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IN CIMA AL MONDO VIAGGIO IN INDIA TRANSHIMALAYAN MOTORAID I PASSI PIÙ ALTI DEL PIANETA VISTI DAL SELLINO DI UNA ROYAL ENFIELD: QUESTO È IL LADAKH VISSUTO DAL MARCO POLO TEAM. NON POTEVA COMINCIARE CHE COSÌ IL NOSTRO SPECIALE SULL'INDIA Testo di Nicola Andreetto, foto di Marco De Nicolò 44 CAFE RACER

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IN CIMA AL MONDO

viaggio in india transhimalayan motoraid

I PASSI PIÙ ALTI DEL PIANETA VISTI DAL SELLINO DI UNA ROYAL ENFIELD: QUESTO È IL LADAKH VISSUTO DAL MARCO POLO TEAM. NON POTEVA COMINCIARE CHE COSÌ IL NOSTRO SPECIALE SULL'INDIATesto di Nicola Andreetto, foto di Marco De Nicolò

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SPECIALEINDIA

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M i sdraio sull’asfalto cercando un po' d'ombra al riparo della mia Royal Enfield. A 4.000 metri il so-

le picchia duro e oggi ho ingoiato un chilo di polvere. Persino la sciarpa bianca che ho al collo oramai ha il colore del deserto. Sorri-do, felice nonostante l’aspetto lasci suppor-re il contrario e mi metto comodo su questa lingua asfaltata che va su e giù. Sono dove volevo essere e un contrattempo come una foratura non mi pesa neppure un po’. Se fossimo a Milano sarei stressato... Qui, in-vece, c’è armonia e l’imprevisto fa parte del viaggio. Mi tolgo pure gli stivali, tanto Aldo

ci metterà un po’ a cambiare la gomma bu-cata della Classic. Davanti a noi si apre lo spettacolo del Ladakh, la regione indiana più settentrionale, triangolo di terra arsa dal so-le d’estate e coperta dal ghiaccio per 8 mesi l’anno, stretta tra Himalaya e Karakorum. Comunque, mi presento: sono Nicola e fac-cio parte del Marco Polo Team (www.marco-poloteam.it), gente impegnata a diffondere la cultura del viaggio in moto, in modo soli-dale con le terre che si attraversano. A ogni avventura corrisponde un progetto benefico in favore delle popolazioni locali, principal-mente ai bambini in difficoltà. L’obiettivo di

questo viaggio, il Transhimalayan Motoraid, è quello di raccogliere fondi per contribuire alla costruzione di una scuola nella regione dello Zanskar, una delle zone più povere del Ladakh. E allora... eccoci qua! Siamo sull’Hi-malaya e ci siamo arrivati da sud, partendo da Manali, una cittadina a 2.000 metri sul li-vello del mare, dove abbiamo preso a nolo le nostre Royal Enfield. Cominciamo la stra-da, fangosa, verso il Rohtang La (il primo dei grandi passi). Più saliamo, più l’aria si fa fredda e rarefatta. Vedo un avvoltoio: placido mi osserva prima di spiccare il volo e librar-si nella vallata. Il Rohtang è a 3.979 metri sul

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livello del mare e quando scendo dalla moto ho il fiatone persino nel fare le riprese con la telecamera. Al mio fisico serviranno quat-tro giorni per abituarsi all'altitudine. Al fiato corto si aggiunge un continuo peggioramen-to del fondo stradale (enormi pozzanghere e fango) e del traffico (abbondano i camion civili e militari). Quando ci fermiamo, venia-mo attorniati da un gruppetto di ragazzini cenciosi: l'elemosina qui è una piaga sociale che noi non vogliamo alimentare. Perciò, an-ziché spiccioli, offriamo loro una parte della nostra razione di cibo. Il nostro viaggio con-tinua verso Sarchu (4.300 m) che rappresen-ta il confine con lo Stato del Jammu-Kashmir che comprende il Ladakh. La tappa è abba-stanza agevole e possiamo goderci gli scor-ci fantastici del passo Baralacha La a 4.915 metri. Iniziamo a renderci conto che stiamo salendo davvero sul tetto del mondo. Poco prima di Sarchu troviamo un grande altopia-no tagliato da un lungo rettilineo sui bordi del quale sorgono campi tendati. Ci fermia-

mo per la notte e le stelle del nostro hotel di tela non sono tre, quattro o cinque: sono mi-gliaia e sembrano vicinissime. L’ingresso nel Ladakh avviene attraverso un canyon ros-sastro e arido: più che il far East ci sembra il far West! Dopo Pang la strada s’inerpica e sale su un costone: all’improvviso si apre davanti a noi il Morey Plain, e l'incredibile bellezza di quest'altopiano fa salire il morale alle stelle: tutti apriamo le braccia, come a voler raccogliere la bellezza struggente che ci circonda. Più tardi, per raggiungere il lago salato di Tso Kar prendiamo una deviazione dalla strada principale che si inoltra in una distesa verde. Presto il piano diventa palu-de: una moto s'impantana e la trasciniamo a braccia fuori dal fango. Uno sforzo breve che però ci lascia provati! Raggiungiamo il lago all’imbrunire e sostiamo in quello che i gestori hanno definito “resort”: una cata-pecchia di legno senza wc... Ripartiamo e, lungo la strada, incontriamo gruppi nomadi, famiglie poverissime che, il poco che hanno,

lo devono agli yak: al loro latte nutriente, al-la loro lana pregiata e al loro sterco, usato come combustibile. È l’occasione che aspet-tavamo per donare alcuni capi di abbiglia-mento che abbiamo portato con noi. Pochi chilometri più a sud ci imbattiamo in un edificio molto particolare: è una scuola per i figli delle famiglie nomadi della zona, bam-bini che possono essere lasciati qui anche per mesi interi. Regaliamo ai piccoli qualche indumento e loro ci offrono un tè caldo nel refettorio della scuola. Raggiungiamo il lago Tsomo-Riri prima che faccia buio: i monti che si stagliano di fronte a noi sono il Tibet! In un campo tendato, presso il villaggio di Korzog, ci rifocilliamo, ma iniziamo a non poterne più della cucina locale: ingredienti semplici, sì, ma troppe spezie! Per coprire i 200 km che ci separano da Leh, la capitale, impieghiamo più di 10 ore, per colpa del so-lito fondo sconnesso e dei convogli militari. Tuttavia il morale è buono e il caldo è reso sopportabile dalla vista di questa variopin-

" l E N o s T r E r O y a L e N f I e l D ? p R e S e A N o l E g G i o i N i N d I a . r O m A n t I c H e , C e r T o . m A Q u a N t I g U A i . . . "

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a L l' i N i z I o f aT i C h i a D a D aT t a R T i , p O i N o N v O r R e s T i P i ù A n d A r E v I A

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ta vallata: un viola e un verde innaturali ci regalano una visione "in technicolor" che ci proietta in un film fantasy, ma è tutto vero. Altre frequenti soste le richiedono le nostre moto che, in questo viaggio, non brillano per affidabilità. All'imbrunire raggiungiamo Leh che, dopo giorni di deserto, ci sembra una metropoli. In realtà è poco più che un paesino... Però è frizzante: le vie brulicano di negozietti che vendono pashmine, amuleti, t-shirt e attrezzatura delle migliori marche... contraffatte. Non ci sfugge un’insegna che appare come un miraggio: “Pizzeria Il For-no”. Fino al 1974 il Ladakh era praticamente isolato dal mondo ma oggi è anche questo, prodigi (?) della globalizzazione. Per una coincidenza, lo stesso giorno è qui anche il Dalai Lama e noi ci uniamo alla folla di fedeli che lo attendono all’uscita di un monastero. Dopo una bella dormita ci rimettiamo in mo-to con uno degli obiettivi di questo viaggio: valicare il passo più alto del mondo, il Khar-dung La! 40 km e 2.000 metri di dislivello se-parano Leh dal passo e li affrontiamo a testa bassa. La strada è disastrata: la polvere ci in-vade occhi e narici le buche ci sconquassano le vertebre. A pochi chilometri dalla vetta il carburatore della mia Enfield mi gioca un ti-ro mancino. Dopo una riparazione di fortuna riparto, ma pochi metri più in su cede di nuo-vo. Lo cambiamo al volo: il fiato è poco ma arrivato a questo punto non ho intenzione di rinunciare al traguardo. Ripartiamo e questa è la volta buona, tocchiamo il tetto del mon-do: 5.603 metri di quota! Attorno a noi le ci-me più alte della terra sembrano a portata di mano. Dai ghiacciai pare di sentire il freddo dei ghiacci perenni. Scendendo ci addentria-mo nella Nubra Valley, un deserto punteggia-to di oasi verdi, alimentate dallo scorrere del fiume Shyok. Nei giorni seguenti, da Leh ci spostiamo a ovest, verso il Kashmir, lungo una strada asfaltata. Alcune curve animano i nostri pruriti racer, ma su queste strade è meglio non esagerare. Poi ancora costoni, salite, luoghi che nemmeno compaiono sulle cartine. Come tanti prima di noi, rimania-mo ammaliati dal Kashmir, regione arida che strega con l’azzurro del suo cielo e l’o-ro della sua terra. Dentro il casco cantic-chio il mitico riff dei Led Zeppelin, mentre le Royal corrono attraverso la Aryan Valley in direzione Pakistan. Arriviamo a pochi chi-lometri dal pericoloso confine, sostiamo per la notte vicino a Dah e notiamo l’effettiva di-versità dei tratti somatici della popolazione di questa vallata, nota appunto per l’aspetto "ariano". Brindiamo alla nostra avventura che raggiunge qui il punto più lontano dalla partenza: domattina gireremo le moto e co-minceremo il lungo viaggio di ritorno. �