avesse cerca-to di approfondire, comprendere ed entrare in relazione.

Una bambina cinese era nata al *** (ospedale di Torino) da un nucleo familiare composto da papà regolare e mamma no. Il papà era regolare, aveva la residenza, ecc. mentre la mamma era probabilmente la compa-gna e non la moglie. Questa bambina è nata con la sindrome di down e con un problema cardiaco, per cui è stato necessario intervenire subito. E’ successo che la bimba dal reparto neonati a rischio è andata diretta-mente in chirurgia per questo intervento. Questo ha significato una li-

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mitazione nelle visite, con degli orari precisi. Ci sono stati due problemi: uno di comunicazione, nello spiegare il quadro clinico e un altro di tipo organizzativo. Nella cultura cinese, come ho saputo, subito dopo la na-scita c’è un periodo di 40 giorni in cui le donne stanno a casa con i figli e non escono proprio di casa. Non uscendo di casa la mamma cinese non andava a trovare la bambina, quindi c’era un presunto stato di abban-dono. Il papà lavorava e la mamma era a casa per questa quarantena e quindi mancava all’appuntamento. Lui non si poteva muovere, lei non ce la faceva a muoversi da sola. Quando un po’ per volta ci siamo reci-procamente capiti la mamma è andata regolarmente e non si è più mossa dall’ospedale. Ma c’è voluto un bel po’ di tempo [...] Fortunatamente per questa bambina, superato l’intervento, chiarito il perché dell’assenza della mamma, la situazione è rientrata nella nor-malità. Anzi la mamma è stata poi regolarizzata, quindi sono rientrate tutte una serie di cose, ma nella fase acuta siamo intervenuti noi dei servizi sociali (assistente sociale, Torino)

Come si evince dal racconto dell’assistente sociale, l’errata inter-pretazione del comportamento dei genitori, in questa circostanza specifica, è stata favorita dalla mancanza di conoscenza da parte dei servizi italiani di elementi culturali che caratterizzano la popolazione cinese, in questo caso la quarantena, il periodo che segue il parto e durante il quale le donne non escono di casa. Consuetudine praticata anche in Italia, una o due generazioni fa, ma oggi quasi completa-mente dimenticata. Racconta una mediatrice:

Per la cultura cinese, quando la donna ha partorito deve stare a casa, non può uscire minimo per un mese. Non si può mangiare freddo, non si può prendere vento, poi si deve restare a letto perché sennò si sta male: c’è mal di testa, mal di schiena, mal di gambe, mal di braccia ecc.. Io so che adesso quasi tutti gli ospedali, quelli di ginecologia, sanno di questa cosa e rispettano questi aspetti di cultura. Prima non sapevano niente. Mi ricordo quando io ho partorito in ospedale *** (ospedale di Torino) l’infermiere mi vedeva sempre sul letto e diceva “Perché non vai fuori a fare una di passeggiata!” ma io non ci andavo. In più mi hanno dato un letto proprio a fianco alla finestra, era estate e tutti dicevano “fa caldo”, ma da noi in quarantena non si può aprire la finestra. Così ho chiesto “voglio cambiare letto”, loro non riuscivano a capire come mai, ma io non volevo prendere vento. Una donna cinese, o asiatica che ha la faccia come noi, come giapponesi, coreani, vietnamiti, thailandesi fa così. Non facciamo questo in modo esagerato. Le donne asiatiche se non fanno questa cura dopo stanno male, veramente hanno mal di schiena, mal di braccia, di gambe. Tanti medici italiani hanno chiesto anche a me “ma come mai?” Secondo me è il cibo: voi in ospedale mangiate tanta carne, formaggio quindi siete più robuste rispetto a noi che mangiamo solo

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verdura e riso; carne e formaggio non ci sono, li mangiamo poco. Noi siamo più deboli. (mediatrice, Torino)

Complessivamente le principali difficoltà che emergono dalle in-terviste nei confronti dei servizi sanitari si riferiscono principalmente a due questioni: la comunicazione con il personale sanitario per la comprensione della terminologia medica specifica e la difficoltà a chiedere chiarimenti; l’organizzazione dei servizi italiani, la lunghez-za nei tempi di attesa molto lunghi, la mancanza di comunicazione e contatto tra i vari servizi.

A fronte di questi problemi e difficoltà la popolazione cinese adot-ta diversi tipi di soluzioni.

Per curarsi si torna in Cina, dove i tempi di attesa per gli esami sono meno lunghi e si possono comprendere le specifiche della pro-pria malattia. Ciò appare prioritario anche a scapito dei costi maggio-ri che si devono affrontare, come racconta la rappresentante di un’as-sociazione.

L’unica cosa da lamentare è che i medici non spiegano tanto e il tempo di prenotazione è troppo lungo. I cinesi dicono “quando riesco a prendere appuntamento, ad arrivare lì magari sono già crepata!”. Tanti lamentano questo. Appena scoprono di avere un problema di salute grave tornano subito in Cina: un primo motivo è per avere una spiegazione chiara. Secondo motivo hanno una spiegazione immediata, perché lì, in ospeda-le, basta che paghi e ti fanno un check-up in giornata […] Rispetto a chi lavora qui e guadagna in euro, spendere in Cina non è troppo costoso, in-vece per chi lavora in Cina usufruire del sistema sanitario è costoso. Conosco anche un po’ di amici che quando hanno occasione di tornare in Cina, anche se non hanno nulla, fanno sempre dei controlli. Qui si chia-ma check-up: Spendono circa 300-400 euro per fare un controllo comple-to. (rappresentante di associazione cinese, Torino)

In Italia ci si rivolge alle “erboristerie cinesi”o a figure di cura tradizionali. Come si è già accennato in precedenza, all’interno della popolazione cinese immigrata hanno un ruolo significativo i medici cinesi, che a volte svolgono un ruolo di mediazione con i servizi sanitari italiani, altre volte li sostituiscono totalmente, anche in modo inappropriato, come si evince dalle parole di que-sta mediatrice:

Quando i cinesi stanno male prima vanno sempre dal medico cinese, quel-lo in nero, quelli che lavorano nascosti a Porta Palazzo. Non sono medici, sono figure di cura, lavorano per passa parola. I cinesi sanno. Ma i poli-ziotti se fanno controlli non sanno niente perché loro stanno in un’abita-

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zione privata. Fuori non si scrive niente. So che è successa una cosa brutta a Milano, qualche anno fa: c’era una donna che è andata dal medico cine-se. Tornata a casa sul tram è svenuta, poi subito l’hanno portata al pronto soccorso e lì il medico le ha chiesto “cos’ha fatto?” e lei ha raccontato la ve-rità poi subito a questo medico cinese è stato fatto un foglio di espulsione. Adesso questi medici cinesi hanno paura. (mediatrice, Torino)

Bisogna ricordare la differenza tra il sistema sanitario cinese e quello italiano, sia in tema di tipi di cura che di struttura organizzati-va. In Cina esiste una medicina tradizionale, per altro molto praticata che è strettamente connessa alla cultura cinese e che ha sistemi pro-pri sia di diagnosi che di cura. D’altra parte nel sistema sanitario cine-se non esiste il medico di base e per qualsiasi problema ci si rivolge all’ospedale di zona, che è attrezzato sia per la cura tradizionale che per quella occidentale. L’ospedale offre un servizio immediato di dia-gnosi e cura alle persone, quasi completamente a pagamento. Quindi una grossa fetta della popolazione quando non si tratta di patologie gravi si rivolge agli erboristi e a coloro che praticano l’agopuntura e altre tecniche di cura tradizionali.

Si creano in Italia servizi specifici per la comunità cinese, come ci racconta un giovane:

Per esempio a Milano, a Prato o in altre città, qui vicino, hanno già cre-ato delle strutture alternative mettendo dei medici privati. Significa che lì i servizi pubblici non funzionano. Hanno messo delle strutture a pa-gamento per i cinesi: per esempio, se io ho bisogno di un ginecologo o un dentista, li mettono insieme, in uno studio, mettono l’interprete e se ho bisogno devo pagare. Però la gente preferisce questo perché è più imme-diato, più efficiente (rappresentante di associazione cinese, Torino)

Il rapporto con i servizi sanitari italiani e le soluzioni che ven-gono adottate quando questo risulta difficoltoso, mettono in evi-denza una tendenza generale della popolazione cinese all’autor-ganizzazione al “fare da sé”e a gestire autonomamente le proprie necessità ed esigenze, insieme, come abbiamo visto ad una note-vole capacità imprenditoriale. C’è una maggiore difficoltà nel cer-care un rapporto con i servizi e le istituzioni competenti presenti sul territorio.

Il rapporto con la scuola e il sistema educativoLa scuola nella cultura cinese rappresenta un ambito di socializza-

zione fondamentale per la formazione didattica, ma anche civica e sociale dei ragazzi. “La politica dell’istruzione nella Repubblica

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Popolare Cinese vede nella scuola dell’obbligo il contesto chiave sul quale intervenire per garantire, da un lato un livello sempre maggiore di alfabetizzazione e una buona diffusione delle più importanti cono-scenze di base, dall’altro la formazione di individui responsabili, co-scienziosi e patriottici” (29). Da ciò deriva un’istituzione scolastica molto rigida, competitiva e disciplinata, in cui tutte le attività, anche quelle più ludico-ricreative vengono organizzate in forma collettiva e sono mirate allo sviluppo di una forte capacità di autocontrollo e di responsabilità sociale del ragazzo.

L’adempimento dell’obbligo scolastico è un aspetto molto impor-tante per le famiglie cinesi che sono fortemente motivate all’inseri-mento nel sistema scolastico italiano dei loro figli. L’inserimento nel mondo della scuola oltre a essere un elemento culturalmente molto importante, rappresenta un fattore chiave che può stimolare i genitori a interagire e meglio comprendere l’ambiente socio-culturale nel quale sono inseriti. I bambini, infatti, grazie all’apprendimento dell’italiano, diventano spesso mediatori tra le famiglie e il sistema dei servizi italiani, con tutte le problematiche che questo può com-portare. (30)

Alcune delle interviste raccolte hanno evidenziato le differenze tra il sistema scolastico italiano e quello cinese, che accanto alle difficoltà linguistiche, favoriscono lo scaturire di incomprensioni tra genitori cinesi e istituzione italiana. Un’insegnante segnala:

Il rapporto con i genitori cinesi è complesso. Prima perché c’è l’ostacolo della lingua. Loro si attrezzano abbastanza in modo autonomo. Ad esempio, questa mattina una famiglia è venuta con un’altra persona che parlava italiano. I mediatori li usiamo proprio in casi specifici, per pro-blemi di salute soprattutto, perché i bambini sono trascuratissimi. In in-verno vengono a volte con vestiti leggeri perché la mattina si vestono da soli. A volte abbiamo avuto anche bambini denutriti. Soprattutto i primi mesi dopo il ricongiungimento mangiano poco perché si devono abituare ad una nuova dieta e i genitori non si preoccupano di dargli

(29) D. Cologna (a cura di), Bambini e famiglie cinesi a Milano. Materiali per la formazione degli insegnanti del materno infantile e della scuola dell’obbligo, Franco Angeli, Milano, 2002, , p.87. (30) Il ruolo di mediatori che viene attribuito ai figli li investe di responsabilità familiari importanti, che se da un lato migliora la loro consapevolezza sociale, dall’altro limita l’attività ludico-ricreativa dei bambini e nega la possibilità di socializzazione col gruppo dei pari italiani o di altre nazionalità con il rischio di forte isolamento e solitudine. Cfr. Cologna, op. cit, p. 76.

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qualche cosa in più! Le famiglie partecipano poco alle iniziative che la scuola propone, per esempio la festa di scuola che noi facciamo annual-mente di domenica. Partecipano poco anche alle iniziative del quartie-re. Abbiamo difficoltà anche ad avere i bambini quando facciamo gli spettacolini teatrali ecc. Sia per motivi di lavoro che noi comprendiamo, perché loro lavorano anche la domenica, sia proprio perché ritengono che tutti questi momenti “alternativi” alla scuola, che noi consideriamo comunque formativi, non siano importanti. (Insegnante, Torino)

La mancata presenza dei genitori cinesi nella vita scolastica dei figli, oltre a essere motivata da questioni organizzative, è un aspetto che attinge a una concezione dell’insegnante quale principale esperto in grado di garantire una buona crescita del carattere morale e della coscienza sociale dei propri figli e quindi la tendenza a una sua totale delega del ruolo educativo come ci racconta una mediatrice:

In realtà i genitori mandano i loro figli ciecamente a scuola, danno fiducia alla scuola pensando che sia uguale alla Cina dove gli insegnanti si occu-pano di tutto. […] La maggior parte degli insegnanti, invece, quando un bambino arriva dalla Cina lo fa disegnare e dice “ah, poverino è appena ar-rivato, non sa niente, dobbiamo dargli il tempo, farlo disegnare”. No, questo non è giusto per me, da noi questa parola, “poverino”, non esiste. Ai bambini basta insegnare. Secondo me tanti insegnanti pensano che la famiglia stra-niera sia povera e questo non va bene; dicono “a che cosa serve spendere i soldi per i libri che appena arrivato il bambino non sa niente?”. Ho capito, ma almeno ho un obiettivo per questo ragazzo. Gli dico “tu devi studiare questo, non ci arrivi adesso ma sappi che i tuoi compagni studiano questo e tu devi fare in modo di arrivare al più presto possibile” (rappresentante di associazione cinese, Torino)

L’intervista che segue a un insegnante conferma il racconto prece-dente. C’è una diversa concezione dell’educazione, da parte delle fa-miglie cinesi, con una delega totale alla scuola che deve rendere i ra-gazzi e le ragazze forti e competitivi, in grado di affrontare una socie-tà, come quella cinese, in cui vengono richieste prestazioni altissime. Spesso l’incomprensione tra insegnanti e genitori scaturisce dalla dif-ficoltà da parte del genitore cinese a comprendere gli obiettivi e la metodologia della scuola italiana, ritenuta troppo poco richiedente e orientata verso attività ludico-ricreative, poco in grado di preparare i figli alle sfide della vita:

I cinesi hanno un modello rigido, rigidissimo di scuola: sull’orario, sul numero di ore, sul carico di lavoro che hanno, sugli intervalli che sono soltanto per mangiare e basta. Infatti, una mamma che era una persona che aveva studiato e si rendeva conto della differenza, è venuta da me di-

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cendo: “Tu non sei una brava maestra, perché non insegni bene a mia fi-glia. Mia figlia è già qui da un mese, ha pochi compiti e tu ancora non le hai insegnato tutti i verbi”. Io le ho detto “ Scusi signora, è una lingua isolante il cinese, una lingua flessiva l’italiano, con un sistema verbale complesso. Dopo un mese non posso insegnarlo a sua figlia”. In Cina dopo la scuola hanno ancora almeno 2 ore di lavoro a casa, ma non mentre si guarda la tv. …(Insegnante, Torino)

Un’esperienza emersa dalle interviste è quella di inserire i ragazzi cinesi nella stessa classe; dal punto di vista degli insegnanti questo rappresenta un elemento di facilitazione per l’inserimento del bambi-no a scuola, vista la mancanza di mediatori culturali:

Adesso non ci sono più mediatori, quindi gli insegnanti si attrezzano da soli. Per la prima comunicazione noi avendo così tanti bambini c’è sempre un altro bambino cinese che già parla italiano, quindi si mettono vicini e si ricomincia. A scuola abbiamo la figura del tutor, i bambini sono molto con-tenti, chiedono “ma quando arriva un altro bambino, che ne so, dalla Nigeria? Perché io vorrei aiutarlo”. In genere noi abbiamo bambini di tutte le lingue, sono presenti una trentina di etnie e lingue. Anche quando arriva-no bambini da Paesi come il Bangladesh, che sono una minoranza, si tende a metterli nella classe dove c’è già un bambino del loro Paese in modo che lavorino insieme avendo qualcuno che può fare da ponte tra le due lingue, e questo funziona. Per riassumere a scuola abbiamo il “bambino-tutor” che aiuta i nuovi arrivati …(Insegnante, Torino)10

Dal punto di vista, invece, di una mediatrice cinese l’inserimento di questa figura di bambino-tutor può rappresentare un elemento che ostacola l’interazione dei bambini cinesi con i compagni italiani e che può favorire in loro un atteggiamento di ulteriore isolamento e diffi-coltà a mescolarsi con gli altri:

Una cosa che noto e che, per me, non è piacevole, è che per aiutare un bimbo, un nuovo arrivo, lo mettono in mezzo ai cinesi. Non va bene. Dicono “ah, in una classe ho già 2 o 3 bambini cinesi magari possono aiutarsi tra di loro” e li mettono lì, ma poi dopo si lamentano che fanno gruppo. (rappresentante di associazione cinese, Torino)

Dalle interviste condotte, emerge, inoltre, una diversità di approc-cio da parte dei genitori verso il figlio: la cultura italiana tende ad es-sere maggiormente protettiva nei confronti del bambino; la cultura cinese risulta più esigente e a volte più rigida nell’educazione. Un contrasto tra la “mamma tigre” della cultura cinese che spinge il figlio ad autonomia e competitività e la nostra “mamma chioccia” a volte iperprotettiva. Ecco come lo descrive un’insegnante:

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Io ho fatto questo figlio, l’ho messo al mondo, gli do da mangiare, adesso lui va a scuola e si deve comportare come un ragazzo universitario. “Deve sapere quando studiare, quando fare i compiti, quando finisce il quaderno, quando deve comprare un quaderno, deve fare tutto lui”.Però queste creature hanno 6 anni come gli altri. Noi abbiamo mamme di bambini italiani che ancora in quinta vengono a dirti “ah, non ha finito i compiti perché siamo andati dalla nonna”, oppure a 6 anni “guardi non ha fatto i compiti perché non ha voluto farli” e dico “signora, però se a 6 anni non ha voluto farli non oso immaginare quando ne avrà 10, veda lei!”. Ecco, è l’opposto. I bambini cinesi sono responsabilizzati subi-to. Mi è anche capitato che un bimbo abbia il portapenne bello pieno, con tutti i colori e poi mi dica “maestra mi presti i pennarelli perché non funzionano?” e dico “ma li hai tutti nel portapenne!”, “sì, ma non colora nessuno” e dico “ma allora buttali via!”, “no perché mia mamma la sera vuol vedere che io ho tutti i pennarelli, che non ne ho perso neanche uno”. Un bambino cinese che perde un pennarello si mette a piangere, infatti nell’armadio noi abbiamo sempre una quantità di pennarelli e di altra cancelleria, e glieli diamo perché guai se mancano…(Insegnante, Torino)

Sfruttamento lavorativo o diritto ad una vita migliore?

La mancanza di padronanza della lingua italiana da parte della popolazione cinese crea ostacoli nella comprensione delle normative vigenti da attuare in ambito lavorativo. Un elemento che, insieme alla difficoltà di affrontare tutti gli investimenti necessari, favorisce a volte condizioni di irregolarità da parte delle imprese cinesi, come afferma un opinon leader della comunità cinese:

Ci sono grandi laboratori e quando sul lavoro c’è il controllo degli ispet-tori (Polizia oppure Carabinieri) si interviene soprattutto in questi labo-ratori dove ci sono tanti cinesi che lavorano. Dicono “è sfruttamento” e altre parole. Ma secondo noi questo è un lavoratore. Lavora per miglio-rare la vita. E’ vero che per l’istituzione questi controlli sono giusti: con-trollare gli orari, la sicurezza sul lavoro. Però devi dare loro una possibi-lità di capire. Anche voi in Italia avete sviluppato negli ultimi 30 anni, 40 anni la parte della sicurezza nel lavoro eccetera. Voi ormai avete rag-giunto un certo livello, però per gli immigrati quando vengono qui è dif-ficile mettersi a posto secondo la legge. Ci vuole tanto investimento. Tanti immigrati cercano un lavoro, quando mettono da parte dei soldi aprono delle attività con un po’ di difficoltà, e allora quando ci sono i controlli, bisogna dare loro la possibilità di capire. (rappresentante di associazione cinese, Torino)

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Alle difficoltà incontrate dagli imprenditori cinesi si affiancano e si interfacciano le problematiche affrontate dai rappresentanti della Polizia Municipale nelle loro attività di controllo che, in assenza di una mediazione linguistica, appaiono particolarmente complesse e di difficile attuazione:

Noi andiamo in questi posti e i cinesi non conoscono una parola d’ita-liano, noi non conosciamo una parola di cinese e quindi abbiamo grosse difficoltà… anche solo a capire chi è il titolare. E’ la prima cosa impor-tante che dobbiamo individuare quando entriamo in un’azienda perché è la persona con la quale interloquire. Questo ci crea tante difficoltà. Tante volte il titolare non c’è nemmeno, ci sono dipendenti, aiutanti, gente che da una mano, a volte anche in nero, per cui diventa veramente difficile per noi. Quindi sarebbe auspicabile che un domani si riuscisse, per lo meno, a far fare qualche corso prima di rilasciare le licenze. Questo in ogni ambito: noi andiamo nei negozi dove vendono alimenta-ri, negli esercizi pubblici. Adesso i cinesi stanno aprendo tantissime atti-vità di parrucchiere, perché sono esercizi liberalizzati dove non c’è biso-gno di sostenere esami, di avere patentini o abilitazioni. Oppure dove serve gli imprenditori cinesi nominano una terza persona e quindi aprono regolarmente l’attività. Però poi è logico che riuscire a capirsi di-venta veramente difficile. (Commissario polizia municipale, Torino)

Dalle interviste agli opinion leader cinesi emerge la percezione di discriminazione e pregiudizi da parte delle istituzioni e degli impren-ditori italiani motivata dal sentirsi particolarmente esposti a controlli e da una mancanza di spiegazioni chiare ed esaurienti quando si in-corre in sanzioni:

A volte anche quelli che hanno delle attività chiamano la polizia che viene a controllare perché anche per loro forse è difficile capire […] Sì, poi ogni volta che i poliziotti vanno via sempre viene una rabbia perché dici “forse sono pregiudizi” perché anche si cerca di fare bene poi loro dicono sempre “qui è fatto male”. (rappresentante di associazione cinese, Torino)

E ancora il punto di vista delle forze dell’ordine deputate ai con-trolli, che riconfermano l’atteggiamento di “sottomissione” cui sono abituati i cinesi alle regole imposte dallo stato:

Mah, solitamente pure nell’incomprensione della lingua i cinesi sono abbastanza “sottomessi” al controllo, capiscono che il controllo comun-que è da fare. Solitamente quando andiamo in questi laboratori, pro-prio per la loro complessità e grandezza, non andiamo da soli, si va in 2, in 3 o in 4 o a volte i controlli sono congiunti con il commissariato di zona, che magari ce ne fa richiesta, e lo facciamo insieme a loro. Quindi

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quando ci vedono arrivare o con la Polizia o da soli sanno che comun-que il controllo verrà fatto. Tra di loro si parlano, si trasmettono le noti-zie… non abbiamo avuto mai una reazione, diciamo, un po’ violenta al controllo o alle sanzioni. Magari nella loro lingua dicono delle cose che noi non capiamo. Non potendo capire quello che si dicono, facciamo buon viso a cattivo gioco e facciamo finta di niente. Anche perché, poi, quando li denunciamo per qualche motivo comunque una comunica-zione in lingua cinese gliela diamo visto che è un atto dovuto che la legge impone. Noi dobbiamo dare loro una copia dell’atto con la tradu-zione in cinese dove gli diciamo che sono stati denunciati all’autorità giudiziaria e il motivo per il quale è stata fatta questa comunicazione di reato, poi con i moduli che gli lasciamo anche in italiano si rivolgeran-no a un avvocato. (Commissario polizia municipale, Torino)

L’ambito in cui la polizia municipale riscontra maggiori irregolari-tà è quello della ristorazione, nel quale gli imprenditori cinesi faticano a seguire le norme igieniche italiane, non soltanto per la rigidità, ma anche per il continuo aggiornamento di cui esse necessitano:

La loro modalità igienica è un po’ diversa dalla nostra. Sovente nei loca-li di ristorazione troviamo delle violazioni amministrative o penali dal punto di vista igienico nella conservazione degli alimenti, nella tenuta o nella preparazione, insomma, quasi sempre qualcosina di irregolare si riscontra in queste attività. Forse anche perché è una mentalità diversa. Quando gli spieghiamo - qualcuno che riesce a capire l’italiano adesso anche tra i primi che sono arrivati, i più “anziani”, c’è - che la modalità di conservazione dei cibi deve essere fatta in un certo modo dicono “no, ma noi la facciamo così, il cibo è buono!” e dico “lo so ma qua in Italia le norme sono diverse e quindi, visto che siamo qui, bisogna adeguarsi alle norme italiane”. Se in Cina queste modalità vanno bene qui bisogna ri-spettare le norme e gliele spieghiamo quando lo capiscono. Non c’è mai capitato fin’ora di tornare nello stesso posto per verificare, però poi se non arrivano altri reclami vuol dire che hanno anche loro cercato di fare tesoro di quello che gli è capitato e di regolarizzarsi. (Commissario polizia municipale, Torino)

Le interviste realizzate nel territorio del cuneese, dove la maggior parte della popolazione cinese lavora nelle cave o nella coltivazione della frutta, mettono in luce altri aspetti legati al lavoro dei cinesi che, in quella zona, è soprattutto di tipo subordinato:

La maggior parte degli uomini lavora la pietra, le donne lavorano nella coltivazione della frutta, qualcuno ha tentato la strada autonoma ma sono pochi. Su Barge e Bagnolo il luogo comune sul cinese che arriva apre un’attività e fa impresa non è reale. La concessione delle cave è de-maniale, quindi anche il lavoro imprenditoriale è italiano. Tutta la po-

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lemica rispetto ai cinesi che spaccano la pietra e la vendono a meno non è vera. La pietra è degli italiani. Si dovrebbe raccontare la complessità della questione. (operatore sociale, Barge)

Nei confronti dei lavoratori dipendenti cinesi si verificano anche situazioni spiacevoli, di discriminazione come ci racconta una media-trice:

La maggior parte dei cinesi dice che gli italiani sono bravi. Però qualcu-no che lavora la frutta a ****, dice che gli dicono sempre parolacce, per-ché dicono che tanto loro non capiscono le parolacce, invece loro capi-scono. Infatti per questo io ho detto se vuole sapere qualche parolaccia io gliela spiego, perché quando vanno sul luogo di lavoro e sente questa parolaccia almeno deve sapere … un giorno è venuto qui e mi ha chie-sto. “che cosa vuol dire questo?” “chi ti ha detto questo parola? È una pa-rolaccia” ho detto io “il mio capo tutti i giorni me lo dice” . Quando lo scoprono, ci stanno male … terribile. (mediatrice, Barge)

Per la popolazione cinese che lavora alle dipendenze di datori di lavoro italiani la mancanza di competenza linguistica ostacola una piena tutela e garanzia dei loro diritti di lavoratori, ecco alcuni “inci-denti” che ci sono stati raccontati:

A Barge, un datore di lavoro non paga ormai da tempo un operaio e lui non ha capito perché. Allora ci siamo chiesti con la mediatrice, è perché la ditta è fallita? è perché è partita la cassa integrazione? è perché il da-tore è un delinquente, un truffatore? Possono essere tanti i casi. Lui non sapeva dare nessuna spiegazione. L’unica cosa che diceva era “no soldi, no soldi, da mesi”. Adesso la mediatrice ha preso la cosa in mano. Oppure arriva la persona che dice: “ mi sta scadendo il permesso di sog-giorno però sono qui da 21 anni e quindi voglio fare la carta di soggior-no quella a tempo illimitato”. Ne ha diritto, però ha portato i documenti a ridosso della scadenza. Aveva portato quasi tutto, ma non tutto, sa-pendo che il nostro non è un sistema celere. Un altro esempio: il papà di una ragazza ha lavorato per un po’ di tempo in un’azienda italiana di lavorazioni pesanti del metallo, e la comunicazione lì non esisteva. Gli dicevano a che ora devi entrare, a che ora uscire, poi gli veniva data la busta paga, fine. Quando lui un giorno è stato male, aveva la febbre a quaranta, per fortuna c’era la figlia che ha telefonato, altrimenti risul-tava che non andava a lavorare. Oppure quando la persona cinese è ar-rivata da poco e deve ancora saldare i debiti con il datore del lavoro, può succedere che il datore di lavoro non gli dica assolutamente niente per quanto riguarda il suo permesso di soggiorno. E ancora altri due casi che mi sono capitati in cui la persona malata chiede di vedere un medi-co, supplica perché sta male, e il datore di lavoro gli dice, tu sei clande-stino non hai diritto a farti curare, quando ciò non è assolutamente

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vero, ma il datore di lavoro ha la convenienza a dirlo. Qui si tratta di la-voro nero, “nerissimo”. I cinesi anche se sono qui da parecchi anni, vivo-no questo tipo di sottomissione che è familiare, perché tutta la tua fami-glia si è impegnata per la tua migrazione quindi poi devi impegnarti a restituire i soldi… (rappresentante di associazione, Torino)

Situazioni emblematiche di come la migrazione venga vissuta come occasione di miglioramento delle condizioni economiche e di arricchi-mento per se stessi, ma soprattutto per la famiglia, e di come sia diffici-le in questo orizzonte di significati introdurre il tema dei diritti.

Fare comunità al di fuori del proprio Paese Dalle interviste ai rappresentanti della comunità cinese sono

emerse alcune difficoltà che i cinesi stanno incontrando in questo momento in Italia: aspetti sui quali le associazioni fanno fatica a cer-care una mediazione con le istituzioni italiane e per i quali stanno tentando di attrezzarsi e strutturare attività e spazi di incontro e con-fronto all’interno della stessa comunità, con il rischio, che già rileva-vamo di essere poco permeabili al contesto nel quale vivono e di au-mentare la percezione di separazione e “chiusura”.

I bambini Un primo aspetto che viene riportato come particolarmente proble-

matico è la questione che riguarda la gestione e la cura dei figli in Italia. Da parte di molte famiglie cinesi si assiste ancora alla tendenza a inviare i figli appena nati in Cina, per periodi più o meno lunghi. Ciò avviene per la difficoltà a conciliare i ritmi stressanti di lavoro con le necessità di cura dei bambini, soprattutto di quelli più piccoli e meno autonomi.

I giovani genitori mandano i figli in Cina. Perché faticano a trovare una baby-sitter. Magari, delle volte, l’abitazione è distante dall’attività e sono preoccupati, non si fidano delle baby-sitter, se ci fossero i nidi che li po-tessero guardare da 0 a 3 anni li inserirebbero lì. Uno dei nostri ha man-dato la figlia in Cina a 2 anni, ma se si trovano qui io li lascio qui! Perché almeno andiamo a guardarli tutti i giorni, ma loro sentono di non avere questa possibilità. (rappresentante di associazione cinese, Torino)

Come racconta il rappresentante di un’associazione cinese l’invio dei figli in Cina rappresenta per le famiglie cinesi una scelta obbligata, dovuta ad una difficoltà di inserimento dei bambini nei nidi italiani sia per la mancanza di posti disponibili, che per un’organizzazione di

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tali servizi che appare inadeguata ai ritmi lavorativi e ai tempi di vita della popolazione cinese. Secondo i dati dei Servizi educativi del co-mune di Torino, su 448 bambini cinesi nella fascia di età 0 -3 anni sol-tanto 8 frequentano i nidi comunali. Il motivo di questo dato è una questione sicuramente da approfondire.

La fase del ricongiungimento in Italia dopo i primi anni di vita tra-scorsi in Cina, accanto a nonni o altri parenti, può avere gravi riper-cussioni sul percorso e sullo sviluppo psico-fisico (31) del bambino. Ecco le situazioni che emergono in alcune interviste:

Difficoltà a riconoscere i genitori: il ricongiungimento pone la ne-cessità di rinsaldare e ridefinire le dinamiche relazionali con i genitori a lungo assenti.

C’è una bambina che ho seguito, è nata in Italia, appena nata è stata mandata in Cina, poi tornata in Italia, non parlava italiano. E da quan-do è arrivata non parla più, guarda e non parla. I primi giorni di scuola, mi ha raccontato l’insegnante, finita la scuola quando i bambini devo-no tornare a casa, venivano i suoi genitori a prenderla e la bambina di-ceva ma “chi sei?” loro dicevano “siamo i tuoi genitori” lei prendeva per mano l'insegnante e diceva “io non vado via, perché non conosco queste persone” . (mediatrice, Barge)

Difficoltà di inserimento nella scuola:

Dipende sempre dal momento in cui vengono inseriti. Il momento della loro vita e anche della vita scolastica è fondamentale. Un bambino inse-rito in prima elementare ha buone possibilità di avere un percorso sco-lastico positivo, decisamente positivo. Se riescono a superare l’ostacolo della lingua i bambini cinesi sono straordinari, sono bravissimi. Se ven-gono inseriti, e in questo mese ne abbiamo inseriti 3, tutti cinesi, uno in terza, uno in quarta e uno in quinta, è difficile, è più complicato. Quello in terza ha qualche possibilità, ma gli altri no. Un cinese per acquisire la lingua della quotidianità ha bisogno di un anno e mezzo. Il primo anno è silente, il secondo anno comincia a esprimersi un po’. Per la lingua delle discipline ci vogliono almeno dai 3 ai 4 anni. I miei colleghi chie-dono “ma storia con lui non la posso fare?” “no, guarda e neanche per i prossimi 2 anni lo potrai fare... è impensabile” . (Insegnante, Torino)

Un ulteriore aspetto che complica la questione dell’inserimento scolastico riguarda, come abbiamo già avuto modo di dire preceden-temente, le differenze che esistono tra scuole italiane e scuole cinesi.

(31) M. T. Bordogna, Arrivare non basta: complessità e fatica della migrazione, FrancoAngeli, Milano 2007, p. 55.

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“I bambini che sono stati scolarizzati in Cina, si trovano spesso a disa-gio nelle classi poco irreggimentate della scuola italiana, l’invadenza e la prepotenza dei compagni, l’impatto con un gruppo dei pari spesso aggressivo, che richiede abilità sociali del tutto diverse da quelle che fanno parte del loro bagaglio esperienziale, nonché la scarsa enfasi sulla competizione meritocratica e la palese incapacità di mantenere l’ordine nella classe da parte di molti insegnanti disorientano molto i bambini appena arrivati” (32). Ciò comporta un forte rischio di isola-mento e una difficoltà di socializzazione con i compagni e il gruppo dei pari. Rischio che in mancanza di un adeguato supporto linguistico il bam-bino raggiunga una conoscenza soltanto parziale e imperfetta dell’ita-liano:

Il rischio è che questi bambini se non hanno un buon sostegno linguisti-co in cinese e in italiano siano poi degli adulti in situazione di semi-lin-guismo, che vuol dire semi-analfabetismo. Se non sai dire tutto in cinese non sai dire tutto in italiano, quindi come lo dici? Il rischio è quello di non avere una lingua, la famosa lingua personale. (Insegnante, Torino)

Di fronte a questa problematica, molto sentita dalla comunità ci-nese, i rappresentanti delle associazioni chiedono un confronto per ottenere dalle istituzioni locali e attraverso il supporto dell’associazio-nismo italiano degli spazi in cui poter creare e organizzare degli asili nido che meglio si possano adeguare agli orari e agli stili di vita dei genitori cinesi e mettere fine a tante storie di separazione e di difficile ricongiungimento e inserimento. Anche questa è una questione sulla quale costruire dialogo, possibilità di meticciamento e aperture reci-proche, cercando di evitare esperienze di separazione.

Gli anzianiNella società tradizionale cinese l’anziano è una figura molto im-

portante. Il rispetto per gli anziani (al pari della centralità della fami-glia) è uno dei principi fondamentali della dottrina confuciana, che ha influenzato la struttura della società cinese. Gli anziani sono i veri depositari della saggezza e della memoria familiare (33) e i figli sono

(32) D. Cologna, op. cit. p. 97(33) Cfr, M.C. Pitrone, op. cit, p. 143.

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tenuti al loro mantenimento e accudimento. Tale aspetto può com-portare delle difficoltà ai cinesi venuti in Italia, che per poter assistere e provvedere in modo adeguato ai loro genitori, decidono per il ricon-giungimento. Ecco alcune esperienze emerse nelle interviste:

Dieci anni fa è entrata in vigore una legge con cui si può fare il ricon-giungimento familiare con i propri genitori e da allora il numero delle persone anziane provenienti dalla Cina è aumentato. Mia mamma è ar-rivata nel ’99, ci sono dei vecchietti che sono arrivati prima, ’98-’96. Sono stati qui tanti anni, ma non hanno imparato per niente la lingua. Hanno la mentalità tradizionale cinese. (rappresentante di associazio-ne cinese, Torino)

Il ricongiungimento dei genitori anziani in Italia può comportare diversi problemi: spesso essi vivono in condizioni di isolamento, non conoscono la lingua italiana e trascorrono buona parte delle giornate chiusi nelle loro case, in completa solitudine.

Oltre a ciò, la presenza dei genitori anziani può portare a volte a scontri di mentalità tra padri e figli, o nonni e nipoti; gli anziani, infat-ti, difficilmente accettano i cambiamenti di mentalità, di usi e abitu-dini che inevitabilmente il percorso migratorio ha comportato per i più giovani:

Questi anziani hanno problemi con i giovani figli. Magari i figli sono nati qui o sono qui da tanti anni, hanno la stessa mentalità degli italia-ni, sono diversi dalle loro origini cinesi. Questi anziani hanno già pro-blemi con loro. Non parliamo della terza generazione dei loro nipoti,con cui proprio non riescono a comunicare. (rappresentante di associazione cinese, Torino)

Emerge da parte degli opinion leaders intervistati anche in questo caso la necessità di creare degli spazi a disposizione, in cui gli anziani si possano incontrare, passare del tempo, ma anche confrontarsi e avere spazio per attenuare i conflitti generazionali che si verificano all’interno della comunità. Una riflessione va però fatta: anche questi sarebbero spazi “separati”.

Gli spazi per gli anziani non sono tantissimi. In alcuni locali ci sono degli spazi in cui gruppi di anziani parlano tra loro, si mettono a gioca-re a dama, ad esempio, un passatempo molto diffuso. Poi abbiamo un luogo in cui vanno ogni domenica, con funzione religiosa (rappresen-tante di associazione cinese, Torino)

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I giovani: i ragazzi nati e cresciuti in Italia; gli studenti venuti dalla Cina.

La questione dei giovani immigrati e delle seconde generazioni, tema ormai diffuso nel dibattito della sociologia della migrazione, viene qui affrontato soprattutto attraverso il punto di vista degli opi-nion leaders intervistati, padri di ragazzi cresciuti in Italia, che vivono con grande preoccupazione la condizione dei propri figli e sono con-sapevoli delle molteplici difficoltà che il percorso di inserimento nel tessuto sociale della società di arrivo può comportare sul vissuto dei ragazzi.

Con i figli adolescenti e giovani adulti ci sono grossi problemi. La mag-gior parte è nata qui e ha tra i 16 ai 25 anni, perché noi siamo arrivati nel ’79 e l’immigrazione più importante in termini numerici è stata dal ’79 fino al ’90. I più vecchi hanno 30 anni. Loro sono rimasti in mezzo, non sono né cinesi né italiani. I genitori hanno molto lavoro e non hanno tempo di seguirli ed educarli. Mio figlio mi diceva: “Tu parli cine-se, hai tanti amici, ci sono tante cose da poter fare, noi chi siamo?” Sono i tuoi figli che prima di tutto non parlano cinese, neanche il dialetto, o lo parlano pochissimo, e se vogliono integrarsi nel gruppo italiano, sono comunque etichettati come cinesi, ma non possono neanche entrare nel gruppo cinese, perché non parlano la lingua”. Così rimangono isolati. (rappresentante di associazione cinese, Torino)

Lo stralcio di intervista riportato descrive il conflitto identita-rio vissuto dai ragazzi cinesi. Un conflitto che mette in luce come la nostra società, non solo nei confronti dei cinesi, ma di tutti co-loro che in qualche modo sono “diversi”, stranieri, “altri” non sia ancora riuscita a sviluppare meccanismi di inclusione. Daniele Cologna afferma, parlando dei giovani cinesi, che il conflitto iden-titario è rinforzato dall’immaginario, dagli stereotipi che circolano sugli immigrati cinesi che stigmatizza la popolazione cinese con luoghi comuni del tipo “ sono una comunità chiusa”, “non sono interessati all’integrazione nel tessuto sociale del paese di arrivo” e così via. Questi luoghi comuni rischiano di influenzare, nel tempo, anche le percezioni e rappresentazioni che i giovani cinesi costruiscono su di sé: “L’efficacia degli stereotipi collettivizzanti si mantiene tale all’interno del corpo sociale nel suo complesso, per-ché agisce su meccanismi di riduzione della complessità del reale propri di ciascun essere umano. Inoltre la presa di coscienza della propria “diversità” somatica da parte degli adolescenti cinesi in un contesto ancora relativamente omogeneo sotto il profilo etnico

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come quello italiano, soprattutto in assenza di messaggi di segno opposto […] facilita l’incorporazione inconscia di questi stereoti-pi” (34).

[I giovani cinesi nati e cresciuti in Italia, ndr.] vivono male, perché non si sentono più né cinesi né italiani. Questo è un grande proble-ma. Noi ogni tanto scriviamo un po’ di cose sulla stampa cinese, però loro non leggono per niente il cinese. Infatti, l’esigenza della scuola cinese è importante: non stiamo insegnando solo la cultura e lingua, stiamo proprio creando loro campo per poter comunicare le proprie opinioni, perché loro si sentono soli. (rappresentante di as-sociazione cinese, Torino)

Un aspetto che viene vissuto dai genitori cinesi in modo molto problematico, ma che accomuna moltissimi genitori stranieri, è la trasmissione e il mantenimento dei valori culturali di appartenenza. I ragazzi cinesi hanno difficoltà a relazionarsi, a comprendere e interio-rizzare i valori e i codici culturali della famiglia. Le seconde generazio-ni si trovano spesso a vivere un conflitto tra i valori familiari e quelli della società e della cultura in cui sono nati e cresciuti.

I nostri figli crescono. Sono nati qui, hanno la cittadinanza italiana e la mentalità italiana. Noi come genitori dobbiamo trasmettere la cultura cinese per far conoscere le nostre usanze, ma la Cina è grande e noi, a Torino, siamo per la maggior parte dello Zhejiang. Le seconde genera-zioni quando crescono dovrebbero avere la possibilità di approfondire la cultura cinese. (rappresentante di associazione cinese, Torino)

Per i ragazzi cinesi “ricongiunti” con la famiglia in Italia nella fascia di età tra i 15 e i 18 anni, subentrano ulteriori problemi: se non riescono ad iscriversi alla scuola dell’obbligo e devono fre-quentare i corsi per adulti questi non sempre forniscono una pre-parazione adeguata: “Se poi tali corsi hanno un’impostazione “ge-neralista”, tendono cioè a insegnare l’italiano con la medesima me-todologia a immigrati di ogni nazionalità, i cinesi si troveranno presto frustrati da un programma inadeguato alle loro specifiche esigenze (tenendo conto che i cinesi sono pressoché i soli che non hanno la possibilità di avvalersi di una lingua veicolare europea prima di emigrare) e resteranno inevitabilmente indietro, mentre i

(34) D Cologna, “Il caso Sarpi e la diversificazione dell’imprenditoria cinese”, in Cima R.; Dancelli M.; Parisi, T. e Rinaldi G, 2008, Un dragone nel Po. La Cina in Piemonte tra percezione e realtà, Torino, Edizioni dell’Orso, 2008

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loro compagni albanesi, rumeni, maghrebini ecc. faranno progres-si sempre più rapidi” (35).

La difficoltà d’inserimento in un percorso scolastico strutturato, e allo stesso tempo nel tessuto economico, porta i ragazzi a vivere in una situazione d’incertezza e disagio che può sfociare in condotte de-vianti, come alcuni anni fa è accaduto sul territorio di Barge:

La procura di Torino aveva osservato come su questo territorio ci fossero tanti minorenni residenti a Barge che commettevano reati a Milano. Su questo si è lavorato per la costruzione di spazi ricreativi extra-scolastici, per mettere insieme le due comunità. Abbiamo cercato non tanto di creare spazi nuovi, ma di inserire i ragazzi cinesi nei contesti che già esistevano. La mia percezione è che il problema reale sia nel passaggio dalla scuola media alla scuola superiore. Sul nostro territorio la percentuale dei ragazzi cinesi che riescono ad avere un successo scolastico una volta usciti dalla scuola dell’obbligo è bassissima, perché hanno una scarsa competenza lin-guistica. Spesso vengono inseriti in classi inferiori per incapacità linguisti-ca e/o vengono bocciati. Sono ragazzi con percorsi fallimentari che poi vengono inseriti nelle attività lavorative più comuni per i cinesi, anche se sicuramente potrebbero avere altre potenzialità. Un’altra questione è quel-la dei ragazzi cinesi ricongiunti in età adolescenziale. La scuola lo inserisce solo fino a 16 anni. A 16 anni compiuti il ragazzo dovrebbe andare a Saluzzo al CTP, ma il centro ha una programmazione scarsa. Sarebbe ne-cessario costruire dei percorsi ad hoc, e questo è un problema che riguarda tutto il territorio nazionale perché i ragazzi che non vanno più a scuola e non hanno prospettive vanno via di qui, magari conservano la residenza, ma tendenzialmente si spostano a Milano. (operatore sociale, Barge)

Altre interviste hanno evidenziato i problemi dei giovani cinesi che arrivano in Italia per motivi di studio e incontrano situazioni di forte isolamento e solitudine che possono sfociare nella depressione.

Bisogna dividere i giovani cinesi che vanno all’università in due gruppi. Nel primo mettiamo chi è cresciuto in Italia e si trova in conflitto con i genitori per i quali spesso è difficile capire la vita universitaria, anche se cercano di farlo. Ho un sacco di amici, sia genitori che i loro figli, e capisco che spesso tra di loro non c’è una buona comunicazione, non c’è una buona compren-sione perché hanno due percorsi di vita differenti. Nel secondo gruppo ci sono gli studenti universitari che arrivano direttamente dalla Cina, i loro problemi riguardano soprattutto l’ambientamento e la socializzazione. Alcuni arrivano fino a situazioni di depressione, perché non capiscono bene

(35) Cologna D., 2009, Giovani cinesi d’Italia: una scommessa che non dobbia-mo perdere. http://www.codiciricerche.it/download/analisi/giovani%20cinesi.pdf , p. 13”

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la lingua, non conoscono l’ambiente e ci sono stati dei casi estremi anche di suicidio. Il fatto è che vivono una serie di problemi che non hanno la capa-cità di affrontare da soli. (rappresentante di associazione cinese, Torino)

La condizione della donna: diventare madre in Italia.Nella cultura cinese, nonostante i cambiamenti in termini politici

e legislativi introdotti dall’avvento della repubblica popolare fondata da Mao Zedong, sussiste una forte separazione tra uomo e donna in termini di ruoli e d’importanza nella scala gerarchica della famiglia. L’uomo ha un ruolo superiore rispetto alla donna sia all’interno, sia all’esterno del nucleo famigliare, mentre la donna ha una posizione di subordinazione e il suo ruolo principale è legato alla procreazione. La maternità è un momento molto importante per le donne cinesi e quindi fondamentale per la cultura cinese. C’è un’aspettativa molto forte da parte della famiglia, che quando non viene soddisfatta può avere delle ripercussioni negative sulla donna:

… La famiglia chiedeva al figlio di divorziare con lei perché non poteva avere figli… Brutto, doloroso rispetto anche alla famiglia perfetta (rap-presentante di associazione cinese, Torino)

Non soltanto è importante diventare madri, ma è fondamentale avere figli maschi, come ci racconta una mediatrice:

I cinesi vogliono figli maschi, questo richiede la nostra la cultura. Quando prima io lavoravo come mediatrice all’ospedale *** (ospedale di Torino) c’erano tante donne cinesi che avevano già figlie femmine, ma non ma-schi. Se non hai figli maschi sei sottovalutata dalla famiglia, dal marito, dai suoceri. Le donne, quindi, hanno paura e vogliono i figli maschi. Se sono incinte vanno subito in una clinica privata, da un medico italiano, e fanno l’amniocentesi anche a pagamento. Mi ricordo anche donne che hanno speso 850 euro per farlo. E così si sa subito se il feto è maschio o femmina. Allora decidono: se è maschio portano avanti la gravidanza, al-trimenti vanno in ospedale e abortiscono. Spesso le donne accettano tutto questo, ma mi ricordo di una donna che è stata massacrata di botte dal marito. A volte i mariti picchiano le mogli, ma loro non dicono niente. Per noi se in una famiglia succede questa cosa è un grande scandalo, e quindi non possono dire niente in pubblico, agli amici. Se ne parli si rovina la fa-miglia, e allora le donne stanno zitte. (mediatrice, Torino)

Questa intervista ci racconta di una condizione di forte sotto-missione della donna, che può scaturire anche nella violenza do-mestica, fenomeno molto sommerso, ma non soltanto nella comu-nità cinese se pensiamo alla situazione della violenza domestica e del femminicidio nel nostro Paese.

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Dai racconti di alcune mediatrici emerge la difficoltà per molte donne cinesi di vivere la maternità in Italia, perché spesso sono sole, senza il supporto familiare:

Non vedo entusiasta una donna cinese quando rimane incinta, qui in Italia. La maggior parte delle mamme cinesi vive da sola. Spesso hanno saputo che esiste il consultorio che può aiutarle attraverso parenti e amici, però purtroppo non tutti i consultori, non tutti gli operatori, sono sensibili ai problemi delle donne cinesi. (rappresentante di associazione cinese, Torino)

Un altro aspetto che viene individuato come preoccupante è la maternità di giovani ragazze cinesi che hanno figli in seguito a rap-porti occasionali fuori dal matrimonio:

Noto una cosa che per me non è piacevole: le ragazze si sposano presto e tante lo fanno perché sono rimaste incinte. I genitori hanno perso il controllo su di loro. Basta conoscere un ragazzo e dopo due giorni stan-no già insieme. Questo è molto triste. Quando in consultorio incontro questo tipo di ragazze e gli dico “voi dovete sposarvi con consapevolezza e non dovete sposarvi per forza perché siete incinte”; “se non conosci bene questo uomo, se non sai se ti vorrà bene o no, perché non ci pensi ancora?”. Ovviamente questa per i genitori cinesi è una tragedia. Avere figli fuori dal matrimonio è una grande vergogna. Sul matrimonio, però esistono anche molte contraddizioni nella comunità cinese. Tanti si spo-sano senza andare in comune a registrarsi perché dicono che avere il certificato di celibato o nubilato sia difficile. Secondo me è soltanto una scusa. Non vanno a registrarsi e si sposano solo tra parenti e tra amici, senza riconoscimento legale perché gli uomini non vogliono dare niente alla moglie, quindi non vogliono che risulti il matrimonio. A volte anche se dopo 10 anni di convivenza la ragazza sollecita il matrimonio e il convivente non vuole succedono violenze domestiche. E la donna se ne va senza nulla, perché non ha diritto di chiedere nulla (rappresentante di associazione cinese, Torino)

Il racconto della mediatrice apre uno spaccato tutto da approfon-dire su alcune questioni quali il rapporto di coppia tra giovani e giova-nissimi cinesi, sulle maternità precoci, sulle difficoltà che s’incontra-no nel regolarizzare le unioni di fatto, sia a causa della burocrazia, sia del riconoscimento dei diritti tra i coniugi. Un aspetto che mette in evidenza una “doppia morale” tra tradizione e difficoltà di costruire nuovi modelli più attenti alla realtà di oggi.

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Luoghi comuni, stereotipi, discriminazioniAlcune interviste ad opinion leaders della comunità cinese, che

abbiamo riportato precedentemente, hanno messo in evidenza la percezione di subire discriminazioni da parte delle istituzioni italiane. Percezione che scaturisce da un eccesso di controlli, dalla severità nelle sanzioni previste che raramente vengono accompagnate da spiegazioni chiare ed esaustive.

Un altro aspetto che viene lamentato dagli opinion leaders cinesi riguarda la tendenza da parte delle istituzioni locali e della popolazio-ne in generale ad attribuire ai cinesi la responsabilità delle condizioni di degrado, sporcizia e disordine che possono caratterizzare i quartie-ri in cui maggiormente si concentrano i loro esercizi commerciali:

Parliamo dei rifiuti. C’era anche l’ingegnere dell’Amiat che diceva “i ci-nesi buttano tutto insieme”, ma in realtà sono gli italiani che non fanno la raccolta differenziata, loro [l’Amiat] hanno visto il cartone scritto in cinese e hanno detto “sono i cinesi”, invece ci sono dei negozi italiani che acquistano dai fornitori cinesi e la scatola è in cinese. (rappresentante di associazione cinese, Torino)

I cinesi intervistati hanno manifestato la fatica e il disagio dell’essere oggetto di stereotipi e luoghi comuni, che spesso vengono alimentati dai media e a volte anche favoriti dalle stesse istituzioni italiane. Proviamo a elencarne alcuni dei maggiormente sottolineati dagli intervistati.• “I cinesi come comunità chiusa”. Nell’immaginario comune la popo-lazione immigrata cinese si configura come una comunità che non sembra sentire la necessità di relazionarsi con la società ospitante, ca-ratterizzata da una forte percezione della propria specificità culturale che intende preservare da contaminazioni esterne. Secondo alcuni au-tori, tale supposta scelta è determinata, oltre che dalle difficoltà comu-nicative, dal tipo di organizzazione economica degli immigrati cinesi, che trova sostegno e progettualità utilizzando risorse lavorative e reti interne alla comunità stessa. Tuttavia altri autori tendono ad attribuire alla barriera linguistica la causa principale di tale isolamento, soprat-tutto per gli adulti: “parlare di ‘chiusura’ può in questo senso risultare fuorviante: la maggior parte degli immigrati cinesi percepisce piuttosto la propria differenza in termini di esclusione e di incomunicabilità, una condizione più subita che voluta (36). Ancora secondo Cologna, a tali

(36) Cfr, M.C. Pitrone, op. cit

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difficoltà comunicative della comunità cinese si associa un’analoga chiusura delle istituzioni italiane, poco interessate ad una reale apertu-ra verso questa, come verso altre comunità di migranti. Tale ipotesi viene confermata nell’intervista ad un rappresentante cinese riportata di seguito:

Tutti dicono che la comunità cinese è chiusa. Ma, per esempio, tanti ci-nesi hanno i ristoranti e ogni giorno si relazionano con le persone, par-lano con la gente! Dopo il lavoro, nel tempo libero, è vero che la comuni-tà cinese non partecipa ad alcune attività. In parte perché hanno poco tempo, ma in parte anche per mancanza di informazione: il Comune deve mandare alla comunità cinese l’informazione, in lingua cinese. Ad esempio, sul sito del Comune, c’è la lingua araba, c’è la lingua rumena, inglese, francese, ma non il cinese. Come mai si dice che la comunità ci-nese adesso è al quinto posto in città e sul sito non c’è la lingua cinese? (rappresentante di associazione cinese, Torino)

• “i cinesi non muoiono mai”: alcuni testi e articoli di giornali hanno alimentato tale stereotipo a partire dalla constatazione che raramente in Italia si assiste al funerale di un migrante cinese, fatto su cui sono state ipotizzate scomparse misteriose di corpi di cinesi, le cui morti non vengono registrate per il riciclo e il riutilizzo dei documenti. Un’intervista ci propone un altro punto di vista:

La nostra comunità è abbastanza giovane. Qualche giornalista ha scrit-to “come mai i cinesi non muoiono mai?” e questa frase continua ad es-sere detta. Ma in realtà questa è una nostra tradizione. Gli immigrati quando sono vecchi vogliono tornare in Cina. Poi i cinesi che sono arri-vati in Cina sono giovani, la maggior parte è arrivata negli anni ’90, età media 30 anni. (Int n. 1, rappresentante di associazione cinese, Torino)

• “i cinesi sono ricchi”: la nomea di grandi lavoratori e ottimi uomini di affari, porta spesso a considerare il popolo cinese come gente arric-chita con la disponibilità di grandi cifre di denaro in contante (37):

Siamo commercianti e qualche soldo lo possiamo tirare fuori, però anche per noi è difficile e facciamo sacrifici. Non siamo più ricchi degli

(37) Si veda Casti L.; Portanova M, Chi ha paura dei cinesi? Bur, Milano, 2012. In questo testo viene chiarito il rapporto che i cinesi hanno con il denaro con-tante, che mentre nelle società economicamente più evolute viene considerato indice di economia informale e di criminalità, in Cina continua a esserlo in conseguenza sia di una funzione diversa delle Banche, che non vengono utiliz-zate come servizi a disposizione dei risparmiatori, sia di un approccio più pragmatico e ordinario con la banconota (p. 144-146)

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italiani. Certo, abbiamo l’usanza, che mi sembra presente anche nel sud Italia, di ostentare ciò che abbiamo. Ma non è vero che il cinese guada-gna tanto: il cinese sta pagando con le cambiali, con il finanziamento. Ha un buon tenore di vita, ma lo tiene grazie al sacrificio di un duro la-voro. (rappresentante di associazione cinese, Torino)

Infine, va ribadito e ricordato che nell’affrontare il tema della co-munità cinese, occorre non sottovalutare il rischio che si corre nel de-scrivere la popolazione migrante come omogenea, un rischio ancora maggiore quando si intende analizzare il fenomeno della migrazione proveniente dalla Cina, la cui vastità include una moltitudine di etnie diverse; cogliere quindi l’immigrato cinese come unica categoria rap-presenta di per sé già un pregiudizio, una semplificazione che non co-glie la complessità dei percorsi di vita individuali, come ci ricorda anche una giovane cinese intervistata:

Un’etichetta, uno stereotipo. Cosa vuol dire essere cinese?! Siamo un mi-liardo, c’è quello un po’ più basso, un po’ più alto; c’è quello un po’ più carino, un po’ più bruttino. C’è di tutto. Come tra gli italiani. (rappre-sentante di associazione cinese, Torino)

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Laboratori di Italiano: il punto di vista dei partecipanti cinesi

sul progetto e sull’apprendimento della lingua italiana

I laboratori di italiano proposti dal progetto L’aquila e il Dragone sono stati sette: quattro a Torino, due a Cuorgnè e uno a Barge, (cinque di 100 ore e due di 50). Sono stati organizzati in orari e modalità che fa-cilitassero l’accessibilità dei destinatari e con la presenza congiunta di un insegnante di madre lingua italiana e di un mediatore cinese, per supportare e motivare maggiormente la frequenza ai corsi. Per quanto riguarda l’insegnamento/apprendimento, la metodologia adottata nei laboratori ha cercato di tenere conto della grande differenza tra le due lingue attraverso un percorso di acquisizione di competenze legato alle componenti sociali e pragmatiche della lingua insegnata. Il laboratorio aveva, inoltre, l’obiettivo di sviluppare un percorso di cittadinanza e di conoscenza dei principali servizi e delle principali istituzioni italiane.

Il corso del mattino, sia di Torino che di Cuorgnè, ha avuto la pre-senza di un maggior numero di donne casalinghe o impegnate in la-vori di pulizia o di babysitteraggio presso famiglie cinesi o di operai con turni diversificati. Nel corso serale di Torino la presenza maggio-ritaria era di parrucchieri e di qualche operaio dipendente da fabbri-che italiane. In quello del pomeriggio presso la scuola Drovetti, la maggior parte lavorava nella ristorazione. A Barge la maggior presen-za era quella di donne casalinghe o impegnate in lavori stagionali, mentre gli uomini lavoravano nelle cave della pietra o erano giovani studenti dei primi anni delle superiori.

Gli studenti sono stati complessivamente 254 di cui 83 uomini e 151 donne, provenienti per la maggior parte dallo Zhejiang, mentre un pic-colo gruppo arrivava dal nord della Cina, dalla città di Liaoning. Tutti in Cina avevano frequentato la scuola elementare e la scuola media. Alcuni avevano fatto dei corsi professionali o la scuola superiore. Molti di loro erano residenti in Italia da lungo tempo, una coppia addirittura da 24 anni. Molti avevano tentato la frequenza ai corsi di italiano, ma avevano abbandonato rapidamente per la difficoltà di comprensione, per la lontananza da scuola o per le difficoltà lavorative. Per la maggior parte è stato un corso di primissimo livello.

Come è già stato anticipato, i questionari somministrati durante i la-boratori di italiano hanno voluto indagare il punto di vista dei parteci-

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panti sulle modalità di conduzione dei laboratori, sulle difficoltà incon-trate nell’apprendimento, e più in generale sul loro rapporto con i servizi e le istituzioni presenti sul territorio. In totale sono stati somministrati 61 questionari, in tre classi, una per ogni territorio coinvolto nel progetto.

Dati socio-anagrafici degli intervistatiTra le persone intervistate che hanno fornito i propri dati, 38 sono

donne e 22 uomini, di età compresa in una fascia molto ampia tra i 13 anni e i 65 anni. I rispondenti si concentrano principalmente nella fa-scia di età tra i 31 e 40 anni.

La permanenza in Italia dei rispondenti varia da 1 a 15 anni. La maggior parte dei rispondenti (il 51%) si trova in Italia da un minimo di un anno a massimo di cinque.

Grafico n. 1: permanenza in Italia

Il 64% degli intervistati dichiara di avere figli, e tra chi ha risposto alla domanda (N=42) “Ha mandato o pensa che manderà i suoi figli in Cina?” soltanto 11 intervistati rispondono affermativamente mentre 31 hanno risposto negativamente: forse un’apertura verso una mag-giore integrazione sul territorio.

Il rapporto con la lingua italiana Rispetto al rapporto con la lingua italiana, tra i rispondenti ai que-

stionari circa la metà dichiara di trovarsi in difficoltà a parlare in ita-liano, mentre 40 intervistati su 57 affermano di saper leggere, e 29 su 55 dichiarano di saper scrivere. Dati che confermano che la maggiore difficoltà nell’apprendimento della lingua italiana riguarda il parlare, l’esprimersi nella nostra lingua.

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Grafico n. 2: rapporto con lingua italiana

Rispetto alla difficoltà nell’apprendimento, la maggior parte degli intervistati si è collocata nelle posizioni di “abbastanza difficile” (N=22) e “molto difficile” (N=17), mentre 21 intervistati hanno dichia-rato di trovare poco difficile l’apprendimento dell’italiano. Questo dato mette in risalto l’importanza della presenza del mediatore quale sostegno non solo linguistico, ma anche alla motivazione e alla perse-veranza nello studio della lingua per superare le difficoltà e gli ostaco-li che via via si presentano e che sono stati messi in luce nelle nostre interviste dagli opinion leaders cinesi

La partecipazione ai corsi di italiano risulta un elemento molto importante per l’apprendimento della lingua, ben 41 rispondenti hanno dichiarato che il corso risulta “molto utile” e il 91% degli inter-vistati valuta che i suoi connazionali riterrebbero molto importante frequentare un corso come quello previsto dal progetto.

Rapporti con il territorio e i servizi Il questionario ha inoltre previsto delle domande che potessero

indagare le difficoltà che gli intervistati incontrano nella vita quoti-diana, nell’interazione con gli italiani e nel rapporto con i principali servizi con i quali ogni giorno entrano in contatto.

La lingua italiana viene esercitata dai cinesi soprattutto nel loro rapporto con gli ospedali e con altri tipi di uffici pubblici. Una buona percentuale (il 67%) dichiara di dover parlare in italiano durante il la-voro. Soltanto la metà dei rispondenti dichiara di dover parlare in ita-liano con gli insegnanti dei propri figli. Ciò può essere motivato dal fatto che alcune scuole si avvalgono del mediatore culturale, o che i figli stessi svolgono il ruolo di traduttori tra insegnati e genitori. L’ambito in cui invece essi dichiarano di parlare meno abitualmente

51nosi

parla italiano legge italiano scrive italiano

4970 53

3047

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in italiano riguarda i negozi, elemento che può indicare la tendenza a usufruire e frequentare gli esercizi commerciali dei loro connazionali.

Il 41% degli intervistati dichiara di incontrare diverse difficoltà nella comunicazione con gli italiani, e soltanto 2 intervistati ritengono di non incontrare alcun tipo di difficoltà.

Dalle risposte degli intervistati emerge una bassa interazione in generale con la popolazione italiana: soltanto 17 intervistati dichiara-no di avere rapporti abituali con gli italiani.

Grafico n. 3: frequentazione di persone italiane.

mai raramente spesso

24%

5%7%

64%

quasi sempre

Attraverso la somministrazione dei questionari si sono volute rac-cogliere maggiori informazioni rispetto al rapporto con i servizi italia-ni. Nello specifico si è voluto innanzitutto capire quali sono i princi-pali servizi utilizzati e in cosa consistono le principali difficoltà che si incontrano nella loro fruizione.

Agli intervistati è stato chiesto di indicare i tre servizi principali con cui entrano in contatto tra: Scuola, Posta, Biblioteca, Ospedale, Medico di famiglia, Uffici del Comune, Altro.

Tra questi il servizio che risulta più utilizzato è il Comune (N=34), e subito dopo il medico di famiglia e la scuola (entrambi N=33).

Il 98% degli intervistati dichiara di incontrare molte difficoltà nel rapporto con i servizi e le istituzioni italiane e queste derivano princi-palmente dal problema linguistico, ma per 20 intervistati anche la comprensione del funzionamento dei servizi italiani rappresenta un ostacolo nella loro fruizione.

Un’ultima domanda ha voluto indagare sui tipi di reti sociali uti-lizzate dagli intervistati nel momento del bisogno o in casi di emer-

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genza. È da rilevare che per questa batteria di domande c’è stata un’alta percentuale di persone che non ha risposto.

Tra i rispondenti, la rete del nucleo familiare risulta quella più uti-lizzata.

Grafico n. 4: la rete utilizzata

I dati rilevati attraverso i questionari confermano sostanzialmente quanto emerso nelle interviste: una grande difficoltà d’interazione non solo con i servizi e le istituzioni territoriali, ma anche con i citta-dini italiani. Difficoltà dovuta soprattutto alla lingua, alla difficoltà di comprensione e di espressione in italiano. D’altra parte le risposte mettono in risalto la voglia di imparare l’italiano e di inserirsi mag-giormente nel contesto in cui i cinesi intervistati vivono.

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Riflessioni conclusive

I temi che emergono dalle interviste e dai questionari sono molte-plici e avrebbero bisogno di ulteriori approfondimenti, quindi non ce la sentiamo a questo punto del nostro lavoro di proporre generalizza-zioni o conclusioni, ma pensiamo che questa ricerca, come tutto il progetto l’Aquila e il Dragone, abbia cercato di tematizzare il bisogno di costruire ponti, relazioni, occasioni di incontro tra italiani e cinesi. Ed il percorso avviato ci sembra che possa essere definito come un processo generativo, dove tutto è in continuo divenire, modalità orientale che il sinologo François Jullien contrappone all’idea di crea-zione così cara a noi occidentali.

Più ci avviciniamo alla Cina e ai cinesi, più le certezze diventano labili e i giudizi provvisori e inappropriati. Così come incontrando e conoscendo persone cinesi ci siamo resi conto che l’idea di “comunità cinese”, come quella di “comunità rumena, peruviana, marocchina, italiana ecc.” sono delle invenzioni che vanno de-costruite. L’identità personale non può essere assimilata a quella nazionale e non si può presupporre un’omogeneità culturale tra persone che possono avere in comune solo la provenienza da uno stesso Paese. Questo vale anco-ra di più per l’immensa Repubblica Popolare cinese. È un’operazione di riduzione e di semplificazione che probabilmente ci rassicura, ma che non riesce a cogliere la realtà delle persone straniere che abitano con noi, nelle nostre città. Noi stessi, come italiani, siamo stati attori in anni non così lontani, di importanti flussi migratori verso altri Paesi e siamo ancora prigionieri di stereotipi duri a morire. Oggi i migranti, come noi italiani, e vorrei dire come tutti i cittadini del pianeta, vivo-no una condizione esistenziale segnata da identità multiple, de-loca-lizzate, che si ricompongono a livello individuale. Questi processi oggi non sono appannaggio di una ristretta élite, ma sono elemento distin-tivo di una società complessa, globalizzata al cui interno sono attivi processi di continua ibridazione e meticcia mento, fondamentali per la costruzione di percorsi interculturali.

Vogliamo lasciare aperte due questioni che emergono dalle intervi-ste che abbiamo descritto in queste pagine, perché pensiamo che siano elementi sui quali valga la pena di continuare a lavorare insieme.

Un primo elemento, che abbiamo costantemente evidenziato, è che per l’interazione tra popolazione cinese, popolazione locale, ser-

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vizi e istituzioni, l’elemento linguistico è sicuramente determinante e necessita di maggiore attenzione rispetto a quella che oggi viene data. Per farlo si dovrebbe attivare un maggior numero di corsi dedi-cati esclusivamente ai cinesi (almeno nella fase della prima alfabe-tizzazione), con la presenza di mediatori, per le difficoltà peculiari che l’apprendimento dell’italiano ha per loro, la traduzione dei ma-teriali informativi sia cartacei che su web e la presenza di mediatori preparati. L’aspettativa della popolazione cinese rispetto ai servizi e alle istituzioni è, d’altra parte, fortemente influenzata dai sistemi vi-genti nel Paese di origine. La Cina continua a proporre e a produrre un proprio modello culturale che è stato il centro per millenni, che ha un suo valore e una sua forza, di cui la popolazione cinese (so-prattutto le prime generazioni di migranti) continua a mantenere una forte consapevolezza. Quindi, insieme alla lingua, è fondamen-tale la conoscenza reciproca della cultura e delle tradizioni. Tutti (ci-nesi e italiani) prima di giudicare comportamenti e atteggiamenti, dovremmo pensare che siamo “analfabeti”, praticare il dubbio meto-dico, la necessità di approfondire, di informarsi come indicatori di-rezionali del nostro agire.

Un secondo elemento riguarda la tendenza della comunità cinese all’autorganizzazione, all’auto-gestione e all’imprenditorialità, ele-menti certamente presenti nella madrepatria, vista la distanza enor-me tra centro (luogo del potere, imperiale prima e politico poi) e peri-feria. Questa distanza ha sviluppato nelle piccole realtà locali una tendenza ad auto-organizzarsi in base alle proprie esigenze e risorse. In un Paese in cui, è importante ricordarlo, le prime leggi sono state codificate intorno agli anni ‘30 del Novecento, il diritto è estraneo alla mentalità tradizionale e fa fatica ancora oggi ad entrare nel tessuto sociale e nella pratica quotidiana (38). Questo atteggiamento è ambi-valente: da un lato è positivo, perché permette ai cinesi di reagire e af-frontare le problematiche e le criticità che incontrano più facilmente di altre comunità nazionali, dall’altra ostacola l’interazione con il paese ospitante e rischia di creare rigidità reciproche e, a lungo anda-re, mancanza di comunicazione.

La risposta della popolazione cinese, grazie alla presenza dell’as-sociazione Zhi Song come partner del progetto, è stata veramente al

(38) S. Novaretti, intervento al seminario La nuova società armoniosa – Diritto e giustizia in Cina 12 giugno 2013 presso Gruppo Abele di Torino

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di sopra delle nostre aspettative. L’esperienza fatta ci ha confermato ancor di più che per costruire percorsi di reale inclusione con la co-munità cinese (ma non solo) è necessario lavorare insieme, co-pro-gettare e costruire in rete le iniziative con i propri rappresentanti, te-nendo conto dei diversi punti di vista e cercando di armonizzarli, o almeno di farli dialogare. Questo è stato il ruolo fondamentale dell’As-sociazione Zhi Song nel lavorare insieme con le associazioni e le co-munità cinesi locali. In questo modo è stato possibile far aderire le azioni del progetto ai bisogni dei destinatari e valorizzare porprio le capacità di auto-organizzazione dei cinesi. Il percorso realizzato ha messo in crisi l’idea di avere a che fare con una comunità “chiusa” e ci fa dire che sarebbe un peccato non poter continuare a costruire pro-getti insieme e non dare seguito alle aspettative che nei diversi terri-tori si sono create. In conclusione, come dice un proverbio cinese: “incontrarsi faccia a faccia con una persona è meglio del sentito dire” (39).

(39) Lin Yutang, L’importanza di capire, Edizioni Longanesi, Milano 1984

sul sito www.gruppoabele.org/aquila-e-dragone è possibile consultare la bibliografia e la sitografia

insieme agli strumenti della ricerca

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Ricerca sulle incomprensioni che rendono difficile l’interazione tra cinesi e italiani, realizzata a Torino, Cuorgnè e Barge nell’ambito del Progetto “L'Aquila e il Dragone”: percorsi di formazione linguistica, culturale ed educazione civica tra Italia e Cina

Fondo Europeo per l'Integrazione di Cittadini di Paesi Terzi 2007–2013

Comune di Cuorgnè

Comune di Barge

GrIS PiemonteCTP3 Torino CTP Gabelli